Fosco Valentini VISIONARIA
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Questo libro concepito da Giovanna dalla Chiesa come il racconto dei pensieri e delle vicende che hanno accompagnato
la nascita delle opere di Fosco Valentini sin dai suoi esordi nel 1975, si chiude con il catalogo della
sua antologica negli ambienti dell’ex Mattatoio di Roma, dove erano rappresentate, senza soluzione di continuità,
tutte le componenti del suo complesso iter - dal disegno alla pittura, dal video ai lenticolari, dalla scultura all’installazione
e al libro
Le immagini del racconto scorrono accanto alle parole, dando vita alla sua parte figurata, senza che la parte didascalica
e gli apparati bibliografici, anch’essi elaborati dalla curatrice, interferiscano con la parte narrativa. Per la
loro pertinenza si è deciso di aggiungere all’esposizione centrale anche alcuni testi già pubblicati.
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FOSCO VALENTINI
VISIONARIA
QR edizioni
VISIONARIA
Questo libro è stato realizzato a Lugano
in seguito alla mostra antologica
di Fosco Valentini al Mattatoio di Roma,
nel gennaio-marzo del 2019
RINGRAZIAMENTI
Galleria Alessandra Bonomo
Ruben Fontana
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Giovanna dalla Chiesa
Fosco Valentini si racconta
Dialogo con Giovanna dalla Chiesa
101 Hans Ulrich Obrist
Alighiero Boetti & Fosco Valentini
GRAFICA E STAMPA
Grafica: Bernardino Bettelini, Fontana Print
Stampa: Fontana Print S.A.
CH-6963 Pregassona-Lugano
© 2020 Fosco Valentini
Gli autori dei testi, i collezionisti,
anche quando hanno voluto mantenere
l’anonimato, e tutti coloro
che in diversa misura hanno reso possibile il
buon esito di quest’opera,
in particolar modo:
Cecilia Guerrieri Paleotti,
Daniela Lancioni,
Cesare Pietroiusti
e il personale di PalaExpo,
scusandoci per eventuali, involontarie omissioni
per cui restiamo a disposizione.
105 Fabio Sargentini
Un colorista nato
107 Mario Garriba
Occhi balocchi
109 Catalogo della Mostra Visionaria
159 Traduzioni
Indice delle illustrazioni
Bio-bibliografia
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Fosco Valentini si racconta
Dialogo con Giovanna dalla Chiesa
Per la prima volta l’uomo ha realmente compreso
di essere un abitante del pianeta e forse deve
pensare o agire in una nuova prospettiva, non
non solo nella prospettiva di individuo, di famiglia
o di genere, di Stato o di gruppo di Stati, ma anche
nella prospettiva planetaria
V. I. Vernadskij
GDC ■ Nel libro di Paola Ferraris Psicologia e arte dell’evento: Storia eventualista 1977-2003, trovo
un’indicazione preziosa sulla tua prima mostra in uno spazio privato, un evento che coincise con la
nascita del Centro di ricerca sulla Psicologia dell’Arte, avviato proprio l’11 novembre del 1977 con la
mostra Quattro artisti inediti – Vittorino Curci, Gianluca Manzi, Cesare Pietroiusti e Fosco Valentini – nello
studio di via dei Pianellari 20 di Sergio Lombardo, che da quel momento in poi fu conosciuto come
Jartrakor. I contenuti che sarebbero diventati gli obiettivi del Centro di Ricerca in quella complessa stagione
culturale e politica, erano già stati espressi nel 1975, da Sergio Lombardo durante una conferenza
tenuta all’Accademia di Belle Arti di Roma, nel corso dell’occupazione studentesca di quell’anno su
invito degli stessi studenti.
Scrive Lombardo: «Quando fondammo il Centro Studi Jartrakor, il clima sperimentale degli Anni Sessanta
era già finito da dieci anni. Nel 1967, infatti il lancio dell’Arte Povera sancì che l’immagine internazionale
dell’arte italiana dovesse essere affidata ai valori della povertà e della fantasia. Un importante filone di dibattito
e di ricerca, fondato sui valori sperimentali della scienza empirica, iniziato alla fine degli Anni Cinquanta, fu
sacrificato in nome del buon successo commerciale dell’Arte Povera. La complessità della ricerca artistica
italiana, così semplificata per meglio adattarsi alle regole del mercato internazionale, s’impoverì. Nel 1977,
all’epoca della fondazione del Centro Studi Jartrakor, un’analoga operazione fu attuata monopolizzando
l’immagine dell’arte italiana, sotto l’insegna del libero attraversamento delle avanguardie storiche: era il lan-
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cio della Transavanguardia. Anche questa volta veniva sacrificata tutta quella ricerca teorica e sperimentale
che appariva troppo tecnica e difficilmente riducibile alle semplificazioni del mercato. Tutto ciò che non era
capito immediatamente dalle masse consumistiche veniva tacciato di settarismo: erano gli anni di piombo.
Qualsiasi opinione estetica appena articolata veniva chiamata “ideologia”, qualsiasi ideologia veniva definita
“sovversiva” (…). In questo clima culturale, con l’aiuto di Anna Homberg, allora una semplice studentessa di
medicina, e di Cesare Pietroiusti, anch’egli studente di medicina, fondai l’associazione Jartrakor».
Vedo sintetizzate nelle parole di Lombardo l’atmosfera in cui vi trovavate immersi in quegli anni che dovevano
dettare anche l’orientamento generale degli anni ottanta. Un progressivo restringersi di visibilità
internazionale per la maggior parte degli artisti italiani, teso a canalizzare sempre più solo ciò che doveva
interessare il mercato. Non che non ci fossero molteplici focolai di ricerca, intuizioni e sperimentazioni in
ogni direzione. Mentre nella decade precedente, però, tutto quello che costituiva l’humus da cui erano
nati i grandi filoni d’indagine di una nuova storia artistica veniva ricordato, ora quei rivoli di idee e di intenzioni
rischiavano di disperdersi e di essere sommersi dalle operazioni di un mercato, che pretendeva di
garantirsi con oggetti d’arte prestigiosi, presentati come assoluto per poter competere su uno scenario
internazionale fatto soprattutto di interessi economici, non più di tendenze e filoni di ricerca il cui valore,
come nel caso delle ricerche scientifiche, restava soprattutto teorico. Fu nel 1975, in occasione di quella
conferenza all’Accademia, che incontrasti per la prima volta Sergio Lombardo?
FV ■ Sì, proprio in quell’occasione. Aveva una grande energia coinvolgente. La sua visione, già matura,
del sistema culturale era assolutamente lucida. Quella di una vera Cassandra. Io ero al secondo anno di
Accademia e avevo appena partecipato alla X Quadriennale Nazionale d’arte.
GDC ■ Le foto che presentasti nella sezione La Nuova Generazione della X Quadriennale Nazionale
d’Arte, ti rappresentavano sepolto dalla sabbia su una spiaggia.
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FV ■ Avevo letto per caso nella stampa che si teneva quella Quadriennale. Così mosso dall’urgenza
scelsi come forma di comunicazione quella dell’immagine. Mi misi a cercare un fotografo per realizzare
delle fotografie al mare. Volevo fermare le immagini del mio corpo nella terra come un oggetto scultoreo
e performativo insieme, tra Eros e Thanatos. Lo trovai parlandone con gli ex compagni dell’Istituto d’arte.
Allora fotografia e opera comportamentale non avevano ancora ruoli chiaramente distinti. Potevi spiegare
al fotografo come volevi le inquadrature della performance, in genere in bianco e nero, la quantità
degli scatti per la sequenza e tutte le intenzioni, ma sempre con il rischio che il lavoro fosse ritenuto
una creazione del fotografo. La mia idea performativa fu, allora, quella di riportare le foto alla pittura e
alla scultura. Furono infatti spruzzate, in seguito, con smalti spray, per evidenziare il corpo scultoreo nel
magma pittorico. Gli scatti li facemmo a Fregene. Avevo scelto, come terra, la sabbia che scivola sulla
Soffrivo particolarmente, in quegli anni, per la caduta dell’antropocentrismo, per le distinzioni tra “bene
e male”, tra “mio e tuo” tra “me e te”. Confini tra persone, confini tra proprietà, confini tra le polarità di
amore e odio.
Frequentavo la casa di Aldo Braibanti che studiava precisamente questa alienazione in senso filosofico
e poetico. Inoltre nel suo teatro. Si trattava, in sostanza, dell’utopico superamento dei confini tra essere
e mondo esterno e della messa a nudo dell’illusione e dell’autoinganno. Le lezioni di Aldo si spingevano
proprio fin dove s’incontravano le dottrine di Freud e di Marx e nel suo ambiente ci muovevamo nella
coscienza della disfatta di un orientamento possessivo, ossessivamente teso a dividere il bene dal male,
senza riuscire a intuire che ogni persona è molte persone, anzi una vera moltitudine, convertita in una
sola persona.
pelle come una materia scultorea e che, in questo caso, assecondava l’idea dello svolgersi di un transito
tra la vita e la morte, anche nel movimento.
GDC ■ Dunque, la tua era una ricerca che non andava tanto nella direzione antropologica seguita da altri
in quel momento, quanto in quella di una dissoluzione dell’identità, come a volerla cedere nuovamente
alla natura e a fonderla in essa per ritrovarla. Un fatto ontologico legato all’essere, non solo tuo proprio,
ma universale, venato di misticismo. Mi sbaglio?
FV ■ Braibanti, in qualche modo, condivideva gli stessi presupposti da cui muoveva Lombardo, ma trasferendoli
in una situazione di estrema vulnerabilità. Una voluta vulnerabilità spinoziana. L’insegnamento
di Aldo, in quel difficile momento socio-politico, con la sua vita fondata sui libri, era indirizzato per dirla
con un concetto caro a Norman O. Brown verso la “revisione delle identità storiche”, ossia fondamentalmente
alla revisione della “sua” identità storica. Era cioè, il tentativo di un riesame della sua vita, dagli
studi su Spinoza a quelli su Marx, poi da Marx a Freud, per finire con la poesia. Un’uguale spinta era
penetrata nelle menti di molti artisti di età differenti e in quelle che chiamerei “menti d’amore”. Il naufragio
vissuto dalle precedenti generazioni era ancora ovunque. Bisognava levar l’ancora, prendere il largo.
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GDC ■ Rispetto a quello degli altri artisti, mi pare che il tuo atteggiamento fosse più esistenziale, connotato
sì, dall’esperienza di perdita della centralità dell’arte, ma dipendente in realtà, sempre e solo dall’arte,
a cui non c’era bisogno di conferire statuti specifici, ma unicamente il coraggio e l’urgenza – forse
disperati – dell’espressione e del gesto, assunti tuttavia secondo una torsione metaforica, non certo
attraverso ragionamenti rettilinei e analitici. Fu per questo che presto ti staccasti dal gruppo?
La nostra non era una poetica della “perfezione” (arte, bellezza etc.) ma dell’“incarnazione”, dove non si
dà una forma perfetta, ma al contrario, una forma frammentaria, incompiuta. E dove si camminava sul
filo della sconfitta e della vulnerabilità. Potrei citare, di nuovo, la frase di Norman O. Brown: Nessuno
deve essere biasimato. Non ci sono difetti insiti nel resoconto di una lotta. La missione rimane la stessa,
non smettere mai di esplorare (…) Cerchiamo di sopravvivere (…) scampati a nuovi naufragi, improvvisando
una zattera (...). E, aggiungerei, riconsiderando la nostra identità storica per narrare un’“altra”
storia dell’arte. Un seguace del buddismo zen ha scritto: Andare in paradiso è una bella cosa, ma anche
precipitare nell’inferno è un titolo di merito.
FV ■ Penso tu abbia centrato il problema: era l’urgenza e al tempo stesso la situazione di emergenza
sociale di quegli anni che scaturiva anche dalle conversazioni quotidiane con Aldo Braibanti. Aldo era
interessato alla dottrina spinoziana della perfezione, ma come movimento “verso” la perfezione, dunque,
GDC ■ Torniamo alla vostra mostra del ’77. Lombardo scrive: Si trattava di giovanissimi, con tratti
molto autonomi, uniti da un linguaggio sottilmente concettuale fra la poesia e l‘immagine. Dopo la
mostra ciascuno di essi andò per la sua strada, eccetto Pietroiusti, che rimase a organizzare con
me e Anna Homberg una serie di conferenze e attività di studio sulla psicologia dell’arte, una serie
d’incontri settimanali di ricerche sull’ipnosi, nonché l’attività espositiva. E aggiunge che tu fosti l’unico
a non proseguire un’attività presso il Centro e che in quell’occasione proiettasti sul muro delle diapositive
graffite dai colori molto forti. Mi pare che mostrassi già, insomma, quella che è ancora oggi una
tua predilezione per la trasparenza e per le strutture diafane come apparizioni. Cosa rappresentavano
le diapositive?
come difetto, mancanza. Questo tema mi ha accompagnato anche in seguito. Nell’arte come nella vita,
come sostiene Norman O. Brown, straordinario artefice di paradigmi che collegano autori come Spinoza,
Freud, Marx e Pound, l’attività è movimento del desiderio, tensione verso la perfezione: ciò a cui si dà
il nome di Bellezza, Arte e Poesia. Quell’impulso che ci spinge verso l’unione con ciò che è idealmente
perfetto. Questo mi ha sempre influenzato nella ricerca della metafora viva che produce innovazione.
Come un’energia cinetica sommata a spinte occasionali che provengono da direzioni diverse o anche
opposte. Più che dalla sostanza, insomma, ero e sono attratto, da tutte le componenti del processo, da
una filosofia dell’energia piuttosto che da una filosofia della forma e della perfezione.
Mi vengono in mente le parole di Freud in Al di là del principio del piacere: Ciò che non si può raggiungere
al volo, occorre raggiungerlo zoppicando.
FV ■ Non so se è importante quello che rappresentavano. Era, però, come se per trovare la vita nuova
volessimo collocare nel punto dove era avvenuto il naufragio un leggero segnale marino, come una boa
galleggiante, proprio con la trasparenza delle apparizioni – per continuare a muoverci. Un considerare
l’oggetto d’arte come un’energia trasferita dal luogo in cui l’artista l’aveva percepita sino all’osservatore,
per mezzo dell’oggetto poetico stesso.
GDC ■ Nel settembre del 1976, prima dell’esperienza espositiva con il Centro Studi Jartrakor, il tuo
nome compare anche fra quelli di un altro gruppo significativo di quel momento storico l’Ufficio per
l’immaginazione preventiva, creato da Tullio Catalano e Maurizio Benveduti insieme a Franco Falasca.
D’impronta decisamente surrealista, il gruppo aveva un carattere fortemente ideologico e veniva ospi-
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ricava è quella di una straordinaria vitalità. Artisti affermati e famosi si univano senza imbarazzo con
giovani quasi sconosciuti scegliendo il confronto e la mescolanza proficua dove ciascuno arricchiva
il fiume di un pensiero che scivolava libero da ogni argine per raggiungere i propri obiettivi con l’adesione
totale che è sempre stata di ogni avanguardia. Tu hai parlato spesso della tua generazione
come di “un corpo unico”, come foste tutti nello stesso corpo, nel corpo della società e della natura in
generale. In quel momento c’era il senso, infatti, di far parte di un grande processo storico destinato a
realizzare un cambiamento epocale.
FV ■ Sì, è un altro punto importante. Nel corpo unico e/o unito – natura-spazio-tempo – c’era un grande
pensiero che comprendeva il processo storico extra-artistico e filosofico delle libertà individuali. L’ufficio
per l’immaginazione preventiva era forse uno dei primi semi piantati nel terreno che si sarebbe sviluppato,
in seguito, come una sorta di “arte pubblica”. Ci sentivamo come isole, collegate e separate nello
stesso tempo. Oggi, penso che le arti e la poesia dovrebbero fare una rischiosa traversata di quel mare
e riunire le isole della cultura umana alla ricerca di quella mediazione, di quel modus vivendi che tra la
vita e la morte non ci separi dalla natura. In questo senso è sempre più attuale la lezione di Spinoza: gli
uomini non possono desiderare per la conservazione del proprio essere niente di più eccellente se non
che tutti concordino in tutto, in modo che le menti e i corpi di tutti compongano quasi una sola mente
e un solo corpo. A questo si potrebbe aggiungere l’altro suo monito: non irridere, non deplorare, non
esecrare, ma comprendere.
tato all’inizio nella la Galleria GAP, lo spazio di Gianni Fileccia e Adriana Miccolis, in via di Monserrato
120. Erano gli anni delle riviste off e della stampa alternativa, l’Ufficio stampava una rivista con contributi
di artisti, filosofi, scrittori e critici di grande prestigio, insieme a giovani emergenti. Così il tuo nome,
in quel settembre del ’76, su IMPRINTING SPERIMENTAZIONE E LINGUAGGIO appare insieme a
quelli di: Vincenzo Agnetti; Art & Language; Carlo Maurizio Benveduti; Gianni Blanco; Aldo Braibanti;
Ian Burn; Alberto Caronna; Tullio Catalano; Giuseppe Chiari; Claudio Cintoli; Ettore Consolazione;
Bruno Corà; Elvira De Luca; Pippo Di Marca; Alberto Faietti; Franco Falasca; Paolo Ferri; Nino Giammarco;
Alberto Grifi; Gruppo di Coordinamento; La Linea d’Ombra; Fabio Mauri; Cesare Milanese;
Paolo Morawsky; Paolo Moroni; Giulio Paolini; Mimmo Pesce; Mimma e Vettor Pisani; Mel Ramsden;
Carmelo Romeo; Harold Rosemberg; Terry Smith; Luciano Trina; Andrea Volo; Mariano Zela.
In seguito, tutti gli artisti più significativi di quegli anni passarono di lì: Luciano Fabro, Idetoshi Nagasawa,
Joseph Kosuth, Michelangelo Pistoletto, Luigi Ontani e tantissimi altri. L’impressione che se ne
GDC ■ In quegli anni di ribellione e d’ideologia, la tonalità della tua esperienza avveniva, insomma, nel
segno dell’empatia, del sogno e dell’utopia a venire. Ci sono scarse indicazioni, però, su di te dal 1977
all’1984, data in cui ti trovasti a collaborare alla mostra antologica di Alighiero alla Pinacoteca Comunale
di Ravenna. Qual è il motivo?
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all’esterno, o sul luogo stesso della mostra dato che non avevo più uno spazio in cui concentrare le
mie esigenze creative. Poi non ebbi più neanche una casa. Alla fine degli anni settanta l’incontro con
Alighiero Boetti, fu anche un supporto, oltre che un’esperienza determinante. La notte potevo restare
nel suo studio a Piazza Santa Apollonia e di giorno lo aiutavo in tanti lavori, dagli arazzi alle biro.
Si pranzava insieme e io potevo parlare con lui di quello che mi passava per la testa e, naturalmente,
dell’avventura dell’arte e della vita. In quel periodo, arrivò dall’Afghanistan anche Salman Alì per aiutare
Alighiero dopo un incidente automobilistico. Nei tempi morti del lavoro cominciai a dipingere, con la
pittura acrilica sulle pubblicità che vedevo nei giornali o nei rotocalchi, fatte di tante immagini diverse.
I miei quadri pubblicitari che poi Alighiero mi suggerì di intelare, nacquero proprio così. Trovato un
giornale, una rivista, con una sedia e pochi colori acrilici di rapida asciugatura, tutto veniva fuori senza
sforzo anche in spazi ultraridotti e provvisori come quelli che avevo a disposizione. Feci una mostra da
Franz Paludetto a Torino con quei giornali dipinti, e una collettiva da Corrado Levi, a Milano, con le riviste
dipinte, dove riuscii a vendere anche il mio primo quadro. Quando nel 1989 portai, con la Galleria
De Ambrogi, a Basilea, una serie di quei quadri, andarono letteralmente a ruba. Fu, poi, in questi stessi
anni, che incontrai Alessandra Bonomo appena arrivata a Roma con cui feci subito amicizia. Dopo
qualche tempo la portai da Alighiero. Alessandra aveva aperto un’enoteca a Spoleto che fungeva anche
da galleria. Poi cominciai a collaborare alle mostre collettive da lei organizzate nell’appartamento
vuoto di Alighiero, sopra lo studio di Trastevere, ma allora non si facevano i cataloghi. In una delle prime,
all’inizio degli anni ’80, c’erano, oltre a me, anche Alessandro Twombly, Alberto Di Fabio, Tristano
Di Robilant e Andrea Bobo Marescalchi un bel gruppetto, insomma. Mi capitava anche di collaborare
alle avventure poetico-teatrali del Beat ’72, ogni tanto. Continuavo a vivere da ospite, ma la situazione
diventava sempre più difficile. Cominciavo a pensare di fuggire da qualche parte, finché durante un
FV ■ Tra il 1977 e il 1984 proprio nel momento in cui sentivo il bisogno di dedicarmi al disegno e
alla creazione di oggetti pittorici, ho perduto entrambi i genitori. I lavori di quegli anni erano realizzati
Festival di Poesia del Beat ’72 a Alba Adriatica, incontrai Michela, ticinese, che poi diventò mia moglie.
Andavo e venivo da Lugano e facevo qualche collettiva a Martigny, con degli artisti svizzeri nello
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spazio del giovane Stefano Jermini. Aveva affittato un distributore di benzina in disuso della Shell. La S
del marchio luminoso, sopra la costruzione, era crollato, sicché la galleria, alla fine si chiamò Hell; ma
feci la conoscenza di Mat Collishaw, Sylvie Fleury, Pipilotti Rist e altri, tutti giovanissimi in quegli anni.
Ho saputo di recente che in una di quelle mostre, molto off, entrò di passaggio una sera Maurizio Cattelan.
Io non c’ero. Staccò dalla parete uno dei miei quadretti pubblicitari e aggiunse sul retro della tela
la sua firma alla mia, producendosi in uno dei primi esperimenti di “appropriazione” e re-enactment.,
poi divenuti per lui abituali.
GDC ■ Insomma, una vera vita di bohème la tua, come a quei tempi, quasi nessuno faceva più.
Di quei quadri Elio Schenini scrive: il sottile strato opaco della pellicola pittorica si sovrappone direttamente
all’immagine pubblicitaria, stampata sulla carta patinata delle riviste o sui cartelloni, riproducendola
fedemente, ma al contempo celandola e trasformandola in altro.
FV ■ Molti lavori di allora, come le pubblicità, i giornali o altro segnalavano, però, anche il mio senso d’inadeguatezza
rispetto a un’attività artistica che era divenuta come un inganno della storia, una competenza
non riconosciuta come quella di un libero professionista il cui lavoro, non solo non aveva riconoscimento,
ma poteva persino in certi casi essere considerato come sovversivo. Nessun medico o professionista
che non fosse riconosciuto di utilità sociale potrebbe sopravvivere. Solo agli artisti veniva chiesto
di farlo, con quello che ne poteva conseguire. E il protezionismo svizzero nei confronti dei connazionali
artisti, non era altrettanto generoso nei confronti di chi, benché residente, non era riconosciuto tale.
La libertà a cui mi aveva abituato il clima romano, in Svizzera, fra l’altro, era impensabile.
GDC ■ La capacità di appropriazione diretta del mondo, praticata da Boetti nel suo lavoro ti fu certamente
d’ispirazione nei quadri pubblicitari di quegli anni, e soprattutto d’incoraggiamento, ma diversamente
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quella realtà visiva, verificatasi forse troppo presto per essere compresa. Fu scambiata, infatti, anche
dagli addetti ai lavori per una coda della Pop Art. E avvenne un fatto quasi telepatico tra me e Alighiero
che riguardava la posizione dell’osservatore. Si trattava in realtà di un’indagine sul dualismo che distanzia
il soggetto dall’oggetto e che concede al soggetto solo immagini con l’intento di segnalare la “macchina
che influenza lo sguardo” e la visione, in una società divenuta schizofrenica e dominata proprio da quella
macchina. Da parte mia, tentavo una riappropriazione pittorica, anche per divertirmi con la pittura, ma
su un tema psicologico di relazione tra la somiglianza e la riproduzione, tra l’immagine interna e la realtà
esterna. Troppo difficile da comunicare per quei tempi. Passò invece il ritorno naif alla pittura.
GDC ■ Dunque, se oggi dovessi dare una spiegazione di quell’operazione, abbastanza particolare di
“ridipintura dalla pubblicità”, cosa diresti?
FV ■ Che era un cercare di creare un corto circuito tra le immagini dei rotocalchi e della pubblicità e la
pittura, invece che aggiungere nuove immagini all’ambito pittorico; un far dilagare le immagini dei giornali,
da lui tu, anche in seguito, non hai mai abbandonato la pittura che nonostante le tante trasformazioni a
cui, nel tempo, l’hai sottoposta, ha continuato ad accompagnarti sino ad ora. Perché?
delle riviste, della pubblicità nel campo visivo attraverso la pittura, sino a saturare lo spazio della percezione
e a far implodere l’idolatria, il mana dell’ipnotizzatore fondato sulla magica proprietà dello sguardo.
Il mana del demiurgo.
FV ■ Nell’ancora piccolo mondo dell’arte degli anni ’84/’85, dopo l’approfondimento analitico e psicologico,
si viveva d’idee brevi, pronte a disintegrarsi nel momento stesso dell’illuminazione. Nel mondo delle
immagini la pubblicità era l’oggetto più guardato ed emergente, l’appropriazione delle immagini e degli
oggetti aveva subìto un rovesciamento. Non era più l’arte a catturare le immagini pubblicitarie e del mondo,
ma la pubblicità ad appropriarsi delle immagini del mondo, della comunicazione visiva, del linguaggio
dell’arte e delle sue opere. Quella di Alighiero Boetti e, in seguito, la mia, furono una prima reazione a
GDC ■ Mi pare non sia da sottovalutare però anche l’attenzione che riservavi al testo scritto impaginato
insieme all’immagine in quei lavori e l’ambientazione del prodotto, accostato in forma di dittico, alla
mappa del luogo di provenienza. Elio Schenini nel catalogo del 2008, pubblicato in occasione delle tue
mostre allo Spazio Teatro della Contrada Bornago e alla Galleria Barbara Mahler, parlando di queste
opere scrive: le serigrafie geografiche che Fosco dipinge non sono però carte politiche, ma orografiche,
in cui il naturale dispiegarsi della morfologia del territorio reso attraverso l’intensità dei blu, degli ocra, dei
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GDC ■ Negli anni ’90, hai abbandonato per qualche anno i lavori pubblicitari per dar vita a una serie di
ritratti dedicati ad alcuni dei vecchi amici, o a figure carismatiche che avevi incontrato nella Roma degli
anni d’oro dove, magari anche solo di passaggio, a un certo punto, arrivavano proprio tutti.
