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ph. di copertina di D. Cavallo
5 Dicembre 2020
Buon Compleanno, don Fabrizio!
RIFLESSIONI DI UN PRETE
1
Premessa
Anche quest’anno abbiamo accolto l’invito di quanti chiedevano
una raccolta delle riflessioni di don Fabrizio Cotardo.
Siamo al TERZO APPUNTAMENTO con le “ Riflessioni di un
prete” , nonostante i problemi di questo difficile 2020 ,un anno
di emergenza sanitaria che ha sconvolto le nostre vite ma che
non ci ha tolto il desiderio di accostarci con consapevolezza alla
Parola di Dio.
Ringraziamo ancora una volta don Fabrizio per averci fatto
dono del suo tempo, nonostante i molteplici impegni, dandoci
la possibilità, in un momento di grandi incertezze, di trovare,
attraverso le sue riflessioni sulla Parola, una spiegazione,
un chiarimento , un arricchimento, una consolazione , per
poter vedere nella crisi causata dalla pandemia un’opportunità
e non un’ occasione di smarrimento, di disperazione
Ancora una volta troviamo nelle parole di don Fabrizio un momento
di discernimento per leggere da cristiani la storia di cui
siamo protagonisti con la nostra umanità, con le nostre incertezze
ma anche con il bisogno di crescere nella fede, per essere
testimoni di speranza , di gioia, di solidarietà, di ascolto dell’altro,
per condividerne gioie e dolori in un abbraccio che speriamo
presto non sia più virtuale.
Con questa raccolta si è voluto andare incontro a chi voleva avere
a disposizione tutte le riflessioni di seguito, da rileggere in tempi
e modi personali, ma anche raggiungere quanti non hanno avuto
la possibilità di conoscerle, di apprezzarle, di meditarle per un
approccio diverso con la Parola di Dio .
Le restrizioni di vario tipo, cui l’emergenza sanitaria ci ha portati,
ci hanno indotto ad una nuova formula editoriale, in attesa di
procedere alla stampa anche di questo terzo opuscoletto.
Con queste nuove modalità si potrà raggiungere un numero di
lettori maggiore e in tempi brevi, e questo ci fa piacere.
Buona lettura.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
01.12.2019
Buon avvento!
«Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il
Signore vostro verrà» (Mt 24,42).
Comincia l’avvento.
Inizia un nuovo anno liturgico che ci permetterà, ancora una
volta, mai sazi della Parola di Dio, di metterci in ascolto della lieta
novella che diventa carne di un Dio che è mio compagno di strada,
sostegno nella vita.
“Vegliate perché non sapete in quale giorno il Signore verrà”.
Un invito che è gravido di attesa come lo sbocciare dei fiori in
primavera, preludio di dolci frutti che a tempo opportuno matureranno.
Una manifestazione che è già presenza ma ha ancora il gusto
dell’attesa.
È l’annuncio gioioso della fedeltà di un Dio che è venuto, viene e verrà.
È il compimento di una promessa rinnovata che già genera stupore e
riempie il cuore (e la vita) di meraviglia nuova.
Essere sentinella del giorno nuovo che si profila all’orizzonte
mentre la notte viene ormai messa in fuga dalla luce che avanza.
È già luce che sorge ma è speranza di un “pieno giorno” luminoso,
intenso, avvolgente.
Vegliare perché c’è la verità di un appuntamento: il Signore verrà.
Un imperativo che è invito, seguito da un’affermativa che è certezza.
Vigilare per non lasciarsi appesantire il cuore è uno stare attenti
per non incorrere in errori del passato: «Come nei giorni che precedettero
il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie
e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca,
non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti:
così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo» (Mt 24, 38-39)
Un appello a non lasciarci assorbire, una sollecitazione per non
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
essere travolti dalle occupazioni quotidiane, una chiamata a saper
essere, costantemente, cercatori della “perla preziosa” che si
nasconde nelle pieghe dell’umanità, della storia, della vita di tutti
i giorni.
Accorgersi.
Accorgersi che realmente Dio passa nelle mie giornate, mi benedice
nelle mie relazioni, mi sprona nella carità con le richieste di
coloro che abitano i miei spazi, il mio tempo.
Incontri, mani, situazioni che divengono i mille volti di Dio che
“passa”, mi visita ogni giorno, epifania del Veniente.
Rendersi conto di ciò che si vive, della concretezza dell’attimo
presente e dell’attuarsi costante di mille occasioni.
Presentire che il “Veniente” c’è, abita già il mio oggi, il mio passato
e il mio futuro.
Stare attenti, superare la sonnolenza del cuore, essere costantemente
vigilanti nel ricercare e scoprire la bellezza di Dio che
sceglie di manifestarsi nella straordinarietà dell’ordinarietà.
Vegliare, allora, è beatitudine realizzata nella prontezza di un
cuore vigile, appassionato, già ebbro nell’attendere, mentre pregusta
la gioia dell’incontro.
Verrà il Signore, “come un ladro di notte”, a rubarci il cuore, a
rapirci per farci totalmente suoi in un’eterna danza della Vita.
Per questo s’incarna.
Per questo nasce.
Per questo mi sollecita a vegliare.
Vigiliamo, dunque, perché questo è il tempo dell’attesa, dell’alleanza
che si rinnova, delle promesse che si compiono.
Questo è il tempo di un Dio “che viene” e noi, fedeli, non manchiamo
all’appuntamento.
Buon avvento!
Auguri per un nuovo anno liturgico sicuramente denso di attese
ma benedetto dalla fedeltà di Dio che non abbandona mai.
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
08.12.2019
L’Eccomi di Maria
«Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una
città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa
sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe»(Lc
1,26-27).
A
l sesto mese ...
Come il primo Adamo fu creato nel sesto giorno, ora l’Angelo,
foriero di liete notizie, è inviato il sesto mese per annunciare
la nascita del “nuovo Adamo”, restauratore dell’antica armonia
perduta tra Dio e gli uomini.
Il primo Adamo creato nel giardino terrestre, il nuovo Adamo
concepito nel grembo Verginale di Maria, giardino olezzante di
virtù e fragrante di ogni bellezza.
«Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28).
Gabriele è latore del “Vangelo”, di liete notizie, parla di gioia,
porta la gioia di Dio, un Dio che sceglie, ama per primo ed ha la
grande umiltà di chiedere “permesso” prima di entrare nella storia
degli uomini.
E dalle parole dell’angelo si intuisce
subito che Dio sarà sempre il
“con te”, l’Emmanuele, Colui che
per sempre si farà compagno di
viaggio.
E lo fa a Nazaret, presso la casa
di una ragazza, nella normalità
di una qualsiasi mattina, affinché
d’ora in poi tutta la vita, ogni
aspetto della quotidianità abbia
l’intenso sapore di Dio, l’acuto
profumo di Eternità.
Nell’estatica primavera di un’alle-
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
anza ritrovata in un “sì” che cambia il corso della storia, si instaura
l’eterna antica danza tra un Dio che si fa uomo affinché l’uomo
divenga come Dio.
Il settimo giorno è il riposo di Dio, qui è Maria a divenire il riposo
dell’Eterno, tenda vivente della Shekinah, della Presenza che assume
la sua carne, che diviene Parola pronunciata, definitiva, di
un Dio che parla all’uomo di salvezza.
E Maria diviene l’amata per sempre e da sempre, immagine di
ogni creatura che aprendosi all’amore divino, dispone il proprio
cuore al “fiat”, per trasformare la propria vita in un’esplosione di
danza con l’Eterno.
E come le vetrate, attraversate dalla luce mettono in risalto i propri
colori rivelandone i disegni che esse custodiscono, così Maria,
attraversata da Dio, dalla sua grazia, fa emergere la bellezza delle
virtù di cui lei è scrigno.
L’eterno penetra la storia, il totalmente Altro si fa prossimamente
vicino, Colui che abita nei cieli stabilisce la sua tenda sulla terra, il
Tutto si fa frammento.
E Maria, l’Immacolata, con il suo “eccomi”, diviene la gioia di Dio.
15.12.2019
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Un Dio “diverso”
«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?»
(Mt 11,3).
Una domanda, quella di Giovanni, che lascia trasparire la fatica
del credere.
Bella per questo.
Giovanni ha annunciato con tutte le sue forze la “maturazione”
del tempo messianico.
Un invito costante alla conversione il suo, fatto di deserto, di digiuno
e penitenza.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
E qui, proprio qui, nasce la domanda nel vedere nell’annuncio del
Nazareno la rivelazione di un Dio che respira la mia aria, diventa
compassione affinché le mie miserie siano trasfigurate dalla sua
misericordia.
Un Dio che accoglie i peccatori, li invita alla sequela, li perdona.
Un Dio “diverso” da quello che Giovanni aspettava ma non per
questo rinuncia all’attesa
Comprende, allora, che bisogna spalancare le orecchie del cuore,
capire con gli occhi della fede e sentire che il tempo delle profezie
è gravido di certezze: i ciechi vedono, i sordi odono, i muti
parlano, i malati vengono guariti.
Ma quanti ciechi, sordi, muti, malati restano da guarire.
Le guarigioni, allora, sono (e resteranno) segni della presenza
messianica che ci dicono che il sogno di Dio è cominciato e che
non si realizza in miracoli esorbitanti.
Un Dio che sorprende nel silenzio di un’apparente normalità.
Un Dio che non si lascia incasellare nelle nostre idee.
Un Dio che sorpassa le nostre aspettative perché decide di farsi
povero con i poveri, malato con i malati, piccolo con gli ultimi.
Un Dio prossimo nella sofferenza, persino nella morte.
Un Dio che incarna la nostra umanità sfregiata dai limiti del dolore
e con la sua compassione, con il suo perdono mette le ali della
libertà ai cuori che sanno riconoscerne la presenza e condividerne
il progetto.
E Giovanni, mai stanco di attendere, capisce che finalmente è arrivato
il tempo, inizia a guardare con occhi nuovi, si lascia plasmare
dalla perenne novità che Dio è, ne rispetta le scelte e ne gusta la
gioia.
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20.12.2019
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
A NATALE PUOI...
L
’aria profuma già di Natale, pacchi speziati di arancia e cannella,
luci colorate rendono brillanti le strade e le vetrine.
In chiesa l’antica novena, i canti, hanno il sapore d’altri tempi e
tutti, piccoli e grandi, col naso all’insù, gustiamo la magia dolcissima
del presepe.
I rapporti si distendono, le bocche si arrendono ai sorrisi, le mani
si stringono, ci si accorge dell’altro.
È inutile... la magica atmosfera del Natale è una delle rare occasioni
in cui torniamo ad essere realmente umani, realmente vivi.
Ci riscopriamo abitati da sentimenti, da nostalgia, il tempo stesso
rallenta, ci permettiamo di ritrovare spazi per noi, per gli altri, per
la vita.
È il luogo dove ritrovare la nostra innocenza da bambini, è un
esserci nel presente che inevitabilmente ci porta indietro nel
tempo per ricordare un’atmosfera familiare: un presepe, un
albero, sapori, regali volti ed emozioni di un passato che ormai
non è più.
Qui il brivido della vita ci attraversa, ci vediamo cresciuti, incapaci
di quelle stesse emozioni ma pazzamente desiderosi di riviverle,
di sentirle, di farle nuovamente nostre.
È la magica aria natalizia che ce lo impone.
È la luce dorata accompagnata dalle sempre uguali canzoni che
ci trasportano nel tepore dell’anima in quegli spazi più intimi, più
caldi, più familiari, di un tempo che fu.
Allora occorre guardare il Bambinello, rientrare nel proprio cuore
e lì scoprire che c’è il vero spirito del Natale che ci abita sempre,
da sempre... siamo noi a ricordarcene
solo una volta l’anno.
Se ce ne ricordassimo più spesso, sempre, saremmo “esseri umani
che hanno il coraggio di essere umani”, vivi, abitati dagli aspetti
più belli della vita.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Bellissimo sarebbe, allora, poter sostituire quel “a Natale puoi”
della ormai famosissima canzoncina pubblicitaria che ci accompagna
ogni anno, con: “nella vita puoi”.
Sì, nella vita puoi fare quello che non hai fatto mai perché se
“Vivi” puoi dare di più agli altri, a te stesso.
Sempre, non soltanto a Natale.
21.12.2019
La magia del presepe
Alcuni oggetti hanno un valore inestimabile poiché portano
dentro di loro una magia straordinaria.
Alcuni oggetti hanno una “preziosità” intrinseca perché hanno la
capacità di farti viaggiare nel tempo, di farti rivivere odori, sapori,
emozioni con una, non comune, forza evocativa.
Restavo affascinato di fronte al presepe che, puntualmente, veni-
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
va allestito a casa mia e coltivavo, segretamente, il sogno di poter
“giocare” con le tante statuine che lo popolavano.
Vivevo con emozione lo “smontaggio” di quel piccolo capolavoro
perché, solo allora, mia mamma mi concedeva di poter fare mie
(per pochissimo tempo) quelle statuine meravigliosamente belle
ai miei occhi.
Sacre al pari di una chiesa, per questo non potevano toccarsi.
Anche quando venivano incartate e messe a riposo per un intero
anno dopo aver dato sfoggio dei loro colori, dei loro gesti enfatizzati,
delle loro facce piene di stupore, per tutto il periodo delle
feste.
Poi dignitosamente riposte perché “sacre”.
Con gioia immensa mi è capitato di accompagnare mio papà a
prendere il ramo (rigorosamente vero) che doveva essere “l’albero”
di Natale.
Rivestito di mille palline variopinte, (fasciate di preziosi fili serici o
di fragilissimo vetro) così come le luci (non perfettamente coordinati
come i finti alberi di oggi), con fili altrettanto colorati e, poi,
i necessari batuffoli di ovatta per simulare la neve, dolcemente,
depositata sui rami.
E, sempre, sotto l’albero, l’immancabile presepe, frutto dell’ingegneria
di mia mamma che con carta da impacco, rivestiva di tutto
per dare mille fogge ai tanti incavi, archi e anfratti che avrebbero
alloggiato i pastori.
E la farina che ricopriva tutto per simulare “il freddo e il gelo” di
quella notte magica in cui il Re del cielo scendeva dalle stelle.
In tempi più remoti ricordo anche le tante cioccolate appese ai
rami, persino quelle “preziose”, non facilmente reperibili che simulavano,
nelle forme, degli orsetti, degli improbabili (fin troppo
stilizzati) Babbo Natale.
E il fiume di carta stagnola che “sfociava” in uno specchio che,
nella mia fantasia di bambino, era il più bel laghetto su cui, addirittura,
galleggiava qualche “paperella” dall’inverosimile colore
rosso.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Poi, decine di pecore, il pastore, il pescatore, colui che ferrava un
asinello irrequieto, la “caldarrostaia”, la lavandaglia e tanti, tanti
pastori recanti doni e col volto adorante, espressivi al pari di una
parola pronunciata, detta con chiarezza.
Tanti gli angeli e i Re Magi, bellissimi, sui loro cammelli che prontamente
venivano posti “dietro”, all’estremità del presepe perché
“venivano da lontano”.
Io, il più piccolo, dovevo deporre Gesù Bambino nel presepe, al
rientro della messa della notte, in una culla di plastica che imitava,
nella foggia, delle sconnesse assi di legno ricoperte di paglia.
Mille i baci su quella statuina minuscola.
Persino papà “doveva” baciarlo.
E poi veniva ri-baciato quando il 6 gennaio, con l’angoscia della
fine del periodo delle vacanze, si smontava il presepe e, al canto
di “Tu scendi delle stelle”, si faceva una piccola processione in
casa, nelle stanze, con la statuina del bambinello e qualche candela
accesa.
Forse era un modo semplice per “spalancare le porte di casa al Signore”,
affinché potesse prenderne possesso e lasciare in dono la
sua benedizione prima di “volarsene in cielo”, come si diceva da
noi. Bellissimo il fuoco lasciato acceso la notte del 24 dicembre,
anche quando si andava a letto, perché Gesù Bambino, appena
nato, doveva scaldarsi.
E poi, la magia del risveglio mattutino con l’aria invasa dal profumo
del ragù che mamma preparava per le lasagne, piatto della
festa, per andare immediatamente a controllare, sotto il presepe,
se Babbo Natale avesse esaudito i miei desiderata.
Sono cresciuto.
Da circa ventitré anni non vivo più la festa di Natale nella mia
famiglia, con la mia famiglia (per ovvi motivi pastorali) però con
me ho un tesoro.
Queste semplici statuine.
Sono queste quelle della mia infanzia.
Ho accumulato tantissimi presepi.
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
Belli, preziosi, importanti.
Ma ho chiesto a mia mamma di poter portare con me queste
statuine “vecchie”, semplici, di plastica.
Le più belle al mondo, per me, perché ho il coraggio, ancora, di
guardarle con gli occhi sognanti di quand’ero bambino e loro,
ancora, mi regalano le belle emozioni di allora.
Hanno il potere di farmi sentire, di rendere presente la mia casa,
la mia famiglia, la mia mamma, il mio papà.
Hanno il potere di farmi sentire il Natale, a tratti meravigliosamente
melanconico, ma bello, bello da morire.
E mi rivedo con il mento appoggiato sulle mani incrociate, bambino,
mentre contemplandole, desideroso di poterle toccare, sognante,
vivevo la “magia del Natale”.
Oggi sono mie.
Oggi sono una delle cose più preziose che posseggo.
Semplici.
Di plastica.
Rovinate.
Ma (per me) belle, belle da
morire.
E accarezzandole il brivido
del Natale mi attraversa,
sento che uno strano luccichio
mi abita gli occhi e
mi scende sulla guancia nel
pensare alla bellezza di quei
Natale che non vivo più.
Questa è la più bella natività
tra tutte quelle che posseggo
perché è l’unica che
mi fa tremare il cuore.
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
22.12.2019
La capacità di sognare
«Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva
accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto».
Pochi passi ci separano ormai dalla mangiatoia di Betlemme,
pochi giorni dal Natale.
L’ultima delle quattro domeniche di Avvento.
Dopo la voce possente di Isaia, esperta sentinella nella vigilanza,
dopo la testimonianza del Battista, “voce che grida” l’avvento
della Parola, dopo il sì dolcissimo di Maria, donna dell’attesa,
ecco la storia tormentata del giusto Giuseppe.
Uomo del fare non del parlare.
Tace e opera.
Sogna e ubbidisce.
Ama e protegge.
Giuseppe, “colui che aggiunge”, questo il significato del nome.
E lui aggiunge quel tassello mancante, la sua totale disponibilità,
affinché l’intera storia della salvezza
non venga sprecata, rovinata.
L’intera vita di Gesù si tesse
tra Betlemme e Gerusalemme. In
mezzo, per circa trent’anni c’è Nazareth,
c’è la compagnia paterna
di Giuseppe, uomo dalla grande
generosità che ha la capacità di
sognare. Mi piace pensare che i
sogni di Giuseppe, uguali a quelli
di Dio, resteranno per sempre
“segni” nella vita di Gesù.
E l’immagine dolcissima di Giuseppe,
inginocchiato presso la
mangiatoia ai piedi del Bambino
Gesù, rivela l’altissima statura di
12
RIFLESSIONI DI UN PRETE
quest’uomo, padre nella fede e custode premuroso persino di
Dio. Uomo capace di abbandonare i propri progetti per lasciarsi
plasmare dalle sapienti mani di Dio che da sempre lo ha voluto
come custode, sposo della più bella fra tutte le creature e artigiano
della meravigliosa famiglia nazaretana.
Giuseppe l’uomo “giusto”, coraggioso e libero che non parla, collabora
con Dio ed ha la capacità di sognare, di superare i propri
limiti, quelli della stessa legge e di fidarsi ciecamente di Dio.
Giuseppe l’uomo dalle mani forti ma dal tocco leggero che custodisce,
l’uomo dal cuore ferito ma capace di consolare e che
sa amare, l’uomo dell’ascolto ubbidiente che ha Dio per Padre e
diventa, per un attimo, papà del Figlio di Dio.
Solo chi è capace di sognare sa che certi sogni diventano, poi, la
più bella realtà.
29.12.2019
13
La logica della speranza
«Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto»
(Mt 2,13).
Gesù è solo un fiocco di carne piovuto dal cielo per posarsi su
poca paglia e già inizia il suo peregrinare, da viandante, in
cerca di accoglienza e protezione nei cuori degli uomini.
Questa è l’immagine dolcissima e terribilmente cruda del Vangelo
di questa domenica, della Santa Famiglia di Nazareth e di un
Cristo esule, teneramente scortato dalle braccia materne di Maria
e dai sogni del giusto Giuseppe che parte per l’Egitto.
Si realizza così, ancora una volta, la profezia di un Dio che confonde
i piani dei superbi divenendo, invece, custode premuroso
e paterno degli umili. Fugge, fin da piccolo, dai piani dei po-
RIFLESSIONI DI UN PRETE
tenti perché dovrà darsi “in pasto” ai bestemmiati dalla legge,
alle donne che per nome hanno solo quello del peccato, agli uomini
deturpati dall’errore. È la simpatia degli strani piani di Dio:
dall’Egitto Dio libera il suo popolo per mezzo di Mosè, e ora,
l’Egitto è l’unica “casa” che può garantire sicurezza al Figlio di
Dio.
«Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra
d’Israele» (Mt 2,20)
Per due volte a Giuseppe, “sognatore di Dio”, l’angelo ripete l’invito.
Sempre nel momento del riposo perché è lì che occorre essere
vigili per non cadere nell’ozio, è lì che Dio ci chiama all’esilio
dalle nostre false sicurezze per divenire esecutori dei piani divini
e, contemporaneamente, dei nostri sogni, quelli più belli perché
popolati da angeli.
E proprio come Giuseppe dobbiamo formare la nostra carovana
d’umanità: alzati, ritti, risorti, attenti ascoltatori e realizzatori della
volontà divina, portando sempre, con noi, il Bambino e sua Madre,
in una sorta di exitus e di reditus che partendo da un sogno
condiviso con Dio, diviene realtà abitata da Dio.
Ecco l’esempio della Santa Famiglia di Nazareth, nata da un’idea
di Dio, da Lui mille volte benedetta e custodita, ma che appare
un controsenso per chi non ha
gli occhi forgiati dalla Scrittura e
non comprende che l’agire divino
è totalmente diverso dalla logica
del mondo.
È “Vangelo”, allora, chi nella vita
di tutti i giorni, tra mille difficoltà,
continua a realizzare il sogno
di Dio sentendosi, nonostante
tutto, benedetto e da Lui
amato.È la logica della speranza,
è l’incarnazione della fede, è
semplicemente, frutto della carità.
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01.01.2020
RIFLESSIONI DI UN PRETE
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Contagiamo di gioia il mondo
«I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per
tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto
loro» (Lc 2,20).
Un versetto che mi riempie di stupore e che suscita profonda
emozione.
I pastori, gente abituata a stare nella solitudine in compagnia del
loro gregge, gente che sa apprezzare i colori dell’alba e il profumo
dei prati, gente dalle mani callose che sa ammirare il cielo
stellato, “se ne tornano lodando Dio per quello che hanno visto
e udito”.
Ed io invidio la loro capacità di stupirsi di fronte ad una stalla, un
po’ di paglia e qualche stella.
Segni semplici che nulla dicono dello straordinario evento che
sotto i loro occhi va compiendosi.
Ed io ammiro il loro meravigliarsi di fronte ad un uomo, una donna
e il loro bambino.
Desidero la semplicità del loro cuore che li porta a capire che lì
abita il mistero e, subito, abbandonando il gregge, vanno a nutrirsi
di quella Bellezza che è “caduta” sulla terra.
È la disponibilità di chi sa riconoscere l’essenziale.
È la libertà di chi ha il cuore impastato di semplicità e generosità.
I pastori, i primi ad essere avvisati dagli angeli, hanno la capacità
di cogliere negli occhi di quel bambino, terribilmente tenero, la
profondità delle stelle, la dolcezza dei colori di un crepuscolo, il
profumo della sua divinità, il suo essere Dio incarnato.
«Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole
nel suo cuore» (Lc 2,19).
Maria, la Madre di Dio, così oggi la liturgia ce la presenta, da
oggi in poi diventerà scrigno che custodisce tesori immensi nella
profondità di quel cuore tenero e disponibile che si è lasciato
RIFLESSIONI DI UN PRETE
plasmare dalle sapienti mani del Creatore.
La storia, quella di cui anche noi facciamo parte, da questo momento
in poi, viene tessuta con fili d’oro, ricamata dalla presenza
dell’Emmanuele, il Dio con noi, sempre presente per insegnarci il
gusto vero della vita.
