03.06.2020 Views

Ottopagine Storie 02

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Otto<br />

pagine<br />

<strong>Storie</strong><br />

C’era una volta<br />

e forse<br />

c’è ancora...<br />

Come Pinocchio aveva un difetto:<br />

più la sparava grossa<br />

più finiva nei talk show e nei telegiornali,<br />

facendosi domande e dandosi risposte,<br />

però non era Marzullo<br />

di Federica D’Ambro<br />

C’era una volta, e forse c’è<br />

ancora, un piccolo<br />

burattino che voleva<br />

vivere la vita come un<br />

bambino vero. Non<br />

sapeva, Collodi, che il suo<br />

Pinocchio, dopo qualche generazione,<br />

sarebbe stato qui, a portata di mano e<br />

farebbe addirittura il sindaco. Scelto dai<br />

cittadini di Avellino. Pure lui una<br />

marionetta. Ma da queste parti una<br />

macchietta rende meglio l’idea.<br />

Come Pinocchio aveva un unico difetto:<br />

ogni volta che diceva una bugia o la<br />

“sparava grossa” finiva nei talk show e<br />

nei tg di tutta la nazione.<br />

“Che fa un sindaco?”, lo hanno sentito


ipetere più e più volte i<br />

suoi concittadini, che non<br />

erano gli ospiti di un<br />

Valtur da intrattenere e<br />

divertire.<br />

E come Marzullo, lui a<br />

questa domanda aveva<br />

trovato una risposta. Il<br />

sindaco fa l’animatore<br />

s’era detto, senza ascoltare<br />

la coscienza e il grillo<br />

parlante, che nel<br />

frattempo, come Ugolino,<br />

gli mozzicavano la<br />

capocciona da<br />

“fratacchione”<br />

impenitente che si<br />

ritrovava.<br />

“Li ho trovati, li ho<br />

trovati”, lo hanno sentito<br />

giustificarsi, come quando<br />

la mamma ti pizzicava con<br />

le mani nella marmellata e<br />

tu negavi tutto: è il<br />

barattolo che m i è caduto<br />

addosso.<br />

Più finiva in diretta, più le<br />

panzane crescevano,<br />

perché dovevano<br />

adeguarsi all’audience e<br />

alla qualità degli<br />

intervistatori: perché era<br />

quando si trovava di<br />

fronte a uno serio e capace<br />

che lui s’impappinava,<br />

trasformando i sorrisi in<br />

smorfie di dolore<br />

malcelato.<br />

Per uno scherzo del<br />

destino, se il Nostro si<br />

ritrovasse proiettato a<br />

Woodstock sarebbe<br />

portato a salire sul palco<br />

per duettare con Janis<br />

Joplin o a sgolarsi con<br />

Richie Havens intonando<br />

“freedom”, facendosi di<br />

Lsd per tutto il tempo.<br />

Come nella favola di<br />

Cenerentola, a lui dopo<br />

mezzanotte era scivolato<br />

di mano uno slogan che<br />

involontariamente s’era<br />

trasformato nella trama di<br />

una commedia che non<br />

faceva ridere, ma che non<br />

poteva essere una tragedia<br />

vista la sua verve. Come<br />

un capocomico, di<br />

trasmissione in<br />

trasmissione, di<br />

telegiornale in<br />

telegiornale, lui<br />

continuava a raccontare la<br />

storia di quell’incontro nel<br />

campo dei miracoli che è<br />

via de Concilii. Uno a uno<br />

li aveva contati e alla fine<br />

erano erano risultati<br />

trecento, tutti giovani e<br />

bevuti forte. Lui aveva<br />

seminato saggezza, ma


Otto<br />

pagine<br />

<strong>Storie</strong><br />

non era stato compreso.<br />

Come la spigolatrice, lui<br />

s’era ritrovato testimone,<br />

però aveva anche sparato<br />

qualche colpo: contro De<br />

Luca non caricava mai a<br />

salve.<br />

Ucciso il grillo parlante,<br />

allontanata la voce della<br />

coscienza, finito tra i<br />

gendarmi e i mangiafuoco<br />

della politica, non gli<br />

restava che affidarsi alla<br />

fata turchina: ne aveva<br />

trovata una che si<br />

chiamava Barbara ed era<br />

più illuminata di una<br />

Piedigrotta, delle luci<br />

d’artista che pure avrebbe<br />

voluto imitare.<br />

Lei l’aveva accolto<br />

amorevole e perdonato<br />

per ogni marachella. Per<br />

tre giorni s’era sentito<br />

come il piccolo principe<br />

che tutti cercavano e tutti<br />

volevano ascoltare.<br />

Poi, spenti i riflettori,<br />

s’era sentito solo.<br />

Molto solo. Abbandonato.<br />

Condannato a tornare in<br />

quel consiglio comunale<br />

dove tutti gli chiedevano<br />

di fare cose tristi, tutti<br />

parlavano di problemi, di<br />

guai che si dovevano<br />

risolvere. S’era guardato<br />

attorno cercando le<br />

insegne Valtur e i colleghi<br />

animatori. Ma niente.<br />

E allora si risolse, mise<br />

una pagnottella e un<br />

formaggio in un<br />

fazzoletto, l’inforcò con<br />

una mazza e si allontanò<br />

dalla città, camminando e<br />

camminado, fino all’altro<br />

capo del mondo dove<br />

aveva chiesto aiuto a un<br />

pescecane.<br />

Era De Liuca che lo<br />

aspettava in mare aperto,<br />

per dargli un sacco di<br />

mazzate.


