Nera: tratto da una storia vera (estratto)
Una serie di omicidi non risolti. L'ultima vittima è una prostituta di colore. Alla ricerca del vero colpevole, un poliziotto che si schiera contro razzismo e discriminazione si imbatterà nella lunga scia di sangue lasciata da uno dei più inquietanti episodi della recente storia tedesca.
Una serie di omicidi non risolti. L'ultima vittima è una prostituta di colore. Alla ricerca del vero colpevole, un poliziotto che si schiera contro razzismo e discriminazione si imbatterà nella lunga scia di sangue lasciata da uno dei più inquietanti episodi della recente storia tedesca.
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Corinna Vera
Nera
Questo libro è un'opera di fantasia. L’autrice non ha la pretesa di ricostruire la verità, ma ne ha
immaginata una possibile. Ogni riferimento a persone realmente esistite o esistenti, a luoghi reali, a
fatti realmente accaduti e a opere dell'ingegno è puramente casuale e asservito alle esigenze della
funzione narrativa. Tutti gli altri personaggi e le situazioni a essi collegate sono invenzione letteraria.
2
I
3
1.
Quando la strage ebbe inizio, nessuno la riconobbe come tale.
Il primo bersaglio fu un fioraio di origini turche. Assassinato con sette colpi di arma da
fuoco. Uniche tracce della furia omicida: i bossoli di una pistola.
La vittima era stata aggredita mentre allestiva una bancarella, alla periferia di
Norimberga. Ma non si trattava di un modesto venditore ambulante: il fioraio era un
commerciante arrivato, con una spaziosa rivendita in centro, una bella casa e altri indicatori
di benessere. La vecchia abitudine di vendere fiori agli angoli delle strade gli era costata la
vita.
Furono le disponibilità economiche della vittima, assieme ai pregiudizi nei confronti degli
immigrati, a portare gli inquirenti su una pista sbagliata. Era difficile credere che un turco
potesse arricchirsi senza ricorrere a mezzi illegali. A nulla valsero le testimonianze dei
famigliari, che riferirono di anni e anni di duro lavoro, di sveglie all’alba e di giornate di
sedici ore. Quando poi a casa del fioraio fu rinvenuta una grossa somma di denaro, la polizia
si convinse che il delitto avesse a che fare con la criminalità organizzata e lo spaccio di
stupefacenti.
Colpevolizzando la vittima, la polizia cercò di rompere il presunto silenzio dei famigliari,
sottoponendoli a interrogatori incessanti. Gli agenti presero l’abitudine di presentarsi a casa
loro a qualsiasi ora del giorno o della notte, approfittando della tipica mentalità turca, che
impone di trattare bene gli ospiti, offendo cibo, bevande e dolci appena sfornati.
Purtroppo questa strategia non era soltanto miope, ma peccava di tempismo: mentre la
polizia arrancava in un vicolo cieco, gli assassini, ancora in libertà, stavano già studiando la
mossa successiva.
Il numero delle vittime era destinato a salire.
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2.
Gli occhi di un mostro: ecco a cosa assomigliavano quelle finestre dalle cornici nere,
ricavate in grandi blocchi di cemento grigio. Un brivido percorse Kyra da capo a piedi. Era
quasi arrivata. Bastava attraversare la strada.
Le auto sfrecciavano di fronte a lei, su una grande via di cui non si vedeva la fine. Gli
odori dei gas di scarico le invasero le narici.
Forse aveva fatto male a venire fin lì. Chissà se avrebbe avuto il coraggio di varcare quella
soglia. Non era mai stata in un presidio di polizia.
Fissò il semaforo, sperando che non diventasse verde. Faceva caldo, ma si sentì raggelare.
Si voltò di scatto, colpita dalla sensazione di essere osservata. Ma era soltanto un vecchio
dai capelli bianchi, che la guardava con insistenza. Fottiti.
Kyra era abituata a essere osservata con diffidenza. Per questo non si faceva illusioni. Non
l'avrebbero ascoltata, non le avrebbero creduto.
Guardò l’orologio. Erano appena le nove.
Ci aveva pensato bene. Era pericoloso, quello che stava per fare. Ma se non agiva, correva
un pericolo ancora maggiore.
Kyra aveva conosciuto la violenza. Quella non era gente che scherzava. Potevano
benissimo avere eliminato Adele.