Di fronte a questa certezza esulti anche il nostro cuore, contagiamo
di gioia il mondo e come i pastori lasciamoci abitare dal
gaudio e dallo stupore gridando a tutti la gioia di sentirsi amati
da Dio.
Lui, il nostro Dio, l’Eterno, che ha la polvere delle stelle nei capelli
ma che decide di camminare sulla strada della nostra storia.
05.01.2020
“Il Verbo si fece carne”
«In principio era il Verbo» (Gv 1,1).
In modo litanico la liturgia di questi giorni ci presenta il bellissimo
prologo giovanneo per aiutarci a comprendere, con stupore
rinnovato, le meraviglie che abbiamo celebrato nella liturgia,
nelle feste.
L’evangelista Giovanni, penetrando il mistero, ci presenta uno
spaccato della vita intima di Dio: quando tutto ha avuto inizio, in
principio, non c’è stato l’agire di Dio ma il suo esserci.
In principio, prima che tutto fosse, Dio era.
C’era.
Prima del tempo, prima della storia.
C’era prima che ogni cosa, cesellata dalla sua Parola creatrice,
avesse il dono della vita.
E presso Dio c’era anche il Logos, il Verbo, la Parola.
E questa Parola era, essa stessa, Dio.
Qualcosa (Qualcuno) di diverso ma che al contempo è Dio.
Questa Parola è esplicitata, detta, pronunciata da Dio.
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
È pronunciata, nella immensità
dell’eternità, per essere
rivolta all’esterno di Dio: è
lo sbocciare, il fiorire, della
creazione.
Ed è in questa creazione, soggetta
al tempo, alla storia, alla
finitudine della condizione creaturale che accade il miracolo: «Il
Verbo si fece carne» (Gv 1,14).
E Dio che decide di “sapere” di uomo affinché l’uomo “odori”
di Dio. È il meraviglioso “assurdo” del Natale, è la straordinaria
“pazzia” della nostra fede: cielo e terra si fondono, eternità e
storia si mischiano, creatura e creatore si uniscono.
Dio diventa uomo perché l’uomo possa diventare come Dio.
Il Verbo di Dio pone la sua tenda, si accampa in mezzo agli uomini
e da quel momento l’uomo, ogni uomo, trova dimora presso
il cuore di Dio.
06.01.2020
Cercatori di Dio, inseguitori di stelle, realizzatori di sogni
«Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si
prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli
offrirono in dono oro, incenso e mirra» (Mt 2,10-11).
Abitati dall’inquietudine del cuore, i Magi hanno il coraggio
di guardare verso il cielo, di guardare le stelle e divenendo
camminatori, cercatori di sogni, trovano il Segno.
Legano ad una stella la ricerca della felicità e trovano la Luce che
spazza via ogni tenebra, s’incamminano sulle strade polverose
del mondo alla ricerca della Via, danno voce al loro sogno per
17
RIFLESSIONI DI UN PRETE
trovare la Verità.
Sopraggiungono silenziosi a Betlemme e, accolti da segni fragilissimi,
una Madre con un Bambino, abdicano dal loro sapere,
mettono da parte la loro scienza e divengono uomini di fede.
Vedono, riconoscono, si prostrano e celebrano la più bella liturgia
nell’offerta di oro, incenso e mirra.
L’oro, simbolo della bellezza della nostra umanità, espressione di
una vita degnamente spesa, offerta, donata che diviene ascolto,
obbedienza, servizio.
L’incenso, fumo che sale verso il cielo, spinta oltre i nostri limiti,
speranza che si materializza nella preghiera che giunge a toccare
i piedi di Dio, adorazione che diventa visibile, che t’invade col
profumo invitandoti a respirare il divino.
La mirra, unguento per cospargere il corpo dei defunti, segno di
ogni sofferenza, di ogni delusione e angoscia che ci domina, del
dolore del mondo, espressione della nostra finitudine, della fragilità
della nostra umanità.
I tre doni immagine del prezioso, del sacro, del doloroso hanno
il potere di parlare, di raccontare, di racchiudere tutta la vita
dell’uomo.
I Magi si prostrano, letteralmente,
“inciampano”,
depongono titoli,
onori, sapere, al cospetto
del Dio che s’è fatto
Bambino.
Cercatori di Dio, inseguitori
di stelle, realizzatori
di sogni, si fanno
“piccoli”, si inginocchiano
e, senza dire una parola,
ci regalano la più
bella lezione sulla fede.
18
12.01.2020
RIFLESSIONI DI UN PRETE
La “voce” incontra la “Parola
«Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono
per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come
una colomba e venire sopra di lui» (Mt 3,16).
Sembra di vederla la scena.
Mentre il Giordano scorre, gonfio di acque, lambendo la terra
rossa, baciata dal sole, abitata da prosperi canneti, controcorrente
vi è il risalire di un altro “fiume”, più rumoroso, quello dell’umanità
che, portandosi i segni della fragilità, chiede a Giovanni di
ricevere il battesimo di penitenza.
Sembra di “sentire” Giovanni, la “voce che grida nel deserto”, ieratico,
austero, con la pelle riarsa dalla calura, dello stesso colore
della terra.
Magro da far paura, autorevole da incutere rispetto, catalizzatore
di sguardi, predicatore credibile di conversione.
Ed è questo il momento in cui la “voce” incontra la “Parola”.
Chiede di essere battezzato, Lui, il creatore delle acque, Parola
creatrice, Verbo incarnato.
Scende nel Giordano, come a voler discendere nelle viscere degli
abissi per poi risalire, portandosi dietro tutta l’umanità “lavata”
dal suo sacrificio.
Scende nel Giordano, compagno dei peccatori, per manifestare il
suo essere “Emmanuele”, il Dio degli ultimi, perché nessuno resti
indietro.
Inizia così la sua missione, la sua vita pubblica.
Scende per poi risalire.
Muore per poi risorgere.
E se scendendo nel Giordano scuote gli abissi, squassa le viscere
della terra, risalendo si spalancano i cieli, si scardinano le porte
celesti.
Umano e divino non più divisi, cielo e terra “devono” fondersi.
19
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Le cataratte dei cieli si aprono e discende lo Spirito.
Lo Spirito che danzava sulle acque primordiali, ora discende
come colomba.
Come ai tempi di Noè, anche ora è l’inizio di una creazione nuova,
è l’incipit di una nuova alleanza.
Come per Noè, anche qui la Colomba “canta” una pace ristabilita.
E Giovanni che prima aveva ascoltato, ora vede.
Vede il compiersi delle attese, il realizzarsi delle promesse.
Dio si manifesta nella voce, forte come il tuono, dolce come il
miele: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento»
(Mt 3,17).
Una dolcezza che sgorga dal cuore del Padre: “Figlio, amato, mio
compiacimento”.
Dio, eterna Trinità, unica Divinità si manifesta.
Un Padre, un Figlio, lo Spirito.
Ed è con la testa bagnata dall’acqua del fonte e unta dal Crisma,
dal giorno del mio battesimo, sento che Dio ha per me le stesse
parole d’amore: “figlio, amato, in cui ho posto il mio piacere”.
Dal giorno del battesimo sono figlio di Dio.
Dal giorno del battesimo sono amato da Dio.
Dal giorno del battesimo, immerso in Dio, sono divenuto la sua
delizia, talmente importante che vorrà donare la sua vita per me.
Una, cento, mille volte.
E questo è Vangelo.
Questo è il mio Dio.
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19.01.2020
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Giovanni vede...
«Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui, disse: “Ecco
l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”» (Gv
1,29).
Tutti, nelle nostre storie, abbiamo un compito, il dovere inscritto
nel nostro cuore, di rispondere ad una chiamata, ad una
missione.
Giovanni, il grande specialista dell’avvento, è ancora qui, in questa
seconda domenica del tempo ordinario, per fungere da cerniera
tra i tempi delle attese e la maturazione del tempo, per
essere ponte tra il vecchio e il nuovo testamento, per sancire il
passaggio tra il tempo di Natale (conclusosi domenica scorsa) e
il tempo ordinario.
Giovanni “vede” Gesù venire verso di lui.
Giovanni dopo aver vissuto un’intera esistenza in ascolto della
voce degli antichi profeti, “vede” Gesù venire verso di lui.
Giovanni dopo essere stato la voce che grida l’avvento del Signore,
“vede” il concretizzarsi della Parola in Gesù che viene verso di
lui.
Giovanni “vede” la novità di un Dio che copre la distanza posta
tra noi e lui, “vede” la straordinarietà di un Dio che ci anticipa, ci
viene incontro, ci precede.
E se domenica scorsa è la Voce del Padre che testimonia che Gesù
è il Figlio bene-amato/amato-bene, se nel Battesimo di Gesù è lo
Spirito che discende come colomba posandosi e restando su di
Lui per indicare il suo essere Messia, oggi è Giovanni che esaurisce
la propria missione, indicandone l’identità: “Ecco l’Agnello di
Dio”.
Agnello di Dio.
Un’immagine densissima di significato, intrisa di Sacra Scrittura,
in grado di evocare fortissimi rimandi alla storia di fede dell’an-
21
RIFLESSIONI DI UN PRETE
tico Israele.
Agnello: animale mansueto, vittima usata per il sacrificio.
Agnello: le cui carni, consumate la notte della prima Pasqua, forniscono
energie per affrontare l’esodo verso i mari che si aprono
e le cui acque si ritirano, in grado di risparmiare la vita dei primogeniti
con il proprio sangue sparso sugli stipiti delle porte.
Agnello: sacrificio sgozzato sull’altare del tempio nella stessa ora
in cui Cristo muore sulla croce.
E Cristo sarà veramente l’Agnello mansueto, innocente, immolato
che ci nutrirà con la sua carne e ci proteggerà col suo sangue
nell’esodo della vita.
La missione di Giovanni, vissuta ed attuata fin dal grembo materno
e consumata negli sterminati spazi del deserto, si esaurisce
nello stupore: «Io non lo conoscevo» (Gv 1, 31; 1,33).
Per ben due volte Giovanni ripete con il cuore gonfio di meraviglia:
“non lo conoscevo”.
Mi piace leggerci dentro la sorpresa della scoperta di un volto di
Dio inaspettatamente bello, meno severo di quanto, anche noi,
osiamo immaginarcelo.
È la meraviglia di un Dio che travalica le nostre aspettative perché
ci viene incontro, ci precede, ci accoglie.
È la bellezza dello scoprire un Dio che si mette in fila con i
peccatori, che chiede di essere battezzato da lui, un Dio incarnato
che è veramente il volto della Misericordia del Padre.
E Giovanni, temprato dal deserto, si arrende di fronte a tanta bellezza,
si lascia abitare dallo stupore, spalanca il cuore alla meraviglia
ed è capace di rivedere le proprie posizioni e con estremo
candore ammette: “non lo conoscevo”.
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26.01.2020
RIFLESSIONI DI UN PRETE
“Convertitevi!”
«Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò
nella Galilea, lasciò Nàzareth e andò ad abitare a Cafàrnao,
sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali» (Mt
4,12-13).
la maturazione del tempo.
È Gesù abbandona Nazareth e inizia la sua avventura missionaria
nel luogo dei dimenticati.
Zabulon e Neftali, terra di confine, popoli di meticci, luogo degli
ultimi.
Ancora una volta, il Dio che ama le periferie della storia, delle vite,
si fa prossimo nella pietà.
Giovanni, la “voce” è stato consegnato e, presto, renderà testimonianza.
I martiri non muoiono, infatti, vengono “consegnati” e rendono
testimonianza.
E Lui, la “Parola”, in una sorta di staffetta della lieta notizia, riprende
lo stesso messaggio del cugino che bagnandolo nelle acque
del Giordano, ne ha visto l’epifania, l’ha reso epifania, indicandolo
presente nel mondo.
«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17).
“Convertitevi!”
Un comando.
Aprite il cuore, rivedete la vita, lasciatevi profumare dalla grazia.
“Perché il regno dei cieli è vicino”.
Perché Dio ha accorciato le distanze.
È prossimo, non più “altro”.
Già qui, già ora.
«Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli,
Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le
reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: “Venite dietro a
me, vi farò pescatori di uomini»» (Mt 4,18-19).
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
Uomini che “gettavano le reti”, uomini di mare che sanno affrontare
le tempeste, uomini delle lunghe attese al chiaro di luna,
uomini che sfidano le avversità e già sperimentano la vicinanza di
un Dio che li vede, li scruta e li coinvolge.
Abbandonano tutto per condividere i progetti di un Dio che passa
lungo il mare della storia.
Lasciano tutto per avere in cambio il Tutto.
Resteranno pescatori ma, d’ora in poi, saranno “pescatori di uomini”.
Da pescatori a pescati, intrappolati per sempre nelle reti dell’Amore.
02.02.2020
L’amore sa aspettare
«Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione
rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a
Gerusalemme per presentarlo al Signore» (Lc 2,22).
Quaranta giorni dopo Natale e la liturgia ci ripresenta la stessa
scena: il Bambino, Maria e Giuseppe.
Si avverte il forte odore speziato dell’incenso, questa volta non
quello offerto dai Magi, ma quello che invade l’ingresso del tempio
insieme ai fumi degli olocausti che salgono verso il cielo per
ingraziarsi il favore divino.
Salgono al tempio Maria e Giuseppe per offrire e riscattare il Figlio
primogenito.
Lui autore della Legge si sottopone alle prescrizioni della legge
antica.
Viene presentato per diventare Figlio di Abramo, Colui che é Figlio
di Dio, da sempre, per sempre.
E mentre il Bambino, non ancora rivelato come Messia, rientra nel
suo tempio per prenderne definitivamente possesso, si celebra la
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25
RIFLESSIONI DI UN PRETE
più bella liturgia dell’incontro tra il Vecchio e il Bambino, tra il testamento
antico ed il Nuovo, tra l’attesa e la Promessa realizzata,
tra l’invocazione e la Risposta, tra Simeone e il Messia.
Simeone, uomo dell’attesa che sa riconoscere nel bocciolo della
vita che ha tra le braccia, l’Autore della storia.
Simeone, l’anziano carico di vita ma non dai sogni spenti, capace
di amare perché sa che: «L’amore sa aspettare, aspettare a lungo,
aspettare fino all’estremo. Non diventa mai impaziente, non mette
fretta a nessuno e non impone nulla. Conta sui tempi lunghi»
(D. Bonhoeffer).
E l’incontro diventa profezia, gioia che esplode nel canto perché
l’Atteso si è reso visibile.
Gli occhi di Simeone si spalancano, così come le sue braccia e
nella gioia di vedere realizzare la Salvezza, la stanchezza del passato
e l’ansia del futuro, si risolvono in un cantico: «Ora puoi
lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,29-30).
Simeone ed Anna, un uomo e una donna, sentinelle capaci di
vegliare, vengono saziati nella loro attesa con la grazia dello stupore
che rende senso alla loro vigilanza
e riempie di grazia la loro intensa,
lunga vita.
«Simeone li benedisse e a Maria, sua
madre, disse: «Ecco, egli è qui per la
caduta e la risurrezione di molti in
Israele e come segno di contraddizione
e anche a te una spada trafiggerà
l’anima» (Lc 2,34-35).
Il vegliardo, cantore della Parola di
Dio, riconosce nel Bambino il suo
essere Messia, pietra angolare dello
stesso tempio, del tempio della fede.
Cristo è la pietra su cui si fonda l’agire
RIFLESSIONI DI UN PRETE
salvifico di Dio ma è pietra d’inciampo per quanti lo rifiutano.
Cristo è la Parola di Dio, «spada a doppio taglio che penetra fino
al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture
e alle midolla» (Eb 4,12).
E anche Maria è attraversata da questa “spada”, lei la Madre che
deve farsi discepola, deve piegarsi alla logica di questa Parola
esigente, talvolta difficile da comprendere, ardua nelle pretese
ma pur sempre bella, perchè Parola di Dio, perché capace di forgiare
l’uomo rendendolo capolavoro divino.
09.02.2020
Un po’ di “sale”, un po’ di “luce” e tutto cambia.
«Voi siete il sale della terra [...]
Voi siete la luce del mondo»
(Mt 5,14-14).
L
ui, il Figlio di Dio che si aggira per le strade di Galilea come
un ebreo marginale, rivestito di ordinaria quotidianità, parla di
sale e di luce.
Due immagini che “sanno” di casa, di famiglia, di vita.
È la spiazzante visione del messaggio evangelico che ci invita a
scorgere il “già presente” del Regno di Dio, nella magia di un granello
che si arrende al palpito della vita, alla pari dell’incanto di un fiore che,
distendendo i propri petali, esplode in colori, profumo e bellezza.
È lo stupore di riscoprire questo Regno simile al lievito che trasforma
della semplice farina in pasta che abbracciata dal fuoco, ci regalerà
l’aroma fragrante del pane buono.
Un Rabbunì, quello del Vangelo di oggi, che ci svela i segreti
dell’essere discepoli nelle dinamiche a noi più familiari.
Luce e sale, elementi ordinari da noi ben conosciuti che diventano
“segnaletica”, indicatori di una vita autenticamente realizzata,
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
spesa, donata.
Luce e sale dicono la capacità di Gesù di raccontarci le cose “di
lassù” partendo dalla semplice essenzialità delle cose di quaggiù.
Luce che arde, dona calore e illumina, facendoci vedere con chiarezza
le cose, mettendone in risalto i limiti ma anche e soprattutto,
il bello.
Sale che dona sapore, scomparendo negli alimenti, proprio come
il Cristiano che deve “sapere” di Dio, nella duplice accezione che
questo verbo può assumere.
I figli del Regno, infatti, devono averne il sapore ma devono, anche,
possederne la “sapienza”.
Il rischio, altrimenti, è quello di diventare sciapi, insipidi, senza
sapore; il rischio è di essere “lampade messe sotto il moggio” che
non illuminano, non splendono, non fanno chiarore.
Così il sale non sarà più sale e la luce non sarà più luce.
Nello stesso modo un Cristiano che non ha sapore e non splende,
è un “non Cristiano”.
Vediamo, allora, con meraviglia rinnovata, che la bellezza di tutta
la storia della salvezza (di cui noi facciamo parte) ci interpella
partendo da quanto ci è più familiare: un po’ di sale e tanta, tanta
luce.
Lasciamoci coinvolgere da questa ordinaria realtà che ci racconta
la normalità di relazioni quotidiane, recando in sè, però, lo straordinario
segreto della nostra felicità.
C’è il Regno di Dio, infatti, ogni qualvolta un Cristiano saprà essere
sale della terra e luce del mondo.
Un po’ di “sale”, un po’ di “luce” e tutto cambia.
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
12.02.2020
Vivi il tuo tempo
E
ssere se stesso, sempre.
Anche quando cercheranno di isolarti inserendoti nelle bolle
della possessività, dell’invidia, della gelosia, dell’astio, della rivalità.
Prigioni queste che solo avendo fiducia in te stesso, non potranno
mai, realmente, bloccarti.
Il rischio è quello di cadere nella trappola di chi vuole farti sentire
diverso.
In fondo questa, però, è una verità: siamo tutti diversi perché
unici, irripetibili.
L’importante è prenderne coscienza da solo e non far dipendere
la concezione che hai di te stesso da ciò che gli altri dicono, pensano,
vogliono da te.
Non puoi piacere a tutti (e menomale!)
Tu, però, vivi il tuo tempo.
Lascia che siano gli altri a sprecare il loro, nella faticosa impresa
di competere con te. Tu non competere mai con loro.
Anche l’essere “presi di mira”, l’essere selezionati nella massa è
già un tratto distintivo: ti notano, sei diverso, non sei come loro.
D’altronde se è peccato sovrastimarsi è deleterio sottovalutarsi
dando retta a chi ha gli occhi
offuscati dalle cataratte dell’invidia.
Essere se stessi significa sentirsi
adeguati alla propria vita, godersela
fino in fondo, ricordando
sempre che “non c’è peggior
solitudine dello non stare
bene con se stessi”.
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
13.02.2020
29
E in questo silenzio..............Dio parla
A
volte si ha la necessità di far vibrare l’anima ricercando se
stessi.
La solitudine allora, ricercata e vissuta, diventa un navigare nel
mare aperto, sconfinato, in attesa di approdare nuovamente sulle
spiagge delle vite altrui, preparando la bellezza di nuovi incontri.
È in questa evasione dalla vita quotidiana, negli spazi di solitudine
cercati e abitati che riscopriamo la nostra vera essenza, solo allora
la solitudine, quella bella, diventa momento di verifica tra ciò che
dovremmo essere e ciò che siamo.
Stare da soli si trasforma così in “privilegio” che ti regala la più
bella compagnia: quella di te stesso.
È nella solitudine, infatti che germogliano i veri pensieri seri, essa
ti accarezza con tocchi leggeri di velluto e nel mare calmo che
essa provoca, ci si può specchiare guardando in faccia la propria
coscienza facendo sbocciare la libertà.
Da tutto.
Da tutti.
Da se stessi.
E in questo silenzio, finalmente, Dio parla.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
15.02.2020
Scalpellando, levigando.....
Amare è come avere di fronte un
blocco di marmo da scolpire.
Occorre togliere (con fatica) tutto
ciò che è “di più” affinché, da quel
blocco, possa emergere una statua,
un fregio, una scultura.
Tutti coloro che hanno festeggiato San Valentino hanno a disposizione
altri 364 giorni per fare dell’amore la loro opera.
Scalpellando, levigando, plasmando, modellando.
Con intenso sforzo.
Con costanza.
Nel tempo.
Perché l’amore è una scelta quotidiana, un impegno duraturo,
una promessa prolungata e rinnovata ogni momento, in ogni gesto,
in ogni parola, in ogni palpito.
Solo chi sarà perseverante vedrà la bellezza dell’amore vero.
Un amore destinato a diventare una vera opera d’arte.
Auguri a chi riesce a festeggiare l’amore anche il giorno dopo
San Valentino.
16.02.2020
Per” ben vivere “occorre “vivere bene”
«Avete inteso che fu detto agli antichi [...] Ma io vi dico»
(Mt 5,21-22).
noi custodi del “si è sempre fatto così” viene ricordato che è
A lo Spirito a far nuove tutte le cose, persino i precetti meticolosamente
declinati, tanto cari ai farisei.
Di “divino” avevano conservato ben poco, trasformati in vincoli
legali opprimenti, soffocando la consapevolezza di essere figli
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
(amati) di Dio.
Gesù, invece, ci ha appena ricordato che noi siamo chiamati ad
essere “sale della terra”, avendo il sapore di Dio e ci sollecita a
risplendere come “luci poste sul candelabro”, di luce divina, che
arde, brilla e riscalda la nostra vita e quella di quanti ci accostano.
Tutta la Legge, invece, è ormai ridotta a vuota osservanza di norme.
Un amore consunto simile a quello di vecchi amanti abitudinari
e stanchi.
Il Cristo, sempre innamorato del cuore degli uomini va a fondo,
scava Lui, il Pescatore di perle preziose, per portare a galla l’essenza
bella di ogni figlio di Dio.
Perciò se l’omicidio è l’atto finale, (sempre da condannare) non
meno peggiore è l’ira che sopraggiunge nel cuore dell’uomo, talvolta
domandolo, abbrutendolo, inquinandone le azioni, la lingua
e le relazioni e conducendo comunque alla “morte” dell’altro
e della nostra stessa anima.
“Non commetterai adulterio”: è la Legge normata.
Ma Gesù ci invita a purificare già lo sguardo, le intenzioni: “se
guardi una donna per desiderarla sei già adultero”.
Mai desiderare il possesso dell’altro, mai dare spazio alla voce
della concupiscenza, mai renderlo “oggetto” di desiderio perché
ne avvizzisci la bellezza del suo essere persona, capolavoro divino
che ne reca impressa l’immagine e la somiglianza.
“Non giurerai il falso” ma io vi dico: non giurate affatto.
È un invito ad essere sempre nella “luce”, nel “sapore”, nella
poesia della Verità.
Veri, sempre e comunque.
Con carità ma sempre figli della Verità.
Rabbia, bramosia, impostura: tre dimensioni che possono abitarci
interiormente.
Tre passioni da non liberare, da addomesticare, già anticamera di
omicidi, adulteri, menzogne.
Occorre guarire il cuore (il nostro, non quello degli altri) perché
solo un cuore puro produce uomini autentici, relazioni vere.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Gesù ci insegna a ben vivere.
Lui s’è accorto che prima di disciplinare “legalmente” i nostri rapporti,
abbiamo bisogno di essere guariti in fondo a noi stessi,
nella nostra anima.
Non è questione di morale.