Ucciso il grillo parlante<br />

e allontanata<br />

la voce della coscienza,<br />

non gli restava<br />

che affidarsi<br />

alla fata turchina:<br />

ne aveva trovata una<br />

che si chiamava Barbara<br />

ed era più illuminata<br />

di una Piedigrotta,<br />

delle luci d’artista<br />

che pure avrebbe voluto<br />

imitare<br />

Si allontanò<br />

dalla città, camminando<br />

e camminando,<br />

fino all’altro capo<br />

del mondo<br />

dove aveva chiesto<br />

aiuto a un pescecane.<br />

Ma era De Luca<br />

che lo aspettava<br />

in mare aperto<br />

per dargli un sacco<br />

di mazzate.<br />

Otto<br />

pagine<br />

<strong>Storie</strong>


Ucciso<br />

e gettato<br />

nel fiume<br />

L’omicidio di Biagio Di Meo,<br />

38enne di Faicchio,<br />

è un mistero che dura da dodici anni<br />

di Enzo Spiezia<br />

La speranza è che stavolta<br />

possa essere finalmente<br />

quella buona per<br />

definire un movente e<br />

dare un nome ed un<br />

volto agli assassini. Perché<br />

quello di Biagio Di Meo, 38<br />

anni, di Faicchio, un artigiano ucciso<br />

con un colpo di pistola e poi<br />

gettato nel Volturno, dalle cui<br />

acque era stato recuperato il 13<br />

maggio del 2008, è un omicidio fin<br />

qui irrisolto. Un cold case nelle<br />

cronache della provincia di Benevento,<br />

nuovamente al centro di<br />

un'attività investigativa dopo la<br />

decisione del gip Gelsomina Palmieri<br />

di disporre, nel novembre<br />

del 2019, altri sei mesi di indagini.<br />

Era quanto aveva sollecitato la sorella<br />

della vittima, rappresentata


dall'avvocato Danilo Riccio, che si<br />

era opposta all'archiviazione proposta<br />

dalla Procura. Nessuna parola<br />

fine, dunque, sull'inchiesta, a<br />

carico di ignoti, che alcuni giorni<br />

fa è stata scandita da un sopralluogo<br />

del sostituto procuratore<br />

Maria Dolores De Gaudio, della<br />

Squadra mobile e dello stesso legale<br />

della parte offesa. Attenzione<br />

puntata, in particolare, sull'abitazione<br />

di via Cortesano dalla quale<br />

Di Meo era scomparso il 7 aprile e<br />

sulla zona del rinvenimento del<br />

suo corpo senza vita. Un lavoro<br />

compiuto alla ricerca degli elementi<br />

necessari ad approfondire<br />

alcune circostanze indicate dal<br />

giudice: tra le altre, l'arma e alcune<br />

deposizioni raccolte all'epoca.<br />

La mattina del 7 aprile del 2008 -<br />

un lunedì - Biagio Di Meo era<br />

uscito di casa e con il suo Nissan<br />

aveva raggiunto la già ricordata<br />

seconda abitazione in via Cortesano.<br />

Un cliente gli aveva commissionato<br />

un lavoro, doveva piallare<br />

alcune tavole di legno. Aveva però<br />

dimenticato un attrezzo assolutamente<br />

indispensabile, per questo<br />

aveva inviato un sms alla sua convivente,<br />

all’epoca in stato di gravidanza,<br />

per chiederle la cortesia di<br />

portarglielo. L’orologio segnava all’incirca<br />

un quarto d’ora dopo le 8.<br />

La donna era arrivata un’ora più<br />

tardi ma lui non c'era. Aveva pensato<br />

che si fosse spostato da qualche<br />

altra parte, che avesse avuto<br />

un impegno improvviso. Il fuoristrada<br />

