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“Rete di confine”: per generazioni di finanzieri questa locuzione evoca lunghi turni di servizio al gelo dell’inverno, nell’afa estiva, sotto la pioggia o la neve, con la nebbia, trascorsi percorrendo il sentiero costeggiante il manufatto che proteggeva la frontiera italo-svizzera in corrispondenza del Canton Ticino, con in spalla il fucile Vetterly, il moschetto 91, e più recentemente, con il M.A.B.. L’idea di proteggere la linea di confine con uno sbarramento fisso fu originata da una metodologia per perpetrare il contrabbando in uso presso le popolazioni del varesotto e del comasco nell’ultimo scorcio del XIX secolo. I contrabbandieri avevano escogitato un sistema semplice e geniale per far attraversare il confine alle merci gravate da dazio, che per di più assicurava loro la quasi totale impunità. Nei casolari della provincia di Como e Varese, ad una certa distanza dal confine di Stato, i cani ritenuti idonei, venivano addestrati a mangiare sempre e soltanto nello stesso luogo, in genere un locale interno del fabbricato. Venivano poi tenuti a digiuno per qualche giorno e poi portati a distanze sempre maggiori e lasciati liberi, in modo che ritornassero rapidamente nel luogo anzidetto, ove ricevevano, a mò di premio, un pasto abbondante. L’addestramento prevedeva anche che di tanto in tanto si avvicinasse al cane un individuo, con l’uniforme di finanziere, munito di un bastone, col quale picchiava duramente l’animale. Quando i contrabbandieri reputavano il cane sufficientemente addestrato, lo portavano in Svizzera, digiuno da qualche giorno, lo caricavano con un basto contenente da quattro a otto kilogrammi di LA RETE DI CONFINE tabacco, zucchero od altri generi dei quali era conveniente l’importazione illecita in Italia e lo lasciavano libero. Il cane allora si affrettava a raggiungere il luogo ove sapeva che avrebbe trovato un lauto pasto e se scorgeva un finanziere, girava al largo, memore delle bastonate ricevute. I finanzieri erano impotenti ad impedire questa forma di contrab- di Luciano Luciani bando. Unico modo di fermare i cani era prenderli a fucilate, ma ciò era quasi impossibile , dal momento che l’attraversamento del confine avveniva di notte ed i cani erano addestrati a passare lontano dalle guardie. Il contrabbando con i cani assunse proporzioni sempre più allarmanti, specie nella zona di Somazzo e Mulini del Galletto e per neutralizzarlo si pensò di creare un Una pattuglia di finanzieri con cane anticontrabbando lungo la rete di confine alla frontiera italo-svizzera. 14 Fiamme Gialle 4 / 2008
ostacolo con reti all’inizio orizzontali, poi a maglie larghe, prima basse e poi alte. I primi elementi della rete sorsero spontaneamente tra gli anni 1887 e 1890, a cura dei comandanti dei reparti di confine più esposti, ma successivamente, riconosciuta la validità del sistema, fu deciso di razionalizzare ed uniformare lo sbarramento per l’intero sviluppo del confine tra il lago Maggiore ed il lago di Lugano-bacino di Porlezza, escludendo tuttavia i tratti montuosi più impervi. Alla costruzione dello sbarramento partecipò con funzioni direttive anche l’allora brigadiere Luca Bongiovanni, divenuto negli anni successivi ufficiale, e successivamente, nel 1913 uno dei primi aviatori militari italiani. Per impiantare quello che allora era chiamato la siepe metallica, nella forma ancora oggi esistente in alcuni tratti del confine, fu formata una squadra di 12 finanzieri, scelti tra coloro che nella vita civile avevano svolto il mestiere di meccanico o di lattoniere. La squadra, sotto la guida del tenente Cesare Travi, comandante della Tenenza di Ponte Chiasso, e poi del brigadiere Bongiovanni, lavorò alacremente e con l’aiuto della manovalanza tratta dalle brigate di confine che via via venivano interessate dal manufatto, in poco più di cinque anni, dal 1889 al 1894, collocò 7,2 Kilometri di rete nel Circolo di Como, 13,5 nel Circolo di Varese e 10,4 nel Circolo di Luino. Nello stesso tempo venne costruita una analoga barriera della lunghezza di 12 Kilometri, in provincia di Udine, al confine con l’Austria- Ungheria che allora correva, nel tratto in pianura, lungo il fiume