Non aveva scelta. Si fece forza e attraversò la strada. Il rumore di un clacson le perforò i
timpani. Di fronte ai gradini di cemento, si voltò un'altra volta. Doveva essere sicura di non
essere stata seguita. Una porta vetrata si aprì automaticamente, come per risucchiarla. Kyra
tese i muscoli e fu dentro. Si trovò circondata da poliziotti in uniforme verde. Una voce
tonante le chiese qualcosa. Kyra sentì le gambe tremare e fu sul punto di fuggire. Poi si fece
coraggio, reclinò la testa all'indietro e rispose:
«Vorrei fare una denuncia. Un’amica. Non è più tornata a casa.»
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Una donna le indicò la strada con un movimento brusco della mano. Kyra si trascinò per
un lungo un corridoio, fino a uno sportello. Di fronte a lei si alzò un vetro, e dovette firmare
qualcosa. Sentì un crampo allo stomaco. Corridoi e sportelli le mettevano soggezione. Era
come stare su una barca in alto mare, senza saper nuotare.
Si ritrovò in una stanza che ricordava la sala di attesa di un aeroporto. Grandi finestre
ermeticamente chiuse, aria condizionata. Molta gente seduta su più file. Un vago odore di
sudore. Si mise a sedere e si guardò attorno. Poveracci che tenevano la testa abbassata, come
se non avessero mai fatto altro in vita loro. Penosi. E pensare che erano venuti al mondo nella
parte giusta della terra. Se non ce l’avevano fatta era colpa loro. E poi smettete di guardarmi
così. Non sono un’extraterrestre.
Kyra era abituata a quegli sguardi. Ma stare in mezzo alla gente non le dava fastidio. La
cosa più terribile era essere rinchiusi in una stanza, e non poterne uscire.
Finalmente dall’altoparlante risuonò il suo nome. Kyra si alzò di scatto e seguì un
poliziotto per un labirinto di corridoi. Arrivarono in una stanza lunga, stretta, con una
finestrina che sembrava un oblò. Le fu indicato un tavolo. Qui avrebbe dovuto sedersi e
aspettare. Kyra pregò in cuor suo che non chiudessero la porta. Inutilmente. Quando avvertì lo
scattare di una serratura, fu come attraversata da una scossa. Iniziò a sudare, e a voltare la
testa in tutte le direzioni. Conosceva quegli attacchi. Non poteva farci niente.
Passarono attimi lunghissimi. Il tormento sembrava non volere finire.
Poi la serratura scattò un’altra volta.
«Signorina, non sta bene?» Kyra sentì una voce squillante e alzò gli occhi: era una giovane
donna in divisa. Grassoccia. Kyra deglutì e cercò di darsi un contegno. Finalmente una
persona perbene. Se avesse potuto ricominciare, anche a Kyra sarebbe piaciuto fare un lavoro
rispettabile. E perché no, aiutare gli altri. Non è vero che la gente è fondamentalmente egoista.
È quando ti manca tutto, che sei costretta a essere egoista.
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La poliziotta uscì e tornò con un bicchiere d’acqua gassata. Kyra si aggrappò a quel
bicchiere, sentì l’acqua fresca lambire la gola e si calmò. La poliziotta ben nutrita era
simpatica. Una gran chioma di capelli neri. Le tedesche non sono tutte bionde.
«Ha detto che vuole fare una denuncia?» disse l’agente, mentre si sistemava gli occhiali sul
naso e poggiava le mani sul computer. «Bene, mi racconti tutto. E mi chiami pure Nadia.»
Kyra prese fiato, tese i muscoli e parlò. Il ticchettio dei tasti fece eco alle sue parole,
riempiendo un vuoto di cui aveva paura.
Nadia le pose molte domande. Si mostrò davvero interessata alla sua storia. Quindi le fece
firmare un foglio, che chiamò "verbale".
Alla fine rimasero l’una di fronte all’altra, in silenzio. Nadia si tolse gli occhiali e si prostrò
verso Kyra, come per farle una spiacevole rivelazione:
«Mi dispiace, non posso assicurarle che verrà aperta un’indagine. Purtroppo non sono io
che decido. Posso soltanto portare il suo caso all’attenzione del mio capo.»
