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UN SANTO IN PARADISO di Enzo Climinti Ricordi e frammenti di storia, vissuti e raccontati dall’Autore, piccole finestre aperte sul passato… Premessa Sotto due bandiere… Mi chiedo sempre, chi nasce in treno in quale anagrafe è registrato? Per lo scarto di qualche ora io non sono nato in treno, tuttavia non sono registrato in alcuna anagrafe del mondo, cosa questa che mi ha creato non lievi inconvenienti. Mi spiego: 24 dicembre 1923, era sera quando il treno si fermò alla Stazione di Brunico-Bruneck colma di neve e ne scese mia madre, con me, che aspettavo impaziente di venire alla luce. Anche mio padre aspettava impaziente sul marciapiede, colto di sorpresa, perché avvisato all’ultimo momento, che mia madre aveva lasciato la confortevole dimora paterna avendo deciso di trascorrere il Natale con suo marito, mio padre, capitano di Finanza, impegnato a presidiare i nuovi confini della Patria. Dopo il treno il mio viaggio continuò in slitta con mia madre che si riparava dal freddo intenso rannicchiata come poteva, in quelle condizioni, accanto a mio padre avvolto in un ampio “cappotto a due piazze” foderato di pelliccia. Ed io, giunto a casa, decisi di venire alla luce per festeggiare con mio padre, mia madre, il cane e la levatrice tirolese, strappata dal caldo del suo maso, la notte più sacra per i cristiani. Nei giorni seguenti fu cercato invano l’ufficio anagrafe, poiché nel Sud Tirolo o Alto Adige, l’anagrafe non esisteva non essendo ancora entrate in vigore tutte le leggi italiane e in particolare quelle di estrazione napoleonica. Concludendo, le mie origini vanno cercate nei libri tenuti dal reverendissimo “Pfarrer”, ovvero il parroco dell’austera cattedrale di Brunico. La mia nascita avvenne sotto due bandiere: quella italiana della famiglia paterna di stirpe abruzzese e quella austriaca della famiglia materna di stirpe trentino-austroungarica. Il denominatore comune che unisce le due famiglie è chiaramente la montagna, ma quanta differenza culturale e sociale, allora, tra nord e sud. … in treno verso Rovigo Nello scompartimento di 1^ classe entrò un austero e taciturno signore, mentre il treno riprendeva la corsa attraverso la nebbiolina nella Bassa Padana, spandendo nell’aria dal fumaiolo della locomotiva a carbone, sbuffi di fumo nero. Di questa storia ero troppo piccolo per ricordare qualcosa, i particolari mi furono raccontati quando ero più grande. Sedevo vicino al finestrino e davanti a me era venuto a sedere l’austero e taciturno viaggiatore, il quale alla successiva fermata scese dal treno non prima di avere raccomandato a mio padre e a mia madre, che si erano trattenuti nel corridoio, di non lasciarmi solo nello scompartimento, perché mentre il treno era in corsa ero stato capace di aprire lo sportello e lui era riuscito “miracolosamente” ad afferrarmi per il vestitino prima che precipitassi dal treno. La sagoma di quell’uomo scomparve in lontananza e nessuno ebbe la possibilità di ringraziarlo… Avevo già un Santo in Paradiso. Rimini La grande neve del 1929 Di questa storia ricordo: il rumore del mare che frangeva le onde sulla spiaggia bianca di neve, l’aria pungente di quella notte che mi svegliava da un sonno profondo, anzi troppo profondo, mio padre che mi teneva sospeso fuori dalla finestra, in un estremo tentativo di rianimarmi. L’ossido di carbonio di un braciere con il quale si cercava di intiepidire la mia stanzetta da letto mi aveva giocato un brutto scherzo, ma io sospeso nel vuoto sui tetti delle case carichi di neve, ripresi lentamente a respirare, interrompendo il viaggio verso l’infinito… Al mattino un miagolìo disperato ci avvisò che il nostro gatto, rimasto bloccato per cinque giorni fuori casa, sprofondando nella neve aveva raggiunto stremato e affamato il nostro terrazzo. Anche lui era salvo, perché pure gli animali, creature del Signore, hanno un Santo in Paradiso. Grosseto Lunedì di Pasqua 1943 Quella lenta “tradotta” che dalle Alpi mi portava a casa, giunse finalmente in Maremma, mentre scorrevano velocemente i pochi giorni della mia licenza. Giunse anche il lunedì di Pasqua, e nel cielo di Grosseto apparvero per la prima volta i bombardieri americani; alte, altissime le fortezze volanti luccicavano al sole, poi il rombo dei motori fu sovrastato dallo scoppio violento delle bombe sempre più vicine. Di scatto mi buttai nel fosso ai lati della strada, mentre grosse schegge di ferro arroventato falciavano l’aria e quanti incontravano. Quando alzai la testa fuori dal fosso, attorno era solo morte, anche la giostra e i bambini sulle carrozzette, sui cavallucci erano fermi per sempre. Nel cielo azzurro dondolavano pigramente appesi ai bianchi paracadute i piloti di un aereo centrato dai potenti 88 della contraerea tedesca. Per me c’era stato un Santo in Paradiso, per i piloti americani non ci furono Santi, giunti a terra vennero lapidati. Leonessa 1944 Ore di vita e ore di morte… I due tedeschi si avvicinarono con le pistole in pugno, ero oramai perduto, fuggiasco alla macchia, disertore di due eserciti. Con quelle armi puntate addosso il mio cervello lavorava per trovare una via di scampo, ma oramai la strada era senza ritorno. Poi improvvisamente nei cespugli alle spalle dei due qualcosa si mosse velocemente ed essi si voltarono di scatto cercando con le pistole un bersaglio da colpire, ed io, fuggiasco disertore alla macchia con un balzo saltai una siepe e corsi, come quando correvo i 100 metri alle gare federali, e i colpi si persero nel vuoto. 16 Fiamme Gialle 4 / 2008