Qui si parla di Vita (non di omicidi), di relazioni vere (non di desideri
adulterati), di verità (non di menzogna).
Insomma, per ben vivere occorre vivere bene.
Difficile?
Ma pur sempre possibile.
23.02.2020
Perdonare amando
«Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro
celeste» (Mt 5,48)
Ancora una volta Gesù parla di situazioni di conflitto: se ti danno
uno schiaffo; se vogliono portarti in tribunale; se ti costringono
a fare qualcosa.
Situazioni di conflitto, vita reale.
E poi usa dei verbi: “porgete”, “donate”, “fate” che devono essere
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
declinati nell’amore.
Verbi di difficile applicazione, quasi irreali.
Ma solo chi ama porge, offre, fa.
L’amore è tutto.
E, quando è vero, deve darsi a tutti.
Nessuno escluso.
Cominciando dai nemici.
È così che Gesù vuole forgiarci nell’assurdo della fede, chiedendoci
di carezzare nell’amore le vite di chi ci offende nel corpo,
nell’anima, nella dignità, abbracciandolo con la nostra vita ferita.
Parole dure.
Richieste divine, a tratti, assurde perché molti sono i nemici quando
si pensa di essere sempre nel giusto.
È più facile collocarsi tra gli offesi e non rendersi conto delle ferite
che infliggiamo agli altri se presupponiamo di essere sempre e
solo noi i “giusti”.
Ecco, allora, che Gesù non propone un semplice rimedio per arginare
le nostre storie lese che rischiano di imputridire nella chiusura
ferma e stantia dell’astio ma ci invita a ricercare sinceramente
la pace perché la vita vinca, fiorisca, sbocci.
La pace, l’unica che può estinguere definitivamente ogni contesa
perché violenza, odio, risentimento moltiplicano, generano, altro
risentimento, odio, violenza.
La pace è, quindi, l’argine, l’unica chiave che può forzare la serratura
del cuore dell’uomo e perfino, quella del cuore di Dio.
Amate, dice.
Amate e pregate per i vostri nemici e per quanti vi perseguitano.
Come fosse facile.
Ma chi odia è infelice.
Ecco quindi che il nemico diventa la nostra salvezza aiutandoci a
riconoscere e superare la nostra finitudine, sollecitandoci a puntare
in alto, a pensare in grande, a reagire con la semplicità di un
bambino nella ricerca sincera della gioia.
A noi imperfetti, feriti, risentiti, Gesù chiede di essere perfetti
RIFLESSIONI DI UN PRETE
come il Padre.
Perché se la Legge argina il male, Gesù chiedendoci di andare
oltre le offese proiettandoci nell’oceano del perdono, ci invita a
diventare “divini”.
È solo questione di amore.
(Solo)
Sentirsi amati e perdonati per perdonare amando.
«Vuoi essere felice per un’istante? Vendicati! Vuoi essere felice
per sempre? Perdona!» (Tertulliano)
27.02.2020
Vivificati...Risorti
U
n gesto sempre bello
e disarmante nella sua
semplicità è quello che inaugura
il tempo quaresimale:
un po’ di cenere sulla testa
mentre vengono pronunciate
le parole solenni del Vangelo
che ricordano di convertirci,
spalancando il cuore alla fede accolta come dono, praticata nei
gesti e vissuta nella quotidianità.
Un gesto che amo assimilare all’antica sapienza contadina, quando
i nostri nonni “concimavano” il terreno nel primo tepore primaverile,
spargendovi la cenere, sapientemente raccolta durante
tutto il periodo invernale.
Un gesto che rendeva fertile quella terra che, docilmente, accoglieva
quella cenere e che, a suo tempo, avrebbe ricambiato con
l’offerta generosa di tanti e diversi frutti.
Mi piace pensare all’imposizione delle ceneri in questi termini.
Un gesto visibile, un simbolo, affinché questo tempo di grazia
34
RIFLESSIONI DI UN PRETE
che ci è concesso nella Quaresima, renda “fertile” tutta la nostra
vita, la nostra fede, nell’ascolto assiduo ed attento della Parola.
Un gesto non solo penitenziale ma ben augurale, propositivo,
latore di speranza.
Come tutta la Quaresima, del resto, che in modo naturale prepara
e sfocia nella gioia della Pasqua.
Come il sorriso vispo e allegro di questi due bimbi che ci attendevano
ai piedi del presbiterio al termine della celebrazione, per
ricordarci che la Quaresima, in fondo, è tempo di preparazione
per giungere alla Pasqua vivificati e non mortificati.
Vivificati, fatti vivi da quella cenere che ci rende fertili, portatori a
nostra volta, di vita.
Vivificati.
Risorti.
01.03.2020
Facciamo spazio alla Buona Notizia
Mt 4,1–11
Un Dio incarnato che non cede alla tentazione dei miracoli,
alla lusinga dell’onnipotenza ma che sceglie la via dell’umiltà,
bussando in punta di piedi, al cuore degli uomini.
Un Dio che non soccombe di fronte alla proposta di mostrarsi
straordinariamente “miracoloso” ma che decide di proporsi semplicemente
nel dono della Parola.
Anche nel lasciarsi tentare Gesù, il Figlio di Dio, sceglie di essere
uomo fino in fondo.
Bella l’immagine del deserto, luogo dove ritrovarsi, dove ascoltare
Dio ma, anche posto dove perdersi, spazio delle tentazioni.
Tre sono le prove: il rapporto con se stessi, con Dio, con gli altri.
“Dì che queste pietre diventino pane!” e mostra a te stesso quanto
vali. Permetti che il tuo “io” faccia a meno di Dio.
“Buttati giù, così potremo vedere miriadi di angeli in volo pronti a
35
RIFLESSIONI DI UN PRETE
soccorrerti”. Tenta la fedeltà di
Dio alle sue promesse.
“Adorami e ti darò tutto il potere
del mondo” per poter dominare
gli altri ed evitare l’inutile
fatica della predicazione, delle
incomprensioni, della croce.
E mentre il suadente tentatore
insinua parole ingannevoli,
Gesù sempre, per tutte tre le
volte, risponde citando la Scrittura, la Parola che ci restituisce autenticamente
a noi stessi, consegnandoci il vero volto di Dio.
A noi vivere il deserto del tempo quaresimale scegliendo di farlo
diventare il nostro paradiso o la nostra perdizione.
E nel momento della prova avere la certezza che solo nella Parola
di Dio si trova l’antidoto per il veleno dell’antico tentatore.
È il momento giusto: facciamo spazio alla Buona Notizia.
AUGURI AD OGNI DONNA
07.03.2020
Donne
C
arezza di petali è il loro essere.
Impastate di vita, a loro volta scrigno della vita stessa, donatrici
di questa magica scintilla.
Affascinano perché, poetesse dell’esistenza, hanno sempre parole
di speranza nell’oggi, nel futuro, nel cuore.
Hanno il fuoco del vivere negli occhi: illuminano dove guardano
e accendono sentimenti in chi è da loro guardato.
Madri, sorelle, mogli, figlie a loro volta.
Compagne, amiche ma prima di tutto donne.
Immagine dell’amore, naturalmente donato, che si consuma per
36
RIFLESSIONI DI UN PRETE
l’altro: figli, mariti, fratelli, amici.
Capaci di non risparmiarsi nelle sofferenze ma sempre in grado
di riempirle di significato nuovo, quasi fossero scorza di un frutto
maturo che è la loro splendida realtà.
Naturalmente votate all’insicurezza delle cose essenziali pur di
anteporre l’amore per gli uomini di casa, cui il loro amore è donato
nell’essere sposa, nell’essere madre, nell’essere figlia.
È il coraggio dell’essere donna.
È il coraggio stesso della loro vita.
Belle finanche quando il tempo scrive sui loro volti le rughe del
suo passaggio, testimoni di una vita piena, spesa, donata.
Maestre del vivere “hanno un unico difetto: spesso si dimenticano
di quanto valgono”.
08.03.2020
La speranza sconfigga la paura
(Mt 17,1-9)
Dal monte alto delle tentazioni, al monte della trasfigurazione,
dalla sconfitta del satana che si ritira, alla bellezza del Cristo
trasfigurato, fatto luce, anticipo della vittoria della resurrezione.
Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni non perché migliori
degli altri ma perché faticano (forse più degli altri) a comprendere
la sua logica,
l’evento di un Messia che, pienamente uomo, deve attraversare
la sofferenza e la morte.
E giunti sul monte “fu trasfigurato”, il suo volto risplende della
primavera divina, fioriscono le vesti che diventano candide come
i gigli dei campi, capolavoro di Dio, mentre tutto risplende di
luce, impalpabile ma reale, viva e vivificante, vera e avvolgente.
E per questo Paradiso sceso in terra si scomodano finanche Mosè
ed Elia, interlocutori di Dio nel parlargli faccia a faccia, mentre ora
conversano con il Figlio, l’Amato, il Prediletto compiacimento di
37
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Dio.
Pietro si lascia abitare dallo stupore, sperimenta la meraviglia, la
bellezza della fruizione di Dio ed esprime il desiderio di fermare
per sempre quell’attimo di Paradiso: “restiamo qui”.
Invece bisogna scendere dal monte, riprendere la vita di tutti i
giorni, le fatiche della quotidianità e raccontare la possibilità di un
Dio prossimamente vicino, straordinariamente presente nell’ordinario,
divino a tal punto da farsi umano.
Mentre l’aria primaverile si veste di profumi e colori nel rituale
risveglio del creato che sono l’immagine più bella della natura
che si “ridesta” dal torpore invernale, ringraziamo il buon Dio per
il rinnovarsi annuale di questa “trasfigurazione”.
Guardiamo con speranza a tanta bellezza che può nutrire lo spirito
in questo particolare momento di apprensione per il mondo
intero e mentre osserviamo con intelligenza le disposizioni che
ci vengono fornite dalle Autorità preposte, cogliamo l’occasione
per attuare l’invito del Vangelo: “Questi è mio Figlio. Ascoltatelo!”.
La speranza sconfigga la paura, la prudenza sia sostenuta dalla
fede e il buon Dio possa trasfigurare questo momento in occasione
di grazia per ritrovarci, poi, insieme, “trasfigurati” nello
stupore generato dal credere.
38
AI MIEI PARROCCHIANI
08.03.2020
RIFLESSIONI DI UN PRETE
39
Tempo di ascoltare
N
ella Domenica in cui il Vangelo è profumo anticipato di Resurrezione
nel racconto straordinario della Trasfigurazione,
giunge l’annuncio della sospensione delle celebrazioni in forma
pubblica.
Una decisione dolorosa, sicuramente, ma necessaria.
La saggezza della Madre Chiesa, la sua prudenza, attraverso i suoi
Padri e Pastori, ha discernuto ciò che è giusto, ciò che è bene per
i suoi figli.
E tutti sappiamo che, talvolta, il bene attraversa vie di privazione,
di difficili percorrenza ma, sempre e comunque necessarie.
Siamo nel tempo santo della Quaresima: tempo di digiuno, tempo
di penitenza.
In quest’ottica mi piace rileggere il digiuno Eucaristico che ci è
richiesto, affinché possiamo ri-scoprire la bellezza, la grandezza
di questo mirabile Sacramento, l’incanto del ritrovarsi insieme,
comunitariamente, nello spezzare la Parola di Dio e il Pane di vita.
Già pregusto, con occhi pieni di meraviglia rinnovata, quando
tutto sarà passato e insieme, come Popolo di Dio radunato dalla
sua Parola, potremo celebrare un’Eucaristia piena, un vero rendimento
di grazie, perché, ne sono certo, sperimenteremo ancora
la fedeltà di Dio alle sue promesse, la paternità di un Dio che mai
delude.
È necessario riprendere fiato.
È imprenscindibile razionalizzare lo scoramento, la paura, la novità
che in questo momento rischiano di offuscare la bellezza del
nostro essere cristiani.
Ho letto, ho ascoltato, parole piene di rabbia nei confronti di chi
“scende”, di chi “sale”, degli amministratori, della chiesa stessa.
Rischiamo di innescare una guerra di tutti contro tutti.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Credo, invece, che sia il tempo di ascoltare.
Ascoltare le indicazioni delle autorità civili e religiose.
Ascoltare le motivazioni degli altri e magari correggere, sostenere,
anche dissentire ma senza innescare guerriglie inutili, quanto
piuttosto temprandoci e sostenendoci vicendevolmente nella carità.
Sempre nella verità ma mai senza carità.
E poi mettersi in ascolto del Silenzio. Quel silenzio che aiuta a sedimentare
le nostre emozioni e lascia il posto all’unica Parola che
in questo momento può guarire le nostre ferite, le nostre paure.
La necessità, allora, di ascoltare la Parola di Dio che diventa balsamo
che sana e lenisce.
Di riprenderla in privato, o con tutta la famiglia e cercare di scavarla,
di cesellarla, alla ricerca di quel frutto dolcissimo che può
saziare la sete della nostra anima.
È il momento, questo, di ritornare finanche bambini, nella
riscoperta delle nostre belle devozioni private, della recita del
Santo Rosario, magari in famiglia come tante piccole chiese
domestiche, non dimenticando che «dove sono due o tre riuniti
nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20) ci ha assicurato
Gesù.
In questa paziente attesa, ne sono convinto, il tempo scorrerà
velocemente e, se Dio lo vorrà, celebreremo insieme la gioia della
Pasqua che quest’anno avrà un sapore particolarmente intenso,
vero passaggio dalla paura alla vita, vero esodo da una situazione
di estrema instabilità alla libertà dei veri figli di Dio.
Nel frattempo io (così come tutti
i miei confratelli) celebrerò quotidianamente
la Santa Messa.
In privato, senza la gioia di potervi
offrire e condividere il frutto
più bello del mio essere prete.
Ma vi presenterò al Signore, vi
affiderò alla Vergine del Monte
40
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Carmelo, Patrona della nostra Comunità parrocchiale, e vi porterò
nel cuore con l’affetto di fratello e di padre.
Ma voi restate uomini.
Non temete, restate uomini.
Uomini di speranza che si fidano e si affidano all’unico Salvatore:
Cristo Signore.
12.03.2020
41
“Ama”
M
olti pensano che la libertà consista nel fare ciò che si vuole.
Non è così.
La libertà, quella vera, quella pienamente umana, si manifesta nel
fare il bene.
E per essere realmente liberi dobbiamo divincolarci dalle nostre
passioni, dal nostro voler rivendicare costantemente i nostri “diritti”,
lasciare tutte quelle cose che (subdolamente o palesemente)
ci dominano, partendo proprio dal nostro “io”.
“Ama e fa’ ciò che vuoi”, diceva il grande Vescovo di Ippona,
esortandoci così al bene del prossimo e al contempo, al nostro.
“Ama”.
Perché quando ami, quando agisci in nome dell’amore, quello
vero, quello evangelico, non potrai mai sbagliare.
“Ama”.
Perché quando ami veramente non potrai non volere il bene del
prossimo. Dimentico di te stesso, anteporrai al tuo egoismo l’altro,
darai la precedenza all’Altro.
“Ama”.
Perché quando ami sei veramente, eccezionalmente, straordinariamente
libero.
E solo amando potrai fare ciò che vuoi senza sbagliare.
In questo c’è l’essenza della libertà.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Quella autentica.
C. Kingsley sosteneva: “Ci sono due libertà – quella falsa, dove un
uomo è libero di fare ciò che gli piace; quella vera, dove è libero
di fare ciò che deve”
Allora, approfittiamo di questo tempo per essere realmente uomini
liberi:
- amiamo, realmente;
- facciamo del bene facendolo bene;
- facciamo ciò che dobbiamo.
Nella maniera più semplice possibile: “standocene a casa”.
Così facendo otterremo dei risultati straordinari:
- tuteleremo gli altri;
- ci prenderemo cura di noi stessi;
- avremo massimo rispetto per la vita;
- faciliteremo il lavoro di quanti a casa non possono restarci per
continuare a garantirci sicurezza e tranquillità (medici, infermieri,
forze dell’ordine, volontari ecc., ecc.,)
Mai è stato così semplice fare del bene.
Oggi è possibile: è sufficiente non uscire di casa.
42
12.03.2020
RIFLESSIONI DI UN PRETE
43
È il tempo del silenzio
R
ipercorrendo le navate vuote della “mia” chiesa vedo i volti
di ognuno di voi nei banchi che abitudinariamente occupate.
È il tempo del silenzio, ripercorro le vostre storie, i nostri rapporti,
le nostre amicizie.
Dopo, quasi, quattro anni in mezzo a voi è la prima volta che mi
capita di entrare in chiesa senza nessuno ad attendermi o senza
la “fila post messa” dietro la porta dell’ufficio.
Vi penso e so che voi pensate a me. Molti i messaggi che mi giungono
in questo periodo.
Bello il “ritrovarsi” più volte al giorno sui gruppi della parrocchia
con messaggi che ci ricordano che ci vogliamo bene.
Tutti ci facciamo forza vicendevolmente ed è bello scoprirsi “famiglia”
anche in questo frangente.
In modo particolare, però, questa sera, penso ad alcuni miei parrocchiani,
collaboratori, amici che più che mai si ritrovano a lavorare
e che non hanno la possibilità di restare a casa.
Penso agli infermieri, ai medici, al personale ausiliario dell’ospedale.
Sento in loro la forte tensione ma anche la voglia di farcela.
Sento la fatica di lavorare in situazioni di estrema precarietà ma
avverto forte il senso del dovere e di grande responsabilità.
Ho sentito qualcuno di loro.
C’è il timore ma sono abitati da una splendida speranza.
Sono eroi anonimi di questa quotidiana anormalità.
Penso a tutto ciò che finora abbiamo dato per scontato: le messe
serali, il via vai di gente che invade gli spazi della Cattedrale, il fermarsi
in chiesa dopo le celebrazioni, il sostare sul piazzale della
Cattedrale a ridere e scherzare, il succedersi dei gruppi nei saloni
del nostro centro pastorale, il vociare allegro dei bambini nel cortile,
i volti speranzosi di chi viene a ritirare un pacco dalla nostra
Caritas, i volti generosi di chi ci aiuta a riempirli quei pacchi.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Tutto è grazia.
Avevamo bisogno di questo
momento per renderci
conto di quanto è splendida
la normalità.
E noi, figli della speranza,
sapremo attendere perché
il rivivere tutto ciò sarà ancora
più bello.
Siamo una Comunità bella.
Lo saremo ancora di più.
13.03.2020
Mentre tutto tace...
M
entre tutto tace, la primavera urla l’esplosione della vita.
Mentre tutto tace, i rintocchi di campana durante la consacrazione,
annunciano che la risurrezione è più forte della morte.
Mentre tutto tace all’infuori di me, la mia anima urla che Dio è
speranza.
Apparentemente tutto tace.
Occorre mettersi in ascolto e, con rinnovato stupore, scoprire che
Dio non ha mai smesso di parlare.
Il tempo si è dilatato, tutto è rallentato, tutto più umano.
Ricondotto alla mia fragile natura si spalancano gli occhi sulla
mia vera essenza.
Fatto per l’eternità.
Amato da Dio.
Impastato di scintille divine.
Tesoro prezioso in un vaso fragilissimo.
Questo tempo mi aiuti a superare i limiti del semplice “sentire”,
mi educhi ad ascoltare, per riapprendere il sapore della meravi-
44
RIFLESSIONI DI UN PRETE
gliosa sinfonia che Dio ha pensato per me: la Vita.
Non si tratta di uscire.
È necessario rientrare in me stesso e scorgere la poesia
dell’abbraccio di Dio.
13.03.2020
45
Andrà tutto bene
T
utta questa situazione ti segna, ti scava dentro, non ti lascia
indifferente.
E le emozioni (sia belle, sia brutte) sono amplificate.
Tre segni hanno fortemente caratterizzato la mia giornata.
1) La Via Crucis celebrata in una Cattedrale deserta.
Mentre ripercorrevo le stazioni, avanzando tra le navate, vi ho
pensato.
Ho pensato alle “nostre” Via Crucis.
Quelle guidate da ogni gruppo della Parrocchia. Quelle piene di
gente che canta, che prega, che calca le orme della croce, che
avanza tra le candele accese.
Oggi l’ho portata io e ad essere acceso era il cuore, non una candela.
Vi ho pensato e mi siete mancati ma ne sono certo: c’eravate.
2) Ho dovuto portare l’Eucaristia alle nostre Suore.
Ho aperto il tabernacolo, ho prelevato una pisside e mi sono avviato
per le strade deserte.
Locri vuota.
Locri svuotata.
Mi sono fermato sul sagrato e girandomi sui quattro angoli, ho
elevato la pisside, ho tracciato quattro ampi segni di croce e vi
ho benedetti.
Io e Lui.
Soli.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
3) Sono ritornato in chiesa, uscendo da essa ho alzato lo sguardo
e vi ho trovati tutti lì.
L’Azione Cattolica ha preparato questo cartellone che ha, d’improvviso,
colorato tutto.
Vale per me.
Vale per voi.
Uscendo lo troverete lì.
È un segno forte.
Serve a ricordarci quanto ci siamo mancati.
Serve a ricordarci che non ci siamo mai lasciati.
Santa notte a tutti, con questo segno di speranza.
14.03.2020
Ogni sabato....Ma non oggi
O
gni sabato, nella “mia” chiesa, si
compie il miracolo.
Nel cortile interno, ogni sabato, è sempre
primavera anche a Dicembre, anche
con il freddo.
Sbocciano “fiori” variopinti, allegri e l’aria,
come d’incanto, è abitata da “musica”
gaia, gioviale che ti riempie il cuore
e la vita.
Ogni sabato.
Ma non oggi.
Oggi i “miei” bambini mi sono mancati.
Ma l’eco del loro buonumore ha intriso queste mura.
Si tratta solo di attendere, saper aspettare.
Nel frattempo il sole diventa più luminoso, più caldo e prepara,
così, un “sabato” ancora più bello.
Quello del ritorno alla normalità.
46
15.03.2020
RIFLESSIONI DI UN PRETE
La storia di una “donna” ritrovata.
Gv 4,5-42
mezzogiorno, l’ora in cui il sole brilla alto nel cielo.
È È l’ora della luce, della rivelazione.
Luce che raggiunge gli angoli più bui, Rivelazione che comincia,
sempre, dagli ultimi.
Un pozzo.
E il pozzo già nell’Antico Testamento è foriero di grandi storie
d’amore.
Una donna.
Una donna e la sua tormentata storia: cinque mariti l’hanno abbandonata.
Una donna e la sua storia ferita.
Una donna cercata per il corpo viene avvicinata da Colui che, più
del corpo, ne mendica l’anima.
È il gioco dei paradossi: un uomo che parla con una donna.
Un giudeo che accosta una samaritana.
Dio che s’accosta all’impura.
La Misericordia e la misera.
Dio sbalordisce sempre, attraversa le strade proibite, sradica i
preconcetti, rifugge l’ovvio.
Dio sradica i rovi del giudizio che infestano anche le nostre relazioni.
E lei abituata ad essere assimilata al suo peccato, scorticata dagli
sguardi della gente, si meraviglia.
Non più identificata con le sue mancanze è restituita alla sua dignità
di persona.
Lui, invece, esperto di creazione, inizia a modellarle il cuore:
“Dammi da bere”.
L’Eterno assetato d’amore chiede d’essere amato.
Colui che estingue la sete, chiede da bere.
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
«Signore, non hai un secchio e il
pozzo è profondo; da dove prendi
dunque quest’acqua viva?» (Gv 4,11)
Lei parla di pozzo.
Lui parla di sorgente.
Pozzo, acqua che ristagna.
Pozzo che dice la fatica dell’uomo nel
cercare l’acqua, ciò che dà la vita.
Sorgente, acqua viva che zampilla.
Sorgente che veicola l’idea di un dono trasmesso senza alcuna
fatica.
E la Samaritana, bagnata di luce, diventa missionaria.
Dimentica la brocca.
Come gli innamorati: trovato l’Amore tutto è relativo, incontrato
il Necessario, tutto è superfluo.
Diventa normale dimenticare ciò che prima si stava facendo perché,
l’Amore, ora, e solo l’amore, basta.
«Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola
della donna, che testimoniava: “Mi ha detto tutto quello che ho
fatto”» (Gv 4,39)
La Samaritana che prima rifuggiva l’incontro con chi da sempre la
giudicava, corre verso agli altri per annunciare la bellezza dell’Incontro.
“Mi ha detto ciò che ho fatto”.
Un incontro che comincia sempre dalle proprie cadute.
Un annuncio che parte sempre dal sentirsi perdonati.
Questa è la storia dell’anfora dimenticata.