FV ■ Quei ritratti erano mossi dall’intenzione di rappresentare gli artisti e i personaggi del tempo alla stregua
di un prodotto pubblicitario e, insieme, dall’idea di riportarne il disegno su una tela per confrontarmi
nuovamente con la pittura. Una metamorfosi del linguaggio pubblicitario attraverso una sorta di riorganizzazione
stoica della scena degli accadimenti che prevedeva al centro dell’immagine il corpo di un artista.
marroni che disegnano i rilievi, le pianure, le depressioni e i mari, contraddice ogni idea di confine stabilito
dall’uomo. Sottolinea di nuovo, insomma, la tua propensione ad operare su quelle soglie invisibili fra
confini su cui hai lavorato sin dagli esordi, con un’intenzione che definirei “terapeutica”, come cercando
l’unificazione di quella condizione naturale che scienza, politica e ideologia hanno al contrario diviso.
FV ■ Certo. Le immagini pubblicitarie divenivano sempre più universali e si poteva inserire nei quadri, democraticamente,
anche il territorio, gli oggetti visivi o i prodotti dei paesi emergenti e, perché no, dei paesi
colonizzati o devastati da conflitti, per osservare il mundus come continente perduto da riunire, ancora
una volta, provando a utilizzare, il mana consumistico del demiurgo, in senso inverso, come deterrente.
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GDC Ma forse anche una nota affettiva e di nostalgia non sono da escludere in questi ritratti intimi e
dai toni delicati di figure appartenenti proprio al tuo passato. Considerando quella che è stata la tua
svolta successiva, a me è sembrato addirittura che con quel ciclo tu abbia rivolto il tuo ultimo saluto a
un’intera stagione. Nel 2000, allo scoccare del nuovo millennio, il tuo lavoro avrà, infatti, un vero capovolgimento
e un’impennata che farà posto a una fase autonoma da qualsiasi, anche lieve, influenza
precedente. Un’opera esclusiva della tua invenzione. Tutte le componenti, a cui abbiamo appena
accennato, vi troveranno una nuova coesione, dando luogo a una visione complessa, realizzata con
i temi e con le tecniche più svariate, secondo un’assoluta libertà e indipendenza. La svolta comincia
con opere dove, per la prima volta, è la tua immagine a essere il fulcro di ogni cosa rappresentata e
il punto di riferimento di ogni scelta. Così nelle foto in cui appari bendato, con i bastoncini da rabdomante
in mano, o nei sedici fotogrammi dell’opera L’ordine delle cose (2000), che sono l’avvio di un
profondo cambiamento.
FV ■ I ritratti degli amici, le fotografie dell’artista rabdomante, L’ordine delle cose nascono certamente
dalla presa d’atto di una sconfitta storica. Non si poteva accettare, in quegli anni critici, ancora una dimostrazione
che gli oggetti in cui sono concentrati la ricchezza e il valore non abbiano alcuna vera utilità
Il tema della pubblicità riutilizzata nella pittura non era stato compreso negli anni ottanta. La pubblicità era
un tabù, un mito che non bisognava scalfire, perché nascostamente sotto la patina della pittura e la piacevolezza
estetica dell’immagine pubblicitaria si poteva rimettere in causa l’utilità o l’inutilità del prodotto
e di riflesso anche quello dell’arte. Un tema economico-politico, dunque, oltre che di politica culturale.
Al di fuori delle dinamiche ideologiche esso spingeva a ripensare psicologicamente certe persuasioni
occulte e, sotterraneamente, esso poteva alludere persino a un ripensamento psicologico sul denaro.
Tre super tabù che nessuno voleva prendere in considerazione in quegli anni. Le interpretazioni venivano
spostate invece sull’accezione affermativa della Pop, seguendo il mainstream.
pratica. Io scelsi semplicemente un’altra via di comunicazione con quei fotogrammi, pensati in opposizione
a tutto questo, ma per dire la stessa cosa, spostando aristotelicamente lo sguardo dall’immagine
degli oggetti di consumo a quella dell’identità umana per restituire a questa il potere dell’immaginazione.
Per distinguere i bisogni umani reali dalle richieste del consumatore nevrotico bisognava incontrare di
nuovo l’irrazionale e ricominciare a inventare; esaurire le immagini del tempo, come si esaurisce un consumo,
intuire nuove metafore, risvegliare miti e archetipi. E naturalmente restare fedeli alla propria poetica,
ma attraverso deviazioni dalla logica, dai sentieri già tracciati, con l’azzardo di qualche volo pindarico.
Ero anch’io alla vigilia della “revisione della mia identità storica”.
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GDC ■ Nel 2003, la Svizzera ticinese libertaria e permissiva, erede di Bakunin e degli anarchici, si sveglia
improvvisamente proibizionista mettendo al bando i tanti negozi dove, legalmente per anni si erano
venduti i derivati della cannabis. La campagna, scatenata per fini politici ed elettorali non risolveva affatto
il problema, lasciando aperto quello delle droghe pesanti. Per di più, faceva aumentare il lucroso traffico
clandestino di quelle leggere. Ne nacque un grande dibattito su tutti i giornali, nei media e in parlamento.
La cosa ti coinvolse al punto da spingerti allora a scrivere un piccolo libro, Filosofia esistenziale della
canapa indiana, uscito a ruota, nel giugno del 2004.
Non solo la scrittura è spigliata, ben articolata e veritiera, ma sono certa della sua importanza quanto al
tuo futuro, per averti fatto ripensare agl’ideali libertari da cui era stata segnata la tua giovinezza, al viaggio
in Olanda in autostop alla volta dell’Holland Pop Festival, con il Tractatus Teologico Politicus di Spinoza
sottobraccio. Fu, insomma, la fonte per ricucire con un passato che si stava allontanando sempre più,
come colpito da rimozione, e per riappropriarsi del suo sapore di libertà e di un edenico desiderio di giustizia.
Quel libro fece sicuramente sgorgare le energie che dovevano mettere a segno la grande svolta
artistica successiva: quella delle pitture anamorfiche, del tuo primo video, Sol Lapis Philosophorum, e
delle opere lenticolari. I temi della rappresentazione, della visione, e dell’occhio diventeranno da ora il
soggetto prediletto per i tuoi racconti visionari.
Nell’epigrafe del libro si leggono queste parole anticipatrici di Rainer Maria Rilke: Dunque nessun autocontrollo,
nessuna autolimitazione per raggiungere determinati fini, ma un libero lasciarsi andare senza
preoccupazioni (...) Nessuna prudenza, ma una saggia cecità(...) Nessuna conquista di beni certi che
lentamente si accumulino, ma una continua dissipazione di tutti i beni perituri (…) Questo modo di essere
ha qualcosa d’ingenuo e istintivo e assomiglia a quel periodo d’inconsapevolezza che soprattutto si
distingue per una confidenza gioiosa, l’infanzia.
FV ■ La riappropriazione del corpo magico ricercato dai poeti o del corpo adamantino del misticismo
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orientale era importante per certi ambienti della mia generazione, aperti alle alterazioni del sentire e del
comprendere, come da sempre lo sono l’arte e la poesia, e anche ad alcune esperienze psicotropiche,
soprattutto se guidate da medici e sciamani. Era una generazione di avanguardia, la mia, senza padroni,
politicamente libera, come quella dei viaggi in India di Herman Hesse. Aderivamo anarchicamente
al principio del piacere e al rifiuto del dualismo anima-corpo e attraverso la conoscenza delle filosofie
orientali, cercavamo di spezzare le catene della tradizione filosofica occidentale. Eravamo, in una parola,
alla ricerca di quella felicità che era ormai percepita come un diritto. Era questo bagaglio di libertà
politica, culturale e sociale che sentivo vilipeso dalle Istituzioni della Svizzera italiana – in genere molto
emancipate – ma non in quel momento. Per questo scrissi di getto quel libretto, nel 2004, per la casa
editrice Derive e Approdi.
GDC ■ Subito dopo, intorno al 2006, inizia per te un’importante stagione pittorica. Non fai più ricorso
a un corrected ready made, ricoprendo di pittura un fondo preesistente, ma interpreti il tema in molti
modi diversi. Per primo quello dei Fiori. Fabio Sargentini scrive: C’è un soggetto in pittura più abusato
dei fiori? (...) Ebbene Fosco, per nulla intimidito da alcuni illustri precedenti, è andato avanti per la sua
strada contando soprattutto sull’originalità del colore. Lui è un colorista nato. La tache è la tecnica pittorica
di cui Fosco è maestro. Egli non la usa in modo anarchico e casuale, come certa pittura informale
degli anni cinquanta detta appunto tachiste, bensì sapientemente la convoglia sulla silhouette dei fiori.
Il rapporto tra il fondo monocromatico, sia esso viola o verde o blu, e questi fiori filiformi e maculati, gambi
corolle foglie, non potrebbe essere più gradevole. Il pregio è che non sai mai se ti trovi davanti a una
natura morta o a un paesaggio. Con il consueto acume, Sargentini coglie un aspetto fondamentale di
queste opere, quello di aperto scenario e di “visione” che i tuoi fiori suggeriscono, tanto da legittimare un
accostamento con l’idea di “paesaggio”.
In un testo del 2012, pubblicato sulla rivista svizzera Soglitter the Luxury Lifestyle io scrivo invece:
è come se un principio di chiaroveggenza facesse per la prima volta la sua apparizione attraverso
le intermittenze prodotte dalle macchie che nel loro pulsare interrompono il limpido disegno di
sagome di fiori, oggetti, figure umane dando luogo a una nuova forma di consapevolezza: quella
di un corpo che partecipa delle improvvise aperture dell’essere e di una psiche in sintonia con
una condizione di totale immersione nell’immaginario. Il carattere della visione è, infatti, quella di
un paesaggio mentale, irreale, dove corpo e anima si fondono lasciando che anche il sentimento
interno sia percepito. La freschezza e la libertà dell’insieme sono favorite dalla tecnica a inchiostro
e acquerello su carta intelata, che delinea in modo cristallino i contorni, scandendo ogni nervatura
di foglie e fiori. E la posizione delle figure, colte in un sospeso movimento di crescita, di cui nelle
vibrazioni del fondale sembra poter avvertire il fruscio e il sommovimento interno, conferma e avvalora
questa sensazione.
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FV ■ Sì, quei fiori giganteschi che spuntavano da un fondo di colori fluidi e trasparentissimi volevano
essere una visione da sogno, un paesaggio ai limiti della realtà. Le macchie si sovrapponevano come se
quei fogli avessero più superfici. Si poteva passare attraverso quei fiori abnormi come nelle illustrazioni
favolistiche. Gli inchiostri erano bellissimi quando si fissavano sui fogli di carta monolucida, usata in genere
come carta da pacchi che assorbiva l’inchiostro muovendolo. Una parte del lavoro avveniva grazie
alla capacità della carta di modificare automaticamente il miscuglio dei colori, e una parte altrettanto
importante era nell’uso del pennino, quello antico da immergere nell’inchiostro per marcare il disegno
dei fiori, che veniva quasi occultato dalle macchie assorbite. Con uno spruzzino da acqua umidificavo il
foglio sulle tracce del disegno, di modo che la realizzazione del disegno con l’inchiostro fosse rapidissima
e senza staccare quasi mai il pennino dal foglio. Era questo che creava nervature che s’inserivano
tra le altre macchie e davano quel segno fresco e nitido, per far sorridere gli occhi, quando si rialzavano
dopo l’immersione – anima e corpo – negli inchiostri, nella carta, nel pennino che scorreva sulle gocce
d’acqua. Fare dei fiori in quegli anni era un gesto in controtendenza. Il tema era tra i più detestati dal
mercato, dai galleristi, dai critici. La morale antica dell’arte che mi avevano insegnato i maestri pareva
sparita dal mondo insieme alla verità. Purtroppo nella storia delle immagini aveva vinto il falso. Questo
pensavo nel 2006, quando il mondo dell’arte aveva iniziato a riempirsi di bluff, di usurpatori e di piccoli
tiranni in tutti i settori chiave del sistema.
GDC ■ Forse, però, c’è anche dell’altro. I frutti e le foglie percepiscono una rivolta utopica – dice Stefano
in Filosofia esistenziale della canapa indiana – l’idea aerea vegetale, la conquista della leggerezza dell’immaginazione
vegetale. E Mario aggiunge: Nella natura le piante, come l’uomo e come il sesso, vanno
contro la forza di gravità terrestre con un atto verticale, aereo, sospeso. La nostra rivolta dev’essere la
rivolta della natura. E Francesco di rimando: La prossima rivoluzione non sarà quella cibernetica. Sarà
una rivoluzione vegetale (…) la rivoluzione della forza del bocciolo, dello slancio vegetale. Dell’immagine
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primaria che crea tutte le altre immagini, della vita mitica senza subalterni, dell’albero del fumo. Al limite
tra il movimento immateriale e il movimento vivo. Dunque fare dei fiori, dopo quanto stava avvenendo in
Ticino, era proprio un evocare quella “rivoluzione vegetale” che da ragazzo, insieme ai tuoi amici, avevi
sognato e che, perentoriamente, veniva ora calpestata a norma di legge. Sul margine superiore di uno
dei dipinti che fanno parte di questa serie, Fiori 9 (2007), s’intravvedono le gambe di una poltroncina.
Questo ci aiuta a capire che la visione di fiori e di piante dal sentore di aperto, si svolge, invece, nel
chiuso di una stanza dove, a occhi spalancati, il tuo sguardo ne va cogliendo tutto il potere incantatorio.
La serie Chair, a seguire, dipinta con la stessa tecnica, come ti fossi spostato solo di qualche spanna,
si svolge all’interno della stanza con i suoi oggetti – sedie e poltroncine vuote, finto settecento che evocano
la presenza-assenza dell’uomo – qualche lampada, caffettiera o cestino di frutta caravaggesco
che allude, nell’insieme, al tema della natura morta. La presenza viva e inquietante dei Fiori li aveva, per
un momento, fatti tralasciare. Il mio testo proseguiva così: In un paesaggio indefinito in cui il fuori della
natura scambia le parti con il dentro di una stanza, dove ogni cosa scivola e svanisce come attraverso
un’invisibile cerniera messa in moto dal battito delle nostre palpebre, tutto evoca la paradossale natura
dell’arte, verosimile artificio, in un mondo di coerente incoerenza, fatto per adescarci e trattenerci in estatica,
puerile contemplazione. “Io dico che bisogna essere veggente (…) mediante un lungo, immenso e
ragionato sregolamento di tutti i sensi” scriveva Rimbaud nella sua “Lettera del Veggente”.
FV ■ Provai la tecnica, che ormai avevo sperimentato, anche su nature morte di oggetti per creare un
ambiente indefinito. Essa rispondeva, in effetti, in modo sorprendente al tentativo di determinare uno
“sregolamento di sensi”. Era in realtà un artificio, un espediente. In questi dipinti adottavo a volte anche
un pennello sottilissimo, usato in genere per la grafica e la scrittura. L’accostamento di oggetti per l’uso
dell’uomo, a sedie e poltrone vuote, creava associazioni indefinite e intriganti, a volte le lampade dovevano
illuminare gli oggetti, ma per far questo il fondo macchiato doveva essere mosso con pennellate
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pittoriche, di modo che la fonte luminosa piovesse in uno spazio raccolto facendo lo stesso effetto della
luce in una stanza. Quest’altro modo di dipingere, utilizzando altro inchiostro con il pennello sulle macchie
permetteva la loro evanescenza, rendendo la visione sempre più irreale.
GDC ■ Di questa sequenza di opere del 2007 fa parte anche un gruppo di dipinti dal titolo Oggetti 5
che ha come sfondo tematico Pinocchio. Il dipinto esibisce una stanza arredata con sedie Breuer, da
ufficio, dove un ventilatore sconvolge con il suo soffio metallico ogni stabile appoggio e sovverte la progressione
dei giorni impressa sui fogli del calendario, interrompendo la successione obbligata. Poi lo
sguardo cade su altalene, sgabelli, dondoli da giardino che alludono ad attività ricreative infantili, come
un giocattolo a molla, con un piccolo gufo di legno. Una sorta di retour au berceau, che suona come un
ritorno a se stessi, alla propria vita interiore e immaginativa.
FV ■ Quelle sequenze dovevano essere il più possibile senza senso. Cercavo, in quel momento un
senso nascosto, una nominazione segreta da scoprire nel non senso. Che nome potevano avere quegli
oggetti comuni, a volte banali nella pittura che chiamiamo sedie, poltrone, sgabelli, giocattoli quando
vengono sovrapposti, incastrati, modificati rispetto alla loro funzione? Gli oggetti, i giocattoli per bambini,
le marionette sono forme che ricorrono nella mia mente. Mi affascinano quelli a molla che spuntano
all’improvviso che a volte sono uccelli, altalene, dondoli. Ricordo che volevo realizzare una serie di
giocattoli tridimensionali, delle sculture fatte con oggetti di scarto per utilizzarli come marionette in un
video, oppure per installarli a parete come sculture per il gioco, sculture giocattolo. Forse lo farò in futuro.
Mi limitai a disegnare e a dipingere oggetti estraniati dal loro uso e possibilmente anche senza significato,
oggetti senza nome, disegnati come se fossero oggetti di scarto. Ecco quei disegni erano anche
progetti per una serie di giocattoli reinventati con materiali di recupero, la parola stessa rimanda all’idea
di recupero dell’infanzia e dei giochi perduti.
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GDC ■ Forse cercavi semplicemente di “rinominare” le cose del mondo come fa il poeta e secondo
me – e non solo, dato il successo di quei lavori – ci riuscisti perfettamente. Il ciclo si chiude con alcune
enigmatiche Figure astratte, dove compare un misterioso fanciullo in pose distratte o meditative attorno
al quale, come un sottile sciame, girano volute di dripping leggero.
FV ■ Fondamentalmente quella pittura era inconscia. Anche da adulto io non ho mai dimenticato, ad ogni
modo, la capacità straordinaria del bambino di reinventare a modo proprio la realtà, destinandola a un altro
compito secondo la sua fantasia e “rinominando” per conseguenza, le cose incontrate nel mondo, esattamente
come le scopre e utilizza il poeta. Era anche il mio gioco preferito nell’adolescenza, un tuffarmi in una
magnifica libertà esistenziale estetica e onnipotente. Forse le pose a cui alludi, distratte e meditative di quel
fanciullo, stanno a rivelare o a indagare il suo amore per le cose del mondo o per gli oggetti a esso estranei,
quell’inventare segni, forme, combinazioni come giocattoli, per fare la pace e non la guerra con la realtà del
mondo. In quella figura di ragazzo spoglia nel suo abbigliamento essenziale, c’è forse anche un bisogno
di affermare che il recupero del corpo che avevamo nell’infanzia è la cosa più importante nella nostra vita.
GDC ■ Restai molto sorpresa quando vidi le foto dove, dotato di matita, squadra e compasso come un
maestro del Rinascimento, sei intento a disegnare figure della classicità con il metodo dell’anamorfosi,
piegato su grandi fogli da disegno su cui poggiano cilindri, coni e sfere specchianti. Un’altra sterzata, anzi
un testa-coda a 180 gradi, dopo la fase, che abbiamo appena citato, di una pittura complessa, ma aperta
all’aleatorietà del caso. Come rovesciando un cannocchiale verso il passato, da quel momento ti dirigi allo
studio delle leggi ottiche, della rappresentazione prospettica e delle apparecchiature del sistema visivo.
FV ■ Cominciavo a sentire che “il principio del piacere” doveva confrontarsi con la realtà del fare, anche
sotto il profilo di nuovi mezzi. Parlando con Fabio Sargentini, proprio nel periodo in cui dipingevo i Fiori si
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cominciò a discorrere dell’anamorfosi. Sargentini aveva infatti intravisto un’analogia fra i miei fiori distorti e
l’anamorfosi. A Roma esistono forse le più grandi anamorfosi mai dipinte al mondo, gli affreschi conservati
a Trinità dei Monti nel Convento dei Frati Minimi. Nel 1639 arrivò a Roma Jean-François Niceron che
apparteneva all’ordine dei Frati Minimi, fondato da San Francesco di Paola, il quale era stato chiamato in
Francia da Luigi XI e vi era restato sino alla morte. Niceron era in contatto con i filosofi e gli scienziati di tutta
Europa, tra i quali soprattutto Cartesio, che insieme ai teologi che si occupavano di prospettiva, riteneva
che la vista fosse il “senso supremo”, quello che permette di discernere la verità dalla falsità. E Niceron ha
lasciato a Trinità dei Monti l’affresco dove San Giovanni Evangelista è ritratto mentre scrive l’Apocalisse.
Proprio grazie all’utilizzo del metodo anamorfico essa diviene davvero un momento di disvelamento, come
la parola greca apocalypsis (rivelazione), indica. Attraverso l’espediente di una proiezione distorta, l’immagine
resta, infatti, avvolta nel suo bozzolo e si mostra soltanto quando si trovi il punto da cui guardarla.
Il corpo dell’Evangelista appare alla prima occhiata come un esteso paesaggio con tante piccole scene – gli
episodi dell’Apocalisse – sino a quando non si manifesta nella sua interezza. Fu così che l’insieme di questi
collegamenti e sollecitazioni mi fecero immergere al più presto nella sperimentazione degli studi sull’ottica.
GDC ■ Eri consapevole del fatto che l’anamorfosi era stata adottata ormai, sia nel cinema che nella pubblicità?
Ossia, che ti si offriva un naturale passaggio dalle immagini esplicite della pubblicità, che avevi
adottato in precedenza, a un modo di salvaguardare l’enigmaticità dell’immagine e del suo significato,
proprio grazie a questo metodo?
FV ■ Avevo letto con interesse in anni precedenti il saggio di Jurgis Baltrušaitis sulle anamorfosi, Thaumaturgus
opticus. Al tempo stesso ero attratto dall’uso delle ottiche nella pittura del Cinquecento e del
Seicento. Era uscito da poco anche il saggio di David Hockney: Il segreto svelato. Tecniche e capolavori
dei maestri antichi. E certo avevo indagato anche l’uso delle tecniche anamorfiche nel cinema e nella
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persuasione pubblicitaria. Mi chiedevo come attuare un passaggio verso l’enigmaticità dei significati delle
immagini e al tempo stesso come ripensare in forma immaginativa il presente, alla luce dell’uso dell’ottica
nella pittura dei secoli che sono all’origine della modernità, sia nel pensiero che nell’immagine. E tutto questo
s’incrociava anche con i miei interessi filosofici in merito a Spinoza. Poi, con altri aspetti, ad esempio
quelli della fisica quantistica che hanno similitudini o si ritrovano nelle intuizioni del pensiero Zen e Taoista.
Ero attratto da un’idea, ripensare la modernità risalendo alle sue origini nel pensiero scientifico e nelle
tecnologie che allora viaggiavano allineate verso un unico obiettivo. Sono nati così quei quadri e quelle
immagini di statue con la prospettiva anamorfica estremizzata sino a rendere mostruose, deformandole, le
forme che avrei poi portato alla Biennale del 2011, dove ero stato invitato sulla base del concorso per gli
artisti italiani residenti all’estero. Usai, per quei dipinti, colori e pastelli a olio. Dipingevo a volte con i pennelli,
a volte con le dita bagnate nell’olio di lino e in un diluente, in modo da sfumare i colori. Per realizzare
l’orizzonte e il fondo utilizzavo le dita, coperte con dei guanti di gomma, adatti ad amalgamare la luminosità
dei colori con il blu, il verde, il giallo, il rosso, le terre, i bianchi e i grigi con alcune sfumature di nero. Alla
fine ne emergevano quelle immagini distorte, paurose e indecifrabili che, se viste da un certo punto dello
spazio o riflesse attraverso i giusti accorgimenti, si ricompongono, si rettificano sino a svelare delle figure a
prima vista non percepibili. In fondo il tempo storico che stiamo vivendo è anche questo.
GDC ■ Cosa intendi, esattamente, a proposito di questo nostro momento storico
FV ■ Penso ad esempio al modo mostruoso in cui è stato distorto il passaggio, tramite sublimazione,
dagli istinti originari a quelli dell’uomo civile che stiamo vivendo dalla fine degli anni ottanta del secolo
scorso. Alla distorsione che ha tolto magia al corpo umano, decretando la vittoria dell’istinto di morte.
Nelle società occidentali sono state esaltate, in questi anni, alcune delle peggiori caratteristiche umane,
l’amore per il denaro e la ricchezza, in quanto possesso e non in quanto mezzo. Forse nella storia è
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sempre successo e vorrei, dunque, sbagliarmi, ma spero che come umanità, riusciamo a liberarci da
molti di questi pseudo principi morali.
GDC ■ Ho ben presente quei quadri dove lo spazio, scandito da un orizzonte, nella parte che dovrebbe
essere riservata alla terra, mostra delle figurine avvitate su se stesse, come sferzate da una corda che
le fa turbinare come trottole. Costrette in atroci avvolgimenti e in improbabili voli che le catapultano nello
spazio, esse vedono volare sopra di se le enfatiche, bianche entità di marmo che galleggiano nel vuoto.
Furono mai esposte in quella Biennale, o altrove, insieme agli strumenti che erano serviti a fabbricarle?
FV ■ I quadri della Biennale, dedicata anche agli artisti residenti all’estero con la collaborazione dell’Istituto
Italiano di Zurigo, furono esposti in un luogo mitico: la casa storica dove visse Ulrico Zwingli, celebre
teologo fondatore della Chiesa riformata svizzera. Queste coincidenze mi appaiono, ancora oggi, magiche.
Zwingli fu anche uno dei fautori della tremenda furia iconoclasta che diede al rogo tutti i quadri delle
chiese. Fra questi, purtroppo, anche molte opere del Rinascimento svizzero. Capitò, insomma, ai quadri
visionari di un pittore romano, di essere esposti nella casa in cui si incontravano grandi teologi, filosofi e
mistici della riforma protestante. Passò di lì, forse, lo stesso Lutero. Ho coltivato, in me la speranza, che
quelle stanze avessero potuto esser visitate anche da uno dei filosofi mistici che più mi hanno affascinato
e che da sempre ammiro: Jacob Böhme, che Lutero definiva “il folle visionario”. Fu un onore insperato
quello che le mie opere fossero ospitate nella casa di Zwingli. Gli strumenti ottici inventati per il disegno,
la pittura, e gli altri oggetti, adottati per la realizzazione di quei quadri, invece, non furono mai esposti,
neanche in occasione di quella Biennale di Venezia.
