LeStrade n. 1554 - gennaio/febbraio 2020
- Sicurezza: appello per tutelare le infrastrutture critiche
- Gallerie: passato, presente e futuro della Napoli sotterranea
- Materiali: l'economia circolare nelle pavimentazioni
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88 Napoli Underground/1 La Storia scritta Fabrizio Apostolo Foto di Joanna Michalak nel sottosuolo VIAGGIO DI LESTRADE TRA I CUNICOLI E LE CAVITÀ DELLA NAPOLI SOTTERRANEA, CON APPRODO FINALE ALLA GALLERIA BORBONICA, ALLA SCOPERTA DI TECNICHE PLURICENTENARIE DI SCAVO NEL TUFO E NEL PIPERNO, DI MANUTENZIONI IDRAULICHE LEGGENDARIE, DI ENCOMIABILE VOLONTARIATO CULTURALE E DI “STORIE QUOTIDIANE DI SALVEZZA”, PER ESEMPIO DALLE BOMBE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, DENTRO IL VENTRE ACCOGLIENTE DI UNA STRAORDINARIA METROPOLI EUROPEA. L a Storia pulsa nelle viscere, nel sottosuolo. Q uella di Napoli, innanzitutto, gloriosa capitale ieri, oggi straordinario capoluogo. È una storia lunga, fatta di epoche, di persone, di mestieri e di tecniche esecutive. Tecniche di scavo, essenzialmente, dentro i “vulcanici” tufo e piperno e, come vedremo, di manutenzione di cisterne e pozzi centenari. Se vogliamo trovare un modo per raccontare il rapporto tra l’essere umano, segnatamente homo faber, e il sottosuolo, secondo un approccio che è antico e nuovo ad un tempo (basti pensare all’opera di divulgazione di buone pratiche sotterranee di una realtà mondiale come l’ITA, l’International Tunnelling Association), non sbagliamo a entrare nel ventre di una metropoli come quella partenopea, che nel maggio scorso, peraltro, è stata sede ospitante del World Tunnel Congress 2019, evento ITA e SIG, la Società Italiana Gallerie. Tra i tour collaterali al congresso, vi è stata anche una visita alla Galleria Borbonica, uno dei siti della Napoli Sotterranea, quell’incredibile reticolo di cavità, attraversamenti, pozzi, scalinate, ponti underground e ardite gallerie che si è stratificato nel tempo, contrappuntandolo e generando storie a non finire. La cosiddetta Galleria Borbonica era, va premesso, un complesso passaggio sotterraneo progettato dal noto architetto Errico Alvino e fatto realizzare da Ferdinando II di Borbone dal 1853 al 1855, ma mai completato. Il suo obiettivo: garantire una via sicura al sovrano, ancora “scottato” dai moti del 1848, e alle sue guardie. Il punto interessante che quel “sistema infrastrutturale” si trovò da un lato ben presto a incrociarsi con percorsi di vario genere molto più antichi, per lo più di origine secentesca e settecentesca, e dall’altro sa- 1 Gallerie 1-2/2020 leStrade
Q 89 LS 2 3 1. Una prospettiva della Galleria Borbonica con le arcate ottocentesche 2. Sotto il pozzo: la tipica forma dello scavo 3. Particolare di una parete in tufo rebbe stato testimone di una serie di cambi di destinazioni d’uso, per così dire, di vani e ambienti che forse un’intera enciclopedia non basterebbe a illustrare. Sotto Palazzo Serra Andarci per credere. Come abbiamo fatto noi, del resto, lo scorso dicembre. Il punto di partenza della nostra visita, condotta insieme alle impeccabili e appassionate guide dell’Associazione Culturale Borbonica Sotterranea (per info g a l l e r i a b o r b o n i c), a è . stato c o m il Palazzo Serra di Cassano a Monte Di Dio, quartiere anche noto come Pizzofalcone, acquistato dalla famiglia di commercianti genovesi Serra nel X V II Secolo e ampliato nel secolo successivo. È tristemente nota la vicenda di uno degli eredi, Gennaro Serra, che nel 1799 partecipò alla Rivoluzione Napoletana e fu decapitato, a seguito dell’avvento della controriforma “sanfedista”, nel cuore di piazza del Mercato, evento che fece prendere al padre Luigi la decisione di tenere sempre chiuso, in segno di lutto e protesta, il portone principale della dimora (due sole le eccezioni: un gran ballo “olimpico” nel 1960 a cui parteciparono Achille Lauro, la Callas, Onassis e i reali di Grecia, e il 200° anniversario della morte del giovane nel 1999). ui, nel cortile del palazzo, campeggia un pozzo che fino ai primi anni Duemila veniva usato come “discarica”, dal momento che rappresentava il collegamento superficiale con le antiche cave utilizzate per l’estrazione del tufo all’epoca della costruzione e ampliamento del palazzo. Gli ambienti recuperati si collegano direttamente con la Galleria