Kyra spalancò gli occhi e si accasciò sulla sedia. Era stato tutto inutile? Lo sapeva che non
l’avrebbero ascoltata. La grassona aveva fatto il suo dovere, e adesso stava cercando di
mandarla via.
Kyra si fece forza, riassunse una posizione eretta e decise di insistere.
«Posso parlare io con il capo?» supplicò, gesticolando e implorando con gli occhi.
«Soltanto per cinque minuti…» aggiunse, tirando fuori tutta l’umiltà che possedeva. Era
sicura che la poliziotta avrebbe provato compassione per una come lei.
Alla fine, Nadia fece un sospiro e si arrese. Kyra aveva fatto bene a non mollare.
Ancora una sala di aspetto. Alla parete, un orologio che non si muoveva. Fra le mani, Kyra
teneva un biglietto da visita: commissario capo Robert Bender, squadra Scomparsi.
Questa volta fu fatta entrare in una stanza grande e luminosa, di cui non fu chiusa la porta.
Kyra si guardò intorno: due scrivanie, una delle quali in perfetto ordine, mentre l’altra era
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coperta di carte sparpagliate. Odore di polvere. La foto di una squadra di calcio appesa al
muro.
La stanza aveva enormi finestre, da cui si vedevano i grattacieli del centro. Kyra si ricordò
di quando era arrivata in quel Paese. Non era stato facile, ma lei ce l'aveva fatta. Non si era
accontentata della prima sistemazione, in una famiglia di diplomatici che la trattavano come
una schiava. Aveva gettato anche quelle catene. C’era stato addirittura un periodo in cui aveva
creduto di poter fare quello che voleva, come girare per strada senza temere di essere uccisa o
violentata. Ma adesso la paura era tornata.
Da una porticina spuntò un uomo così alto, che per entrare aveva dovuto abbassare la testa.
Uno spilungone giovane e stempiato, con le orecchie a sventola e le mani infilate nelle tasche
dei pantaloni. Doveva essere Robert Bender.
Il primo sguardo che il commissario le lanciò era imbronciato. Kyra incontrò i suoi occhi:
due occhi azzurri che la scrutavano con insistenza, come per strapparle un segreto. Ma i
lineamenti dell’uomo si distesero subito, rivelando una faccia da buono.
Il commissario era persino educato. Non come quello spaccone che una volta le aveva
tenuto le mani dietro la schiena, al Sultano. Ma quegli occhi. Più Kyra incrociava il suo
sguardo, più le sembrò che dietro l’azzurro delle pupille ci fosse un osservatore nascosto, che
la guardava attraverso un mirino.
Quell’uomo era diverso da qualsiasi poliziotto con cui lei avesse avuto finora a che fare.
«Mi dispiace che abbia dovuto aspettare» le disse, indicando una sedia. «Purtroppo qui
siamo in pochi. E tutti i giorni spariscono bambini». Un poliziotto che si occupava di
bambini? Peccato che la scomparsa di Adele fosse un caso per adulti.
Quell'aggeggio sulla scrivania doveva essere un metronomo. Kyra aveva visto qualcosa di
simile in quella capanna che dalle sue parti si chiamava scuola. Guardò le mani di Robert
Bender: dita lunghe, adatte ai tasti di un pianoforte. Chissà se erano anche in grado di
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maneggiare una pistola. Kyra si chiese se lo spilungone avrebbe impugnato un’arma, per
salvarla.
Poi vide che sulla scrivania c'era anche una foto.
Il commissario continuò ad essere gentile: le chiese se voleva un caffè, e le fece persino
portare un panino. Chissà come aveva fatto ad accorgersi che aveva fame.
Kyra addentò la pagnotta a piccoli morsi. Mentre era occupata a masticare, il commissario
si era messo a giocherellare con una penna biro, e continuava ad osservarla, con gli occhi che
talvolta la trapassavano, talvolta ridevano di curiosità. Mai visto una donna guerriera? Una
che sa stare al mondo? Forse il commissario si era aspettato un’analfabeta con i capelli
crespi, mentre lei invece ci teneva al suo aspetto, e riusciva a parlare quasi senza accento.
Dopo qualche minuto, Kyra decise di tagliare corto. Lei era venuta fin lì con uno scopo
preciso.
«L’ho già detto alla sua collega: sono venuta a denunciare la scomparsa di un'amica.»