Questa è la storia di una “donna” ritrovata.
16.03.2020
Giuseppe
Giuseppe, uomo del poco chiasso che profuma di resina, di
legno e di quotidianità.
48
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Giuseppe, uomo coraggiosamente (e meravigliosamente) fragile
di fronte ai piani di Dio che ci insegna ad accettare la verità dell’amore
difficoltoso.
Giuseppe, uomo realmente, che da abile carpentiere ridona vita
nuova alle cose sfasciate, alle “storie” infrante.
Giuseppe, padre, veramente, del Figlio di Dio, a cui insegna la
fatica del vivere col lavoro delle proprie mani.
A lui affidiamo le nostre necessità, a lui, uomo talmente grande
che non disdegna di donare ospitalità a Maria e a quel Figlio, che
pian piano, imparerà a sentire suo.
A lui affidiamo le nostre richieste, confidando
che il suo immenso cuore sarà in
grado di ospitare anche noi, di riparare le
nostre vite sgretolate, di insegnarci l’arte
del vivere la volontà di Dio.
Giuseppe, lui, uomo della speranza che insieme
a Maria, donna della fede, ci fanno
dono della perfetta Carità.
Sotto il suo manto ognuno di noi trovi
conforto.
19.03.2020
Nella tua storia PAPÀ
Ti guardi indietro e, improvvisamente, ti vedi cresciuto, adulto.
Ti fermi.
Ti guardi dentro e scopri che gli anni sono trascorsi velocemente
ma alcune immagini, alcuni ricordi, inderogabilmente ti si sono
impressi nel cuore.
Immagini e ricordi.
Ricordi e situazioni.
Situazioni e volti.
Volti.
49
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Oggi, con prepotenza, emerge il tuo.
Il tuo volto che continua a ricordarmi che per tutti sono “padre”
mentre per te sarò sempre figlio.
Tu che hai saputo donarmi la vita, ancorandomi, radicandomi alla
terra, inserendomi nella storia della tua, la mia famiglia.
Nella tua storia.
Tu che hai saputo, nel tempo opportuno, farmi dono delle ali
della libertà per volare nel cielo del mio futuro.
Tu che continui a vigilare su di me, con la stessa dedizione, con la
stessa discrezione ma con amore centuplicato.
Tu che per tutti gli altri sei “Giovanni” ma che io posso chiamare
teneramente “papà”.
Auguri!
(E insieme al mio papà, auguri a tutti coloro che svolgono il difficile,
bellissimo compito di
essere padre, ricordandovi
che questo è anche
il nome di Dio. Siatene
degni. Assaporatene
ogni giorno la bellezza.
Riscoprite quotidianamente
la straordinaria
“vocazione” legata a
questo nome: papà).
20.03.2020
Piccole fiammelle
C
on la recita del Santo Rosario alle 21:00, ieri sera ci siamo uniti
spiritualmente con tutte le chiese d’Italia.
I vescovi avevano chiesto, in questa occasione, di esporre, alle
proprie finestre, una candela accesa o un drappo bianco, simbolo
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51
RIFLESSIONI DI UN PRETE
della speranza che risiede in noi.
Nel silenzio (che ormai costantemente abita le nostre strade) ieri
sera mi sono commosso nel vedere sui balconi, in lontananza,
tante piccole fiammelle, fragili, tremolanti ma vivacissime che
sembravano voler “combattere” l’oscurità.
Piccole fiammelle che messe insieme divampano in un incendio
di speranza.
Speranza che vuole spalancare le porte di casa nostra, vuole aprire
le finestre delle nostre stanze, quelle in cui la nostra vita, in
questi giorni, sembra intrappolata.
E poi, inaspettatamente, arriva la luce.
La luce della solidarietà che vince ogni forma di oscurità.
È di un giorno fa la notizia: «Due pazienti provenienti dalla
Lombardia e affetti da Covid-19 sono in procinto di essere
trasferiti nell›unità di Terapia intensiva dell›azienda ospedaliera
Pugliese Ciaccio di Catanzaro».
La madre Calabria che ha accolto anche me, i calabresi dal cuore
d’oro, sanno ancora una volta essere straordinariamente generosi.
Una regione tra le più povere, una terra spesso dimenticata e oltraggiata,
è disposta a condividere quel poco che possiede.
Una regione che ha pochi posti letto in questa emergenza sanitaria,
spalanca le porte dell’accoglienza a due pazienti di Cremona
e Bergamo, due città fortemente provate dalla diffusione del
virus.
Solo due posti letto.
Solo due.
Un’immagine, per me, dalla forte valenza simbolica.
«Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli e disse:
“In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti.
Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo,
questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva
per vivere”» (Lc 21,2-4).
Rileggo in quest’ottica evangelica la disponibilità generosa della
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Calabria.
Terra bella perché ha il mare.
Terra bella perché ha i monti.
Terra bella perché ha i calabresi dal cuore grande.
22.03.2020
Un Dio che, sempre, vede
«Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva,
spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti
nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato» (Gv 9,6-7).
Poche parole per raccontarci la storia di una carezza di Dio.
E Lui, Camminatore di strade, Percorritore di vite, stavolta non
usa parole per guarire.
Parla con i gesti, gesti che raccontano la salvezza, gesti che profumano
di Dio.
Stende le dita, tocca quegli occhi mai nati, ne tocca la sofferenza
di un’intera vita e vuole porvi rimedio.
La più bella immagine di Dio è questa: un Dio che, sempre, vede
ciò di cui gli altri neanche si accorgono, un Dio che si ferma lì
dove c’è dolore, un Dio che
prende l’iniziativa, un Dio che
vuole toccare, con le proprie
mani, la sofferenza dell’uomo.
Per sanarla.
Per guarirlo.
E Dio, con la pelle d’uomo, sputa
per terra, prende del fango e
proprio come l’episodio di genesiaca
memoria, ricrea l’uomo
senza difetti.
52
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Un uomo che, stavolta, ci vede.
Immagine splendida, questa, delle mani divine.
Mani che devono sporcarsi di fango, mani che devono essere
imbrattate della nostra umanità per poter aggiustare ciò che è
guasto.
Un solo comando: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che
significa “Inviato”, sottolinea Giovanni.
È necessario l’incontro con “l’Inviato” per poter ri-vedere.
Da Sicar a Siloe, dall’acqua del pozzo all’acqua della piscina.
Domenica dopo Domenica, questa Quaresima ci propone immagini
vivissime che odorano di battesimo.
Un “battesimo” che apre gli occhi, un battesimo accompagnato
dalla carezza di Dio.
Carezza di un Dio che ha le mani sporche di “fango”.
Un Dio che si fa Padre affinché noi possiamo essere rigenerati
come figli.
Un Dio che ci “apre” gli occhi per gustare l’incanto di questa realtà.
27.03.2020
53
Il mondo intero in quella piazza
U
na piazza “San Pietro” deserta.
Un Papa da solo al cospetto del
Crocefisso e della gran Madre di Dio.
Un uomo claudicante, visibilmente
commosso, con in mano l’ostensorio
che benedice una piazza apparentemente
vuota.
Apparentemente vuota, perché, ne
sono certo, il mondo intero, oggi, era
in quella piazza.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
E la pioggia abbondante, mi piace pensare, benedizione di Dio,
commozione di Dio dinanzi ai suoi figli che stanno riscoprendo la
bellezza di essere sulla stessa “barca”, la Chiesa.
Per remare insieme.
Per affrontare insieme le tempeste.
Perché come ci ha detto Francesco: “nessuno si salva da solo”.
Ricordiamocelo sempre.
Ricordiamocelo vicendevolmente.
29.03.2020
Gv 11,1-45
La casa dell’amicizia
N
ulla di più umano dell’umanità assunta da Dio.
Come le lacrime di Gesù.
Come la sua amicizia per Lazzaro.
E la casa di Betania, a ridosso delle mura di Gerusalemme, è il
luogo dove Gesù, in quella famiglia di amici, decide di essere
divinamente Uomo.
È la casa dell’amicizia.
Vera, bella, pura, disinteressata.
Quella casa che un giorno odora di morte perché Lazzaro, l’amico
di Gesù, non c’è più.
Nonostante l’affetto di Gesù, nonostante il discepolato, nonostante
la fede.
Marta, la donna dal molto fare e dalle mille preoccupazioni, in
nome di quell’amicizia che crea familiarità, rimprovera l’assenza
di Gesù: “se tu fossi stato qui”.
Gesù che ama sempre con il cuore di Dio, invita alla speranza.
Faticosa.
Impensabile.
54
RIFLESSIONI DI UN PRETE
“Se credi, vedrai la gloria di Dio”.
Se credi.
Oggi.
Nel presente.
Nonostante la morte.
Una logica quella di Dio, diversa da quella di noi uomini.
Noi vogliamo vedere per credere.
Lui ci invita, ci sollecita a credere per vedere.
E nonostante siano già trascorsi quattro giorni, nonostante l’odore
della morte, il macigno rotola e la voce forte, rassicurante di
Gesù, genera la vita: “Lazzaro vieni fuori”.
E il grembo buio e freddo del sepolcro, si apre alla luce, al tepore
della vita.
Perché l’ultima parola sulla vita dell’uomo spetta a Dio.
E Lui ha solo una Parola, parola che ci partorisce alla Vita eterna,
parola che ci libera dal potere delle tenebre.
05.04.2020
55
Il “terremoto” di un Dio che salva
L
a grande settimana, la Settimana Santa, si apre
con il dono sovrabbondante di Parola di Dio.
Tanta, da ascoltare, rileggere, meditare.
Mi piace sottolineare un aspetto importante, un
filo rosso, un elemento costantemente ripetuto
nel racconto di Matteo.
La folla che accoglie Gesù a Gerusalemme, dice,
letteralmente l’evangelista, è “percorsa da un terremoto”.
È il terremoto presente, anche, nell’episodio della crocifissione.
È il terremoto presente, anche, nel racconto della risurrezione.
Quello della folla che accoglie Gesù con rami di palma, è un terremoto
interiore che porta ad interrogarsi: “chi è Costui, chi è
RIFLESSIONI DI UN PRETE
questo che, oggi, entra in Gerusalemme?”.
«La folla rispondeva: “Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea”»
(Mt 21,11)
Un paradosso forte: da un lato la figura, forte, trionfalistica del
Messia, dall’altro la provenienza umile da Nazareth, un borgo
sperduto, dimenticato.
Da un lato le attese di un popolo che attende un Dio cui sottomettersi,
che si manifesta con forza e potenza grande.
Dall’altro il piano di Dio che decide di manifestarsi nella straordinarietà
dell’ordinario, facendosi compagno di vita.
Un Dio che lava i piedi degli uomini, che si lascia tradire, percuotere,
crocifiggere.
Un Dio che si dona nel Pane e nel Vino, un Dio che “consegnato”,
tradito, decide di “consegnarsi” nell’Eucaristia.
È lo stesso “terremoto” che dovrebbe innescarsi in ognuno di noi
per decidere da che parte stare.
Riconoscere in Colui che entra in Gerusalemme, “l’Osanna”, Colui
che aiuta, che salva, non secondo le attese degli uomini ma
nell’umiltà del piano divino.
Racconto che la Liturgia di questi giorni ci aiuterà a rivivere, passo
dopo passo, nel solenne Triduo Pasquale.
Quest’anno vissuto, in una modalità totalmente nuova, nelle nostre
case.
Non scoraggiamoci.
Siamo chiamati a fare (forse) l’esperienza più antica della Pasqua.
Nelle case.
In famiglia.
Nella “piccola chiesa domestica” che la famiglia è.
Nonostante questa Quaresima particolare, nonostante la quarantena,
possiamo riscoprire la bellezza di Dio che ha santificato
tutta la nostra quotidianità.
Nonostante tutto, insieme questa domenica, acclamiamo: “Osanna,
salvaci, aiutaci” per giungere alla prossima Domenica con il
grido di giubilo della risurrezione.
56
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Lasciamoci scuotere dal “terremoto” del racconto evangelico, dal
“terremoto” di un Dio che salva non perché ha sofferto tanto ma
perché ama (al presente) ancora di più.
«Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù,
alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi
da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”».
(Mt 27,54).
06.04.2020
Mani vuote...Chiesa vuota
La Liturgia è il luogo dove sperimenti lo stare faccia a faccia con
Dio.
È il luogo della resa.
È il momento in cui puoi, finalmente, consegnare la tua vita nelle
mani di Dio affinché, Lui, ne faccia un capolavoro.
Madre Teresa diceva: “Quanto meno abbiamo, più diamo. Sembra
assurdo, però questa è la logica dell’amore”.
Questa foto, quest’attimo rubato, esprime tutto questo.
Mani vuote.
Chiesa vuota.
Apparentemente nulla da offrire.
Ma in quel momento eravate tutti lì.
In quelle mani avevo riposto ognuno di voi.
Il mio essere prete per la mia
Comunità è stata l’offerta più
bella deposta ai piedi dell’altare.
Faccia a faccia con Dio.
Tutti uniti da quel filo d’oro che
è la fede.
57
RIFLESSIONI DI UN PRETE
11.04.2020
Solo fiori dalle vostre case
U
na Pasqua strana, sicuramente. Sotto certi aspetti, bella perché
ci ha ricondotto all’essenziale.
Ci ha costretti a “fermarci”, a vivere tempi più umani, ad apprezzare
tutto quanto avevamo.
Il sole, non curante, continua a riscaldare le giornate.
La primavera, con prepotente vitalità, esplode nella sua bellezza.
Un po’ di primavera, questa mattina, ha varcato la soglia della
Cattedrale.
Con i suoi colori.
Con i suoi profumi.
Con i sorrisi, coperti da mascherine, ma chiaramente leggibili negli
occhi di quanti hanno voluto portare in chiesa i fiori del proprio
giardino.
E il semplice addobbo Pasquale è il risultato di tutto questo.
Niente fiori “perfetti”.
Niente sfumature studiate.
Niente colori abbinati.
Solo fiori “locresi”.
Provenienti dalle vostre case.
Semplici.
Ma belli perché si portano appresso i vostri sorrisi, i vostri cuori,
un po’ della vostra casa.
Oggi la Cattedrale è piena di voi.
Oggi la Cattedrale profuma di primavera.
Oggi in Cattedrale abita la nobile semplicità.
Ed io ho gioito (con la semplicità di un bambino) nel vedere che
ognuno, ancora una volta, ha dato ciò che ha potuto.
E credo che l’addobbo di quest’anno sia bello perché vero.
Vero ed essenziale.
“La capacità di semplificare significa eliminare il superfluo in
modo che solo il necessario possa parlare” (H. Hofmann)
58
RIFLESSIONI DI UN PRETE
E il Cero Pasquale, in mezzo a quei fiori, parla.
Parla per ricordarci che la Vita ha vinto per sempre la morte.
14.04.2020
Maria di Magdala
Gv 20,11-18
Una donna che si porta imbastito addosso il suo passato, le
dicerie della gente, gli sguardi impietosi di quanti non credono
nella possibilità del cambiamento.
Maria di Magdala.
La donna liberata dai sette demoni
ma che ora è abitata dall’amore,
talmente forte che mentre
gli uomini scappano, si nascondono,
lei rimane fedele.
Al mattino presto, quando era ancora buio.
È passato il venerdì santo.
Le tenebre non sono ancora definitivamente vinte. È ancora buio
ma un’alba nuova sorge, colora l’orizzonte.
Proprio come la vita che da lì a poco sta per sbocciare.
Quello di Maria è l’amore “pazzo” di chi, a causa della morte,
ha perso la ragione, il fondamento di questo amore stesso (un
amore che io ho avuto la fortuna di incontrare tante volte nel mio
ministero nel cercare di consolare chi ha subito gravi perdite).
Non dorme.
Non teme.
Non si rassegna.
Va al sepolcro perché sa che è lì l’Amato.
La sua è la storia di ogni amante che cerca l’Amore.
Ma fino a quando continuerà a guardare al sepolcro non si accorgerà
della “Presenza”.
Donna fedele ma con il bisogno di ricalibrare lo sguardo.
59
RIFLESSIONI DI UN PRETE
«Si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi».
È necessario voltarsi, cambiare rotta, convertirsi per gustare la
sorpresa di un Dio che, nel momento del dolore, è già, da sempre,
con noi.
Un Cristo Risorto straordinariamente bello (totalmente diverso
da quello rappresentato nelle nostre chiese), non circonfuso di
luce, non sollevato da terra, non avvolto in drappi regali.
Bello nella sua quotidianità tanto da essere scambiato per il custode
del giardino.
Bello per questo: straordinariamente ordinario nonostante il profumo
di mirra, nardo e di altri oli usati per imbalsamarne il corpo.
Bello, ordinario e profumato come uno Sposo pronto per le Nozze.
Voltandosi, Maria non vede più il sepolcro, la nuda pietra che
parla di morte.
Voltandosi, Maria vede il giardino, luogo dell’esplosione della
vita.
Voltandosi, Maria vede il “custode” di quel giardino (di genesiaca
memoria), di quel paradiso sceso in terra che da quel momento
in poi sarà Terra Santa.
Voltandosi, Maria vede la Vita.
«”Signore, se l›hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a
prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”».
Le lacrime possono purificare lo sguardo o appannare la vista. Il
dolore ha annebbiato completamente gli occhi di colei che chiamano
Maddalena.
Lei ora ha soltanto bisogno di trovare ciò che resta dell’Amore.
E Gesù le indica dove trovarlo.
Glielo indica chiamandola per nome.
«Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: “Rabbunì!”».
Riconosce Gesù nel timbro di voce.
Ne riconosce la voce, di Lui che è la Parola.
Chissà quanta dolcezza in quella pronuncia.
Talmente unica da farci aprire gli occhi, da terremotarci il cuore,
60
RIFLESSIONI DI UN PRETE
da infondere sicurezza.
Maria lo riconosce.
Nel riconoscerlo professa la sua fede.
E nella professione di fede comprende il suo ruolo.
Rabbunì che significa Maestro, Sposo, Signore.
Se Lui è il Maestro noi siamo i discepoli.
Se Lui è lo Sposo, noi Chiesa siamo la sposa.
Se Lui è il Signore, noi siamo i redenti, i salvati.
Maria viene chiamata per nome e diventa “apostola”, inviata.
È lei la prima annunciatrice del Vangelo della risurrezione.
È lei che ci insegna che l’amore vince tutto.
Tutto.
Anche la morte.
15.04.2020
61
Tutto parla di luce
I
n questi giorni di ottava di Pasqua e in quelli appena trascorsi,
siamo stati invasi dalla luce.
Una luna piena, straordinariamente grande, troppo vicina alla
terra.
Superluna l’hanno chiamata.
E poi le prime giornate di primavera che hanno indossato il più
bel sole che il cielo potesse mettergli
a disposizione.
Un sole che s’alza presto al mattino
e che la sera, sembra, non voler
andar via.
E poi, la liturgia bella della notte
santa, della madre di tutte le veglie
in cui si canta “la felice colpa
che meritó un così grande Redentore”.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Anche in essa la fa da padrone la luce.
Quella del Cero Pasquale che, da una piccola fiammella, sparge
raggi dorati tutt’attorno, divampando nella chiesa e nei cuori.
Tutto parla di luce.
Tutto è luce.
E quando c’è Lui, tutto “s’accende”.
Pensandoci, ho voluto riflettere (ho provato ad ipotizzare) che
mentre sulla grotta di Betlemme rifulge la bella cometa, con la
coda lunga (come la disegnavo da bambino), sulla grotta del sepolcro,
sicuramente, ci sarà stata una “superluna”.
Due grotte, quella di Betlemme e quella del sepolcro, che dicono
buio, freddo.
Due grotte, quella di Betlemme e quella del sepolcro che vengono
abitate dalla Luce.
Luce che illumina.
Luce che riscalda.
Luce che “colora”.
Ed è così che immagino la risurrezione, dopo aver letto il Vangelo
di oggi (i discepoli di Emmaus, Lc 24,14-35): un Gesù Risorto che
come la luce del sole e della luna entra senza bussare.
Senza imporsi, però.
Entra nella vita del discepolo, da Risorto, in punta di piedi.
Entra in punta di piedi, come se n’era andato, morendo su una
croce, come fosse un uomo qualunque.
Ed è bella, da morire, l’immagine di questo Risorto che va a riacciuffare
i discepoli che, delusi, fanno ritorno alla vita della loro
quotidianità.
Un Risorto che va a “ripescarli”.
In punta di piedi.
Ma usando l’arma più bella, quella che seduce, quella divina che
Lui ha sempre destreggiato con sapienza: la sua Parola.
Usa le reti, a maglie larghe, dell’amore.
Perché tutti possano “caderci dentro” ma tutti possano, se lo vogliono,
sbrigliarsi da quest’abbraccio divino.
62
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Lo fa con i due di Emmaus.
Lo fa con Maria Maddalena.
Lo fa con i Dodici chiusi nel cenacolo.
Lo fa con Tommaso.
Lo fa con me, con noi.
Proprio come la luce di questi giorni.
Entra senza chiedere permesso, in punta di piedi, però.
E ti stravolge perché tutto diventa nitido, tutto diventa chiaro,
tutto si colora.
In punta di piedi.... ma quei piedi bucati ti scuotono l’anima.
16.04.2020
63
Siamo chiamati a diventare Uomini
«Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma»
(Lc 24,37).
Credo che non ci sia modo più bello per descrivere l’umanità
degli Apostoli.
Noi, troppo abituati a concepirli “già fatti santi”, li allontaniamo
dal nostro vissuto, dalle nostre esperienze, perdendoci così quel
“sostrato” comune che è l’umanità, infarcita di fatica del credere,
di paura, di dubbio.
Santi non si nasce, si diventa.
Con fatica.
E con tutta l’umanità.
Ed è proprio nel momento di estrema
fragilità, nel momento in cui comprendiamo
con maggiore evidenza il nostro
essere fragili che accade il “divino”.
Anzi, quanto più sperimentiamo,
comprendiamo la nostra piccolezza, la
RIFLESSIONI DI UN PRETE
nostra finitudine, tanto più emerge con prepotenza (dolce prepotenza)
lo splendore del volto di Dio.
Un Dio prossimo, vicino.
Troppo preoccupati a voler apparire santi, ci perdiamo la meraviglia
della nostra umanità.
Troppo preoccupati a voler divinizzare Dio, vanifichiamo lo sforzo
Divino di farsi prossimamente vicino nella carne.
Quella carne che Lui ci mostra, che Lui ci offre per essere “toccata”.
«Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa,
come vedete che io ho» (Lc 24,39).
Quella carne da Lui assunta, ferita, redenta.
Mi piace pensare che il Vangelo di oggi voglia ricordarci proprio
questo: siamo chiamati a diventare Uomini.
Solo se diventiamo pienamente e veramente “umani” potremo,
poi, diventare Santi.
Umani nonostante i fallimenti possibili, capaci però (sempre) di
rialzarci.
In fin dei conti, il Vangelo di oggi, il Gesù Risorto del Vangelo di
oggi che mostra mani e piedi forati, vuol ricondurci al vero significato
della Fede: nelle ferite, nei fallimenti si annida il profumo
di rinascita, si nasconde la gioia della risurrezione, il vero volto
della Pasqua.
Vale per gli Apostoli.
Vale per me.
19.04.2020
Sperare nonostante tutto... si chiama Fede
N
ell’aria c’è ancora l’odore della morte, della paura, delle speranze
deluse eppure i discepoli si trovano nel cenacolo.
Fedeli come un innamorato ad un appuntamento, non si lasciano
vincere dai sensi.
Hanno visto la sua morte.
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65
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Hanno sentito l’odore del sangue.
Hanno toccato quel corpo esanime.
Hanno sperimentato i morsi velenosi dell’angoscia e della delusione
ma l’amore è sempre più forte.
È il prezzo della fedeltà: sperare nonostante tutto.
E nella sera del primo giorno della settimana...
La sera, quando le angosce, l’ansia, le paure hanno il sopravvento.
La immagino anche come “la sera” del cuore, quando il buio sembra
soffocare anche gli ultimi bagliori di luce, di speranza.
La sera, i discepoli, fedeli ma spaventati, si trovano insieme.
Accomunati dalla paura.
Resi “comunità” dalla fede.
«mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i
discepoli [...] venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a
voi!» (Gv 20,19)
È la nostra esperienza di questo strano tempo Pasquale.
Come le nostre celebrazioni, a porte chiuse.
Per la paura.
Ma nonostante tutto, il Signore viene.
E si mette “in mezzo”.
Alla comunità, alle nostre vite, alle
nostre attese, alle nostre angosce.