Borbonica di cui abbiamo detto, “riscoperta”, per così dire, dal geologo Gianluca Minin nel 2005 e aperta al pubblico nel 2010 grazie al lavoro incessante dei volontari. Due anni più tardi, lo stesso Minin “bucando” (debitamente autorizzato) il pavimento di una residente, scoprì il nesso underground tra la Galleria e il mondo sottostante Palazzo Serra, restituendo a napoletani e visitatori un percorso di incredibile suggestione fruibile dal 2015. Le cisterne dentro il tufo Dal pozzo del cortile di Palazzo Serra si arriva oggi, così , alle cosiddette “cisterne”, una serie di ambienti che raggiungono la profondità di circa 40 m dove tra l’altro negli anni della Seconda Guerra Mondiale trovarono rifugio migliaia di napoletani. In quel periodo gallerie e vani furono anche dotati di servizi igienici e di un impianto elettrico installato dai tecnici dell’UNPA, l’Unione Nazionale Protezione Antiaerea, con risorse del Ministero dell’Interno e del Comune di Napoli. Su gran parte delle pareti e delle volte, inoltre, fu stesa della calce bianca con il duplice intento di evitare la disgregazione del tufo e di migliorare la luminosità di spazi che erano diventati pienamente “abitativi”. Q ueste case dentro le viscere furono vissute fino al 1947, dopodiché parte degli spazi vennero abbandonati, mentre il cunicolo della Galleria Borbonica vera e propria fu riconvertito in deposito giudiziale, funzione che detenne fino agli anni Settanta. Finì qui tutto quanto - in particolare auto, moto e biciclette - veniva recuperato da crolli, sfratti e sequestri. Alcuni degli oggetti recuperati sono stati messi in mostra in interessanti allestimenti, come quello sulla Seconda Guerra Mondiale nello spazio gestito da Interno A14, che un tempo ospitava la falegnameria di Palazzo Serra. Ma torniamo nel sottosuolo, per l’esattezza in quello che è stato denominato il percorso “della memoria”. Q uella di chi, per esempio, qui ha trovato scampo dalle bombe, dagli anziani ai bambini, fino a chi sotto queste volte ci è nato, come la signora Caterina, detta affettuosamente “Sirena”, nel senso di quella antiaerea. Camminando nei cunicoli ci si imbatte ancora nelle tracce di quella precisa epoca, dalla segnaletica muraria (come la scritta “RISERV ATO”, ai militari) al telefono di servizio dell’UNPA. Ma la memoria, da queste parti, riesce ad andare anche molto più addietro, incuneandosi negli anni della costruzione non solo del palazzo, ma anche di edifici persino più antichi. Tutte opere ricavate da queste incredibili cave sotterranea dove veniva estratto il tufo, asportato con mani e scalpelli e tagliato a piccoli blocchi che venivano portati in superficie. Alla base di tutto, un pluricentenario acquedotto, ovverosia una grande vasca-cisterna risalente alla metà del X V I Secolo da cui il prezioso liquido veniva prelevato con anfore in terracotta dette “mummarelle”. L’intero sistema veniva manutenuto dai “pozzari”, addetti decisamente malpagati che tuttavia conoscevano come le loro tasche il mondo di raggiungere le uscite dentro i palazzi, in genere nelle cucine. Prende origine da qui la tradizione partenopea del “munaciello”, il piccolo monaco che dà o toglie. Gallerie 1-2/2020
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1. Una prospettiva della<br />
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forma dello scavo<br />
3. Particolare<br />
di una parete in tufo<br />
rebbe stato testimone di una serie di cambi di destinazioni<br />
d’uso, per così dire, di vani e ambienti che forse un’intera<br />
enciclopedia non basterebbe a illustrare.<br />
Sotto Palazzo Serra<br />
Andarci per credere. Come abbiamo fatto noi, del resto,<br />
lo scorso dicembre. Il punto di partenza della nostra visita,<br />
condotta insieme alle impeccabili e appassionate guide<br />
dell’Associazione Culturale Borbonica Sotterranea (per info<br />
g a l l e r i a b o r b o n i c), a è . stato c o m il Palazzo Serra di Cassano<br />
a Monte Di Dio, quartiere anche noto come Pizzofalcone,<br />
acquistato dalla famiglia di commercianti genovesi Serra nel<br />
X V II Secolo e ampliato nel secolo successivo.<br />
È tristemente nota la vicenda di uno degli eredi, Gennaro<br />
Serra, che nel 1799 partecipò alla Rivoluzione Napoletana<br />
e fu decapitato, a seguito dell’avvento della controriforma<br />
