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Libro Fosco(2)

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VISIONARIA


Questo libro concepito da Giovanna dalla Chiesa come il racconto dei pensieri e delle vicende che hanno accompagnato

la nascita delle opere di Fosco Valentini sin dai suoi esordi nel 1975, si chiude con il catalogo della

sua antologica negli ambienti dell’ex Mattatoio di Roma, dove erano rappresentate, senza soluzione di continuità,

tutte le componenti del suo complesso iter - dal disegno alla pittura, dal video ai lenticolari, dalla scultura all’installazione

e al libro

Le immagini del racconto scorrono accanto alle parole, dando vita alla sua parte figurata, senza che la parte didascalica

e gli apparati bibliografici, anch’essi elaborati dalla curatrice, interferiscano con la parte narrativa. Per la

loro pertinenza si è deciso di aggiungere all’esposizione centrale anche alcuni testi già pubblicati.


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FOSCO VALENTINI

VISIONARIA

QR edizioni


VISIONARIA

Questo libro è stato realizzato a Lugano

in seguito alla mostra antologica

di Fosco Valentini al Mattatoio di Roma,

nel gennaio-marzo del 2019

RINGRAZIAMENTI

Galleria Alessandra Bonomo

Ruben Fontana

Gli autori dei testi, i collezionisti,

anche quando hanno voluto mantenere

l’anonimato, e tutti coloro

che in diversa misura hanno reso possibile il

buon esito di quest’opera,

GRAFICA E STAMPA

Grafica: Bernardino Bettelini, Fontana Print

Stampa: Fontana Print S.A.

CH-6963 Pregassona-Lugano

in particolar modo:

Cecilia Guerrieri Paleotti,

Daniela Lancioni,

Cesare Pietroiusti

e il personale di PalaExpo,

scusandoci per eventuali, involontarie omissioni

© 2020 Fosco Valentini

per cui restiamo a disposizione.


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Giovanna dalla Chiesa

Fosco Valentini si racconta

Dialogo con Giovanna dalla Chiesa

101 Hans Ulrich Obrist

Alighiero Boetti & Fosco Valentini

105 Fabio Sargentini

Un colorista nato

107 Mario Garriba

Occhi balocchi

109 Catalogo della Mostra Visionaria

159 Traduzioni

Indice delle illustrazioni

Bio-bibliografia


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Fosco Valentini si racconta


Dialogo con Giovanna dalla Chiesa

Per la prima volta l’uomo ha realmente compreso

di essere un abitante del pianeta e forse deve

pensare o agire in una nuova prospettiva, non

non solo nella prospettiva di individuo, di famiglia

o di genere, di Stato o di gruppo di Stati, ma anche

nella prospettiva planetaria

V. I. Vernadskij

GDC ■ Nel libro di Paola Ferraris Psicologia e arte dell’evento: Storia eventualista 1977-2003, trovo

un’indicazione preziosa sulla tua prima mostra in uno spazio privato, un evento che coincise con la

nascita del Centro di ricerca sulla Psicologia dell’Arte, avviato proprio l’11 novembre del 1977 con la

mostra Quattro artisti inediti – Vittorino Curci, Gianluca Manzi, Cesare Pietroiusti e Fosco Valentini – nello

studio di via dei Pianellari 20 di Sergio Lombardo, che da quel momento in poi fu conosciuto come

Jartrakor. I contenuti che sarebbero diventati gli obiettivi del Centro di Ricerca in quella complessa stagione

culturale e politica, erano già stati espressi nel 1975, da Sergio Lombardo durante una conferenza

tenuta all’Accademia di Belle Arti di Roma, nel corso dell’occupazione studentesca di quell’anno su

invito degli stessi studenti.

Scrive Lombardo: «Quando fondammo il Centro Studi Jartrakor, il clima sperimentale degli Anni Sessanta

era già finito da dieci anni. Nel 1967, infatti il lancio dell’Arte Povera sancì che l’immagine internazionale

dell’arte italiana dovesse essere affidata ai valori della povertà e della fantasia. Un importante filone di dibattito

e di ricerca, fondato sui valori sperimentali della scienza empirica, iniziato alla fine degli Anni Cinquanta, fu

sacrificato in nome del buon successo commerciale dell’Arte Povera. La complessità della ricerca artistica

italiana, così semplificata per meglio adattarsi alle regole del mercato internazionale, s’impoverì. Nel 1977,

all’epoca della fondazione del Centro Studi Jartrakor, un’analoga operazione fu attuata monopolizzando

l’immagine dell’arte italiana, sotto l’insegna del libero attraversamento delle avanguardie storiche: era il lan-

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cio della Transavanguardia. Anche questa volta veniva sacrificata tutta quella ricerca teorica e sperimentale

che appariva troppo tecnica e difficilmente riducibile alle semplificazioni del mercato. Tutto ciò che non era

capito immediatamente dalle masse consumistiche veniva tacciato di settarismo: erano gli anni di piombo.

Qualsiasi opinione estetica appena articolata veniva chiamata “ideologia”, qualsiasi ideologia veniva definita

“sovversiva” (…). In questo clima culturale, con l’aiuto di Anna Homberg, allora una semplice studentessa di

medicina, e di Cesare Pietroiusti, anch’egli studente di medicina, fondai l’associazione Jartrakor».

Vedo sintetizzate nelle parole di Lombardo l’atmosfera in cui vi trovavate immersi in quegli anni che dovevano

dettare anche l’orientamento generale degli anni ottanta. Un progressivo restringersi di visibilità

internazionale per la maggior parte degli artisti italiani, teso a canalizzare sempre più solo ciò che doveva

interessare il mercato. Non che non ci fossero molteplici focolai di ricerca, intuizioni e sperimentazioni in

ogni direzione. Mentre nella decade precedente, però, tutto quello che costituiva l’humus da cui erano

nati i grandi filoni d’indagine di una nuova storia artistica veniva ricordato, ora quei rivoli di idee e di intenzioni

rischiavano di disperdersi e di essere sommersi dalle operazioni di un mercato, che pretendeva di

garantirsi con oggetti d’arte prestigiosi, presentati come assoluto per poter competere su uno scenario

internazionale fatto soprattutto di interessi economici, non più di tendenze e filoni di ricerca il cui valore,

come nel caso delle ricerche scientifiche, restava soprattutto teorico. Fu nel 1975, in occasione di quella

conferenza all’Accademia, che incontrasti per la prima volta Sergio Lombardo?

FV ■ Sì, proprio in quell’occasione. Aveva una grande energia coinvolgente. La sua visione, già matura,

del sistema culturale era assolutamente lucida. Quella di una vera Cassandra. Io ero al secondo anno di

Accademia e avevo appena partecipato alla X Quadriennale Nazionale d’arte.

GDC ■ Le foto che presentasti nella sezione La Nuova Generazione della X Quadriennale Nazionale

d’Arte, ti rappresentavano sepolto dalla sabbia su una spiaggia.

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FV ■ Avevo letto per caso nella stampa che si teneva quella Quadriennale. Così mosso dall’urgenza

scelsi come forma di comunicazione quella dell’immagine. Mi misi a cercare un fotografo per realizzare

delle fotografie al mare. Volevo fermare le immagini del mio corpo nella terra come un oggetto scultoreo

e performativo insieme, tra Eros e Thanatos. Lo trovai parlandone con gli ex compagni dell’Istituto d’arte.

Allora fotografia e opera comportamentale non avevano ancora ruoli chiaramente distinti. Potevi spiegare

al fotografo come volevi le inquadrature della performance, in genere in bianco e nero, la quantità

degli scatti per la sequenza e tutte le intenzioni, ma sempre con il rischio che il lavoro fosse ritenuto

una creazione del fotografo. La mia idea performativa fu, allora, quella di riportare le foto alla pittura e

alla scultura. Furono infatti spruzzate, in seguito, con smalti spray, per evidenziare il corpo scultoreo nel

magma pittorico. Gli scatti li facemmo a Fregene. Avevo scelto, come terra, la sabbia che scivola sulla

pelle come una materia scultorea e che, in questo caso, assecondava l’idea dello svolgersi di un transito

tra la vita e la morte, anche nel movimento.

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Soffrivo particolarmente, in quegli anni, per la caduta dell’antropocentrismo, per le distinzioni tra “bene

e male”, tra “mio e tuo” tra “me e te”. Confini tra persone, confini tra proprietà, confini tra le polarità di

amore e odio.

Frequentavo la casa di Aldo Braibanti che studiava precisamente questa alienazione in senso filosofico

e poetico. Inoltre nel suo teatro. Si trattava, in sostanza, dell’utopico superamento dei confini tra essere

e mondo esterno e della messa a nudo dell’illusione e dell’autoinganno. Le lezioni di Aldo si spingevano

proprio fin dove s’incontravano le dottrine di Freud e di Marx e nel suo ambiente ci muovevamo nella

coscienza della disfatta di un orientamento possessivo, ossessivamente teso a dividere il bene dal male,

senza riuscire a intuire che ogni persona è molte persone, anzi una vera moltitudine, convertita in una

sola persona.

GDC ■ Dunque, la tua era una ricerca che non andava tanto nella direzione antropologica seguita da altri

in quel momento, quanto in quella di una dissoluzione dell’identità, come a volerla cedere nuovamente

alla natura e a fonderla in essa per ritrovarla. Un fatto ontologico legato all’essere, non solo tuo proprio,

ma universale, venato di misticismo. Mi sbaglio?

FV ■ Braibanti, in qualche modo, condivideva gli stessi presupposti da cui muoveva Lombardo, ma trasferendoli

in una situazione di estrema vulnerabilità. Una voluta vulnerabilità spinoziana. L’insegnamento

di Aldo, in quel difficile momento socio-politico, con la sua vita fondata sui libri, era indirizzato per dirla

con un concetto caro a Norman O. Brown verso la “revisione delle identità storiche”, ossia fondamentalmente

alla revisione della “sua” identità storica. Era cioè, il tentativo di un riesame della sua vita, dagli

studi su Spinoza a quelli su Marx, poi da Marx a Freud, per finire con la poesia. Un’uguale spinta era

penetrata nelle menti di molti artisti di età differenti e in quelle che chiamerei “menti d’amore”. Il naufragio

vissuto dalle precedenti generazioni era ancora ovunque. Bisognava levar l’ancora, prendere il largo.

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La nostra non era una poetica della “perfezione” (arte, bellezza etc.) ma dell’“incarnazione”, dove non si

dà una forma perfetta, ma al contrario, una forma frammentaria, incompiuta. E dove si camminava sul

filo della sconfitta e della vulnerabilità. Potrei citare, di nuovo, la frase di Norman O. Brown: Nessuno

deve essere biasimato. Non ci sono difetti insiti nel resoconto di una lotta. La missione rimane la stessa,

non smettere mai di esplorare (…) Cerchiamo di sopravvivere (…) scampati a nuovi naufragi, improvvisando

una zattera (...). E, aggiungerei, riconsiderando la nostra identità storica per narrare un’“altra”

storia dell’arte. Un seguace del buddismo zen ha scritto: Andare in paradiso è una bella cosa, ma anche

precipitare nell’inferno è un titolo di merito.

GDC ■ Torniamo alla vostra mostra del ’77. Lombardo scrive: Si trattava di giovanissimi, con tratti

molto autonomi, uniti da un linguaggio sottilmente concettuale fra la poesia e l‘immagine. Dopo la

mostra ciascuno di essi andò per la sua strada, eccetto Pietroiusti, che rimase a organizzare con

me e Anna Homberg una serie di conferenze e attività di studio sulla psicologia dell’arte, una serie

d’incontri settimanali di ricerche sull’ipnosi, nonché l’attività espositiva. E aggiunge che tu fosti l’unico

a non proseguire un’attività presso il Centro e che in quell’occasione proiettasti sul muro delle diapositive

graffite dai colori molto forti. Mi pare che mostrassi già, insomma, quella che è ancora oggi una

tua predilezione per la trasparenza e per le strutture diafane come apparizioni. Cosa rappresentavano

le diapositive?

FV ■ Non so se è importante quello che rappresentavano. Era, però, come se per trovare la vita nuova

volessimo collocare nel punto dove era avvenuto il naufragio un leggero segnale marino, come una boa

galleggiante, proprio con la trasparenza delle apparizioni – per continuare a muoverci. Un considerare

l’oggetto d’arte come un’energia trasferita dal luogo in cui l’artista l’aveva percepita sino all’osservatore,

per mezzo dell’oggetto poetico stesso.

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GDC ■ Rispetto a quello degli altri artisti, mi pare che il tuo atteggiamento fosse più esistenziale, connotato

sì, dall’esperienza di perdita della centralità dell’arte, ma dipendente in realtà, sempre e solo dall’arte,

a cui non c’era bisogno di conferire statuti specifici, ma unicamente il coraggio e l’urgenza – forse

disperati – dell’espressione e del gesto, assunti tuttavia secondo una torsione metaforica, non certo

attraverso ragionamenti rettilinei e analitici. Fu per questo che presto ti staccasti dal gruppo?

FV ■ Penso tu abbia centrato il problema: era l’urgenza e al tempo stesso la situazione di emergenza

sociale di quegli anni che scaturiva anche dalle conversazioni quotidiane con Aldo Braibanti. Aldo era

interessato alla dottrina spinoziana della perfezione, ma come movimento “verso” la perfezione, dunque,

come difetto, mancanza. Questo tema mi ha accompagnato anche in seguito. Nell’arte come nella vita,

come sostiene Norman O. Brown, straordinario artefice di paradigmi che collegano autori come Spinoza,

Freud, Marx e Pound, l’attività è movimento del desiderio, tensione verso la perfezione: ciò a cui si dà

il nome di Bellezza, Arte e Poesia. Quell’impulso che ci spinge verso l’unione con ciò che è idealmente

perfetto. Questo mi ha sempre influenzato nella ricerca della metafora viva che produce innovazione.

Come un’energia cinetica sommata a spinte occasionali che provengono da direzioni diverse o anche

opposte. Più che dalla sostanza, insomma, ero e sono attratto, da tutte le componenti del processo, da

una filosofia dell’energia piuttosto che da una filosofia della forma e della perfezione.

Mi vengono in mente le parole di Freud in Al di là del principio del piacere: Ciò che non si può raggiungere

al volo, occorre raggiungerlo zoppicando.

GDC ■ Nel settembre del 1976, prima dell’esperienza espositiva con il Centro Studi Jartrakor, il tuo

nome compare anche fra quelli di un altro gruppo significativo di quel momento storico l’Ufficio per

l’immaginazione preventiva, creato da Tullio Catalano e Maurizio Benveduti insieme a Franco Falasca.

D’impronta decisamente surrealista, il gruppo aveva un carattere fortemente ideologico e veniva ospi-

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tato all’inizio nella la Galleria GAP, lo spazio di Gianni Fileccia e Adriana Miccolis, in via di Monserrato

120. Erano gli anni delle riviste off e della stampa alternativa, l’Ufficio stampava una rivista con contributi

di artisti, filosofi, scrittori e critici di grande prestigio, insieme a giovani emergenti. Così il tuo nome,

in quel settembre del ’76, su IMPRINTING SPERIMENTAZIONE E LINGUAGGIO appare insieme a

quelli di: Vincenzo Agnetti; Art & Language; Carlo Maurizio Benveduti; Gianni Blanco; Aldo Braibanti;

Ian Burn; Alberto Caronna; Tullio Catalano; Giuseppe Chiari; Claudio Cintoli; Ettore Consolazione;

Bruno Corà; Elvira De Luca; Pippo Di Marca; Alberto Faietti; Franco Falasca; Paolo Ferri; Nino Giammarco;

Alberto Grifi; Gruppo di Coordinamento; La Linea d’Ombra; Fabio Mauri; Cesare Milanese;

Paolo Morawsky; Paolo Moroni; Giulio Paolini; Mimmo Pesce; Mimma e Vettor Pisani; Mel Ramsden;

Carmelo Romeo; Harold Rosemberg; Terry Smith; Luciano Trina; Andrea Volo; Mariano Zela.

In seguito, tutti gli artisti più significativi di quegli anni passarono di lì: Luciano Fabro, Idetoshi Nagasawa,

Joseph Kosuth, Michelangelo Pistoletto, Luigi Ontani e tantissimi altri. L’impressione che se ne

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ricava è quella di una straordinaria vitalità. Artisti affermati e famosi si univano senza imbarazzo con

giovani quasi sconosciuti scegliendo il confronto e la mescolanza proficua dove ciascuno arricchiva

il fiume di un pensiero che scivolava libero da ogni argine per raggiungere i propri obiettivi con l’adesione

totale che è sempre stata di ogni avanguardia. Tu hai parlato spesso della tua generazione

come di “un corpo unico”, come foste tutti nello stesso corpo, nel corpo della società e della natura in

generale. In quel momento c’era il senso, infatti, di far parte di un grande processo storico destinato a

realizzare un cambiamento epocale.

FV ■ Sì, è un altro punto importante. Nel corpo unico e/o unito – natura-spazio-tempo – c’era un grande

pensiero che comprendeva il processo storico extra-artistico e filosofico delle libertà individuali. L’ufficio

per l’immaginazione preventiva era forse uno dei primi semi piantati nel terreno che si sarebbe sviluppato,

in seguito, come una sorta di “arte pubblica”. Ci sentivamo come isole, collegate e separate nello

stesso tempo. Oggi, penso che le arti e la poesia dovrebbero fare una rischiosa traversata di quel mare

e riunire le isole della cultura umana alla ricerca di quella mediazione, di quel modus vivendi che tra la

vita e la morte non ci separi dalla natura. In questo senso è sempre più attuale la lezione di Spinoza: gli

uomini non possono desiderare per la conservazione del proprio essere niente di più eccellente se non

che tutti concordino in tutto, in modo che le menti e i corpi di tutti compongano quasi una sola mente

e un solo corpo. A questo si potrebbe aggiungere l’altro suo monito: non irridere, non deplorare, non

esecrare, ma comprendere.

GDC ■ In quegli anni di ribellione e d’ideologia, la tonalità della tua esperienza avveniva, insomma, nel

segno dell’empatia, del sogno e dell’utopia a venire. Ci sono scarse indicazioni, però, su di te dal 1977

all’1984, data in cui ti trovasti a collaborare alla mostra antologica di Alighiero alla Pinacoteca Comunale

di Ravenna. Qual è il motivo?

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FV ■ Tra il 1977 e il 1984 proprio nel momento in cui sentivo il bisogno di dedicarmi al disegno e

alla creazione di oggetti pittorici, ho perduto entrambi i genitori. I lavori di quegli anni erano realizzati

all’esterno, o sul luogo stesso della mostra dato che non avevo più uno spazio in cui concentrare le

mie esigenze creative. Poi non ebbi più neanche una casa. Alla fine degli anni settanta l’incontro con

Alighiero Boetti, fu anche un supporto, oltre che un’esperienza determinante. La notte potevo restare

nel suo studio a Piazza Santa Apollonia e di giorno lo aiutavo in tanti lavori, dagli arazzi alle biro.

Si pranzava insieme e io potevo parlare con lui di quello che mi passava per la testa e, naturalmente,

dell’avventura dell’arte e della vita. In quel periodo, arrivò dall’Afghanistan anche Salman Alì per aiutare

Alighiero dopo un incidente automobilistico. Nei tempi morti del lavoro cominciai a dipingere, con la

pittura acrilica sulle pubblicità che vedevo nei giornali o nei rotocalchi, fatte di tante immagini diverse.

I miei quadri pubblicitari che poi Alighiero mi suggerì di intelare, nacquero proprio così. Trovato un

giornale, una rivista, con una sedia e pochi colori acrilici di rapida asciugatura, tutto veniva fuori senza

sforzo anche in spazi ultraridotti e provvisori come quelli che avevo a disposizione. Feci una mostra da

Franz Paludetto a Torino con quei giornali dipinti, e una collettiva da Corrado Levi, a Milano, con le rivi-

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ste dipinte, dove riuscii a vendere anche il mio primo quadro. Quando nel 1989 portai, con la Galleria

De Ambrogi, a Basilea, una serie di quei quadri, andarono letteralmente a ruba. Fu, poi, in questi stessi

anni, che incontrai Alessandra Bonomo appena arrivata a Roma con cui feci subito amicizia. Dopo

qualche tempo la portai da Alighiero. Alessandra aveva aperto un’enoteca a Spoleto che fungeva anche

da galleria. Poi cominciai a collaborare alle mostre collettive da lei organizzate nell’appartamento

vuoto di Alighiero, sopra lo studio di Trastevere, ma allora non si facevano i cataloghi. In una delle prime,

all’inizio degli anni ’80, c’erano, oltre a me, anche Alessandro Twombly, Alberto Di Fabio, Tristano

Di Robilant e Andrea Bobo Marescalchi un bel gruppetto, insomma. Mi capitava anche di collaborare

alle avventure poetico-teatrali del Beat ’72, ogni tanto. Continuavo a vivere da ospite, ma la situazione

diventava sempre più difficile. Cominciavo a pensare di fuggire da qualche parte, finché durante un

Festival di Poesia del Beat ’72 a Alba Adriatica, incontrai Michela, ticinese, che poi diventò mia moglie.

Andavo e venivo da Lugano e facevo qualche collettiva a Martigny, con degli artisti svizzeri nello

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spazio del giovane Stefano Jermini. Aveva affittato un distributore di benzina in disuso della Shell. La S

del marchio luminoso, sopra la costruzione, era crollato, sicché la galleria, alla fine si chiamò Hell; ma

feci la conoscenza di Mat Collishaw, Sylvie Fleury, Pipilotti Rist e altri, tutti giovanissimi in quegli anni.

Ho saputo di recente che in una di quelle mostre, molto off, entrò di passaggio una sera Maurizio Cattelan.

Io non c’ero. Staccò dalla parete uno dei miei quadretti pubblicitari e aggiunse sul retro della tela

la sua firma alla mia, producendosi in uno dei primi esperimenti di “appropriazione” e re-enactment.,

poi divenuti per lui abituali.

GDC ■ Insomma, una vera vita di bohème la tua, come a quei tempi, quasi nessuno faceva più.

Di quei quadri Elio Schenini scrive: il sottile strato opaco della pellicola pittorica si sovrappone direttamente

all’immagine pubblicitaria, stampata sulla carta patinata delle riviste o sui cartelloni, riproducendola

fedemente, ma al contempo celandola e trasformandola in altro.

FV ■ Molti lavori di allora, come le pubblicità, i giornali o altro segnalavano, però, anche il mio senso d’inadeguatezza

rispetto a un’attività artistica che era divenuta come un inganno della storia, una competenza

non riconosciuta come quella di un libero professionista il cui lavoro, non solo non aveva riconoscimento,

ma poteva persino in certi casi essere considerato come sovversivo. Nessun medico o professionista

che non fosse riconosciuto di utilità sociale potrebbe sopravvivere. Solo agli artisti veniva chiesto

di farlo, con quello che ne poteva conseguire. E il protezionismo svizzero nei confronti dei connazionali

artisti, non era altrettanto generoso nei confronti di chi, benché residente, non era riconosciuto tale.

La libertà a cui mi aveva abituato il clima romano, in Svizzera, fra l’altro, era impensabile.

GDC ■ La capacità di appropriazione diretta del mondo, praticata da Boetti nel suo lavoro ti fu certamente

d’ispirazione nei quadri pubblicitari di quegli anni, e soprattutto d’incoraggiamento, ma diversamente

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da lui tu, anche in seguito, non hai mai abbandonato la pittura che nonostante le tante trasformazioni a

cui, nel tempo, l’hai sottoposta, ha continuato ad accompagnarti sino ad ora. Perché?

FV ■ Nell’ancora piccolo mondo dell’arte degli anni ’84/’85, dopo l’approfondimento analitico e psicologico,

si viveva d’idee brevi, pronte a disintegrarsi nel momento stesso dell’illuminazione. Nel mondo delle

immagini la pubblicità era l’oggetto più guardato ed emergente, l’appropriazione delle immagini e degli

oggetti aveva subìto un rovesciamento. Non era più l’arte a catturare le immagini pubblicitarie e del mondo,

ma la pubblicità ad appropriarsi delle immagini del mondo, della comunicazione visiva, del linguaggio

dell’arte e delle sue opere. Quella di Alighiero Boetti e, in seguito, la mia, furono una prima reazione a

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quella realtà visiva, verificatasi forse troppo presto per essere compresa. Fu scambiata, infatti, anche

dagli addetti ai lavori per una coda della Pop Art. E avvenne un fatto quasi telepatico tra me e Alighiero

che riguardava la posizione dell’osservatore. Si trattava in realtà di un’indagine sul dualismo che distanzia

il soggetto dall’oggetto e che concede al soggetto solo immagini con l’intento di segnalare la “macchina

che influenza lo sguardo” e la visione, in una società divenuta schizofrenica e dominata proprio da quella

macchina. Da parte mia, tentavo una riappropriazione pittorica, anche per divertirmi con la pittura, ma

su un tema psicologico di relazione tra la somiglianza e la riproduzione, tra l’immagine interna e la realtà

esterna. Troppo difficile da comunicare per quei tempi. Passò invece il ritorno naif alla pittura.

GDC ■ Dunque, se oggi dovessi dare una spiegazione di quell’operazione, abbastanza particolare di

“ridipintura dalla pubblicità”, cosa diresti?

FV ■ Che era un cercare di creare un corto circuito tra le immagini dei rotocalchi e della pubblicità e la

pittura, invece che aggiungere nuove immagini all’ambito pittorico; un far dilagare le immagini dei giornali,

delle riviste, della pubblicità nel campo visivo attraverso la pittura, sino a saturare lo spazio della percezione

e a far implodere l’idolatria, il mana dell’ipnotizzatore fondato sulla magica proprietà dello sguardo.

Il mana del demiurgo.

GDC ■ Mi pare non sia da sottovalutare però anche l’attenzione che riservavi al testo scritto impaginato

insieme all’immagine in quei lavori e l’ambientazione del prodotto, accostato in forma di dittico, alla

mappa del luogo di provenienza. Elio Schenini nel catalogo del 2008, pubblicato in occasione delle tue

mostre allo Spazio Teatro della Contrada Bornago e alla Galleria Barbara Mahler, parlando di queste

opere scrive: le serigrafie geografiche che Fosco dipinge non sono però carte politiche, ma orografiche,

in cui il naturale dispiegarsi della morfologia del territorio reso attraverso l’intensità dei blu, degli ocra, dei

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marroni che disegnano i rilievi, le pianure, le depressioni e i mari, contraddice ogni idea di confine stabilito

dall’uomo. Sottolinea di nuovo, insomma, la tua propensione ad operare su quelle soglie invisibili fra

confini su cui hai lavorato sin dagli esordi, con un’intenzione che definirei “terapeutica”, come cercando

l’unificazione di quella condizione naturale che scienza, politica e ideologia hanno al contrario diviso.