Lontano la campana della chiesa del Santo batteva le ore, ore di vita o di morte, ma quelle per me erano ore di vita, mentre per molti altri furono ore di morte. Alto Adige Anni di piombo… Nella vallata ammantata di neve, uno sparo, come una frustata, ruppe il silenzio. Il proiettile si frantumò contro lo sportello della vettura di servizio, aprendo un largo squarcio, spandendo nell’aria piccole schegge. Il “Colonnello” commentò imperturbabile, che forse qualcuno gli aveva voluto dare il benvenuto tra quei monti di confine a lungo contesi, ed essendo le ore 12 invitò tutti a pranzo nella Gasthaus a fondo valle. Speck, stinco e vino, e tra un brindisi e l’altro per lo scampato pericolo, qualcuno commentò:….”il Colonnello ha un Santo in Paradiso”. Questa casa la prendo… Quando dopo 41 anni di onorato servizio lasciai la vita militare, dovetti fare una scelta: dove fissare la mia dimora. Una scelta per un generale non poteva che essere “strategica”… non lontano da Roma, non lontano da Leonessa, non lontano dai miei, sparsi tra Terni e Spoleto, e l’attenzione si appuntò su di un paese umbro pieno di fascino antico, e poi pieno di miracoli che parlavano del Santo. Peregrinai da una casa all’altra, scelta non facile e tra le tante mi venne offerta una casa signorile, in un suggestivo palazzetto padronale, ma un pò malridotto. Fu durante l’ennesimo sopralluogo, pieno di incertezza, che in una stanza spalancai gli sportelli di una vecchia vetrina a muro vuota e piena di polvere. Vi trovai una sola cosa, una bella immagine sacra del Santo, sì proprio Lui! Pensai, questo è un segnale, e rivolto al geometra che mi accompagnava dissi: “Questa casa la prendo, mi è arrivata una segnalazione dall’alto”. - (N.d.A.) Il Santo è San Giuseppe da Leonessa, frate cappuccino (1556- 1612). - Ringrazio per la collaborazione l’App.to Antonio Malizia. (N.d.R.) San Giuseppe (al secolo Eufranio Desideri) nacque a Leonessa (Rieti) nel gennaio 1556 da un’agiata famiglia di mercanti. Seguendo l’esempio di San Francesco d’Assisi rinunciò alle ricchezze famigliari. Vestito l’abito dei Cappuccini tra il 1571 ed il 1572 intraprese un’intensa attività di predicazione nei territori appenninici tra Marche e l’Umbria, fino a quando nel 1587 chiese ed ottenne da Papa Sisto V di recarsi in Turchia per curare, confortare e consolare gli schiavi cristiani inermi e gli appestati, per evangelizzare i turchi e lo stesso sultano. Quando tentò di avvicinarsi a quest’ultimo, che si chiamava Amurat III fu incarcerato e torturato. Fu sottoposto al supplizio del gancio, a cui venne appeso con una mano ed un piede per ordine del sultano stesso. Sfiorò il martirio. Dopo esser stato torturato fu espulso da Costantinopoli. Secondo altre fonti fu torturato e quindi salvato miracolosamente da un angelo che gli San Giuseppe da Leonessa ordidi ritornare in Italia. Ritornato in patria, riprese la predicazione con rinnovata lena. Si dedicò ai poveri e agli infermi, lottò contro le prepotenze e le ingiustizie, realizzando rifugi per ammalati e pellegrini ed istituendo i monti frumentari e quelli di pietà nei paesi pedemontani dove più misere erano le condizioni economiche della popolazione. Fra Giuseppe era considerato un Santo già in vita, i contemporanei gridarono al miracolo in più di una circostanza, famoso è rimasto il miracolo della moltiplicazione delle fave. Morì in fama di santità dopo una malattia lunga e dolorosa il 4 febbraio del 1612 ad Amatrice. Il Santo fu canonizzato da Papa Benedetto XIV. Gli abitanti di Leonessa, ritenendo più giusto che le spoglie del Santo riposassero nella città d’origine, una notte del 1639 perpetrarono il “sacro furto”, trasportandone il corpo nel paese natio. Ancora oggi le spoglie del Santo riposano nella chiesa barocca di San Giuseppe a Leonessa. Fiamme Gialle 4 / 2008 17