Si mette “in mezzo” per infondere
speranza, per non farci sentire soli.
E viene a farci dono della “Pace”.
Pace fatta, realizzata.
Non dice: “la pace sia (sarà) con voi”.
Dice che la Pace c’è.
Se c’è Comunità, c’è il Signore.
Se c’è il Signore, c’è Pace.
Dovremmo ricordarcelo quando riassaporeremo
(io e voi) la bellezza
del dono (non di fare) di essere Comunità.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
«Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro
quando venne Gesù» (Gv 20,24).
Tommaso mi piace rileggerlo in chiave diversa.
Lo immagino intrepido, coraggioso, ostinato nel credere.
Viene detto “Didimo”, gemello.
“Gemello” di Gesù nell’ardore missionario.
Fedele all’annuncio, pronto, come il Maestro, a dare la vita.
Non presente perché caparbio, non assoggettato dalla rassegnazione.
E lo immagino, invece, abitato dallo stupore: “Non è possibile!
È troppo bello per essere vero: devo toccare le sue piaghe!”.
E Gesù, fedele come uno sposo, si ripresenta.
Otto giorni dopo.
Sempre di Domenica, il dies Domini.
Sempre “in mezzo” alla Comunità.
Non davanti.
Non dietro.
In mezzo. Come perfetto compagno di viaggio.
E Lui, incantatore di cuori, mostra le labbra socchiuse delle sue
ferite, labbra di innamorato, invaghito perdutamente degli uomini.
Labbra anelanti baci di riconoscenza, frutto di cuori ormai vinti
dalla sua passione, dalla sua Parola.
Tommaso, sconfitto, non tocca.
Tommaso, sconfitto, canta la meraviglia: “Mio Signore e mio Dio”,
come di fronte ad un desiderio realizzato, come di fronte ad una
speranza, ormai, fatta certezza.
Le piaghe sono epifania dell’amore e della fedeltà di Dio.
«Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno
visto e hanno creduto!» (Gv 20,29)
Troppo facile credere alla morte, molto più difficile credere nella
risurrezione.
È la pazzia dei discepoli.
È la sfida del Risorto.
Si chiama Fede.
66
22.04.2020
RIFLESSIONI DI UN PRETE
67
Il viaggio più bello
N
onostante la quarantena, in questi giorni ho viaggiato molto.
Ho esplorato posti meravigliosi, altri densi di sacralità, altri
aridi, infruttuosi.
Il mondo è pieno di meraviglie.
Alcune fatte dall’uomo.
Altre, le più preziose, sono quelle pensate da Dio.
C’è un luogo, però, dove tanta bellezza si raccoglie.
Per giungervi ci vuole costanza, fatica, coraggio.
Un viaggio intenso che può durare un’intera vita.
Un “pellegrinaggio” che molti, troppi, decidono di non intraprendere.
Belle le profondità degli abissi, casa delle acque e di quanto vi
abita in esse.
Affascinanti le vette dei monti, trono delle nubi, dei venti e delle
nevi.
Incantevoli i cieli dove risiedono gli astri e le stelle.
E poi distese immense di terra, sabbia e piante.
Ma il viaggio più bello è quello dentro se stessi.
Ci si scopre capaci di sognare, di ridere, di amare.
Spalancando la finestra sul nostro io interiore ci vedremo “capaci
di Dio”, costruttori di storia, realizzatori di mete.
Vedremo le nostre paure, i limiti, le cadute.
Vedremo i mondi dell’amore, della gioia, sfioreremo attimi di
felicità. Sentiremo tutta la
pesantezza del dolore, della
vergogna, dei limiti.
Ci scopriremo viaggiatori
nel tempo, abili nel ripercorrere
il nostro passato,
idonei nel pensare mete future.
Toccheremo con mano
RIFLESSIONI DI UN PRETE
che “siamo più” di quanto pensiamo, costantemente proiettati
nel divenire, come un’opera d’arte che Dio cura giorno per giorno.
E avremo contezza che la storia dell’universo abita dentro di noi.
Ne facciamo parte, ne siamo figli e, contemporaneamente padri,
generatori di altra storia.
Inabitati, inoltre, dall’Infinito, dall’Eterno che con costanza ci ama,
ci crea, ci dona l’esistenza.
È un viaggio faticoso ma si può avere un complice, una guida
sicura: il proprio cuore.
Si coglierà così la verità del nostro fondo, della nostra anima e
constateremo che non siamo soltanto ciò che gli altri dicono di
noi ma neppure, soltanto, ciò che noi vorremmo apparire.
Ciò comporta responsabilità, capacità di critica, voglia di mettersi
in discussione.
Fatica.
Un viaggio interminabile che ci porterà a carpire, per un attimo,
ciò che veramente siamo.
Lì vedremo la nostra vera bellezza perché smetteremo di paragonarci
agli altri.
Lì troveremo una bella compagnia: io ed io.
Io e Dio.
03.05.2020
“Perché tutti abbiano la vita”
«Le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore,
ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto
fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse» (Gv 10,3-4).
Come nelle prime ore del mattino, in questo inizio del mese di
maggio, l’aria non ancora abitata dal tepore del sole, è al contempo
piacevole e pungente, così risuonano le parole del Vangelo
di questa IV Domenica di Pasqua.
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69
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Ci svegliano.
Ci invitano, dolcemente, a prendere coscienza del grande amore
di Dio, solleticando, però, la nostra attenzione.
Con dolcezza.
Ci incoraggiano a sbocciare come fiori di questa nuova primavera,
nella consapevolezza di essere preziosi agli occhi di Dio.
Perché l’amore è uno sbocciare nuovo, perennemente, all’inizio
di ogni giorno.
E Dio, paziente, tesse ogni mattina l’ordito stupendo di questa
storia dove io e Lui siamo i protagonisti.
E da grande innamorato inventa sempre scenari nuovi, parole
nuove, storie nuove per incantare l’amato.
E Lui, esperto conoscitore di mangiatoie e ovili, vero Pastore Buono,
nel Vangelo che la Liturgia oggi ci regala, dipinge l’immagine
vivissima e densissima di questa attenzione divina nei confronti
delle pecore.
Non guarda il gregge nella sua totalità ma imbastisce un rapporto
personale, intimo, rivestendo ognuno di dignità.
Essere chiamati ciascuno col proprio nome, essere chiamati da
Dio, significa essere restituiti alla propria storia, unica, irripetibile.
Perché ogni nome reca con se una storia.
Una storia, però, abitata da Dio, in cui riecheggia la Sua voce che
ci chiama.
Essere chiamati da Dio significa essere abitati dalla Vita.
Le pecore vengono chiamate “per essere condotte, spinte, fuori”.
Perché Dio non vuole mai dei recinti attorno all’uomo.
Incoraggiante l’immagine
di Lui che “ci spinge” fuori
dall’ovile. Lo immagino
mentre ci invita ad uscire
dai nostri recinti, dalle nostre
sicurezze, dalle nostre
paure mentre ci sussurra
nell’orecchio, mentre ci
RIFLESSIONI DI UN PRETE
parla al cuore con la Sua Parola libera e liberante.
Questa è “la spinta” di Dio, sempre rispettosa, attenta.
Mai invadente, mai forzata.
Perché in quell’essere “chiamati per nome” ci vien detto che Dio
aspetta, rispetta i tempi (la storia) di ognuno.
Ma non si arrende.
Ci “spinge” fuori dall’ovile per essere liberi.
Per essere missionari.
“E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a
esse”. Non dietro, dove noi spesso posizioniamo i nostri “pastori”
dell’inevitabile “gregge” presente in ogni presepe.
Ma avanti per guidare, per aprire la strada, per sventare pericoli.
È lui che nella passione ci traccia la strada, ci indica la via da
seguire e ci detta il passo da intraprendere.
Per essere vero compagno di viaggio verso la meta che profuma
ancora questo tempo di Pasqua: «Sono venuto perché abbiano la
vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 4,10)
E... se c’è qualche “pecora nera”, di quelle che “scappano” (ma
questa è un’altra Storia), Lui pazzo d’amore, le corre dietro, la
recupera, se la mette sulle spalle e la riconduce su quel cammino
che è venuto a tracciare.
Il finale, però, è sempre lo stesso: “Perché tutti abbiano la vita”.
Tutti.
In abbondanza.
10.05.2020
La Verità si è rivestita di ordinarietà
«Non sia turbato il vostro cuore» (Gv 14,1).
Ci sono parole che ti “sfregiano” il cuore non perché sono violente
ma perché ti penetrano nell’anima, le senti tue.
E queste parole del risorto, che questo tempo di Pasqua ci con-
70
71
RIFLESSIONI DI UN PRETE
segna nel Vangelo domenicale, hanno l’intensità di un raggio di
luce che taglia, dirada le tenebre e al contempo si portano appresso
tutta la paternità di Dio.
Un Dio che si “preoccupa”, ci vuole gioiosi, non turbati, col cuore
libero, anche di fronte all’incertezza del futuro, anche nei momenti
di crisi.
«Gli disse Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai; come
possiamo conoscere la via?”» (Gv 14,5).
E Tommaso (lui, pragmatico come spesso lo siamo noi) è l’immagine
concreta di questa umanità: fortemente radicato nella sua
razionalità, abitato dalla voglia di comprendere, capace, però, di
librarsi nelle vette altissime della fede, disponibile a mettersi in
discussione di fronte alle proposte di Dio.
Chiede, però.
Come nel cenacolo dove voleva toccare le cicatrici dell’amore che
segna, che scava mani, piedi e cuore.
Come nel Vangelo di oggi che lo porta a raccontare, quasi in maniera
sfacciata, la sua voglia di conoscere la “via” di Dio.
«Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita”» (Gv 14,6)
Via: strada che conduce alla meta ma anche compagno di viaggio
che si palesa, come ad Emmaus, nei momenti di scoramento per
farci dono della sua Parola, del suo Pane.
Verità: ciò che purifica la vista
(degli occhi e del cuore) per
vedere le cose come realmente
sono, per raggiungere l’essenzialità
dell’importante.
Vita: il contrario della morte,
“magia” inafferrabile, scintilla
divina, motore dell’uomo. Vita
donata, (la sua) offerta, amore
oblativo che diventa Ostia salutare,
sostegno per i pellegrini
tra le strade tortuose del mon-
RIFLESSIONI DI UN PRETE
do, pegno di Vita eterna.
Di fronte a tanto mistero le domande dell’uomo non si esauriscono.
È come il ritrovarsi di fronte alla bellezza sterminata del mare,
di fronte alla vetta altissima di una splendida montagna, di fronte
alle profondità insondabili del cielo: vedere tanta bellezza, toccarla
con le mani dei sensi e avere voglia di conoscerne l’artefice.
Al cospetto dei “capolavori” di Dio le domande si infittiscono, le
richieste si azzardano.
«Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”» (Gv 14,8)
Anche lui, come Tommaso, capisce che la verità è una presenza.
Comprende di esserne al cospetto e azzarda la domanda nei
confronti di quell’Uomo che ha veramente il profumo di Dio. Ne
ha la Parola che consola, ne ha lo sguardo che ti invita alla sequela,
ne ha il tocco che ti sana, ne ha il cuore che incendia pericolosi
fuochi d’amore.
Fuochi che ti bruciano.
Ti consumano.
Ti portano a spenderti in “luce” della testimonianza, in “calore” di
amore oblativo.
“Mostraci il Padre e ci basta”.
Quasi fosse la cosa più scontata del mondo.
Patriarchi, profeti, re e saggi, uomini di ogni tempo abitati dall’ansia
e dal desiderio hanno vissuto questa attesa.
Molti sono andati alla ricerca dello straordinario non accorgendosi
che la Via da seguire è un’altra, la Vita da ricercare e prossimamente
vicina, la Verità si è rivestita di ordinarietà.
È proprio come Filippo hanno rischiato di non “accorgersi” che
Dio è già compagno di vita, è già qui non occorre ricercarlo
altrove perché mentre tu lo cerchi, Lui ti ha già trovato.
«Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?
Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,8).
E ci si ritrova dirimpettai di Dio, faccia a faccia, bocca a bocca,
cuore a cuore.
È il miracolo di Emmaus, è l’esperienza degli Apostoli, è l’avventura
72
RIFLESSIONI DI UN PRETE
della nostra vita: avere affianco Dio e correre il rischio di non
incontrarlo.
Rimane bella, però, la richiesta di Filippo.
“Mostraci il Padre”. Il Padre.
È la domanda di chi ha compreso che Dio ha deciso di “vestirsi in
borghese”, di abitare la nostra quotidianità manifestandosi come
Padre. Non il Dio lontano ma il Padre, “ordinariamente” vicino,
prossimo. Non più invisibile ma palpabile nel perdono offerto ai
peccatori, nel servizio offerto agli altri, nei gesti umili e delicati
che hanno, appunto, tutto il sapore della paternità.
Cristo ne è la rivelazione.
Cristo ne è l’epifania, la manifestazione.
E mentre noi continuiamo a sondare l’immensità dei cieli alla ricerca
di Dio, corriamo il rischio di non accorgerci che Lui è già
chino sui piedi dell’uomo per lavarli, per insegnarci come si ama
veramente.
17.05.2020
73
“Dilige et quod vis fac”
L
o ripeto sempre: l’amore (quello vero) è libero e liberante.
Libero, perché non si può imporre.
Liberante, perché quando ami (veramente) puoi fare ciò che vuoi,
diventi responsabile del bene del prossimo, ne diventi custode e
collaboratore.
Ed è nel solco del “dilige et quod
vis fac”, di agostiniana memoria
che mi piace rileggere il Vangelo di
questa sesta Domenica di Pasqua.
“Ama”.
Tutto si gioca su questo invito.
Appunto, un invito.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Anzi, il Vangelo di quest’oggi si apre proprio con questo “appello”:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15).
“Se”. Non un Dio che s’impone, non un Dio che avanza pretese.
Un Risorto libero e liberante, proprio come l’amore.
Anche da risorto quel Falegname che incantava con la Parola
spiazzante, capace di spezzare ogni sorta di vincolo, continua ad
elemosinare ascolto e amore.
Ma sempre rispettoso dell’altrui libertà, sempre attento ai tempi,
alle storie, alle dinamiche degli altri.
Amore e ascolto.
Amore e ascolto, Lui ce lo ha insegnato, camminano di pari passo:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti».
“Se decidi di amarmi, se decidi di seguirmi allora metterai in pratica
ciò che hai ascoltato” - è come se dicesse - “ciò che hai visto”.
Perché Lui, l’amore ce lo ha mostrato.
Quest’amore, ora, ce lo chiede in elemosina.
In tutto il Vangelo ci ha chiesto di amare gli altri, ci ha mostrato
come si spende, come si dona la vita per gli altri.
Qui e solo questa volta, ci chiede le briciole avanzate della nostra
attenzione.
Le chiede per se: “se mi amate”.
A ben pensarci appare come una richiesta scarna, senza condizioni,
senza pretese. Un Dio che resta sulla porta in attesa di essere
invitato ad entrare.
Un’immagine densissima, che toglie il fiato.
Ma viaggiare sulle ali dell’amore totalizzante, pieno, divino, lascia
a noi deciderlo.
È la trappola dolcissima dell’amore che ti fa battere il cuore: se
veramente l’hai conosciuto, non puoi farne a meno.
E così è con lui, il “Signore del rispetto altrui” che sa attendere, sa
aspettare, ostinatamente persuaso che prima o poi l’uomo, ogni
uomo, lo cercherà.
Nel frattempo, però, Lui ama per primo, ognuno, in ogni istante.
Lui, oggi ci assicura la sua ostinata presenza: «Non vi lascerò or-
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fani: verrò da voi» (Gv 14,18)
A noi ci lascia la libertà di amarlo: “se”.
Lui si prende la libertà di amarci.
Per primo.
Senza condizioni.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
24.05.2020
75
In bilico tra fede e dubbio
«Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte
che Gesù aveva loro indicato» (Mt 28,16).
Siamo in Galilea, luogo di confine, perché è proprio lì dove ci
sono i confini che Lui ci insegna a costruire ponti.
Da sempre la Chiesa deve essere sul confine.
Uno spuntone che esce dalle viscere della terra e si innalza verso
il cielo sembra essere il punto di contatto tra umano e divino, tra
terra e cielo ma anche tra popoli diversi.
E su di esso si ritirano gli undici, coloro che nonostante la loro
umanità, nonostante i limiti, gli rimangono
fedeli. Il monte diviene l’ultima
spiaggia di chi cerca ancora di comprendere,
di capire. Undici.
Uno è venuto meno perché ha preferito
trenta monete d’argento, ha rifiutato
la “beatitudine della povertà”.
Undici, anch’essi liberi di andarsene.
Eppure restano.
«Quando lo videro, si prostrarono. Essi
però dubitarono» (Mt 28,17). Mentre
si prostrano, dubitano.
Il cuore, anch’esso è luogo di confine,
perennemente in bilico tra bene e
male, tra fede e dubbio.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Prostrati, ancorati alla terra nel dubbio ma con gli occhi del cuore
illuminati, rivolti verso il cielo.
Perché il cammino di fede ci accomuna tutti.
È lo stesso anche per gli Apostoli.
Anche per i Santi.
È un partire dall’esperienza concreta della propria fallibilità, della
propria finitudine ma avendo ben chiara la meta: il cielo.
Con le mani sporche di terra ma con il cuore capace di volare.
Con i piedi ancorati nella storia ma con gli occhi fissi sull’eternità.
«Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel
nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro
a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20)
E nonostante tutto Lui continua a fidarsi di loro, continua a fidarsi
di noi. Si consegna alla fragilità e all’incoerenza di noi uomini
dubbiosi. Se gli uomini nella fede in Dio continuano a dubitare,
Dio ha fede nell’uomo, continua a fidarsi dell’uomo e si consegna:
Andate! Insegnate!
Insegnare non una dottrina però, ma uno stile di vita: “tutto ciò
che vi ho comandato”. Perché la fede la si insegna vivendola.
Perché la fede la si vive testimoniandola. Mossi sempre da un’unica
certezza: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo» (Mt 28,20).
Nonostante tutto.
Nonostante i dubbi.
31.05.2020
“Pace a voi!”
«Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i
discepoli per timore dei Giudei» (Gv 20,19).
Nel giorno di Pentecoste, al termine dei cinquanta giorni che la
Chiesa ci ha messo a disposizione per riscoprirci abitati dalla
gioia, la Parola ci riconduce al giorno di Pasqua.
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77
RIFLESSIONI DI UN PRETE
La scena descritta da Giovanni si pone in continuità con tante
altre vicende di uomini raccontate nella storia della salvezza.
Da sempre, lo stesso Vangelo, infatti, parla di cuori inariditi, spenti
dalla rassegnazione, di vite vissute a metà tra leggi e impurità,
tra peccati e punizioni, uomini irrimediabilmente perduti e peccatori
emarginati.
«Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!”» (Gv
20,19)
Ma da sempre la Scrittura ci
racconta anche di un Dio che
sa leggere oltre l’apparenze,
che riesce a intravvedere sorgenti
di speranza zampillanti
lì dove la fragilità dell’uomo
sembra proporre solo deserti
sterminati.
Il Risorto torna a scommettere
su questi uomini dal
cuore chiuso come le porte
della stanza in cui si trovano,
torna a salvare questi uomini
da quella stanza abitata dalla paura così come lo era diventata la
loro vita.
«Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli
gioirono al vedere il Signore»
E Colui che da sempre si è fatto Compagno, Amico, li raggiunge,
si fa ri-vedere portando in dono la pace.
Quella vera.
Quella che causa la gioia.
Quella che sconfigge la paura.
Quella che spalanca le porte.
Una gioia che solo il Risorto può donare.
Una gioia che passa da quelle ferite che Lui offre per mostrarci
fino a che punto Dio ci ha amato.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
La Sua presenza nel cenacolo non ha il tono del rimprovero. Serve
a ricordare che se anche noi lo abbandonassimo, Lui attraversa
finanche le porte chiuse, ci viene comunque a cercare per aiutarci
a comprendere quanto siamo preziosi.
Per Lui.
Per Dio.
E in questo episodio straordinario Gesù esagera, decide, come
sempre, di donare con abbondanza: «Detto questo, soffiò e disse
loro: “Ricevete lo Spirito Santo”» (Gv 20,22) Dono dolcissimo
del Padre, Consolatore potentissimo per piegare ciò che è rigido,
scaldare ciò che è tiepido, sanare ciò che sanguina, drizzare ciò
che è sviato.
E si ripete il miracolo di quel lontano mattino sul Lago di Tiberiade
mentre Pietro, intento nel suo lavoro, riassettava le reti:
«Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21)
Sono confermati nel “mestiere” più bello del mondo, essere cooperatori
della Grazia, collaboratori della Salvezza: «A coloro a cui
perdonerete i peccati, saranno perdonati» (Gv 20,23).
Da quel giorno lo Spirito è il respiro vitale di quanti hanno incontrato
il Signore.
È Lui che vivifica.
È Lui che santifica.
È Lui che sana le ferite.
È Lui, l›Amore, a farci figli di Dio.
07.06.2020
Amare si declina con donare
«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio
unigenito» (Gv 3,16).
Con ancora negli occhi “il vento impetuoso” dello Spirito e nelle
orecchie la Parola delle “lingue” di fuoco della Domenica
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79
RIFLESSIONI DI UN PRETE
di Pentecoste, oggi, nella festa della Trinità, siamo condotti nel
cuore di Dio.
Un Dio che anche nell’amore decide di abbondare come quei
pani benedetti, moltiplicati, spezzati e distribuiti ma sufficienti a
riempirne altre dodici ceste con i pezzi avanzati.
Perché quando Dio dona lo fa sempre con abbondanza.
Anche e soprattutto nell’amore.
“Ha tanto amato il mondo”.
Non si limita ad amare ma vuole amarlo “tanto”.
Un “tanto” che vuole indicare un amore smisurato, impossibile da
quantificare, capace di creare una vertigine in chi riesce a comprenderne
la portata.
Un “tanto” esplicato ulteriormente dalle parole successive.
“Tanto da dare il Figlio unigenito”.
Questo è Amare.
Perché l’amore, quando è vero dona e, soprattutto, dona tutto.
Amare, allora, si declina con donare.
Finanche la vita.
Amore unico che assume un triplice nome: Padre-Figlio-Spirito.
Padre-Figlio nomi che dicono la necessità dell’esserci l’Uno per
l’Altro, nell’abbraccio di quel respiro vitale e vivificante dello
Spirito. «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per
condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo
di lui» (Gv 3,17). Non è sufficiente amare tanto.
Non è sufficiente donare il Figlio.
Ci vuole salvi, a tutti i
costi. Ed è di fronte a
questi due versetti che
riscopro la bellezza, il
fondamento del mio sacerdozio.
Un Amore smisurato
che mi farebbe dire
nuovamente, milioni di
RIFLESSIONI DI UN PRETE
volte, il mio “Sì” a Colui che mi Ama-da-Dio.
Buona festa della Trinità a chi si sente amato.
Buona festa della Trinità a chi rinnova, ogni giorno, il proprio “Sì”
all’Amore, alla Salvezza, alla Vita.
11.06.2020
La strada...
“Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è
vicino” (Mt 10,7).
Un’immagine dal “sapore” forte quella della strada che mi piace
rileggere in una pluralità di modi.
La strada che traccio nella/della mia vita che mi porta a mettermi
in cammino per poter passare da ciò che sono a ciò che devo
essere in un continuo migliorarmi.
La strada che devo percorrere per andare verso gli altri per raccontare
loro la prossimità di Dio, la mia vicinanza, la bellezza del
Vangelo. Ciò comporta l’abbattimento di muri, la costruzione di
ponti, l’edificazione di “strade sempre percorribili”, di luoghi di
prossimità, d’incontro.
La strada che imbocco nell’andare verso Dio dove, incredibilmente,
scopro che metà percorso già è stato coperto da Lui nel venirmi
a cercare, nel venirmi a salvare.
E nasce lo stupore nel vedere, nel sentire che “il regno di Dio si
è fatto vicino” ed io posso, devo
contribuire a realizzarlo.
La strada: il Vangelo.
La strada: la bellezza di un Incontro.
Perennemente in viaggio
abitati da una certezza: Lui c’è.
Emmanuele, Dio-con-noi è il suo
nome.
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14.06.2020
L’uomo” tabernacolo vivente “
RIFLESSIONI DI UN PRETE
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo» (Gv 6,51)
Mi pare che tutta la vita del Nazareno abbia un filo conduttore
che lo lega indissolubilmente al pane.
Fin dal suo apparire in una “mangiatoia”, a Betlemme-casa-del-pane.