“sanfedista”, nel cuore di piazza del Mercato, evento<br />
che fece prendere al padre Luigi la decisione di tenere sempre<br />
chiuso, in segno di lutto e protesta, il portone principale<br />
della dimora (due sole le eccezioni: un gran ballo “olimpico”<br />
nel 1960 a cui parteciparono Achille Lauro, la Callas,<br />
Onassis e i reali di Grecia, e il 200° anniversario della morte<br />
del giovane nel 1999).<br />
ui, nel cortile del palazzo, campeggia un pozzo che fino ai<br />
primi anni Duemila veniva usato come “discarica”, dal momento<br />
che rappresentava il collegamento superficiale con<br />
le antiche cave utilizzate per l’estrazione del tufo all’epoca<br />
della costruzione e ampliamento del palazzo. Gli ambienti<br />
recuperati si collegano direttamente con la Galleria Borbonica<br />
di cui abbiamo detto, “riscoperta”, per così dire, dal geologo<br />
Gianluca Minin nel 2005 e aperta al pubblico nel 2010<br />
grazie al lavoro incessante dei volontari. Due anni più tardi,<br />
lo stesso Minin “bucando” (debitamente autorizzato) il pavimento<br />
di una residente, scoprì il nesso underground tra<br />
la Galleria e il mondo sottostante Palazzo Serra, restituendo<br />
a napoletani e visitatori un percorso di incredibile suggestione<br />
fruibile dal 2015.<br />
Le cisterne dentro il tufo<br />
Dal pozzo del cortile di Palazzo Serra si arriva oggi, così , alle<br />
cosiddette “cisterne”, una serie di ambienti che raggiungono<br />
la profondità di circa 40 m dove tra l’altro negli anni della<br />
Seconda Guerra Mondiale trovarono rifugio migliaia di napoletani.<br />
In quel periodo gallerie e vani furono anche dotati<br />
di servizi igienici e di un impianto elettrico installato dai<br />
tecnici dell’UNPA, l’Unione Nazionale Protezione Antiaerea,<br />
con risorse del Ministero dell’Interno e del Comune di Napoli.<br />
Su gran parte delle pareti e delle volte, inoltre, fu stesa della<br />
calce bianca con il duplice intento di evitare la disgregazione<br />
del tufo e di migliorare la luminosità di spazi che erano<br />
diventati pienamente “abitativi”. Q ueste case dentro le<br />
viscere furono vissute fino al 1947, dopodiché parte degli<br />
spazi vennero abbandonati, mentre il cunicolo della Galleria<br />
Borbonica vera e propria fu riconvertito in deposito giudiziale,<br />
funzione che detenne fino agli anni Settanta. Finì qui<br />
tutto quanto - in particolare auto, moto e biciclette - veniva<br />
recuperato da crolli, sfratti e sequestri. Alcuni degli oggetti<br />
recuperati sono stati messi in mostra in interessanti allestimenti,<br />
come quello sulla Seconda Guerra Mondiale nello<br />
spazio gestito da Interno A14, che un tempo ospitava la falegnameria<br />
di Palazzo Serra.<br />
Ma torniamo nel sottosuolo, per l’esattezza in quello che è<br />
stato denominato il percorso “della memoria”. Q uella di chi,<br />
per esempio, qui ha trovato scampo dalle bombe, dagli anziani<br />
ai bambini, fino a chi sotto queste volte ci è nato, come<br />
la signora Caterina, detta affettuosamente “Sirena”, nel senso<br />
di quella antiaerea. Camminando nei cunicoli ci si imbatte<br />
ancora nelle tracce di quella precisa epoca, dalla segnaletica<br />
muraria (come la scritta “RISERV ATO”, ai militari) al telefono<br />
di servizio dell’UNPA. Ma la memoria, da queste parti, riesce<br />
ad andare anche molto più addietro, incuneandosi negli<br />
anni della costruzione non solo del palazzo, ma anche di edifici<br />
persino più antichi. Tutte opere ricavate da queste incredibili<br />
cave sotterranea dove veniva estratto il tufo, asportato<br />
con mani e scalpelli e tagliato a piccoli blocchi che venivano<br />
portati in superficie. Alla base di tutto, un pluricentenario<br />
acquedotto, ovverosia una grande vasca-cisterna risalente<br />
alla metà del X V I Secolo da cui il prezioso liquido veniva<br />
prelevato con anfore in terracotta dette “mummarelle”. L’intero<br />
sistema veniva manutenuto dai “pozzari”, addetti decisamente<br />
malpagati che tuttavia conoscevano come le loro<br />
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genere nelle cucine. Prende origine da qui la tradizione partenopea<br />
del “munaciello”, il piccolo monaco che dà o toglie.<br />
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