GDC ■ Quasi contemporaneamente a questo ciclo delle Statue nel 2011 nasce il tuo primo video: Sol
Lapis Philosophorum. Un tema dichiaratamente alchemico, che allude al sole degli alchimisti, ovvero
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alla Pietra Filosofale (Lapis) che tu hai usato, anche questa volta, in una chiave del tutto particolare.
Il video di animazione, accompagnato dal concerto in Re per violino e orchestra di Stravinsky eseguito
da Cho-Liang Lin insieme all’orchestra della Los Angeles Philharmonic, per circa quattro minuti, mostra
ogni secondo un disegno fatto a matita – in sintonia con il tema del lapis –, che come dicevi è uno strumento
artistico essenziale. Quei circa duemila disegni in bianco e nero, in una specie di danza smisurata
presentano il ritorno ai primordi di un fanciullo dell’età arcaica – un’allusione al puer aeternus? – che,
disteso nel sonno, protendendosi a dismisura con le gambe e le braccia, si libera dai vincoli terreni e
esce dall’orbita terrestre proiettandosi nel cosmo. Sfilano così, davanti a noi, figure e immagini della
storia e del mito insieme a opere d’arte di tutti i tempi, come in un infinito attraversamento. Alla fine,
due bulbi oculari, branditi dal giovinetto, vengono precipitati nel mare, dove ogni visione ritorna, come
nell’inconscio, sommersa e segreta. La trasformazione degli elementi avviene in questo caso, tramite
una sorta di corpo astrale, di doppio, che si estende attraverso tutti i tempi storici sino ad annullarne le
scansioni e a unificarle, come negli stati di chiaroveggenza, entrando così nelle orbite eterne del cosmo
e nella sua fluida, infinita energia.
FV ■ Come hai intuito, nel video si attua, infatti, la metamorfosi del fanciullo. Avevo affidato ai disegni di
quel video la tautologia ironica e automatica della matita – il lapis – attribuendo allo strumento e alle mani
un potere e una capacità magica. Un lapis e una gomma per cancellare furono i mezzi primari e unici
per creare quel video, intesi anche come i materiali più elementari per realizzare qualsiasi attività artistica.
La stessa cosa avveniva con la tecnica del montaggio. Eliminai qualsiasi aspetto sofisticato e davvero
tecnologico. Importai tramite scanner, i quasi duemila disegni, servendomi di un espediente di cruda
appropriazione. Poi, quando incontrai, per caso, Lukas Klopfenstein, giovanissimo studente di animazione
cinematografica e video, con cui realizzai il montaggio nelle aule, messe a disposizione a costo
zero dagli studenti della scuola tecnica universitaria di Lugano (SUPSI) avvenne nuovamente qualcosa
d’incredibile. Lukas si meravigliò, realizzato il montaggio, quando inserimmo il pezzo di Stravinsky – un
esperimento di musica anamorfica – perché il brano musicale scelto senza premeditazione, aveva esattamente
la stessa durata del nostro video montato. L’aver trovato Lukas, ancora studente e alle prime
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armi nel montaggio, fu una coincidenza e un’intuizione speciale di cui ancora mi rallegro. Nel 2018, il suo
team appartenente a un importante studio di animazione canadese ha ottenuto l’Oscar per le animazioni
del film Blade Runner 2049. Quel piccolo video, dunque, allestito con nulla è diventato storicamente
importante, secondo vie magiche e misteriose. Forse perché aveva davvero voglia di nascere.
GDC ■ In quel proficuo 2011, sono nati, proprio dal video, i tuoi primi lenticolari dallo stesso titolo, Sol
Lapis Philosophorum. Più figure – come avverrà anche nei cicli successivi – sono riunite insieme in un
unico pannello producendo uno spostamento simile a un battito di ciglia, che determina un aggiustamento
della visione, creata, ancora una volta, attraverso il movimento anamorfico. Il colore trasparente e
uniforme del fondo qui è un verde insolito – può far pensare al liquido amniotico – mentre le figurine hanno
contorni luminosi di differenti colori. L’impressione di assistere a una danza cosmica fuori dalla legge di
gravità aveva già avuto inizio nelle movenze del video, ma ora comincia a diventare sempre più evidente.
FV ■ Tra il 2011 e il 2012 entrai, in effetti, in un’altra dimensione dei miei sensi che mi accompagna tuttora.
Uno stato di fiduciosa aspettativa di quello che appare, si muove e parla dentro di me come da una profondità
a cui attingere continuamente. Non è stata semplice la sperimentazione, quando decisi di usare i
pannelli lenticolari per i miei disegni. Il pannello tecnologico, non fa l’opera, è soltanto un mezzo, ma sono
necessari parecchi accorgimenti per farlo funzionare. Nel mio caso, era importante fare in modo che quei
pannelli facessero risaltare il cambiamento dell’immagine secondo le diverse prospettive anamorfiche del
disegno: prospettive centrali, parallele, prospettive oblique, angolari, verticali o orizzontali. Inoltre dovevo
essere in grado di fare apparire e scomparire i volumi dei cerchi e dei cilindri, spostando appena lo sguardo,
in un batter d’occhio. Cambiando il punto di vista anche un’altra prospettiva si metteva in azione. Questo
implicava ancora un altro aspetto che riguardava il livello comunicativo dell’oggetto da realizzare, sia esoterico
che essoterico, ossia il messaggio intrinseco che per cambiare prospettiva si dovevano armonizzare i
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diversi punti di vista. Il titolo restava lo stesso Sol Lapis Philosophorum. Presi contatto con diversi laboratori,
ma nessuno voleva realizzare dei lenticolari con disegni a linee sottili come i miei. Mi dicevano che non
potevano funzionare e che avrei dovuto usare la fotografia, non i disegni, sconsigliandomi in tutti i modi.
Quando finalmente trovai chi era disposto a produrli, mi concentrai sul gioco dei colori nei movimenti
delle prospettive dei vari nuclei disegnati e sulle prove dei loro movimenti, rispetto ai colori del fondo.
Se i fondi erano bianchi, chiari o pastello, le immagini potevano sparire e confondersi nel colore base del
pannello, come dentro una sorta di liquido amniotico – proprio come dicevi – perché era esattamente
l’effetto che volevo ottenere. Nei pochi mesi di sperimentazione, trovata la formula, anche il prototipo fu
pronto per essere stampato. Appena eseguita la prima stampa ci accorgemmo dell’armonia, del piroettare
danzante delle immagini e del senso cosmico di quelle prospettive in diversi colori, immerse nelle
trasparenze dei colori di fondo. Restammo attoniti dinanzi all’effetto ottico realizzato con quelle immagini
sottili, come davanti a un evanescente pensiero visivo infuso d’astri.
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GDC ■ A questo punto, i cicli del tuo lavoro cominciano a susseguirsi con cadenze ravvicinate e con
grande concatenazione d’intenti. Nel 2012, è la volta de Il Sogno di Keplero, dove l’atmosfera in cui
galleggiano i tuoi disegni, ispirati al Somnium – l’operina a carattere divulgativo del grande scienziato –
si fa sempre più rarefatta. I colori evanescenti, che sfumano dal grigio al rosa, dall’azzurro al bianco, in
accordo con l’idea del viaggio cosmico, avvolgono ora le immagini, facendole trapelare e poi svanire
attraverso una luce gassosa. In questo modo i disegni non si muovono più a scatto dentro la superficie
trasparente, ma sembrano evaporare nell’aria. La tua immaginazione, d’altra parte, è sempre più
orientata verso la fusione fra arte, scienza e magia, che aveva illuminato grandi secoli del passato e,
in particolare, la corte di Rodolfo II a Praga, presso la quale operava Keplero. Nel Somnium, che è già
quasi un racconto di fantascienza, Keplero aveva inventato un favoloso espediente per descrivere la
posizione dei pianeti nella visione eliocentrica di Copernico a cui aveva aderito, convinto che per un
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lettore comune il suo Astronomia Nova (1609) fosse troppo complesso; ipotizzava di salire sulla Luna
cavalcando il cono d’ombra proiettato dalla Terra durante un’eclisse lunare e di ritornare poi sulla Terra
scivolando lungo la sua ombra durante un’eclisse di Sole. Ma per quanto clandestino, il libretto fu scovato
e Keplero in una posizione troppo elevata, come matematico e astronomo imperiale, per essere
colpito direttamente, si troverà, allora, a difendere la madre, accusata di stregoneria dalla chiesa protestante
in un processo che durerà sei anni. La riflessione sul Sole, pietra dei filosofi, che avevi iniziato
nell’anno precedente, trova, così, nel viaggio immaginario de Il Sogno di Keplero, un’occasione ulteriore
per essere approfondita.
FV ■ Il Somnium di Keplero mi affascinò come una sorta di apocalisse della Scienza Astronomica, in
senso psicoanalitico. Un’inversione, un rivolgimento. Quel libretto considerato come il primo testo di
fantascienza faceva emergere l’importanza dell’espressione artistica e immaginativa nella scienza e nella
vita umana. Volevo, allora, indicare una funzione apocalittica, profetica dell’arte nella metamorfosi del
pensiero. Era necessario, a questo punto, cercare di dar forma, nella tecnologia di quei pannelli lenticolari,
a “un’apocalissi di Keplero”, dopo tutte quelle di Abramo, Mosé, Paolo, Pietro e Giovanni.
Mi ero accorto che con dei disegni vuoti e sottilissimi stampati sulle scalanature verticali del pannello
si poteva creare un effetto ottico di evaporazione, specialmente con immagini lineari su un
fondo unitario e trasparente, così raffigurai delle figure vuote, come un disegno trasparente su vetro.
Le tratteggiai anche su plastica trasparente, per capire come potevano risultare le sovrapposizioni e il
dileguarsi evanescente di immagini sognanti sul pannello a scalanature verticali, cercando, al tempo
stesso, di forzare i limiti di quella tecnologia, senza dimenticare la riflessione sul sole, sui cambiamenti
di posizione delle costellazioni e sulle continue trasformazioni dell’universo, giocando a sviluppare
una linea di disegni eterei su quel supporto tecnologico, sino a trovare, se possibile, l’apocalisse
stessa di quel materiale.
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GDC ■ Nel loro insieme i lenticolari hanno un effetto galvanizzante, una sorprendente magia, ma osservare
da vicino, ad uno ad uno, i tuoi disegni è un’esperienza irrinunciabile, anche per la quantità di temi
– come fossero estratti da diversi, arcaici inventari – che hai intrecciato al loro interno.
FV ■ Si trattava di una forma automatica di disegno, dove sperimentavo una grande concentrazione
stando quasi a occhi chiusi per far emergere le figure dall’inconscio con le loro simbologie. Cercavo
d’integrare corpo e pensiero senza gerarchie di sensi, abolendo il dominio del cervello, affidandomi alle
dita, al tatto, con il loro prolungamento nella matita. Poi rivedevo i disegni su piccoli cilindri di plastica
specchiante e li ridisegnavo. Cercavo, in questa fase, le ombre di quelle figure con la tecnica di un
gioco dei bambini. Ritagliavo a filo i disegni con le forbici, poi con un nastro isolante li mettevo in piedi
a tre dimensioni su un foglio di carta e ricalcavo l’ombra prodotta dalla luce che proveniva dalla finestra.
GDC ■ Uno degli aspetti più curiosi e interessanti di questi disegni è, infatti, proprio l’ombra che ogni
personaggio sembra portarsi dietro come una membrana avvolgente che si dilata, ma che non può
staccarsi da lui. Nel 2012 è nato anche il tuo video sul tema dello Zodiaco. La luce lattea dei segni,
perfettamente visibili, sfonda su un intenso cielo notturno, zeppo di stelle. Sin qui nulla di stravagante, al
di là del piacere che questa vista affascinante rinnova, come stando sotto a un Planetario. I segni però
sono tredici e non dodici come quelli di tutti gli zodiaci rappresentati sino ad oggi. Perché?
FV ■ È stata un’altra apocalisse, questa volta astrologica. In quell’occasione, presi spunto da un esperimento
degli astronomi della NASA. Dopo duemila anni essi avevano realizzato una nuova mappa del
cielo che in base al calcolo dello spostamento dell’asse terrestre, aveva fatto spazio a una nuova costellazione,
quella dell’Ofiuco. Un fatto, in grado d’influenzare anche la nostra vita sulla terra attraverso una
nuova suddivisione dei segni astrologici. Inserii quindi il segno dell’Ofiuco o Serpentario (colui che porta il
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serpente, in latino ophiuchus) tra gli altri 12 segni zodiacali. Il segno codificato da quella nuova classificazione
rappresenta colui che domina il serpente. È in realtà, una costellazione antichissima, menzionata
già da Tolomeo insieme alle 48 costellazioni originarie. Con la nuova configurazione, le costellazioni – tra
cui quelle considerate moderne – divenivano 88. L’Ophiuchus che si inseriva tra le costellazioni originarie
chiamato Nulla succede per la prima volta. Nel titolo mi pare di poter riconoscere un brusco richiamo
alla terra, rispetto al volo dello spirito in un’altra dimensione e un’allusione all’eterno ripetersi della
storia dell’uomo e, forse, al mitico tema sacrificale di Dioniso Zagreo, da cui anche le figure di Orfeo
e del Cristo hanno avuto origine.
dal 29 novembre al 17 dicembre, facendo slittare tutti gli altri segni di un mese, era proprio quella che
si avvicinava di più alla Terra, nell’espansione della Via Lattea. Dunque, come dicevo, proprio un’apocalisse
astrologica. Per me inserire nello Zodiaco l’Ofiuco, diveniva un messaggio profetico di metamorfosi
o cambiamento della vita sulla Terra.
FV ■ Quella scultura vivisezionata resta per me un’immagine inconscia, un archetipo. Qualcosa che
fa parte della realtà umana e che si ripete nella storia. Ed è come il presagio di una caduta della storia
progressiva o, se si vuole, di un’entropia che riguarda la teoria di fine della storia nel sistema consumistico,
dove ogni corpo è divenuto oggetto di consumo. Forse sentivo il bisogno di ritornare ai
GDC ■ “Misuravo i cieli, ora fisso le ombre della terra. La mente era nella volta celeste, ora il corpo
giace nell’oscurità”, pensai a questa frase scritta sulla tomba di Giovanni Keplero, quando vidi la
nuova installazione che stavi preparando dove il tuo corpo atrocemente dilaniato, era riprodotto con
una cruda verosimiglianza fin nelle proprie viscere, come su un tavolo anatomico. Quel calco in resina
con tutti gli organi interni, progettato contemporaneamente a Il Sogno di Keplero nel 2012, lo hai
miti costitutivi per ricominciare. Non sapevo quello che potevo scatenare negli spettatori, pensai alla
descrizione di eventi psicoanalitici tramandati nell’inconscio che si ripetono nella storia cui accennava
Norman O. Brown, e scelsi quel titolo. Bisognava secondo me ripensare all’illusione dell’eterno ritorno
dell’uguale di Nietzsche, di Zenone, di Eraclito – da tutte le cose l’uno, dall’uno tutte le cose; comune
è nel cerchio il principio e la fine – da cui deriva l’idea che quando gli astri assumeranno la posizione
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FV ■ Gli oggetti e le sculture che citi sono come pensieri colti all’instante, ma dopo una decisione deliberata,
pensando all’unità dei contrari – una coniunctio oppositorum – nelle sculture in bronzo, come nel simbolo
fallico fatto di capelli femminili intrecciati, un emblema del potere nell’acconciatura della matriarca delle antiche
società matriarcali. Gratis è una parola latina tra le più universali. In questa scultura luminosa – un ready
made, in effetti – usai i led pubblicitari scorrevoli più comuni e universalmente utilizzati. Ed è evidente la sua
allusione a una differenza con la merce, una volta installata in un contesto artistico, dove l’esperienza è una
sorta di ripetizione del “dono” secondo i riti di scambio praticati nelle società arcaiche, studiati dall’antropologo
Marcel Mauss. I lenticolari Pompeiani e gli Optical dello stesso periodo, sono anch’essi oggetti visivi colti
sulla cresta del tempo. Gli Optical hanno gli stessi colori utilizzati dagli ottici, il verde e il rosso complementari
su cui vengono letti i numeri e i caratteri per misurare le diottrie ottiche. Nei Pompeiani ho tentato un cambio
di paradigma. Gli eroti rappresentavano negli affreschi di Pompei gli schiavi alati, come degli angeli felici di
in cui si trovavano all’inizio nell’Universo, avverrà una grande conflagrazione e il tempo e il mondo cominceranno
un nuovo ciclo. Una palingenesi, una rigenerazione rappresentata con quei pezzi di corpo
in resina, assemblati.
GDC ■ Dopo il punto di non ritorno determinato da Nulla succede per la prima volta, nel 2013 nascono
molte opere nuove con tecniche sempre diverse, spaziando dai lenticolari – Optical, Pompeiani – alla
tecnologia pubblicitaria – GRATIS – alla scultura in bronzo Sesso primario non diviso (maschile e femminile).
Poi, per la prima volta, vi fa la sua apparizione anche il tema del sesso, in una chiave inedita,
collegata con quello della vista e dell’occhio.
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rallegrare la corte dei notabili romani. Era forse proprio quello che essi volevano tramandare ai posteri, con
qualche complesso di colpa. In realtà gli schiavi e i servitori dell’epoca credo subissero trattamenti terrificanti.
Nei disegni ho accostato gli schiavi felici degli affreschi a immagini di schiavi appesi, legati e torturati.
GDC ■ Dopo lo scioglimento, la separazione e la corruzione fisica subìta dal tuo corpo – ormai soltanto
una spoglia – in Nulla succede per la prima volta mi sembra che, come un alchimista, tu ti diriga verso la
ricongiunzione degli opposti e di quella percezione preveggente che è sgombra dalle fuorvianti pulsioni
dei sensi. Dopo il solve, dunque, il coagula. I due disegni tracciati a mano su fondo bianco e su fondo
nero – Il Pene ciclopico (2014) – rappresentano la duplicazione del tuo occhio destro al cui interno si
staglia, su fondo specchiante, la sagoma di un fallo che ne sbarra lo sguardo. Tu stesso mi hai raccontato
che nella psicoanalisi junghiana l’aggettivo “ciclopico” si riferisce alla scoperta del sesso da parte
del bambino nella camera dei genitori, quando s’impressiona nel suo occhio – maschio o femmina che
sia – come uno shock, in modo dominante. Al doppio del tuo occhio, hai accompagnato la scultura africana
rituale Matriarcale/Penelope (2014), che dà forma al sesso maschile attraverso un fitto intreccio di
capelli femminili, così da riunificare le due polarità. Un modo per raccontarci il passaggio da uno sguardo
accecato alla realtà, dove maschile e femminile vengono, tuttavia, a coincidere?
FV ■ Nel caso di Matriarcale/Penelope e di Il Pene Ciclopico, come nei racconti della mitologia ho inteso
l’occhio come tutto ciò che s’impressiona nella vista tramite shock, e che ci viene tramandato attraverso
l’apparato della memoria filogenetica. Ho cercato di rappresentare il mistero dell’immaginazione nella
scultura, nella pittura, nel disegno, interpretando gli oggetti come si trovassero in un teatro dell’assurdo o
del paradosso. Intendevo colmare il distacco tra l’opera e l’osservatore per recuperare l’attitudine di una
mentalità primitiva, la partecipazione e il legame tra il percipiente e il percepito, andando a ritrovare per
telepatia, un possibile archetipo comune. Ho tentato così di rappresentare l’unione di soggetto e ogget-
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to, di maschile e femminile, un’unità duale nell’auspicio di intravvedere una rinascita, una ri-generazione
in un mondo dove solo la generazione è conosciuta. Il massimo dell’esperienza in questa nostra vita
sarebbe ritrovarsi nel mondo dopo una seconda nascita, fuori dai limiti che caratterizzano le generazioni.
GDC ■ Per questo, in un clima di sconfinamento o di dissoluzione dei confini, nel 2014 hai ideato anche
il grande lenticolare Il Fumo, composto da ventiquattro pannelli, dove ti sei rappresentato di profilo,
nell’atto di soffiare il fumo su differenti segnali di divieto, in modo da obliterarli?
FV ■ Quello del fumo voleva essere un sogno a occhi aperti e, in questo caso, la mia testa rappresentava
l’ingresso del corpo dentro al supporto lenticolare. Il fumo soffiato dalla bocca fa pensare a un
alito di vento che arriva inaspettato. L’opera era composta da un centinaio di movimenti fotografici del
fumo riprodotti su ventiquattro pannelli lenticolari. Li ho realizzati in diverse dimensioni, per l’esposizione,
inizialmente, ne utilizzai soltanto dodici. Il fumo si muoveva tra le mie due teste di profilo, facendo volar
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via i simboli di divieto. Quando la sua scia in movimento arrivava in prossimità dell’altra testa, questa si
dissolveva per ricomparire poi, lanciando il fumo al contrario, come un’onda dalla destra alla sinistra dei
pannelli. Si trattava anche di un gioco di movimento d’immagini, fatto per esaltare le potenzialità tecniche
ed estetiche di questi supporti tecnologici, creando una magia.
della magnifica Madonna Nera venerata a suo interno – Paracelso è una figura a metà tra la leggenda
e la realtà, per le sue scoperte e le invenzioni nel campo della medicina come la iatrochimica, che è
l’applicazione di sostanze minerali nella cura dei pazienti. In che rapporto poni questa figura con le altre,
per te fondamentali, di Spinoza e di Keplero?
GDC ■ Nel 2016, hai cominciato ad analizzare, sempre più in profondità, anche la figura di Paracelso,
elaborando un ulteriore, importante ciclo di disegni, ispirati alle sue concezioni. Nato alla fine del Quattrocento
in Svizzera a Einsiedeln – celebre per l’abbazia seicentesca sede d’infiniti pellegrinaggi a causa
FV ■ Volevo raccontare simbolicamente, per immagini, tutti quei grandi uomini che hanno subìto un’oppressione
di controllo sul loro libero pensiero. Paracelso, Keplero, Spinoza, ma potevano essercene
tanti altri, come Giordano Bruno, Galileo Galilei, e tutti quei sognatori dialettici che vedono cose che altri
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non vedono. Come un inno alla libertà d’opinione. Paracelso è particolarmente interessante come riformatore
delle professioni mediche e grande sostenitore della magia naturale, che tanto ci manca e che
in questo momento storico potrebbe indicarci un’evoluzione ecologica molto importante per la sopravvivenza
e il rispetto del pianeta. E sono artisticamente importanti per me le speculazioni apocalittiche di
Paracelso, con quelle figure magiche, inventate per essere realizzate in xilografia – di cui sono stato alla
ricerca in librerie e biblioteche – ciascuna con una propria didascalia: vere e proprie opere d’arte, create
con pionieri della stampa e dell’editoria cinquecentesca, come Heinrich Steiner.
GDC ■ Molti dei disegni del ciclo di Paracelso confluiscono nel 2016 in un video di animazione dove la
proiezione assume un carattere decisamente ammaliante. Si manifesta qui, ancora una volta, la tua propensione
a reinventare la tecnologia riducendola a un’essenzialità che è caratteristica solo dell’espres-
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sione poetica. I disegni sono proiettati su un blocco di fogli formato A4, mentre la tua mano, anch’essa
proiettata, sembra spostare ogni volta i fogli circondati da due ali mercuriali bianche, introducendo il
passaggio al disegno successivo.
FV ■ La proiezione sui fogli A4 nasceva da un’intuizione: filmare le mani che sfogliano i disegni, come
esse fossero il prolungamento in una materia fatta di luce e proiezione, di tutte le mani degli osservatori.
La proiezione è pura illusione, confonde l’occhio, invitando attraverso la finzione a sfogliare i fogli su cui
i disegni sono proiettati. La risma di fogli che funge da schermo alla proiezione è bianca e in quel momento
avviene lo spaesamento tra l’occhio e le mani proiettate.
GDC ■ Sono stati concepiti nel 2016 anche il grande video dedicato a Keplero, in cui confluiscono molti dei
disegni originariamente elaborati per i lenticolari, nonché Giravolta, la scultura in resina – suo corollario – che
ti raffigura sospeso in una capriola cosmica. Il video si stacca, nella concezione, dal precedente Sol lapis
philosophorum. Non rappresenta il lento sviluppo di una storia che si dipana sotto i nostri occhi come una
scrittura, ma l’avvicendarsi di più immagini, in rapide ondate, che si avvicinano e si allontanano a risucchio,
attraendo lo spettatore dentro la visione cosmica. La base musicale, composta insieme a Gaston Dupuy,
assomiglia a un respiro che ripropone l’andirivieni del mare. La tua sagoma sospesa è stata, in seguito,
integrata nello Zodiaco del 2012, benché essa sia chiaramente riferibile al viaggio cosmico di Keplero.
FV ■ Anche la video-scultura Giravolta ha una sua regola magica. Al viaggio sulla luna di Keplero si
aggiunge la scultura autoritratto, che è come un fumetto di me stesso dentro il video dello Zodiaco.
In questa video-scultura, la parte della scultura poteva essere installata in modi diversi, ma la sua nascita
spontanea si è combinata con lo spazio del Mattatoio, quindi la video-scultura è solo una delle infinite
possibilità quantistiche di essere. Qui entrano in campo le probabilità, quella scultura può esistere in un
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punto dello spazio, in modo indeterminato. Lo stesso mutamento di probabilità di esistere in uno spazio
espositivo potrebbe ripresentarsi quando la video-scultura dovesse essere reinstallata.
GDC ■ Nel 2017 hai realizzato un tablet dove i disegni del ciclo di Paracelso si mescolano a quelli del
ciclo di Keplero e di Spinoza. È la tua mano, di nuovo, strisciando sullo schermo, a far apparire, come
per incantesimo, le diverse immagini. E nello stesso anno elabori la prima opera di un nuovo genere:
il dipinto sonoro In the village. Sullo skyline di Lugano, dipinto a olio su tela hai montato un brano estrapolato
dalla celebre serie televisiva di fantascienza, The Prisoner, dove una voce maschile dal forte accento
scozzese dichiara di non essere un numero, ma un uomo libero, esplodendo in una fragorosa risata.