E poi le miracolose moltiplicazioni dei pani, dono della bontà sovrabbondante
di Dio che passa attraverso la condivisione. Perché
se l’uomo con-divide ciò che possiede, Dio non è da meno, moltiplica
a dismisura fino ad avanzare.
L’odore fragrante del pane benedetto, spezzato, distribuito resterà
per sempre nel cenacolo anche nel gesto di quel boccone
donato a Giuda, incapace di lasciarsi profumare da Lui, Pane vivo
che si dona, fino ad Emmaus, dove lo riconoscono, ormai risorto,
nello spezzare il pane.
Il Pane, allora, rimane l’immagine per eccellenza della sua missione,
impregnato di resine odorose come le sue mani di falegname,
imbibito di perdono per i peccatori come le sue mani missionarie
che cercano quanti si perdono, saturo dell’aroma di pane fresco,
spezzato, donato, mangiato come le sue mani da Dio che si offre
agli uomini.
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e
io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54)
Follia d’amore di Dio!
Un Dio che s’incarna nella semplicità di un Bambino adagiato su
poco fieno, un Dio che muore su una croce, un Dio che si fa Pane
per essere mangiato che sceglie la fragile semplicità di un pezzo
di pane “bianco” per restare sempre con noi.
Disarmante: Dio decide di stare sempre tra noi, con noi, in noi.
Per sempre.
Una Bellezza da batticuore la sua scelta, la solennità odierna, il
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
Vangelo regalatoci.
Una Bellezza che si rinnova in ogni messa ogni qualvolta irriverenti,
distratti, stupiti, compiti tendiamo quelle mani ad accogliere
“l’Arreso all’amore” che nonostante tutto continua a “farsi
mangiare”.
Ed è qui che si compie il miracolo in me, in noi.
Noi che gli abbiamo costruito cattedrali, chiese e monumenti
dobbiamo ri-comprendere che Lui, da solo, s’é costruito quel
“tabernacolo vivente” che è l’uomo ogniqualvolta si ciba di Lui.
Ed io col mio essere prete contemplo in ogni messa il miracolo
del Suo farsi Pane.
Ogni giorno.
Buona festa del Corpus Domini.
19.06.2020
Il linguaggio del cuore
«Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché
hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti
e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25)
Queste Sue poche parole sono sufficienti a farci entrare nel cuore
di Dio, ce ne fanno comprendere la logica, hanno la capacità di
delinearne il più bel ritratto.
Sono trascorsi duemila anni.
Imperi e potenti sono tramontati, dimenticati.
Lui con la Sua umiltà continua a regnare.
Perché, in fondo, il linguaggio del cuore è l’unico
che rimane, l’unico che ogni uomo di ogni
tempo, di ogni luogo, continuerà a capire.
E mentre noi continueremo ad affannarci nella
ricerca di ciò che può farci “grandi”, Lui conti-
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nuerà a parlare, scegliere ed amare i “piccoli”.
Buona festa del Sacro Cuore.
Amiamo e ne comprenderemo tutto il messaggio.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
21.06.2020
“Non abbiate paura!”
«Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure
nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre
vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati.
Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!»
(Mt 10,29-31).
di fronte alle paure dell›uomo che Lui, Dio, si fa ancora più
È tenero.
Quando il turbamento, il tormento, lo scoramento rischiano di
prendere il sopravvento nella vita dell’uomo, la Parola diventa
sguardo dolce, tenero, interessato.
Si incarna, accarezza, lenisce, guarisce.
Riscrive la vita dell’uomo, ci corregge: “non abbiate paura!”.
E lo fa con parole tenere, senza alcun rimprovero che rinvigoriscono
l’anima, si incidono nel cuore.
Persino due passeri non possono venire meno senza che ci sia un
coinvolgimento da parte di Dio.
Anche per i passeri Dio si scomoda, si lascia commuovere, diventa
partecipe, perché nulla accade nel mondo senza che Dio
non ne sia coinvolto, pronto a ricordare ad ogni creatura: “tu sei
prezioso per me!”.
E la notizia gioiosa di oggi mi parla di quest’amore smisurato
(proprio come Dio), immenso (proprio come il suo cuore): “voi
valete più di molti passeri”.
E Dio, che di amore se ne intende, ci dona la cifra delle sue attenzioni:
“perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati”.
Proprio come un amante geloso.
83
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Lo stupore mi invade: “io sono prezioso per Dio”.
E lo stupore si tramuta in gioia, la paura scompare e la gratitudine
mi porta a dire che Lui sa amare, mi ama da Dio.
23.06.2020
“Perle preziose”
«Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle
davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e
poi si voltino per sbranarvi» (Mt 7,6).
Parole dure che non sembrano concordare con la misericordia
di Gesù a cui siamo abituati.
Eppure, a ben pensarci, sono un ulteriore stimolo di verifica da
applicare alla nostra vita (non a quella degli altri) per essere sempre
più impregnati del buon odore di Cristo.
Nel discepolato dovremmo imparare a distinguere il valore delle
“cose” affidateci, a riconoscerle come dono e custodirle come
“perle preziose”.
Il Vangelo stesso è un tesoro inestimabile, è Parola di Dio da
non sprecare, da vigilare, da proteggere da coloro che apparen-
84
RIFLESSIONI DI UN PRETE
temente dicono di volersi convertire per nascondere (finanche a
loro stessi) altre finalità.
Il criterio di verifica rimane sempre la carità: «Tutto quanto volete
che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti
è la Legge ed i Profeti» (Mt 7,12).
È straordinaria la versione della «regola d›oro» propostaci in
positivo.
Matteo non dice “non fate agli altri ciò che non vorreste fosse
fatto a voi” perché non è sufficiente non fare il male.
Siamo chiamati a non fare il male per fare il bene, a spenderci, a
donarci.
Siamo “vocati” a diventare noi stessi “perle preziose” semplici
come colombe e prudenti come serpenti.
Riscopriamo il nostro valore (e quello altrui) alla luce della Parola
di Dio.
28.06.2020
Lasciarsi illuminare dall’Amore
«Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me» (Mt
10,37).
Parole dure al pari, quasi, di una bestemmia, capaci di creare
scandalo perché contravvengono alla normale legge del cuore,
degli affetti. Eppure hanno il fascino della verità perché a pronunciarle
è Colui che d’amore se ne intende.
Parole esagerate proprio perché esagerato, sovrabbondante è
l’amore che Lui, per primo, ci riversa in grembo.
In fondo è proprio questo il termine di paragone da assumere.
Ci viene chiesto di innamorarci di Dio nello stesso modo in cui
Lui è innamorato dell’uomo, amando tutti i nostri affetti ma non
dimenticandoci che Lui è l’Amore, coltivando i nostri beni ma
85
RIFLESSIONI DI UN PRETE
tenendo sempre bene in mente che Lui è il Bene.
Si tratta, quindi, di non lasciarsi abbagliare dai sentimenti per
lasciarsi, invece, illuminare dall’Amore.
Quello vero. «Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere
d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in
verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42).
Anche un gesto semplice come l’offrire un bicchiere d’acqua, diventa
immagine di questo modo di amare perfetto.
Ed è proprio tra le esagerazioni del Vangelo di oggi che si annida
la verità del nostro Dio che si pone al di sopra dei nostri sentimenti
più cari e si nasconde, però, in un semplice bicchiere d’acqua.
Un nascondersi, quello di Dio che si pone tra due estremi: l’eroicità
della croce, la quotidianità di un bicchiere d’acqua donato in
Suo nome. Due poli che abbracciano tutta l’esistenza dell’uomo
perché quando stanchi, delusi,
arrabbiati, smetteremo di cercarlo,
sorprendentemente lo
troveremo affianco a noi nei
gesti di chi ci sta accanto.
Basta un solo atto d’amore, una
croce presa in carico, un bicchiere
d’acqua offerto per scoprire
che Dio c’è.
03.07.2020
Vide e credette
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con
loro quando venne Gesù. (Gv 20,24).
on era CON loro”.
“NÈ il dramma dell›isolamento, della chiusura solipsistica,
contraria alla natura stessa dell›uomo.
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87
RIFLESSIONI DI UN PRETE
È proprio dell›uomo l›essere «con» l›altro, è insito nella sua
natura, scritto nella sua dimensione creaturale «Poi il Signore Dio
disse: «Non è bene che l›uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto
che gli sia simile»» (Gn 2,18).
Non è bene che l’uomo sia solo.
Mai.
E noi siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio, del nostro
Dio che è “relazione” già nel nome, Padre, che da sempre è il
Dio-CON-noi.
E nella com-unità che il Risorto si manifesta, nell’essere con gli
altri che si fa l’esperienza del Risorto che viene.
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli
che non hanno visto e hanno creduto!» (Gv 20,29)
A quanti, come Tommaso, chiedono un segno affinché possa generarsi
in loro la fede, Gesù propone di credere affinché la loro
stessa vita diventi “segno”.
Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto.
È la beatitudine della fede.
Il Discepolo amato “vede” le bende per terra e crede.
Non vede il Risorto ma il sepolcro vuoto.
E nonostante ciò crede.
«Allora entrò anche l›altro discepolo, che era giunto per primo al
sepolcro, e vide e credette» (Gv 20,8)
Vide e credette.
Due modi diversi di “vedere”.
Quello di Giovanni.
Quello di Tommaso.
Ma dolcissima rimane la disponibilità del Signore che soddisfa le
“esigenze” diverse di ogni cuore credente: «Poi disse a Tommaso:
“Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e
mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”»
(Gv 20,27).
Affinché ognuno possa giungere all’unica certezza che Gesù è il
«Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20, 28).
RIFLESSIONI DI UN PRETE
05.07.2020
Il Dio dal cuore divinamente umano
In fin dei conti le anime più belle, quelle più sensibili, hanno a
che fare poco con chi da sempre si è crogiolato nelle stanze dei
bottoni, vestendo le tuniche dalle maniche larghe e dalle frange
lunghe del potere.
Le anime più belle sono quelle sfregiate, ferite dalla vita che conoscono
il peso delle lacrime, il sapore amaro delle sconfitte e
l’acre odore del sudore.
Sono uomini, spesso falliti agli occhi del mondo ma belli perché
terribilmente umani, consci delle proprie storie impastate di tentativi
andati a male.
Sono uomini caduti mille volte che hanno provato, sempre, la
fatica della dignità nel rialzarsi.
Hanno aguzzato i sensi, però, sanno ascoltare il battito di ali della
farfalla, sentire l’odore del sole che sorge su un campo ancora
bagnato di rugiada, la voce profonda del mare che scava le fondamenta
degli scogli e la voce silente delle stelle che ammirano
la bellezza della luna che, ogni sera, prigioniera della sua vanità,
ostenta il pallore della luce che la abita.
Uomini, falliti, ultimi, disprezzati.
Abitati dalla poesia, attenti alla grandezza delle cose piccole perché
tutto è dono.
E mentre i potenti percorrono i corridoi vuoti del loro ego, abitati
soltanto dall’eco delle loro lezioni senz’anima, altisonanti, solo
i piccoli, gli ultimi si accorgono di Lui, l’immensamente grande
fattosi straordinariamente piccolo.
Talmente abituati nella ordinarietà della loro vita, questi ultimi,
non si accorgono che loro diventano lo stupore di Lui: «Ti rendo
lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto
queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt
11,25)
Allora malati, poveri, vedove e bambini, gli ultimi, le periferie,
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
ogni sorta di uomo senza
qualità alcuna, diventano gli
amati da Dio.
Solo loro si accorgono di
quanto Dio è capace di amare.
Solo loro, abituati, comprendono
il linguaggio della tenerezza.
E Dio diventa il loro rifugio sicuro: «Venite a me, voi tutti che siete
stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo
sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e
troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il
mio peso leggero» (Mt 11,28-30)
Da loro Dio “impara” lo sguardo tenero, la melodia dell’umanità
più vera, quella che Lui ha voluto assumere facendosi realmente
uomo restando pur sempre Dio.
Il Dio dei piccoli.
Il Dio dal cuore divinamente umano.
06.07.2020
89
“Le prese la mano”
I
ndossate le vesti della Misericordia, a tavola, consuma il pasto
con i peccatori e con ogni sorta di rappresentanza degli scarti
d’umanità, gli sminuiti, i senza valore, mentre il vociare sdegnato
dei farisei mette in discussione il suo essere Dio.
Come può il Messia lasciarsi contagiare dal morbo dell’amicizia
degli impuri?
Come cani rabbiosi si avventano sull’Agnello mansueto, pronti
a coglierlo in fallo mentre Lui presenta il volto più dolce di Dio.
Loro covano progetti di morte, la Provvidenza prepara due miracoli
per far sbocciare la vita nelle membra irrigidite di una fanciul-
RIFLESSIONI DI UN PRETE
la “addormentata” e di una donna il cui sangue comincerà a scorrere,
come linfa nuova, in un corpo rimarginato, sanato, salvato.
«Giunse uno dei capi, gli si prostrò dinanzi e disse: «Mia figlia è
morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella
vivrà». Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli» (Mt 9, 18-19).
Uno dei capi.
Gli si prostra dinanzi.
È l›atteggiamento di chi ne comprende la Bellezza e stramazza a
terra sotto il peso delle preoccupazioni, spogliandosi degli inutili
titoli e privilegi.
Un “capo” steso a terra,
con la polvere in faccia
mentre la vita lo bastona
tra capo e collo con la
morte di una figlia.
Prostrato dal dolore ma
non sopraffatto dalla disperazione,
abitato dalla
speranza e da una fede
autentica che lo porta a riconoscere il Signore.
Gesù si alza.
Quando l’uomo si prostra, Dio si alza per andargli incontro e risollevarlo.
«Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni,
gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva
infatti tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello,
sarò salvata»» (Mt 9, 20-21).
Un tocco “rubato” che lungi dall’essere un portafortuna ha piuttosto
il sapore dell’intimità, della carezza, di un bacio furtivo.
Dinanzi alla Bellezza che passa per strada il fiato viene meno, la
paura della trasgressione delle regole rituali scompare, il coraggio
avanza nel disperato tentativo di porre rimedio ad una malattia
lunga dodici anni.
«Gesù si voltò, la vide e disse: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha
90
RIFLESSIONI DI UN PRETE
salvata»» (Mt 9, 22)
Dio ama i coraggiosi e li premia.
Si volta a guardare questa donna che ha avuto la forza di stendere
la mano per scaldarsi al fuoco della salvezza e non solo la guarisce,
la salva, donandole finanche il nome dolcissimo di “figlia”.
«Arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la folla
in agitazione, Gesù disse: «Andata via! La fanciulla infatti non
è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma dopo che la folla fu
cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò» (Mt
9, 23-25).
Una sollecitudine quella del Maestro che sembra arrivare in ritardo:
“è morta” grida la folla in agitazione.
“Dorme” constata l’Autore della vita.
Alla cacciata della folla deridente segue il Silenzio, non una parola.
Il Silenzio diviene Parola di Dio che non dice ma fa: “le prese la
mano”.
È il tocco di Dio dinanzi a cui la morte arretra e la Vita si compie.
12.07.2020
91
La scommessa di Dio
«Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una
parte cadde lungo la strada [...] Un’altra parte cadde sul
terreno sassoso [...] Un’altra parte cadde sui rovi [...] Un’altra
parte cadde sul terreno buono» (Mt 13,3-8).
il Vangelo della scommessa di Dio.
È Un Dio che s’intende di semi, di spighe dorate, di terra.
Che conosce il mare, la pesca, le barche e le reti.
Parla volentieri di lievito, di sale, di luce e di ovili.
Ma, soprattutto, conosce il cuore dell’uomo, ne scruta l’animo e
ne comprende lo sforzo, la fatica nel far emergere quel meraviglioso
tesoro nascosto che si porta nell’intimo, nel “vaso” fragi-
RIFLESSIONI DI UN PRETE
lissimo della sua finitudine. Gesù, allora, comprende l’uomo nel
suo continuo lavorio nel cercare la coerenza, il suo impegno nel
rapportarsi con il dono magnifico della libertà, talvolta abusata.
Allora ecco che sulle Sue labbra, la storia del seme, delle spighe,
del seminatore, hanno il gusto dell’eternità, assumono i colori
del divino e la missione dell’annuncio diviene storia di semina, di
chicchi “sprecati”, donati con abbondanza.
Proprio come la presenza di Dio, grande, immensa, sovrabbondante
che si fa vita donata.
Diventa bello, allora, l’annuncio del Regno che diviene più vicino,
più accessibile perché
la figura familiare del Seminatore ci restituisce il vero volto di Dio,
un Dio che generosamente continua a spargere il buon seme
della Parola.
Sempre.
Su tutti.
Su ogni tipo di terreno.
Questa è la scommessa di Dio: seminare sempre e dovunque.
Sempre e comunque, tra rovi, sassi e, finanche, sul selciato.
Perché Dio è un sognatore e continua a scommettere che anche
il cuore più indurito, anche quello asfaltato dalla durezza e
dall’incoerenza, prima o poi “produrrà frutto“.
E Dio, il nostro Dio, sognatore e ottimista, con abbondanza, con
gesti larghi di misericordia, continua a gettare il seme della Parola
nel cuore degli uomini soffocato dalle parole.
Anche se questa può essere portata via, rubata dal nemico, anche
se questa rischia di cadere tra i macigni di cuori appesantiti
o tra le mille spine delle preoccupazioni
perché essa continua ad
illuminare.
Sempre.
Il Vangelo, questa Parabola, quindi,
non ci racconta lo spreco di un
“Dio-Seminatore” distratto e in-
92
RIFLESSIONI DI UN PRETE
capace, quanto piuttosto la sua caparbietà nel continuare a credere
nell’uomo, la sua ostinazione nello scommettere che prima
o poi, l’uomo sarà “terreno buono”.
Dio ci manifesta così la sua attenzione, la sua Paternità.
A noi non resta che dissodare il terreno della nostra esistenza per
renderla disponibile all’accoglienza del “seme gettato” da mani
divine, dalla bocca che possiede “Parole di vita eterna”.
«Chi ha orecchi, ascolti» (Mt 13,9).
19.07.2020
93
La pazienza di Dio
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del
buon seme nel suo campo» (Mt 13,24).
Anche questa domenica il Vangelo ha l’odore, il sapore del
Pane.
Si parla di spighe, di semina, di terra.
E riemerge con estrema bellezza l’immagine di Dio, del nostro Dio
che vuole sporcarsi le mani con questa terra mentre noi, spesso e
volentieri, siamo tentati di relegarlo nell’alto dei cieli.
Un Dio che, ricordiamocelo, ha tratto l’uomo (il suo capolavoro)
da una manciata di terra.
Non da una terra qualsiasi ma da quella più nobile, più fine, in
grado di produrre frutto perché Dio, per la sua creatura, per l’uomo,
ha la delicatezza di scegliere sempre il meglio.
E mi piace rileggere il Vangelo odierno partendo da questa realtà:
quella “terra” che io sono, quel campo che è la mia vita in cui
Dio semina del buon seme, il seme del bene.
E il sogno di Dio è vederlo fruttificare mentre già Lui ne ha dissodato
le zolle, ne ha spianato i dossi, ne ha colmato gli avvallamenti.
«Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della
zizzania in mezzo al grano e se ne andò» (Mt 13,25).
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Da sempre il nemico di Dio tenta di imitarne i gesti, si ostina nel
volerne usurpare il posto.
Dio sparge la semente in pieno giorno, al tepore dolcissimo della
luce del sole che genera vita, mentre l’altro, il divisore, la caricatura
di ogni forma di divinità, semina con la complicità delle
tenebre, insinuandosi nel buio proprio come la morte.
Mentre Dio sparge del buon seme, l’altro semina un prodotto
fasullo, inutile, dannoso come la zizzania.
Mentre la semina di Dio è pronta a generare frutto, quella del nemico
può solo produrre il nulla assorbendo, comunque, energie
vitali che vengono, così, inutilmente perse.
Così accade ogni qualvolta siamo inclini al male: investiamo inutilmente
la nostra fatica, i nostri sforzi per poi restare a mani vuote,
più poveri di prima.
Il male non è mai un buon investimento.
«E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No,
rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con
essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano
insieme fino alla mietitura» (Mt 13,29-30)
Dolcissima la pazienza di Dio che vuole che neppure una spiga
vada perduta, frutto della Sua semina ma anche della collaborazione
di ogni uomo che ha un cuore sincero, disponibile all’ascolto,
aperto alla grazia.
I servi si fermano a guardare l’apparire del male, lo spuntare della
zizzania.
Dio, con occhio provvido, sa guardare avanti, già intravede il
bene.
È la storia dell›uomo, il terreno della sua vita in cui le radici del
grano buono e della zizzania, del bene e del male, continuano a
intrecciarsi ma agli occhi di Dio una spiga di buon grano vale più
di un intero campo invaso da inutili, sterili, erbacce.
È solo questione di prospettiva: Dio guarda sempre e solo al bene.
Grano e zizzania.
Due piante, due spighe ma solo una avrà il grembo gravido, pron-
94
RIFLESSIONI DI UN PRETE
to ad esplodere di vita.
Bene e male.
Due dimensioni che
mettono radici in noi
ma solo una sarà in
grado di partorire gesti
vitali, vivificanti, abitati
dalla grazia.
Assumiamo lo sguardo
di Dio, fermiamoci sul
bene, difendiamolo,
portiamolo a maturazione e la zizzania infestante che comunque
ci abita, avrà sempre meno spazio da occupare, mentre il “campo”
della nostra vita diventerà sempre più un mare di spighe dorate,
accarezzato dalla mano di Dio.
26.07.2020
95
Qualcuno ha interrato un tesoro per me
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo;
un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende
tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è
simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose;
trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi
e la compra» (Mt 13,44-46).
Mentre noi, ubriacati di elaborati sofismi teologici ci concentriamo
su un Cristianesimo fatto di rinunce, di conti in perdita,
Lui che di Dio e di uomini se ne intende, ci dice che il regno
dei cieli è un “tesoro”, una “perla di grande valore”.
Tesoro, perla, doni da cercare, da scoprire, da conquistare.
Tesoro e perla, un qualcosa, insomma, per cui vale la pena abbandonare
tutto per diventare ricchi di gioia.
Gioia improvvisa, ineguagliabile che sgorga dallo stupore, dalla
RIFLESSIONI DI UN PRETE
meraviglia di chi è cosciente di aver trovato qualcosa per cui vale
la pena investire tutto.
Gioia improvvisa, ineguagliabile che spinge a scelte drastiche
perché si è trovato il “tesoro”, la “perla” dell’amore di Dio.
«Poi va, pieno di gioia» (Mt 13,44) ecco il segreto degli abitatori,
degli abitati del Regno di Dio perché essa, la gioia, è il frutto
di un›autentica conversione, di un «Incontro» vero, che ti
porta a dimenticare quanto si è lasciato per avere sempre più
consapevolezza di ciò che si è trovato.
Spinti, riempiti da questa passione, avventuriamoci in questa meravigliosa
“caccia al tesoro” che è la nostra vita avendo contezza
che Qualcuno ha interrato un tesoro per me, mi ha riempito il
sentiero di perle preziose.
02.08.2020
Non più folla ma comunità
«Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì
compassione per loro e guarì i loro malati» (Mt 14,14).
sera ormai.
È Le ombre si allungano mentre il cielo attinge colori caldi da
tavolozze macchiate di arancio, rossi e gialli. Le stesse acque del
lago sembrano incendiarsi nel capovolgere le immagini di tutto
ciò che in esse si riflette, mentre la folla attende Colui che ha Parole
di fuoco in grado di infiammare cuori, vite, speranze.
E puntuale come un innamorato arriva.
Arriva e “vede”.
E quel suo vedere diviene declinazione
del verbo amare.
Accarezza con lo sguardo la
vita di ogni accorso, non della
folla, ma di ogni singolo uomo
che compone la “grande fol-
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97
RIFLESSIONI DI UN PRETE
la”. Ne avverte l’affanno, ne misura i battiti dei cuori inquieti, ne
raccoglie le lacrime, le attese e “sente compassione”.
Perché Dio avverte “la fame” che abita le nostre vite, non è distratto
e assente ma un Padre attento e premuroso.
Sente compassione e interviene: “guarì i loro malati”.
«Gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed
è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi
da mangiare»» (Mt 14,15).
I discepoli, coloro che si sono messi alla sua scuola, vigili e sensibili
iniziano ad affinare l’animo, ad accorgersi della mancanza
del necessario nella vita dell’altro ma continuano a ragionare,
calcolare e proporre soluzioni troppe umane: “congeda la folla”
perché ognuno si procuri del cibo.