FV ■ Certo. Le immagini pubblicitarie divenivano sempre più universali e si poteva inserire nei quadri, democraticamente,

anche il territorio, gli oggetti visivi o i prodotti dei paesi emergenti e, perché no, dei paesi

colonizzati o devastati da conflitti, per osservare il mundus come continente perduto da riunire, ancora

una volta, provando a utilizzare, il mana consumistico del demiurgo, in senso inverso, come deterrente.

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GDC ■ Negli anni ’90, hai abbandonato per qualche anno i lavori pubblicitari per dar vita a una serie di

ritratti dedicati ad alcuni dei vecchi amici, o a figure carismatiche che avevi incontrato nella Roma degli

anni d’oro dove, magari anche solo di passaggio, a un certo punto, arrivavano proprio tutti.

FV ■ Quei ritratti erano mossi dall’intenzione di rappresentare gli artisti e i personaggi del tempo alla stregua

di un prodotto pubblicitario e, insieme, dall’idea di riportarne il disegno su una tela per confrontarmi

nuovamente con la pittura. Una metamorfosi del linguaggio pubblicitario attraverso una sorta di riorganizzazione

stoica della scena degli accadimenti che prevedeva al centro dell’immagine il corpo di un artista.

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Il tema della pubblicità riutilizzata nella pittura non era stato compreso negli anni ottanta. La pubblicità era

un tabù, un mito che non bisognava scalfire, perché nascostamente sotto la patina della pittura e la piacevolezza

estetica dell’immagine pubblicitaria si poteva rimettere in causa l’utilità o l’inutilità del prodotto

e di riflesso anche quello dell’arte. Un tema economico-politico, dunque, oltre che di politica culturale.

Al di fuori delle dinamiche ideologiche esso spingeva a ripensare psicologicamente certe persuasioni

occulte e, sotterraneamente, esso poteva alludere persino a un ripensamento psicologico sul denaro.

Tre super tabù che nessuno voleva prendere in considerazione in quegli anni. Le interpretazioni venivano

spostate invece sull’accezione affermativa della Pop, seguendo il mainstream.

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GDC Ma forse anche una nota affettiva e di nostalgia non sono da escludere in questi ritratti intimi e

dai toni delicati di figure appartenenti proprio al tuo passato. Considerando quella che è stata la tua

svolta successiva, a me è sembrato addirittura che con quel ciclo tu abbia rivolto il tuo ultimo saluto a

un’intera stagione. Nel 2000, allo scoccare del nuovo millennio, il tuo lavoro avrà, infatti, un vero capovolgimento

e un’impennata che farà posto a una fase autonoma da qualsiasi, anche lieve, influenza

precedente. Un’opera esclusiva della tua invenzione. Tutte le componenti, a cui abbiamo appena

accennato, vi troveranno una nuova coesione, dando luogo a una visione complessa, realizzata con

i temi e con le tecniche più svariate, secondo un’assoluta libertà e indipendenza. La svolta comincia

con opere dove, per la prima volta, è la tua immagine a essere il fulcro di ogni cosa rappresentata e

il punto di riferimento di ogni scelta. Così nelle foto in cui appari bendato, con i bastoncini da rabdomante

in mano, o nei sedici fotogrammi dell’opera L’ordine delle cose (2000), che sono l’avvio di un

profondo cambiamento.

FV ■ I ritratti degli amici, le fotografie dell’artista rabdomante, L’ordine delle cose nascono certamente

dalla presa d’atto di una sconfitta storica. Non si poteva accettare, in quegli anni critici, ancora una dimostrazione

che gli oggetti in cui sono concentrati la ricchezza e il valore non abbiano alcuna vera utilità

pratica. Io scelsi semplicemente un’altra via di comunicazione con quei fotogrammi, pensati in opposizione

a tutto questo, ma per dire la stessa cosa, spostando aristotelicamente lo sguardo dall’immagine

degli oggetti di consumo a quella dell’identità umana per restituire a questa il potere dell’immaginazione.

Per distinguere i bisogni umani reali dalle richieste del consumatore nevrotico bisognava incontrare di

nuovo l’irrazionale e ricominciare a inventare; esaurire le immagini del tempo, come si esaurisce un consumo,

intuire nuove metafore, risvegliare miti e archetipi. E naturalmente restare fedeli alla propria poetica,

ma attraverso deviazioni dalla logica, dai sentieri già tracciati, con l’azzardo di qualche volo pindarico.

Ero anch’io alla vigilia della “revisione della mia identità storica”.

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GDC ■ Nel 2003, la Svizzera ticinese libertaria e permissiva, erede di Bakunin e degli anarchici, si sveglia

improvvisamente proibizionista mettendo al bando i tanti negozi dove, legalmente per anni si erano

venduti i derivati della cannabis. La campagna, scatenata per fini politici ed elettorali non risolveva affatto

il problema, lasciando aperto quello delle droghe pesanti. Per di più, faceva aumentare il lucroso traffico

clandestino di quelle leggere. Ne nacque un grande dibattito su tutti i giornali, nei media e in parlamento.

La cosa ti coinvolse al punto da spingerti allora a scrivere un piccolo libro, Filosofia esistenziale della

canapa indiana, uscito a ruota, nel giugno del 2004.

Non solo la scrittura è spigliata, ben articolata e veritiera, ma sono certa della sua importanza quanto al

tuo futuro, per averti fatto ripensare agl’ideali libertari da cui era stata segnata la tua giovinezza, al viaggio

in Olanda in autostop alla volta dell’Holland Pop Festival, con il Tractatus Teologico Politicus di Spinoza

sottobraccio. Fu, insomma, la fonte per ricucire con un passato che si stava allontanando sempre più,

come colpito da rimozione, e per riappropriarsi del suo sapore di libertà e di un edenico desiderio di giustizia.

Quel libro fece sicuramente sgorgare le energie che dovevano mettere a segno la grande svolta

artistica successiva: quella delle pitture anamorfiche, del tuo primo video, Sol Lapis Philosophorum, e

delle opere lenticolari. I temi della rappresentazione, della visione, e dell’occhio diventeranno da ora il

soggetto prediletto per i tuoi racconti visionari.

Nell’epigrafe del libro si leggono queste parole anticipatrici di Rainer Maria Rilke: Dunque nessun autocontrollo,

nessuna autolimitazione per raggiungere determinati fini, ma un libero lasciarsi andare senza

preoccupazioni (...) Nessuna prudenza, ma una saggia cecità(...) Nessuna conquista di beni certi che

lentamente si accumulino, ma una continua dissipazione di tutti i beni perituri (…) Questo modo di essere

ha qualcosa d’ingenuo e istintivo e assomiglia a quel periodo d’inconsapevolezza che soprattutto si

distingue per una confidenza gioiosa, l’infanzia.

FV ■ La riappropriazione del corpo magico ricercato dai poeti o del corpo adamantino del misticismo

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orientale era importante per certi ambienti della mia generazione, aperti alle alterazioni del sentire e del

comprendere, come da sempre lo sono l’arte e la poesia, e anche ad alcune esperienze psicotropiche,

soprattutto se guidate da medici e sciamani. Era una generazione di avanguardia, la mia, senza padroni,

politicamente libera, come quella dei viaggi in India di Herman Hesse. Aderivamo anarchicamente

al principio del piacere e al rifiuto del dualismo anima-corpo e attraverso la conoscenza delle filosofie

orientali, cercavamo di spezzare le catene della tradizione filosofica occidentale. Eravamo, in una parola,

alla ricerca di quella felicità che era ormai percepita come un diritto. Era questo bagaglio di libertà

politica, culturale e sociale che sentivo vilipeso dalle Istituzioni della Svizzera italiana – in genere molto

emancipate – ma non in quel momento. Per questo scrissi di getto quel libretto, nel 2004, per la casa

editrice Derive e Approdi.

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GDC ■ Subito dopo, intorno al 2006, inizia per te un’importante stagione pittorica. Non fai più ricorso

a un corrected ready made, ricoprendo di pittura un fondo preesistente, ma interpreti il tema in molti

modi diversi. Per primo quello dei Fiori. Fabio Sargentini scrive: C’è un soggetto in pittura più abusato

dei fiori? (...) Ebbene Fosco, per nulla intimidito da alcuni illustri precedenti, è andato avanti per la sua

strada contando soprattutto sull’originalità del colore. Lui è un colorista nato. La tache è la tecnica pittorica

di cui Fosco è maestro. Egli non la usa in modo anarchico e casuale, come certa pittura informale

degli anni cinquanta detta appunto tachiste, bensì sapientemente la convoglia sulla silhouette dei fiori.

Il rapporto tra il fondo monocromatico, sia esso viola o verde o blu, e questi fiori filiformi e maculati, gambi

corolle foglie, non potrebbe essere più gradevole. Il pregio è che non sai mai se ti trovi davanti a una

natura morta o a un paesaggio. Con il consueto acume, Sargentini coglie un aspetto fondamentale di

queste opere, quello di aperto scenario e di “visione” che i tuoi fiori suggeriscono, tanto da legittimare un

accostamento con l’idea di “paesaggio”.

In un testo del 2012, pubblicato sulla rivista svizzera Soglitter the Luxury Lifestyle io scrivo invece:

è come se un principio di chiaroveggenza facesse per la prima volta la sua apparizione attraverso

le intermittenze prodotte dalle macchie che nel loro pulsare interrompono il limpido disegno di

sagome di fiori, oggetti, figure umane dando luogo a una nuova forma di consapevolezza: quella

di un corpo che partecipa delle improvvise aperture dell’essere e di una psiche in sintonia con

una condizione di totale immersione nell’immaginario. Il carattere della visione è, infatti, quella di

un paesaggio mentale, irreale, dove corpo e anima si fondono lasciando che anche il sentimento

interno sia percepito. La freschezza e la libertà dell’insieme sono favorite dalla tecnica a inchiostro

e acquerello su carta intelata, che delinea in modo cristallino i contorni, scandendo ogni nervatura

di foglie e fiori. E la posizione delle figure, colte in un sospeso movimento di crescita, di cui nelle

vibrazioni del fondale sembra poter avvertire il fruscio e il sommovimento interno, conferma e avvalora

questa sensazione.

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FV ■ Sì, quei fiori giganteschi che spuntavano da un fondo di colori fluidi e trasparentissimi volevano

essere una visione da sogno, un paesaggio ai limiti della realtà. Le macchie si sovrapponevano come se

quei fogli avessero più superfici. Si poteva passare attraverso quei fiori abnormi come nelle illustrazioni

favolistiche. Gli inchiostri erano bellissimi quando si fissavano sui fogli di carta monolucida, usata in genere

come carta da pacchi che assorbiva l’inchiostro muovendolo. Una parte del lavoro avveniva grazie

alla capacità della carta di modificare automaticamente il miscuglio dei colori, e una parte altrettanto

importante era nell’uso del pennino, quello antico da immergere nell’inchiostro per marcare il disegno

dei fiori, che veniva quasi occultato dalle macchie assorbite. Con uno spruzzino da acqua umidificavo il

foglio sulle tracce del disegno, di modo che la realizzazione del disegno con l’inchiostro fosse rapidissima

e senza staccare quasi mai il pennino dal foglio. Era questo che creava nervature che s’inserivano

tra le altre macchie e davano quel segno fresco e nitido, per far sorridere gli occhi, quando si rialzavano

dopo l’immersione – anima e corpo – negli inchiostri, nella carta, nel pennino che scorreva sulle gocce

d’acqua. Fare dei fiori in quegli anni era un gesto in controtendenza. Il tema era tra i più detestati dal

mercato, dai galleristi, dai critici. La morale antica dell’arte che mi avevano insegnato i maestri pareva

sparita dal mondo insieme alla verità. Purtroppo nella storia delle immagini aveva vinto il falso. Questo

pensavo nel 2006, quando il mondo dell’arte aveva iniziato a riempirsi di bluff, di usurpatori e di piccoli

tiranni in tutti i settori chiave del sistema.

GDC ■ Forse, però, c’è anche dell’altro. I frutti e le foglie percepiscono una rivolta utopica – dice Stefano

in Filosofia esistenziale della canapa indiana – l’idea aerea vegetale, la conquista della leggerezza dell’immaginazione

vegetale. E Mario aggiunge: Nella natura le piante, come l’uomo e come il sesso, vanno

contro la forza di gravità terrestre con un atto verticale, aereo, sospeso. La nostra rivolta dev’essere la

rivolta della natura. E Francesco di rimando: La prossima rivoluzione non sarà quella cibernetica. Sarà

una rivoluzione vegetale (…) la rivoluzione della forza del bocciolo, dello slancio vegetale. Dell’immagine

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primaria che crea tutte le altre immagini, della vita mitica senza subalterni, dell’albero del fumo. Al limite

tra il movimento immateriale e il movimento vivo. Dunque fare dei fiori, dopo quanto stava avvenendo in

Ticino, era proprio un evocare quella “rivoluzione vegetale” che da ragazzo, insieme ai tuoi amici, avevi

sognato e che, perentoriamente, veniva ora calpestata a norma di legge. Sul margine superiore di uno

dei dipinti che fanno parte di questa serie, Fiori 9 (2007), s’intravvedono le gambe di una poltroncina.

Questo ci aiuta a capire che la visione di fiori e di piante dal sentore di aperto, si svolge, invece, nel

chiuso di una stanza dove, a occhi spalancati, il tuo sguardo ne va cogliendo tutto il potere incantatorio.

La serie Chair, a seguire, dipinta con la stessa tecnica, come ti fossi spostato solo di qualche spanna,

si svolge all’interno della stanza con i suoi oggetti – sedie e poltroncine vuote, finto settecento che evocano

la presenza-assenza dell’uomo – qualche lampada, caffettiera o cestino di frutta caravaggesco

che allude, nell’insieme, al tema della natura morta. La presenza viva e inquietante dei Fiori li aveva, per

un momento, fatti tralasciare. Il mio testo proseguiva così: In un paesaggio indefinito in cui il fuori della

natura scambia le parti con il dentro di una stanza, dove ogni cosa scivola e svanisce come attraverso

un’invisibile cerniera messa in moto dal battito delle nostre palpebre, tutto evoca la paradossale natura

dell’arte, verosimile artificio, in un mondo di coerente incoerenza, fatto per adescarci e trattenerci in estatica,

puerile contemplazione. “Io dico che bisogna essere veggente (…) mediante un lungo, immenso e

ragionato sregolamento di tutti i sensi” scriveva Rimbaud nella sua “Lettera del Veggente”.

FV ■ Provai la tecnica, che ormai avevo sperimentato, anche su nature morte di oggetti per creare un

ambiente indefinito. Essa rispondeva, in effetti, in modo sorprendente al tentativo di determinare uno

“sregolamento di sensi”. Era in realtà un artificio, un espediente. In questi dipinti adottavo a volte anche

un pennello sottilissimo, usato in genere per la grafica e la scrittura. L’accostamento di oggetti per l’uso

dell’uomo, a sedie e poltrone vuote, creava associazioni indefinite e intriganti, a volte le lampade dovevano

illuminare gli oggetti, ma per far questo il fondo macchiato doveva essere mosso con pennellate

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pittoriche, di modo che la fonte luminosa piovesse in uno spazio raccolto facendo lo stesso effetto della

luce in una stanza. Quest’altro modo di dipingere, utilizzando altro inchiostro con il pennello sulle macchie

permetteva la loro evanescenza, rendendo la visione sempre più irreale.

GDC ■ Di questa sequenza di opere del 2007 fa parte anche un gruppo di dipinti dal titolo Oggetti 5

che ha come sfondo tematico Pinocchio. Il dipinto esibisce una stanza arredata con sedie Breuer, da

ufficio, dove un ventilatore sconvolge con il suo soffio metallico ogni stabile appoggio e sovverte la progressione

dei giorni impressa sui fogli del calendario, interrompendo la successione obbligata. Poi lo

sguardo cade su altalene, sgabelli, dondoli da giardino che alludono ad attività ricreative infantili, come

un giocattolo a molla, con un piccolo gufo di legno. Una sorta di retour au berceau, che suona come un

ritorno a se stessi, alla propria vita interiore e immaginativa.

FV ■ Quelle sequenze dovevano essere il più possibile senza senso. Cercavo, in quel momento un

senso nascosto, una nominazione segreta da scoprire nel non senso. Che nome potevano avere quegli

oggetti comuni, a volte banali nella pittura che chiamiamo sedie, poltrone, sgabelli, giocattoli quando

vengono sovrapposti, incastrati, modificati rispetto alla loro funzione? Gli oggetti, i giocattoli per bambini,

le marionette sono forme che ricorrono nella mia mente. Mi affascinano quelli a molla che spuntano

all’improvviso che a volte sono uccelli, altalene, dondoli. Ricordo che volevo realizzare una serie di

giocattoli tridimensionali, delle sculture fatte con oggetti di scarto per utilizzarli come marionette in un

video, oppure per installarli a parete come sculture per il gioco, sculture giocattolo. Forse lo farò in futuro.

Mi limitai a disegnare e a dipingere oggetti estraniati dal loro uso e possibilmente anche senza significato,

oggetti senza nome, disegnati come se fossero oggetti di scarto. Ecco quei disegni erano anche

progetti per una serie di giocattoli reinventati con materiali di recupero, la parola stessa rimanda all’idea

di recupero dell’infanzia e dei giochi perduti.

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GDC ■ Forse cercavi semplicemente di “rinominare” le cose del mondo come fa il poeta e secondo

me – e non solo, dato il successo di quei lavori – ci riuscisti perfettamente. Il ciclo si chiude con alcune

enigmatiche Figure astratte, dove compare un misterioso fanciullo in pose distratte o meditative attorno

al quale, come un sottile sciame, girano volute di dripping leggero.

FV ■ Fondamentalmente quella pittura era inconscia. Anche da adulto io non ho mai dimenticato, ad ogni

modo, la capacità straordinaria del bambino di reinventare a modo proprio la realtà, destinandola a un altro

compito secondo la sua fantasia e “rinominando” per conseguenza, le cose incontrate nel mondo, esattamente

come le scopre e utilizza il poeta. Era anche il mio gioco preferito nell’adolescenza, un tuffarmi in una

magnifica libertà esistenziale estetica e onnipotente. Forse le pose a cui alludi, distratte e meditative di quel

fanciullo, stanno a rivelare o a indagare il suo amore per le cose del mondo o per gli oggetti a esso estranei,

quell’inventare segni, forme, combinazioni come giocattoli, per fare la pace e non la guerra con la realtà del

mondo. In quella figura di ragazzo spoglia nel suo abbigliamento essenziale, c’è forse anche un bisogno

di affermare che il recupero del corpo che avevamo nell’infanzia è la cosa più importante nella nostra vita.

GDC ■ Restai molto sorpresa quando vidi le foto dove, dotato di matita, squadra e compasso come un

maestro del Rinascimento, sei intento a disegnare figure della classicità con il metodo dell’anamorfosi,

piegato su grandi fogli da disegno su cui poggiano cilindri, coni e sfere specchianti. Un’altra sterzata, anzi

un testa-coda a 180 gradi, dopo la fase, che abbiamo appena citato, di una pittura complessa, ma aperta

all’aleatorietà del caso. Come rovesciando un cannocchiale verso il passato, da quel momento ti dirigi allo

studio delle leggi ottiche, della rappresentazione prospettica e delle apparecchiature del sistema visivo.

FV ■ Cominciavo a sentire che “il principio del piacere” doveva confrontarsi con la realtà del fare, anche

sotto il profilo di nuovi mezzi. Parlando con Fabio Sargentini, proprio nel periodo in cui dipingevo i Fiori si

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cominciò a discorrere dell’anamorfosi. Sargentini aveva infatti intravisto un’analogia fra i miei fiori distorti e

l’anamorfosi. A Roma esistono forse le più grandi anamorfosi mai dipinte al mondo, gli affreschi conservati

a Trinità dei Monti nel Convento dei Frati Minimi. Nel 1639 arrivò a Roma Jean-François Niceron che

apparteneva all’ordine dei Frati Minimi, fondato da San Francesco di Paola, il quale era stato chiamato in

Francia da Luigi XI e vi era restato sino alla morte. Niceron era in contatto con i filosofi e gli scienziati di tutta

Europa, tra i quali soprattutto Cartesio, che insieme ai teologi che si occupavano di prospettiva, riteneva

che la vista fosse il “senso supremo”, quello che permette di discernere la verità dalla falsità. E Niceron ha

lasciato a Trinità dei Monti l’affresco dove San Giovanni Evangelista è ritratto mentre scrive l’Apocalisse.

Proprio grazie all’utilizzo del metodo anamorfico essa diviene davvero un momento di disvelamento, come

la parola greca apocalypsis (rivelazione), indica. Attraverso l’espediente di una proiezione distorta, l’immagine

resta, infatti, avvolta nel suo bozzolo e si mostra soltanto quando si trovi il punto da cui guardarla.

Il corpo dell’Evangelista appare alla prima occhiata come un esteso paesaggio con tante piccole scene – gli

episodi dell’Apocalisse – sino a quando non si manifesta nella sua interezza. Fu così che l’insieme di questi

collegamenti e sollecitazioni mi fecero immergere al più presto nella sperimentazione degli studi sull’ottica.

GDC ■ Eri consapevole del fatto che l’anamorfosi era stata adottata ormai, sia nel cinema che nella pubblicità?

Ossia, che ti si offriva un naturale passaggio dalle immagini esplicite della pubblicità, che avevi

adottato in precedenza, a un modo di salvaguardare l’enigmaticità dell’immagine e del suo significato,

proprio grazie a questo metodo?

FV ■ Avevo letto con interesse in anni precedenti il saggio di Jurgis Baltrušaitis sulle anamorfosi, Thaumaturgus

opticus. Al tempo stesso ero attratto dall’uso delle ottiche nella pittura del Cinquecento e del

Seicento. Era uscito da poco anche il saggio di David Hockney: Il segreto svelato. Tecniche e capolavori

dei maestri antichi. E certo avevo indagato anche l’uso delle tecniche anamorfiche nel cinema e nella

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persuasione pubblicitaria. Mi chiedevo come attuare un passaggio verso l’enigmaticità dei significati delle

immagini e al tempo stesso come ripensare in forma immaginativa il presente, alla luce dell’uso dell’ottica

nella pittura dei secoli che sono all’origine della modernità, sia nel pensiero che nell’immagine. E tutto questo

s’incrociava anche con i miei interessi filosofici in merito a Spinoza. Poi, con altri aspetti, ad esempio

quelli della fisica quantistica che hanno similitudini o si ritrovano nelle intuizioni del pensiero Zen e Taoista.

Ero attratto da un’idea, ripensare la modernità risalendo alle sue origini nel pensiero scientifico e nelle

tecnologie che allora viaggiavano allineate verso un unico obiettivo. Sono nati così quei quadri e quelle

immagini di statue con la prospettiva anamorfica estremizzata sino a rendere mostruose, deformandole, le

forme che avrei poi portato alla Biennale del 2011, dove ero stato invitato sulla base del concorso per gli

artisti italiani residenti all’estero. Usai, per quei dipinti, colori e pastelli a olio. Dipingevo a volte con i pennelli,

a volte con le dita bagnate nell’olio di lino e in un diluente, in modo da sfumare i colori. Per realizzare

l’orizzonte e il fondo utilizzavo le dita, coperte con dei guanti di gomma, adatti ad amalgamare la luminosità

dei colori con il blu, il verde, il giallo, il rosso, le terre, i bianchi e i grigi con alcune sfumature di nero. Alla

fine ne emergevano quelle immagini distorte, paurose e indecifrabili che, se viste da un certo punto dello

spazio o riflesse attraverso i giusti accorgimenti, si ricompongono, si rettificano sino a svelare delle figure a

prima vista non percepibili. In fondo il tempo storico che stiamo vivendo è anche questo.

GDC ■ Cosa intendi, esattamente, a proposito di questo nostro momento storico

FV ■ Penso ad esempio al modo mostruoso in cui è stato distorto il passaggio, tramite sublimazione,

dagli istinti originari a quelli dell’uomo civile che stiamo vivendo dalla fine degli anni ottanta del secolo

scorso. Alla distorsione che ha tolto magia al corpo umano, decretando la vittoria dell’istinto di morte.

Nelle società occidentali sono state esaltate, in questi anni, alcune delle peggiori caratteristiche umane,

l’amore per il denaro e la ricchezza, in quanto possesso e non in quanto mezzo. Forse nella storia è

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sempre successo e vorrei, dunque, sbagliarmi, ma spero che come umanità, riusciamo a liberarci da

molti di questi pseudo principi morali.

GDC ■ Ho ben presente quei quadri dove lo spazio, scandito da un orizzonte, nella parte che dovrebbe

essere riservata alla terra, mostra delle figurine avvitate su se stesse, come sferzate da una corda che

le fa turbinare come trottole. Costrette in atroci avvolgimenti e in improbabili voli che le catapultano nello

spazio, esse vedono volare sopra di se le enfatiche, bianche entità di marmo che galleggiano nel vuoto.

Furono mai esposte in quella Biennale, o altrove, insieme agli strumenti che erano serviti a fabbricarle?

FV ■ I quadri della Biennale, dedicata anche agli artisti residenti all’estero con la collaborazione dell’Istituto

Italiano di Zurigo, furono esposti in un luogo mitico: la casa storica dove visse Ulrico Zwingli, celebre

teologo fondatore della Chiesa riformata svizzera. Queste coincidenze mi appaiono, ancora oggi, magiche.

Zwingli fu anche uno dei fautori della tremenda furia iconoclasta che diede al rogo tutti i quadri delle

chiese. Fra questi, purtroppo, anche molte opere del Rinascimento svizzero. Capitò, insomma, ai quadri

visionari di un pittore romano, di essere esposti nella casa in cui si incontravano grandi teologi, filosofi e

mistici della riforma protestante. Passò di lì, forse, lo stesso Lutero. Ho coltivato, in me la speranza, che

quelle stanze avessero potuto esser visitate anche da uno dei filosofi mistici che più mi hanno affascinato

e che da sempre ammiro: Jacob Böhme, che Lutero definiva “il folle visionario”. Fu un onore insperato

quello che le mie opere fossero ospitate nella casa di Zwingli. Gli strumenti ottici inventati per il disegno,

la pittura, e gli altri oggetti, adottati per la realizzazione di quei quadri, invece, non furono mai esposti,

neanche in occasione di quella Biennale di Venezia.