era fermo nei pressi dello<br />

stabile, con le chiavi inserite nel<br />

cruscotto. La speranza di vederlo<br />

rientrare si era infranta in serata.<br />

Biagio non era rincasato, non era<br />

da lui allontanarsi senza avvertire<br />

chi gli stava vicino. Ecco perché la<br />

sorella e la compagna, comprensi-


Attenzione puntata,<br />

in particolare,<br />

sull’abitazione<br />

di via Cortesano<br />

dalla quale<br />

Di Meo era scomparso<br />

il 7 aprile<br />

e sulla zona<br />

del rinvenimento<br />

del suo corpo<br />

senza vita<br />

bilmente preoccupate, avevano<br />

dato l'allarme alla polizia. Sopralluoghi,<br />

rilievi, l'immediato avvio<br />

delle ricerche. Erano state condotte<br />

in un'area molto vasta, senza risultato.<br />

Cellulare muto, nessuna traccia.<br />

Della sua sparizione si era<br />

occupata anche la trasmissione Rai<br />

'Chi l'ha visto?', con un servizio<br />

andato in onda il 5 maggio. Numerose<br />

le segnalazioni giunte in<br />

quelle settimane, in tanti avevano<br />

telefonato perchè convinti di aver<br />

individuato l’uomo che nessuno<br />

aveva più visto. Indicazioni che<br />

non avevano però dato i riscontri<br />

necessari. Il mistero si era fatto fittissimo,<br />

era stato alimentato per<br />

trentotto giorni. Fino alla terribile<br />

scoperta del corpo senza vita. Ad<br />

una quindicina di chilometri da


Dopo 38 giorni<br />

il rinvenimento<br />

del cadavere,<br />

notato impigliato<br />

tra gli arbusti<br />

da un agente<br />

della polstrada<br />

che stava pescando<br />

in riva al fiume<br />

Volturno: a Selvapiana<br />

di Alvignano<br />

Faicchio. A dare l'allarme era stato<br />

un agente della polizia stradale, in<br />

servizio a Caianello. Stava pescando<br />

sulle sponde del Volturno, in un<br />

tratto di trecento metri, abbastanza<br />

profondo, che bagna la località Selvapiana<br />

di Alvignano, in provincia<br />

di Caserta, quando la sua attenzione<br />

era stata richiamata dalla presenza<br />

nell'acqua di un cadavere rimasto<br />

impigliato in alcuni arbusti. Sulle<br />

prime si era pensato ad un imprenditore<br />

di Alife, poi gli indumenti<br />

avevano restituito una tragica realtà.<br />

Quell'uomo era Biagio Di Meo. Indossava<br />

il pantalone di velluto, il<br />

maglione a righe di colore rosso<br />

scuro e gli stivaletti calzati il giorno<br />

in cui era sparito nel nulla. E, poi,<br />

l’anello, la collanina ed alcuni braccialetti<br />

che portava sempre.<br />

Dall’autopsia che il sostituto procuratore<br />

Marcella Pizzillo aveva affidato<br />

al professore Fernando<br />

Panarese era saltato fuori che il<br />

38enne era stato ucciso con un colpo<br />

di pistola esploso dall'alto verso il<br />

basso, calibro 9. Un solo colpo alla<br />

fossa giugulare, vicino alla clavicola,<br />

che gli aveva reciso i vasi polmonari.<br />

Il corpo era stato poi zavorrato da<br />

una pietra, legata ad una corda<br />

stretta all'altezza dei fianchi, e lanciato<br />

nell’acqua. Da almeno due persone.<br />

Tanti i dubbi, ad iniziare dal<br />

luogo del delitto. Nessun elemento<br />

utile nel fuoristrada, nessun segno di<br />

colluttazione all'interno ed all'esterno<br />