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degli anni ’50/’60, fosse in grado di leggere nella mente degli altri. E a volte succede anche che l’intuizione
preceda la scienza, proprio come nel caso del fantascientifico sogno di Keplero nel Seicento. Oggi la
fisica è in grado di svelarci il segreto della potenza di superman, l’uomo di acciaio e persino il perché della
donna invisibile del fumetto I fantastici quattro che riesce a vedere anche quando è diventata trasparente.
FV ■ In questi lavori fatti con il video-tablet o dipinti su tela come In the village – il cui tema è l’interrogatorio
nella serie televisiva del 1968, The prisoner – ci sono riferimenti ai fumetti di fantascienza che trattano i
sistemi di controllo sociale e l’intuizione circa la possibilità di sfuggire al tempo ed essere al di là del tempo
in uno dei tanti mondi paralleli, come succede nei quark quantistici. Il mescolamento di Politica, Filosofia,
Medicina, Scienza nei miei disegni, credo avvenga in me come un desiderio di esplorare mondi paralleli
dove possono avvenire cose diverse, attraverso una fusione tra le scienze. In fondo la teoria elettromagnetica
può insegnarci e spiegarci persino perché il professor X dei fumetti Americani di fantascienza
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GDC ■ Nel 2018 è stato approvato il progetto della tua antologica a Roma, presso l’ex Mattatoio, uno dei
siti di archeologia industriale più significativi della città, e polo di ricerca e di produzione artistica e culturale
del Comune di Roma, questo ci ha dato la possibilità di analizzare il percorso del tuo lavoro, esponendolo
lungo un’estensione di oltre dieci mila metri quadrati, a partire dai primi dipinti pubblicitari del 1986 sino ai
lavori del 2018. Per l’occasione sono nati alcuni nuovi cicli di lenticolari dedicati a Paracelso e i tre pannelli
Solidi. Onde di probabilità, nonché il video Accomodamenti, in omaggio a Spinoza. Inoltre, abbiamo
potuto realizzare insieme l’edizione d’arte Baruch Spinoza, da te sospirata da tempo, per cui tu hai creato
le ventiquattro tavole disegnate, la copertina, gli incipit e la chiusa – in una tiratura di 200 esemplari – e
io ho curato tutta l’impostazione grafica con i testi in latino a carattere maiuscolo, e il volumetto con i testi
critici e le traduzioni in italiano e inglese. La frase che hai voluto premettere al volume: L’osservatore può
cambiare la posizione dei disegni secondo il proprio modo d’intendere il racconto disegnato, l’hai illustrata
anche tramite il video Accomodamenti, in quanto è un omaggio alle sue teorie.
FV ■ Nel caso del video Accomodamenti, una forma invisibile sposta i disegni. Quella sagoma larvale
suggerisce in potenza quella di tutti gli osservatori. Allo stesso modo Solidi. Onde di probabilità rivela la
possibilità di essere in un punto prospettico diverso dello spazio, ogni volta spostando lo sguardo sui
lenticolari. Osservandoli non sappiamo di preciso dove essi siano, ci spostiamo da un punto di vista a
un altro, ma essi potrebbero essere secondo le probabilità in diversi punti dello spazio visivo. Baruch
Spinoza con la sua ricerca razionalista, scientifica e filosofica, come nello studio del mondo naturale, è un
uomo del futuro. Una sorta di “super eroe”, e volevo celebrare l’uomo di domani in un racconto disegnato.
GDC ■ La mostra ha trovato la sua spina dorsale nel disegno – anche per questo che il libro fosse parte
dell’esposizione era importante – ma anche la mia scelta di presentare i video, nel quadro generale,
intercalati ai dipinti e all’insieme delle installazioni senza soluzione di continuità, consentiva di percepire
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Ho sempre pensato che le arti e la poesia dovessero indicare un uso etico e sentimentale della conoscenza.
Sia per carattere che per formazione, il successo sociale disumanizzante o le scalate di
potere culturale che hanno caratterizzato in maniera palese la fine del secolo scorso, non mi hanno mai
interessato, forse anche per questo il mio lavoro era restato per la maggior parte sconosciuto. Certo
ha contribuito al successo della mostra anche la lettura che tu hai saputo suggerire del mio percorso.
GDC ■ Pensavo, che i temi apocalittici con cui dal 2011, non hai fatto altro che confrontarti, in modi sempre
diversi, stanno trovando, proprio nel corso di questo nostro dialogo, una riprova scottante nella pandemia ancora
in corso. Rileggendo la storia che precede la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel I secolo d. C.
troviamo empietà di ogni genere, guerre, catastrofi, carestie, pestilenze, terremoti, incendi, dissoluzione
la continuità di una narrazione, che pur cambiando registro tecnico ed espressivo trovava la sua unità
nella dimensione metaforica e mentale dello svolgimento di un pensiero complesso e pluridimensionale.
Aggiungeva coesione al delicato snodarsi dei tracciati lineari, percepibili attraverso la luce in sospensione,
il flusso sonoro che da cima a fondo metteva in vibrazione il percorso, mantenendo in tensione l’ambiente.
E direi che la mostra è stata accolta con sorpresa e adesione, sia dai critici che dai visitatori comuni,
nonché dai molti esponenti del tuo vecchio milieu artistico che del tuo lavoro non sapevano più nulla.
FV ■ Per me è stato come uscire da un isolamento ventennale e questo mi ha fatto molto piacere.
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dalla proliferazione di oggetti “d’arte” e di “artisti” della scena globalista e coloniale del sistema dell’arte
contemporanea. La scultura nasce tra il 2011 e il 2012. Ormai era necessario riportare alla vista l’immagine
di un sacrificio, un atto di violenza e di rottura, l’infrazione di un limite per indicare e rivendicare
al tempo stesso, che la cultura e il sacrificio umano sono la stessa cosa. Un atto di rivolta contro il
fantasma culturale proposto dagli specialisti del consumo collettivo delle arti contemporanee, per ribadire
quella conoscenza antichissima costituita dal “sacrificio del poeta”, che si ripete in ogni tempo
della cultura umana. Per tornare alla ribalta della sua stessa storia l’artista, esautorato ed espropriato
del proprio ruolo sociale, deve passare attraverso il sacrificio del suo stesso corpo. Non molti hanno
capito la metafora. Si sono limitati a osservare sorpresi e incuriositi l’effetto visivo di un corpo lacerato.
Per comprenderlo, dovrebbero forse venirci in aiuto le tante interconnessioni tra i corpi, nel misticismo
caratteristico della Natura. Sì, concordo, l’inferno è la quantità contro la qualità, la promiscuità contro
l’individualità, la ripetizione contro la differenza, l’eccesso contro la moderazione, l’abuso contro la legittimità,
il frastuono contro il silenzio. In questi anni nel bagordo dei consumi di cui eravamo ormai sazi, ogni
delle leggi della natura. Sembra che i saggi le chiamassero “le doglie del Messia”. Dunque Nulla succede
per la prima volta, proprio come lascia intendere il titolo della tua opera forse più cruciale? È difficile pensare
cosa si stia preparando, oggi, dopo “la grande abbuffata” degli ultimi trent’anni. L’inferno è la quantità contro
la qualità, la promiscuità contro l’individualità, la ripetizione contro la differenza, l’eccesso contro la moderazione,
l’abuso contro la legittimità, il frastuono contro il silenzio e tanto altro ancora. Tutto questo ce lo lasceremo
alle spalle? Potremo nuovamente difendere i valori dell’umanità, della consapevolezza, della libertà e
della spiritualità? Nel 2011, tu hai parlato con preveggenza di una “fine evolutiva dell’homo oeconomicus” e
del suo “trapasso verso l’homo jucundus”, ma in che misura questo è possibile?
tanto canticchiavo fra me El bandolero stanco di Vecchioni: che se ne va dov’è silenzio, dov’è silenzio,
dove. Adesso – perché nulla, appunto, succede per la prima volta – è sempre tempo di difendere i valori
dell’umanità, della consapevolezza, della libertà, della spiritualità. Non sono sicuro se individualmente, di
fronte al crollo dell’usurpatore, proprio dinanzi ai nostri occhi, saremo capaci, di vivere quella coscienza
che non ha bisogno di una classe dirigente o di un capro espiatorio divino – scrive Norman O. Brown
citando Bataille, Blake, Nietzsche, Spinoza – Il grande inquisitore scommette che i circenses saranno
sufficienti a soddisfare le masse, i Dionisiaci scommettono che il grande inquisitore si sbaglia. L’homo
jucundus ferito, straziato, sacrificato, singolarmente potrebbe non avere più alcuna ragione di esistere,
ma trovare invece la sua realizzazione in una sorta d’interconnessione fra i corpi, la natura e l’universo.
FV ■ Nulla succede per la prima volta è una frase che ha martellato la mia mente sin dagli anni settanta
e che ha ispirato l’opera che ho creato durante una riflessione poetica e antropologica sul caos creato
In questo intravvedo ancora il ruolo da protagonista dell’artista e del poeta, o dell’“artista-poeta”, perché
veramente “nulla succede per la prima volta”.
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GDC ■ Evochi in me un brano di Baudelaire, quando legge nella figura del poeta (e dell’artista) una sorta
di coscienza disincarnata della folla – il grande tema mutuato dal racconto di Edgard Allan Poe L’uomo
della folla – che trova nella Parigi dell’ottocento il vero canto della vita moderna: Il poeta, posto su uno
dei punti della circonferenza dell’umanità, rinvia sulla stessa linea in vibrazioni più melodiose il pensiero
umano che gli fu trasmesso; ogni poeta vero dev’essere un’incarnazione.
Forse mutatis mutandis, troviamo già anche qui una reviviscenza dei temi spinoziani che hanno continuato
negli anni ad appassionare te, quelli di un organismo unico che formi con le diverse espressioni della
natura una sola mente e un solo corpo. I tuoi ultimi lavori Lo stesso gesto in un altro spazio-tempo (2019),
giocano sulla possibilità fantascientifica – e tuttavia ipotizzata da grandi scienziati a partire da Einstein –
che si possa superare la condizione temporale trasferendosi istantaneamente in un’altra dimensione, arrestando
il flusso del tempo. Una condizione di eternità metafisica, extraumana, dove nulla accade. È con
questa idea che attraverso una sorta di photographie mise en scène (o staged photography) sei entrato
nei quadri di Vermeer e di Velázquez attraverso la fotografia digitale, arredandoli con attori e oggetti attuali?
FV ■ La sensazione che volevo sperimentare era quella di un superamento della condizione temporale,
per entrare in un mondo parallelo. Infatti, in linea con la ricerca precedente m’interessava l’uso della camera
oscura da parte di artisti come Vermeer, Velázquez, Caravaggio, Canaletto e molti altri, che secondo
la tesi di David Hockney – e non solo – la utilizzarono prima che si arrivasse all’invenzione degli acidi
fotografici sulla fine dell’ottocento. Neanche un mese dopo la mostra – oggi le immagini girano il mondo
in tempo reale – già nel pieno della quarantena, riviste d’arte, musei, gallerie e fondazioni hanno invitato
gli artisti a cimentarsi nella reinterpretazione visiva di opere delle loro collezioni e, paradossalmente, la
moda è diventata virale. Una sorta di cannibalismo di massa che naturalmente non aveva alcun interesse
di approfondire né metodi di rappresentazione, né uso di eventuali camere ottiche, cioè una condotta
di pura appropriazione, un “fai da te” che alletta più l’uomo comune che l’artista, in quanto prescinde da
qualsiasi specifico interesse conoscitivo. Interessante, comunque, per una psicoanalisi di massa. Ora,
sto andando anche oltre nella sperimentazione delle visioni di un mondo quantistico parallelo e nella
definizione di quello che ho chiamato “uno spazio accanto al tempo”.
GDC ■ Quando mi hai parlato di queste nuove opere ho pensato immediatamente al tema dell’Immortalità
enunciato da Gino De Dominicis, benché interpretato in altra forma. Dunque, ci fermeremo, trovere-
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mo un nostro angolo di eterno all’ombra dei grandi maestri e dei grandi geni europei e del mondo, o ci
TESTI GIÀ EDITI
rimetteremo in cammino e riprenderemo a cercare?
FV ■ De Dominicis ci ha indicato una via essenziale studiando il mito e il concetto d’Immortalità. Ora
siamo arrivati, a mio avviso, a quella stazione finale che artisti, poeti, filosofi, geologi, scienziati, religiosi e
Alighiero Boetti & Fosco Valentini
di Hans Ulrich Obrist
saggi dai tempi dei tempi, avevano profetizzato. Se non troviamo la pace tra l’esuberante energia della
vita, come spesa autodistruttiva e il potere economico egoistico della morte, l’antropocene sarà stata
solamente una fase di passaggio tra le tante ere geologiche. La natura si ribellerà all’oppressione umana,
ma la vita e la morte, loro sì immortali, troveranno sicuramente, oltre la specie umana, altre strade
per compiersi e riprodursi.
Affrontare una mappa significa affrontare una particolare realtà temporale e spaziale. Il processo di creazione
di mappe, tuttavia, è sempre storicamente radicato. Come osservato una volta dal cartografo
Denis Wood, noi siamo nel mondo “immersi nelle mappe” - come dire che siamo immersi sia nella verità
sia nella sua inevitabile distorsione e revisione. Affrontare, quindi, una storia della cartografia è considerare
non una, ma una molteplicità di realtà spazio-temporali, un flusso senza fine di rappresentazioni
e realizzazioni globali del segno. Nella lunga storia della rappresentazione e della realtà, la cartografia è
sempre stata sinonimo dei nostri vari tentativi di storicizzazione.
La mia passione per le mappe inizia con Alighiero Boetti. Quando ero diciassettenne, ho conosciuto
questo artista visionario ed egli ha cambiato la mia vita in molti modi. Fondamentalmente mi ha introdotto
nell’argomento della cartografia.
Boetti si imbarcò per tutta la sua carriera su molteplici progetti di mappatura: straordinarie collaborazioni
in Afganistan e, più tardi, in Pakistan, che ha intrecciato le preoccupazioni estetiche e politiche, l’artigianato
e il percorso fisico dell’artista, nonché la negoziazione dei confini linguistici e fisici.
Boetti stava rispondendo a un contesto contemporaneo di globalizzazione in cui le frontiere preesistenti
sono provocatoriamente ritagliate nella maggior parte delle mappe e sono rese alquanto ridondanti all’interno
di questa nuova situazione globale. Nel 1971 Boetti commissionò dei ricami afghani per creare
una mappa del mondo, di ogni paese con i colori e i motivi della propria bandiera. Questa commissione
si trasformò in una serie di mappe meravigliosamente elaborate e su larga scala prodotte nell’arco di
vent’anni. Ogni mappa seguiva i cambiamenti geopolitici in tutto il mondo: la fine dell’Unione Sovietica,
l’unificazione della Germania, le dispute sul territorio in Medio Oriente e i cambiamenti di regime nella
penisola eurasiatica.
È stato con Boetti che nel 1987 ho incontrato l’artista Fosco Valentini, dove abbiamo discusso il progetto
estensivo e laborioso della cartografia. Se le mappe di Boetti rispondono alla base geometrica che
illustra l’estetica di questo mezzo, con la sua immagine astratta ed essenzialmente inafferrabile della
totalità terrena, allora il lavoro di Valentini risponde alla profondità di questo confronto a livello altamente
umano. La resa universale dei corpi umani danza su un piano di immagine appiattito accanto al repertorio
visivo di invenzione scientifica e simbolismo spirituale; questi soggetti appaiono privi di fondamento,
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in movimento e senza proiezioni. In altre opere il corpo umano si impiglia in diverse riproduzioni del
nostro pianeta; umoristicamente bilanciato in cima a un globo o proiettando un’ombra su un sistema
solare in miniatura.
In linea con la concezione di Boetti del nostro mondo e dei suoi confini fluidi, flessibili e caotici, Valentini
posiziona i suoi abitanti umani in mezzo a questo disordine globale. Dove Boetti sovverte la rappresentazione
cartografica dall’interno della sua convenzione stilistica - la sfera sviluppata che viene catturata
dall’occhio nella sua totalità - Valentini viaggia su un diverso tipo di creazione della mappa: immagina un
mondo in cui viene rimosso il terreno sotto i nostri piedi. Nella sua raffigurazione di soggetti in uno stato
costante di parete libera, Valentini indica un mondo in cui la distorsione dei confini è andata troppo oltre,
dove la differenza viene persa piuttosto che acquisita nello scambio interculturale e transnazionale che
caratterizza il nostro stato di globalizzazione.
Londra, maggio 2018
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Un colorista nato
di Fabio Sargentini
È primavera, constato compiaciuto, guardando fuori dalla mia finestra i fiori che hanno invaso il balcone
di fronte per troppi mesi sguarnito. Torno con lo sguardo sul mio scrittoio dove sparpagliate ci sono le
fotografie dei fiori dipinti da Fosco Valentini. È primavera anche per loro, dopo che Fosco li ha coltivati e
innaffiati amorevolmente, per un paio d’anni. Ogni volta che lui me li portava a vedere da Lugano a Roma
per dissertarne insieme, si rivelavano via via più belli e personali.
C’è un soggetto in pittura più abusato dei fiori? Dai girasoli allucinati di Van Gogh alle rose seriali di
Warhol, per restare alla nostra epoca, innumerevoli grandi pittori si sono cimentati nel genere. Tanti me
ne piacciono, anche se io confesso una passione per i fiori secchi di Mafai. Ebbene Fosco, per nulla intimidito
da questi illustri precedenti, è andato avanti per la sua strada contando soprattutto sull’originalità
del colore. Lui è un colorista nato. La tache è la tecnica pittorica di cui Fosco è maestro. Egli non la usa
in modo anarchico e casuale, come certa pittura informale degli anni cinquanta detta appunto tachiste,
bensì sapientemente la convoglia sulla silhouette dei fiori. Il rapporto tra il fondo monocromatico, sia
esso viola o verde o blu, e questi fiori filiformi e maculati, gambi corolle foglie, non potrebbe essere più
gradevole. Il pregio è che non sai mai se ti trovi davanti a una natura morta o a un paesaggio.
Distolgo gli occhi dalle fotografie sullo scrittorio. Da Lugano mi fanno fretta, devo scrivere il pezzo ormai.
Apro il quadernetto per appuntarvi qualche idea. Dalle pagine mi scivola tra le dita un quadrifoglio dimenticato…
Piatto, bidimensionale, impalpabile, è stretto parente dei fiori delle fotografie.
Buona fortuna, Fosco Valentini!
Roma, 16 maggio 2008
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Occhi balocchi
di Mario Garriba
«Pinocchio, invece di diventare un ragazzo, parte di nascosto col suo
amico Lucignolo per il “Paese dei Balocchi”. “… Lì non vi sono scuole:
lì non vi sono maestri: lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si
studia mai. Il giovedì non si fa scuola: e ogni settimana è composta di sei
giovedì e di una domenica. Figurati che le vacanze dell'autunno cominciano
col primo di gennaio e finiscono coll'ultimo di dicembre. Ecco un
paese, come piace veramente a me! Ecco come dovrebbero essere tutti
i “paesi civili!...”»
(Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio)
Incontrare Fosco significa allungare la giornata. Non hai più le solite ventiquattro ore, ma notte e giorno
si confondono e continuano. La parola gli prende la parola e il tempo si ferma in un presente fatto di
passato e futuro. Roma gli sta larga, ma Lugano gli sta stretta e lui veste casual.
Lo incontro sempre per sbaglio, svoltando un angolo di strada, uscendo da una tabaccheria, prendendo
un autobus al volo o mi sorprende seduto ai tavolini fuori da un bar. Anche d'inverno perché a me
piace fumare. E il discorso riprende là dove l'avevamo lasciato anche due o quattro mesi prima, magari
su una domanda rimasta senza risposta.
Con lui posso parlare di tutto. Libertà in discesa. Talvolta ti sorprende con l'ironia dell'intelligenza: “Penso
che nella mia vita ho sbagliato tante cose... l'unica cosa che ho indovinato è stata quella di sposare mia
moglie… proprio il contrario di quello che dice lei”. Altre volte può diventare noioso, come quando parla
dell'esistenza, seguendo la trappola filosofica di uno dei suoi primi maestri, Aldo Braibanti. Ma anche
allora, lo ascolti sorridendo, incantato dal suo ricordo su tutte le nuove forme della parola rivoluzione.
Rivoluzione cosmica, rivoluzione atlantidea, rivoluzione dell'era dell'Acquario, rivoluzione new age, rivoluzione
delle classi nude, rivoluzione dell'inattualità della psiche, rivoluzione del grande imbroglio, rivoluzione
dei nuovi partigiani del pianeta, rivoluzione del silenzio tuonante, rivoluzione dello zen, rivoluzione del
diavolo rotondo, rivoluzione del quark, rivoluzione dell'armistizio planetario… "e altri fiori consimili", come
scrive Collodi alla fine della descrizione del Paese dei balocchi. Quando di notte fissa il cielo troppo
grande, è ancora alla ricerca della sua stella personale.
Anche se a Lugano il cielo, chiuso tra le montagne, diventa più piccolo e tutto sembrerebbe diventare
più facile. Ma non è così per chi ha visto cieli spalancati. È allora che, secondo me, Fosco incomincia a
dipingere. Tutto diventa soltanto la linea colorata in fuga di un suo quadro che, sospeso, poi ha ripreso,
infine sorpreso, concluso.
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A sbalzo se ne esce con una frase del Metastasio, regalandoti una sensazione bellissima: “Non parto e
non resto, ma provo l'angoscia che avrei nel partire, che avrei nel restare”. Oppure apro a caso una pagina
di un suo breve diario sulla filosofia esistenziale della canapa indiana e trovo scritto: “... il ventilatore
emanava una piacevole tramontana metallica” mi sembra Paolo Conte migliore e forse di più. Fosco ha
degli occhi disordinati che corrono da tutte le parti e ne approfitta per costruirsi uno strano caleidoscopio
che inventa figure imprevedibili. Ha una grammatica del corpo: sale sulla sua grossa moto in modo rituale,
si chiude la cerniera del giubbotto fino al mento e sparisce dentro al casco. Ma tu lo riconosceresti
anche di schiena. Quando prende un bicchiere, lo stringe stretto come la mano di un amico. Per lui i
gesti sono quelli di uno che si muove nel mondo come fosse a casa sua.
Ma Fosco ha anche una sintassi ed allora il discorso prende sentieri impegnativi e diventa la storia del
suo pensiero. Come tutti quelli domiciliati al bar, beve adagio per ricordare. Se volta la testa, non vede
la parete dietro o il tavolino accanto, ma cinquanta anni di vita: giornate colorate a Roma tra Campo
dei Fiori e piazza Navona, i canali fermi come specchi di Amsterdam raggiunti con l’autostop, incontri
fortunati tra pittura (Boetti), musica (quella dei prati e delle piazze), poesia (Pasolini), teatro (rigorosamente
off). E il suo guardarsi attorno inventa grandi spazi da dipingere. Le cose e le persone diventano idee.
Il sogno diventa segno e il segno diventa sogno. Il senso, con disinvoltura, viene abbandonato all’interpretazione
ed al fraintendimento. Così come un’altra cicca spenta nel portacenere. Forse ha tradito la
pop art per l’arte povera o la video arte e questo gli è costato restare povero. Forse.
Negli ultimi anni ’70 Francesco Clemente gli ricordava: “Fosco, la minorità è l’arte, io sono un artista minore…”.
E lui oggi lo ripete: “Grande lezione che ai tempi non capii! In effetti è vero i quadri più belli dei
grandi maestri sono quelli dei tempi in cui erano artisti minori”.
Io faccio cinema e lui fa pittura. Se andiamo insieme a vedere una mostra di arte contemporanea, parla
soltanto nel passaggio tra un quadro e l’altro. Nota dei dettagli che tu non hai visto, ma lui sì. Torneresti
indietro, ma lui no. Sono sicuro che se andassimo insieme al cinema, prima o poi si addormenterebbe,
lasciandosi incantare dal racconto finale che poi gli farei. In questo simili: senso ed immaginario coincidono.
Due bambini con uno sguardo ancora sorpreso, curioso e divertito. Occhi balocchi.