GDC ■ Quasi contemporaneamente a questo ciclo delle Statue nel 2011 nasce il tuo primo video: Sol

Lapis Philosophorum. Un tema dichiaratamente alchemico, che allude al sole degli alchimisti, ovvero

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alla Pietra Filosofale (Lapis) che tu hai usato, anche questa volta, in una chiave del tutto particolare.

Il video di animazione, accompagnato dal concerto in Re per violino e orchestra di Stravinsky eseguito

da Cho-Liang Lin insieme all’orchestra della Los Angeles Philharmonic, per circa quattro minuti, mostra

ogni secondo un disegno fatto a matita – in sintonia con il tema del lapis –, che come dicevi è uno strumento

artistico essenziale. Quei circa duemila disegni in bianco e nero, in una specie di danza smisurata

presentano il ritorno ai primordi di un fanciullo dell’età arcaica – un’allusione al puer aeternus? – che,

disteso nel sonno, protendendosi a dismisura con le gambe e le braccia, si libera dai vincoli terreni e

esce dall’orbita terrestre proiettandosi nel cosmo. Sfilano così, davanti a noi, figure e immagini della

storia e del mito insieme a opere d’arte di tutti i tempi, come in un infinito attraversamento. Alla fine,

due bulbi oculari, branditi dal giovinetto, vengono precipitati nel mare, dove ogni visione ritorna, come

nell’inconscio, sommersa e segreta. La trasformazione degli elementi avviene in questo caso, tramite

una sorta di corpo astrale, di doppio, che si estende attraverso tutti i tempi storici sino ad annullarne le

scansioni e a unificarle, come negli stati di chiaroveggenza, entrando così nelle orbite eterne del cosmo

e nella sua fluida, infinita energia.

FV ■ Come hai intuito, nel video si attua, infatti, la metamorfosi del fanciullo. Avevo affidato ai disegni di

quel video la tautologia ironica e automatica della matita – il lapis – attribuendo allo strumento e alle mani

un potere e una capacità magica. Un lapis e una gomma per cancellare furono i mezzi primari e unici

per creare quel video, intesi anche come i materiali più elementari per realizzare qualsiasi attività artistica.

La stessa cosa avveniva con la tecnica del montaggio. Eliminai qualsiasi aspetto sofisticato e davvero

tecnologico. Importai tramite scanner, i quasi duemila disegni, servendomi di un espediente di cruda

appropriazione. Poi, quando incontrai, per caso, Lukas Klopfenstein, giovanissimo studente di animazione

cinematografica e video, con cui realizzai il montaggio nelle aule, messe a disposizione a costo

zero dagli studenti della scuola tecnica universitaria di Lugano (SUPSI) avvenne nuovamente qualcosa

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d’incredibile. Lukas si meravigliò, realizzato il montaggio, quando inserimmo il pezzo di Stravinsky – un

esperimento di musica anamorfica – perché il brano musicale scelto senza premeditazione, aveva esattamente

la stessa durata del nostro video montato. L’aver trovato Lukas, ancora studente e alle prime

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armi nel montaggio, fu una coincidenza e un’intuizione speciale di cui ancora mi rallegro. Nel 2018, il suo

team appartenente a un importante studio di animazione canadese ha ottenuto l’Oscar per le animazioni

del film Blade Runner 2049. Quel piccolo video, dunque, allestito con nulla è diventato storicamente

importante, secondo vie magiche e misteriose. Forse perché aveva davvero voglia di nascere.

GDC ■ In quel proficuo 2011, sono nati, proprio dal video, i tuoi primi lenticolari dallo stesso titolo, Sol

Lapis Philosophorum. Più figure – come avverrà anche nei cicli successivi – sono riunite insieme in un

unico pannello producendo uno spostamento simile a un battito di ciglia, che determina un aggiustamento

della visione, creata, ancora una volta, attraverso il movimento anamorfico. Il colore trasparente e

uniforme del fondo qui è un verde insolito – può far pensare al liquido amniotico – mentre le figurine hanno

contorni luminosi di differenti colori. L’impressione di assistere a una danza cosmica fuori dalla legge di

gravità aveva già avuto inizio nelle movenze del video, ma ora comincia a diventare sempre più evidente.

FV ■ Tra il 2011 e il 2012 entrai, in effetti, in un’altra dimensione dei miei sensi che mi accompagna tuttora.

Uno stato di fiduciosa aspettativa di quello che appare, si muove e parla dentro di me come da una profondità

a cui attingere continuamente. Non è stata semplice la sperimentazione, quando decisi di usare i

pannelli lenticolari per i miei disegni. Il pannello tecnologico, non fa l’opera, è soltanto un mezzo, ma sono

necessari parecchi accorgimenti per farlo funzionare. Nel mio caso, era importante fare in modo che quei

pannelli facessero risaltare il cambiamento dell’immagine secondo le diverse prospettive anamorfiche del

disegno: prospettive centrali, parallele, prospettive oblique, angolari, verticali o orizzontali. Inoltre dovevo

essere in grado di fare apparire e scomparire i volumi dei cerchi e dei cilindri, spostando appena lo sguardo,

in un batter d’occhio. Cambiando il punto di vista anche un’altra prospettiva si metteva in azione. Questo

implicava ancora un altro aspetto che riguardava il livello comunicativo dell’oggetto da realizzare, sia esoterico

che essoterico, ossia il messaggio intrinseco che per cambiare prospettiva si dovevano armonizzare i

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diversi punti di vista. Il titolo restava lo stesso Sol Lapis Philosophorum. Presi contatto con diversi laboratori,

ma nessuno voleva realizzare dei lenticolari con disegni a linee sottili come i miei. Mi dicevano che non

potevano funzionare e che avrei dovuto usare la fotografia, non i disegni, sconsigliandomi in tutti i modi.

Quando finalmente trovai chi era disposto a produrli, mi concentrai sul gioco dei colori nei movimenti

delle prospettive dei vari nuclei disegnati e sulle prove dei loro movimenti, rispetto ai colori del fondo.

Se i fondi erano bianchi, chiari o pastello, le immagini potevano sparire e confondersi nel colore base del

pannello, come dentro una sorta di liquido amniotico – proprio come dicevi – perché era esattamente

l’effetto che volevo ottenere. Nei pochi mesi di sperimentazione, trovata la formula, anche il prototipo fu

pronto per essere stampato. Appena eseguita la prima stampa ci accorgemmo dell’armonia, del piroettare

danzante delle immagini e del senso cosmico di quelle prospettive in diversi colori, immerse nelle

trasparenze dei colori di fondo. Restammo attoniti dinanzi all’effetto ottico realizzato con quelle immagini

sottili, come davanti a un evanescente pensiero visivo infuso d’astri.

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GDC ■ A questo punto, i cicli del tuo lavoro cominciano a susseguirsi con cadenze ravvicinate e con

grande concatenazione d’intenti. Nel 2012, è la volta de Il Sogno di Keplero, dove l’atmosfera in cui

galleggiano i tuoi disegni, ispirati al Somnium – l’operina a carattere divulgativo del grande scienziato –

si fa sempre più rarefatta. I colori evanescenti, che sfumano dal grigio al rosa, dall’azzurro al bianco, in

accordo con l’idea del viaggio cosmico, avvolgono ora le immagini, facendole trapelare e poi svanire

attraverso una luce gassosa. In questo modo i disegni non si muovono più a scatto dentro la superficie

trasparente, ma sembrano evaporare nell’aria. La tua immaginazione, d’altra parte, è sempre più

orientata verso la fusione fra arte, scienza e magia, che aveva illuminato grandi secoli del passato e,

in particolare, la corte di Rodolfo II a Praga, presso la quale operava Keplero. Nel Somnium, che è già

quasi un racconto di fantascienza, Keplero aveva inventato un favoloso espediente per descrivere la

posizione dei pianeti nella visione eliocentrica di Copernico a cui aveva aderito, convinto che per un

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lettore comune il suo Astronomia Nova (1609) fosse troppo complesso; ipotizzava di salire sulla Luna

cavalcando il cono d’ombra proiettato dalla Terra durante un’eclisse lunare e di ritornare poi sulla Terra

scivolando lungo la sua ombra durante un’eclisse di Sole. Ma per quanto clandestino, il libretto fu scovato

e Keplero in una posizione troppo elevata, come matematico e astronomo imperiale, per essere

colpito direttamente, si troverà, allora, a difendere la madre, accusata di stregoneria dalla chiesa protestante

in un processo che durerà sei anni. La riflessione sul Sole, pietra dei filosofi, che avevi iniziato

nell’anno precedente, trova, così, nel viaggio immaginario de Il Sogno di Keplero, un’occasione ulteriore

per essere approfondita.

FV ■ Il Somnium di Keplero mi affascinò come una sorta di apocalisse della Scienza Astronomica, in

senso psicoanalitico. Un’inversione, un rivolgimento. Quel libretto considerato come il primo testo di

fantascienza faceva emergere l’importanza dell’espressione artistica e immaginativa nella scienza e nella

vita umana. Volevo, allora, indicare una funzione apocalittica, profetica dell’arte nella metamorfosi del

pensiero. Era necessario, a questo punto, cercare di dar forma, nella tecnologia di quei pannelli lenticolari,

a “un’apocalissi di Keplero”, dopo tutte quelle di Abramo, Mosé, Paolo, Pietro e Giovanni.

Mi ero accorto che con dei disegni vuoti e sottilissimi stampati sulle scalanature verticali del pannello

si poteva creare un effetto ottico di evaporazione, specialmente con immagini lineari su un

fondo unitario e trasparente, così raffigurai delle figure vuote, come un disegno trasparente su vetro.

Le tratteggiai anche su plastica trasparente, per capire come potevano risultare le sovrapposizioni e il

dileguarsi evanescente di immagini sognanti sul pannello a scalanature verticali, cercando, al tempo

stesso, di forzare i limiti di quella tecnologia, senza dimenticare la riflessione sul sole, sui cambiamenti

di posizione delle costellazioni e sulle continue trasformazioni dell’universo, giocando a sviluppare

una linea di disegni eterei su quel supporto tecnologico, sino a trovare, se possibile, l’apocalisse

stessa di quel materiale.

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GDC ■ Nel loro insieme i lenticolari hanno un effetto galvanizzante, una sorprendente magia, ma osservare

da vicino, ad uno ad uno, i tuoi disegni è un’esperienza irrinunciabile, anche per la quantità di temi

– come fossero estratti da diversi, arcaici inventari – che hai intrecciato al loro interno.

FV ■ Si trattava di una forma automatica di disegno, dove sperimentavo una grande concentrazione

stando quasi a occhi chiusi per far emergere le figure dall’inconscio con le loro simbologie. Cercavo

d’integrare corpo e pensiero senza gerarchie di sensi, abolendo il dominio del cervello, affidandomi alle

dita, al tatto, con il loro prolungamento nella matita. Poi rivedevo i disegni su piccoli cilindri di plastica

specchiante e li ridisegnavo. Cercavo, in questa fase, le ombre di quelle figure con la tecnica di un

gioco dei bambini. Ritagliavo a filo i disegni con le forbici, poi con un nastro isolante li mettevo in piedi

a tre dimensioni su un foglio di carta e ricalcavo l’ombra prodotta dalla luce che proveniva dalla finestra.

GDC ■ Uno degli aspetti più curiosi e interessanti di questi disegni è, infatti, proprio l’ombra che ogni

personaggio sembra portarsi dietro come una membrana avvolgente che si dilata, ma che non può

staccarsi da lui. Nel 2012 è nato anche il tuo video sul tema dello Zodiaco. La luce lattea dei segni,

perfettamente visibili, sfonda su un intenso cielo notturno, zeppo di stelle. Sin qui nulla di stravagante, al

di là del piacere che questa vista affascinante rinnova, come stando sotto a un Planetario. I segni però

sono tredici e non dodici come quelli di tutti gli zodiaci rappresentati sino ad oggi. Perché?

FV ■ È stata un’altra apocalisse, questa volta astrologica. In quell’occasione, presi spunto da un esperimento

degli astronomi della NASA. Dopo duemila anni essi avevano realizzato una nuova mappa del

cielo che in base al calcolo dello spostamento dell’asse terrestre, aveva fatto spazio a una nuova costellazione,

quella dell’Ofiuco. Un fatto, in grado d’influenzare anche la nostra vita sulla terra attraverso una

nuova suddivisione dei segni astrologici. Inserii quindi il segno dell’Ofiuco o Serpentario (colui che porta il

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serpente, in latino ophiuchus) tra gli altri 12 segni zodiacali. Il segno codificato da quella nuova classificazione

rappresenta colui che domina il serpente. È in realtà, una costellazione antichissima, menzionata

già da Tolomeo insieme alle 48 costellazioni originarie. Con la nuova configurazione, le costellazioni – tra

cui quelle considerate moderne – divenivano 88. L’Ophiuchus che si inseriva tra le costellazioni originarie

dal 29 novembre al 17 dicembre, facendo slittare tutti gli altri segni di un mese, era proprio quella che

si avvicinava di più alla Terra, nell’espansione della Via Lattea. Dunque, come dicevo, proprio un’apocalisse

astrologica. Per me inserire nello Zodiaco l’Ofiuco, diveniva un messaggio profetico di metamorfosi

o cambiamento della vita sulla Terra.

GDC ■ “Misuravo i cieli, ora fisso le ombre della terra. La mente era nella volta celeste, ora il corpo

giace nell’oscurità”, pensai a questa frase scritta sulla tomba di Giovanni Keplero, quando vidi la

nuova installazione che stavi preparando dove il tuo corpo atrocemente dilaniato, era riprodotto con

una cruda verosimiglianza fin nelle proprie viscere, come su un tavolo anatomico. Quel calco in resina

con tutti gli organi interni, progettato contemporaneamente a Il Sogno di Keplero nel 2012, lo hai

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chiamato Nulla succede per la prima volta. Nel titolo mi pare di poter riconoscere un brusco richiamo

alla terra, rispetto al volo dello spirito in un’altra dimensione e un’allusione all’eterno ripetersi della

storia dell’uomo e, forse, al mitico tema sacrificale di Dioniso Zagreo, da cui anche le figure di Orfeo

e del Cristo hanno avuto origine.

FV ■ Quella scultura vivisezionata resta per me un’immagine inconscia, un archetipo. Qualcosa che

fa parte della realtà umana e che si ripete nella storia. Ed è come il presagio di una caduta della storia

progressiva o, se si vuole, di un’entropia che riguarda la teoria di fine della storia nel sistema consumistico,

dove ogni corpo è divenuto oggetto di consumo. Forse sentivo il bisogno di ritornare ai

miti costitutivi per ricominciare. Non sapevo quello che potevo scatenare negli spettatori, pensai alla

descrizione di eventi psicoanalitici tramandati nell’inconscio che si ripetono nella storia cui accennava

Norman O. Brown, e scelsi quel titolo. Bisognava secondo me ripensare all’illusione dell’eterno ritorno

dell’uguale di Nietzsche, di Zenone, di Eraclito – da tutte le cose l’uno, dall’uno tutte le cose; comune

è nel cerchio il principio e la fine – da cui deriva l’idea che quando gli astri assumeranno la posizione

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in cui si trovavano all’inizio nell’Universo, avverrà una grande conflagrazione e il tempo e il mondo cominceranno

un nuovo ciclo. Una palingenesi, una rigenerazione rappresentata con quei pezzi di corpo

in resina, assemblati.

GDC ■ Dopo il punto di non ritorno determinato da Nulla succede per la prima volta, nel 2013 nascono

molte opere nuove con tecniche sempre diverse, spaziando dai lenticolari – Optical, Pompeiani – alla

tecnologia pubblicitaria – GRATIS – alla scultura in bronzo Sesso primario non diviso (maschile e femminile).

Poi, per la prima volta, vi fa la sua apparizione anche il tema del sesso, in una chiave inedita,

collegata con quello della vista e dell’occhio.

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FV ■ Gli oggetti e le sculture che citi sono come pensieri colti all’instante, ma dopo una decisione deliberata,

pensando all’unità dei contrari – una coniunctio oppositorum – nelle sculture in bronzo, come nel simbolo

fallico fatto di capelli femminili intrecciati, un emblema del potere nell’acconciatura della matriarca delle antiche

società matriarcali. Gratis è una parola latina tra le più universali. In questa scultura luminosa – un ready

made, in effetti – usai i led pubblicitari scorrevoli più comuni e universalmente utilizzati. Ed è evidente la sua

allusione a una differenza con la merce, una volta installata in un contesto artistico, dove l’esperienza è una

sorta di ripetizione del “dono” secondo i riti di scambio praticati nelle società arcaiche, studiati dall’antropologo

Marcel Mauss. I lenticolari Pompeiani e gli Optical dello stesso periodo, sono anch’essi oggetti visivi colti

sulla cresta del tempo. Gli Optical hanno gli stessi colori utilizzati dagli ottici, il verde e il rosso complementari

su cui vengono letti i numeri e i caratteri per misurare le diottrie ottiche. Nei Pompeiani ho tentato un cambio

di paradigma. Gli eroti rappresentavano negli affreschi di Pompei gli schiavi alati, come degli angeli felici di

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rallegrare la corte dei notabili romani. Era forse proprio quello che essi volevano tramandare ai posteri, con

qualche complesso di colpa. In realtà gli schiavi e i servitori dell’epoca credo subissero trattamenti terrificanti.

Nei disegni ho accostato gli schiavi felici degli affreschi a immagini di schiavi appesi, legati e torturati.

GDC ■ Dopo lo scioglimento, la separazione e la corruzione fisica subìta dal tuo corpo – ormai soltanto

una spoglia – in Nulla succede per la prima volta mi sembra che, come un alchimista, tu ti diriga verso la

ricongiunzione degli opposti e di quella percezione preveggente che è sgombra dalle fuorvianti pulsioni

dei sensi. Dopo il solve, dunque, il coagula. I due disegni tracciati a mano su fondo bianco e su fondo

nero – Il Pene ciclopico (2014) – rappresentano la duplicazione del tuo occhio destro al cui interno si

staglia, su fondo specchiante, la sagoma di un fallo che ne sbarra lo sguardo. Tu stesso mi hai raccontato

che nella psicoanalisi junghiana l’aggettivo “ciclopico” si riferisce alla scoperta del sesso da parte

del bambino nella camera dei genitori, quando s’impressiona nel suo occhio – maschio o femmina che

sia – come uno shock, in modo dominante. Al doppio del tuo occhio, hai accompagnato la scultura africana

rituale Matriarcale/Penelope (2014), che dà forma al sesso maschile attraverso un fitto intreccio di

capelli femminili, così da riunificare le due polarità. Un modo per raccontarci il passaggio da uno sguardo

accecato alla realtà, dove maschile e femminile vengono, tuttavia, a coincidere?

FV ■ Nel caso di Matriarcale/Penelope e di Il Pene Ciclopico, come nei racconti della mitologia ho inteso

l’occhio come tutto ciò che s’impressiona nella vista tramite shock, e che ci viene tramandato attraverso

l’apparato della memoria filogenetica. Ho cercato di rappresentare il mistero dell’immaginazione nella

scultura, nella pittura, nel disegno, interpretando gli oggetti come si trovassero in un teatro dell’assurdo o

del paradosso. Intendevo colmare il distacco tra l’opera e l’osservatore per recuperare l’attitudine di una

mentalità primitiva, la partecipazione e il legame tra il percipiente e il percepito, andando a ritrovare per

telepatia, un possibile archetipo comune. Ho tentato così di rappresentare l’unione di soggetto e ogget-

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to, di maschile e femminile, un’unità duale nell’auspicio di intravvedere una rinascita, una ri-generazione

in un mondo dove solo la generazione è conosciuta. Il massimo dell’esperienza in questa nostra vita

sarebbe ritrovarsi nel mondo dopo una seconda nascita, fuori dai limiti che caratterizzano le generazioni.

GDC ■ Per questo, in un clima di sconfinamento o di dissoluzione dei confini, nel 2014 hai ideato anche

il grande lenticolare Il Fumo, composto da ventiquattro pannelli, dove ti sei rappresentato di profilo,

nell’atto di soffiare il fumo su differenti segnali di divieto, in modo da obliterarli?

FV ■ Quello del fumo voleva essere un sogno a occhi aperti e, in questo caso, la mia testa rappresentava

l’ingresso del corpo dentro al supporto lenticolare. Il fumo soffiato dalla bocca fa pensare a un

alito di vento che arriva inaspettato. L’opera era composta da un centinaio di movimenti fotografici del

fumo riprodotti su ventiquattro pannelli lenticolari. Li ho realizzati in diverse dimensioni, per l’esposizione,

inizialmente, ne utilizzai soltanto dodici. Il fumo si muoveva tra le mie due teste di profilo, facendo volar

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via i simboli di divieto. Quando la sua scia in movimento arrivava in prossimità dell’altra testa, questa si

dissolveva per ricomparire poi, lanciando il fumo al contrario, come un’onda dalla destra alla sinistra dei

pannelli. Si trattava anche di un gioco di movimento d’immagini, fatto per esaltare le potenzialità tecniche

ed estetiche di questi supporti tecnologici, creando una magia.

GDC ■ Nel 2016, hai cominciato ad analizzare, sempre più in profondità, anche la figura di Paracelso,

elaborando un ulteriore, importante ciclo di disegni, ispirati alle sue concezioni. Nato alla fine del Quattrocento

in Svizzera a Einsiedeln – celebre per l’abbazia seicentesca sede d’infiniti pellegrinaggi a causa

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della magnifica Madonna Nera venerata a suo interno – Paracelso è una figura a metà tra la leggenda

e la realtà, per le sue scoperte e le invenzioni nel campo della medicina come la iatrochimica, che è

l’applicazione di sostanze minerali nella cura dei pazienti. In che rapporto poni questa figura con le altre,

per te fondamentali, di Spinoza e di Keplero?

FV ■ Volevo raccontare simbolicamente, per immagini, tutti quei grandi uomini che hanno subìto un’oppressione

di controllo sul loro libero pensiero. Paracelso, Keplero, Spinoza, ma potevano essercene

tanti altri, come Giordano Bruno, Galileo Galilei, e tutti quei sognatori dialettici che vedono cose che altri

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non vedono. Come un inno alla libertà d’opinione. Paracelso è particolarmente interessante come riformatore

delle professioni mediche e grande sostenitore della magia naturale, che tanto ci manca e che

in questo momento storico potrebbe indicarci un’evoluzione ecologica molto importante per la sopravvivenza

e il rispetto del pianeta. E sono artisticamente importanti per me le speculazioni apocalittiche di

Paracelso, con quelle figure magiche, inventate per essere realizzate in xilografia – di cui sono stato alla

ricerca in librerie e biblioteche – ciascuna con una propria didascalia: vere e proprie opere d’arte, create

con pionieri della stampa e dell’editoria cinquecentesca, come Heinrich Steiner.

GDC ■ Molti dei disegni del ciclo di Paracelso confluiscono nel 2016 in un video di animazione dove la

proiezione assume un carattere decisamente ammaliante. Si manifesta qui, ancora una volta, la tua propensione

a reinventare la tecnologia riducendola a un’essenzialità che è caratteristica solo dell’espres-

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sione poetica. I disegni sono proiettati su un blocco di fogli formato A4, mentre la tua mano, anch’essa

proiettata, sembra spostare ogni volta i fogli circondati da due ali mercuriali bianche, introducendo il

passaggio al disegno successivo.

FV ■ La proiezione sui fogli A4 nasceva da un’intuizione: filmare le mani che sfogliano i disegni, come

esse fossero il prolungamento in una materia fatta di luce e proiezione, di tutte le mani degli osservatori.

La proiezione è pura illusione, confonde l’occhio, invitando attraverso la finzione a sfogliare i fogli su cui

i disegni sono proiettati. La risma di fogli che funge da schermo alla proiezione è bianca e in quel momento

avviene lo spaesamento tra l’occhio e le mani proiettate.

GDC ■ Sono stati concepiti nel 2016 anche il grande video dedicato a Keplero, in cui confluiscono molti dei

disegni originariamente elaborati per i lenticolari, nonché Giravolta, la scultura in resina – suo corollario – che

ti raffigura sospeso in una capriola cosmica. Il video si stacca, nella concezione, dal precedente Sol lapis

philosophorum. Non rappresenta il lento sviluppo di una storia che si dipana sotto i nostri occhi come una

scrittura, ma l’avvicendarsi di più immagini, in rapide ondate, che si avvicinano e si allontanano a risucchio,

attraendo lo spettatore dentro la visione cosmica. La base musicale, composta insieme a Gaston Dupuy,

assomiglia a un respiro che ripropone l’andirivieni del mare. La tua sagoma sospesa è stata, in seguito,

integrata nello Zodiaco del 2012, benché essa sia chiaramente riferibile al viaggio cosmico di Keplero.

FV ■ Anche la video-scultura Giravolta ha una sua regola magica. Al viaggio sulla luna di Keplero si

aggiunge la scultura autoritratto, che è come un fumetto di me stesso dentro il video dello Zodiaco.

In questa video-scultura, la parte della scultura poteva essere installata in modi diversi, ma la sua nascita

spontanea si è combinata con lo spazio del Mattatoio, quindi la video-scultura è solo una delle infinite

possibilità quantistiche di essere. Qui entrano in campo le probabilità, quella scultura può esistere in un

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punto dello spazio, in modo indeterminato. Lo stesso mutamento di probabilità di esistere in uno spazio

espositivo potrebbe ripresentarsi quando la video-scultura dovesse essere reinstallata.

GDC ■ Nel 2017 hai realizzato un tablet dove i disegni del ciclo di Paracelso si mescolano a quelli del

ciclo di Keplero e di Spinoza. È la tua mano, di nuovo, strisciando sullo schermo, a far apparire, come

per incantesimo, le diverse immagini. E nello stesso anno elabori la prima opera di un nuovo genere:

il dipinto sonoro In the village. Sullo skyline di Lugano, dipinto a olio su tela hai montato un brano estrapolato

dalla celebre serie televisiva di fantascienza, The Prisoner, dove una voce maschile dal forte accento

scozzese dichiara di non essere un numero, ma un uomo libero, esplodendo in una fragorosa risata.

