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biamo sofferto, abbiamo esultato, abbiamo
gioito. E abbiamo alzato le coppe
e gli scudetti insieme ai nostri cuori.
Siamo sempre stati sulla stessa lunghezza
d’onda. E questo non ce lo toglierà
mai nessuno».
Le parole dicono tutto quello che si
è sempre visto in campo come quel
suo modo di esultare dopo aver segnato
un gol in cui volendo ognuno
ci si può ritrovare.
Parlando dell’allenatore Inzaghi, è
proprio Pippo che ci spiega con le
sue parole come e quando decise di
passare dal campo alla panchina.
«Fino all'ultimo secondo non ho
mai pensato di poter fare l'allenatore.
Pensavo di restare nel mondo del calcio,
ma neanche a 40 anni accettavo l'idea
di smettere. Poi ho capito che giocare
con una maglia che non fosse quella del
Milan sarebbe stato troppo difficile. A
quel punto Galliani, mio fratello Simone
e il mio procuratore mi hanno
convinto che fare l’allenatore fosse la
strada giusta e devo dire che hanno
avuto ragione. È un ruolo difficilissimo
ma bellissimo, allenare è una malattia
contagiosa. Ti dà grandi soddisfazioni
e stimoli, ma devi mettere in
preventivo che avrai alti e bassi. Allenatori
che hanno vinto la Champions
sono stati esonerati sei o sette volte, ma
alla fine quello che conta è essere ancora
sul campo verde».
Il legame con il campo per il tecnico
del Benevento appare indissolubile.
Oggi Inzaghi a 47 anni si può dire
che sia a suo agio soprattutto
quando può camminare sull’erba,
diciamo che lo fa dal primo momento
nel quale da bambino ha trovato
il suo equilibrio in piedi.
Eccolo parlare del suo Benevento,
durante il campionato, quando non
sapeva ancora che la sua squadra
avrebbe battuto record e vinto con
tanto anticipo il campionato. Spiegare
ai suoi giocatori come è fatto il
mondo del calcio a certi livelli e
mettere a loro disposizione la sua
lunga e vincente esperienza di
campo.
«Sono felice. Ai miei giocatori dico
che dobbiamo ribellarci alla sconfitta
perché, per come lavoriamo, dobbiamo
vincere. Dopo sette giornate abbiamo subito
solo tre gol e non siamo mai stati in
svantaggio, ma a determinare la miglior
difesa non sono solo i difensori, è
l'intera squadra che deve lavorare in fase
di non possesso: se si riesce a trovare un
buon equilibrio di solito i campionati si
vincono, è stato così quando allenavo il
Venezia e l'anno dopo, da neopromossa,
per poco non salivamo addirittura in A.
Cerco di insegnare ai miei giocatori che
al primo stop ci salteranno addosso tutti,
non possiamo permetterci di abbassare
l'asticella. L'attacco segna poco? Coda,
Armenteros, Sau e Insigne hanno fatto
un lavoro stupendo, sono stati fondamentali
sotto altri aspetti: non mi interessa
avere il capocannoniere del campionato,
qui non si ragiona con l'io ma
con il noi. Coda è molto sereno, farà
tanti gol. Anch'io sono stato dei mesi
senza segnare, ma poi basta una partita
per sbloccarsi e farne altri venti».
E se si parla di gol, chi meglio di un
grande attaccante come Pippo Inzaghi
può supportare uno dei suoi
giocatori?
domenica 30 agosto 2020
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