Robert Bender rimise la penna sul tavolo, incrociò le dita sotto il mento e rispose con una
lentezza esasperata:
«È sicura che la sua amica non sia scomparsa volontariamente?»
Quindi le fece lo stesso discorso di Nadia. I poliziotti dovevano saperlo a memoria: i
presunti scomparsi spesso si fanno vivi nel giro di pochi giorni. La polizia si muove soltanto
se sospetta un reato.
Kyra fu presa dallo sconforto. Ciascuna di quelle parole era una coltellata. Non avrebbero
fatto nulla per trovare Adele. La polizia se ne fotteva di quelle come lei.
Kyra scosse violentemente la testa.
«Non è possibile. Abitavamo insieme. Non si fa viva da due settimane. Di solito mi diceva
dove andava» disse a Robert Bender, spalancando gli occhi e gesticolando.
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A ogni nuova domanda, che metteva in dubbio la verità di quanto stava dicendo, rispose
con poche parole. Si prese la testa fra le mani. Cambiò posizione sulla sedia. Alla fine tese i
muscoli, e reclinò la testa all'indietro. Era come parlare ai muri, ma doveva provarci.
«Le è successo qualcosa. Ne sono sicura» affermò, con tutta la disperazione che riusciva a
esprimere.
Il commissario la ascoltò con attenzione. Gli occhi erano puntati su di lei. E con le orecchie
sembrava volesse captare anche quello che lei non stava dicendo. La fece parlare, limitandosi
a fare di sì con la testa. Ma a tratti Kyra vide anche una smorfia. Non le credeva.
«Ha detto che il passaporto di Adele in casa non c’è. È possibile che sia tornata al suo
Paese?»
«Il passaporto dobbiamo sempre portarcelo dietro. Ma in casa c’è ancora una cassettina
piena di soldi. Se voleva partire, li avrebbe presi.»
«Segno che aveva fretta» rispose il commissario. Ancora quella smorfia.
A questo punto Kyra batté un pugno sul tavolo e alzò la voce: «Non credo che sia andata
così. Se voleva fuggire, me lo avrebbe detto».
Il commissario non si scompose, ma abbassò gli occhi sul verbale. Qualcosa dovette
frullargli nel cervello, perché passarono alcuni minuti prima che si decidesse a reagire:
«Anche Adele faceva la prostituta?» le domandò, con uno sguardo che non era più
incuriosito. Il commissario aveva aggrottato le sopracciglia, e i suoi occhi si erano infossati.
Katia rabbrividì. Okay, mi stai giudicando.
«Sì, Adele faceva la puttana, come me» rispose Kyra, con un moto di stizza. Le sue pupille
lottarono contro lo sguardo imbronciato del commissario. Lei non si vergognava di fare quel
lavoro. In quel Paese, quello della prostituta era un mestiere come un altro. Bisognava persino
pagarci le tasse. Invece, da dove veniva lei, le donne venivano violentate e basta.
Nel frattempo Robert Bender si era alzato.
«Posso aprire la finestra? È tornato il caldo. E qui non c'è l'aria condizionata.»
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Come no. Nelle ultime estati, a Francoforte aveva preso a fare un caldo afoso. Talvolta
sembrava di essere in una città africana.
Kyra ne approfittò per allungare il collo, fino a distinguere la foto sulla scrivania: una
donna bionda, che teneva per mano un bambino con le orecchie a sventola. Per un attimo,
Kyra fu sul punto di commuoversi. Ma una fitta allo stomaco la fece piegare in due.
Un’immagine, come un flash, le era tornata di fronte agli occhi: la brutta fine che aveva fatto
sua madre, in Sudan. Bastava poco per far riapparire quel ricordo. La violenza è riposta in un
posto nascosto della memoria, e può tornare a rivivere in qualsiasi momento. Kyra sentì un
fremito in tutto il corpo. Fu pronta a scappare, o a difendersi. Ci mise qualche secondo a
capire che non c’era nessuno in procinto di aggredirla.
Nel suo campo visivo tornò il commissario, ora seduto di fronte a lei con i gomiti
appoggiati sul tavolo. Chissà se aveva notato il suo spavento.
«Kyra, posso darle del tu?»
Certo che poteva darle del tu. I tedeschi davano a tutti del lei, anche ai bambini. Kyra
aveva dovuto abituarcisi. Ma in fondo facevano bene. Era una forma di rispetto verso il
prossimo.