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FV ■ In questi lavori fatti con il video-tablet o dipinti su tela come In the village – il cui tema è l’interrogatorio

nella serie televisiva del 1968, The prisoner – ci sono riferimenti ai fumetti di fantascienza che trattano i

sistemi di controllo sociale e l’intuizione circa la possibilità di sfuggire al tempo ed essere al di là del tempo

in uno dei tanti mondi paralleli, come succede nei quark quantistici. Il mescolamento di Politica, Filosofia,

Medicina, Scienza nei miei disegni, credo avvenga in me come un desiderio di esplorare mondi paralleli

dove possono avvenire cose diverse, attraverso una fusione tra le scienze. In fondo la teoria elettromagnetica

può insegnarci e spiegarci persino perché il professor X dei fumetti Americani di fantascienza

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degli anni ’50/’60, fosse in grado di leggere nella mente degli altri. E a volte succede anche che l’intuizione

preceda la scienza, proprio come nel caso del fantascientifico sogno di Keplero nel Seicento. Oggi la

fisica è in grado di svelarci il segreto della potenza di superman, l’uomo di acciaio e persino il perché della

donna invisibile del fumetto I fantastici quattro che riesce a vedere anche quando è diventata trasparente.

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GDC ■ Nel 2018 è stato approvato il progetto della tua antologica a Roma, presso l’ex Mattatoio, uno dei

siti di archeologia industriale più significativi della città, e polo di ricerca e di produzione artistica e culturale

del Comune di Roma, questo ci ha dato la possibilità di analizzare il percorso del tuo lavoro, esponendolo

lungo un’estensione di oltre dieci mila metri quadrati, a partire dai primi dipinti pubblicitari del 1986 sino ai

lavori del 2018. Per l’occasione sono nati alcuni nuovi cicli di lenticolari dedicati a Paracelso e i tre pannelli

Solidi. Onde di probabilità, nonché il video Accomodamenti, in omaggio a Spinoza. Inoltre, abbiamo

potuto realizzare insieme l’edizione d’arte Baruch Spinoza, da te sospirata da tempo, per cui tu hai creato

le ventiquattro tavole disegnate, la copertina, gli incipit e la chiusa – in una tiratura di 200 esemplari – e

io ho curato tutta l’impostazione grafica con i testi in latino a carattere maiuscolo, e il volumetto con i testi

critici e le traduzioni in italiano e inglese. La frase che hai voluto premettere al volume: L’osservatore può

cambiare la posizione dei disegni secondo il proprio modo d’intendere il racconto disegnato, l’hai illustrata

anche tramite il video Accomodamenti, in quanto è un omaggio alle sue teorie.

FV ■ Nel caso del video Accomodamenti, una forma invisibile sposta i disegni. Quella sagoma larvale

suggerisce in potenza quella di tutti gli osservatori. Allo stesso modo Solidi. Onde di probabilità rivela la

possibilità di essere in un punto prospettico diverso dello spazio, ogni volta spostando lo sguardo sui

lenticolari. Osservandoli non sappiamo di preciso dove essi siano, ci spostiamo da un punto di vista a

un altro, ma essi potrebbero essere secondo le probabilità in diversi punti dello spazio visivo. Baruch

Spinoza con la sua ricerca razionalista, scientifica e filosofica, come nello studio del mondo naturale, è un

uomo del futuro. Una sorta di “super eroe”, e volevo celebrare l’uomo di domani in un racconto disegnato.

GDC ■ La mostra ha trovato la sua spina dorsale nel disegno – anche per questo che il libro fosse parte

dell’esposizione era importante – ma anche la mia scelta di presentare i video, nel quadro generale,

intercalati ai dipinti e all’insieme delle installazioni senza soluzione di continuità, consentiva di percepire

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la continuità di una narrazione, che pur cambiando registro tecnico ed espressivo trovava la sua unità

nella dimensione metaforica e mentale dello svolgimento di un pensiero complesso e pluridimensionale.

Aggiungeva coesione al delicato snodarsi dei tracciati lineari, percepibili attraverso la luce in sospensione,

il flusso sonoro che da cima a fondo metteva in vibrazione il percorso, mantenendo in tensione l’ambiente.

E direi che la mostra è stata accolta con sorpresa e adesione, sia dai critici che dai visitatori comuni,

nonché dai molti esponenti del tuo vecchio milieu artistico che del tuo lavoro non sapevano più nulla.

FV ■ Per me è stato come uscire da un isolamento ventennale e questo mi ha fatto molto piacere.

Ho sempre pensato che le arti e la poesia dovessero indicare un uso etico e sentimentale della co-

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noscenza. Sia per carattere che per formazione, il successo sociale disumanizzante o le scalate di

potere culturale che hanno caratterizzato in maniera palese la fine del secolo scorso, non mi hanno mai

interessato, forse anche per questo il mio lavoro era restato per la maggior parte sconosciuto. Certo

ha contribuito al successo della mostra anche la lettura che tu hai saputo suggerire del mio percorso.

GDC ■ Pensavo, che i temi apocalittici con cui dal 2011, non hai fatto altro che confrontarti, in modi sempre

diversi, stanno trovando, proprio nel corso di questo nostro dialogo, una riprova scottante nella pandemia ancora

in corso. Rileggendo la storia che precede la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel I secolo d. C.

troviamo empietà di ogni genere, guerre, catastrofi, carestie, pestilenze, terremoti, incendi, dissoluzione

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delle leggi della natura. Sembra che i saggi le chiamassero “le doglie del Messia”. Dunque Nulla succede

per la prima volta, proprio come lascia intendere il titolo della tua opera forse più cruciale? È difficile pensare

cosa si stia preparando, oggi, dopo “la grande abbuffata” degli ultimi trent’anni. L’inferno è la quantità contro

la qualità, la promiscuità contro l’individualità, la ripetizione contro la differenza, l’eccesso contro la moderazione,

l’abuso contro la legittimità, il frastuono contro il silenzio e tanto altro ancora. Tutto questo ce lo lasceremo

alle spalle? Potremo nuovamente difendere i valori dell’umanità, della consapevolezza, della libertà e

della spiritualità? Nel 2011, tu hai parlato con preveggenza di una “fine evolutiva dell’homo oeconomicus” e

del suo “trapasso verso l’homo jucundus”, ma in che misura questo è possibile?

FV ■ Nulla succede per la prima volta è una frase che ha martellato la mia mente sin dagli anni settanta

e che ha ispirato l’opera che ho creato durante una riflessione poetica e antropologica sul caos creato

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dalla proliferazione di oggetti “d’arte” e di “artisti” della scena globalista e coloniale del sistema dell’arte

contemporanea. La scultura nasce tra il 2011 e il 2012. Ormai era necessario riportare alla vista l’immagine

di un sacrificio, un atto di violenza e di rottura, l’infrazione di un limite per indicare e rivendicare

al tempo stesso, che la cultura e il sacrificio umano sono la stessa cosa. Un atto di rivolta contro il

fantasma culturale proposto dagli specialisti del consumo collettivo delle arti contemporanee, per ribadire

quella conoscenza antichissima costituita dal “sacrificio del poeta”, che si ripete in ogni tempo

della cultura umana. Per tornare alla ribalta della sua stessa storia l’artista, esautorato ed espropriato

del proprio ruolo sociale, deve passare attraverso il sacrificio del suo stesso corpo. Non molti hanno

capito la metafora. Si sono limitati a osservare sorpresi e incuriositi l’effetto visivo di un corpo lacerato.

Per comprenderlo, dovrebbero forse venirci in aiuto le tante interconnessioni tra i corpi, nel misticismo

caratteristico della Natura. Sì, concordo, l’inferno è la quantità contro la qualità, la promiscuità contro

l’individualità, la ripetizione contro la differenza, l’eccesso contro la moderazione, l’abuso contro la legittimità,

il frastuono contro il silenzio. In questi anni nel bagordo dei consumi di cui eravamo ormai sazi, ogni

tanto canticchiavo fra me El bandolero stanco di Vecchioni: che se ne va dov’è silenzio, dov’è silenzio,

dove. Adesso – perché nulla, appunto, succede per la prima volta – è sempre tempo di difendere i valori

dell’umanità, della consapevolezza, della libertà, della spiritualità. Non sono sicuro se individualmente, di

fronte al crollo dell’usurpatore, proprio dinanzi ai nostri occhi, saremo capaci, di vivere quella coscienza

che non ha bisogno di una classe dirigente o di un capro espiatorio divino – scrive Norman O. Brown

citando Bataille, Blake, Nietzsche, Spinoza – Il grande inquisitore scommette che i circenses saranno

sufficienti a soddisfare le masse, i Dionisiaci scommettono che il grande inquisitore si sbaglia. L’homo

jucundus ferito, straziato, sacrificato, singolarmente potrebbe non avere più alcuna ragione di esistere,

ma trovare invece la sua realizzazione in una sorta d’interconnessione fra i corpi, la natura e l’universo.

In questo intravvedo ancora il ruolo da protagonista dell’artista e del poeta, o dell’“artista-poeta”, perché

veramente “nulla succede per la prima volta”.

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GDC ■ Evochi in me un brano di Baudelaire, quando legge nella figura del poeta (e dell’artista) una sorta

di coscienza disincarnata della folla – il grande tema mutuato dal racconto di Edgard Allan Poe L’uomo

della folla – che trova nella Parigi dell’ottocento il vero canto della vita moderna: Il poeta, posto su uno

dei punti della circonferenza dell’umanità, rinvia sulla stessa linea in vibrazioni più melodiose il pensiero

umano che gli fu trasmesso; ogni poeta vero dev’essere un’incarnazione.

Forse mutatis mutandis, troviamo già anche qui una reviviscenza dei temi spinoziani che hanno continua-

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to negli anni ad appassionare te, quelli di un organismo unico che formi con le diverse espressioni della

natura una sola mente e un solo corpo. I tuoi ultimi lavori Lo stesso gesto in un altro spazio-tempo (2019),

giocano sulla possibilità fantascientifica – e tuttavia ipotizzata da grandi scienziati a partire da Einstein –

che si possa superare la condizione temporale trasferendosi istantaneamente in un’altra dimensione, arrestando

il flusso del tempo. Una condizione di eternità metafisica, extraumana, dove nulla accade. È con

questa idea che attraverso una sorta di photographie mise en scène (o staged photography) sei entrato

nei quadri di Vermeer e di Velázquez attraverso la fotografia digitale, arredandoli con attori e oggetti attuali?

FV ■ La sensazione che volevo sperimentare era quella di un superamento della condizione temporale,

per entrare in un mondo parallelo. Infatti, in linea con la ricerca precedente m’interessava l’uso della camera

oscura da parte di artisti come Vermeer, Velázquez, Caravaggio, Canaletto e molti altri, che secondo

la tesi di David Hockney – e non solo – la utilizzarono prima che si arrivasse all’invenzione degli acidi

fotografici sulla fine dell’ottocento. Neanche un mese dopo la mostra – oggi le immagini girano il mondo

in tempo reale – già nel pieno della quarantena, riviste d’arte, musei, gallerie e fondazioni hanno invitato

gli artisti a cimentarsi nella reinterpretazione visiva di opere delle loro collezioni e, paradossalmente, la

moda è diventata virale. Una sorta di cannibalismo di massa che naturalmente non aveva alcun interesse

di approfondire né metodi di rappresentazione, né uso di eventuali camere ottiche, cioè una condotta

di pura appropriazione, un “fai da te” che alletta più l’uomo comune che l’artista, in quanto prescinde da

qualsiasi specifico interesse conoscitivo. Interessante, comunque, per una psicoanalisi di massa. Ora,

sto andando anche oltre nella sperimentazione delle visioni di un mondo quantistico parallelo e nella

definizione di quello che ho chiamato “uno spazio accanto al tempo”.

GDC ■ Quando mi hai parlato di queste nuove opere ho pensato immediatamente al tema dell’Immortalità

enunciato da Gino De Dominicis, benché interpretato in altra forma. Dunque, ci fermeremo, trovere-

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mo un nostro angolo di eterno all’ombra dei grandi maestri e dei grandi geni europei e del mondo, o ci

rimetteremo in cammino e riprenderemo a cercare?

FV ■ De Dominicis ci ha indicato una via essenziale studiando il mito e il concetto d’Immortalità. Ora

siamo arrivati, a mio avviso, a quella stazione finale che artisti, poeti, filosofi, geologi, scienziati, religiosi e

saggi dai tempi dei tempi, avevano profetizzato. Se non troviamo la pace tra l’esuberante energia della

vita, come spesa autodistruttiva e il potere economico egoistico della morte, l’antropocene sarà stata

solamente una fase di passaggio tra le tante ere geologiche. La natura si ribellerà all’oppressione umana,

ma la vita e la morte, loro sì immortali, troveranno sicuramente, oltre la specie umana, altre strade

per compiersi e riprodursi.

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TESTI GIÀ EDITI

Alighiero Boetti & Fosco Valentini

di Hans Ulrich Obrist

Affrontare una mappa significa affrontare una particolare realtà temporale e spaziale. Il processo di creazione

di mappe, tuttavia, è sempre storicamente radicato. Come osservato una volta dal cartografo

Denis Wood, noi siamo nel mondo “immersi nelle mappe” - come dire che siamo immersi sia nella verità

sia nella sua inevitabile distorsione e revisione. Affrontare, quindi, una storia della cartografia è considerare

non una, ma una molteplicità di realtà spazio-temporali, un flusso senza fine di rappresentazioni

e realizzazioni globali del segno. Nella lunga storia della rappresentazione e della realtà, la cartografia è

sempre stata sinonimo dei nostri vari tentativi di storicizzazione.

La mia passione per le mappe inizia con Alighiero Boetti. Quando ero diciassettenne, ho conosciuto

questo artista visionario ed egli ha cambiato la mia vita in molti modi. Fondamentalmente mi ha introdotto

nell’argomento della cartografia.

Boetti si imbarcò per tutta la sua carriera su molteplici progetti di mappatura: straordinarie collaborazioni

in Afganistan e, più tardi, in Pakistan, che ha intrecciato le preoccupazioni estetiche e politiche, l’artigianato

e il percorso fisico dell’artista, nonché la negoziazione dei confini linguistici e fisici.

Boetti stava rispondendo a un contesto contemporaneo di globalizzazione in cui le frontiere preesistenti

sono provocatoriamente ritagliate nella maggior parte delle mappe e sono rese alquanto ridondanti all’interno

di questa nuova situazione globale. Nel 1971 Boetti commissionò dei ricami afghani per creare

una mappa del mondo, di ogni paese con i colori e i motivi della propria bandiera. Questa commissione

si trasformò in una serie di mappe meravigliosamente elaborate e su larga scala prodotte nell’arco di

vent’anni. Ogni mappa seguiva i cambiamenti geopolitici in tutto il mondo: la fine dell’Unione Sovietica,

l’unificazione della Germania, le dispute sul territorio in Medio Oriente e i cambiamenti di regime nella

penisola eurasiatica.

È stato con Boetti che nel 1987 ho incontrato l’artista Fosco Valentini, dove abbiamo discusso il progetto

estensivo e laborioso della cartografia. Se le mappe di Boetti rispondono alla base geometrica che

illustra l’estetica di questo mezzo, con la sua immagine astratta ed essenzialmente inafferrabile della

totalità terrena, allora il lavoro di Valentini risponde alla profondità di questo confronto a livello altamente

umano. La resa universale dei corpi umani danza su un piano di immagine appiattito accanto al repertorio

visivo di invenzione scientifica e simbolismo spirituale; questi soggetti appaiono privi di fondamento,

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in movimento e senza proiezioni. In altre opere il corpo umano si impiglia in diverse riproduzioni del

nostro pianeta; umoristicamente bilanciato in cima a un globo o proiettando un’ombra su un sistema

solare in miniatura.

In linea con la concezione di Boetti del nostro mondo e dei suoi confini fluidi, flessibili e caotici, Valentini

posiziona i suoi abitanti umani in mezzo a questo disordine globale. Dove Boetti sovverte la rappresentazione

cartografica dall’interno della sua convenzione stilistica - la sfera sviluppata che viene catturata

dall’occhio nella sua totalità - Valentini viaggia su un diverso tipo di creazione della mappa: immagina un

mondo in cui viene rimosso il terreno sotto i nostri piedi. Nella sua raffigurazione di soggetti in uno stato

costante di parete libera, Valentini indica un mondo in cui la distorsione dei confini è andata troppo oltre,

dove la differenza viene persa piuttosto che acquisita nello scambio interculturale e transnazionale che

caratterizza il nostro stato di globalizzazione.

Londra, maggio 2018

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Un colorista nato

di Fabio Sargentini

È primavera, constato compiaciuto, guardando fuori dalla mia finestra i fiori che hanno invaso il balcone

di fronte per troppi mesi sguarnito. Torno con lo sguardo sul mio scrittoio dove sparpagliate ci sono le

fotografie dei fiori dipinti da Fosco Valentini. È primavera anche per loro, dopo che Fosco li ha coltivati e

innaffiati amorevolmente, per un paio d’anni. Ogni volta che lui me li portava a vedere da Lugano a Roma

per dissertarne insieme, si rivelavano via via più belli e personali.

C’è un soggetto in pittura più abusato dei fiori? Dai girasoli allucinati di Van Gogh alle rose seriali di

Warhol, per restare alla nostra epoca, innumerevoli grandi pittori si sono cimentati nel genere. Tanti me

ne piacciono, anche se io confesso una passione per i fiori secchi di Mafai. Ebbene Fosco, per nulla intimidito

da questi illustri precedenti, è andato avanti per la sua strada contando soprattutto sull’originalità

del colore. Lui è un colorista nato. La tache è la tecnica pittorica di cui Fosco è maestro. Egli non la usa

in modo anarchico e casuale, come certa pittura informale degli anni cinquanta detta appunto tachiste,

bensì sapientemente la convoglia sulla silhouette dei fiori. Il rapporto tra il fondo monocromatico, sia

esso viola o verde o blu, e questi fiori filiformi e maculati, gambi corolle foglie, non potrebbe essere più

gradevole. Il pregio è che non sai mai se ti trovi davanti a una natura morta o a un paesaggio.

Distolgo gli occhi dalle fotografie sullo scrittorio. Da Lugano mi fanno fretta, devo scrivere il pezzo ormai.

Apro il quadernetto per appuntarvi qualche idea. Dalle pagine mi scivola tra le dita un quadrifoglio dimenticato…

Piatto, bidimensionale, impalpabile, è stretto parente dei fiori delle fotografie.

Buona fortuna, Fosco Valentini!

Roma, 16 maggio 2008

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Occhi balocchi

di Mario Garriba

«Pinocchio, invece di diventare un ragazzo, parte di nascosto col suo

amico Lucignolo per il “Paese dei Balocchi”. “… Lì non vi sono scuole:

lì non vi sono maestri: lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si

studia mai. Il giovedì non si fa scuola: e ogni settimana è composta di sei

giovedì e di una domenica. Figurati che le vacanze dell'autunno cominciano

col primo di gennaio e finiscono coll'ultimo di dicembre. Ecco un

paese, come piace veramente a me! Ecco come dovrebbero essere tutti

i “paesi civili!...”»

(Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio)

Incontrare Fosco significa allungare la giornata. Non hai più le solite ventiquattro ore, ma notte e giorno

si confondono e continuano. La parola gli prende la parola e il tempo si ferma in un presente fatto di

passato e futuro. Roma gli sta larga, ma Lugano gli sta stretta e lui veste casual.

Lo incontro sempre per sbaglio, svoltando un angolo di strada, uscendo da una tabaccheria, prendendo

un autobus al volo o mi sorprende seduto ai tavolini fuori da un bar. Anche d'inverno perché a me

piace fumare. E il discorso riprende là dove l'avevamo lasciato anche due o quattro mesi prima, magari

su una domanda rimasta senza risposta.

Con lui posso parlare di tutto. Libertà in discesa. Talvolta ti sorprende con l'ironia dell'intelligenza: “Penso

che nella mia vita ho sbagliato tante cose... l'unica cosa che ho indovinato è stata quella di sposare mia

moglie… proprio il contrario di quello che dice lei”. Altre volte può diventare noioso, come quando parla

dell'esistenza, seguendo la trappola filosofica di uno dei suoi primi maestri, Aldo Braibanti. Ma anche

allora, lo ascolti sorridendo, incantato dal suo ricordo su tutte le nuove forme della parola rivoluzione.

Rivoluzione cosmica, rivoluzione atlantidea, rivoluzione dell'era dell'Acquario, rivoluzione new age, rivoluzione

delle classi nude, rivoluzione dell'inattualità della psiche, rivoluzione del grande imbroglio, rivoluzione

dei nuovi partigiani del pianeta, rivoluzione del silenzio tuonante, rivoluzione dello zen, rivoluzione del

diavolo rotondo, rivoluzione del quark, rivoluzione dell'armistizio planetario… "e altri fiori consimili", come

scrive Collodi alla fine della descrizione del Paese dei balocchi. Quando di notte fissa il cielo troppo

grande, è ancora alla ricerca della sua stella personale.

Anche se a Lugano il cielo, chiuso tra le montagne, diventa più piccolo e tutto sembrerebbe diventare

più facile. Ma non è così per chi ha visto cieli spalancati. È allora che, secondo me, Fosco incomincia a

dipingere. Tutto diventa soltanto la linea colorata in fuga di un suo quadro che, sospeso, poi ha ripreso,

infine sorpreso, concluso.

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A sbalzo se ne esce con una frase del Metastasio, regalandoti una sensazione bellissima: “Non parto e

non resto, ma provo l'angoscia che avrei nel partire, che avrei nel restare”. Oppure apro a caso una pagina

di un suo breve diario sulla filosofia esistenziale della canapa indiana e trovo scritto: “... il ventilatore

emanava una piacevole tramontana metallica” mi sembra Paolo Conte migliore e forse di più. Fosco ha

degli occhi disordinati che corrono da tutte le parti e ne approfitta per costruirsi uno strano caleidoscopio

che inventa figure imprevedibili. Ha una grammatica del corpo: sale sulla sua grossa moto in modo rituale,

si chiude la cerniera del giubbotto fino al mento e sparisce dentro al casco. Ma tu lo riconosceresti

anche di schiena. Quando prende un bicchiere, lo stringe stretto come la mano di un amico. Per lui i

gesti sono quelli di uno che si muove nel mondo come fosse a casa sua.

Ma Fosco ha anche una sintassi ed allora il discorso prende sentieri impegnativi e diventa la storia del

suo pensiero. Come tutti quelli domiciliati al bar, beve adagio per ricordare. Se volta la testa, non vede

la parete dietro o il tavolino accanto, ma cinquanta anni di vita: giornate colorate a Roma tra Campo

dei Fiori e piazza Navona, i canali fermi come specchi di Amsterdam raggiunti con l’autostop, incontri

fortunati tra pittura (Boetti), musica (quella dei prati e delle piazze), poesia (Pasolini), teatro (rigorosamente

off). E il suo guardarsi attorno inventa grandi spazi da dipingere. Le cose e le persone diventano idee.

Il sogno diventa segno e il segno diventa sogno. Il senso, con disinvoltura, viene abbandonato all’interpretazione

ed al fraintendimento. Così come un’altra cicca spenta nel portacenere. Forse ha tradito la

pop art per l’arte povera o la video arte e questo gli è costato restare povero. Forse.

Negli ultimi anni ’70 Francesco Clemente gli ricordava: “Fosco, la minorità è l’arte, io sono un artista minore…”.

E lui oggi lo ripete: “Grande lezione che ai tempi non capii! In effetti è vero i quadri più belli dei

grandi maestri sono quelli dei tempi in cui erano artisti minori”.

Io faccio cinema e lui fa pittura. Se andiamo insieme a vedere una mostra di arte contemporanea, parla

soltanto nel passaggio tra un quadro e l’altro. Nota dei dettagli che tu non hai visto, ma lui sì. Torneresti

indietro, ma lui no. Sono sicuro che se andassimo insieme al cinema, prima o poi si addormenterebbe,

lasciandosi incantare dal racconto finale che poi gli farei. In questo simili: senso ed immaginario coincidono.

Due bambini con uno sguardo ancora sorpreso, curioso e divertito. Occhi balocchi.