Firenze, 11 maggio 2008
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Fosco Valentini Colophon 80x100.qxp_Layout 1 18/01/19 16:23 Pagina 1
FOSCO O FOSCO VALENTINI
NVALENTINI
N I
VISIONARIA VISIONARIA 1986 1986 – – 2019
1986 2019– 2019
24 Gennaio 24 Gennaio – 24 – Marzo 24 Gennaio Marzo 2019
– 2019 24 Marzo 2019
FOSCO VALENTINI
Mostra Mostra a cura a cura di di Mostra a cura di
Giovanna Giovanna dalla dalla Chiesa Giovanna Chiesa dalla Chiesa
promossa da
Mostra a cura di
Giovanna dalla Chiesa
con la con collaborazione la con dila collaborazione di
di
con la collaborazione di
FOSCO VALENTINI
VISIONARIA 1986 – 2019
24 Gennaio – 24 Marzo 2019
ROMA ROMA CAPITALE CAPITALE ROMA CAPITALE Curatrice Curatrice senior senior Curatrice senior
Daniela Daniela Lancioni Lancioni Daniela Lancioni
Sindaca Sindaca di Roma di Roma Sindaca di Roma
Virginia Virginia Raggi Raggi Virginia Raggi
Eventi Eventi e spazi e spazi culturali culturali Eventi e spazi culturali
Cecilia Cecilia Guerrieri Guerrieri Paleotti Cecilia Paleotti Guerrieri Paleotti
Vicesindaco Vicesindaco di Roma di Vicesindaco Roma di Roma
con la con delega la delega alla Crescita alla con Crescita Massimiliano la delega culturale culturale alla Chialastri Crescita culturale Ufficio Ufficio tecnico-organizzativo
Ufficio tecnico-organizzativo
Luca Luca Bergamo Bergamo Luca Bergamo
Marcello Marcello Fagnani Fagnani Marcello Fagnani
Allestimento
Sauro Radicchi
Comunicazione e promozione Comunicazione e promozione e promozione
AZIENDA AZIENDA SPECIALE SPECIALE ROMA AZIENDA PALAEXPO CAPITALE
SPECIALE PALAEXPO Luisa Luisa Ammaniti, Ammaniti, responsabile Curatrice Luisa responsabile Ammaniti, seniorresponsabile
Traduzione testi
Daniela Lancioni
Presidente Presidente Sindaca Presidente Susan di Wise Roma
Ufficio Ufficio stampa stampa Ufficio stampa
Cesare Cesare Maria Maria Pietroiusti Pietroiusti Virginia Cesare Maria Raggi Pietroiusti Piergiorgio Piergiorgio Paris Paris Eventi Piergiorgio e spazi Paris culturali
Grafica
Cecilia Guerrieri Paleotti
Vicepresidente
Vicesindaco Vicepresidente Claudio Ferretto di Roma e PopSite MOSTRA MOSTRA MOSTRA
Clara Clara Tosi Tosi Pamphili Pamphili con Clara Tosi delega Pamphili alla Crescita culturale
Ufficio tecnico-organizzativo
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Progetto Progetto di allestimento di allestimento Marcello Progetto della Fagnani di della mostra allestimento mostra della mostra
promossa Consiglio Consiglio d'amministrazione
da
Consiglio Alessandra d'amministrazione
e Cesare d’Ippolito Massimiliano S.A.S Massimiliano Chialastri
Chialastri Massimiliano Chialastri
Fernando Fernando Ferroni Ferroni Fernando Ferroni
Comunicazione e promozione
Duilio Duilio Giammaria Giammaria AZIENDA Duilio Realizzazione Giammaria SPECIALE dei lenticolari PALAEXPO Allestimento
Allestimento Luisa Allestimento Ammaniti, responsabile
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RadicchiSauro Radicchi
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Fabio Fabio Merosi Merosi Fabio Merosi
Susan Susan Wise
Wise Susan Wise
Vicepresidente
MOSTRA
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Grafica Grafica
Andrea Andrea Bonelli, Bonelli, presidente Andrea presidente Bonelli, presidente Claudio Claudio Ferretto Ferretto e Progetto Claudio PopSite
e PopSite Ferretto di allestimento e PopSite della mostra
Paolo Paolo Di Rocco, Di Rocco, Erica Consiglio Paolo Erica Di Santo, Di Di Rocco, d'amministrazione
Santo, revisori Erica revisori Di Santo, revisori Massimiliano Chialastri
Fernando Ferroni
Assicurazioni
Assicurazioni
Direttore Direttore operativo operativo Duilio Direttore e risorse e Giammaria risorse operativo umane umane e risorse umane Alessandra Alessandra e Cesare e Cesare Allestimento
Alessandra d’Ippolito d’Ippolito e S.A.S
Cesare S.A.Sd’Ippolito S.A.S
Daniela Daniela Picconi Picconi Maria Daniela Francesca Picconi Guida
Sauro Radicchi
Realizzazione dei lenticolari
dei Realizzazione lenticolari dei lenticolari
Direttore Direttore area area affari Direttore affari legali legali generale area affari legali La Sponsor’s La Sponsor’s Service
Service Traduzione La Sponsor’s Service
Andrea Andrea Landolina Landolina Fabio Andrea Merosi Landolina
di Claudio Claudio Ferretto Ferretto Susan di Villorba Claudio Villorba Wise (TV)
Ferretto (TV) Villorba (TV)
VISIONARIA
1986 - 2018
MATTATOIO ROMA 24 GENNAIO - 24 MARZO 2019
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Collegio dei revisori dei conti
Andrea Bonelli, presidente
Paolo Di Rocco, Erica Di Santo, revisori
Grafica
Claudio Ferretto e PopSite
Assicurazioni
Alessandra e Cesare d’Ippolito S.A.S
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Fosco Valentini tells us about himself
La traduzione in lingua inglese del Dialogo con Giovanna dalla Chiesa
di Fosco Valentini è di Susan Wise
161
Dialogue with Giovanna dalla Chiesa
For the first time Man really understands
he inhabits the planet and should perhaps think
or behave in a new perspective, not just in
the perspective of an individual, a family or
genre, State, or group of States, but also
in the planetary perspective.
V.I. Vernadsky
GDC ■ In the book by Paola Ferraris Psicologia e arte dell’evento: Storia eventualista 1977-2003 I read a
valuable particular about your first show in a private space: the event coincided with the birth of the Centro
di ricerca sulla Psicologia dell’Arte (Research Centre on the Psychology of Art) opened on November
11 th 1977 with the exhibition Quattro artisti inediti - Vittorino Curci, Gianluca Manzi, Cesare Pietroiusti,
and Fosco Valentini – in Sergio Lombardo’s studio at 20, Via dei Pianellari, and from then on known as
Jartrakor. The contents that would become the Research Centre’s goals during that complex cultural
and political period had already been expressed in 1975 by Sergio Lombardo in a lecture at the Fine Arts
Academy of Rome, during that year’s student occupation, invited by these same students.
Lombardo writes: When we founded the Jartrakor Study Center the 1970s’ experimental mood had
already expired ten years before. Launching Arte Povera in 1967 actually confirmed the idea that the
values of poverty and imagination should become the international image of Italian art. A significant
trend of discussion and research arisen in the late 1950s and based on the experimental values of
empirical science was sacrificed to the commercial success of Arte Povera. The complexity of Italian
artistic research, thus simplified to better suit the rules of the world market, was depleted. In 1977
when the Centro Studi Jarnakor was founded the same type of process took over the image of
Italian art in the name of freely going beyond the historical avant-gardes: the Transavanguardia was
launched. This again meant sacrificing all theoretic and experimental research, apparently too technical
and not easily reducible to the simplifications of the market. Everything that was not immediately
understood by the consumer masses was accused of sectarianism: those were the Anni di piombo
(Years of Lead). Any the least bit articulate aesthetic opinion was called “ideology”, any ideology was
defined “subversive” (…). It was in this cultural atmosphere, with the help of Anna Homberg, at the
time just a medical student, and Cesare Pietroiusti, a medical student as well, that I founded the
Jartrakor association.
In Lombardo’s words I can hear a summing-up of the atmosphere around you in those years that must
have also led to the overall trends of the 1980s. A gradual narrowing of international visibility for most
Italian artists, aimed at increasingly funnelling only what was supposed to interest the market. Not
that there was a lack of hotbeds of research, intuitions, and experiments in every direction. However,
whereas in the previous decade everything forming the humus that had spawned the great experimental
trends of a new art history was retained, now those trickles of ideas and intentions risked being lost
and overwhelmed by the workings of a market claiming to be backed up by prestigious art objects,
presented as absolute so as to compete in an international scenario consisting mainly of economic
interests rather than research trends and tendencies: their value, as in scientific research, was above
all theoretic. Was it in 1975, on the occasion of that lecture at the Accademia, that you first met Sergio
Lombardo?
FV ■ Yes, it was on that very occasion. He had a boundless, enthralling communicative energy. His view,
already fully developed, of the cultural system was utterly lucid: that of a true Cassandra. I was in my
second year at the Accademia and had just taken part in the X Quadriennale Nazionale d’arte.
GDC ■ The photos you showed in the La Nuova Generazione section of the X Quadriennale Nazionale
d’arte showed you on a beach, buried in sand.
FV ■ Quite by chance I had read in the papers that the Quadriennnale was being held. So, pressed for
time I chose image as a form of communication. I looked about for a photographer to take photos by the
sea. I wanted to immobilise the pictures of my body in the ground, as both a sculptural and a performative
object, between Eros and Thanatos. I found him by talking to my former Art Institute companions.
At the time photography and behaviour art did not yet have clearly different roles. I could explain to the
photographer how I wanted the framings of the performance, generally in black and white, the number
of shots per sequence, and all the intentions, but always with the risk the work might be considered
the photographer’s creation. My performance idea was to then transpose the photos into painting and
sculpture. In fact later on they were sprayed with paint enamels to highlight the sculptural body in the
magma of paint. We did the shots at Fregene. For ground I chose sand as a sculptural material: it slides
over the skin and in this case that emphasized the idea of a transition between life and death in the
motion as well.
In those years I particularly agonised over the downfall of anthropocentrism, about distinctions between
“good and evil”, between “mine and yours”, between “me and you”. Boundaries between people,
boundaries between properties, boundaries between the polarities of love and hate. I frequented Aldo
Braibanti’s house: he was in fact studying this alienation in a philosophical and poetic sense. In his theatre
as well. What it actually involved was the utopic overcoming of the limits between being and outer
world and stripping bare illusion and self-deceit. Aldo’s lessons tended to where the doctrines of Freud
and Marx converge, and in his circle we were highly aware of the rout of a possessive tendency, obsessively
aimed at separating good from evil, without being able to fathom out that each person is many
persons, indeed a whole crowd, turned into a single individual.
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GDC ■ So your research did not tend so much in the anthropological direction followed by others at the
time, but towards dissolving identity, as if wishing to yield it back to Nature, merging with it to reclaim it.
Ontology bound to Being, not merely your own but universal, steeped in mysticism. Or am I mistaken?
FV ■ Braibanti, in a way, shared the same assumptions that inspired Lombardo, but transposing them
to a highly vulnerable context. Aldo’s teaching, at that particularly difficult socio-political moment, with
his life based on books, tended - to express it with a concept Norman O. Brown was fond of - to the
“revision of historical identities”, that is, essentially the revision of his own historical identity. So it was the
attempt to re-examine his life, from his studies on Spinoza to those on Marx, then from Marx to Freud,
ending with poetry. A similar urge had arisen in the minds of many artists of different ages and in the ones
I would call “minds of love”. The failure sustained by the previous generations was still everywhere. It was
time to raise anchor and set off. Ours was not a poetics of “perfection” (art, beauty, etc.), of “incarnation”
where you do not attain a perfect form, but the reverse, a fragmentary, unachieved form. And where we
proceeded on the verge of defeat and vulnerability. I could recall Norman O. Brown’s claim that nobody
should be blamed, that there are no flaws implied in the account of a struggle, that the mission is the
same: never give up exploring. We must strive to survive, escaping new shipwrecks, improvising a raft.
And I might add, reconsidering our historical identity, by telling an “other” history of art. A follower of Zen
Buddhism wrote: Going to Heaven is a fine thing, but falling into Hell is also a qualification.
GDC ■ Let’s come back to your show in 1977. Lombardo wrote: They were very young, with highly
autonomous features, bound by a subtly conceptual idiom between poetry and image. After the show
each of them went his own way, except Pietroiusti who stayed to set up with me and Anna Homberg a
series of lectures and study activities on the psychology of art, a series of weekly research encounters
on hypnosis, as well as exhibition activity. And he then added that you were the only one not pursuing an
activity at the Centre and that on that occasion you projected on the wall graffitied slides in very intense
colours. It seems to me that after all you already showed your partiality for transparency and diaphanous
structures suggesting apparitions. What did those slides represent?
FV ■ I am not sure whether what they represented matters. However it was as if to find the new life we
wanted to place a light marine signal where the shipwreck had occurred, like a floating buoy, precisely
with the transparency of apparitions – to keep on moving. To consider the art object as an energy
conveyed from the place where the artist had seen it to the viewer by means of the poetic object itself.
GDC ■ Compared to the attitude of other artists it seems to me yours may have been more existential,
of course connotated by the experience of the loss of the pre-eminence of art, but actually always and
only focused on art; there was no need to confer on it specific statutes, just the courage and urgency –
perhaps desperate – of expression and gesture, achieved however by a metaphoric contortion, certainly
not rectilinear and analytic reasonings. Was this why you soon broke away from the group?
FV ■ I think you grasped the issue: there was an urgency while the context of social demands in those
years also set off conversations with Aldo Braibanti every day. Aldo was interested in Spinoza’s doctrine
of perfection, but as motion “towards” perfection, therefore, as defect, lack. This theme stayed on with
me even later. In art as in life, as claims Norman O. Brown - an extraordinary author of paradigms connecting
authors like Spinoza, Freud, Marx, and Pound, - activity is movement of desire, striving towards
perfection: what we call Beauty, Art, and Poetry. The impulse that drives us towards being united with
what is ideally perfect; this always influenced me in seeking the live metaphor that generates innovation.
Like a kinetic energy added to occasional urges coming from different or even opposite directions.
In other words, rather than to substance I was and am drawn to all the components of the process, to
a philosophy of energy rather than a philosophy of form and perfection. I am reminded of Freud’s words
in Beyond the Pleasure Principle. ‘Whither you cannot fly you must go limping.’
GDC ■ In September 1976 before the exhibition experience with the Centro Studi Jartrakor, your name
also appears in the midst of another significant group of that historic moment, the Ufficio per l’immaginazione
preventiva created by Tullio Catalano and Maurizio Benveduti with Franco Falasca. Distinctly Surrealist
in cast, the group was highly ideological and at first was hosted in the Galleria GAP, Gianni Fileccia’s and
Adriana Miccolis’ space at 129, Via di Monserrato. Those were the years of off reviews and the alternative
press; the Ufficio printed a review with contributions by highly prestigious artists, philosophers, writers,
and critics along with rising youths. So in that September of 1976 your name appears in IMPRINTING
SPERIMENTAZIONE E LINGUAGGIO next to those of Vincenzo Agnetti; Art & Language; Carlo Maurizio
Benveduti; Gianni Blanco; Aldo Braibanti; Ian Burn; Alberto Caronna; Tullio Catalano; Giuseppe Chiari;
Claudio Cintoli; Ettore Consolazione; Bruno Corà; Elvira De Luca; Pippo Di Marca; Alberto Faietti; Franco
Falasca; Paolo Ferri; Nino Giammarco; Alberto Grifi; Gruppo di Coordinamento; La Linea d’Ombra; Fabio
Mauri; Cesare Milanese; Paolo Morawsky; Paolo Moroni; Giulio Paolini; Mimmo Pesce; Mimma and Vettor
Pisani; Mel Ramsden; Carmelo Romeo; Harold Rosemberg; Terry Smith; Luciano Trina; Andrea Volo; Mariano
Zela. Later, all the most significant artists of those years passed through there: Luciano Fabro, Idetoshi
Nagasawa, Joseph Kosuth, Michelangelo Pistoletto, Luigi Ontani, and so many others.
The impression produced was one of extraordinary vitality. Confirmed and famous artists easily joined up
with almost unknown youths, opting for confrontation and fecund mixing where each one enriched the
river of a thinking that swept by unimpeded to achieve one’s own goals with the total adhesion that has
always been that of every avant-garde. You have often spoken of your generation as “a single body”,
as if all were in the same body, in the body of society and Nature in general. In that movement there
was actually the sense of belonging to a great historic process that would bring about epochal change.
FV ■ Yes, that is another crucial point. In the single and/or united body, Nature-Space-Time – there was
a great notion that included the extra-artistic and philosophic historic process of individual freedom.
Maybe the Ufficio per l’immaginazione preventiva was one of the first seeds planted in the soil that lat-
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er would have developed as a sort of “public art”. We felt like islands, connected and separate at the
same time. Today I believe the arts and poetry should undertake a risky crossing of that sea and unite
the islands of human culture striving for that mediation, the modus vivendi which between life and death
does not separate us from Nature. In this sense Spinoza’s lesson is ever more relevant, claiming that
Men cannot desire for the preservation of their own being anything more excellent than that all agree in
everything, so the minds and bodies of all form almost a single mind and a single body. We might add
to this his other warning, to not deride, not deplore, not execrate, but comprehend.
GDC ■ In those years of rebellion and ideology, the overall tone of your experience, after all, was empathy,
dream, and the utopia to come. Yet we hear very little about you between 1977 and 1984, the year
you collaborated in Alighiero’s retrospective at the Pinacoteca Communale in Ravenna. Why was that?
FV ■ Between 1977 and 1984, just when I felt the urge to devote myself to drawing and creating pictorial
objects, I lost both my parents. The works of those years were done outdoors, or in the very space of the
show since I no longer had a place where I could concentrate my creative needs. At the time I didn’t even
have a home. In the late 1970s meeting Alighiero Boetti offered me support as well as a crucial experience.
I could spend the night in his studio on Piazza Santa Apollonia and in the daytime I helped him in
lots of works, including tapestries and ballpoint pen. We would have lunch together and I could talk to him
about what was on my mind and of course about the adventure of art and life. Also at that time Salman
Ali arrived from Afghanistan to assist Alighiero after an automobile accident. In the breaks I began to paint
with acrylics on advertisements I saw in newspapers or magazines with lots of different images. My advertisement
pictures that Alighiero then suggested I put on canvas came about just like that. Once I found a
newspaper, a magazine, a chair, and a few fast-drying acrylic colours, it all came out effortlessly even in
tiny temporary spaces like the ones at my disposal. I did a show at Franz Paludetto’s in Turin with those
painted newspapers and a group show with the painted magazines at Corrado Levi’s in Milan where I even
succeeded in selling my first picture. When in 1989 with the Galleria De Ambrogi I took a series of these
pictures to Basel they literally sold like hotcakes. It was then in those same years that I met Alessandra
Bonomo who had just arrived in Rome and with whom I instantly became friends. After a while I introduced
her to Alighiero. Alessandra had opened a wine bar at Spoleto that was also a gallery. I then began taking
part in group shows she organised in Alighiero’s empty flat, over the studio in Trastevere, but in those days
there were no catalogues. In one of the first shows, in the early 1980s, with me there were Alessandro
Twombly, Alberto Di Fabio, Tristano Di Robilant, and Andrea Bobo Marescalchi, a great little group I would
say. I occasionally also took part in the poetic-theatrical adventures of Beat ’72. I was still living as a guest
but the situation was becoming more and more difficult. I was starting to think of running away somewhere,
until during a Beat ’72 Poetry Festival at Alba Adriatica I met Michela, from the Ticino, who later became my
wife. I would come and go from Lugano and did a few group shows at Martigny with some Swiss artists in
young Stefano Jermini’s space. He rented a closed-down Shell petrol station. The S of the neon sign over
the building had fallen down, so the gallery ended up being named Hell. I met Mat Callishaw, Sylvie Fleury,
Pipilotti Rist, and some others, all very young at the time. Recently I heard that during one of those shows,
very off, Maurizio Cattelan came by one evening. I wasn’t there. He took one of my little advertisement
paintings off the wall and on the back of the canvas added his signature next to mine, thereby performing
one of the first “appropriation” and re-enactment experiments that later became a frequent practice of his.
GDC ■ In other words, yours was a real Bohemian life such as in those days almost nobody still had.
Elio Schenini writes about those pictures: The thin opaque layer of the pictorial skin is directly overlaid on
the publicity image, printed on the glossy paper of the magazines or on posters, reproducing it faithfully
but at the same time concealing it while turning it into something else.
FV ■ Many works of that period, like the advertisements, newspapers, or others revealed however my
sense of inadequacy in an artistic activity that had become like a deceit of history, an unrecognised skill
like that of a professional man whose work not only did not gain recognition but in some cases was
even considered subversive. No physician or professional who was not acknowledged as socially useful
could survive. It was expected only of artists, with all the ensuing consequences. And Swiss protectionism
towards its fellow countrymen artists was not as liberal with those who, although residents, were not
recognised as such. Besides, the freedom I had grown used to in Rome was unthinkable in Switzerland.
GDC ■ The ability to directly appropriate the world as Boetti did in his work was certainly an inspiration in
the publicity paintings of those years, and above all an encouragement, but unlike him you never gave
up painting even later. In spite of all the transformations to which over time you subjected it, it is still with
you now. Why?
FV ■ In the small artworld of the years 1984/1985, after our analytic and psychological investigation we lived
off fleeting ideas, about to disintegrate in the very flash of illumination. In the world of images advertising was
the most scrutinised and rising object, the appropriation of images and objects had been turned upside
down. It was no longer art seizing the advertising images and those of the world, but advertising appropriating
the images of the world, of visual communication, of the language of art and its works. Alighiero Boetti’s
and later mine were a first reaction to that visual reality, it may have happened too soon to be understood.
Actually even professionals mistook it for a tail end of Pop Art. And something almost telepathic happened
between Alighiero and me regarding the position of the beholder. It was actually an inquiry on the dualism
that distances subject from object and only concedes to the subject images with the intention of drawing
attention to the “machine that influences the eye” and vision, in a society become schizophrenic and dominated
by that very machine. As for myself, I attempted to re-appropriate painting, and have fun with it, but
on a psychological theme, the relation between resemblance and reproduction, between inner image and
outer reality. Too difficult to communicate in those days. Then came the naïf return to painting.
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GDC ■ So, if today you had to explain that rather particular “repainting from publicity” process, what
would you say?
FV ■ It was an attempt to create a short circuit between magazine and publicity images rather than adding
new images to the pictorial sphere; a way to extend newspaper, magazine, advertisement pictures
in the visual field through painting so as to saturate the space of perception and implode the idolatry, the
mana of the hypnotiser founded on the eye’s magical properties. The demiurge’s mana.
GDC ■ Yet it seems to me we should also not underestimate your attention to the written text, paged
with the image in those works and the setting of the product, associated as a diptych with the map of
the place of provenance. Elio Schenini, in the 2008 catalogue published on the occasion of your shows
at the Spazio Teatro della Contrada Bornago and the Barbara Mahler Gallery, speaking of these works
wrote: “the geographic silk-screen prints that Fosco paints are however not political maps but orographic,
in which the natural unfolding of the morphology of the territory rendered through the intensity of the
blues, the ochres, the browns that design the reliefs, the plains, the depressions and the seas, contradicts
any notion of a border set up by Man.” He again points out, after all, your tendency to operate on
the invisible thresholds between borders you have worked on from the start, with an intention I would call
“therapeutic”, as though striving to unify that natural condition which on the other hand science, politics,
and ideology separated.
FV ■ Yes indeed. Advertising images were becoming increasingly universal and we could also democratically
put in the pictures territory, visual objects, or products of the emerging countries and, why
not, countries colonised or devastated by conflicts, observing the mundus as a lost continent to be
reassembled, all over again, striving to use the demiurge’s consumerist mana in reverse, as a deterrent.
GDC ■ In the 1990s you put aside the advertisement works for a few years to create a series of portraits
devoted to some old friends or charismatic figures you met in the golden years in Rome: everybody was
there at some point, maybe even just on their way through.
FV ■ Behind those portraits lay my intention to represent the artists and personalities of the time like an
advertisement, along with the idea of transferring the drawing onto a canvas to grapple with painting
again. A metamorphosis of the advertising idiom through a sort of stoic reorganisation of the scene of
events, putting an artist’s body at the centre of the image. The theme of advertising reutilised in painting
had not been understood in the 1980s. Publicity was a taboo, a myth that should not be tarnished,
because under the gloss of the paint and the aesthetic appeal of the publicity image you might be surreptitiously
challenging the product’s usefulness or lack of it, and as a result that of art as well. Therefore
an economic-political theme as well as a cultural policy one. Beyond the ideological dynamics this led
to re-examine psychologically some hidden beliefs and could even covertly allude to a psychological rethinking
of money. Three super taboos nobody wanted to think about at the time. Instead, interpretations
shifted towards Pop Art or the idea of mainstream representation.
GDC ■ But we should perhaps not deny an emotional and nostalgic note in these intimate portraits with
their delicate accents of figures from your own past. Considering your next turning point, it even seemed
to me that with that cycle you addressed a last greeting to a whole period. In 2000 at the stroke of the
new millennium your work would undergo an authentic upheaval and an upswing leading to a stage without
any earlier influence, even the slightest. An exclusive work of your own invention. All the components
we just mentioned would achieve here a new cohesion, producing a complex vision performed with the
most varied themes and techniques, in utter freedom and independence. The turning point began with
works where for the first time your image was the fulcrum of each thing represented and the point of
reference of each choice. Like in the photos where you appear blindfolded holding divining rods, or the
sixteen photograms of the work L’Ordine delle cose (2000) that usher in a sweeping change.
FV ■ Portraits of friends, photographs of the dowsing artist, L’Ordine delle cose certainly arose from the
awareness of a historic defeat. In those critical years we could not accept another demonstration that
the objects concentrating wealth and value do not have the slightest real practical usefulness. I merely
chose another communication medium with those photograms, conceived in opposition to all that, but
to say the same thing, shifting in an Aristotelian mode the eye from the image of consumer objects
to that of human identity, restoring to it the power of imagination. To distinguish actual human needs
from neurotic consumer demands we had to experience anew the irrational and start all over to invent;
exhaust images of time as we exhaust consumption, intuit new metaphors, awaken myths and archetypes.
And of course remain faithful to one’s own poetics, but through deviations from logic, from paths
already traced, with the chance of some Pindaric flight. I was also about to “revise my historical identity”.
GDC ■ In 2003 Ticinese Switzerland, libertarian, permissive, heir to Bakunin and the anarchists, suddenly
woke up prohibitionist, banning the many shops where for years cannabis by-products were legally
sold. The campaign, launched for political and electoral purposes, did not in the least solve the problem,
leaving that of hard drugs unresolved. And even worse, it increased the lucrative clandestine trafficking of
soft ones. This led to endless debate in the press, the media, and parliament. The issue so concerned
you that you wrote a little book, Filosofia esistenziale della canapa Indiana, that came out right away, in
June 2004. The writing is not just natural, articulated, and truthful, but I feel certain of its importance for
your future, it having reminded you of the libertarian ideals that marked your youth, your hitchhiking trip
to Holland for the Holland Pop Festival, toting Spinoza’s Tractatus Teologico-Politicus under your arm.
In short it was the source for reconnecting with a past that was becoming more and more remote, as
though struck with repression, and for retrieving its flavour of freedom and an Edenic desire for justice.
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That book certainly triggered the energies that would pull off the next great artistic development: the
anamorphic paintings, your first video, Sol Lapis Philosophorum, and the lenticular works. From then on
the themes of representation, vision, and the eye became the favourite subject for your visionary tales.
In the book’s epigraph we can read Rainer Maria Rilke’s anticipatory words expressing his belief that to
achieve certain ends there should be no self-control, no self-limiting but a free letting go without concern…
No caution, but a wise blindness… no conquest of assured goods that gradually accumulate
but a constant dissipation of all transitory wealth…and that this way of being has something naive and
instinctive about it and resembles the age of unawareness we recognise for its joyful trust: childhood.
FV ■ The re-appropriation of the magical body sought by poets or the adamantine body of Eastern
mysticism was important for some circles of my generation, receptive to alterations of feeling and comprehension
as art and poetry have always been, and also some psychotropic experiences, above all if
guided by physicians and shamans. My generation was an avant-garde one, without masters, politically
free, like that of Herman Hesse’s travels in India. We anarchically adopted the pleasure principle and
rejection of the body-soul dualism, and through knowledge of Eastern philosophies we sought to break
the chains of Western philosophical tradition. In short, we were seeking happiness henceforth perceived
as a right. It was this baggage of political, cultural, and social freedom that I felt was being defamed by
the Institutions of Italian Switzerland – usually very emancipated, but not at that time. That is why I ran off
that little book in 2004 for the publisher Derive e Approdi.