Non hanno ben compreso che il discepolo deve sperare l’insperato,
è scelto per andare, condividere, moltiplicare e saziare la
fame di quanti si incontrano.
«Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro
da mangiare»» (Mt 14,16) come per dire: impegnatevi, realizzate
ora il Regno di Dio, iniziate a portare i pesi gli uni degli altri, da
abitati dallo stupore stupite «la folla» diffondendo la gioia di un
Vangelo non più raccontato ma realizzato.
«Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!» (Mt 14,17).
Quando si schiudono le mani e si aprono i cuori germoglia la
condivisione.
È il miracolo che l›uomo può compiere.
È il miracolo che, poi, Dio porta a compimento.
«Recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i
discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i
pezzi avanzati: dodici ceste piene» (Mt 14,19-20).
Quando Dio benedice il poco che l’uomo condivide, nascono sazietà
e abbondanza.
Un pane condiviso, benedetto, moltiplicato, avanzato che ha il
sapore della poesia, del cielo, del miracolo.
Cinque pani: una goccia che sfama l’oceano dei cuori cercatori
RIFLESSIONI DI UN PRETE
di Dio che scardina lo schema del “comperarsi” (che necessariamente
genera disparità tra chi molto possiede e chi non ha nulla)
per lasciare spazio alla meraviglia del condividere-benedicendo.
Da allora questo rimane uno dei miracoli più belli che la Chiesa
può fare (ancora oggi): trasformare la folla in comunità.
Comunità che ha la fragranza del Pane.
16.08.2020
“Signore, pietà di me!”
«Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione,
si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia
figlia è molto tormentata da un demonio»» (Mt 15,22).
Soltanto ieri contemplavamo la storia della Donna divenuta primizia
e profumo di speranza per le sorti dei figli di Dio, eccola
oggi, la storia di un’altra donna, una Cananea, una madre provata
dal dolore, insistente, come solo le madri afflitte sanno esserlo.
E il Vangelo che ci racconta storie di vite guarite, salvate, ci dice
pure che le donne, in questa meravigliosa storia di salvezza, sono
sempre forti, presenti, collaboratrici della potenza salvifica del
Rabbi di Nazareth, che deve essere manifestata.
Non è una discepola.
È una straniera.
Non ha la fede dei dotti, dei teologi ma la fede delle madri afflitte.
Eppure lei conia la preghiera più bella: “Signore, pietà di me!”,
pronta a commuovere quel Dio che neanche conosce.
«Ma egli non le rivolse neppure una parola» (Mt 15,23)
Ancora più grande, però, è la fede di questa donna, convinta di
riuscire a cambiare il cuore di Dio: «Ma quella si avvicinò e si prostrò
dinanzi a lui, dicendo: “Signore, aiutami!”» (Mt 25,25).
Si prostra.
Si inchioda ai suoi piedi aggrappandosi all’unica salvezza per la
vita della figlia, decisa a non muoversi senza aver ottenuto la mi-
98
RIFLESSIONI DI UN PRETE
sericordia cercata.
Appare strana e dura la reazione di Colui che ha teso la mano
a coloro che lo tradivano, che ha placato la sete di vita di donne
adultere, che ha chiamato e scelto uomini che da pubblicani,
ostentavano il loro peccato.
«Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini» (Mt
15,26).
Lui che ha sfamato una folla immensa con pochi pani moltiplicati
dalla sua parola benedicente, sembra spegnere quest’ultimo bagliore
di speranza che abita la vita, i passi, i gesti di questa madre.
«È vero, Signore – disse la donna, – eppure i cagnolini mangiano
le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (Mt 15,27)
Maestra di fede non s’allontana da Lui perché non prontamente
esaudita, non abbassa le serrande del dolore di fronte alla luce
della fede, ma con l’umiltà di chi ha compreso che non deve dire
a Dio il da farsi, riformula la domanda, resta ancorata nella speranza
e chiede il dono di essere “donna delle briciole”.
«Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga
per te come desideri»» (Mt 15,28)
Una duplice conversione: Gesù si lascia convincere dalla preghiera
della cananea e la cananea comprende che non si può chiedere
il miracolo senza prima divenire discepoli, ascoltatori del
Maestro.
La fede, come sempre, compie miracoli!
99
RIFLESSIONI DI UN PRETE
23.08.2020
«La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13)
Nel lungo peregrinare per le strade assolate e polverose, Lui,
il Divino Viandante con i piedi impolverati e stanchi ma con
le mani che hanno il tocco creativo di Dio, avverte la necessità di
fermarsi.
Senza sosta ha annunciato la bella Notizia del Regno, non più
lontano ma già presente.
Ha ribaltato il piedistallo dei potenti spalancando le porte della
salvezza agli ultimi, gli esclusi, gli scarti della società che per un
errore di comprensione della “legge divina” da parte dell’uomo,
erano allontanati per sempre da Dio a causa di una impurità mai
sanabile perché un “impuro” non è degno di Dio. E Lui che di
Dio se ne intende, predica, annuncia che Dio vuole essere degno
dell’uomo, si abbassa per far comprendere che non occorre essere
“puri” per incontrare Dio ma è l’incontrare Dio che ci monda
il cuore.
Ha raddrizzato mani rattrappite, incapaci di dare e ricevere affetto.
Ha plasmato lingue mute, morte, accarezzandole col tocco
della Parola, del Verbo.
Ha aperto occhi e cuori chiusi nell’ombra oscura dell’emarginazione
e della rassegnazione, spalancandoli alla luce di una dignità
precedentemente perduta, finalmente restituita.
Ha parlato di per-dono.
Un qualcosa che non si merita, non si compra, non si mercanteggia.
Si ottiene solo per-dono.
Una tra le cose più belle che Dio può fare.
Una tra le cose più belle che gli uomini devono fare per assomigliargli.
Ed ecco che il Regno di Dio inizia ad albeggiare sulla terra, a
germogliare in questo mondo, affondando le radici nel cielo e
spargendo i suoi tralci infestanti sulla terra, carichi di frutti di benedizione.
100
101
RIFLESSIONI DI UN PRETE
È ora, però, di fare il punto: «la
gente cosa ha compreso? La
gente che cosa pensa di Lui?»
«Risposero: «Alcuni dicono
Giovanni il Battista, altri Elia,
altri Geremia o qualcuno dei
profeti»» (Mt 16,14)
Sembra di sentirle le voci ai crocicchi
delle strade, nei pressi della sinagoga, sulle rive del lago
mentre cercano di comprendere l’identità di quest’Uomo che sa
di Dio perché ne ha la Sapienza ma anche il sapore nel parlare,
nell’agire. Necessariamente uno dei grandi del passato: o un
martire perché i martiri sarebbero tornati in vita o un profeta
scampato alla morte. Purtroppo, i contemporanei di Gesù (come
spesso anche noi) sempre rivolti all’antico, incapaci di comprendere
e gustare il nuovo.
«Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?»» (Mt 16,15)
Un’avversativa dal gusto fortemente interpellante che esige una
risposta, una risposta diversa, però.
Il Cuore amante chiede di essere riconosciuto dall’amato.
«Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»(Mt
16,16).
Una professione di fede vera, autentica, sincera da parte di chi ha
ancora mani callose per le troppe reti riassettate, di chi ha la pelle
bruciata dal sole che sa di salsedine ma che ha affinato il cuore e
comincia a comprendere.
Ha solo iniziato il suo percorso di “conversione”. Deve ancora
capire che cosa significhi “Cristo”.
Imparerà a sue spese che la sua idea di Messia è lontana da ciò
che il Cristo vuole dire, da ciò che Cristo vuole essere.
«E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa
e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa» (Mt 16,18)
Pietro delinea l’identità di Gesù.
Gesù inizia a profilare l’identità di Pietro.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Da sempre è così: quando l’uomo apprende qualcosa in più su
Dio, scopre qualcosa in più anche di se stesso.
“Tu sei Pietro”, il primo sasso, il primo mattone che la Roccia, la
Pietra Angolare utilizzerà per costruire la sua Chiesa.
Da allora Pietro, esperto di reti, barche, mare, reti e remi continua
ad essere il primo mattone della casa costruita sulla Roccia.
Salda, sicura, stabile come lo sarà ogni cuore che, come quello di
Pietro, resterà per sempre abbarbicato a Cristo.
RIFLETTENDO (arrabbiato) AD ALTA VOCE
Una “ normale “ giornata al Pronto soccorso
L
unedì alle 04:30 partenza da Locri per arrivare, in Puglia (volando),
alle 08:20 presso lo studio medico di famiglia per ritirare
una ricetta medica che prescriveva un ricovero per fibrillazione
atriale e una grave forma di astenia.
Nel pomeriggio si parte.
Alle 16:00 si arriva nel fatidico ospedale.
Pronto soccorso stracolmo di gente (un vero e proprio assembramento
con tanto di poliziotti che hanno portato un ammanettato
in pronto soccorso e un’intera squadra di vigili del fuoco che si
sottomettono al famoso tampone).
Una minuscola stanza, senza bagni e con distributori d’acqua e
bevande fresche fuori uso, nonostante continuassero a “ingoiare”
monete senza rilasciare i preziosi liquidi refrigeranti.
Passano le prime ore e tutti vengono chiamati per il tampone
anticovid (nonostante l’assembramento precedente).
Inizio del calvario.
Verso le 20:45 primo colloquio con uno dei due medici disponibili.
Una ragazza giovane già stanca, estenuata.
Analisi, controllo dei sali minerali per eventuale idratazione, eco-
102
103
RIFLESSIONI DI UN PRETE
cardio.
Si constata fibrillazione in atto.
Si invita il paziente a ritornare a sedersi in pronto soccorso nonostante
l’astenia che lo porterebbe a sdraiarsi anche a terra.
Nessuna barella disponibile (dopo l’ennesima arrabbiatura arriverà
alle 01:30).
Trascorre il tempo.
Arrivano altri pazienti.
Due di loro, (uno arriva alle 21:00, l’altra alle 00:45) due giovani
ragazzi con fratture al braccio.
Vengono abbandonati anch’essi sulle sedie con le braccia (rotte)
a penzoloni.
Alle 04:30 viene comunicato loro che possono ritornare a casa.
Senza nessun intervento.
Devono presentarsi alle 08:00 direttamente in ortopedia.
Trascorre il tempo.
Ore 01:00 arriva un anziano con l’orecchio che necessita di punti
di sutura.
Nel sonno è caduto dal letto ed ha urtato contro il comodino.
Alle 09:00 del giorno dopo avrà ancora l’orecchio spappolato.
Pensando che avrebbe risolto prima con i punti di sutura, in un
PRONTO soccorso, non ha portato i farmaci salvavita che deve
prendere regolarmente al mattino.
Alle 04:15 arriva un anziano che viene fatto accomodare su una
sedia a rotelle.
Ha una frattura alla gamba.
Per ben quattro ore supplica per avere un antidolorifico.
Alle 08:30, finalmente, un’infermiera scocciata esce dalla sua
“guardiola” con una siringa, lo invita ad aprire la bocca e gli inietta
sotto la lingua il sospirato antidolorifico.
Nel frattempo il pronto soccorso si è svuotato e poi riempito.
Io in attesa di altri esami per mio papà.
Alle 05:30 ci viene comunicato che è necessaria un’altra visita cardiologica.
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Aspettiamo.
Alle 07:00 chiedo informazioni sulla visita cardiologica e mi vien
detto che il cardiologo è impegnato in un “codice rosso”.
Alle 08:30 torno a chiedere informazioni.
Risposta: “il cardiologo è in sala operatoria”.
Alle 09:00, dopo 17 ore in pronto soccorso decido di tornare a
casa con un uomo con fibrillazione in corso che non ha dormito,
non ha mangiato, non ha bevuto.
Tutto questo senza alcun risultato.
Prima di partire gli viene sfilato l’ago dal braccio che gli era stato
lasciato dal primo prelievo per altre eventuali analisi.
Uscendo dal pronto soccorso il braccio inizia a perdere copiosamente
sangue (uno con problemi di cuore prende degli anticoagulanti).
Ci si rivolge alle infermiere della “guardiola” che irritate rispondono
che stanno compilando dei moduli.
Il sangue sporca il pavimento.
La gente accorre con fazzoletti di carta.
Qualcuno bussa forte contro la porta del pronto soccorso.
Esce un infermiere inferocito.
Solo un vigilantes entra in infermeria e con garbo porta della
garza disinfettata.
17 ore che, finalmente, si chiudono con un gesto di umanità.
30.08.2020
Vale per Lui, vale per noi
«Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare
a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei
capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il
terzo giorno» (Mt 16,21).
104
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Tra i campi di grano accarezzati dal vento mentre un nugolo
di polvere tufacea imbianca volti e piedi, arriva la notizia che
tramortisce il cuore: “il Maestro deve soffrire e morire”.
D’incanto sembra svanita la gioia della rivelazione di domenica
scorsa: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivificante”.
Facile essere discepoli nella sequela di un Messia vittorioso, difficile
mettersi al seguito di un Figlio di Dio che deve morire.
A Gerusalemme non ci saranno gli angeli cantori di Betlemme, né
i prodigi di Cafarnao ma soltanto silenzio e dolore.
Ecco l’annuncio.
Ecco la profezia ormai prossima come prossima è la tappa di Gerusalemme.
«Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo:
«Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai»» (Mt 16,22)
Tra la professione di fede di domenica scorsa e il rimprovero di
oggi c’è l’immagine di Pietro.
Generoso, disponibile, caparbio, pronto a dare la vita e abbandonare
tutto ma difficile nell’accettare i piani di Dio.
Proprio come ognuno di noi.
Perché nei piani di Dio c’è sempre la croce.
Per Lui, per noi: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi
se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare
la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per
causa mia, la troverà» (Mt 26,24-25)
Non dimenticando mai, però, che dietro il deserto della croce
già risplende un giardino che canta la vita con tanto di giovani
in bianche vesti che annunciano:
“Non è qui. È
risorto!”.
Per abitare questo giardino
è necessario attraversare
il Calvario.
Vale per Lui, vale per noi.
105
RIFLESSIONI DI UN PRETE
06.09.2020
Un tesoro prezioso:
la fraternità
F
acile parlare di Dio avendo nel
cuore la certezza della sua Paternità.
Altrettanto consolanti le molteplici
affermazioni della Scrittura che parlano della nostra figliolanza
divina: «siamo figli di Dio e lo siamo realmente» (1Gv 3,1)
Difficile ricordare che siamo una comunità di fratelli.
Fragili. Limitati. Umani.
Ecco, allora, il promemoria di Gesù: «Se il tuo fratello commetterà
una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti
ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello» (Mt 18,15)
Si parte da due certezze: l’altro mi è fratello (E i fratelli non si scelgono,
ci sono); l’altro può anche sbagliare.
Si arriva ad una soluzione (assurda come tutte le richieste che
odorano di Vangelo): se l’altro sbaglia, vallo a “convincere”. Non
è l’ammonizione di chi ha la verità in tasca ma si tratta della sollecitudine
evangelica di chi vuole “guadagnare” un fratello.
Eh già!
Il perdono non nasce dal sentimentalismo sdolcinato di chi riceve
le scuse perché ha subito un torto. È la decisione di chi, pur
essendo ferito, decide di andare a recuperare una relazione.
Le pretese forti del Vangelo: a “convertirsi” deve essere colui che
ha subito il torto, proprio ad immagine e somiglianza di Dio che
va alla ricerca del figlio perduto anche se questi, volontariamente,
si allontana da casa. Un dialogo, una ricerca che deve nascere
in nome della fraternità. Se ascolterà avrai “guadagnato” un tesoro,
quel tesoro prezioso che è la fraternità necessaria nella chiesa,
necessaria per essere chiesa.
«Se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone,
106
RIFLESSIONI DI UN PRETE
perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se
poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà
neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano»
(Mt 18, 16-17)
Insomma, tentale tutte perché il contrario del guadagno è la perdita.
Se perdi un fratello perdi un tesoro immenso.
E se proprio non dovesse ascoltare, “sia per te come il pagano e
il pubblicano”. Cioè sia per te come gli amati da Gesù.
Non scarti, non rifiuti, non ultimi ma bisognosi di un “amore a
senso unico”.
E tu ama come Gesù, in pura perdita.
Insomma discepoli del Misericordioso, misericordiati perciò capaci
di misericordia.
Già amati perciò capaci di amare.
13.09.2020
107
“Per - dono”
«Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio
fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò
perdonargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti
dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”» (Mt
18,21-22)
Un Vangelo scomodo.
Per me, per voi, per tutti.
Pietro, in vena di generosità, ha voluto esagerare (dal suo punto
di vista) nel proporre un perdono rinnovato sette volte perché
tutti sappiamo quanto costa, quanto sia faticoso (talvolta doloroso)
il perdonare.
Gesù rilancia: “settanta volte sette”.
Lamech, di genesiaca memoria chiedeva di essere vendicato settantasette
volte.
Gesù ci chiede di abbandonare la vendetta, il rancore, il risenti-
RIFLESSIONI DI UN PRETE
mento, la rabbia, ogni rivalsa.
Settanta volte sette.
Sempre.
Non perché migliori.
Non perché più buoni.
Non perché più santi.
Ma solo ed esclusivamente perché noi, per primi, siamo perdonati,
amati.
Eppure noi continuiamo ad essere cristiani perdonati, pronti a
ricorrere settantasette volte alla Misericordia di Dio ma incapaci
di donarla una sola volta a chi ci ha ferito.
Forse proviamo a perdonare con lo sconto: “perdono ma non
dimentico” divenendo contrabbandieri di misericordia, lesinando
riconciliazioni a prezzi scontati (e lo sconto lo applichiamo a noi
stessi).
Non aggiungo altro.
Taccio e ripenso a chi “mi è debitore”.
Rifletto sui miei “debiti”.
Sospendo ogni commento sulla pagina del Vangelo di questa
Domenica e medito su una parola che non può essere sporcata
da altre: “per - dono”.
L’amore è cosa seria.
Si vive, non si può predicare.
108
17.09.2020
RIFLESSIONI DI UN PRETE
La santità nascosta
Don Roberto Malgesini è stato ucciso due giorni fa mentre
espletava ciò che più gli stava a cuore: prendersi cura degli
ultimi della società, degli invisibili.
Una sua scelta quella di trasformare la strada nella sua chiesa e di
predicare il Vangelo con la testimonianza della carità.
Quasi fosse una cosa semplice.
Ho letto che non amava essere al centro delle attenzioni, rifuggiva
telecamere e social, tanto che è quasi impossibile trovare un
video con lui protagonista.
Improvvisamente, però, è salito agli onori della cronaca: social,
tv, giornali hanno parlato di lui, del suo operato, mostrandocelo
in foto (rarissime tra l’altro) vestito di bianco (come i giovani in
bianche vesti che nel Vangelo annunciano: “Non è qui è risorto!),
con le braccia allargate (ad indicare accoglienza per tutti, come
quel Cristo in croce che lui ha annunciato), con un accenno di
sorriso (come chi ha capito il vero senso della vita e ne gusta
appieno il sapore) e mentre celebra l’Eucaristia (ciò per cui ha
vissuto, servito, amato, fino a dare la vita).
In due giorni ho letto tanto su di lui.
Articoli, commenti, riflessioni.
E sono rimasto stupito.
Ho visto la retorica di ogni forma politica perché mentre da un
lato alcuni vogliono impossessarsi del suo “martirio” per utilizzarlo
contro quegli ultimi che lui ha servito, dall’altro vogliono
strumentalizzarlo per portare avanti le proprie convinzioni.
Ho visto che le stesse amministrazioni che presentano falle gravi
nella gestione dell’accoglienza e che, magari hanno avversato
anche l’opera caritativa assistenzialistica di questo “prete di strada”
(così come è stato definito), prima preoccupate del decoro
urbano lasciandolo solo, senza nessun supporto e considerandolo
nemico di certune ordinanze, ora piangono don Roberto come
109
RIFLESSIONI DI UN PRETE
un martire.
Ho visto i commenti della
gente.
Di laici e preti.
Alcuni mi hanno lasciato
l’amaro in bocca.
Di laici e preti.
Tutti quei post, quei
commenti che hanno
il retrogusto amaro
dell’accusa scontata (questo sì che è un vero prete!) e del predicozzo
morale (anche di preti).
Mi piace pensare che prima della sua uccisione anche don Roberto
è stato semplicemente un prete.
E come tale incompreso, criticato, osteggiato.
Provo ad immaginare le critiche (anche) di una certa chiesa benpensante
che ne giudicava l’operato (un prete deve stare in chiesa
e deve avere una propria parrocchia), il vestire (un prete deve
avere la tonaca e non può andarsene in giro con uno zaino sulle
spalle con jeans e polo) e le idee (classificandolo politicamente).
In mezzo a tante voci, oggi, vorrei dire qualcosa anche io.
Sicuramente opinabile.
Non necessariamente condivisibile.
Don Roberto, credo, ci abbia insegnato un paio di cose fondamentali:
Innanzitutto la bellezza di una chiesa che attraversa le
strade delle nostre città e continua a farsi carico degli ultimi.
E quando si fa del bene non è necessario “gridarlo”. Attenzione,
quindi, ai giudizi perché tanti “don Roberto” potrebbero essere in
mezzo a noi che operano senza fare rumore.
Poi, ci ha mostrato che la santità nascosta esiste (anche nel 2020)
mi vive accanto e porta il volto di fratelli e sorelle che forse vestono
in jeans e hanno una straordinaria vita normale (dimentichiamo
troppo spesso come il nostro Dio abbia scelto di “umanizzarsi”).
110
RIFLESSIONI DI UN PRETE
La sua morte, quella di don Roberto, ha svelato che il bene fatto
non va perso, anzi, la morte stessa è stata la trasfigurazione di
questo prete che fino ad oggi nessuno conosceva.
Infine, mi piace pensare che tutti i preti (ognuno a modo suo,
ognuno con i propri limiti) sono “preti di strada” (nella diversità
dei ruoli e dei carismi) perché a fondamento di ogni vocazione
c’è un “Incontro”, una chiamata, una missione affidata: andare
per le strade della vita della gente, entrare nelle case e perché no,
restare anche in chiesa.
Ma, lo ripeto, ricordiamoci sempre che il bene quando lo si fa non
necessariamente fa rumore.
Anzi perché sia “Bene” è necessario farlo in silenzio.
Anzi, spesso, lo stesso silenzio può essere “Bene”.
Don Roberto me lo ha insegnato.
20.09.2020
111
“Andate anche voi nella vigna...”
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì
all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna»
(Mt 20,1).
Poche righe dalla forte valenza evocativa dove si parla di alba,
casa e vigna che in me richiamano le bellissime mattinate settembrine
della mia fanciullezza quando il calore tiepido di un
timido sole profumava l’aria di mosto appena pigiato mentre la
vendemmia trasformava in gioia il lavoro di un intero paese.
Il padrone esce per chiamare operai per la sua vigna accordandosi
per una paga equa, giusta.
Un vero contratto che viene stipulato per un denaro al giorno.
«Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano
in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna;
quello che è giusto ve lo darò”» (Mt 20,3-4)
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Vide che erano disoccupati.
Un “padrone” che non bada alle proprie necessità ma si accorge
del bisogno degli altri.
Un padrone che vuole tutti impegnati perché la sera possano
portare a casa qualcosa, perché il giorno non sia sprecato.
«Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto»
(Mt 20,5) come anche alle cinque del pomeriggio, mentre ormai
il sole si tinge di colori dalle tinte calde preparandosi a lasciare il
posto al pallore eburneo della luna.
Proprio come quel Padre misericordioso che anche prima di andare
a dormire si affaccia sull’uscio di casa in attesa dell’ora del
ritorno del figlio.
Proprio come il Padrone di questa parabola che va raccogliendo
“operai dell’ultima ora” ai margini della strada della vita che, altrimenti,
resteranno per sempre disoccupati.
Proprio come Gesù che nella sua ultima ora continuerà ad assoldare,
anche sulla croce, operai per la sua causa: “oggi stesso sarai
con me in paradiso” (Lc 24,43)
«Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore:
“Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi
fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero
ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono
che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno
un denaro» (Mt 20,8-10)
Quando fu sera...
Al calar del buio, quando la vita si spegne per lasciar posto al
riposo.
Una sera che, però, viene abitata dalle chiacchiere di disapprovazione:
«Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo:
“Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati
come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”»
(Mt 20,11-12)
Ed è proprio mentre il cuore dell’uomo protesta invocando “giustizia”
che emerge il volto più bello di Dio che non si arrabbia,
112
RIFLESSIONI DI UN PRETE
non respinge, dialoga, spiega il perché delle proprie scelte, ama.