Firenze, 11 maggio 2008

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FOSCO O FOSCO VALENTINI

NVALENTIN

N I

VISIONARIA VISIONARIA 1986 1986 – – 2019

1986 2019– 201

Fosco Valentini Colophon 80x100.qxp_Layout 1 18/01/19 16:23 Pagina 1

24 Gennaio 24 Gennaio – 24 – Marzo 24 Gennaio Marzo 2019

– 2019 24 Marzo 201

FOSCO VALENTIN

VISIONARIA 1986 – 201

Mostra Mostra a cura a cura di di Mostra a cura di

Giovanna Giovanna dalla dalla Chiesa Giovanna Chiesa dalla Chiesa

promossa da

Mostra a cura di

Giovanna dalla Chiesa

con la con collaborazione la con dila collaborazione di

di

con la collaborazione di

24 Gennaio – 24 Marzo 201

ROMA ROMA CAPITALE CAPITALE ROMA CAPITALE Curatrice Curatrice senior senior Curatrice senior

Daniela Daniela Lancioni Lancioni Daniela Lancioni

Sindaca Sindaca di Roma di Roma Sindaca di Roma

Virginia Virginia Raggi Raggi Virginia Raggi

Eventi Eventi e spazi e spazi culturali culturali Eventi e spazi culturali

Cecilia Cecilia Guerrieri Guerrieri Paleotti Cecilia Paleotti Guerrieri Paleotti

Vicesindaco Vicesindaco di Roma di Vicesindaco Roma di Roma

con la con delega la delega alla Crescita alla con Crescita Massimiliano la delega culturale culturale alla Chialastri Crescita culturale Ufficio Ufficio tecnico-organizzativo

Ufficio tecnico-organizzativo

Luca Luca Bergamo Bergamo Luca Bergamo

Marcello Marcello Fagnani Fagnani Marcello Fagnani

Allestimento

Sauro Radicchi

Comunicazione e promozione Comunicazione e promozione e promozione

AZIENDA AZIENDA SPECIALE SPECIALE ROMA AZIENDA PALAEXPO CAPITALE

SPECIALE PALAEXPO Luisa Luisa Ammaniti, Ammaniti, responsabile Curatrice Luisa responsabile Ammaniti, seniorresponsabile

Traduzione testi

Daniela Lancioni

Presidente Presidente Sindaca Presidente Susan di Wise Roma

Ufficio Ufficio stampa stampa Ufficio stampa

Cesare Cesare Maria Maria Pietroiusti Pietroiusti Virginia Cesare Maria Raggi Pietroiusti Piergiorgio Piergiorgio Paris Paris Eventi Piergiorgio e spazi Paris culturali

Grafica

Cecilia Guerrieri Paleotti

Vicepresidente

Vicesindaco Vicepresidente Claudio Ferretto di Roma e PopSite MOSTRA MOSTRA MOSTRA

Clara Clara Tosi Tosi Pamphili Pamphili con Clara Tosi delega Pamphili alla Crescita culturale

Ufficio tecnico-organizzativo

Luca Assicurazioni Bergamo

Progetto Progetto di allestimento di allestimento Marcello Progetto della Fagnani di della mostra allestimento mostra della mostra

promossa Consiglio Consiglio d'amministrazione

da

Consiglio Alessandra d'amministrazione

e Cesare d’Ippolito Massimiliano S.A.S Massimiliano Chialastri

Chialastri Massimiliano Chialastri

Fernando Fernando Ferroni Ferroni Fernando Ferroni

Comunicazione e promozione

Duilio Duilio Giammaria Giammaria AZIENDA Duilio Realizzazione Giammaria SPECIALE dei lenticolari PALAEXPO Allestimento

Allestimento Luisa Allestimento Ammaniti, responsabile

Maria Maria Francesca Francesca Guida Maria Guida La Sponsor’s Francesca Service Guida Sauro Sauro Radicchi

RadicchiSauro Radicchi

Presidente di Claudio Ferretto Villorba (TV)

Ufficio stampa

Direttore Direttore generale generale Cesare Direttore Maria generale Pietroiusti Traduzione Traduzione testi Piergiorgio Traduzione Paris

Fabio Fabio Merosi Merosi Fabio Merosi

Susan Susan Wise

Wise Susan Wise

Vicepresidente

MOSTRA

Collegio Collegio dei revisori dei revisori Clara Collegio dei Tosi conti dei dei conti Pamphili revisori dei conti Grafica

Grafica Grafica

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e PopSite Ferretto di allestimento e PopSite della mostra

Paolo Paolo Di Rocco, Di Rocco, Erica Consiglio Paolo Erica Di Santo, Di Di Rocco, d'amministrazione

Santo, revisori Erica revisori Di Santo, revisori Massimiliano Chialastri

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Assicurazioni

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Cesare S.A.Sd’Ippolito S.A.S

Daniela Daniela Picconi Picconi Maria Daniela Francesca Picconi Guida

Sauro Radicchi

Realizzazione dei lenticolari

dei Realizzazione lenticolari dei lenticolari

Direttore Direttore area area affari Direttore affari legali legali generale area affari legali La Sponsor’s La Sponsor’s Service

Service Traduzione La Sponsor’s Service

Andrea Andrea Landolina Landolina Fabio Andrea Merosi Landolina

di Claudio Claudio Ferretto Ferretto Susan di Villorba Claudio Villorba Wise (TV)

Ferretto (TV) Villorba (TV)

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Collegio dei revisori dei conti

Andrea Bonelli, presidente

Paolo Di Rocco, Erica Di Santo, revisori

Grafica

Claudio Ferretto e PopSite

Assicurazioni

Alessandra e Cesare d’Ippolito S.A.S


FOSCO VALENTINI

VISIONARIA

1986 - 2018

MATTATOIO ROMA 24 GENNAIO - 24 MARZO 2019


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La traduzione in lingua inglese del Dialogo con Giovanna dalla Chiesa

di Fosco Valentini è di Susan Wise


Fosco Valentini tells us about himself

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Dialogue with Giovanna dalla Chiesa

For the first time Man really understands

he inhabits the planet and should perhaps think

or behave in a new perspective, not just in

the perspective of an individual, a family or

genre, State, or group of States, but also

in the planetary perspective.

V.I. Vernadsky

GDC ■ In the book by Paola Ferraris Psicologia e arte dell’evento: Storia eventualista 1977-2003 I read a

valuable particular about your first show in a private space: the event coincided with the birth of the Centro

di ricerca sulla Psicologia dell’Arte (Research Centre on the Psychology of Art) opened on November

11 th 1977 with the exhibition Quattro artisti inediti - Vittorino Curci, Gianluca Manzi, Cesare Pietroiusti,

and Fosco Valentini – in Sergio Lombardo’s studio at 20, Via dei Pianellari, and from then on known as

Jartrakor. The contents that would become the Research Centre’s goals during that complex cultural

and political period had already been expressed in 1975 by Sergio Lombardo in a lecture at the Fine Arts

Academy of Rome, during that year’s student occupation, invited by these same students.

Lombardo writes: When we founded the Jartrakor Study Center the 1970s’ experimental mood had

already expired ten years before. Launching Arte Povera in 1967 actually confirmed the idea that the

values of poverty and imagination should become the international image of Italian art. A significant

trend of discussion and research arisen in the late 1950s and based on the experimental values of

empirical science was sacrificed to the commercial success of Arte Povera. The complexity of Italian

artistic research, thus simplified to better suit the rules of the world market, was depleted. In 1977

when the Centro Studi Jarnakor was founded the same type of process took over the image of

Italian art in the name of freely going beyond the historical avant-gardes: the Transavanguardia was

launched. This again meant sacrificing all theoretic and experimental research, apparently too technical

and not easily reducible to the simplifications of the market. Everything that was not immediately

understood by the consumer masses was accused of sectarianism: those were the Anni di piombo

(Years of Lead). Any the least bit articulate aesthetic opinion was called “ideology”, any ideology was

defined “subversive” (…). It was in this cultural atmosphere, with the help of Anna Homberg, at the

time just a medical student, and Cesare Pietroiusti, a medical student as well, that I founded the

Jartrakor association.

In Lombardo’s words I can hear a summing-up of the atmosphere around you in those years that must

have also led to the overall trends of the 1980s. A gradual narrowing of international visibility for most

Italian artists, aimed at increasingly funnelling only what was supposed to interest the market. Not

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that there was a lack of hotbeds of research, intuitions, and experiments in every direction. However,

whereas in the previous decade everything forming the humus that had spawned the great experimental

trends of a new art history was retained, now those trickles of ideas and intentions risked being lost

and overwhelmed by the workings of a market claiming to be backed up by prestigious art objects,

presented as absolute so as to compete in an international scenario consisting mainly of economic

interests rather than research trends and tendencies: their value, as in scientific research, was above

all theoretic. Was it in 1975, on the occasion of that lecture at the Accademia, that you first met Sergio

Lombardo?

FV ■ Yes, it was on that very occasion. He had a boundless, enthralling communicative energy. His view,

already fully developed, of the cultural system was utterly lucid: that of a true Cassandra. I was in my

second year at the Accademia and had just taken part in the X Quadriennale Nazionale d’arte.

GDC ■ The photos you showed in the La Nuova Generazione section of the X Quadriennale Nazionale

d’arte showed you on a beach, buried in sand.

FV ■ Quite by chance I had read in the papers that the Quadriennnale was being held. So, pressed for

time I chose image as a form of communication. I looked about for a photographer to take photos by the

sea. I wanted to immobilise the pictures of my body in the ground, as both a sculptural and a performative

object, between Eros and Thanatos. I found him by talking to my former Art Institute companions.

At the time photography and behaviour art did not yet have clearly different roles. I could explain to the

photographer how I wanted the framings of the performance, generally in black and white, the number

of shots per sequence, and all the intentions, but always with the risk the work might be considered

the photographer’s creation. My performance idea was to then transpose the photos into painting and

sculpture. In fact later on they were sprayed with paint enamels to highlight the sculptural body in the

magma of paint. We did the shots at Fregene. For ground I chose sand as a sculptural material: it slides

over the skin and in this case that emphasized the idea of a transition between life and death in the

motion as well.

In those years I particularly agonised over the downfall of anthropocentrism, about distinctions between

“good and evil”, between “mine and yours”, between “me and you”. Boundaries between people,

boundaries between properties, boundaries between the polarities of love and hate. I frequented Aldo

Braibanti’s house: he was in fact studying this alienation in a philosophical and poetic sense. In his theatre

as well. What it actually involved was the utopic overcoming of the limits between being and outer

world and stripping bare illusion and self-deceit. Aldo’s lessons tended to where the doctrines of Freud

and Marx converge, and in his circle we were highly aware of the rout of a possessive tendency, obsessively

aimed at separating good from evil, without being able to fathom out that each person is many

persons, indeed a whole crowd, turned into a single individual.

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GDC ■ So your research did not tend so much in the anthropological direction followed by others at the

time, but towards dissolving identity, as if wishing to yield it back to Nature, merging with it to reclaim it.

Ontology bound to Being, not merely your own but universal, steeped in mysticism. Or am I mistaken?

FV ■ Braibanti, in a way, shared the same assumptions that inspired Lombardo, but transposing them

to a highly vulnerable context. Aldo’s teaching, at that particularly difficult socio-political moment, with

his life based on books, tended - to express it with a concept Norman O. Brown was fond of - to the

“revision of historical identities”, that is, essentially the revision of his own historical identity. So it was the

attempt to re-examine his life, from his studies on Spinoza to those on Marx, then from Marx to Freud,

ending with poetry. A similar urge had arisen in the minds of many artists of different ages and in the ones

I would call “minds of love”. The failure sustained by the previous generations was still everywhere. It was

time to raise anchor and set off. Ours was not a poetics of “perfection” (art, beauty, etc.), of “incarnation”

where you do not attain a perfect form, but the reverse, a fragmentary, unachieved form. And where we

proceeded on the verge of defeat and vulnerability. I could recall Norman O. Brown’s claim that nobody

should be blamed, that there are no flaws implied in the account of a struggle, that the mission is the

same: never give up exploring. We must strive to survive, escaping new shipwrecks, improvising a raft.

And I might add, reconsidering our historical identity, by telling an “other” history of art. A follower of Zen

Buddhism wrote: Going to Heaven is a fine thing, but falling into Hell is also a qualification.

GDC ■ Let’s come back to your show in 1977. Lombardo wrote: They were very young, with highly

autonomous features, bound by a subtly conceptual idiom between poetry and image. After the show

each of them went his own way, except Pietroiusti who stayed to set up with me and Anna Homberg a

series of lectures and study activities on the psychology of art, a series of weekly research encounters

on hypnosis, as well as exhibition activity. And he then added that you were the only one not pursuing an

activity at the Centre and that on that occasion you projected on the wall graffitied slides in very intense

colours. It seems to me that after all you already showed your partiality for transparency and diaphanous

structures suggesting apparitions. What did those slides represent?

FV ■ I am not sure whether what they represented matters. However it was as if to find the new life we

wanted to place a light marine signal where the shipwreck had occurred, like a floating buoy, precisely

with the transparency of apparitions – to keep on moving. To consider the art object as an energy

conveyed from the place where the artist had seen it to the viewer by means of the poetic object itself.

GDC ■ Compared to the attitude of other artists it seems to me yours may have been more existential,

of course connotated by the experience of the loss of the pre-eminence of art, but actually always and

only focused on art; there was no need to confer on it specific statutes, just the courage and urgency –

perhaps desperate – of expression and gesture, achieved however by a metaphoric contortion, certainly

not rectilinear and analytic reasonings. Was this why you soon broke away from the group?

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FV ■ I think you grasped the issue: there was an urgency while the context of social demands in those

years also set off conversations with Aldo Braibanti every day. Aldo was interested in Spinoza’s doctrine

of perfection, but as motion “towards” perfection, therefore, as defect, lack. This theme stayed on with

me even later. In art as in life, as claims Norman O. Brown - an extraordinary author of paradigms connecting

authors like Spinoza, Freud, Marx, and Pound, - activity is movement of desire, striving towards

perfection: what we call Beauty, Art, and Poetry. The impulse that drives us towards being united with

what is ideally perfect; this always influenced me in seeking the live metaphor that generates innovation.

Like a kinetic energy added to occasional urges coming from different or even opposite directions.

In other words, rather than to substance I was and am drawn to all the components of the process, to

a philosophy of energy rather than a philosophy of form and perfection. I am reminded of Freud’s words

in Beyond the Pleasure Principle. ‘Whither you cannot fly you must go limping.’

GDC ■ In September 1976 before the exhibition experience with the Centro Studi Jartrakor, your name

also appears in the midst of another significant group of that historic moment, the Ufficio per l’immaginazione

preventiva created by Tullio Catalano and Maurizio Benveduti with Franco Falasca. Distinctly Surrealist

in cast, the group was highly ideological and at first was hosted in the Galleria GAP, Gianni Fileccia’s and

Adriana Miccolis’ space at 129, Via di Monserrato. Those were the years of off reviews and the alternative

press; the Ufficio printed a review with contributions by highly prestigious artists, philosophers, writers,

and critics along with rising youths. So in that September of 1976 your name appears in IMPRINTING

SPERIMENTAZIONE E LINGUAGGIO next to those of Vincenzo Agnetti; Art & Language; Carlo Maurizio

Benveduti; Gianni Blanco; Aldo Braibanti; Ian Burn; Alberto Caronna; Tullio Catalano; Giuseppe Chiari;

Claudio Cintoli; Ettore Consolazione; Bruno Corà; Elvira De Luca; Pippo Di Marca; Alberto Faietti; Franco

Falasca; Paolo Ferri; Nino Giammarco; Alberto Grifi; Gruppo di Coordinamento; La Linea d’Ombra; Fabio

Mauri; Cesare Milanese; Paolo Morawsky; Paolo Moroni; Giulio Paolini; Mimmo Pesce; Mimma and Vettor

Pisani; Mel Ramsden; Carmelo Romeo; Harold Rosemberg; Terry Smith; Luciano Trina; Andrea Volo; Mariano

Zela. Later, all the most significant artists of those years passed through there: Luciano Fabro, Idetoshi

Nagasawa, Joseph Kosuth, Michelangelo Pistoletto, Luigi Ontani, and so many others.

The impression produced was one of extraordinary vitality. Confirmed and famous artists easily joined up

with almost unknown youths, opting for confrontation and fecund mixing where each one enriched the

river of a thinking that swept by unimpeded to achieve one’s own goals with the total adhesion that has

always been that of every avant-garde. You have often spoken of your generation as “a single body”,

as if all were in the same body, in the body of society and Nature in general. In that movement there

was actually the sense of belonging to a great historic process that would bring about epochal change.

FV ■ Yes, that is another crucial point. In the single and/or united body, Nature-Space-Time – there was

a great notion that included the extra-artistic and philosophic historic process of individual freedom.

Maybe the Ufficio per l’immaginazione preventiva was one of the first seeds planted in the soil that lat-

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er would have developed as a sort of “public art”. We felt like islands, connected and separate at the

same time. Today I believe the arts and poetry should undertake a risky crossing of that sea and unite

the islands of human culture striving for that mediation, the modus vivendi which between life and death

does not separate us from Nature. In this sense Spinoza’s lesson is ever more relevant, claiming that

Men cannot desire for the preservation of their own being anything more excellent than that all agree in

everything, so the minds and bodies of all form almost a single mind and a single body. We might add

to this his other warning, to not deride, not deplore, not execrate, but comprehend.

GDC ■ In those years of rebellion and ideology, the overall tone of your experience, after all, was empathy,

dream, and the utopia to come. Yet we hear very little about you between 1977 and 1984, the year

you collaborated in Alighiero’s retrospective at the Pinacoteca Communale in Ravenna. Why was that?

FV ■ Between 1977 and 1984, just when I felt the urge to devote myself to drawing and creating pictorial

objects, I lost both my parents. The works of those years were done outdoors, or in the very space of the

show since I no longer had a place where I could concentrate my creative needs. At the time I didn’t even

have a home. In the late 1970s meeting Alighiero Boetti offered me support as well as a crucial experience.

I could spend the night in his studio on Piazza Santa Apollonia and in the daytime I helped him in

lots of works, including tapestries and ballpoint pen. We would have lunch together and I could talk to him

about what was on my mind and of course about the adventure of art and life. Also at that time Salman

Ali arrived from Afghanistan to assist Alighiero after an automobile accident. In the breaks I began to paint

with acrylics on advertisements I saw in newspapers or magazines with lots of different images. My advertisement

pictures that Alighiero then suggested I put on canvas came about just like that. Once I found a

newspaper, a magazine, a chair, and a few fast-drying acrylic colours, it all came out effortlessly even in

tiny temporary spaces like the ones at my disposal. I did a show at Franz Paludetto’s in Turin with those

painted newspapers and a group show with the painted magazines at Corrado Levi’s in Milan where I even

succeeded in selling my first picture. When in 1989 with the Galleria De Ambrogi I took a series of these

pictures to Basel they literally sold like hotcakes. It was then in those same years that I met Alessandra

Bonomo who had just arrived in Rome and with whom I instantly became friends. After a while I introduced

her to Alighiero. Alessandra had opened a wine bar at Spoleto that was also a gallery. I then began taking

part in group shows she organised in Alighiero’s empty flat, over the studio in Trastevere, but in those days

there were no catalogues. In one of the first shows, in the early 1980s, with me there were Alessandro

Twombly, Alberto Di Fabio, Tristano Di Robilant, and Andrea Bobo Marescalchi, a great little group I would

say. I occasionally also took part in the poetic-theatrical adventures of Beat ’72. I was still living as a guest

but the situation was becoming more and more difficult. I was starting to think of running away somewhere,

until during a Beat ’72 Poetry Festival at Alba Adriatica I met Michela, from the Ticino, who later became my

wife. I would come and go from Lugano and did a few group shows at Martigny with some Swiss artists in

young Stefano Jermini’s space. He rented a closed-down Shell petrol station. The S of the neon sign over

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the building had fallen down, so the gallery ended up being named Hell. I met Mat Callishaw, Sylvie Fleury,

Pipilotti Rist, and some others, all very young at the time. Recently I heard that during one of those shows,

very off, Maurizio Cattelan came by one evening. I wasn’t there. He took one of my little advertisement

paintings off the wall and on the back of the canvas added his signature next to mine, thereby performing

one of the first “appropriation” and re-enactment experiments that later became a frequent practice of his.

GDC ■ In other words, yours was a real Bohemian life such as in those days almost nobody still had.

Elio Schenini writes about those pictures: The thin opaque layer of the pictorial skin is directly overlaid on

the publicity image, printed on the glossy paper of the magazines or on posters, reproducing it faithfully

but at the same time concealing it while turning it into something else.

FV ■ Many works of that period, like the advertisements, newspapers, or others revealed however my

sense of inadequacy in an artistic activity that had become like a deceit of history, an unrecognised skill

like that of a professional man whose work not only did not gain recognition but in some cases was

even considered subversive. No physician or professional who was not acknowledged as socially useful

could survive. It was expected only of artists, with all the ensuing consequences. And Swiss protectionism

towards its fellow countrymen artists was not as liberal with those who, although residents, were not

recognised as such. Besides, the freedom I had grown used to in Rome was unthinkable in Switzerland.

GDC ■ The ability to directly appropriate the world as Boetti did in his work was certainly an inspiration in

the publicity paintings of those years, and above all an encouragement, but unlike him you never gave

up painting even later. In spite of all the transformations to which over time you subjected it, it is still with

you now. Why?

FV ■ In the small artworld of the years 1984/1985, after our analytic and psychological investigation we lived

off fleeting ideas, about to disintegrate in the very flash of illumination. In the world of images advertising was

the most scrutinised and rising object, the appropriation of images and objects had been turned upside

down. It was no longer art seizing the advertising images and those of the world, but advertising appropriating

the images of the world, of visual communication, of the language of art and its works. Alighiero Boetti’s

and later mine were a first reaction to that visual reality, it may have happened too soon to be understood.

Actually even professionals mistook it for a tail end of Pop Art. And something almost telepathic happened

between Alighiero and me regarding the position of the beholder. It was actually an inquiry on the dualism

that distances subject from object and only concedes to the subject images with the intention of drawing

attention to the “machine that influences the eye” and vision, in a society become schizophrenic and dominated

by that very machine. As for myself, I attempted to re-appropriate painting, and have fun with it, but

on a psychological theme, the relation between resemblance and reproduction, between inner image and

outer reality. Too difficult to communicate in those days. Then came the naïf return to painting.

167


GDC ■ So, if today you had to explain that rather particular “repainting from publicity” process, what

would you say?

FV ■ It was an attempt to create a short circuit between magazine and publicity images rather than adding

new images to the pictorial sphere; a way to extend newspaper, magazine, advertisement pictures

in the visual field through painting so as to saturate the space of perception and implode the idolatry, the

mana of the hypnotiser founded on the eye’s magical properties. The demiurge’s mana.

GDC ■ Yet it seems to me we should also not underestimate your attention to the written text, paged

with the image in those works and the setting of the product, associated as a diptych with the map of

the place of provenance. Elio Schenini, in the 2008 catalogue published on the occasion of your shows

at the Spazio Teatro della Contrada Bornago and the Barbara Mahler Gallery, speaking of these works

wrote: “the geographic silk-screen prints that Fosco paints are however not political maps but orographic,

in which the natural unfolding of the morphology of the territory rendered through the intensity of the

blues, the ochres, the browns that design the reliefs, the plains, the depressions and the seas, contradicts

any notion of a border set up by Man.” He again points out, after all, your tendency to operate on

the invisible thresholds between borders you have worked on from the start, with an intention I would call

“therapeutic”, as though striving to unify that natural condition which on the other hand science, politics,

and ideology separated.

FV ■ Yes indeed. Advertising images were becoming increasingly universal and we could also democratically

put in the pictures territory, visual objects, or products of the emerging countries and, why

not, countries colonised or devastated by conflicts, observing the mundus as a lost continent to be

reassembled, all over again, striving to use the demiurge’s consumerist mana in reverse, as a deterrent.

GDC ■ In the 1990s you put aside the advertisement works for a few years to create a series of portraits

devoted to some old friends or charismatic figures you met in the golden years in Rome: everybody was

there at some point, maybe even just on their way through.

FV ■ Behind those portraits lay my intention to represent the artists and personalities of the time like an

advertisement, along with the idea of transferring the drawing onto a canvas to grapple with painting

again. A metamorphosis of the advertising idiom through a sort of stoic reorganisation of the scene of

events, putting an artist’s body at the centre of the image. The theme of advertising reutilised in painting

had not been understood in the 1980s. Publicity was a taboo, a myth that should not be tarnished,

because under the gloss of the paint and the aesthetic appeal of the publicity image you might be surreptitiously

challenging the product’s usefulness or lack of it, and as a result that of art as well. Therefore

an economic-political theme as well as a cultural policy one. Beyond the ideological dynamics this led

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to re-examine psychologically some hidden beliefs and could even covertly allude to a psychological rethinking

of money. Three super taboos nobody wanted to think about at the time. Instead, interpretations

shifted towards Pop Art or the idea of mainstream representation.

GDC ■ But we should perhaps not deny an emotional and nostalgic note in these intimate portraits with

their delicate accents of figures from your own past. Considering your next turning point, it even seemed

to me that with that cycle you addressed a last greeting to a whole period. In 2000 at the stroke of the

new millennium your work would undergo an authentic upheaval and an upswing leading to a stage without

any earlier influence, even the slightest. An exclusive work of your own invention. All the components

we just mentioned would achieve here a new cohesion, producing a complex vision performed with the

most varied themes and techniques, in utter freedom and independence. The turning point began with

works where for the first time your image was the fulcrum of each thing represented and the point of

reference of each choice. Like in the photos where you appear blindfolded holding divining rods, or the

sixteen photograms of the work L’Ordine delle cose (2000) that usher in a sweeping change.

FV ■ Portraits of friends, photographs of the dowsing artist, L’Ordine delle cose certainly arose from the

awareness of a historic defeat. In those critical years we could not accept another demonstration that

the objects concentrating wealth and value do not have the slightest real practical usefulness. I merely

chose another communication medium with those photograms, conceived in opposition to all that, but

to say the same thing, shifting in an Aristotelian mode the eye from the image of consumer objects

to that of human identity, restoring to it the power of imagination. To distinguish actual human needs

from neurotic consumer demands we had to experience anew the irrational and start all over to invent;

exhaust images of time as we exhaust consumption, intuit new metaphors, awaken myths and archetypes.

And of course remain faithful to one’s own poetics, but through deviations from logic, from paths

already traced, with the chance of some Pindaric flight. I was also about to “revise my historical identity”.

GDC ■ In 2003 Ticinese Switzerland, libertarian, permissive, heir to Bakunin and the anarchists, suddenly

woke up prohibitionist, banning the many shops where for years cannabis by-products were legally

sold. The campaign, launched for political and electoral purposes, did not in the least solve the problem,

leaving that of hard drugs unresolved. And even worse, it increased the lucrative clandestine trafficking of

soft ones. This led to endless debate in the press, the media, and parliament. The issue so concerned

you that you wrote a little book, Filosofia esistenziale della canapa Indiana, that came out right away, in

June 2004. The writing is not just natural, articulated, and truthful, but I feel certain of its importance for

your future, it having reminded you of the libertarian ideals that marked your youth, your hitchhiking trip

to Holland for the Holland Pop Festival, toting Spinoza’s Tractatus Teologico-Politicus under your arm.

In short it was the source for reconnecting with a past that was becoming more and more remote, as

though struck with repression, and for retrieving its flavour of freedom and an Edenic desire for justice.

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That book certainly triggered the energies that would pull off the next great artistic development: the

anamorphic paintings, your first video, Sol Lapis Philosophorum, and the lenticular works. From then on

the themes of representation, vision, and the eye became the favourite subject for your visionary tales.

In the book’s epigraph we can read Rainer Maria Rilke’s anticipatory words expressing his belief that to

achieve certain ends there should be no self-control, no self-limiting but a free letting go without concern…

No caution, but a wise blindness… no conquest of assured goods that gradually accumulate

but a constant dissipation of all transitory wealth…and that this way of being has something naive and

instinctive about it and resembles the age of unawareness we recognise for its joyful trust: childhood.

FV ■ The re-appropriation of the magical body sought by poets or the adamantine body of Eastern

mysticism was important for some circles of my generation, receptive to alterations of feeling and comprehension

as art and poetry have always been, and also some psychotropic experiences, above all if

guided by physicians and shamans. My generation was an avant-garde one, without masters, politically

free, like that of Herman Hesse’s travels in India. We anarchically adopted the pleasure principle and

rejection of the body-soul dualism, and through knowledge of Eastern philosophies we sought to break

the chains of Western philosophical tradition. In short, we were seeking happiness henceforth perceived

as a right. It was this baggage of political, cultural, and social freedom that I felt was being defamed by

the Institutions of Italian Switzerland – usually very emancipated, but not at that time. That is why I ran off

that little book in 2004 for the publisher Derive e Approdi.