«Forse è meglio chiarire una cosa. In questa sezione ci occupiamo esclusivamente di
persone scomparse. Altri reati non sono di nostra competenza» le disse Robert Bender,
guardandola negli occhi. Quindi tirò fuori dal cassetto un biglietto da visita e glielo porse:
Commissaria Diana Wagner – Prostituzione Illegale e Traffico Umano.
«La polizia di una grande città è divisa in sezioni. Compartimenti stagni, per capirci. Se
credi che Adele avesse problemi, diciamo sul lavoro, è meglio che ti rivolgi a questa agente.»
Kyra si rimise a scuotere la testa. Sapeva dove il commissario voleva andare a parare. Ma
il bordello in cui lavorava era in regola con la legge. Almeno era quello che dicevano i
padroni. Strinse comunque il biglietto fra le mani.
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«Che cosa c’entra la Prostituzione Illegale? Adele non faceva niente di illegale» chiese al
commissario, sfidandolo con lo sguardo.
«Scommetto che al Sultano non sia tutto esattamente legale» ribatté il commissario.
«E io scommetto che Adele si trova in pericolo.»
Anche Kyra tirò fuori qualcosa. Era una foto. La guardò un'ultima volta, prima di
consegnarla al commissario. La foto mostrava Adele sulla riva di un lago, in una giornata di
sole. Occhi grandi, gambe lunghe, coperte soltanto da un paio di shorts. Ma perché aveva
dovuto fare quella fine?
Robert Bender si soffermò a osservare la foto. I pensieri lo assorbirono per qualche
momento. Quando rialzò gli occhi azzurri, a Kyra parve che fossero lucidi.
«Kyra, facciamo una cosa. Tu mi lasci la fotografia della tua amica, e io comincio a fare
qualche riscontro. Lo sai che cosa vuol dire?»
Kyra faceva la puttana, ma non era stupida:
«Che la cercherete fra i cadaveri… non identificati. Si dice cosi?»
«Certo, ma non è detto che la tua amica sia un cadavere. Nel frattempo, tieni gli occhi
aperti: Adele potrebbe rifarsi viva da un momento all’altro.»
«Adele ha fatto una brutta fine. Lo sento.»
«Hai chiesto alle colleghe?»
Kyra lo guardò con l'espressione di chi si rivolge a qualcuno che è completamente ignaro
della realtà:
«Le colleghe, come le chiamate voi, si fanno i fatti loro.»
«Allo stato attuale delle cose, dobbiamo aspettare. Ma se nel giro di due settimane non
succede niente, torna da me e apriremo un’indagine ufficiale.»
«Due settimane? Ma potrebbero ammazzarla!» esclamò Kyra, sbarrando gli occhi.
Altro che uomo d’azione. Quello era un grigio funzionario, che non aveva idea del mondo
in cui lei viveva.
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Il commissario si protese verso di lei, con un’espressione buona, ma anche scettica.
«E chi potrebbe avere intenzione di ammazzarla, secondo te?»
Kyra abbassò gli occhi e giunse le mani. Poi rialzò la testa, sicura di quello che stava per
dire.
«Il nostro è un mestiere pericoloso. Non sarebbe la prima volta che al Sultano saltano fuori
cadaveri.»
Era una storia vecchia, ma anche Kyra ne aveva sentito parlare.
«La tua amica secondo me è viva e vegeta. Se ne è voluta andare. Lo avrei fatto anch'io, al
posto suo.»•
«Non avete capito niente» disse Kyra, alzando la voce e battendo una mano sul tavolo.
Ma il commissario si limitò a fare spallucce. Poi si alzò, come per segnalare che il
colloquio era finito.
Quando richiuse la porta dietro di sé, Kyra aveva le lacrime agli occhi. Non le avevano
creduto. A loro non importava niente di una negra.
Perché lei era nera. E nera voleva dire diversa. Talvolta avrebbe voluto trasformarsi in
un’ombra. Un’ombra fra le tante, a cui nessuno avrebbe fatto caso.
13
3.
Giunonica, la ragazza. Robert Bender non aveva mai visto un collo così lungo e una pelle
così scura.
Peccato che mentisse. O che non dicesse tutta la verità.