Ecco... un Dio che ama i primi corrispondendo quanto è dovuto
ma che ama in egual modo gli ultimi donando loro ciò che scaturisce
dal fondo immenso della sua generosità.
«Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non
ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro?
Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo
quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio?
Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”» (Mt 20, 13-15)
Amico.
Il problema non è del Padrone che tratta tutti da amici.
Il problema è nostro.
Se continueremo a “contrattare” con Dio in termini di salari legali,
dovuti, riceveremo quanto pattuito e, perennemente infelici,
guarderemo la misericordia usata agli altri.
Se saremo “operai dell’ultima ora” che non contrattano ma che si
fidano anche quando è tardi perché il “sole già volge al tramonto”,
sperimenteremo la generosità di Dio che abbracciandoci non
vorrà mai farci sentire dei falliti della vita.
Perché ci vuole salvi.
A tutti i costi.
E continua a sperarlo, a chiamarci fino all’ultimo minuto.
113
RIFLESSIONI DI UN PRETE
27.09.2020
Storie con una stessa trama
La Parola fu la sua forza e con quella riuscì a compiere le più
grandi rivoluzioni partendo dai cuori degli uomini.
Lui, esperto conoscitore tanto delle realtà del cielo, quanto delle
attese dell’umanità, spesso imbastiva storie che parlano di Dio
ma che raccontano, ancora oggi, la storia di chi le ascolta.
La mia, la tua.
Alcune sembrano tessute dalle stesse mani pazienti e amorevoli:
storie che hanno una stessa trama, parlano di un padre che ha
due figli.
Storie che ci raccontano di figli che si perdono per poi ritornare
sui propri passi e scoprire l’eterna bellezza di un Padre che attende.
«Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi
va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma
poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed
egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò» (Mt 21,28-30)
Sembra il racconto della quotidianità di tante nostre famiglie.
Due figli, uno stesso Padre.
Due atteggiamenti diversi, un’unica richiesta.
«Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?» (Mt 21,31)
Il primo che sembra ribellarsi ma che ha la libertà di relazionarsi
da figlio o il secondo, apparentemente servizievole ed obbediente
che, invece, vive un rapporto di sottomissione?
Il primo che sa di rivolgersi ad un Padre o il secondo che si relaziona
con un “signore”?
Il primo che “si pentì e vi andò” o il secondo che mente e non si
pente?
Sbriciolando ulteriormente il brano di questo Vangelo per gustarlo
ancora con maggiore consapevolezza, ci si accorge che i
due figli, in realtà, sono le due “anime” che ci abitano, i nostri
due modi di essere figli di quel Padre che ci chiama a collaborare
114
RIFLESSIONI DI UN PRETE
nella sua vigna, in attesa di festeggiare insieme la vendemmia, la
raccolta di grappoli traboccanti di vita eterna per essere pigiati
e trasformati in “vino novello” dello Spirito che dona l’ebbrezza
dell’eternità, la gioia dell’amore divino.
«In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti
nel regno di Dio» (Mt 21,31).
Finisce così questa storia per ricordarci che uomini e donne dalla
storia impastata di miserie e che apparentemente dicono il loro
“no” alla richiesta del Padre proprietario della Vigna, spesso sono
poi diventati i più grandi santi, agricoltori infaticabili ed esperti
raccoglitori di “grappoli” di grazia.
È la dinamica della conversione che ci ricorda che mai è troppo
tardi.
È l›agire di Dio che guarda con tenerezza chi si lascia amare da
figlio e che sbatte all›ultimo posto i primi della classe che nella
ipocrisia di belle maniere e apparenze, tentano di compiacere un
«Signore».
Questa è la storia della libertà di un “no”.
Questo è il racconto di quel cuore che si perde per poi ritrovarsi
attanagliato nella profonda nostalgia di “casa”.
Tutto si gioca in un’unica, semplice differenza: sentirsi servo o
figlio.
Il figlio che sa dire, ha la libertà del “no” o il servo che schiavo di
un’idea sbagliata di Dio, per paura, dice i suoi falsi “sì”.
115
RIFLESSIONI DI UN PRETE
04.10.2020
L’uomo aiutante nel / del sogno di Dio
«C’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una
vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il
torchio e costruì una torre» (Mt 21,33).
Anche questa domenica si parla di vigna e di uomini appassionati,
innamorati di essa.
Nel racconto, è ancora più bello il constatare che quando Dio
parla di sè in terza persona, si definisce “uomo”.
Un vignaiolo che desidera una vigna e con tutto l’amore di cui è
capace sgombrando il terreno dai sassi, vangandolo con caparbia
e pazienza ne crea una, la chiama all’esistenza, la pianta.
La pianta e la protegge.
La protegge con smisurata esagerazione e tanta, tanta premura:
la cinge con una siepe e vi innalza una torre per difenderla, perché
Dio è tremendamente geloso.
Ama follemente per questo ha cura di ogni dettaglio.
E Dio, lo sappiamo ama le piccole cose, è attento ai dettagli e
nulla è lasciato al caso.
A fondamento di tutto, però, anche in questo racconto c’è il riverbero
di ciò che risiede nelle profondità del cuore di Dio: la ricerca
della felicità per l’uomo.
Per ogni uomo che sempre chiama a divenire suo collaboratore:
«La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano» (Mt
21,33)
Ama la vigna è vero, ma più d’ogni altra cosa, ama l’uomo che
vuole suo socio, suo aiutante che è bene ricordare, non è il padrone
della vigna, della vita, della terra, della storia.
L’uomo è in affitto, aiutante nel / del sogno di Dio.
Ma se Lui, Dio, chiama gli uomini a scrivere la Storia a quattro
mani, loro, da sempre, rivendicano il diritto di scrivere le proprie
vicende autonomamente, pretendono il possesso della vigna af-
116
117
RIFLESSIONI DI UN PRETE
fidatagli: «Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò
i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero
i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo
lapidarono» (Mt 21,34-35).
Un crescendo di violenza per la bellezza rigogliosa e fruttuosa
di un vigneto che scatena il desiderio di possesso dei mezzadri
che però non blocca l’amore di Dio che non s’arrende, dialoga
sempre: «Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi» (Mt
21,36)
ma senza alcun effetto se non quello della violenza e della morte.
E Dio che è Padre paziente, facendo appello alla sua Paternità,
ricostruisce ponti:
«mandò loro il proprio
figlio dicendo:
“Avranno rispetto
per mio figlio!”» (Mt
21,37).
Per amore dei figli,
manda il Figlio.
È il buon cuore di un
Dio che esagera nel
continuare ad aver fiducia dell›uomo e mentre l›uomo bastona e
sparge morte, Dio carezza e dona vita.
«Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede.
Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!” Lo presero, lo
cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.» (Mt 21,38-39)
Gli uomini cui è affidata la preziosa vigna di Dio, il suo regno, cacciano
il Figlio, gli donano la morte e ripiegati sui propri egoistici
interessi, non si accorgono che Dio, in un atto estremo di ulteriore
fiducia, ha già trovato altri uomini a cui chiede la disponibilità
del cuore entrando in punta di piedi nella loro libertà: «Perciò io
vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che
ne produca i frutti» (Mt 21,43).
Nessuna vendetta sanguinaria perché l’odio si ripaga con l’amore
RIFLESSIONI DI UN PRETE
e questo Dio lo sa.
Ce lo insegna, ce lo chiede.
E mi rincuora sentire questo racconto che m’assicura che il ventre
di Dio è sempre gravido di tenerezza anche dinanzi ai miei rifiuti.
Mi rincuora sapere che nonostante la mia sterilità, nonostante
il rispetto di Dio per la libertà degli uomini, Egli trova sempre il
modo di far fruttificare la propria Vigna con la collaborazione di
vignaioli buoni che sanno riscrivere la storia con il bene capace di
cancellare, annullare il male.
Perché l’amore è sempre più forte di ogni tradimento.
18.10.2020
“Ridatemi il cuore dell’uomo”
«I farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come
coglierlo in fallo nei suoi discorsi» (Mt 22, 15).
È facile immaginare la scena che Matteo ci restituisce con un›unica
pennellata: farisei ed erodiani insieme, da sempre acerrimi
nemici, probabilmente di notte, a porte chiuse, tessono intrighi
per imbavagliare la Parola libera e liberante.
Perché la cattiveria si cova sempre in gruppo.
I piani spietati si programmano nelle stanze del potere, sempre
a porte chiuse.
E l’inganno spesso si veste con abiti di lusinga, nasconde i graffi
con apparenti carezze:
«Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio
secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non
guardi in faccia a nessuno» (Mt 22,16)
Una domanda cattiva, abilmente studiata a tavolino per metterlo
contro il potere o contro la sua gente: «Dunque, di’ a noi il tuo
parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» (Mt 22,17)
Si parla di denaro.
118
RIFLESSIONI DI UN PRETE
Argomento scabroso quanto la sessualità che ancora oggi può
essere usato per infangare dignità.
Si parla di denaro e potere, materia delicata che ancora oggi può
mietere “vittime” anche nel campo della Chiesa.
La risposta del Rabbí è conosciuta.
Lui che scava l’anima dei suoi interlocutori, tenero rivelatore del
Padre con i semplici ma prudente Maestro con i ruffiani costruttori
di tranelli, risponde invitando a guardare la realtà:
«Mostratemi la moneta del
tributo» (Mt 22,19)
Una risposta che è roba-da-Dio: a
Cesare rendete il suo denaro, da
lui coniato con la sua stessa immagine
ma a Dio ridate indietro il
suo tesoro, ciò che lo rende ricco,
quell’uomo che ne porta l’immagine
e la somiglianza.
“Ridatemi il cuore dell’uomo, i suoi
pensieri, il suo amore. Il resto datelo
a chi volete”. È parola di Dio.
25.10.2020
“Amerai”
«I farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai
sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della
Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella
Legge, qual è il grande comandamento?»(Mt 22,34-36).
Ancora una volta i farisei, artigiani di intrighi, si riuniscono, cercano
alleanze e tramano contro il Maestro di stile che li ha
smascherati per l’ennesima volta sulla questione del tributo.
119
RIFLESSIONI DI UN PRETE
E stavolta scomodano un dottore della Legge, un teologo che
parla con le Parole di Dio e che da esse riceve l’autorità che da
tutti è riconosciuta.
Loro, i dottori della Legge, sono l’ultima ancora di salvezza per i
farisei, poiché questi teologi hanno l’ultima parola su tutto, anche
sulla Parola.
«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?»
La Torah stabilisce 613 precetti e tutti, anche loro, già sanno che
l’osservanza del sabato è il più sacro dei comandamenti perché
finanche Dio e i suoi angeli lo osservano riposandosi il “settimo
giorno”.
Ma lo interrogano per tentarlo con la saccenza di omuncoli vuoti
che non s’accorgono del Messia che gli è di fronte, ripiegati come
sono sul loro io.
“Per tentarlo”.
Una “tentazione” che si ripresenta costantemente, al momento
opportuno, nella vita del Rabbi che già nel deserto aveva lasciato
a bocca asciutta e a mani
vuote il tentatore fallito.
Gesù non scende nei cavilli
di un vuoto legalismo, di
una sterile, finta religiosità
e rifuggendo i rovi spinosi
della polemica, si manifesta
ancora come Dio dalla
bellezza inaudita che tutti
spiazza con la sua capacità
di fare sintesi della Scrittura,
della vita intima di Dio,
del vissuto dell’uomo, attingendo
la risposta non nella
sequenza dei molteplici
precetti fatti di prescrizioni
e imposizioni ma nel Credo
120
RIFLESSIONI DI UN PRETE
stesso d’Israele che più volte al giorno ogni israelita ha l’obbligo
di ricordare: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con
tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e
primo comandamento» (Mt 22,37-38)
E siccome Dio quando parla d’amore esagera sempre, aggiunge:
«Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te
stesso» (Mt 22,39)
Punto.
Qui è riassunta tutta la Legge, qui sono compendiate tutte le
profezie.
“Amerai”.
Nell’amore c’è la legge, nell’amore c’è la giustizia, nell’amore c’è
tutto Dio e la sua misericordia.
“Amerai”.
Declinato nel tempo senza durata del futuro perché se il passato
ci è perdonato, il futuro deve essere tempo di redenzione.
“Amerai”.
Al futuro e allo stremo delle capacità umane: “con tutto il cuore,
l’anima, la mente”.
Fino a saziare il desiderio di ricerca d’infinito.
Fino allo stordimento dei sensi nella vertigine di un amore che si
fa ricerca di un Dio che, sorprendendo, si fa trovare per donarsi.
Ma non basta.
Occorre amare l’Altro ma è necessario amare l’altro.
Illimitatamente e senza escludere nessuno.
Il Maestro di Nazareth è ancora una volta Rabbi di finezza che
ci aiuta a comprendere che nel cuore divino Dio e uomo vanno
sempre a braccetto, camminano insieme, mai uno senza l’Altro.
Credere, allora, diventa voce del verbo amare da declinare all’infinito
già nel tempo presente, proiettandosi, però, nella dimensione
divina del futuro, fino a sfociare in quell’orizzonte senza fine
che è la Vita.
121
RIFLESSIONI DI UN PRETE
01.11.2020
Un ponte tra cielo e terra
«Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: “Beati i poveri in
spirito...”» (Mt 5,2-3)
B eatitudini.
Legge nuova, parole belle, sgorgate dal cuore del Maestro che
custodiscono il pellegrinare sulla terra degli uomini innamorati di
Dio mentre accentuano desideri di cielo, evocando un modo di
diverso di essere uomini, un modo possibile per essere santi.
Beatitudini.
Mentre invitano l’uomo a guardare il mondo, la storia con occhi
pieni di stupore di chi è assetato di Paradiso, raccontano il modo
di guardare di Dio alla vita, alle vicende dell’umanità.
Situazioni quotidiane, vita di tutti i giorni, lacrime e speranze, non
cose straordinarie perché la santità si annida nella nostra ordinarietà.
A cambiare, allora, non sono le situazioni ma il modo diverso di
rapportarsi ad esse, avendo il coraggio, la voglia, la nostalgia del
gusto di eternità e la coerenza degli innamorati del Vangelo.
Ecco allora che poveri, miti, piangenti e affamati, misericordiosi e
puri, seminatori di pace, perseguitati e calunniati sono l’elenco in
cui rientra ogni uomo che sperimenta la fatica del vivere.
Persino le lacrime, nel progetto di Dio, sono fonte di santità.
In fondo, a fare la differenza è il modo di rapportarci con queste
realtà: i Santi hanno saputo viverla con cuore puro, con la certezza
di chi avverte, nonostante tutto, la carezza di Dio in fondo al
cuore.
Le beatitudini, allora, sono un ponte tra cielo e terra, tra ciò che
siamo e ciò che potremmo essere, tra già e non ancora.
Uno squarcio di sereno tra i mille problemi della nostra esistenza,
un anticipo di luce nella fatica del vivere, una pregustazione della
gioia del raccolto mentre ancora si fatica nel dissodare il terreno
122
RIFLESSIONI DI UN PRETE
della nostra fragile umanità.
La santità è possibile.
Il Vangelo oggi ce lo ricorda non promettendoci orizzonti di felicità
in un ipotetico domani ma invitandoci ad abitare la storia
senza paura, al di là di ogni spavento, di ogni preoccupazione
che potrebbe stordirci il cuore.
Se sapremo fare questo, beati noi.
Buona festa a tutti, allora e... siate santi nella straordinarietà del
vostro ordinario.
08.11.2020
“Dateci un po’ del vostro olio...”
R
agazze armate di luce che si tuffano nelle tenebre, lampade
vedove di olio e tempo d’attesa che ha il sapore del futuro
eterno, questi i temi belli del Vangelo regalatoci dalla liturgia di
oggi.
E poi si parla della fatica dell’attesa, del ritorno dello Sposo, del-
123
RIFLESSIONI DI UN PRETE
la vita che a volte ci appare come un vagare nella fitta coltre di
tenebra.
Ecco allora che a noi rimane la scelta: o lasciarci avviluppare dall’oscuro
o vivere la sfida del quotidiano “restando accesi”, come le
fiaccole delle dieci vergini del Vangelo di oggi.
O trasformare l’attesa in un incontro gioioso, in una festa di nozze,
sfidando finanche il sonno che posandosi sulle palpebre ci
appesantisce l’anima o stancarsi cedendo alla rassegnazione, trasformando
il ritardo dello Sposo in un suo non ritorno e assopire
il cuore anestetizzando l’anima.
Ma il Vangelo ci assicura che lo Sposo viene, comunque.
Il suo arrivo sarà divisione tra chi ha saputo vigilare con le lanterne
accese e chi di fronte alla troppa fatica dell’attesa, ha spento
le lampade e l’amore
«A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli
incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono
le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del
vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge
risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate
piuttosto dai venditori e compratevene”» (Mt 25,6-9)
Olio che manca.
Olio che brucia.
Olio che fa luce.
Olio che non può essere condiviso.
Caratteristiche in comune con l’emozione di chi è innamorato,
con la passione che t’incendia la vita, con il desiderio che ti fa
arrossire l’anima... con l’amore che arde, brucia e illumina.
«Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo
e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e
la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e
incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”» (Mt 25,10-11)
Alla fine anche le “rassegnate alla stanchezza” riescono a procurarsi
dell’olio.
Ma è tardi.
124
RIFLESSIONI DI UN PRETE
La porta è chiusa.
È la legge del tempo.
Ci sono “tempi giusti”, tempi che ci sono donati e non vanno
sprecati, momenti unici, irripetibili.
Non è sufficiente recuperare l’olio per la lampada che si spegne
quando, perdendo il gusto dell’attesa, manchi l’incontro con lo
Sposo.
Perché, a volte, perdere tempo equivale a perdere le persone.
E... sprecare la vita equivale a perdere Dio.
125
RIFLESSIONI DI UN PRETE
15.11.2020
“Fidarsi”
«Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un
viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni» (Mt
25,14).
Ci sono pagine di Vangelo che già dal primo rigo ti inebriano
l'anima.
Lo immagino trasfigurato Gesù, quando parlando di Dio, per aiutarci
a capirlo, ce lo racconta come "un uomo".
Un uomo che si fida, si affida ad altri uomini.
Non è eresia. È il modo più bello per raccontarci come Dio "decide
di parlare il linguaggio degli uomini", per dirci come Dio
vuole farsi capire dall'opera meravigliosa scaturita dalle sue mani,
l'uomo.
(Mamma mia! Se ci penso mi scoppia il cuore: Dio mi ha pensato,
Dio mi ha "fatto". Ogni mia fibra è tessuta dalle mani meravigliose
di Dio).
"Chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni".
Da sempre Dio agisce in questo modo.
Già ad Adamo affida il creato, lo riveste di una dignità altissima
affidandogli "i suoi beni".
È questione di fiducia.
Quella vera, quella cieca, autentica, che è possibile vivere ancora
nei nostri paesini quando, d'estate, si lascia (tranquillamente) la
porta di casa spalancata.
Perché ci si fida.
E fidarsi è sempre un pensare "bene" dell'altro.
Dio si fida, affida e parte.
Non resta a vigilare.
Si "sposta" affinché l'uomo possa esprimersi in piena libertà.
«A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo
le capacità di ciascuno; poi partì» (Mt 25,15).
126
RIFLESSIONI DI UN PRETE
È importante la precisazione di Gesù: "secondo la capacità di ciascuno".
Dio dona a tutti ma non nello stesso modo.
Affida ad ognuno secondo le proprie capacità affinché tutti portino
frutto.
È la giustizia di Dio che affida per far fruttificare.
È la gioia di Dio nel vedere l'uomo realizzato, portare frutti.
Non chiede cose superiori alle sue forze, non chiede l'impossibile.
Se Dio si fida dell'uomo, dona.
Se l'uomo si fida di Dio, può.
«Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli,
e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti
due, ne guadagnò altri due» (Mt 25,16-17)
Ma il racconto di Gesù ci presenta anche un terzo uomo: «Colui
invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca
nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone» (Mt 25,18)
Non è il gesto che delude, è la motivazione che lascia l'amaro in
bocca che non lo realizza pienamente, che lo rende sterile, incapace
di "fruttare": «Ho avuto paura e sono andato a nascondere
il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo» (Mt 25,25)
Incapace di relazione, ha paura di chi gli ha affidato del suo, di chi
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
lo ha reso degno di fiducia.
Questo è l'uomo che perde Dio non perché non ha investito i
talenti ma perché non ha capito nulla della sua logica.
Il Vangelo ci racconta di un Padre che ha, costantemente, la mano
tesa verso pubblicani, prostitute e mascalzoni d'ogni genere.
Uomini e donne quasi soffocati dal peccato.
Uomini e donne salvati, però, perché fiduciosi in Dio, si affidano
al suo amore di Padre.
Ce ne sono altri che muoiono perché hanno il timore di investire,
hanno paura di Dio.
Sono quelli che si accontentano del minimo indispensabile, non
rischiano, non tendono al massimo immaginabile perché non si
lasciano scompigliare l'esistenza dal soffio vitale dello Spirito.
22.11.2020
“Cristo Regni”
Con la solennità di Cristo Re si conclude l’anno liturgico.
Il Vangelo, in quest’ultima domenica, si apre alle realtà ultime,
la fine di questo anno trascorso in compagnia di Matteo, il
pubblicano diventato apostolo, ci proietta verso il fine della vita
dell’uomo.
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli
con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno
radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore
separa le pecore dalle capre» (Mt 25,31-32).
Si parla di gloria, si parla di angeli, di trono ma alla fine emerge
sempre l’immagine più bella di Dio cui siamo abituati: un pastore.
Un pastore che separerà le mansuete, docili pecore che amano
restare in gregge, dalle testarde capre che amano scappare per
rivendicare autonomia e indipendenza.
«Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti
del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per
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RIFLESSIONI DI UN PRETE
voi fin dalla creazione del mondo”» (Mt 25,34)
Un invito: venite!
Tutta la vita dell’uomo è attraversata da questa chiamata, da questo
appello che ci sarà rivolto anche nell’ultimo giorno.
Dall’inizio alla fine.
Sempre.
“Benedetti del Padre”.
Detti-bene da Colui che è Padre (proprio come Gesù ci ha raccontato
per un anno intero) e che, come il primo giorno in cui
il primo uomo fu chiamato all’esistenza dalle sue mani creatrici,
così anche alla fine dei tempi, Dio continuerà a stupirsi della sua
creatura bella e buona, capace di bene, capace di suscitare la bene-dizione
del Creatore.
«Ho avuto fame, ho avuto sete, ero straniero, nudo, malato, in
carcere»
Siamo benedetti ogni qualvolta ci accorgeremo che Dio abita la
nostra ferialitá e continua ad avere il volto dei piccoli, degli ultimi,
dei dimenticati.
Mangiare, bere, ospitare, vestire.
Un pezzo di pane, un sorso d’acqua, un vestito e la disponibilità
a spalancare le nostre “porte”.
Mischiando tutti questi ingredienti che abitano la nostra quotidianità,
ci accorgeremo che in essi è racchiusa la vita.
Nostra e degli altri.
Un ordinario che diventa straordinario.
Un oggi che è già futuro.
Una vita che profuma di Vita.
Un Paradiso alla portata di tutti.
E per coloro che non avranno capito che l’eterno abita l’effimero,
per coloro che non avranno riconosciuto Dio vestito di ferialitá
nel volto dei bisognosi, la sentenza sarà dura: «Via, lontano da
me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i
suoi angeli» (Mt 25,41).
E a “maledirli” non sarà Dio che ha solo parole di benedizione, ma
RIFLESSIONI DI UN PRETE
le opere che non hanno compiuto, la vita che non hanno vissuto
e che hanno negato anche agli altri: «ho avuto fame e non mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da
bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete
vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato» (Mt 25,42-
43)
E ci sarà di che disperarsi quando ci accorgeremo che la salvezza
era più vicina di quanto pensavamo: nella dispensa con il pane,
in un bicchiere riempito d’acqua, nei nostri armadi stracolmi di
vestiti e nelle porte spalancate come le braccia di Colui che dalla
croce ci mostra come si ama, come si regna, come si vive.
E sarà inutile difendersi: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato
o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non
ti abbiamo servito?» (Mt 25,44) perché dimostreremo, ancora,
di non aver capito.
Non si tratta di servire Dio ma di amare il fratello.
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ph. di copertina di D. Cavallo
5 Dicembre 2020
Buon Compleanno, don Fabrizio!