GDC ■ Right after that, around 2006, a significant painting period began for you. You no longer called

upon a corrected ready-made, covering with paint an existing background, but interpreted the theme

in many different ways. First that of Flowers. Fabio Sargentini writes: Is there in painting a subject more

overworked than flowers? (…) Well Fosco, not in the least awed by several famous precedents, pursued

his path counting above all on the originality of colour. He is a natural colourist. The tache is the pictorial

technique of which Fosco is the master. He does not use it in an anarchic and random way, like some

informal painting of the 1950s precisely called tachiste, but instead he skilfully channels it on the flowers’

outline. The relationship between the monochromatic background, either violet or green or blue, and

these filiform speckled flowers, stems, corollas, leaves, could not be more pleasing. Its merit is that you

never know whether you are looking at a still life or a landscape. With his customary acumen Sargentini

grasped an essential aspect of those works, that of an open scenario and a “vision” that your flowers so

suggest as to legitimate a comparison with the idea of a “landscape”.

In a text of 2012 published in the Swiss review Soglitter the Luxury Lifestyle I wrote instead: It is as if a

principle of clairvoyance was for the first time making its apparition through the intermittences produced

by the spots that in their pulsing interrupt the limpid drawing of outlines of flowers, human figures, producing

a new form of awareness: that of a body that participates in the sudden openings of being and

of a psyche in syntony with a state of total immersion in the imaginary.

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The character of the vision is actually that of a mental, unreal landscape where body and soul merge,

also allowing to perceive inner sentiment. The freshness and freedom of the ensemble benefit from the

technique of ink and watercolour on laid paper, with crystal-clear outlines, articulating every single vein

of leaves and flowers. And the position of the figures - caught in a movement of growth wherein the

background vibrations seem to let us become aware of their rustling and inner stirring - confirms and

bears out this sensation.

FV ■ Indeed, those huge flowers standing out against a background of fluid, highly transparent colours

were meant as a dream vision, a landscape verging on reality. The spots were overlaid as if those leaves

had several surfaces. You could slip through those freakish flowers like in fairy tale illustrations. The inks

were so beautiful when they settled on the sheets of machine-glazed paper, usually used as packing

paper, that absorbed the ink and spread it. Part of the work was the result of the paper’s capacity to

automatically alter the blending of colours, while an equally important part was the use of a pen, the old

kind you dip in ink, for marking the design of the flowers that was almost hidden by the absorbed spots.

With a tiny spray of water I would wet the sheet over the traces of the drawing, so doing the drawing with

ink was very swift and without hardly ever lifting the pen off the paper. This was what formed a tracery

between the other spots and produced that fresh and clear sign, making your eyes smile when you

raised them after being immersed – body and soul – in the inks, the paper, the pen that raced over the

drops of water. Doing flowers in those years was a countertrend gesture. The theme is one of the most

despised by the market, dealers, critics. The old morality of art that the masters taught me seemed to

have disappeared from the world along with truth. Unfortunately in the history of images the fake had

won. I believed this in 2006 when the art world had begun to overflow with bluff, usurpers, and petty

tyrants in every key sector of the system.

GDC ■ But there may also be something else. Fruits and leaves perceive a utopian revolt – Stefano

says in Filosofia esistenziale della canapa Indiana -, the aerial vegetal idea, the conquest of the lightness

of the vegetal imagination. And Mario adds: In Nature, plants, like Man and sex, go against the Earth’s

force of gravity with a vertical, aerial, suspended act. Our revolt must be Nature’s revolt. And Francesco

in return: The next revolution will not be the cybernetic one. It will be a plant revolution (…), the revolution

of the might of the bud, the vegetal leap. Of the primary image that creates all the other images, of the

mythical life without subordinates, of the smoke tree. On the verge between immaterial movement and

live movement. So doing flowers, after what was going on in the Ticino, was actually the call for the very

“plant revolution” that as a youth with your friends you had dreamed of and that, peremptorily, was now

being trampled on in the name of the law. On the top margin of one of your paintings in this series, Fiori

9 (2007), we glimpse the legs of an armchair. This helps us understand that the vision of flowers and

plants with their sense of outdoors, instead is happening within the closed space of a room where, wideeyed,

your gaze is seizing all its entrancing power. Later the Chair series, painted in the same technique,

171


as if you had just slightly moved, is set in the room with its objects – empty fake 18 th -century chairs and

armchairs suggesting the presence-absence of humans – a few lamps, a coffee pot, or a Caravaggesque

fruit basket that as a whole alludes to the Still Life theme. The live and disturbing presence of the

Flowers, for a while, had made them be overlooked. My text went on like this: In an undefined landscape

where the outdoors of Nature changed roles with the interior of a room, where each thing slides and

vanishes as through an invisible hinge worked by a blink of the eye, everything evokes the paradoxical

nature of art, a verisimilar artifice, in a world of coherent incoherence, made to entice us and hold us

in an ecstatic childish contemplation. “I say one must be a seer […] by a long, gigantic and deliberate

derangement of all the senses”, as Rimbaud wrote in his Seer Letter.

FV ■ I also tried out the technique - by then I had practised it -, on still lifes of objects to create an undefined

environment. In fact it surprisingly responded to the attempt to set off a “derangement of the senses”.

It was actually a device, an expedient. In those paintings I would occasionally apply a very fine brush

as usually used for graphics and writing. Assembling objects for human use, with empty chairs and armchairs,

created undefined, intriguing associations; sometimes the lamps were meant to light the objects,

but to do so the spotted background had to be enlivened with pictorial brushstrokes for the source of light

to flow in a snug space creating the same effect as light in a room. This other way of painting, applying

with the brush another ink over the spots, made them evanescent and the vision increasingly unreal.

GDC ■ This series of works in 2007 includes a group of paintings titled Oggetti 5, with Pinocchio as its

thematic background. The painting shows a room furnished with Breuer office chairs, where a ventilator’s

metallic blowing disturbs every stable support and subverts the succession of days on the pages

of the calendar, interrupting the regular sequence. Then the eye falls on garden swings, stools, rocking

chairs that allude to children’s play, like a wind-up toy with a little wooden owl. A sort of retour au berceau

/ return to infancy, recalling a return to oneself, to one’s own inner and imaginative life.

FV ■ Those sequences were supposed to be as meaningless as possible. At the time I was seeking

a hidden meaning, a secret naming to be discovered in non-sense. What could be the name of those

commonplace objects, at times banal in painting, that we call chairs, armchairs, stools, toys, when they

are superimposed, embedded, altered with respect to their function? Objects, children’s toys, puppets

are recurrent forms in my mind. The wind-up ones that occasionally appear out of the blue are birds,

swings, rocking chairs. I remember I wanted to make a series of three-dimensional toys, sculptures

made of discarded objects to use them like puppets in a video, or mount them on the wall like sculptures

for playing, toy sculptures. Maybe I’ll do it someday. I kept to drawing and painting objects detached

from their use and possibly even meaningless, nameless objects, drawn as if they were discarded

objects. So these drawings were also projects for a series of toys reinvented with recovered materials,

even the word refers to the idea of recovering childhood and lost toys.

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GDC ■ Maybe you merely sought to “rename” the things of the world as the poet does, and according

to me – and not just me, given the success of those works –, you perfectly achieved the goal. The cycle

closed with a few enigmatic Figure astratte, in which a mysterious boy in absent-minded or meditative

poses appears in the midst of light drip painting swirling like a delicate swarm.

FV ■ Essentially that painting was unconscious. Anyway even as a grown-up I never forgot the child’s extraordinary

capacity to reinvent reality in his own way, planning it for another task according to his imagination

and therefore “renaming” the things encountered in the world just as the poet discovers and uses them.

It was also my favourite game as an adolescent, plunging into a magnificent aesthetic and supreme existential

freedom. Maybe that boy’s absent-minded and meditative poses you mention reveal or explore

his love for the things of the world or the objects alien to it, his inventing signs, forms, combinations like

toys, to make peace and not war with the reality of the world. In that figure of a lad, bare in his spare

clothing, there may also be a need to assert that recovering the body we had in childhood is the most

important thing of our life.

GDC ■ I was amazed when I saw the photos where, equipped with pencil, square, and compass like

a Renaissance master, you are intent on drawing figures of classicism with the anamorphosis technique,

bent over large sheets of drawing paper upon which are placed reflecting cylinders, cones, and

spheres. Another shock, even a 180° spin after the stage we just mentioned, of an elaborate painting

but open to the randomness of chance. As though turning a spy-glass towards the past, from then on

you began studying the laws of optics, perspective representation, and the instruments of vision.

FV ■ Well, I began to feel that “the pleasure principle” had to tackle the reality of doing, even as regards new

means. Talking with Fabio Sargentini while I was painting the Flowers we began to discuss anamorphosis.

Actually Sargentini had glimpsed an analogy between my deformed flowers and anamorphosis. The greatest

anamorphoses ever painted are perhaps in Rome, the frescoes preserved at Trinità dei Monti in the Minimite

Friars convent. In 1639 Jean-François Niceron arrived in Rome. He belonged to the Minimite Friars order

founded by San Francesco di Paola, who had been called to France by Louis XI and lived there until he died.

Niceron was in touch with the philosophers and scientists of all of Europe, including especially Descartes

who, with the theologians concerned with perspective, believed that sight was the “supreme sense”, the one

enabling to discern truth from error. And Niceron painted at Trinità dei Monti the fresco where St John the

Evangelist is portrayed while writing the Apocalypse. It was precisely the use of the anamorphic method that

made this a moment of revealing, as the Greek word apocalypsis (revelation) indicates. Through the device of

a distorted projection the image actually remains wrapped in its follicle and only appears when the angle from

which you can see it is found. At first sight the Evangelist’s body looks like a vast landscape with countless

little scenes – the episodes of the Apocalypse – until it appears as a whole. This is how all these connections

and solicitations soon led me to become engrossed in experimenting with optics.

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GDC ■ Were you aware of the fact that anamorphosis was being used both in film and advertising?

Meaning that you were being offered a natural transition from the explicit advertising images you previously

used to a way of preserving the enigma of the image and its meaning, precisely thanks to this

method?

FV ■ In the years before I had read with great interest the essay by Jurgis Baltrušaitis on anamorphoses,

Thaumaturgus opticus. Meanwhile I was intrigued by the use of optics in 16 th - and 17 th -century

painting. David Hockney’s essay Secret Knowledge: Rediscovering the Lost Techniques of the Old

Masters had just come out. And of course I had studied the use of anamorphic techniques in film and

advertising persuasion. I wondered how to make a transition towards the enigmatic character of images

while rethinking the present in an imaginative form, considering the use of optics in the painting of the

centuries that led to modernity, in thought as well as image. All this intersected with my philosophical

interest in Spinoza. And with other aspects, for instance quantic physics that have affinities or appear in

the intuitions of Zen and Taoist thought. I was drawn to an idea: rethinking modernity by going back to its

origins in scientific thinking and technologies which at the time all lined up towards a single goal. That is

how I made those paintings and those images of statues - with such extreme anamorphic perspective

as to make the forms monstrous by deforming them - which I then took to the Biennale in 2011, having

been selected in the competition for Italian artists living abroad. For those paintings I used oil colours

and pastels. Sometimes I painted with the brush, sometimes with my fingers dipped in linseed oil and

a diluent so as to nuance the colours. To make the horizon and the background I used my fingers with

rubber gloves, appropriate for amalgaming the glow of the colours with dark blue, green, yellow, red,

earth tones, whites, and greys with a few shades of black. Ultimately those twisted images appeared,

frightening and undecipherable: seen from a certain point in space or reflected through the proper devices

they are recomposed, rectified until they reveal the figures not perceptible at first sight. After all, the

historic period we are living through is this, too.

GDC ■ What do you exactly mean about this historic moment of ours?

FV ■ I am thinking for instance of the monstrous deformation, through sublimation, of the transition from

our original instincts to those of civilised man that we have been undergoing since the 1980s. And the

distortion that has removed magic from the human body, decreeing the triumph of the death instinct. In

Western societies in these years some of the worst human traits have been glorified, love of money and

wealth as possession rather than means. Perhaps throughout history it has always happened, so I hope

I’m wrong, and that as humankind we shall be able to get rid of many of these pseudo-moral principles.

GDC ■ I well recall those pictures where the space, rhythmed by a horizon in the part that should be

reserved to the earth, shows figures curled up upon themselves, as if lashed by a rope that makes them

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whirl like spinning tops. Constrained in atrocious coiling and improbable flights that catapult them into

space, they see flying over them the emphatic white entities of marble that float in the void. Were they

ever shown, in that Biennale or elsewhere, along with the tools that had been used to make them?

FV ■ The pictures of the Biennale, that also showed artists residing abroad with the collaboration of the

Italian Institute in Zurich, were presented in a mythical place: the historic house where Ulrich Zwingli,

the celebrated theologian who founded the Swiss Reformed Church, had lived. These coincidences

appeared to me, and still do today, magical. Zwingli was also one of the advocates of the tremendous

iconoclastic fury that burned all the paintings in the church. Among them, unfortunately, also many Swiss

Renaissance works. So it happened that a Roman painter’s visionary pictures were shown in the very

house where great theologians, philosophers, and mystics of the Protestant Reformation used to gather.

Maybe even Luther had been there. I entertained the hope that those rooms might have also been visited

by one of the mystic philosophers who most fascinated me and whom I have always admired: Jacob

Böhme, whom Luther defined “the visionary madman”. It was an unhoped-for honour for my works to be

shown in Zwingli’s house. The optical instruments invented for drawing, painting, and the other objects

adopted for making these pictures, on the other hand, were never shown, not even on the occasion of

the Venice Biennale.

GDC ■ In 2011, at almost the same time as this cycle of the Statue, your first video came out: Sol Lapis

Philosophorum. An openly alchemical theme alluding to the alchemists’ sun, that is, the Philosopher’s

Stone (Lapis) that you used, again this time, in a very special way. The animation video, accompanied

by Stravinsky’s Concerto in D for violin and orchestra performed by Cho-Liang Lin with the Los Angeles

Philharmonic Orchestra for about four minutes, shows each second a pencil drawing – in syntony

with the lapis theme -, that as you said is an essential artistic instrument. Those almost two thousand

black and white drawings, in a sort of colossal dance, present an archaic period youth’s return to the

origins – an allusion to the puer aeternus? -. Lying asleep, with his legs and arms immensely stretched

out, he breaks free from earthly bonds and quits the earth’s orbit, projecting himself into the cosmos.

Thus figures and images of history and myth file past before us along with works of art of all times as

in an endless procession. At the end, two eyeballs, brandished by the lad, are cast into the sea where

every vision returns, as in the unconscious, submerged and undisclosed. Here the transformation of the

elements is performed by a kind of astral body, a double: it extends throughout each historical era until

their divisions are erased and they are merged, as in states of clairvoyance, thus entering the everlasting

orbits of the cosmos and its infinite flowing energy.

FV ■ As you gathered, what happens in the video is the youth’s metamorphosis. I had invested those video

drawings with the ironic and automatic tautology of the pencil – the lapis –, endowing tool and hands

with a power and a magic skill. A lapis and an eraser were the sole and primary means for creating that

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video, also meant as the most elementary materials for achieving any kind of artistic activity. The same

thing happened with the editing. I eliminated every sophisticated and really technological aspect. With

the scanner I introduced the almost two thousand drawings, using a crude appropriation device. Then

when quite by chance I met Lukas Klopfenstein, a very young film animation and video student, with

whom I did the editing in the Lugano university technical school (SUPSI) classrooms, put at our disposal

free of charge, again something incredible happened. Once the editing was done, Lukas was amazed

when we inserted Stravinsky’s piece – an experiment in anamorphic music –, because the musical

piece, chosen without premeditation, was exactly the same length as our edited video. Meeting Lukas,

still a student and a novice in editing, was a coincidence and a special intuition that still delights me.

In 2008 his team, belonging to a major Canadian animation studio, won the Oscar for the animations

of the film Blade Runner 2049. That little video, made out of nothing, has become historically important

through mysterious, magic ways. Maybe because it truly wanted to be born.

GDC ■ In that highly productive 2011 your first lenticulars arose from that same video with the same title,

Sol Lapis Philosophorum.

Several figures – as would also happen in the next cycles – are grouped in a single panel producing

a motion like a bat of the eye, that occasions an adjustment of vision, again set off by the anamorphic

movement. Here the transparent, uniform colour of the background is an unusual green – it might remind

you of the amniotic liquid –, while the figurines have different coloured glowing outlines. The impression

of watching a cosmic dance beyond the law of gravity had already begun in the video motions but was

now becoming increasingly evident.

FV ■ Between 2011 and 2012 I indeed entered another dimension of my senses that is still with me. A

state of trusting expectancy of what appears, moves, and speaks within me as if out of a depth from

which I can draw over and over. The experiment had not been a simple one when I decided to use

lenticular panels for my drawings. The technological panel does not produce the work, it is merely a

means, but it takes a lot of precautions for it to succeed. In my case it was essential for those panels

to emphasise the image change in keeping with the various anamorphic perspectives of the drawing:

central, parallel perspectives, oblique, angular, vertical, or horizontal perspectives. I also had to be able

to make the volumes of the circles and the cylinders appear or disappear, barely shifting the gaze, in the

bat of the eye. Changing the viewpoint opened up another perspective. This implied another aspect, the

communicative level of the object to be made, either esoteric or exoteric, that is, the intrinsic message

that to change perspectives you had to blend the various viewpoints. The title remained the same Sol

Lapis Philosophorum. I contacted several laboratories but no one wanted to make lenticulars with finelined

drawings like mine. They told me they would never work and that I should have used photography

rather than drawings, advising me against it in every way.

When at last I found someone willing to produce them, I focused on the colour play in the movements of

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the perspectives of the various drawn nuclei, and on testing their movements with respect to the background

colours. If the backgrounds were white, light, or pastel, the images might disappear and merge

with the basic colour of the panel as though in a sort of amniotic liquid – exactly as you said –, because

that was the very effect I sought to achieve. In the few months of experiments, once the solution was

found, the prototype was also ready to be printed. As soon as the first print was done we were aware of

the harmony, the dancing pirouetting of the images, and the cosmic sense of those perspective in various

colours, steeped in the transparencies of the background colours. We were amazed by the optical

effect produced with those subtle images, as if seeing an evanescent visual thought steeped in stars.

GDC ■ At this point the cycles of your work begin to follow one another at a swifter pace and with

deeply connected intentions. In 2012 there was Il Sogno di Keplero/Kepler’s Dream: the atmosphere

in which are floating your drawings inspired by the Somnium – the great scientist’s short vulgarisation

work -, becomes increasingly rarefied. The evanescent colours shaded from grey to pink, from blue

to white, consistent with the idea of the cosmic journey, envelop all the images, making them filter

and then vanish through a gaseous light. So the drawings no longer burst inside the transparent surface

but appear to evaporate in mid-air. Your imagination, on the other hand, is increasingly directed

towards the fusion of art, science, and magic that inspired great past centuries and in particular the

Court of Rudolph II in Prague where Kepler worked. In the Somnium - already almost a science fiction

story -, Kepler invented a fabulous device for describing the position of the planets in Copernic’s

heliocentric vision that he had adopted, convinced that for an ordinary reader his Astronomia Nova

(1609) was too complicated; he imagined going to the Moon travelling on the cone of shadow cast

by the Earth during a lunar eclipse and then returning to the Earth during a solar eclipse. But although

clandestine, the booklet was discovered. Kepler being an imperial mathematician and astronomer

was in too high a position to be attacked directly, but he was forced to defend his mother accused

of sorcery by the Protestant Church in a trial that lasted six years. Reflection on the Sun, the philosophers’

stone, that you began the year before thus found a further opportunity for thought in the

imaginary journey of Il Sogno di Keplero.

FV ■ Kepler’s Somnium fascinated me as a sort of Astronomical Science apocalypse in psychoanalytical

terms. An inversion, an overturning. That little book, considered the first science fiction work, underscored

the importance of artistic and imaginative expression in Science and human life. So I wished to

suggest an apocalyptic, prophetic role of art in the metamorphosis of thought. This meant trying to form

with the technology of those lenticular panels a “Kepler’s apocalypse”, after all the ones by Abraham,

Moses, Peter, and John. I realised that with empty, very fine drawings printed on the panel’s vertical

grooves you could create an optical effect of evaporation, especially with linear images on a uniform

transparent background, so I drew empty figures, like a transparent design on glass. I also outlined them

on transparent plastic to see how superimpositions and evanescent dissolving of dreamlike images on

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the panel with vertical grooves would look, while seeking to strain the limits of that technology, without

overlooking reflection on the sun, shifting positions of the constellations, and constant transformations

of the universe, playing at developing a series of ethereal drawings on that technological support, until

finding, if possible, the very apocalypse of that material.

GDC ■ As a whole the lenticulars produce a galvanising effect, an amazing magic, but looking up close

at your drawings, one after another, is an essential experience, also because of the number of themes

– as if drawn from several archaic inventories – that you wove inside them.

FV ■ It was an automatic form of drawing where I was trying to be highly concentrated, almost with my

eyes closed, to make the figures rise out of the unconscious with their symbology. I sought to integrate

body and mind without a hierarchy of meaning, erasing the supremacy of the brain, trusting in my fingers,

touch, with their extension in the pencil. Then I revised the drawings on small reflecting plastic

cylinders and drew them all over again. At this stage I used a child’s play technique for the shadows of

those figures. I cut out the drawings with scissors, then with insulating tape I put them upright in three

dimensions on a sheet of paper and traced the shadow cast by the light coming in through the window.

GDC ■ Actually one of the most interesting and intriguing aspects of these drawings is precisely the

shadow each figure appears to carry behind it like an enveloping membrane that dilates but cannot

detach itself from it. 2012 was also the year of your video on the Zodiaco theme. The milky glow of the

perfectly visible signs stands out against an intense night sky, teeming with stars. Up to now nothing

more extravagant than the delight this fascinating vision renews, like being in a Planetarium. Yet there are

thirteen signs instead of twelve like all the zodiacs up to now. Why is that?

FV ■ It was another apocalypse, astrological this time. On that occasion I was inspired by one of the

NASA astronomers’ experiments. After two thousand years they drew a new map of the sky: based

on the calculation of the shifting of the Earth’s axis a new constellation had appeared, Ophiuchus.

An event that could even influence our life on Earth by a new subdivision of the astrological signs.

So I introduced the sign of the Ophiuchus or Serpentary (the serpent bearer, in Latin Ophiuchus) in the

midst of the 12 other zodiacal signs. The codified sign of this new classification represents the one

who holds the serpent. It is actually a very ancient constellation already mentioned by Ptolemy with the

48 original constellations. With the new configuration the constellations - including the ones considered

modern – became 88. The Ophiuchus that was placed between the original constellations from

29 November to 17 December, moving all the other signs one month forward, was precisely the one

that came closest to the Earth in the expansion of the Milky Way. So as I said, an astrological apocalypse.

For me inserting Ophiuchus in the Zodiac became a prophetic message of metamorphosis or

change of life on Earth.

178


GDC ■ I used to measure the skies, now I measure the shadow of Earth. Sky-bound was the mind,

earth-bound the body rests. I thought of those words engraved on Johannes Kepler’s headstone when

I saw the new installation you were preparing in which your atrociously lacerated body was reproduced

with a raw likeness, including your own viscera, as in an anatomical plate. The title you gave this resin

cast with all the inner organs, planned at the same time as Il sogno di Keplero in 2012, was Nulla succede

per la prima volta / Nothing Happens for the First Time. In this title I think I recognise a sudden

reference to the Earth compared to the flight of the spirit into another dimension, and an allusion to the

eternal repetition of the History of Man and perhaps the mythical sacrificial theme of Dionysus Zagreus,

also the origin of the figures of Orpheus and Christ.

FV ■ For me that vivisected sculpture remains an unconscious image, an archetype. Something that

belongs to human reality and is repeated in History. You’re right! And it is like the omen of a fall of gradual

history or, if you wish, of an entropy that concerns the theory of the end of history in the consumer system

where each body has become a consumer object. Maybe I felt the urge to return to the constitutive

myths to start all over. I did not know what I could set off in the beholders, I thought of the description of

psychanalytical events conveyed in the unconscious that are repeated in History as Norman O. Brown

suggested, so I chose that title. I thought we should re-examine the illusion of the eternal return of the

same by Nietzsche, Zeno, Heraclitus – All things come out of the One, and the One out of all things –

that led to the idea that when the stars would assume the position that was theirs’ at the beginning of

the Universe there would be a huge conflagration and Time and the World would begin a new cycle.

A palingenesis, a regeneration represented by those pieces of a body in resin once assembled.

GDC ■ After the turning point determined by Nulla succede per la prima volta / Nothing Happens for the

First Time, in 2013 there were many new works, always in different techniques, ranging from the lenticulars

- Optical, Pompeiani – to advertising technology – GRATIS –, to bronze sculpture Sesso primario

non diviso / Primary Sex Undivided (male and female). Then for the first time the theme of sex appeared,

from a new angle, connected with sight and the eye.

FV ■ The objects and sculptures you mention are like thoughts seized in a flash but after a deliberate

decision, thinking about the union of opposites – a coniunctio oppositorum – in the bronze sculptures,

as in the phallic symbol made with women’s braided hair, an emblem of power in the matriarch’s hairstyle

in ancient matriarchal societies. Gratis is one of the most universal Latin words. In this luminous sculpture

– in fact a ready-made – I used the most common sliding Led ads utilised all over the world. And its

allusion to a difference with merchandise is obvious once it is installed in an artistic context, where the

experience is like a repetition of the “gift” consistent with the exchange rites practiced in archaic societies,

studied by the anthropologist Marcel Mauss. The lenticulars Pompeiani and the Opticals of the same

period are also visual objects caught on the crest of time. Opticals have the same colours opticians use,

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complementary green and red on which the numbers and letters for measuring optical dioptres are read.

In Pompeiani I attempted a change of paradigm. The Eros figures in the Pompei frescoes represented

the winged slaves like angels happy to rejoice the court of Roman notables. It was perhaps just this they

wished to hand down to posterity with a slight guilt complex. Actually I believe the slaves and servants

of the time were horribly maltreated. In the drawings I juxtaposed the frescoed happy slaves to images

of hanging, bound, and tortured slaves.