Lui aveva un sesto senso per le menzogne. Una specie di allarme fisico, che certi segnali
facevano scattare. Uno sguardo che cercava di evitare i suoi occhi. Mani che afferravano il
naso o le orecchie. O un respiro affannoso.
Gli avevano persino fatto fare un addestramento a Berlino. Un corso tenuto da psicologi, su
come si riconoscono le contraddizioni fra le parole e i segnali del corpo. Qualcuno gli aveva
detto che era lie-detector ambulante. Robert aveva gradito il complimento, ma se lo era tenuto
per sé. Non aveva voglia di assistere a tutti gli interrogatori della polizia di Francoforte.
E poi anche lui si sbagliava. Macché lie-detector. Era soltanto uno che sapeva tenere gli
occhi aperti. E ficcare il naso dappertutto. Per questo era entrato nella polizia criminale.
Robert posò il verbale redatto da Nadia sulla scrivania, già piena di carte da sbrigare. Il suo
sguardo si posò sulla foto di un bambino dai riccioli biondi. Probabilmente sequestrato dalla
madre. Nella migliore delle ipotesi. Il suo era un lavoro duro. Un lavoro diverso.
Forse Kyra mentiva per necessità. Non era una privilegiata come lui. Robert aveva cercato
di stringerle la mano. Voleva congedarsi da lei in modo amichevole. Ma lei si era ritratta,
come afferrata da un istinto di difesa. Ed era uscita senza voltarsi. Le forze dell'ordine non
dovevano ispirarle molta fiducia.
Robert ripensò a quella singolare apparizione. Quando l’aveva vista, aveva fatto uno sforzo
per scacciare le associazioni evocate dalla pelle nera. No, non era una delinquente, una
spacciatrice, una pronta a derubarti. Aveva provato a immaginarsela con i capelli biondi, la
pelle diafana, le labbra sottili. Non sapeva niente di lei.
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Kyra era sovradimensionata, non soltanto in altezza. Anche gli occhi e le labbra erano più
grandi del normale. Portava i capelli lisci, lunghi fino alle spalle. Una bellezza esotica,
dall’aspetto curato. Incontrandola per strada, Robert l’avrebbe scambiata per una commessa di
profumeria. La donna ostentava un portamento fiero, che solo di tanto in tanto lasciava il
passo a un'attitudine seduttiva. Di fronte a lui si era passata più volte le mani sui capelli e
aveva accavallato le gambe. Al polso portava un largo monile dorato, che mostrava con la
civetteria di una primadonna. Chissà qual era la sua estrazione sociale. Ma dietro le
apparenze, una cosa saltava agli occhi: la donna era tesa come le corde di un violino. Aveva
davvero paura. Si era guardata più volte alle spalle, e almeno una volta la sua voce si era
trasformata in uno strillo. Ma forse era soltanto una persona che doveva avere lottato duro per
arrivare a un’esistenza modesta. E che era abituata a stare in guardia, da pericoli reali o
immaginari.
Robert prese fra le mani il verbale e mise a fuoco la parola riportata in corrispondenza di
"professione": prostituta. Come se fosse la cosa più normale del mondo.
Sentì un nodo allo stomaco. La solita rabbia nei confronti di politici privi di senso della
realtà. I quali, con la liberalizzazione, avevano trasformato quel Paese nel bordello d’Europa.
Meno male che lo sfruttamento e la prostituzione forzata continuavano a essere fattispecie di
reato. Chissà se Kyra lo sapeva.
A tratti, la donna gli era sembrata terrorizzata: forse erano stati gli scatti improvvisi della
testa, o gli occhi sbarrati.
Forse la testimone temeva davvero che un qualche pericolo incombesse sulla sua amica.
Ciò nondimeno Robert aveva l’impressione che non dicesse tutta la verità. Ma la verità non è
una cosa che tutti possono permettersi. Chissà se Kyra temeva le ritorsioni dei suoi datori di
lavoro.
Sfruttamento della prostituzione? Come se la Scomparsi non avesse già abbastanza gatte da
pelare.
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Ci voleva una specialista che conoscesse bene l’ambiente, e avesse uno spirito più affine a
un’assistente sociale che a una poliziotta. Per questo aveva tirato fuori il biglietto da visita di
Diana.
Robert si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Il mondo era marcio. Ma perché quei casi
toccavano sempre a lui?