GDC ■ Right after that, around 2006, a significant painting period began for you. You no longer called
upon a corrected ready-made, covering with paint an existing background, but interpreted the theme
in many different ways. First that of Flowers. Fabio Sargentini writes: Is there in painting a subject more
overworked than flowers? (…) Well Fosco, not in the least awed by several famous precedents, pursued
his path counting above all on the originality of colour. He is a natural colourist. The tache is the pictorial
technique of which Fosco is the master. He does not use it in an anarchic and random way, like some
informal painting of the 1950s precisely called tachiste, but instead he skilfully channels it on the flowers’
outline. The relationship between the monochromatic background, either violet or green or blue, and
these filiform speckled flowers, stems, corollas, leaves, could not be more pleasing. Its merit is that you
never know whether you are looking at a still life or a landscape. With his customary acumen Sargentini
grasped an essential aspect of those works, that of an open scenario and a “vision” that your flowers so
suggest as to legitimate a comparison with the idea of a “landscape”.
In a text of 2012 published in the Swiss review Soglitter the Luxury Lifestyle I wrote instead: It is as if a
principle of clairvoyance was for the first time making its apparition through the intermittences produced
by the spots that in their pulsing interrupt the limpid drawing of outlines of flowers, human figures, producing
a new form of awareness: that of a body that participates in the sudden openings of being and
of a psyche in syntony with a state of total immersion in the imaginary.
The character of the vision is actually that of a mental, unreal landscape where body and soul merge,
also allowing to perceive inner sentiment. The freshness and freedom of the ensemble benefit from the
technique of ink and watercolour on laid paper, with crystal-clear outlines, articulating every single vein
of leaves and flowers. And the position of the figures - caught in a movement of growth wherein the
background vibrations seem to let us become aware of their rustling and inner stirring - confirms and
bears out this sensation.
FV ■ Indeed, those huge flowers standing out against a background of fluid, highly transparent colours
were meant as a dream vision, a landscape verging on reality. The spots were overlaid as if those leaves
had several surfaces. You could slip through those freakish flowers like in fairy tale illustrations. The inks
were so beautiful when they settled on the sheets of machine-glazed paper, usually used as packing
paper, that absorbed the ink and spread it. Part of the work was the result of the paper’s capacity to
automatically alter the blending of colours, while an equally important part was the use of a pen, the old
kind you dip in ink, for marking the design of the flowers that was almost hidden by the absorbed spots.
With a tiny spray of water I would wet the sheet over the traces of the drawing, so doing the drawing with
ink was very swift and without hardly ever lifting the pen off the paper. This was what formed a tracery
between the other spots and produced that fresh and clear sign, making your eyes smile when you
raised them after being immersed – body and soul – in the inks, the paper, the pen that raced over the
drops of water. Doing flowers in those years was a countertrend gesture. The theme is one of the most
despised by the market, dealers, critics. The old morality of art that the masters taught me seemed to
have disappeared from the world along with truth. Unfortunately in the history of images the fake had
won. I believed this in 2006 when the art world had begun to overflow with bluff, usurpers, and petty
tyrants in every key sector of the system.
GDC ■ But there may also be something else. Fruits and leaves perceive a utopian revolt – Stefano
says in Filosofia esistenziale della canapa Indiana -, the aerial vegetal idea, the conquest of the lightness
of the vegetal imagination. And Mario adds: In Nature, plants, like Man and sex, go against the Earth’s
force of gravity with a vertical, aerial, suspended act. Our revolt must be Nature’s revolt. And Francesco
in return: The next revolution will not be the cybernetic one. It will be a plant revolution (…), the revolution
of the might of the bud, the vegetal leap. Of the primary image that creates all the other images, of the
mythical life without subordinates, of the smoke tree. On the verge between immaterial movement and
live movement. So doing flowers, after what was going on in the Ticino, was actually the call for the very
“plant revolution” that as a youth with your friends you had dreamed of and that, peremptorily, was now
being trampled on in the name of the law. On the top margin of one of your paintings in this series, Fiori
9 (2007), we glimpse the legs of an armchair. This helps us understand that the vision of flowers and
plants with their sense of outdoors, instead is happening within the closed space of a room where, wideeyed,
your gaze is seizing all its entrancing power. Later the Chair series, painted in the same technique,
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as if you had just slightly moved, is set in the room with its objects – empty fake 18 th -century chairs and
armchairs suggesting the presence-absence of humans – a few lamps, a coffee pot, or a Caravaggesque
fruit basket that as a whole alludes to the Still Life theme. The live and disturbing presence of the
Flowers, for a while, had made them be overlooked. My text went on like this: In an undefined landscape
where the outdoors of Nature changed roles with the interior of a room, where each thing slides and
vanishes as through an invisible hinge worked by a blink of the eye, everything evokes the paradoxical
nature of art, a verisimilar artifice, in a world of coherent incoherence, made to entice us and hold us
in an ecstatic childish contemplation. “I say one must be a seer […] by a long, gigantic and deliberate
derangement of all the senses”, as Rimbaud wrote in his Seer Letter.
FV ■ I also tried out the technique - by then I had practised it -, on still lifes of objects to create an undefined
environment. In fact it surprisingly responded to the attempt to set off a “derangement of the senses”.
It was actually a device, an expedient. In those paintings I would occasionally apply a very fine brush
as usually used for graphics and writing. Assembling objects for human use, with empty chairs and armchairs,
created undefined, intriguing associations; sometimes the lamps were meant to light the objects,
but to do so the spotted background had to be enlivened with pictorial brushstrokes for the source of light
to flow in a snug space creating the same effect as light in a room. This other way of painting, applying
with the brush another ink over the spots, made them evanescent and the vision increasingly unreal.
GDC ■ This series of works in 2007 includes a group of paintings titled Oggetti 5, with Pinocchio as its
thematic background. The painting shows a room furnished with Breuer office chairs, where a ventilator’s
metallic blowing disturbs every stable support and subverts the succession of days on the pages
of the calendar, interrupting the regular sequence. Then the eye falls on garden swings, stools, rocking
chairs that allude to children’s play, like a wind-up toy with a little wooden owl. A sort of retour au berceau
/ return to infancy, recalling a return to oneself, to one’s own inner and imaginative life.
FV ■ Those sequences were supposed to be as meaningless as possible. At the time I was seeking
a hidden meaning, a secret naming to be discovered in non-sense. What could be the name of those
commonplace objects, at times banal in painting, that we call chairs, armchairs, stools, toys, when they
are superimposed, embedded, altered with respect to their function? Objects, children’s toys, puppets
are recurrent forms in my mind. The wind-up ones that occasionally appear out of the blue are birds,
swings, rocking chairs. I remember I wanted to make a series of three-dimensional toys, sculptures
made of discarded objects to use them like puppets in a video, or mount them on the wall like sculptures
for playing, toy sculptures. Maybe I’ll do it someday. I kept to drawing and painting objects detached
from their use and possibly even meaningless, nameless objects, drawn as if they were discarded
objects. So these drawings were also projects for a series of toys reinvented with recovered materials,
even the word refers to the idea of recovering childhood and lost toys.
GDC ■ Maybe you merely sought to “rename” the things of the world as the poet does, and according
to me – and not just me, given the success of those works –, you perfectly achieved the goal. The cycle
closed with a few enigmatic Figure astratte, in which a mysterious boy in absent-minded or meditative
poses appears in the midst of light drip painting swirling like a delicate swarm.
FV ■ Essentially that painting was unconscious. Anyway even as a grown-up I never forgot the child’s extraordinary
capacity to reinvent reality in his own way, planning it for another task according to his imagination
and therefore “renaming” the things encountered in the world just as the poet discovers and uses them.
It was also my favourite game as an adolescent, plunging into a magnificent aesthetic and supreme existential
freedom. Maybe that boy’s absent-minded and meditative poses you mention reveal or explore
his love for the things of the world or the objects alien to it, his inventing signs, forms, combinations like
toys, to make peace and not war with the reality of the world. In that figure of a lad, bare in his spare
clothing, there may also be a need to assert that recovering the body we had in childhood is the most
important thing of our life.
GDC ■ I was amazed when I saw the photos where, equipped with pencil, square, and compass like
a Renaissance master, you are intent on drawing figures of classicism with the anamorphosis technique,
bent over large sheets of drawing paper upon which are placed reflecting cylinders, cones, and
spheres. Another shock, even a 180° spin after the stage we just mentioned, of an elaborate painting
but open to the randomness of chance. As though turning a spy-glass towards the past, from then on
you began studying the laws of optics, perspective representation, and the instruments of vision.
FV ■ Well, I began to feel that “the pleasure principle” had to tackle the reality of doing, even as regards new
means. Talking with Fabio Sargentini while I was painting the Flowers we began to discuss anamorphosis.
Actually Sargentini had glimpsed an analogy between my deformed flowers and anamorphosis. The greatest
anamorphoses ever painted are perhaps in Rome, the frescoes preserved at Trinità dei Monti in the Minimite
Friars convent. In 1639 Jean-François Niceron arrived in Rome. He belonged to the Minimite Friars order
founded by San Francesco di Paola, who had been called to France by Louis XI and lived there until he died.
Niceron was in touch with the philosophers and scientists of all of Europe, including especially Descartes
who, with the theologians concerned with perspective, believed that sight was the “supreme sense”, the one
enabling to discern truth from error. And Niceron painted at Trinità dei Monti the fresco where St John the
Evangelist is portrayed while writing the Apocalypse. It was precisely the use of the anamorphic method that
made this a moment of revealing, as the Greek word apocalypsis (revelation) indicates. Through the device of
a distorted projection the image actually remains wrapped in its follicle and only appears when the angle from
which you can see it is found. At first sight the Evangelist’s body looks like a vast landscape with countless
little scenes – the episodes of the Apocalypse – until it appears as a whole. This is how all these connections
and solicitations soon led me to become engrossed in experimenting with optics.
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GDC ■ Were you aware of the fact that anamorphosis was being used both in film and advertising?
Meaning that you were being offered a natural transition from the explicit advertising images you previously
used to a way of preserving the enigma of the image and its meaning, precisely thanks to this
method?
FV ■ In the years before I had read with great interest the essay by Jurgis Baltrušaitis on anamorphoses,
Thaumaturgus opticus. Meanwhile I was intrigued by the use of optics in 16 th - and 17 th -century
painting. David Hockney’s essay Secret Knowledge: Rediscovering the Lost Techniques of the Old
Masters had just come out. And of course I had studied the use of anamorphic techniques in film and
advertising persuasion. I wondered how to make a transition towards the enigmatic character of images
while rethinking the present in an imaginative form, considering the use of optics in the painting of the
centuries that led to modernity, in thought as well as image. All this intersected with my philosophical
interest in Spinoza. And with other aspects, for instance quantic physics that have affinities or appear in
the intuitions of Zen and Taoist thought. I was drawn to an idea: rethinking modernity by going back to its
origins in scientific thinking and technologies which at the time all lined up towards a single goal. That is
how I made those paintings and those images of statues - with such extreme anamorphic perspective
as to make the forms monstrous by deforming them - which I then took to the Biennale in 2011, having
been selected in the competition for Italian artists living abroad. For those paintings I used oil colours
and pastels. Sometimes I painted with the brush, sometimes with my fingers dipped in linseed oil and
a diluent so as to nuance the colours. To make the horizon and the background I used my fingers with
rubber gloves, appropriate for amalgaming the glow of the colours with dark blue, green, yellow, red,
earth tones, whites, and greys with a few shades of black. Ultimately those twisted images appeared,
frightening and undecipherable: seen from a certain point in space or reflected through the proper devices
they are recomposed, rectified until they reveal the figures not perceptible at first sight. After all, the
historic period we are living through is this, too.
GDC ■ What do you exactly mean about this historic moment of ours?
FV ■ I am thinking for instance of the monstrous deformation, through sublimation, of the transition from
our original instincts to those of civilised man that we have been undergoing since the 1980s. And the
distortion that has removed magic from the human body, decreeing the triumph of the death instinct. In
Western societies in these years some of the worst human traits have been glorified, love of money and
wealth as possession rather than means. Perhaps throughout history it has always happened, so I hope
I’m wrong, and that as humankind we shall be able to get rid of many of these pseudo-moral principles.
GDC ■ I well recall those pictures where the space, rhythmed by a horizon in the part that should be
reserved to the earth, shows figures curled up upon themselves, as if lashed by a rope that makes them
whirl like spinning tops. Constrained in atrocious coiling and improbable flights that catapult them into
space, they see flying over them the emphatic white entities of marble that float in the void. Were they
ever shown, in that Biennale or elsewhere, along with the tools that had been used to make them?
FV ■ The pictures of the Biennale, that also showed artists residing abroad with the collaboration of the
Italian Institute in Zurich, were presented in a mythical place: the historic house where Ulrich Zwingli,
the celebrated theologian who founded the Swiss Reformed Church, had lived. These coincidences
appeared to me, and still do today, magical. Zwingli was also one of the advocates of the tremendous
iconoclastic fury that burned all the paintings in the church. Among them, unfortunately, also many Swiss
Renaissance works. So it happened that a Roman painter’s visionary pictures were shown in the very
house where great theologians, philosophers, and mystics of the Protestant Reformation used to gather.
Maybe even Luther had been there. I entertained the hope that those rooms might have also been visited
by one of the mystic philosophers who most fascinated me and whom I have always admired: Jacob
Böhme, whom Luther defined “the visionary madman”. It was an unhoped-for honour for my works to be
shown in Zwingli’s house. The optical instruments invented for drawing, painting, and the other objects
adopted for making these pictures, on the other hand, were never shown, not even on the occasion of
the Venice Biennale.
GDC ■ In 2011, at almost the same time as this cycle of the Statue, your first video came out: Sol Lapis
Philosophorum. An openly alchemical theme alluding to the alchemists’ sun, that is, the Philosopher’s
Stone (Lapis) that you used, again this time, in a very special way. The animation video, accompanied
by Stravinsky’s Concerto in D for violin and orchestra performed by Cho-Liang Lin with the Los Angeles
Philharmonic Orchestra for about four minutes, shows each second a pencil drawing – in syntony
with the lapis theme -, that as you said is an essential artistic instrument. Those almost two thousand
black and white drawings, in a sort of colossal dance, present an archaic period youth’s return to the
origins – an allusion to the puer aeternus? -. Lying asleep, with his legs and arms immensely stretched
out, he breaks free from earthly bonds and quits the earth’s orbit, projecting himself into the cosmos.
Thus figures and images of history and myth file past before us along with works of art of all times as
in an endless procession. At the end, two eyeballs, brandished by the lad, are cast into the sea where
every vision returns, as in the unconscious, submerged and undisclosed. Here the transformation of the
elements is performed by a kind of astral body, a double: it extends throughout each historical era until
their divisions are erased and they are merged, as in states of clairvoyance, thus entering the everlasting
orbits of the cosmos and its infinite flowing energy.
FV ■ As you gathered, what happens in the video is the youth’s metamorphosis. I had invested those video
drawings with the ironic and automatic tautology of the pencil – the lapis –, endowing tool and hands
with a power and a magic skill. A lapis and an eraser were the sole and primary means for creating that
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video, also meant as the most elementary materials for achieving any kind of artistic activity. The same
thing happened with the editing. I eliminated every sophisticated and really technological aspect. With
the scanner I introduced the almost two thousand drawings, using a crude appropriation device. Then
when quite by chance I met Lukas Klopfenstein, a very young film animation and video student, with
whom I did the editing in the Lugano university technical school (SUPSI) classrooms, put at our disposal
free of charge, again something incredible happened. Once the editing was done, Lukas was amazed
when we inserted Stravinsky’s piece – an experiment in anamorphic music –, because the musical
piece, chosen without premeditation, was exactly the same length as our edited video. Meeting Lukas,
still a student and a novice in editing, was a coincidence and a special intuition that still delights me.
In 2008 his team, belonging to a major Canadian animation studio, won the Oscar for the animations
of the film Blade Runner 2049. That little video, made out of nothing, has become historically important
through mysterious, magic ways. Maybe because it truly wanted to be born.
GDC ■ In that highly productive 2011 your first lenticulars arose from that same video with the same title,
Sol Lapis Philosophorum.
Several figures – as would also happen in the next cycles – are grouped in a single panel producing
a motion like a bat of the eye, that occasions an adjustment of vision, again set off by the anamorphic
movement. Here the transparent, uniform colour of the background is an unusual green – it might remind
you of the amniotic liquid –, while the figurines have different coloured glowing outlines. The impression
of watching a cosmic dance beyond the law of gravity had already begun in the video motions but was
now becoming increasingly evident.
FV ■ Between 2011 and 2012 I indeed entered another dimension of my senses that is still with me. A
state of trusting expectancy of what appears, moves, and speaks within me as if out of a depth from
which I can draw over and over. The experiment had not been a simple one when I decided to use
lenticular panels for my drawings. The technological panel does not produce the work, it is merely a
means, but it takes a lot of precautions for it to succeed. In my case it was essential for those panels
to emphasise the image change in keeping with the various anamorphic perspectives of the drawing:
central, parallel perspectives, oblique, angular, vertical, or horizontal perspectives. I also had to be able
to make the volumes of the circles and the cylinders appear or disappear, barely shifting the gaze, in the
bat of the eye. Changing the viewpoint opened up another perspective. This implied another aspect, the
communicative level of the object to be made, either esoteric or exoteric, that is, the intrinsic message
that to change perspectives you had to blend the various viewpoints. The title remained the same Sol
Lapis Philosophorum. I contacted several laboratories but no one wanted to make lenticulars with finelined
drawings like mine. They told me they would never work and that I should have used photography
rather than drawings, advising me against it in every way.
When at last I found someone willing to produce them, I focused on the colour play in the movements of
the perspectives of the various drawn nuclei, and on testing their movements with respect to the background
colours. If the backgrounds were white, light, or pastel, the images might disappear and merge
with the basic colour of the panel as though in a sort of amniotic liquid – exactly as you said –, because
that was the very effect I sought to achieve. In the few months of experiments, once the solution was
found, the prototype was also ready to be printed. As soon as the first print was done we were aware of
the harmony, the dancing pirouetting of the images, and the cosmic sense of those perspective in various
colours, steeped in the transparencies of the background colours. We were amazed by the optical
effect produced with those subtle images, as if seeing an evanescent visual thought steeped in stars.
GDC ■ At this point the cycles of your work begin to follow one another at a swifter pace and with
deeply connected intentions. In 2012 there was Il Sogno di Keplero/Kepler’s Dream: the atmosphere
in which are floating your drawings inspired by the Somnium – the great scientist’s short vulgarisation
work -, becomes increasingly rarefied. The evanescent colours shaded from grey to pink, from blue
to white, consistent with the idea of the cosmic journey, envelop all the images, making them filter
and then vanish through a gaseous light. So the drawings no longer burst inside the transparent surface
but appear to evaporate in mid-air. Your imagination, on the other hand, is increasingly directed
towards the fusion of art, science, and magic that inspired great past centuries and in particular the
Court of Rudolph II in Prague where Kepler worked. In the Somnium - already almost a science fiction
story -, Kepler invented a fabulous device for describing the position of the planets in Copernic’s
heliocentric vision that he had adopted, convinced that for an ordinary reader his Astronomia Nova
(1609) was too complicated; he imagined going to the Moon travelling on the cone of shadow cast
by the Earth during a lunar eclipse and then returning to the Earth during a solar eclipse. But although
clandestine, the booklet was discovered. Kepler being an imperial mathematician and astronomer
was in too high a position to be attacked directly, but he was forced to defend his mother accused
of sorcery by the Protestant Church in a trial that lasted six years. Reflection on the Sun, the philosophers’
stone, that you began the year before thus found a further opportunity for thought in the
imaginary journey of Il Sogno di Keplero.
FV ■ Kepler’s Somnium fascinated me as a sort of Astronomical Science apocalypse in psychoanalytical
terms. An inversion, an overturning. That little book, considered the first science fiction work, underscored
the importance of artistic and imaginative expression in Science and human life. So I wished to
suggest an apocalyptic, prophetic role of art in the metamorphosis of thought. This meant trying to form
with the technology of those lenticular panels a “Kepler’s apocalypse”, after all the ones by Abraham,
Moses, Peter, and John. I realised that with empty, very fine drawings printed on the panel’s vertical
grooves you could create an optical effect of evaporation, especially with linear images on a uniform
transparent background, so I drew empty figures, like a transparent design on glass. I also outlined them
on transparent plastic to see how superimpositions and evanescent dissolving of dreamlike images on
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the panel with vertical grooves would look, while seeking to strain the limits of that technology, without
overlooking reflection on the sun, shifting positions of the constellations, and constant transformations
of the universe, playing at developing a series of ethereal drawings on that technological support, until
finding, if possible, the very apocalypse of that material.
GDC ■ As a whole the lenticulars produce a galvanising effect, an amazing magic, but looking up close
at your drawings, one after another, is an essential experience, also because of the number of themes
– as if drawn from several archaic inventories – that you wove inside them.
FV ■ It was an automatic form of drawing where I was trying to be highly concentrated, almost with my
eyes closed, to make the figures rise out of the unconscious with their symbology. I sought to integrate
body and mind without a hierarchy of meaning, erasing the supremacy of the brain, trusting in my fingers,
touch, with their extension in the pencil. Then I revised the drawings on small reflecting plastic
cylinders and drew them all over again. At this stage I used a child’s play technique for the shadows of
those figures. I cut out the drawings with scissors, then with insulating tape I put them upright in three
dimensions on a sheet of paper and traced the shadow cast by the light coming in through the window.
GDC ■ Actually one of the most interesting and intriguing aspects of these drawings is precisely the
shadow each figure appears to carry behind it like an enveloping membrane that dilates but cannot
detach itself from it. 2012 was also the year of your video on the Zodiaco theme. The milky glow of the
perfectly visible signs stands out against an intense night sky, teeming with stars. Up to now nothing
more extravagant than the delight this fascinating vision renews, like being in a Planetarium. Yet there are
thirteen signs instead of twelve like all the zodiacs up to now. Why is that?
FV ■ It was another apocalypse, astrological this time. On that occasion I was inspired by one of the
NASA astronomers’ experiments. After two thousand years they drew a new map of the sky: based
on the calculation of the shifting of the Earth’s axis a new constellation had appeared, Ophiuchus.
An event that could even influence our life on Earth by a new subdivision of the astrological signs.
So I introduced the sign of the Ophiuchus or Serpentary (the serpent bearer, in Latin Ophiuchus) in the
midst of the 12 other zodiacal signs. The codified sign of this new classification represents the one
who holds the serpent. It is actually a very ancient constellation already mentioned by Ptolemy with the
48 original constellations. With the new configuration the constellations - including the ones considered
modern – became 88. The Ophiuchus that was placed between the original constellations from
29 November to 17 December, moving all the other signs one month forward, was precisely the one
that came closest to the Earth in the expansion of the Milky Way. So as I said, an astrological apocalypse.
For me inserting Ophiuchus in the Zodiac became a prophetic message of metamorphosis or
change of life on Earth.
GDC ■ I used to measure the skies, now I measure the shadow of Earth. Sky-bound was the mind,
earth-bound the body rests. I thought of those words engraved on Johannes Kepler’s headstone when
I saw the new installation you were preparing in which your atrociously lacerated body was reproduced
with a raw likeness, including your own viscera, as in an anatomical plate. The title you gave this resin
cast with all the inner organs, planned at the same time as Il sogno di Keplero in 2012, was Nulla succede
per la prima volta / Nothing Happens for the First Time. In this title I think I recognise a sudden
reference to the Earth compared to the flight of the spirit into another dimension, and an allusion to the
eternal repetition of the History of Man and perhaps the mythical sacrificial theme of Dionysus Zagreus,
also the origin of the figures of Orpheus and Christ.
FV ■ For me that vivisected sculpture remains an unconscious image, an archetype. Something that
belongs to human reality and is repeated in History. You’re right! And it is like the omen of a fall of gradual
history or, if you wish, of an entropy that concerns the theory of the end of history in the consumer system
where each body has become a consumer object. Maybe I felt the urge to return to the constitutive
myths to start all over. I did not know what I could set off in the beholders, I thought of the description of
psychanalytical events conveyed in the unconscious that are repeated in History as Norman O. Brown
suggested, so I chose that title. I thought we should re-examine the illusion of the eternal return of the
same by Nietzsche, Zeno, Heraclitus – All things come out of the One, and the One out of all things –
that led to the idea that when the stars would assume the position that was theirs’ at the beginning of
the Universe there would be a huge conflagration and Time and the World would begin a new cycle.
A palingenesis, a regeneration represented by those pieces of a body in resin once assembled.
GDC ■ After the turning point determined by Nulla succede per la prima volta / Nothing Happens for the
First Time, in 2013 there were many new works, always in different techniques, ranging from the lenticulars
- Optical, Pompeiani – to advertising technology – GRATIS –, to bronze sculpture Sesso primario
non diviso / Primary Sex Undivided (male and female). Then for the first time the theme of sex appeared,
from a new angle, connected with sight and the eye.
FV ■ The objects and sculptures you mention are like thoughts seized in a flash but after a deliberate
decision, thinking about the union of opposites – a coniunctio oppositorum – in the bronze sculptures,
as in the phallic symbol made with women’s braided hair, an emblem of power in the matriarch’s hairstyle
in ancient matriarchal societies. Gratis is one of the most universal Latin words. In this luminous sculpture
– in fact a ready-made – I used the most common sliding Led ads utilised all over the world. And its
allusion to a difference with merchandise is obvious once it is installed in an artistic context, where the
experience is like a repetition of the “gift” consistent with the exchange rites practiced in archaic societies,
studied by the anthropologist Marcel Mauss. The lenticulars Pompeiani and the Opticals of the same
period are also visual objects caught on the crest of time. Opticals have the same colours opticians use,
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complementary green and red on which the numbers and letters for measuring optical dioptres are read.
In Pompeiani I attempted a change of paradigm. The Eros figures in the Pompei frescoes represented
the winged slaves like angels happy to rejoice the court of Roman notables. It was perhaps just this they
wished to hand down to posterity with a slight guilt complex. Actually I believe the slaves and servants
of the time were horribly maltreated. In the drawings I juxtaposed the frescoed happy slaves to images
of hanging, bound, and tortured slaves.