GDC ■ After the dissolving, separation, and physical corruption undergone by your body – now a mere

slough – in Nulla succede per la prima volta / Nothing Happens the First Time –, it seems to me that

like an alchemist you are striving towards the unity of opposites and the perception that sees beyond

the misleading compulsion of the senses. Thus after solve, coagula. The two hand drawings on a white

ground and a black ground – Il pene ciclopico / The Cyclopean Penis – (2014) represent the duplication

of your right eye; inside it, on a reflecting background, the outline of a phallus stands out blocking its

sight. You told me yourself that in Jungian psychoanalysis the adjective “cyclopean” refers to the child’s

discovery of sex in the parents’ bedroom when it is impressed on his or her eye – whether a boy or a

girl – as a decisive shock. You accompanied the double of your eye with the ritual African sculpture Matriarcale

/ Penelope (2014), that shapes the male sex with tight woven female hair, so as to join the two

polarities. A way of telling us of the transition from a gaze blinded to reality yet where male and female

finally coincide?

FV ■ In the case of Matriarcale / Penelope and Il pene ciclopico / The Cyclopean Penis as in the mythological

tales I meant the eye as everything that is impressed on sight through shock and passed on

to us through the mechanism of phylogenetic memory. I tried to represent the mystery of imagination in

sculpture, painting, drawing, interpreting the objects as if they were in a theatre of the absurd or paradox.

I meant to fill the distance between work and beholder to regain possession of the attitude of a primitive

mind, the participation and the bond between perceiver and perceived, retrieving by telepathy a possible

common archetype. So I sought to represent the fusion of subject and object, male and female, a

dual unity in the attempt to glimpse a rebirth, a regeneration in a world where we only know generation.

The greatest experience in this life of ours would be to return to the world after a second birth, beyond

the limits that characterise generations.

GDC ■ Is that why in a mood of deconfining or dissolving limits, in 2014 you also conceived Il Fumo /

Smoke, twenty-four panels where you represented yourself in profile blowing smoke onto various “prohibited”

signs to obliterate them?

FV ■ The smoke work sought to be a waking dream and in this case my head represented the body’s

entrance in the lenticular support. The smoke blown out of the mouth makes you think of an unexpected

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gust of wind. The work consisted of a hundred or so photographic movements of the smoke reproduced

on twenty-four lenticular panels. For the show I made them in several dimensions, at first I used

only twelve. The smoke moved between my two heads in profile, chasing away the prohibition signs.

When its moving trail came near the other head, that one was dissolved to then reappear, pushing the

smoke in the opposite direction, like a wave from the right to the left of the panels. It was also a play

of moving images to enhance the technical and aesthetic potentials of these technological supports,

casting a spell.

GDC ■ In 2016 you started to analyse, increasingly in depth, the figure of Paracelsus as well, developing

a further important cycle of drawings inspired by his conceptions. Born in the late 15 th century in

Switzerland at Einsiedeln – famous for its 17 th -century abbey, the site of endless pilgrimages because

of the magnificent Black Madonna worshipped there –, Paracelsus is a figure partway between legend

and reality for his discoveries and inventions in the field of medicine such as iatrochemistry, that is, the

application of mineral substances for healing patients. What is the connection for you between this figure

and the other essential ones for you, Spinoza and Kepler?

FV ■ I wanted to tell symbolically, through images, about all those great men who endured the oppression

of control over their free thinking. Paracelsus, Kepler, Spinoza, but there could be so many others,

like Giordano Bruno, Galileo Galilei, and all those dialectic dreamers who saw things others didn’t see.

A kind of hymn to free thought. Paracelsus is especially interesting as a reformer of the medical professions

and a great advocate of natural magic, that we so lack and that in this historic moment could show

us a major ecological evolution for the survival and respect of the planet. And Paracelsus’ apocalyptic

speculations are artistically important to me, with those magical figures, conceived to be engraved –

hence my research in bookstores and libraries -, each with its own caption: authentic works of art created

with 16 th -century printing and publishing pioneers like Heinrich Steiner.

GDC ■ In 2016 many of the Paracelsus cycle drawings converge in an animation video where the projection

assumes a distinctly bewitching character. Here again we see your proneness to reinvent technology,

reducing it to an essentialness that is characteristic of poetic expression alone. The drawings

are projected on a pad of A4 sheets, while your hand, also projected, appears each time to move the

sheets, framed by two mercurial white wings introducing the passage to the next drawing.

FV ■ The idea of projecting on A4 sheets was an intuition: to film the hands leafing through the drawings

as if they were the extension, in a material made of light and projection, of all the beholders’ hands.

The projection is sheer illusion, misleading the eye, through the fiction inviting to leaf through the sheets

onto which the drawings are projected. The ream of sheets forming a screen for the projection is white

and that is when the confusion between the eye and the projected hands is produced.

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GDC ■ It was again in 2016 that you created the great video dedicated to Kepler that assembled many

of the drawings originally made for the lenticulars, as well as the resin sculpture Giravolta – its corollary

– that represents you poised in a cosmic somersault.

The video differs in its conception from the earlier Sol lapis philosophorum. It does not represent the

gradual development of a story unfolding like writing before our eyes, but alternates several images in

swift waves approaching and withdrawing in eddies, drawing the beholder inside the cosmic vision. The

musical background composed with Gaston Dupuy resembles a breathing evoking the to-and-fro of the

sea. Later your suspended profile was integrated in the 2012 Zodiaco, even though it clearly refers to

Kepler’s cosmic journey.

FV ■ The video-sculpture Giravolta also has its magic rule. To Kepler’s journey to the moon I added the

self-portrait sculpture that is like a comic strip of myself inside the Zodiaco video. In that video-sculpture

the sculpture part could be installed in several ways, but its spontaneous birth was combined with the

Mattatoio space, so the video-sculpture is just one of its unlimited quantic possibilities of being. Here

we have probabilities, this sculpture can exist somewhere in space in an undetermined way. The same

mutation of probabilities of existing in an exhibition space could be represented when the video-sculpture

would be in a new installation.

GDC ■ In 2017 you made a tablet where the Paracelsus cycle drawings were combined with those of

the Kepler and Spinoza cycles. It is again your hand moving over the screen that makes the various images

appear as if by magic. And that same year you developed the first work of a new type: the sound

painting In the village. On the Lugano skyline, painted in oil on canvas you mounted a fragment drawn

from the famous TV science fiction series The Prisoner, where a man’s voice with a strong Scottish accent

declares he is not just a number but a free man, and breaks out in raucous laughter.

FV ■ In these works done with the video-tablet or painted on canvas like In the village – its theme is

the interrogation in The Prisoner, the 1968 TV series -, there are references to science fiction comic

strips about systems of social control and intuition of the possibility of escaping time and being

beyond time in one of the countless parallel worlds as happens in quantum quarks. I believe the

combination of Politics, Philosophy, Medicine, Science in my drawings occurs to me like an urge to

explore parallel worlds where different things can happen, through a fusion of the sciences. After all,

the electromagnetic theory can teach us and explain to us even why Professor X of the American

science fiction comic strips in the 1950s-60s could read people’s minds. And it sometimes also happens

that intuition precedes science, just like in the chaos of Kepler’s science fiction dream in the 17 th

century. Today physics can reveal to us the secret of the power of Superman, the Man of Steel, and

even explain the invisible woman in the comic strip The Fantastic Four who can see even when she

has become transparent.

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GDC ■ In 2018 the project of your retrospective in Rome was approved, at the ex-Mattatoio (former

Slaughterhouse), one of the most significant industrial archaeology sites in the city, and a pole of research

and artistic and cultural production of the City of Rome. This gave us the opportunity to analyse

the course of your work, showing it in over ten thousand square metres, from the first publicity paintings

in 1986 up to the works of 2018. For the occasion several new cycles of lenticulars were born, dedicated

to Paracelsus, as well as three panels: Solidi. Onde di probablità – Solids. Waves of probabilities,

and the video Accomodamenti /Accommodations in tribute to Spinoza. We were also able to produce

together the Baruch Spinoza art book you had so longed for. You created for it the twenty-four drawn

plates, the cover, the incipit, and the conclusion – in an edition of 200 copies - , while I curated the entire

graphic layout with the texts in Latin in capitals, and the booklet with the critical essays and translations

in Italian and English. The sentence you wished as a preface to the book: The Observer can change the

position of the drawings according to his own way of understanding the drawn story, you also wanted to

illustrate with the video Accomodamenti as a tribute to Spinoza’s theories.

FV ■ In the Accomodamenti video an invisible form moves the drawings. This larval outline potentially

suggests that of all the beholders. Similarly Solidi. Onde di probabilità shows the possibility of being each

time in a different perspective spot in space, each time shifting the eye over the lenticulars. Observing

them we do not know exactly where they are, we shift from one viewpoint to another but depending on

the probabilities they could be in various points of the visual space. Baruch Spinoza with his rationalist,

scientific, and philosophical investigation, as in the study of the natural world, is a man of the future.

A sort of “super hero”, and I wanted to celebrate the man of tomorrow in a drawn story.

GDC ■ The crux of the exhibition was drawing – this is also why the book was a very important part of

the exhibition -, but my choice to also present the videos within the ensemble, intermingled with the

paintings and installations without a break, offered the opportunity to discern an ongoing narrative: even

changing its technical and expressive range it achieved its unity in the metaphorical, mental dimension

of an elaborate, multidimensional reflection process. It added cohesion to the delicate unfolding of the

linear traceries, perceptible through the suspension lighting, the sound flow that made the course vibrate

throughout, keeping the mood in tension. And I would say the exhibition was met with surprise and appreciation

by both the critics and ordinary visitors, as well as the many members of your former artistic

set who no longer knew anything about your work.

FV ■ For me it was like coming out of twenty years of isolation and this made me very pleased. I always

believed that the arts and poetry ought to point to an ethical and emotional use of knowledge.

Both by temperament and training, the dehumanising social success or cultural power promotion that

have blatantly characterised the end of the past century never interested me, maybe that is why my

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work was mostly unknown. And the interpretation of my career you were able to suggest certainly also

contributed to the show’s success.

GDC ■ I was thinking that the apocalyptic themes you have constantly been tackling since 2011 in ever

different ways are encountering, right in the midst of this dialogue of ours, a stunning confirmation in

the ongoing pandemic. Rereading the history before the destruction of the Temple of Jerusalem in the

1 st century AD we see impieties of all kinds, wars, catastrophes, famines, pestilences, earthquakes,

fires, dissolution of the laws of Nature. It seems that the wisemen called them “the Messiah’s birthing

pains”. So Nulla succede per la prima volta / Nothing happens for the first time, just as the title of perhaps

your most crucial work suggests?

It is difficult to imagine what will happen now, after “La Grande Bouffe” of the past thirty years. Hell is

quantity versus quality, promiscuity versus individuality, repetition versus difference, excess versus moderation,

abuse versus legitimacy, din versus silence, and so much more. Can we once again defend the

values of humanity, awareness, liberty, and spirituality? In 2011 you spoke with foresight of an “evolutionary

end of homo oeconomicus” and his “passage towards homo jucundus”, but just how possible

would that be?

FV ■ Nothing happens a first time is a sentence that hammered in my brain ever since the 1960s and

inspired the work I created during a poetic and anthropological reflection on the chaos created by

the proliferation of “art” objects and “artists” of the globalist and colonial scene of the contemporary

art system. I did the sculpture between 2011 and 2012. Now I felt the image of a sacrifice, an act of

violence and rupture, the infraction of a limit had to be shown to both indicate and vindicate that culture

and human sacrifice are the same thing. An act of revolt against the cultural phantasm proposed

by the specialists of the contemporary arts collective consumption, recalling that ancient knowledge

represented by the “poet’s sacrifice” that is repeated over and over in human culture. To step back into

the limelight of his own history the artist, stripped of authority and expropriated of his own social role,

must undergo the sacrifice of his own body. Only a few grasped the metaphor. They were content to

observe, surprised and intrigued, the visual effect of a lacerated body. To understand it, maybe the

countless interconnections between bodies in the characteristic mysticism of Nature might help. Yes, I

agree, hell is quantity versus quality, promiscuousness versus individuality, repetition versus difference,

excess versus moderation, din versus silence. In these years, in the revelry of consuming of which

by now we were sated, every once in a while I hummed to myself Vecchioni’s El bandolero stanco:

che se ne va dov’è silenzio, dov’è silenzio, dove. Now – because nothing, precisely, happens for the

first time – the time has come to defend the values of humanity, awareness, freedom, spirituality. I

am not sure that individually, faced with the usurper’s collapse right before our eyes, we shall be able

to experience that awareness that does not need a divine scapegoat - as Norman O. Brown writes

quoting Bataille, Blake, Nietzsche, Spinoza –, adding that “the grand Inquisitor” wagers that circuses

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will suffice to satisfy the masses, whereas the Dionysians wager that the Grand Inquisitor is mistaken.

Homo jucundus, wounded, lacerated, sacrificed, may no longer have a reason to exist individually,

but instead find his fulfilment in a kind of interconnection between bodies, Nature, and the universe.

In this I still glimpse the role of the artist and the poet, or the “poet-artist” as protagonist, because truly

“nothing happens a first time”.

GDC ■ You remind me of a piece by Baudelaire, when he reads in the figure of the poet (and the artist)

a sort of disembodied awareness of the crowd – the great theme borrowed from Edgar Allen Poe’s Man

of the Crowd – and 19 th -century Paris seen as the true song of modern life. Baudelaire’s claim is that the

poet, placed on one of the points of the circumference of humankind, sends back upon the same line in

more melodious vibrations the human thought that had been handed down to him: thus every true poet

should be an incarnation. Maybe mutatis mutandis we already have here a revival of Spinoza’s themes

that continued to fascinate you over the years, those of a single organism that you form with the various

expressions of Nature: one mind and one body.

Your latest works Lo stesso gesto in un altro spazio-tempo / The same gesture in another space-time

(2019) play on the science-fiction possibility – and hypothesised by great scientists since Einstein – that

we can overcome the temporal condition, instantly transferring ourselves in another dimension, arresting

the flow of time. A condition of metaphysical, extra-human everlastingness where nothing happens. Is it

with this idea that by a sort of photographie mise en scène or staged photography you entered in Vermeer’s

and Velásquez’s paintings through digital photography, furnishing them with present-day actors

and objects?

FV ■ The sensation I wanted to try out was that of overcoming the temporal condition to enter a parallel

world. Actually, pursuing earlier research I was interested in the use of the camera oscura by artists

like Vermeer, Velázquez, Caravaggio, Canaletto, and many others who, according to David Hockney’s

notion – and not only his –, used it before the invention of photographic acids in the late 19 th century.

Less than a month after the show – today images go around the world in real time – and already in the

midst of the quarantine, art reviews, museums, galleries, and foundations invited artists to engage in

the visual reinterpretation of works of their collections, and paradoxically the fashion went viral. A sort of

mass cannibalism that of course was not interested in exploring methods of representation or eventually

using the camera ottica, that is, a behaviour of sheer appropriation, a “do it yourself” that appeals to the

ordinary man more than the artist, in so far as it “does” without the slightest specific cognitive curiosity.

Interesting, however, for a psychoanalysis of the masses. Now, I am experimenting visions of a parallel

quantum world and the definition of what I have called “a space alongside time”.

GDC ■ When you told me about these works I thought right away of the theme of immortality expressed

by Gino De Dominicis, although interpreted in another form. So shall we stop, shall we find our nook of

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eternity in the shadow of these great European and world masters and geniuses, or shall we set off and

start on our quest all over again?

FV ■ De Dominicis pointed out an essential path in the study of myth and the concept of immortality.

Now I believe we have reached that last station that artists, poets, philosophers, geologists, scientists,

religious and wise men of all times had prophesied. If we do not achieve peace between the exuberant

energy of life as self-destructive expense and the egoistic economic power of death, the Anthropocene

will merely have been a passing phase between the countless geologic eras. Nature will rise up against

human oppression, but life and death, they immortal indeed, will surely find beyond the human species

other ways to achieve and reproduce themselves.

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TEXTS ALREADY PUBLISHED

Alighiero Boetti & Fosco Valentini

by Hans Ulrich Obrist

To confront a map is to confront a particular tempora! and spatial reality. The process of map-making,

however, is always historically rooted. As the cartographer Denis Wood once observed, we are

‘map-immersed’ in the world - which is to say that we are immersed in both truth and its inevitable

distortion and revision. To confront, then, a history of map-making, is to consider not one, but a multiplicity

of space-time realities; an ever-changing flux of representation arid global mark making. In the

long story of representation and reality, map-making has always been synonymous with our various

attempts to historicise.

My passion tor maps began with Alighiero Boetti. When I was seventeen, I met this visionary artist

and he changed my lite in many ways. Crucially, he introduced me to ideas around map-making.

Throughout his career, Boetti embarked on several mapping projects: extraordinary collaborations in

Afghanistan and, later, Pakistan, which intertwined the aesthetic and politica! concerns, craftsmanship

and the artist’s physical journey, as well as the negotiation of linguistic and physiP3I borders.

Boetti was responding to a contemporary context of globalisation whereby pre-existing borders that

are defiantly carved out on the majority of maps are rendered somewhat redundant within this new

global situation. In 1971 Boetti commissioned Afghan embroiders to create a map of the world,

with each country bearing the colours and patterns of its flag. This commission grew into a beautifully-crafted,

large-scale series of maps produced over a period of twenty years. Each map tracked

geopolitica! changes throughout the world: the break-up of the Soviet Union, the unification of Germany,

disputes over territories in the Middle East and regime changes in the Eurasian peninsula.

lt was with Boetti that in 1987 I met the artist, Fosco Valentini, where we discussed the former’s extensive

and labour-intensive project of map-making. lf Boetti’s maps respond to the geometrie basis that

informs this medium’s aesthetic, with its abstract and essentially ungraspable image of earthly totality,

then the work of Valentini responds to the profundity of this confrontation on a highly human level. Universal

renditions of human bodies dance across a flattened image piane alongside of visual repertoire of

scientific invention and spiritual symbolism; these subjects appear groundless, in motion, and uprooted.

In other works the human body becomes entangled with different reproductions of our planet; humorously

balanced on top of a glebe or casting a shadow over a miniature solar system.

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In line with Boetti’s conception of our world and its borders as fluid, flexible and chaotic, so Valentini

positions its human inhabitants amidst this global disorder. Where Boetti subverts cartographical

representation from within its stylistic convention - the unfolded sphere that is captured by the eye in

its totality - Valentini embarks on a different kind of map-making, one that imagines a world in which

the ground beneath our feet is removed. In his depiction of subjects in a constant state of free-fall,

Valentini gestures towards a world where the distortion of borders has gane tao far, where difference

is lost rather than gained in the cross-cultura! and cross-border exchange that characterises our

contemporary state of globalisation.

London, May 2018

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A born colourist

by Fabio Sargentini

It’s spring, I note happily, looking out of my window at the flowers that have invaded the balcony opposite

that had been bare for too many months. I look back at my desk , scattered with the photos of flowers

painted by Fosco Valentini.

It’s spring for them, too, after Fosco has grown them and watered them lovingly for a couple of years.

Every time he comes to Rome from Lugano and brings them to show me so we can discuss them together

they reveal themselves as ever more beautiful and personal. Is there any more abused subject

in painting than flowers? From Van Gogh’s wildeyed sunflowers to Warhol’s serial roses, just to remain

within our epoch, uncountable numbers of great artists have measured themselves against one another

in this genre. I like many of them even if I must confess to a passion for Mafai’s dried flowers. Well,

Fosco, by no means intimidated by these illustrious precedents, looks neither to left nor right, counting

above all on the originality of his colours. He’s a born colourist. Tache is a painting technique of which

Fosco is a maestro. He doesn’t use it in a casual, anarchic manner, like a certain informal painting of the

‘50s, called specifically tachiste, but he skilfully directs it onto the silhouettes of the flowers. The relationship

between the monochromatic background, whether it be purple or green or blue, and these filiform,

dappled flowers, stems, flower petals and leaves, couldn’t be more pleasurable. Its merit lies in th e fact

that you never know if you are looking at a still life or a landscape.

I avert my eyes from the photos on my desk. I open my small exercise book to note down some ideas.

A four-leafed clover I had forgotten slips through my fingers from th e pages of the book... it is flat, intangible,

it’s a close relative of th ose flowers in the photos. Good luck, Fosco!

Rome, May 16th 2008

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The eyes of toyland

by Mario Garriba

«Pinocchio, instead of turning into a boy sets off secretly with his friend

Lucignolo and heads for the “Toyland”. “… there are no schools there:

there are no teachers: there are no books. One never studies in that

blessed country. There is no school on Thursdays: and every week is

made up of six Thursdays and a Sunday. The autumn holidays begin on

1st January and end on 31st December, if you please. This is the sort of

country that I like! This is what all “civilised countries” should be like…”»

(Carlo Collodi: The Adventures of Pinocchio)

Meeting Fosco means lengthening the day. It doesn't have the usual 24 hours but day and night

meld together and continue . One word leads to another and time stands still in a present made up

of past and future. Rome is too big for him but Lugano is too tight and he wears casual clothes. l

always come across him by accident, turning a corner, coming out of a tobacconist's, catching a

bus by the skin of my teeth or he catches me by surprise when I'm sitting at a little table outside

some cafe. He even catches me out in winter because I like to Smoke. And the conversation takes

up from where we had left off, even two or four months previously, maybe about a question that had

been left unanswered.

With him I can talk about everything and anything. A freewheeling conversation. Sometimes he surprises

you with the irony of his intelligence: “I think that I have made a lot of mistakes in my life… the

only thing I got right was marrying my wife… exactly the opposite of what she says”. Sometimes he

can become boring, especially when he talks about existence, following the philosophical trap of

one of his early maestros, Aldo Braibanti. But even then you listen to him with a smile on your face,

enchanted by his recollection of all the new meanings and forms of the word revolution. Cosmic revolution,

revolution atlantidea, revolution of the age of Aquarius, the New Age revolution, revolution of the

nude classes, the revolution of the outdatedness of the psyche, revolution of the great imbroglio, the

revolution of the planet's new partisans, the revolution of the thundering silence, the Zen revolution,

the revolution of the round devil, the quark revolution, the revolution of the planetary armistice… “and

other congeneric flowers”, as Collodi writes at the end of his description of the Land of Play. When at

night he stares at the sky that is too vast he is still searching for his own personal star. Even if the sky

in Lugano, closed in as it is between the mountains, seems smaller and everything would appear to be

easier. But it's not like that for he who has seen wide open skies. It's then that, in my opinion, Fosco

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begins to paint. Everything turns into the coloured line fleeing from one of his paintings that, once set

to one side, he has then picked up again and, surprised, finished.

He suddenly comes out with one of Metastasio’s phrases, gifting you with a beautiful sensation: “I’m

not leaving and I’m not staying but I feel that same anguish I would have on leaving, that I would have

on staying.”.

Or I might open his short diary on the existential philosophy of cannabis at any page and I would read:

“… the fan emitted a pleasant metallic north wind” and it reminds me of the best Paolo Conte, and

perhaps even better. Fosco has disorderly eyes that range over everything and everywhere and he

uses this to build a strange kaleidoscope which invents unpredictable figures. He has his own body

language: he gets onto his powerful motor bike ritually, he zips his jacket up to his chin and disappears

inside his crash helmet. But you would recognise him even from the back. When he picks up

a glass he holds it tightly like the hand of a friend. His gestures are those of one who moves about

in the world as he moves in his own house. But Fosco also has a syntax and then the conversation

moves along demanding paths and becomes the history of his thought.

Like all those who live in a cafe he drinks slowly so as to remember. If he turns his head he doesn’t

see the wall behind him or the small table next to him but rather some fifty years of life: colourful days

in Rome spent between the Campo dei Fiori and Piazza Navona, the mirror-like canals of Amsterdam

which he got to by hitch-hiking, lucky meetings between painting (Boetti), music (the music of the

meadows and the piazzas), poetry (Pasolini) and theatre (strictly off). And this habit of his of looking

around creates wide spaces to be painted. The people and things become ideas. The dream

becomes a gesture and the gesture becomes a dream. With a certain airiness the sense is open

to interpretation and misinterpretation. Just like another cigarette end stubbed out in an ashtray.

Perhaps he did betray pop art in favour of arte povera or video art and this has meant his remaining

poor. Perhaps.

At the end of the ‘70s Francesco Clemente reminded him: “Fosco, minority is art, I’m a minor artist…”.

And he repeats it today: “an important lesson that I didn’t understand at the time! As a matter of fact

it’s quite true that the most beautiful paintings of the great masters are those painted when they were

minor artists”.

I’m in films and he paints. If we go to see a contemporary art exhibition together he only talks when

moving between paintings. He sees details that you would never see unless they were pointed out to

you. You would go back but not him. I’m sure that if we went to the cinema together, sooner or later

he would fall asleep, allowing himself to be enchanted by my later account of how the film ended. In

this sense we are alike: sense and imagery coincide. Two children still with a surprised air, curious

and amused. The eyes of Toyland.

Florence, May 11th 2008

191



Indice delle illustrazioni

pp. 15, 17, 18, 19, 20

Performance fotografica.

12 fotogrammi cm 40 x 30

presentati alla X Quadriennale Nazionale

d'Arte - La Nuova Generazione, 1975

p. 24

Catalogo X Quadriennale 1975;

Rivista Imprinting 1975-1979

p. 26

con Alighiero Boetti

alla mostra della Loggetta Lombardesca

della Pinacoteca Comunale

di Ravenna (a cura di Alberto Boatto,

15 dicembre 1984 - 24 febbraio 1985)

da sinistra

Marilena Bonomo, Giulio Guberti,

Alighiero Boetti, Alessandra Bonomo,

Fosco Valentini, Guido Nati.