UN SANTO IN PARADISO<br />

<strong>di</strong> Enzo Climinti<br />

Ricor<strong>di</strong> e frammenti <strong>di</strong> storia, vissuti e raccontati dall’Autore, piccole finestre aperte sul passato…<br />

Premessa<br />

Sotto due ban<strong>di</strong>ere…<br />

Mi chiedo sempre, chi nasce in treno<br />

in quale anagrafe è registrato?<br />

Per lo scarto <strong>di</strong> qualche ora io non<br />

sono nato in treno, tuttavia non sono<br />

registrato in alcuna anagrafe del mondo,<br />

cosa questa che mi ha creato non<br />

lievi inconvenienti.<br />

Mi spiego: 24 <strong>di</strong>cembre 1923, era<br />

sera quando il treno si fermò alla Stazione<br />

<strong>di</strong> Brunico-Bruneck colma <strong>di</strong> neve<br />

e ne scese mia madre, con me, che<br />

aspettavo impaziente <strong>di</strong> venire alla luce.<br />

Anche mio padre aspettava impaziente<br />

sul marciapiede, colto <strong>di</strong> sorpresa, perché<br />

avvisato all’ultimo momento, che<br />

mia madre aveva la<strong>sci</strong>ato la confortevole<br />

<strong>di</strong>mora paterna avendo deciso <strong>di</strong> trascorrere<br />

il Natale con suo marito, mio<br />

padre, capitano <strong>di</strong> Finanza, impegnato<br />

a presi<strong>di</strong>are i nuovi confini della Patria.<br />

Dopo il treno il mio viaggio continuò<br />

in slitta con mia madre che si riparava<br />

dal freddo intenso rannicchiata come<br />

poteva, in quelle con<strong>di</strong>zioni, accanto a<br />

mio padre avvolto in un ampio “cappotto<br />

a due piazze” foderato <strong>di</strong> pelliccia.<br />

Ed io, giunto a casa, decisi <strong>di</strong> venire<br />

alla luce per festeggiare con mio<br />

padre, mia madre, il cane e la levatrice<br />

tirolese, strappata dal caldo del suo<br />

maso, la notte più sacra per i cristiani.<br />

Nei giorni seguenti fu cercato invano<br />

l’ufficio anagrafe, poiché nel Sud<br />

Tirolo o Alto A<strong>di</strong>ge, l’anagrafe non esisteva<br />

non essendo ancora entrate in<br />

vigore tutte le leggi italiane e in particolare<br />

quelle <strong>di</strong> estrazione napoleonica.<br />

Concludendo, le mie origini vanno<br />

cercate nei libri tenuti dal reveren<strong>di</strong>ssimo<br />

“Pfarrer”, ovvero il parroco dell’austera<br />

cattedrale <strong>di</strong> Brunico.<br />

La mia na<strong>sci</strong>ta avvenne sotto due<br />

ban<strong>di</strong>ere: quella italiana della famiglia<br />

paterna <strong>di</strong> stirpe abruzzese e quella<br />

austriaca della famiglia materna <strong>di</strong> stirpe<br />

trentino-austroungarica.<br />

Il denominatore comune che unisce<br />

le due famiglie è chiaramente la montagna,<br />

ma quanta <strong>di</strong>fferenza culturale e<br />

sociale, allora, tra nord e sud.<br />

… in treno verso Rovigo<br />

Nello scompartimento <strong>di</strong> 1^ classe<br />

entrò un austero e taciturno signore,<br />

mentre il treno riprendeva la corsa<br />

attraverso la nebbiolina nella Bassa<br />

Padana, spandendo nell’aria dal<br />

fumaiolo della locomotiva a carbone,<br />

sbuffi <strong>di</strong> fumo nero.<br />

Di questa storia ero troppo piccolo<br />

per ricordare qualcosa, i particolari<br />

mi furono raccontati quando ero più<br />

grande.<br />

Sedevo vicino al finestrino e davanti<br />

a me era venuto a sedere l’austero e<br />

taciturno viaggiatore, il quale alla successiva<br />

fermata scese dal treno non prima<br />

<strong>di</strong> avere raccomandato a mio padre<br />

e a mia madre, che si erano trattenuti<br />

nel corridoio, <strong>di</strong> non la<strong>sci</strong>armi solo nello<br />