GDC ■ After the dissolving, separation, and physical corruption undergone by your body – now a mere
slough – in Nulla succede per la prima volta / Nothing Happens the First Time –, it seems to me that
like an alchemist you are striving towards the unity of opposites and the perception that sees beyond
the misleading compulsion of the senses. Thus after solve, coagula. The two hand drawings on a white
ground and a black ground – Il pene ciclopico / The Cyclopean Penis – (2014) represent the duplication
of your right eye; inside it, on a reflecting background, the outline of a phallus stands out blocking its
sight. You told me yourself that in Jungian psychoanalysis the adjective “cyclopean” refers to the child’s
discovery of sex in the parents’ bedroom when it is impressed on his or her eye – whether a boy or a
girl – as a decisive shock. You accompanied the double of your eye with the ritual African sculpture Matriarcale
/ Penelope (2014), that shapes the male sex with tight woven female hair, so as to join the two
polarities. A way of telling us of the transition from a gaze blinded to reality yet where male and female
finally coincide?
FV ■ In the case of Matriarcale / Penelope and Il pene ciclopico / The Cyclopean Penis as in the mythological
tales I meant the eye as everything that is impressed on sight through shock and passed on
to us through the mechanism of phylogenetic memory. I tried to represent the mystery of imagination in
sculpture, painting, drawing, interpreting the objects as if they were in a theatre of the absurd or paradox.
I meant to fill the distance between work and beholder to regain possession of the attitude of a primitive
mind, the participation and the bond between perceiver and perceived, retrieving by telepathy a possible
common archetype. So I sought to represent the fusion of subject and object, male and female, a
dual unity in the attempt to glimpse a rebirth, a regeneration in a world where we only know generation.
The greatest experience in this life of ours would be to return to the world after a second birth, beyond
the limits that characterise generations.
GDC ■ Is that why in a mood of deconfining or dissolving limits, in 2014 you also conceived Il Fumo /
Smoke, twenty-four panels where you represented yourself in profile blowing smoke onto various “prohibited”
signs to obliterate them?
FV ■ The smoke work sought to be a waking dream and in this case my head represented the body’s
entrance in the lenticular support. The smoke blown out of the mouth makes you think of an unexpected
gust of wind. The work consisted of a hundred or so photographic movements of the smoke reproduced
on twenty-four lenticular panels. For the show I made them in several dimensions, at first I used
only twelve. The smoke moved between my two heads in profile, chasing away the prohibition signs.
When its moving trail came near the other head, that one was dissolved to then reappear, pushing the
smoke in the opposite direction, like a wave from the right to the left of the panels. It was also a play
of moving images to enhance the technical and aesthetic potentials of these technological supports,
casting a spell.
GDC ■ In 2016 you started to analyse, increasingly in depth, the figure of Paracelsus as well, developing
a further important cycle of drawings inspired by his conceptions. Born in the late 15 th century in
Switzerland at Einsiedeln – famous for its 17 th -century abbey, the site of endless pilgrimages because
of the magnificent Black Madonna worshipped there –, Paracelsus is a figure partway between legend
and reality for his discoveries and inventions in the field of medicine such as iatrochemistry, that is, the
application of mineral substances for healing patients. What is the connection for you between this figure
and the other essential ones for you, Spinoza and Kepler?
FV ■ I wanted to tell symbolically, through images, about all those great men who endured the oppression
of control over their free thinking. Paracelsus, Kepler, Spinoza, but there could be so many others,
like Giordano Bruno, Galileo Galilei, and all those dialectic dreamers who saw things others didn’t see.
A kind of hymn to free thought. Paracelsus is especially interesting as a reformer of the medical professions
and a great advocate of natural magic, that we so lack and that in this historic moment could show
us a major ecological evolution for the survival and respect of the planet. And Paracelsus’ apocalyptic
speculations are artistically important to me, with those magical figures, conceived to be engraved –
hence my research in bookstores and libraries -, each with its own caption: authentic works of art created
with 16 th -century printing and publishing pioneers like Heinrich Steiner.
GDC ■ In 2016 many of the Paracelsus cycle drawings converge in an animation video where the projection
assumes a distinctly bewitching character. Here again we see your proneness to reinvent technology,
reducing it to an essentialness that is characteristic of poetic expression alone. The drawings
are projected on a pad of A4 sheets, while your hand, also projected, appears each time to move the
sheets, framed by two mercurial white wings introducing the passage to the next drawing.
FV ■ The idea of projecting on A4 sheets was an intuition: to film the hands leafing through the drawings
as if they were the extension, in a material made of light and projection, of all the beholders’ hands.
The projection is sheer illusion, misleading the eye, through the fiction inviting to leaf through the sheets
onto which the drawings are projected. The ream of sheets forming a screen for the projection is white
and that is when the confusion between the eye and the projected hands is produced.
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GDC ■ It was again in 2016 that you created the great video dedicated to Kepler that assembled many
of the drawings originally made for the lenticulars, as well as the resin sculpture Giravolta – its corollary
– that represents you poised in a cosmic somersault.
The video differs in its conception from the earlier Sol lapis philosophorum. It does not represent the
gradual development of a story unfolding like writing before our eyes, but alternates several images in
swift waves approaching and withdrawing in eddies, drawing the beholder inside the cosmic vision. The
musical background composed with Gaston Dupuy resembles a breathing evoking the to-and-fro of the
sea. Later your suspended profile was integrated in the 2012 Zodiaco, even though it clearly refers to
Kepler’s cosmic journey.
FV ■ The video-sculpture Giravolta also has its magic rule. To Kepler’s journey to the moon I added the
self-portrait sculpture that is like a comic strip of myself inside the Zodiaco video. In that video-sculpture
the sculpture part could be installed in several ways, but its spontaneous birth was combined with the
Mattatoio space, so the video-sculpture is just one of its unlimited quantic possibilities of being. Here
we have probabilities, this sculpture can exist somewhere in space in an undetermined way. The same
mutation of probabilities of existing in an exhibition space could be represented when the video-sculpture
would be in a new installation.
GDC ■ In 2017 you made a tablet where the Paracelsus cycle drawings were combined with those of
the Kepler and Spinoza cycles. It is again your hand moving over the screen that makes the various images
appear as if by magic. And that same year you developed the first work of a new type: the sound
painting In the village. On the Lugano skyline, painted in oil on canvas you mounted a fragment drawn
from the famous TV science fiction series The Prisoner, where a man’s voice with a strong Scottish accent
declares he is not just a number but a free man, and breaks out in raucous laughter.
FV ■ In these works done with the video-tablet or painted on canvas like In the village – its theme is
the interrogation in The Prisoner, the 1968 TV series -, there are references to science fiction comic
strips about systems of social control and intuition of the possibility of escaping time and being
beyond time in one of the countless parallel worlds as happens in quantum quarks. I believe the
combination of Politics, Philosophy, Medicine, Science in my drawings occurs to me like an urge to
explore parallel worlds where different things can happen, through a fusion of the sciences. After all,
the electromagnetic theory can teach us and explain to us even why Professor X of the American
science fiction comic strips in the 1950s-60s could read people’s minds. And it sometimes also happens
that intuition precedes science, just like in the chaos of Kepler’s science fiction dream in the 17 th
century. Today physics can reveal to us the secret of the power of Superman, the Man of Steel, and
even explain the invisible woman in the comic strip The Fantastic Four who can see even when she
has become transparent.
GDC ■ In 2018 the project of your retrospective in Rome was approved, at the ex-Mattatoio (former
Slaughterhouse), one of the most significant industrial archaeology sites in the city, and a pole of research
and artistic and cultural production of the City of Rome. This gave us the opportunity to analyse
the course of your work, showing it in over ten thousand square metres, from the first publicity paintings
in 1986 up to the works of 2018. For the occasion several new cycles of lenticulars were born, dedicated
to Paracelsus, as well as three panels: Solidi. Onde di probablità – Solids. Waves of probabilities,
and the video Accomodamenti /Accommodations in tribute to Spinoza. We were also able to produce
together the Baruch Spinoza art book you had so longed for. You created for it the twenty-four drawn
plates, the cover, the incipit, and the conclusion – in an edition of 200 copies - , while I curated the entire
graphic layout with the texts in Latin in capitals, and the booklet with the critical essays and translations
in Italian and English. The sentence you wished as a preface to the book: The Observer can change the
position of the drawings according to his own way of understanding the drawn story, you also wanted to
illustrate with the video Accomodamenti as a tribute to Spinoza’s theories.
FV ■ In the Accomodamenti video an invisible form moves the drawings. This larval outline potentially
suggests that of all the beholders. Similarly Solidi. Onde di probabilità shows the possibility of being each
time in a different perspective spot in space, each time shifting the eye over the lenticulars. Observing
them we do not know exactly where they are, we shift from one viewpoint to another but depending on
the probabilities they could be in various points of the visual space. Baruch Spinoza with his rationalist,
scientific, and philosophical investigation, as in the study of the natural world, is a man of the future.
A sort of “super hero”, and I wanted to celebrate the man of tomorrow in a drawn story.
GDC ■ The crux of the exhibition was drawing – this is also why the book was a very important part of
the exhibition -, but my choice to also present the videos within the ensemble, intermingled with the
paintings and installations without a break, offered the opportunity to discern an ongoing narrative: even
changing its technical and expressive range it achieved its unity in the metaphorical, mental dimension
of an elaborate, multidimensional reflection process. It added cohesion to the delicate unfolding of the
linear traceries, perceptible through the suspension lighting, the sound flow that made the course vibrate
throughout, keeping the mood in tension. And I would say the exhibition was met with surprise and appreciation
by both the critics and ordinary visitors, as well as the many members of your former artistic
set who no longer knew anything about your work.
FV ■ For me it was like coming out of twenty years of isolation and this made me very pleased. I always
believed that the arts and poetry ought to point to an ethical and emotional use of knowledge.
Both by temperament and training, the dehumanising social success or cultural power promotion that
have blatantly characterised the end of the past century never interested me, maybe that is why my
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work was mostly unknown. And the interpretation of my career you were able to suggest certainly also
contributed to the show’s success.
GDC ■ I was thinking that the apocalyptic themes you have constantly been tackling since 2011 in ever
different ways are encountering, right in the midst of this dialogue of ours, a stunning confirmation in
the ongoing pandemic. Rereading the history before the destruction of the Temple of Jerusalem in the
1 st century AD we see impieties of all kinds, wars, catastrophes, famines, pestilences, earthquakes,
fires, dissolution of the laws of Nature. It seems that the wisemen called them “the Messiah’s birthing
pains”. So Nulla succede per la prima volta / Nothing happens for the first time, just as the title of perhaps
your most crucial work suggests?
It is difficult to imagine what will happen now, after “La Grande Bouffe” of the past thirty years. Hell is
quantity versus quality, promiscuity versus individuality, repetition versus difference, excess versus moderation,
abuse versus legitimacy, din versus silence, and so much more. Can we once again defend the
values of humanity, awareness, liberty, and spirituality? In 2011 you spoke with foresight of an “evolutionary
end of homo oeconomicus” and his “passage towards homo jucundus”, but just how possible
would that be?
FV ■ Nothing happens a first time is a sentence that hammered in my brain ever since the 1960s and
inspired the work I created during a poetic and anthropological reflection on the chaos created by
the proliferation of “art” objects and “artists” of the globalist and colonial scene of the contemporary
art system. I did the sculpture between 2011 and 2012. Now I felt the image of a sacrifice, an act of
violence and rupture, the infraction of a limit had to be shown to both indicate and vindicate that culture
and human sacrifice are the same thing. An act of revolt against the cultural phantasm proposed
by the specialists of the contemporary arts collective consumption, recalling that ancient knowledge
represented by the “poet’s sacrifice” that is repeated over and over in human culture. To step back into
the limelight of his own history the artist, stripped of authority and expropriated of his own social role,
must undergo the sacrifice of his own body. Only a few grasped the metaphor. They were content to
observe, surprised and intrigued, the visual effect of a lacerated body. To understand it, maybe the
countless interconnections between bodies in the characteristic mysticism of Nature might help. Yes, I
agree, hell is quantity versus quality, promiscuousness versus individuality, repetition versus difference,
excess versus moderation, din versus silence. In these years, in the revelry of consuming of which
by now we were sated, every once in a while I hummed to myself Vecchioni’s El bandolero stanco:
che se ne va dov’è silenzio, dov’è silenzio, dove. Now – because nothing, precisely, happens for the
first time – the time has come to defend the values of humanity, awareness, freedom, spirituality. I
am not sure that individually, faced with the usurper’s collapse right before our eyes, we shall be able
to experience that awareness that does not need a divine scapegoat - as Norman O. Brown writes
quoting Bataille, Blake, Nietzsche, Spinoza –, adding that “the grand Inquisitor” wagers that circuses
will suffice to satisfy the masses, whereas the Dionysians wager that the Grand Inquisitor is mistaken.
Homo jucundus, wounded, lacerated, sacrificed, may no longer have a reason to exist individually,
but instead find his fulfilment in a kind of interconnection between bodies, Nature, and the universe.
In this I still glimpse the role of the artist and the poet, or the “poet-artist” as protagonist, because truly
“nothing happens a first time”.
GDC ■ You remind me of a piece by Baudelaire, when he reads in the figure of the poet (and the artist)
a sort of disembodied awareness of the crowd – the great theme borrowed from Edgar Allen Poe’s Man
of the Crowd – and 19 th -century Paris seen as the true song of modern life. Baudelaire’s claim is that the
poet, placed on one of the points of the circumference of humankind, sends back upon the same line in
more melodious vibrations the human thought that had been handed down to him: thus every true poet
should be an incarnation. Maybe mutatis mutandis we already have here a revival of Spinoza’s themes
that continued to fascinate you over the years, those of a single organism that you form with the various
expressions of Nature: one mind and one body.
Your latest works Lo stesso gesto in un altro spazio-tempo / The same gesture in another space-time
(2019) play on the science-fiction possibility – and hypothesised by great scientists since Einstein – that
we can overcome the temporal condition, instantly transferring ourselves in another dimension, arresting
the flow of time. A condition of metaphysical, extra-human everlastingness where nothing happens. Is it
with this idea that by a sort of photographie mise en scène or staged photography you entered in Vermeer’s
and Velásquez’s paintings through digital photography, furnishing them with present-day actors
and objects?
FV ■ The sensation I wanted to try out was that of overcoming the temporal condition to enter a parallel
world. Actually, pursuing earlier research I was interested in the use of the camera oscura by artists
like Vermeer, Velázquez, Caravaggio, Canaletto, and many others who, according to David Hockney’s
notion – and not only his –, used it before the invention of photographic acids in the late 19 th century.
Less than a month after the show – today images go around the world in real time – and already in the
midst of the quarantine, art reviews, museums, galleries, and foundations invited artists to engage in
the visual reinterpretation of works of their collections, and paradoxically the fashion went viral. A sort of
mass cannibalism that of course was not interested in exploring methods of representation or eventually
using the camera ottica, that is, a behaviour of sheer appropriation, a “do it yourself” that appeals to the
ordinary man more than the artist, in so far as it “does” without the slightest specific cognitive curiosity.
Interesting, however, for a psychoanalysis of the masses. Now, I am experimenting visions of a parallel
quantum world and the definition of what I have called “a space alongside time”.
GDC ■ When you told me about these works I thought right away of the theme of immortality expressed
by Gino De Dominicis, although interpreted in another form. So shall we stop, shall we find our nook of
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eternity in the shadow of these great European and world masters and geniuses, or shall we set off and
start on our quest all over again?
TEXTS ALREADY PUBLISHED
FV ■ De Dominicis pointed out an essential path in the study of myth and the concept of immortality.
Now I believe we have reached that last station that artists, poets, philosophers, geologists, scientists,
religious and wise men of all times had prophesied. If we do not achieve peace between the exuberant
energy of life as self-destructive expense and the egoistic economic power of death, the Anthropocene
will merely have been a passing phase between the countless geologic eras. Nature will rise up against
human oppression, but life and death, they immortal indeed, will surely find beyond the human species
other ways to achieve and reproduce themselves.
Alighiero Boetti & Fosco Valentini
by Hans Ulrich Obrist
To confront a map is to confront a particular tempora! and spatial reality. The process of map-making,
however, is always historically rooted. As the cartographer Denis Wood once observed, we are
‘map-immersed’ in the world - which is to say that we are immersed in both truth and its inevitable
distortion and revision. To confront, then, a history of map-making, is to consider not one, but a multiplicity
of space-time realities; an ever-changing flux of representation arid global mark making. In the
long story of representation and reality, map-making has always been synonymous with our various
attempts to historicise.
My passion tor maps began with Alighiero Boetti. When I was seventeen, I met this visionary artist
and he changed my lite in many ways. Crucially, he introduced me to ideas around map-making.
Throughout his career, Boetti embarked on several mapping projects: extraordinary collaborations in
Afghanistan and, later, Pakistan, which intertwined the aesthetic and politica! concerns, craftsmanship
and the artist’s physical journey, as well as the negotiation of linguistic and physiP3I borders.
Boetti was responding to a contemporary context of globalisation whereby pre-existing borders that
are defiantly carved out on the majority of maps are rendered somewhat redundant within this new
global situation. In 1971 Boetti commissioned Afghan embroiders to create a map of the world,
with each country bearing the colours and patterns of its flag. This commission grew into a beautifully-crafted,
large-scale series of maps produced over a period of twenty years. Each map tracked
geopolitica! changes throughout the world: the break-up of the Soviet Union, the unification of Germany,
disputes over territories in the Middle East and regime changes in the Eurasian peninsula.
lt was with Boetti that in 1987 I met the artist, Fosco Valentini, where we discussed the former’s extensive
and labour-intensive project of map-making. lf Boetti’s maps respond to the geometrie basis that
informs this medium’s aesthetic, with its abstract and essentially ungraspable image of earthly totality,
then the work of Valentini responds to the profundity of this confrontation on a highly human level. Universal
renditions of human bodies dance across a flattened image piane alongside of visual repertoire of
scientific invention and spiritual symbolism; these subjects appear groundless, in motion, and uprooted.
In other works the human body becomes entangled with different reproductions of our planet; humorously
balanced on top of a glebe or casting a shadow over a miniature solar system.
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In line with Boetti’s conception of our world and its borders as fluid, flexible and chaotic, so Valentini
positions its human inhabitants amidst this global disorder. Where Boetti subverts cartographical
representation from within its stylistic convention - the unfolded sphere that is captured by the eye in
its totality - Valentini embarks on a different kind of map-making, one that imagines a world in which
the ground beneath our feet is removed. In his depiction of subjects in a constant state of free-fall,
Valentini gestures towards a world where the distortion of borders has gane tao far, where difference
is lost rather than gained in the cross-cultura! and cross-border exchange that characterises our
contemporary state of globalisation.
London, May 2018
A born colourist
by Fabio Sargentini
It’s spring, I note happily, looking out of my window at the flowers that have invaded the balcony opposite
that had been bare for too many months. I look back at my desk , scattered with the photos of flowers
painted by Fosco Valentini.
It’s spring for them, too, after Fosco has grown them and watered them lovingly for a couple of years.
Every time he comes to Rome from Lugano and brings them to show me so we can discuss them together
they reveal themselves as ever more beautiful and personal. Is there any more abused subject
in painting than flowers? From Van Gogh’s wildeyed sunflowers to Warhol’s serial roses, just to remain
within our epoch, uncountable numbers of great artists have measured themselves against one another
in this genre. I like many of them even if I must confess to a passion for Mafai’s dried flowers. Well,
Fosco, by no means intimidated by these illustrious precedents, looks neither to left nor right, counting
above all on the originality of his colours. He’s a born colourist. Tache is a painting technique of which
Fosco is a maestro. He doesn’t use it in a casual, anarchic manner, like a certain informal painting of the
‘50s, called specifically tachiste, but he skilfully directs it onto the silhouettes of the flowers. The relationship
between the monochromatic background, whether it be purple or green or blue, and these filiform,
dappled flowers, stems, flower petals and leaves, couldn’t be more pleasurable. Its merit lies in th e fact
that you never know if you are looking at a still life or a landscape.
I avert my eyes from the photos on my desk. I open my small exercise book to note down some ideas.
A four-leafed clover I had forgotten slips through my fingers from th e pages of the book... it is flat, intangible,
it’s a close relative of th ose flowers in the photos. Good luck, Fosco!
Rome, May 16th 2008
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The eyes of toyland
by Mario Garriba
«Pinocchio, instead of turning into a boy sets off secretly with his friend
Lucignolo and heads for the “Toyland”. “… there are no schools there:
there are no teachers: there are no books. One never studies in that
blessed country. There is no school on Thursdays: and every week is
made up of six Thursdays and a Sunday. The autumn holidays begin on
1st January and end on 31st December, if you please. This is the sort of
country that I like! This is what all “civilised countries” should be like…”»
(Carlo Collodi: The Adventures of Pinocchio)
Meeting Fosco means lengthening the day. It doesn't have the usual 24 hours but day and night
meld together and continue . One word leads to another and time stands still in a present made up
of past and future. Rome is too big for him but Lugano is too tight and he wears casual clothes. l
always come across him by accident, turning a corner, coming out of a tobacconist's, catching a
bus by the skin of my teeth or he catches me by surprise when I'm sitting at a little table outside
some cafe. He even catches me out in winter because I like to Smoke. And the conversation takes
up from where we had left off, even two or four months previously, maybe about a question that had
been left unanswered.
With him I can talk about everything and anything. A freewheeling conversation. Sometimes he surprises
you with the irony of his intelligence: “I think that I have made a lot of mistakes in my life… the
only thing I got right was marrying my wife… exactly the opposite of what she says”. Sometimes he
can become boring, especially when he talks about existence, following the philosophical trap of
one of his early maestros, Aldo Braibanti. But even then you listen to him with a smile on your face,
enchanted by his recollection of all the new meanings and forms of the word revolution. Cosmic revolution,
revolution atlantidea, revolution of the age of Aquarius, the New Age revolution, revolution of the
nude classes, the revolution of the outdatedness of the psyche, revolution of the great imbroglio, the
revolution of the planet's new partisans, the revolution of the thundering silence, the Zen revolution,
the revolution of the round devil, the quark revolution, the revolution of the planetary armistice… “and
other congeneric flowers”, as Collodi writes at the end of his description of the Land of Play. When at
night he stares at the sky that is too vast he is still searching for his own personal star. Even if the sky
in Lugano, closed in as it is between the mountains, seems smaller and everything would appear to be
easier. But it's not like that for he who has seen wide open skies. It's then that, in my opinion, Fosco
begins to paint. Everything turns into the coloured line fleeing from one of his paintings that, once set
to one side, he has then picked up again and, surprised, finished.
He suddenly comes out with one of Metastasio’s phrases, gifting you with a beautiful sensation: “I’m
not leaving and I’m not staying but I feel that same anguish I would have on leaving, that I would have
on staying.”.
Or I might open his short diary on the existential philosophy of cannabis at any page and I would read:
“… the fan emitted a pleasant metallic north wind” and it reminds me of the best Paolo Conte, and
perhaps even better. Fosco has disorderly eyes that range over everything and everywhere and he
uses this to build a strange kaleidoscope which invents unpredictable figures. He has his own body
language: he gets onto his powerful motor bike ritually, he zips his jacket up to his chin and disappears
inside his crash helmet. But you would recognise him even from the back. When he picks up
a glass he holds it tightly like the hand of a friend. His gestures are those of one who moves about
in the world as he moves in his own house. But Fosco also has a syntax and then the conversation
moves along demanding paths and becomes the history of his thought.
Like all those who live in a cafe he drinks slowly so as to remember. If he turns his head he doesn’t
see the wall behind him or the small table next to him but rather some fifty years of life: colourful days
in Rome spent between the Campo dei Fiori and Piazza Navona, the mirror-like canals of Amsterdam
which he got to by hitch-hiking, lucky meetings between painting (Boetti), music (the music of the
meadows and the piazzas), poetry (Pasolini) and theatre (strictly off). And this habit of his of looking
around creates wide spaces to be painted. The people and things become ideas. The dream
becomes a gesture and the gesture becomes a dream. With a certain airiness the sense is open
to interpretation and misinterpretation. Just like another cigarette end stubbed out in an ashtray.
Perhaps he did betray pop art in favour of arte povera or video art and this has meant his remaining
poor. Perhaps.
At the end of the ‘70s Francesco Clemente reminded him: “Fosco, minority is art, I’m a minor artist…”.
And he repeats it today: “an important lesson that I didn’t understand at the time! As a matter of fact
it’s quite true that the most beautiful paintings of the great masters are those painted when they were
minor artists”.
I’m in films and he paints. If we go to see a contemporary art exhibition together he only talks when
moving between paintings. He sees details that you would never see unless they were pointed out to
you. You would go back but not him. I’m sure that if we went to the cinema together, sooner or later
he would fall asleep, allowing himself to be enchanted by my later account of how the film ended. In
this sense we are alike: sense and imagery coincide. Two children still with a surprised air, curious
and amused. The eyes of Toyland.
Florence, May 11th 2008
190
191
Indice delle illustrazioni
pp. 15, 17, 18, 19, 20
Performance fotografica.
12 fotogrammi cm 40 x 30
presentati alla X Quadriennale Nazionale
d'Arte - La Nuova Generazione, 1975
p. 24
Catalogo X Quadriennale 1975;
Rivista Imprinting 1975-1979
p. 26
con Alighiero Boetti
alla mostra della Loggetta Lombardesca
della Pinacoteca Comunale
di Ravenna (a cura di Alberto Boatto,
15 dicembre 1984 - 24 febbraio 1985)
da sinistra
Marilena Bonomo, Giulio Guberti,
Alighiero Boetti, Alessandra Bonomo,
Fosco Valentini, Guido Nati.