S'intravvedono le opere Colonne 1968 e sullo

sfondo “Storia naturale della moltiplicazione”

1974 - 75

p. 27

Bella Napoli 1985-86

1985 - 86

Walkman Sony // Superga // Nazareno Gabrielli

acrilico su carta, cm 22 x 40,

collezione privata, Roma

p. 29

Tunnbröd 1986-87

acrilico su carta, cm 90 x 35

p. 30

Walkman Sony 1985-86

acrilico su carta, cm 30 x 22

Superga 1985-86

acrilico su carta, cm 30 x 22

p. 32

Caviar 1986 - 1987

acrilico su carta, cm 35 x 90,

collezione privata, St. Moritz

p. 34

Nazareno Gabrielli 1985

acrilico su carta, cm 30 x 22

p. 35

Ritratto di Emilio Prini 1995

acrilico su tela, cm 30 x 50

p. 36

L’ordine delle cose 2000

fotoanimazione 16 fotogrammi

Rabdomante 1999

foto da performance

22 fotogrammi, cm 30 x 24

p. 39

Fiori 1 2006

inchiostro e acquerelli su carta intelata

cm 150 x 100, collezione privata

193


p. 40

Fiori 8 2007

inchiostro e acquerelli su carta intelata

cm 70 x 100, collezione privata

pp. 42-43

Fiori 6 2008

inchiostro e acquerelli su carta intelata

cm 150 x 200, collezione privata

p. 45

Oggetti 1 (Le sedie) 2007

inchiostro e acquerelli su carta intelata

cm 150 x 100, collezione privata

p. 47

Figura astratta 2007

inchiostro e acquerelli su carta intelata

cm 150 x 100, collezione Museo Cantonale

d’Arte MASI, Lugano

pp. 48-49

Oggetti 2 (Giocattoli) 2007

inchiostro e acquerelli su carta intelata

cm 100 x 150, collezione privata

p. 51

Fosco Valentini nel suo studio

al lavoro con gli strumenti per le anamorfosi

p. 53

Statua in blu e nero 2010

olio su carta intelata, cm 155 x 100

p. 55

Verde radar 2010

olio su carta intelata, cm 155 x 100,

collezione privata

p. 57

Disegno per il video Sol Lapis

Philosophorum 2010

matita su carta, cm 30 x 21

p. 59

Disegno per il video Sol Lapis

Philosophorum 2010

matita su carta, cm 30 x 21

p. 61

Lenticolare Sol Lapis Philosophorum

2011

pannello in perspex, cm 110 x 100

p. 63

Disegno per Il sogno di Keplero 2012

inchiostri su carta, cm 30 x 21

pp. 64-65

Il sogno di Keplero 2012

(test 1e 2 per il lenticolare) 2012

cm 110 x 100

p. 66

Il sogno di Keplero 2012

(test 2 per il lenticolare) 2012

cm 110 x 100

p. 67

Disegno per Il sogno di Keplero 2012

inchiostri su carta, cm 30 x 21

p. 68

Il sogno di Keplero 2012

(test 3 per il lenticolare) 2012

cm 110 x 100

194


p. 69

Disegno per Il sogno di Keplero 2012

inchiostri su carta, cm 30 x 21

p. 71

Zodiaco con 13 segni, video 2012

(5')

p. 73

Fosco Valentini accanto alla scultura in resina

Nulla succede per la prima volta 2013

installazione variabile cm 190 x 100 circa

p. 74

Sesso primario non diviso 2013

(femminile)

scultura in bronzo dorato, cm 20 x 40

Sesso primario non diviso 2013

(maschile)

scultura in bronzo dorato, cm 25 x 45

p. 75

Disegni per i lenticolari Pompeiani 2013

inchiostro su carta, cm 30 x 21

p. 76

ll pene ciclopico 2014

due disegni a matita su carta,

montati su specchio, cm 50 x 70

p. 77

Matriarcale/Penelope 2014

scultura rituale di capelli femminili intrecciati,

cm 30 x Ø 5

p. 79

Il Fumo 2014

fotografia per i 6 pannelli

lenticolari in perspex, cm 80 x 100

p. 80

Disegno per il ciclo dedicato a Paracelso

2016

inchiostro di china su carta, cm 30 x 21

p. 81

Disegno per il ciclo dedicato a Paracelso

2016

inchiostro di china su carta, cm 30 x 21

pp. 82-83

Lenticolari per il ciclo Paracelso 2016

pannelli in perspex, cm 100 x 100

pp. 84-85

Disegni per il ciclo Paracelso 2016

inchiostro di china su carta, cm 30 x 21

p. 87

Giravolta 2016

scultura in resina,cm 90 x 45,installata dentro

Zodiaco con 13 segni, video 2012

(5')

p. 88

Disegno per il ciclo dedicato a Spinoza

2018

inchiostro di china e pastelli su carta

cm 30 x 21

p. 89

Disegno per il ciclo dedicato a Spinoza

2018

inchiostro di china e pastelli su carta

cm 30 x 21

195


p. 90

Lenticolare del ciclo dedicato a Spinoza

2018

pannello in perspex, cm 120 x 120

p. 91

Disegno per il libro dedicato a Spinoza

2018

inchiostri di china su carta, cm 30 x 21

p. 93

Disegno per il libro dedicato a Spinoza

2018

inchiostro di china e pastelli su carta

cm 30 x 21

p. 94

Disegno per il libro dedicato a Spinoza

2018

inchiostro di china e pastelli su carta

cm 30 x 21

p. 95

Tavola V dal libro dedicato a Spinoza

2018

litostampa

p. 96

Disegno per il libro dedicato a Spinoza

2018

inchiostro di china e pastelli su carta

cm 30 x 21

p. 98

Una visitatrice davanti all’opera di Fosco Valentini

Uno spazio accanto al tempo

stampa su carta fotografica digitale

presente il 20 dicembre 2019

al REBIRTH-DAY di Michelangelo Pistoletto

nel Salone del Forum del Macro Asilo, Roma

p. 102

Irlanda 1987

serigrafia e acrilico su tela, cm 50 x 43

p. 104

Fiori 10 2007

inchiostro e acquerelli su carta intelata,

cm 200 x 150, collezione privata

p. 106

Altalene 2007

inchiostro e acquerelli su carta intelata,

cm 150 x 100, collezione privata

196


VISIONARIA

p. 112

Veduta dell’allestimento;

p. 113

L’Ordine delle cose 2000

foto animazione in 16 pose

p. 114

Quadri pubblicitari e ritratti 1986 -1995

tecnica mista e acrilico su tela, misure varie

p. 115

In the village 2017

olio su tela con registrazione sonora 33”

(dalla serie tv di fantascienza, The Prisoner)

cm 30 x 50,

p. 116

Veduta della mostra, da sinistra

Pannelli lenticolari Optical 2013 e

Pompeiani; La statua

p. 117

La statua 2010

olio su carta intelata, cm 155 x 100,

collezione privata

p. 118

Optical 2013

due pannelli lenticolari in perspex

cm 120 x 120 ognuno

p. 119

Pompeiani (Paradigma Servi) 2013

pannello lenticolare in perspex,

cm 120 x 120, collezione privata, Sorrento

p. 120

Veduta della mostra con i lenticolari

de Il Sogno di Keplero 2012,

pannelli in perspex, cm 110 x 110 ognuno

Disegni dello stesso ciclo,

inchiostro di china su carta,

cm 30 x 21 ognuno

p. 121

Disegni de Il Sogno di Keplero 2012

inchiostri di china su carta, cm 30 x 21 ognuno

p. 122

Disegni de Il Sogno di Keplero 2012

inchiostri di china su carta, cm 30 x 21 ognuno

p. 123

Veduta della mostra da sinistra

Disegni de Il sogno di Keplero,

Accomodamenti, Lenticolari Spinoza,

Solidi. Onde di probabilità.

Disegni del ciclo Spinoza.

Edizione dedicata a Baruch Spinoza

197


p. 124-125

Accomodamenti 2018

video animazione ispirata

alle concezioni di Spinoza

durata 2’50”

p. 126-127

Lenticolari del ciclo dedicato a Spinoza

2018

pannelli in perspex, cm 120 x 120 ognuno

p. 128

Veduta della mostra, da sinistra:

Solidi. Onde di probabilità.

Disegni del ciclo Spinoza.

Edizione dedicata a Baruch Spinoza

p. 129

Disegni del ciclo Spinoza 2018

Edizione dedicata a Baruch Spinoza

p. 130

Solidi. Onde di probabilità 2018

Lenticolari ispirati all’Etica di Spinoza

“ordine geometrico demonstrata”,

pannelli in perspex, cm 120 x 120 ognuno

p. 131

GRATIS 2013

insegna luminosa a LED

cm 17 x 97 x 17

p. 132

Nulla succede per la prima volta 2012

calco in resina di parti del corpo dell’artista

installazione dimensione variabile

cm 190 x 100 circa

p. 133

Sesso primario non diviso 2013

(femminile)

scultura in bronzo dorato, cm 20 x 40

Sesso primario non diviso 2013

(maschile)

scultura in bronzo dorato, cm 25 x 45

p. 134

Veduta della mostra, in primo piano:

Nulla succede per la prima volta

Sesso primario non diviso

(femminile e maschile).

A destra: Giravolta e Zodiaco con 13 segni

p. 135

Giravolta 2016

scultura in resina, cm 90 x 45,

installata dentro Zodiaco con 13 segni 2012,

video (5’)

p. 136

Veduta della mostra

in primo piano: Matriarcale/Penelope,

a destra: Statua in blu e nero

p. 137

Statua in blu e nero 2010

olio su carta intelata, cm 155 x 100

p. 138

Lenticolari del ciclo Sol Lapis

Philosophorum 2011

pannelli in perspex, cm 120 x 120 ognuno

198


p. 139

Lenticolari del ciclo Sol Lapis

Philosophorum 2011

pannelli in perspex, cm 120 x 120 ognuno

e Disegni 2010 della serie

matita su carta, cm 30 x 21 ognuno

p. 140-141

Disegni per il video Sol Lapis

Philosophorum 2010

matita su carta, cm 30 x 21 ognuno

p. 142-143

ll pene ciclopico 2014

due disegni a matita su carta,

montati su specchio, cm 50 x 70 ognuno

p. 144- 145

Matriarcale/Penelope 2014

scultura rituale di capelli intrecciati

cm 30 / Ø 5

ll pene ciclopico 2014

due disegni a matita su carta,

montati su specchio, cm 50 x 70

p. 146

Veduta della mostra, da sinistra:

Statua in blu e nero, Il Fumo,

Il pene ciclopico, Matriarcale/Penelope

p. 147

Statua in rosso 2010

olio su carta intelata, cm 155 x 100

p. 148

Lenticolari del ciclo Paracelso 2018

pannelli in perspex, cm 120 x 120

p. 149

Saletta Paracelso, da sinistra:

Paracelso 2016 video proiezione

su fogli di carta reali A4; Disegni della

serie; Lenticolari Paracelso;

Paracelso 2017, tablet con disegni

p. 150

Disegni del ciclo Paracelso 2016

inchiostro di china su carta, cm 30 x 21

p. 151

Paracelso 2017,

tablet con disegni del ciclo Paracelso

p. 152-153

Paracelso 2016

video proiezione su fogli di carta reali A4

p. 154-155

Paracelso 2017,

tablet con disegni del ciclo Paracelso

p. 156

Veduta della mostra con il lenticolare

Il Fumo e con il dipinto Statua in blu e nero

p. 157

Il Fumo 2014

serie di 6 pannelli in perspex

(formato 2018) cm 120 x 120 ognuno

p. 158 -159

Il Fumo 2014

(formato 2018, particolare)

199


BIOGRAFIA

Fosco Valentini (Roma 1954) è cittadino svizzero e italiano.

Si è formato a Roma negli anni del grande dibattito tra

pittura, Arte Povera e Concettuale. L'amicizia e la stretta

collaborazione con Alighiero Boetti e con il filosofo Aldo

Braibanti hanno plasmato la sua concezione dell'arte nel

senso di un'apertura a 360 gradi sui vari aspetti della

conoscenza. Ha partecipato all’esperienza ideologica

d’intonazione surrealista dell’Ufficio per l’Immaginazione

preventiva, creato da Tullio Catalano, Maurizio Benveduti

e Franco Falasca sul finire degli Anni Settanta senza

abbandonare, tuttavia, l’interesse per la pittura e per le arti

plastiche.

Nel 1989 si è trasferito a Lugano dove ha maturato la propria

svolta artistica in direzione di una filosofia della visione

che si esprime nella totale libertà dei mezzi adottati – dalla

pittura anamorfica al video, dalla tecnologia lenticolare

all’installazione e alla scultura tradizionale – avendo come

fulcro il disegno.

Nel 2004 ha scritto un libro Filosofia esistenziale della

canapa indiana per le edizioni di DeriveApprodi, ripensando

ai sogni della sua generazione. Nel 2011 è stato invitato

a partecipare alla 54° Biennale di Venezia come artista

residente all’estero. Attento lettore di Spinoza, a cui ha

dedicato nel 2018 un'edizione d'arte accompagnata dai

suoi disegni, aspira da anni ad operare in direzione della fine

evolutiva dell’homo oeconomicus e del suo passaggio verso

l’homo jucundus.

Le sue opere si trovano in importanti collezioni svizzere e

italiane e nel Museo Cantonale d’Arte, MASI di Lugano.

Vive a Lugano, dove risiede e lavora .

200


201


MOSTRE PERSONALI E COLLETTIVE

1975

X Quadriennale Nazionale d’Arte

La nuova generazione, Palazzo delle Esposizioni,

Roma 25 marzo - aprile

1977

Quattro artisti inediti

(Vittorino Curci, Gianluca Manzi, Cesare Pietroiusti e Fosco Valentini)

Centro Studi Jartrakor, Roma 11 novembre

1979

Teatro Beat 72 The return of one man show: starring

Victor Cavallo, Frank Tury, Mark Solaris, Ennie Phantastichini,

Paul Bologny, Alexis Figura, Ben Simonellys, Fossie Valentine, John P. Kolosimo,

(Manifesto del One Man Show del Beat 72, interpretato

da attori, pittori, o artisti, presentato con la poesia

“Ed io?” di Fosco Valentini, in arte Fossie Valentine),

Roma 15-19 maggio

1980

Galleria Alessandra Bonomo, Roma

1982

Galleria Zona Zona Critica. Rassegna di interventi della giovane

critica italiana: Fosco Valentini, su invito di Elio Grazioli,

Firenze, 11 giugno

1983

Palazzo Lanfranchi Critica ad Arte. Panorama della post-critica,

a cura di Achille Bonito Oliva, Pisa, 5 febbraio – 26 marzo

1984

Galleria Franz Paludetto, Torino

202


1985

Galleria Alessandra Bonomo, Roma

Studio Corrado Levi, Milano

Galleria Pio Monti, Roma

1989

Galleria Marilena Bonomo, Bari

Galleria De Ambrogi, Art Basel, Basilea, giugno

1990

Galleria Majorana, Brescia

1993

Hell, Centre d’Art Contemporain Martigny (CH), maggio

1994

Hell, Centre d’Art Contemporain Martigny (CH)

1996

Galleria Alessandra Bonomo, Roma

1998

Hellbound 93 RMX, Veragouth Arte Contemporanea, Lugano

1999

Hell, Centre d’Art Contemporain, Martigny, (CH)

2000

Festival Internazionale di video art in concomitanza

con il Locarno Film Festival, Locarno, agosto

2001

Veragouth Arte Contemporanea, Lugano

2004

Teatro Il Paravento, Visarte, in concomitanza con il Locarno

Film Festival, Locarno, agosto

203


2007

Galleria Barbara Mahler, presso UBS, Animals, Lugano,

maggio-settembre

2008

Galleria Barbara Mahler, presso UBS, Fosco. Nuovi Lavori,

a cura di Igor Zanti, Lugano, maggio; Retrospettiva di lavori

allo Spazio Teatro Pura (CH), settembre

2010

Galleria Brera 1, Corbetta, Milano

Laboratorio Kunsthalle Fosco Valentini. Thaumaturgus opticus

(presentazione di Paola Pellanda-Tedeschi)

Lugano, 23 - 25 giugno

2011

54° Biennale di Venezia, Lo stato dell’arte (a cura di Vittorio Sgarbi),

Istituti Italiani di Cultura nel mondo,

Padiglione Italia, Kulturhaus Helferei, Zürich, 7 giugno

Galleria Barbara Mahler Scope International Contemporary Art Show,

Art Basel, 15 – 19 giugno

2012

Kunsthalle Lugano, Srinagar, Leh, Bhaktapur, On the Globe.

Summer Events, from the roof of the world, maggio-luglio

Nowhere Gallery Milano, 12 settembre – 30 ottobre

2013

Galleria Toselli, MiArt, Milano, aprile

Art Hotel Gran Paradiso, Sorrento, aprile

Castello Corsini di Sismano Per un’arte fluida, a cura di Luca Tomio,

Avigliano Umbro (Todi) 29 giugno – 20 agosto

2014

The Format Contemporary Culture Gallery - Resolution -

off Art Basel, Basilea, giugno

204


2015

Galleria Il Rivellino Fosco Valentini. Nulla succede per la prima volta

2010-2015, a cura di Giovanna dalla Chiesa, Locarno, 27 marzo - 20 aprile

Palazzo Sforza Cesarini Sopra l’orizzonte terra Genzano di Roma,

a cura di Giovanna dalla Chiesa, 25 luglio - 6 settembre

Casa Corriere Expo, Arte in diretta - Fosco Valentini,

Padiglione del Corriere della Sera, Milano, 19 - 20 settembre

2017

Ex pretura Comunale Città di Paliano (Frosinone), Insieme in silenzio,

a cura di Zerynthia, 16 – 18 novembre

2019

Mattatoio Roma, Fosco Valentini Visionaria 1986 - 2018, Padiglione 9A,

a cura di Giovanna dalla Chiesa, 24 gennaio – 24 marzo

Macro Asilo, Salone del Forum Worm Holes, performance video sonora,

di suoni, video e video ologrammi di Fosco Valentini e Paolo Coteni,

MACRO, Roma 14 - 20 dicembre

La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma, presentazione

dell’edizione d’arte in 200 esemplari di Fosco Valentini: Baruch Spinoza. Storia

disegnata per accenni (introduzione Marcella Cossu, relatori Giovanni Croce,

Giovanna dalla Chiesa, Pina Totaro. Fosco Valentini) Sala delle Colonne,

6 dicembre

2020

Biblioteca Cantonale di Lugano, presentazione dell’edizione d’arte in 200

esemplari di Fosco Valentini: Baruch Spinoza. Storia disegnata per accenni

(moderatore Luca Saltini, relatori Giovanni Croce, Giovanna dalla Chiesa,

Fosco Valentini), 24 gennaio

Galleria Alessandra Bonomo Fosco Valentini. Uno spazio accanto al tempo

Roma, 29 gennaio – 14 febbraio

205


206


Domus 641; News - Fame luglio/agosto 1983, p. 43

207


BIBLIOGRAFIA

SELEZIONE DA CATALOGHI LIBRI E RIVISTE

1975

La Nuova Generazione, X Quadriennale Nazionale d’Arte,

De Luca Editore, Roma, p. 389

1976

Aldo Braibanti, Paolo Morawsky, Fosco Valentini, Imprinting.

Rivista di Sperimentazione e Linguaggio sul (dentro il) linguaggio,

coordinata da Maurizio Benveduti, Tullio Catalano e Franco Falasca,

Roma, n. H, settembre

1977

Centro Studi Jartrakor, Roma 11 novembre

1979

Sergio Lombardo, Rivista di psicologia dell’arte, Anno I, n. 1,

Roma, dicembre

1983

Achille Bonito Oliva Critica ad Arte. Panorama della post-critica,

Giancarlo Politi editore, Milano, p. 189

Lisa Licitra Ponti Festa in casa, Domus 641- News Fame,

Milano, luglio-agosto, p. 43, ill.

1993

Hélène Tauvel-Dorsaz Une vingtaine d’artistes sur le thème du multiple,

VOIR. LE MAGAZINE DES ARTS N° 98, 10e ANNÉE, mai, p. 38, ill.

1994

Sergio Lombardo L’eventualismo e la galleria Jartrakor (“Titolo, V, 16-17),

autunno-inverno

208


2004

Paola Ferraris Psicologia e arte dell’evento: Storia eventualista 1977-2003,

Gangemi, Roma, luglio, pp. 9 - 21 - 23 - 24

2008

Catalogo Galleria Barbara Mahler presso UBS Fosco. Nuovi Lavori,

a cura di Igor Zanti, testi di Mario Garriba Occhi Balocchi;

Fabio Sargentini Un colorista nato;

Elio Schenini Fosco (Valentini 1954 CH-I);

Igor Zanti A’ rebours; Lugano, maggio

Retrospettiva di lavori Contrada Bornago, Pura (CH) settembre

2011

Vittorio Sgarbi Lo Stato dell’Arte/The State of the Art, Istituti italiani

di Cultura nel Mondo, Skira, Milano, 4 giugno – 27 novembre,

p. 124, ill. col.

Roberta Brucato The practice of different perspectives, SoGlitter

the Luxury Lifestyle, Lugano, ottobre, pp. 102-106, ill. col.

2012

Giovanna dalla Chiesa A new beginning. Paintings, Anamorphosis,

Videos, Lenticular photographs, SoGlitter the Luxury Lifestyle,

Lugano, maggio pp. 86-88, ill. col.

Orio Vergani Sol Lapis Philosophorum, presentazione

Nowhere Gallery, Milano, settembre

2013

Helga Marsala In vacanza con l‘arte a Sorrento. L’Art Hotel Gran Paradiso

è un rifugio per collezionisti, artisti, appassionati. Camere come gallerie

con vista sul mare, Artribune, 27 aprile

Lucia Grassiccia Arte Fluida. Tra le mura secolari del Castello Corsini,

Artribune 12 luglio

2014

Simonetta Sotgiu Alla nuova mostra di Basilea espone anche Fosco Valentini

dal Ticino. Nulla per la prima volta, La Regione Ticino-Cultura e Spettacoli,

14 giugno, ill.

209


2015

Palazzo Sforza Cesarini diventa un nuovo spazio per il contemporaneo.

Al via un ciclo di mostre nell’antica sede nobiliare, Artribune,

24 luglio, by Redazione

Paolo Aita Luigi Puxeddu - Fosco Valentini. Sopra l’orizzonte terra.

Palazzo Sforza Cesarini Genzano, Exibart, 4 settembre, ill. col.

Il Giornale dell’arte, Umberto Allemandi, Torino, settembre p. 22, ill. col.

Giovanna dalla Chiesa Sopra l’orizzonte terra (introduzione), Palazzo Sforza

Cesarini, Genzano di Roma, 25 luglio - 6 settembre, 16 pp. ill. col.

2016

Roberto Lambarelli Nuove strade. A Genzano Palazzo Sforza Cesarini apre

all’arte contemporanea - Due domande a Giovanna dalla Chiesa, Arte Critica City,

Roma/Lazio, aprile-maggio p. 27

2019

Luigi Capano Fosco Valentini. Visionaria 1986-2019. Mattatoio, Exibart 13 marzo

Antonello Tolve Visioni dal futuro. Fosco Valentini a Roma, Artribune 16 marzo

Gabriele Simongini L’arte visionaria di Fosco Valentini. Trent’anni di ricerca filosofica

tra disegni, fotografie, dipinti e sculture, Il Tempo 19 marzo

Anna D’Elia Fosco Valentin.i Visionaria 1986 - 2018, Artapartofculture 21 marzo

Paolo Balmas Fosco Valentini. Visionaria 1989 – 2019, Il Segnonline 20 aprile

Flaminia Valchera Visionaria di Fosco Valentini: l’unione mistica tra Uomo, Politica e Scienza,

L’art écrit 21 aprile

2020

Nicoletta Provenzano Un altro spazio-tempo: in mostra le opere di Fosco Valentini,

La Città Immaginaria 4 febbraio

Valentina Muzi Il non-tempo dell’arte. Fosco Valentini in mostra a Roma,

Artribune 10 febbraio

Helia Hamedani Uno spazio accanto al tempo - Conversazione con Fosco Valentini,

Artapartofculture 11 febbraio

Gaia Bobò Fosco Valentini Lo stesso gesto in un altro spazio-tempo,

Exibart 17 febbraio

Antonello Tolve Integra Naturae Speculum Artisque Imago,

Segnonline 12 febbraio

210


LIBRI

2004

Fosco Valentini Filosofia esistenziale della canapa indiana, DeriveApprodi,

Roma 2004, giugno; 96 pp.

2015

Fosco Valentini. Nulla Succede per la prima volta 2010-2015,

(introduzione di Giovanna dalla Chiesa, Testimonianza autoptica)

Publishers Organized Unemployed/Chili ADV,

Lugano, marzo pp. 48, ill. bn/col.

2018

Fosco Valentini: Baruch Spinoza. Storia disegnata per accenni, edizione d’arte

in 200 esemplari, numerati e firmati dall’artista - 50 dei quali, in numeri romani,

contenenti una serigrafia originale dell’artista, a cura di Giovanna dalla Chiesa,

Fontana Print, Lugano dicembre; 120 pp., con XXIV tavole a colori e testi

selezionati dal Trattato teologico-politico e dall’Etica in latino; con un volumetto

di pp. 86, contenente la traduzione dei testi di Spinoza e i testi di presentazione

in italiano e in inglese di: Giovanni Croce Lo Spinoza di Fosco Valentini, pp. 5-9;

Giovanna dalla Chiesa Filosofia e poesia motori dell’arte di Fosco Valentini, pp. 11-15;

Hans Ulrich Obrist Alighiero Boetti & Fosco Valentini, pp. 17-19

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FOTO ANIMAZIONI, VIDEO, VIDEO INSTALLAZIONI, VIDEO PROIEZIONI

1975

Foto performance in 12 fotogrammi cm 40 x 35

2000

L’ordine delle cose, foto animazione in 16 pose, durata 32”

2011

Sol Lapis Philosophorum, disegni a matita in video animazione (LTK); musica:

Aria Concerto in Re per Violino e orchestra di Igor Stravinskij, eseguita

da Cho-Liang Lin, Los Angeles Philharmonic, durata 4 min. 04”

2012

Zodiaco con 13 segni, video animazione di disegni a inchiostro di china,

durata 5 min.

2016

Il sogno di Keplero, video animazione di disegni a inchiostro di china,

base musicale di Gaston Dupuy, durata, 4 min.

Paracelso I, video installazione con proiezione di disegni a inchiostro di

china su fogli reali A4, durata 8 min.

2017

Touch screen Paracelso II, video animazione di disegni a inchiostro di china, montati

su tablet, durata 3 min.

2018

Accomodamenti, video animazione di disegni del ciclo dedicato a Spinoza,

durata 2 min. 50”

2020

Viaggio cosmico, video animazione di disegni a inchiostro di china, montati

su ventola olografica 3D, durata 4 min.

Tutte le preghiere, video animazione di disegni a inchiostro di china su fogli

di block notes, durata 2 min. 20”

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CREDITI FOTOGRAFICI

Gianpaolo Gianini

Lukas Klopfenstein

Tonino Orlandi

Francesco Padovani

Remy Steinegger

Alessandro Tomarchio

Nella pagina accanto: Fosco Valentini a Mahdia (Tunisia) nel 2019

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Finito di stampare

il 3 dicembre 2020

giorno di San Francesco Saverio

dalla tipografia

Fontana Print S.A., CH-6963 Pregassona-Lugano

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