dell'abitazione di via Cortesano.<br />

Possibile, dunque, che la<br />

vittima conoscesse i suoi assassini.<br />

Nel mirino una Punto che sarebbe<br />

stata vista transitare nella zona, nessun<br />

risultato, però, dal lavoro degli<br />

investigatori, andato avanti per anni.<br />

Un mistero lungo dodici anni.


Il dopo Covid 1. Baronissi<br />

Luciano<br />

regala pane<br />

Ha 31 anni e gli ultimi dieci<br />

li ha trascorsi davanti a un forno<br />

di Filippo Notari<br />

Da piccolo, come la maggior<br />

parte dei bambini,<br />

sognava di diventare un<br />

giocatore dando calci ad<br />

un pallone. Poi, con il<br />

tempo, la sua vita ha<br />

preso una strada diversa, fatta di ostacoli,<br />

passione e tanti<br />

sacrifici. Luciano Ricciardi ha 31 anni e<br />

gli ultimi dieci li ha trascorsi davanti a<br />

un forno, tra impasti, sudore e pizze da<br />

sfornare. Un sogno nel quale il giovane<br />

di Baronissi ha creduto fortemente, al<br />

punto che per un periodo della sua vita<br />

ha chiuso la valigia ed è “volato” a più<br />

di mille miglia di distanza. A Londra,<br />

come tanti connazionali, si è fatto le<br />

ossa. Ma poi ha scelto di tornare a casa<br />

dove, ormai cinque anni fa, ha aperto<br />

una sua attività. Un progetto divenuto


Il Gusto Giusto


Durante<br />

il Covid<br />

ho avuto paura<br />

di non poter<br />

riaprire<br />

e adesso<br />

ho capito<br />

veramente<br />

cosa significhi<br />

essere in difficoltà<br />

e senza lavoro<br />

solido con il tempo, prima che l’emergenza<br />

Covid facesse venir meno tutte le<br />

certezze costruite fino a quel momento.<br />

«Ho avuto paura di non poter più riaprire»,<br />

dice Luciano ora che il peggio sembra<br />

essere alle spalle e che, seppur tra mille<br />

precauzioni, la saracinesca del suo locale<br />

è nuovamente alzata. «È stato difficile<br />

stare senza lavoro e senza percepire alcun<br />

guadagno», racconta riavvolgendo il na-<br />

<strong>Storie</strong><br />

Otto<br />

pagine<br />

Con l’impasto<br />

delle pizze<br />

che avanza<br />

a fine serata<br />

ho deciso<br />

di farne pane<br />

da distribuire<br />

a chi non ce la fa<br />

ad acquistarlo:<br />

porto le mie pagnotte<br />

alla Caritas


stro dei ricordi e ripensando ai mesi difficili<br />

vissuti tra paure ed incertezze che,<br />

però, gli hanno permesso di guardare la<br />

vita da un’altra prospettiva. «Ho capito<br />

veramente cosa significa essere in difficoltà»,<br />

ammette il 31enne che da qualche<br />

settimana ha scelto di aiutare chi versa in<br />

una condizione di bisogno. «Con l’impasto<br />

delle pizze che resta, ho deciso di realizzare<br />

il pane per chi non ha la possibilità<br />

di acquistarlo». Nei giorni scorsi,<br />

infatti, Luciano ha preparato 5 chili di<br />

pane che sono stati donati alla Caritas<br />

della parrocchia di Sant’Agnese, a Sava di<br />

Baronissi. «L’ho fatto con il cuore e continuerò<br />

a farlo in questa fase d’emergenza.<br />

Grazie alla mia famiglia, alla mia compagna<br />

e a tutto lo staff sono riuscito a superare<br />

questo momento difficile. Adesso<br />

voglio rendermi utile per gli altri».