Iudrio, ed ove prosperavano illeciti traffici di pericolosità analoga a quelli in atto al confine elvetico. All’origine, i pali di sostegno della rete, alti 3,70 metri fuori terra e distanti da 8 a 10 metri, erano collegati con un robusto cavo metallico all’altezza di 3 metri al quale venivano attaccati altri fili metallici che scendendo venivano intrecciati e che formavano la rete metallica con maglie di 30 centimetri di larghezza e 10 di altezza. Al di sopra della rete erano fissati altri sei fili metallici orizzontali. A metà tra un palo e l’altro essi erano intersecati da un filo verticale che sopra l’ultimo filo faceva una curva in avanti a forma di molla a spirale sulla quale veniva agganciato un campanello. Altri campanelli erano assicurati alla rete per dare l’allarme ad ogni tentativo di attraversamento del confine. La barriera diede buona prova per oltre cinquant’anni, consentendo di far cessare il contrabbando mediante i cani e limitando notevolmente e rendendo più pericoloso il transito agli spalloni. Ma oltre al contrabbando di generi soggetti a dogana, la rete impedì e fece cessare un altro ripugnante traffico: molte donne svizzere, volendosi disfare del frutto di una gravidanza indesiderata o clandestina, abbandonavano i neonati sul sentiero battuto dalle allora guardie doganali. Fu così che i finanzieri recuperavano come “merce abbandonata” molti piccoli che venivano portati ai brefotrofi delle località vicine. Negli archivi della parrocchia di Ronago, ad esempio, sono registrati oltre 30 bimbi raccolti, in pochi anni in un solo punto del confine, il così detto “Marcetto”. Tale situazione perdurerà fino al 1890, finchè la rete non lo impedì. Negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso i contrabbandieri si resero più arditi tagliando larghi tratti dell’ostruzione o sfondandola addirittura con auto fuoristrada cariche di bricolle. Nel secondo dopoguerra venne iniziata un’opera di implementazione e di rafforzamento della rete. Negli anni ’60 del XX secolo, nei tratti soggetti a sfondamento con automezzi, fu avviata la costruzione di una palizzata in cemento armato costituita da una base interrata sulla quale era impiantata una serie di pali di 15 centimetri di lato, distanti 10 centimetri tra uno e l’altro e di 3 metri di altezza. La costruzione fu interrotta nel 1971, allorquando la crisi petrolifera di quegli anni aumentò il differenziale di cambio tra la lira ed il franco svizzero, parificando i prezzi delle sigarette e degli altri generi soggetti a forte dazio tra Italia e Svizzera rendendo antieconomico il contrabbando. Da allora fu anche sospesa la manutenzione, ed il manufatto si trova ora in condizioni di rapido degrado. Il servizio “sotto rete” però è entrato nella memoria collettiva della Guardia di finanza e non vi è sezione dell’ A.N.F.I. ove i vecchi finanzieri non ricordino con nostalgia i tempi del servizio al confine alla Legione di Como e le località caratteristiche quali la scala del Paradiso che dai Prati della Pianella (Ponte Chiasso) sale all’altopiano di Cavallasca, alta circa 300 metri e formata da 667 gradini, il Prataccio di Gaggiolo e la piana dei Mulini ove la rete corre anche sul tetto di un casolare situato per metà in Italia e per metà in Svizzera. Sono reminiscenze che riportano alla Guardia di finanza di altri tempi, schierata in gran parte al confine e lungo le coste per contrastare gli spalloni e gli sbarchi di tabacchi. Contrabbandieri e finanzieri disponevano di limitati mezzi tecnici e la lotta tra gli uni e gli altri vedeva prevalere chi era dotato di intelligenza, astuzia e talora doti atletiche superiori. I ricordi di quelli che allora erano in servizio al confine rievocano notti trascorse riparati nel sacco a pelo a 2500 metri di altitudine al freddo polare e nella tormenta, lunghi turni di servizio nei luoghi di passaggio dei contrabbandieri, appiattiti nel fango sotto la pioggia, trattenendo perfino il respiro per carpire piccoli rumori che potessero tradire la presenza degli spalloni ed infine la gioia e la soddisfazione quando veniva conseguito il sequestro delle bricolle. Fiamme Gialle 4 / 2008 15
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