scompartimento, perché mentre il treno<br />

era in corsa ero stato capace <strong>di</strong> aprire<br />

lo sportello e lui era riu<strong>sci</strong>to “miracolosamente”<br />

ad afferrarmi per il vestitino<br />

prima che precipitassi dal treno.<br />

La sagoma <strong>di</strong> quell’uomo scomparve<br />

in lontananza e nessuno ebbe la possibilità<br />

<strong>di</strong> ringraziarlo… Avevo già un<br />

Santo in Para<strong>di</strong>so.<br />

Rimini <strong>–</strong> La grande neve del<br />

1929<br />

Di questa storia ricordo: il rumore<br />

del mare che frangeva le onde sulla<br />

spiaggia bianca <strong>di</strong> neve, l’aria pungente<br />

<strong>di</strong> quella notte che mi svegliava da un<br />

sonno profondo, anzi troppo profondo,<br />

mio padre che mi teneva sospeso fuori<br />

dalla finestra, in un estremo tentativo <strong>di</strong><br />

rianimarmi.<br />

L’ossido <strong>di</strong> carbonio <strong>di</strong> un braciere<br />

con il quale si cercava <strong>di</strong> intiepi<strong>di</strong>re la<br />

mia stanzetta da letto mi aveva giocato<br />

un brutto scherzo, ma io sospeso nel<br />

vuoto sui tetti delle case carichi <strong>di</strong> neve,<br />

ripresi lentamente a respirare, interrompendo<br />

il viaggio verso l’infinito…<br />

Al mattino un miagolìo <strong>di</strong>sperato ci<br />

avvisò che il nostro gatto, rimasto bloccato<br />

per cinque giorni fuori casa,<br />

sprofondando nella neve aveva raggiunto<br />

stremato e affamato il nostro terrazzo.<br />

Anche lui era salvo, perché pure<br />

gli animali, creature del Signore, hanno<br />

un Santo in Para<strong>di</strong>so.<br />

Grosseto <strong>–</strong> Lunedì <strong>di</strong> Pasqua<br />

1943<br />

Quella lenta “tradotta” che dalle<br />

Alpi mi portava a casa, giunse finalmente<br />

in Maremma, mentre scorrevano<br />

velocemente i pochi giorni della mia<br />

licenza.<br />

Giunse anche il lunedì <strong>di</strong> Pasqua, e<br />

nel cielo <strong>di</strong> Grosseto apparvero per la<br />

prima volta i bombar<strong>di</strong>eri americani;<br />

alte, altissime le fortezze volanti luccicavano<br />

al sole, poi il rombo dei motori<br />

fu sovrastato dallo scoppio violento<br />

delle bombe sempre più vicine.<br />

Di scatto mi buttai nel fosso ai lati<br />

della strada, mentre grosse schegge <strong>di</strong><br />

ferro arroventato falciavano l’aria e<br />

quanti incontravano.<br />

Quando alzai la testa fuori dal fosso,<br />

attorno era solo morte, anche la giostra<br />

e i bambini sulle carrozzette, sui<br />

cavallucci erano fermi per sempre.<br />

Nel cielo azzurro dondolavano<br />

pigramente appesi ai bianchi paracadute<br />

i piloti <strong>di</strong> un aereo centrato dai<br />

potenti 88 della contraerea tedesca.<br />

Per me c’era stato un Santo in Para<strong>di</strong>so,<br />

per i piloti americani non ci furono<br />

Santi, giunti a terra vennero lapidati.<br />

Leonessa 1944 <strong>–</strong> Ore <strong>di</strong> vita e<br />

ore <strong>di</strong> morte…<br />

I due tedeschi si avvicinarono con le<br />

pistole in pugno, ero oramai perduto,<br />

fuggiasco alla macchia, <strong>di</strong>sertore <strong>di</strong><br />

due eserciti.<br />

Con quelle armi puntate addosso il<br />

mio cervello lavorava per trovare una<br />

via <strong>di</strong> scampo, ma oramai la strada era<br />

senza ritorno.<br />

Poi improvvisamente nei cespugli<br />

alle spalle dei due qualcosa si mosse<br />

velocemente ed essi si voltarono <strong>di</strong><br />

scatto cercando con le pistole un bersaglio<br />

da colpire, ed io, fuggiasco<br />

<strong>di</strong>sertore alla macchia con un balzo<br />

saltai una siepe e corsi, come quando<br />

correvo i 100 metri alle gare federali,<br />

e i colpi si persero nel vuoto.<br />

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