Spinse lo sguardo verso le torri del distretto finanziario. Si vedevano bene, in quella
giornata assolata. Fece un respiro più lungo del normale. Kyra gli aveva ricordato un incontro
di alcuni anni prima, che lo aveva cambiato. Ma quelle erano cose che succedevano una sola
volta nella vita.
Il rumore del traffico sottostante lo riportò nel presente. Poteva trattarsi benissimo di una
scomparsa volontaria. Spesso i presunti scomparsi volevano semplicemente cambiare vita,
rompere con il passato. Anche lui era stato in procinto di mollare tutto e andare a vivere
altrove, dove non avrebbe dovuto subire i giudizi di suo padre o dei colleghi.
Non era strano che una prostituta volesse cambiare vita. Chi non avrebbe desiderato
lasciarsi alle spalle quello che politici illuminati si ostinavano a chiamare mestiere, e invece
non era altro che una delle più barbare forme di sfruttamento?
Robert aveva già effettuato indagini nello squallido ambiente della prostituzione. Era già
entrato in quei fabbricati, prevalentemente situati in periferia, come previsto dalle leggi
comunali. Si chiamavano Eros Center, ma pur sempre bordelli rimanevano.
Quel caso esulava dalla sua competenza. Era probabile che la donna si fosse allontanata di
propria volontà. Se poi era stata vittima di un crimine, se ne sarebbe occupata la squadra
Omicidi.
Però qualche riscontro di routine andava fatto. Non gli costava niente consultare la banca
dati dei cadaveri non identificati. Fu così che riaccese il computer e, senza volerlo, rimase
immerso in quella ricerca fino a quando la luce del monitor rimase l’unica fonte di
illuminazione.
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Il risultato fu negativo: a partire dalla data in cui Adele era scomparsa, non era stato
rinvenuto alcun cadavere che rispondesse alla sua fisionomia. Nemmeno nei paesi limitrofi, a
giudicare dalla banca dati di Interpol.
Adele Kebal non poteva essere morta.
Con un gesto deciso, Robert mise il verbale nel mucchio delle pratiche non urgenti.
Dove sarebbe rimasto, se non fosse stato per Diana.
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4.
Cazzo. Andare alla polizia era stato inutile. Quel Robert Bender era uno di quelli che ti
scaricano con educazione. Ma Adele era sparita davvero. All’improvviso, senza fare i bagagli.
Doveva esserle successo qualcosa. E se era stata una fuga, da che cosa poteva essere fuggita?
Adele non le aveva mai detto di sentirsi minacciata.
Kyra si chiese se anche lei fosse in pericolo. Scacciò quel pensiero. Non lo era più di
quanto lo fosse sempre stata. Anche Kyra avrebbe voluto fuggire. Alla ricerca della vita
rispettabile che aveva sempre sognato. Ma non era ancora giunto il momento.
La giornata era stata pesante. Meno male che l’ultimo cliente era stato gentile. Uno
abituale, che voleva sempre lei. Purtroppo non erano tutti così educati.
Kyra si abbandonò sul letto. Era ora di staccare. Mille pensieri si rincorrevano nella sua
mente. Il volto di Adele, quando le aveva detto che sarebbe andata a correre. Era stato un
addio. Vedersi per l’ultima volta, senza nemmeno saperlo. Quello era stato un brutto scherzo
del destino.
Cercò di essere razionale: Adele poteva essere scappata con un uomo. Rifarsi una vita
normale, da qualche parte, era in fondo il sogno di tutte le puttane. Ma andare via così, senza
una parola. Kyra non lo credeva possibile.
Rimase a guardare il soffitto, senza la forza di alzarsi. La stanza era ancora invasa dal
fumo. Il cliente aveva voluto accendere le candele. Kyra si abbandonò ai pensieri. Era venuto
il momento di organizzare la sua vita su basi più solide. Ma non poteva farlo, se non si
liberava di quel peso.
Un colpo. Due colpi. Kyra sussultò. Qualcuno bussava alla porta in modo perentorio. Si
alzò di scatto. A quei colpi si doveva ubbidire.