S'intravvedono le opere Colonne 1968 e sullo
sfondo “Storia naturale della moltiplicazione”
1974 - 75
p. 27
Bella Napoli 1985-86
1985 - 86
Walkman Sony // Superga // Nazareno Gabrielli
acrilico su carta, cm 22 x 40,
collezione privata, Roma
p. 29
Tunnbröd 1986-87
acrilico su carta, cm 90 x 35
p. 30
Walkman Sony 1985-86
acrilico su carta, cm 30 x 22
Superga 1985-86
acrilico su carta, cm 30 x 22
p. 32
Caviar 1986 - 1987
acrilico su carta, cm 35 x 90,
collezione privata, St. Moritz
p. 34
Nazareno Gabrielli 1985
acrilico su carta, cm 30 x 22
p. 35
Ritratto di Emilio Prini 1995
acrilico su tela, cm 30 x 50
p. 36
L’ordine delle cose 2000
fotoanimazione 16 fotogrammi
Rabdomante 1999
foto da performance
22 fotogrammi, cm 30 x 24
p. 39
Fiori 1 2006
inchiostro e acquerelli su carta intelata
cm 150 x 100, collezione privata
193
p. 40
Fiori 8 2007
inchiostro e acquerelli su carta intelata
cm 70 x 100, collezione privata
pp. 42-43
Fiori 6 2008
inchiostro e acquerelli su carta intelata
cm 150 x 200, collezione privata
p. 45
Oggetti 1 (Le sedie) 2007
inchiostro e acquerelli su carta intelata
cm 150 x 100, collezione privata
p. 47
Figura astratta 2007
inchiostro e acquerelli su carta intelata
cm 150 x 100, collezione Museo Cantonale
d’Arte MASI, Lugano
pp. 48-49
Oggetti 2 (Giocattoli) 2007
inchiostro e acquerelli su carta intelata
cm 100 x 150, collezione privata
p. 51
Fosco Valentini nel suo studio
al lavoro con gli strumenti per le anamorfosi
p. 53
Statua in blu e nero 2010
olio su carta intelata, cm 155 x 100
p. 57
Disegno per il video Sol Lapis
Philosophorum 2010
matita su carta, cm 30 x 21
p. 59
Disegno per il video Sol Lapis
Philosophorum 2010
matita su carta, cm 30 x 21
p. 61
Lenticolare Sol Lapis Philosophorum
2011
pannello in perspex, cm 110 x 100
p. 63
Disegno per Il sogno di Keplero 2012
inchiostri su carta, cm 30 x 21
pp. 64-65
Il sogno di Keplero 2012
(test 1e 2 per il lenticolare) 2012
cm 110 x 100
p. 66
Il sogno di Keplero 2012
(test 2 per il lenticolare) 2012
cm 110 x 100
p. 67
Disegno per Il sogno di Keplero 2012
inchiostri su carta, cm 30 x 21
p. 69
Disegno per Il sogno di Keplero 2012
inchiostri su carta, cm 30 x 21
p. 71
Zodiaco con 13 segni, video 2012
(5')
p. 73
Fosco Valentini accanto alla scultura in resina
Nulla succede per la prima volta 2013
installazione variabile cm 190 x 100 circa
p. 74
Sesso primario non diviso 2013
(femminile)
scultura in bronzo dorato, cm 20 x 40
Sesso primario non diviso 2013
(maschile)
scultura in bronzo dorato, cm 25 x 45
p. 75
Disegni per i lenticolari Pompeiani 2013
inchiostro su carta, cm 30 x 21
p. 76
ll pene ciclopico 2014
due disegni a matita su carta,
montati su specchio, cm 50 x 70
p. 77
Matriarcale/Penelope 2014
scultura rituale di capelli femminili intrecciati,
cm 30 x Ø 5
p. 80
Disegno per il ciclo dedicato a Paracelso
2016
inchiostro di china su carta, cm 30 x 21
p. 81
Disegno per il ciclo dedicato a Paracelso
2016
inchiostro di china su carta, cm 30 x 21
pp. 82-83
Lenticolari per il ciclo Paracelso 2016
pannelli in perspex, cm 100 x 100
pp. 84-85
Disegni per il ciclo Paracelso 2016
inchiostro di china su carta, cm 30 x 21
p. 87
Giravolta 2016
scultura in resina,cm 90 x 45,installata dentro
Zodiaco con 13 segni, video 2012
(5')
p. 88
Disegno per il ciclo dedicato a Spinoza
2018
inchiostro di china e pastelli su carta
cm 30 x 21
p. 89
p. 55
Verde radar 2010
olio su carta intelata, cm 155 x 100,
collezione privata
p. 68
Il sogno di Keplero 2012
(test 3 per il lenticolare) 2012
cm 110 x 100
p. 79
Il Fumo 2014
fotografia per i 6 pannelli
lenticolari in perspex, cm 80 x 100
Disegno per il ciclo dedicato a Spinoza
2018
inchiostro di china e pastelli su carta
cm 30 x 21
194
195
p. 90
Lenticolare del ciclo dedicato a Spinoza
2018
pannello in perspex, cm 120 x 120
p. 96
Disegno per il libro dedicato a Spinoza
2018
inchiostro di china e pastelli su carta
cm 30 x 21
VISIONARIA
p. 91
Disegno per il libro dedicato a Spinoza
2018
inchiostri di china su carta, cm 30 x 21
p. 93
Disegno per il libro dedicato a Spinoza
2018
inchiostro di china e pastelli su carta
cm 30 x 21
p. 94
Disegno per il libro dedicato a Spinoza
2018
inchiostro di china e pastelli su carta
cm 30 x 21
p. 98
Una visitatrice davanti all’opera di Fosco Valentini
Uno spazio accanto al tempo
stampa su carta fotografica digitale
presente il 20 dicembre 2019
al REBIRTH-DAY di Michelangelo Pistoletto
nel Salone del Forum del Macro Asilo, Roma
p. 102
Irlanda 1987
serigrafia e acrilico su tela, cm 50 x 43
p. 104
Fiori 10 2007
inchiostro e acquerelli su carta intelata,
cm 200 x 150, collezione privata
p. 112
Veduta dell’allestimento;
p. 113
L’Ordine delle cose 2000
foto animazione in 16 pose
p. 114
Quadri pubblicitari e ritratti 1986 -1995
tecnica mista e acrilico su tela, misure varie
p. 115
In the village 2017
olio su tela con registrazione sonora 33”
(dalla serie tv di fantascienza, The Prisoner)
cm 30 x 50,
p. 119
Pompeiani (Paradigma Servi) 2013
pannello lenticolare in perspex,
cm 120 x 120, collezione privata, Sorrento
p. 120
Veduta della mostra con i lenticolari
de Il Sogno di Keplero 2012,
pannelli in perspex, cm 110 x 110 ognuno
Disegni dello stesso ciclo,
inchiostro di china su carta,
cm 30 x 21 ognuno
p. 121
Disegni de Il Sogno di Keplero 2012
p. 95
Tavola V dal libro dedicato a Spinoza
2018
litostampa
p. 106
Altalene 2007
inchiostro e acquerelli su carta intelata,
cm 150 x 100, collezione privata
p. 116
Veduta della mostra, da sinistra
Pannelli lenticolari Optical 2013 e
Pompeiani; La statua
inchiostri di china su carta, cm 30 x 21 ognuno
p. 122
Disegni de Il Sogno di Keplero 2012
inchiostri di china su carta, cm 30 x 21 ognuno
p. 117
La statua 2010
olio su carta intelata, cm 155 x 100,
collezione privata
p. 123
Veduta della mostra da sinistra
Disegni de Il sogno di Keplero,
p. 118
Accomodamenti, Lenticolari Spinoza,
Optical 2013
Solidi. Onde di probabilità.
due pannelli lenticolari in perspex
Disegni del ciclo Spinoza.
cm 120 x 120 ognuno
Edizione dedicata a Baruch Spinoza
196
197
p. 124-125
Accomodamenti 2018
video animazione ispirata
alle concezioni di Spinoza
durata 2’50”
p. 126-127
Lenticolari del ciclo dedicato a Spinoza
2018
pannelli in perspex, cm 120 x 120 ognuno
p. 128
Veduta della mostra, da sinistra:
Solidi. Onde di probabilità.
Disegni del ciclo Spinoza.
Edizione dedicata a Baruch Spinoza
p. 129
Disegni del ciclo Spinoza 2018
Edizione dedicata a Baruch Spinoza
p. 130
Solidi. Onde di probabilità 2018
Lenticolari ispirati all’Etica di Spinoza
“ordine geometrico demonstrata”,
pannelli in perspex, cm 120 x 120 ognuno
p. 131
GRATIS 2013
insegna luminosa a LED
cm 17 x 97 x 17
p. 132
Nulla succede per la prima volta 2012
calco in resina di parti del corpo dell’artista
installazione dimensione variabile
cm 190 x 100 circa
p. 133
Sesso primario non diviso 2013
(femminile)
scultura in bronzo dorato, cm 20 x 40
Sesso primario non diviso 2013
(maschile)
scultura in bronzo dorato, cm 25 x 45
p. 134
Veduta della mostra, in primo piano:
Nulla succede per la prima volta
Sesso primario non diviso
(femminile e maschile).
A destra: Giravolta e Zodiaco con 13 segni
p. 135
Giravolta 2016
scultura in resina, cm 90 x 45,
installata dentro Zodiaco con 13 segni 2012,
video (5’)
p. 136
Veduta della mostra
in primo piano: Matriarcale/Penelope,
a destra: Statua in blu e nero
p. 137
Statua in blu e nero 2010
olio su carta intelata, cm 155 x 100
p. 138
Lenticolari del ciclo Sol Lapis
Philosophorum 2011
pannelli in perspex, cm 120 x 120 ognuno
p. 139
Lenticolari del ciclo Sol Lapis
Philosophorum 2011
pannelli in perspex, cm 120 x 120 ognuno
e Disegni 2010 della serie
matita su carta, cm 30 x 21 ognuno
p. 140-141
Disegni per il video Sol Lapis
Philosophorum 2010
matita su carta, cm 30 x 21 ognuno
p. 142-143
ll pene ciclopico 2014
due disegni a matita su carta,
montati su specchio, cm 50 x 70 ognuno
p. 144- 145
Matriarcale/Penelope 2014
scultura rituale di capelli intrecciati
cm 30 / Ø 5
ll pene ciclopico 2014
due disegni a matita su carta,
montati su specchio, cm 50 x 70
p. 146
Veduta della mostra, da sinistra:
Statua in blu e nero, Il Fumo,
Il pene ciclopico, Matriarcale/Penelope
p. 147
Statua in rosso 2010
olio su carta intelata, cm 155 x 100
p. 148
Lenticolari del ciclo Paracelso 2018
pannelli in perspex, cm 120 x 120
p. 149
Saletta Paracelso, da sinistra:
Paracelso 2016 video proiezione
su fogli di carta reali A4; Disegni della
serie; Lenticolari Paracelso;
Paracelso 2017, tablet con disegni
p. 150
Disegni del ciclo Paracelso 2016
inchiostro di china su carta, cm 30 x 21
p. 151
Paracelso 2017,
tablet con disegni del ciclo Paracelso
p. 152-153
Paracelso 2016
video proiezione su fogli di carta reali A4
p. 154-155
Paracelso 2017,
tablet con disegni del ciclo Paracelso
p. 156
Veduta della mostra con il lenticolare
Il Fumo e con il dipinto Statua in blu e nero
p. 157
Il Fumo 2014
serie di 6 pannelli in perspex
(formato 2018) cm 120 x 120 ognuno
p. 158 -159
Il Fumo 2014
(formato 2018, particolare)
198
199
BIOGRAFIA
Fosco Valentini (Roma 1954) è cittadino svizzero e italiano.
Si è formato a Roma negli anni del grande dibattito tra
pittura, Arte Povera e Concettuale. L'amicizia e la stretta
collaborazione con Alighiero Boetti e con il filosofo Aldo
Braibanti hanno plasmato la sua concezione dell'arte nel
senso di un'apertura a 360 gradi sui vari aspetti della
conoscenza. Ha partecipato all’esperienza ideologica
d’intonazione surrealista dell’Ufficio per l’Immaginazione
preventiva, creato da Tullio Catalano, Maurizio Benveduti
e Franco Falasca sul finire degli Anni Settanta senza
abbandonare, tuttavia, l’interesse per la pittura e per le arti
plastiche.
Nel 1989 si è trasferito a Lugano dove ha maturato la propria
svolta artistica in direzione di una filosofia della visione
che si esprime nella totale libertà dei mezzi adottati – dalla
pittura anamorfica al video, dalla tecnologia lenticolare
all’installazione e alla scultura tradizionale – avendo come
fulcro il disegno.
Nel 2004 ha scritto un libro Filosofia esistenziale della
canapa indiana per le edizioni di DeriveApprodi, ripensando
ai sogni della sua generazione. Nel 2011 è stato invitato
a partecipare alla 54° Biennale di Venezia come artista
residente all’estero. Attento lettore di Spinoza, a cui ha
dedicato nel 2018 un'edizione d'arte accompagnata dai
suoi disegni, aspira da anni ad operare in direzione della fine
evolutiva dell’homo oeconomicus e del suo passaggio verso
l’homo jucundus.
Le sue opere si trovano in importanti collezioni svizzere e
italiane e nel Museo Cantonale d’Arte, MASI di Lugano.
Vive a Lugano, dove risiede e lavora .
200
201
MOSTRE PERSONALI E COLLETTIVE
1975
X Quadriennale Nazionale d’Arte
La nuova generazione, Palazzo delle Esposizioni,
Roma 25 marzo - aprile
1977
Quattro artisti inediti
(Vittorino Curci, Gianluca Manzi, Cesare Pietroiusti e Fosco Valentini)
Centro Studi Jartrakor, Roma 11 novembre
1979
Teatro Beat 72 The return of one man show: starring
Victor Cavallo, Frank Tury, Mark Solaris, Ennie Phantastichini,
Paul Bologny, Alexis Figura, Ben Simonellys, Fossie Valentine, John P. Kolosimo,
(Manifesto del One Man Show del Beat 72, interpretato
da attori, pittori, o artisti, presentato con la poesia
“Ed io?” di Fosco Valentini, in arte Fossie Valentine),
Roma 15-19 maggio
1980
Galleria Alessandra Bonomo, Roma
1982
Galleria Zona Zona Critica. Rassegna di interventi della giovane
critica italiana: Fosco Valentini, su invito di Elio Grazioli,
Firenze, 11 giugno
1983
Palazzo Lanfranchi Critica ad Arte. Panorama della post-critica,
a cura di Achille Bonito Oliva, Pisa, 5 febbraio – 26 marzo
1984
Galleria Franz Paludetto, Torino
1985
Galleria Alessandra Bonomo, Roma
Studio Corrado Levi, Milano
Galleria Pio Monti, Roma
1989
Galleria Marilena Bonomo, Bari
Galleria De Ambrogi, Art Basel, Basilea, giugno
1990
Galleria Majorana, Brescia
1993
Hell, Centre d’Art Contemporain Martigny (CH), maggio
1994
Hell, Centre d’Art Contemporain Martigny (CH)
1996
Galleria Alessandra Bonomo, Roma
1998
Hellbound 93 RMX, Veragouth Arte Contemporanea, Lugano
1999
Hell, Centre d’Art Contemporain, Martigny, (CH)
2000
Festival Internazionale di video art in concomitanza
con il Locarno Film Festival, Locarno, agosto
2001
Veragouth Arte Contemporanea, Lugano
2004
Teatro Il Paravento, Visarte, in concomitanza con il Locarno
Film Festival, Locarno, agosto
202
203
2007
Galleria Barbara Mahler, presso UBS, Animals, Lugano,
maggio-settembre
2008
Galleria Barbara Mahler, presso UBS, Fosco. Nuovi Lavori,
a cura di Igor Zanti, Lugano, maggio; Retrospettiva di lavori
allo Spazio Teatro Pura (CH), settembre
2010
Galleria Brera 1, Corbetta, Milano
Laboratorio Kunsthalle Fosco Valentini. Thaumaturgus opticus
(presentazione di Paola Pellanda-Tedeschi)
Lugano, 23 - 25 giugno
2011
54° Biennale di Venezia, Lo stato dell’arte (a cura di Vittorio Sgarbi),
Istituti Italiani di Cultura nel mondo,
Padiglione Italia, Kulturhaus Helferei, Zürich, 7 giugno
Galleria Barbara Mahler Scope International Contemporary Art Show,
Art Basel, 15 – 19 giugno
2012
Kunsthalle Lugano, Srinagar, Leh, Bhaktapur, On the Globe.
Summer Events, from the roof of the world, maggio-luglio
Nowhere Gallery Milano, 12 settembre – 30 ottobre
2013
Galleria Toselli, MiArt, Milano, aprile
Art Hotel Gran Paradiso, Sorrento, aprile
Castello Corsini di Sismano Per un’arte fluida, a cura di Luca Tomio,
Avigliano Umbro (Todi) 29 giugno – 20 agosto
2015
Galleria Il Rivellino Fosco Valentini. Nulla succede per la prima volta
2010-2015, a cura di Giovanna dalla Chiesa, Locarno, 27 marzo - 20 aprile
Palazzo Sforza Cesarini Sopra l’orizzonte terra Genzano di Roma,
a cura di Giovanna dalla Chiesa, 25 luglio - 6 settembre
Casa Corriere Expo, Arte in diretta - Fosco Valentini,
Padiglione del Corriere della Sera, Milano, 19 - 20 settembre
2017
Ex pretura Comunale Città di Paliano (Frosinone), Insieme in silenzio,
a cura di Zerynthia, 16 – 18 novembre
2019
Mattatoio Roma, Fosco Valentini Visionaria 1986 - 2018, Padiglione 9A,
a cura di Giovanna dalla Chiesa, 24 gennaio – 24 marzo
Macro Asilo, Salone del Forum Worm Holes, performance video sonora,
di suoni, video e video ologrammi di Fosco Valentini e Paolo Coteni,
MACRO, Roma 14 - 20 dicembre
La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma, presentazione
dell’edizione d’arte in 200 esemplari di Fosco Valentini: Baruch Spinoza. Storia
disegnata per accenni (introduzione Marcella Cossu, relatori Giovanni Croce,
Giovanna dalla Chiesa, Pina Totaro. Fosco Valentini) Sala delle Colonne,
6 dicembre
2020
Biblioteca Cantonale di Lugano, presentazione dell’edizione d’arte in 200
esemplari di Fosco Valentini: Baruch Spinoza. Storia disegnata per accenni
(moderatore Luca Saltini, relatori Giovanni Croce, Giovanna dalla Chiesa,
Fosco Valentini), 24 gennaio
Galleria Alessandra Bonomo Fosco Valentini. Uno spazio accanto al tempo
Roma, 29 gennaio – 14 febbraio
2014
The Format Contemporary Culture Gallery - Resolution -
off Art Basel, Basilea, giugno
204
205
BIBLIOGRAFIA
SELEZIONE DA CATALOGHI LIBRI E RIVISTE
1975
La Nuova Generazione, X Quadriennale Nazionale d’Arte,
De Luca Editore, Roma, p. 389
1976
Aldo Braibanti, Paolo Morawsky, Fosco Valentini, Imprinting.
Rivista di Sperimentazione e Linguaggio sul (dentro il) linguaggio,
coordinata da Maurizio Benveduti, Tullio Catalano e Franco Falasca,
Roma, n. H, settembre
1977
Centro Studi Jartrakor, Roma 11 novembre
1979
Sergio Lombardo, Rivista di psicologia dell’arte, Anno I, n. 1,
Roma, dicembre
1983
Achille Bonito Oliva Critica ad Arte. Panorama della post-critica,
Giancarlo Politi editore, Milano, p. 189
Lisa Licitra Ponti Festa in casa, Domus 641- News Fame,
Milano, luglio-agosto, p. 43, ill.
1993
Hélène Tauvel-Dorsaz Une vingtaine d’artistes sur le thème du multiple,
VOIR. LE MAGAZINE DES ARTS N° 98, 10e ANNÉE, mai, p. 38, ill.
Domus 641; News - Fame luglio/agosto 1983, p. 43
1994
Sergio Lombardo L’eventualismo e la galleria Jartrakor (“Titolo, V, 16-17),
autunno-inverno
206
207
2004
Paola Ferraris Psicologia e arte dell’evento: Storia eventualista 1977-2003,
Gangemi, Roma, luglio, pp. 9 - 21 - 23 - 24
2008
Catalogo Galleria Barbara Mahler presso UBS Fosco. Nuovi Lavori,
a cura di Igor Zanti, testi di Mario Garriba Occhi Balocchi;
Fabio Sargentini Un colorista nato;
Elio Schenini Fosco (Valentini 1954 CH-I);
Igor Zanti A’ rebours; Lugano, maggio
Retrospettiva di lavori Contrada Bornago, Pura (CH) settembre
2011
Vittorio Sgarbi Lo Stato dell’Arte/The State of the Art, Istituti italiani
di Cultura nel Mondo, Skira, Milano, 4 giugno – 27 novembre,
p. 124, ill. col.
Roberta Brucato The practice of different perspectives, SoGlitter
the Luxury Lifestyle, Lugano, ottobre, pp. 102-106, ill. col.
2012
Giovanna dalla Chiesa A new beginning. Paintings, Anamorphosis,
Videos, Lenticular photographs, SoGlitter the Luxury Lifestyle,
Lugano, maggio pp. 86-88, ill. col.
Orio Vergani Sol Lapis Philosophorum, presentazione
Nowhere Gallery, Milano, settembre
2013
Helga Marsala In vacanza con l‘arte a Sorrento. L’Art Hotel Gran Paradiso
è un rifugio per collezionisti, artisti, appassionati. Camere come gallerie
con vista sul mare, Artribune, 27 aprile
Lucia Grassiccia Arte Fluida. Tra le mura secolari del Castello Corsini,
Artribune 12 luglio
2014
Simonetta Sotgiu Alla nuova mostra di Basilea espone anche Fosco Valentini
dal Ticino. Nulla per la prima volta, La Regione Ticino-Cultura e Spettacoli,
14 giugno, ill.
2015
Palazzo Sforza Cesarini diventa un nuovo spazio per il contemporaneo.
Al via un ciclo di mostre nell’antica sede nobiliare, Artribune,
24 luglio, by Redazione
Paolo Aita Luigi Puxeddu - Fosco Valentini. Sopra l’orizzonte terra.
Palazzo Sforza Cesarini Genzano, Exibart, 4 settembre, ill. col.
Il Giornale dell’arte, Umberto Allemandi, Torino, settembre p. 22, ill. col.
Giovanna dalla Chiesa Sopra l’orizzonte terra (introduzione), Palazzo Sforza
Cesarini, Genzano di Roma, 25 luglio - 6 settembre, 16 pp. ill. col.
2016
Roberto Lambarelli Nuove strade. A Genzano Palazzo Sforza Cesarini apre
all’arte contemporanea - Due domande a Giovanna dalla Chiesa, Arte Critica City,
Roma/Lazio, aprile-maggio p. 27
2019
Luigi Capano Fosco Valentini. Visionaria 1986-2019. Mattatoio, Exibart 13 marzo
Antonello Tolve Visioni dal futuro. Fosco Valentini a Roma, Artribune 16 marzo
Gabriele Simongini L’arte visionaria di Fosco Valentini. Trent’anni di ricerca filosofica
tra disegni, fotografie, dipinti e sculture, Il Tempo 19 marzo
Anna D’Elia Fosco Valentin.i Visionaria 1986 - 2018, Artapartofculture 21 marzo
Paolo Balmas Fosco Valentini. Visionaria 1989 – 2019, Il Segnonline 20 aprile
Flaminia Valchera Visionaria di Fosco Valentini: l’unione mistica tra Uomo, Politica e Scienza,
L’art écrit 21 aprile
2020
Nicoletta Provenzano Un altro spazio-tempo: in mostra le opere di Fosco Valentini,
La Città Immaginaria 4 febbraio
Valentina Muzi Il non-tempo dell’arte. Fosco Valentini in mostra a Roma,
Artribune 10 febbraio
Helia Hamedani Uno spazio accanto al tempo - Conversazione con Fosco Valentini,
Artapartofculture 11 febbraio
Gaia Bobò Fosco Valentini Lo stesso gesto in un altro spazio-tempo,
Exibart 17 febbraio
Antonello Tolve Integra Naturae Speculum Artisque Imago,
Segnonline 12 febbraio
208
209
LIBRI
FOTO ANIMAZIONI, VIDEO, VIDEO INSTALLAZIONI, VIDEO PROIEZIONI
2004
Fosco Valentini Filosofia esistenziale della canapa indiana, DeriveApprodi,
Roma 2004, giugno; 96 pp.
2015
Fosco Valentini. Nulla Succede per la prima volta 2010-2015,
(introduzione di Giovanna dalla Chiesa, Testimonianza autoptica)
Publishers Organized Unemployed/Chili ADV,
Lugano, marzo pp. 48, ill. bn/col.
2018
Fosco Valentini: Baruch Spinoza. Storia disegnata per accenni, edizione d’arte
in 200 esemplari, numerati e firmati dall’artista - 50 dei quali, in numeri romani,
contenenti una serigrafia originale dell’artista, a cura di Giovanna dalla Chiesa,
Fontana Print, Lugano dicembre; 120 pp., con XXIV tavole a colori e testi
selezionati dal Trattato teologico-politico e dall’Etica in latino; con un volumetto
di pp. 86, contenente la traduzione dei testi di Spinoza e i testi di presentazione
in italiano e in inglese di: Giovanni Croce Lo Spinoza di Fosco Valentini, pp. 5-9;
Giovanna dalla Chiesa Filosofia e poesia motori dell’arte di Fosco Valentini, pp. 11-15;
Hans Ulrich Obrist Alighiero Boetti & Fosco Valentini, pp. 17-19
1975
Foto performance in 12 fotogrammi cm 40 x 35
2000
L’ordine delle cose, foto animazione in 16 pose, durata 32”
2011
Sol Lapis Philosophorum, disegni a matita in video animazione (LTK); musica:
Aria Concerto in Re per Violino e orchestra di Igor Stravinskij, eseguita
da Cho-Liang Lin, Los Angeles Philharmonic, durata 4 min. 04”
2012
Zodiaco con 13 segni, video animazione di disegni a inchiostro di china,
durata 5 min.
2016
Il sogno di Keplero, video animazione di disegni a inchiostro di china,
base musicale di Gaston Dupuy, durata, 4 min.
Paracelso I, video installazione con proiezione di disegni a inchiostro di
china su fogli reali A4, durata 8 min.
2017
Touch screen Paracelso II, video animazione di disegni a inchiostro di china, montati
su tablet, durata 3 min.
2018
Accomodamenti, video animazione di disegni del ciclo dedicato a Spinoza,
durata 2 min. 50”
2020
Viaggio cosmico, video animazione di disegni a inchiostro di china, montati
su ventola olografica 3D, durata 4 min.
Tutte le preghiere, video animazione di disegni a inchiostro di china su fogli
di block notes, durata 2 min. 20”
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CREDITI FOTOGRAFICI
Gianpaolo Gianini
Lukas Klopfenstein
Tonino Orlandi
Francesco Padovani
Remy Steinegger
Alessandro Tomarchio
Nella pagina accanto: Fosco Valentini a Mahdia (Tunisia) nel 2019
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Finito di stampare
il 3 dicembre 2020
giorno di San Francesco Saverio
dalla tipografia
Fontana Print S.A., CH-6963 Pregassona-Lugano