Era ancora nuda. Se ne accorse e rabbrividì. Si infilò una vestaglina corta, prima di andare
ad aprire la porta. Il brutto presagio che l’aveva colpita trovò conferma: l’individuo che le
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stava di fronte era Arkan. Qualcosa doveva andare storto, perché il capo aveva gli occhi
infossati e le sopracciglia imbronciate. Portava un giubbotto scuro e odorava di tabacco.
Ilkan Arkan si infilò in fretta nella stanza e si lasciò andare su una poltroncina, sbuffando.
Poi si accese una sigaretta e la puntò verso di lei.
«Si può sapere dove si è cacciata Adele?» La sua voce roca risuonò nella stanza.
Chissà che cosa voleva farle credere con quella recita, pensò Kyra, che era rimasta in piedi
di fronte a lui. Non sapendo come ribattere, decise di prendere tempo. Si mise a sedere a
un’estremità del letto, e cercò di assumere la posa graziosa di una venere nera.
«Se credi che Adele mi faccia molte confidenze, ti sbagli. Non la vedo da più di una
settimana» gli rispose, con voce svenevole.
«Non viene a casa?»
Perché le faceva tutte quelle domande ipocrite? Per crearsi un alibi?
«A dire il vero, dovrei essere io a chiederti dov’è Adele» disse Kyra. Ma rabbrividì
immediatamente. Non poteva permettersi quella sfrontatezza.
Arkan assunse una posizione eretta, poi mise i gomiti sulle ginocchia e alzò il volume della
voce. La sigaretta spargeva scintille di fuoco.
«Kyra, non scherziamo. Adele ha fatto saltare un paio di appuntamenti con dei clienti. Non
è il suo stile. Comincio a preoccuparmi.»
Arkan che si preoccupava per Adele? Vai a capire i padroni. E poi che cosa c’entrava lui
con i clienti? Per la legge, Arkan era solo un affittacamere.
Kyra voltò la testa, perché Arkan non notasse la sua smorfia di disgusto. Trovava quel
teatrino insopportabile. Ma non disse niente della sua denuncia alla polizia. Quelle non erano
cose che si potevano fare all’insaputa dei fratelli Arkan.
Recuperando la lucidità, Kyra abbassò gli occhi e accavallò le gambe. Agli uomini
piaceva.
19
«Ilkan» disse Kyra, cercando di essere convincente. «Adele non può essere fuggita. Ha
lasciato i suoi soldi in casa».
Arkan la guardò con aria interrogativa. Poi rimase a pensare, passandosi una mano sulla
barba corta. Forse le credeva.
«Va bene, ci penso io a trovare Adele. Ma tu tieni la cosa per te. Ci siamo capiti?»
Era una minaccia. Arkan non voleva la polizia venisse a ficcare il naso al Sultano. E ne
aveva un buon motivo.
Ma Kyra non si perse d’animo. Se quelli avevano fatto scomparire Adele, la prossima volta
sarebbe toccato a lei. Decise di fottersene delle sue minacce, e di cercare aiuto.
Il giorno dopo tornò al commissariato di polizia, e questa volta si fece ricevere da Diana
Wagner. Una poliziotta magra magra, con due gambe a stecchino. Carina. Peccato che fosse il
tipo dell’assistente sociale.
La Wagner si mostrò interessata al caso. Ma la tempestò con le solite domande che Kyra si
era sempre sentita ripetere da tutte le benefattrici in cui si era finora imbattuta. Per fortuna,
raramente.
«Come hai cominciato?»
«C’è qualcuno che ti costringe?»
«Vuoi smettere? Abbiamo un programma di sostegno.»
«Temi ritorsioni? Hai figli al tuo paese?»
Kyra aveva ripetuto che fare la puttana non era il mestiere che aveva sempre sognato, ma
ci si era abituata. Guadagnava bene, e si prendeva il suo tempo libero. Solo alla prima
domanda non aveva risposto. Aveva cambiato discorso, e la poliziotta non aveva insistito.
Alla fine del colloquio, Diana Wagner le aveva promesso che il suo caso non sarebbe finito
fra le scartoffie dimenticate. Si era persino portata la mano al cuore.
Tornata al Sultano, Kyra ricevette un’altra visita.
20
Era Mehmet Arkan, il fratello più giovane e più violento di Ilkan. Quando lo vide apparire
sulla soglia, accompagnato da due tipi sinistri, Kyra si sentì morire.
FINE DELL’ESTRATTO
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Nera
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