Il dopo Covid 2. Laurito<br />

Io, sentinella<br />

anti virus<br />

Franco non lasciava passare nessuno<br />

nel comune cilentano senza infetti<br />

di Sara Botte<br />

Fingi di farcela e ce la<br />

farai, ce lo saremo ripetuti<br />

tutti in questi mesi, nuovi,<br />

diversi, preoccupanti. E<br />

forse è andata proprio<br />

così. Ma riguardando indietro<br />

sulla mappa del contagio da coronavirus<br />

appaiono, anche nella<br />

provincia di Salerno, delle zone franche,<br />

paesi Covid free. Qui la paura è<br />

arrivata e ha scansato la malattia. Una<br />

rete si è stretta intorno ai confini, fin<br />

dalle prime avvisaglie. Una rete fatta<br />

di persone che hanno presidiato<br />

giorno e notte gli accessi. Tra questi<br />

diversi comuni cilentani che già la<br />

natura e l'uomo hanno posto distanti<br />

gli uni dagli altri, separati da torrenti e<br />

monti.<br />

Una vita contadina, lenta e antica. Ep­


Parla Franco Botte, capo deiu vigili urbani


Da Commissario capo<br />

della Municipale<br />

insieme ai volontari<br />

della Protezione civile<br />

nel cuore dell’emergenza<br />

si scambiavano<br />

messaggi in chat<br />

per piombare<br />

su ogni situazione<br />

di potenziale pericolo<br />

pure “Ra na mala spina pote nasce na<br />

bona rosa” dicono i cilentani. Così da<br />

queste settimane di angoscia e preoccupazione<br />

è emersa una vecchia unione,<br />

una fratellanza tra paesi vicini che hanno<br />

fatto di tutto per proteggersi dal virus.<br />

E sembra quasi di poter vedere una sedia<br />

rossa in plastica, piazzata nel bel mezzo<br />

della strada, traballante sui lastroni antichi<br />

che pavimentano il paese, nel cuore<br />

del parco nazionale del Cilento. E lì seduto<br />

a controllare chi entra e chi esce,<br />

per giorni, diventati settimane Franco<br />

Botte, commissario capo della polizia<br />

municipale di Laurito, impegnato con<br />

<strong>Storie</strong><br />

Otto<br />

pagine<br />

Ma adesso<br />

si deve pensare<br />

a elaborare<br />

nuove idee<br />

per fare in modo<br />

che i territori<br />

prima chiusi<br />

si riaprano ai turisti<br />

con offerte<br />

in sicurezza,<br />

sfruttando<br />

la nostra natura


tutta la comunità nella lotta al contagio,<br />

che ha portato fino ad ora la medaglia di<br />

paese Covid free.<br />

E così sono passate le ore e le notti.<br />

Chiuso ogni accesso al paese, controllata<br />

ogni persona, ogni spostamento. Protetti<br />

come un’eredità da conservare gli anziani<br />

in uno dei territori casa dei centenari.<br />

Qui dove il tempo scorre lento, come il<br />

mutare della natura. Così quando la malattia<br />

si è affrettata per questi sentieri<br />

dove ancora passa il bestiame per la<br />

transumanza, il tempismo è stato basilare.<br />

Così come la costanza. “E' stato<br />

fondamentale lavorare avendo delle precise<br />

indicazioni dai nostri amministratori<br />

che sono rimasti sempre a totale disposizione<br />

dei cittadini. Questo – racconta<br />

Franco Botte ­ ha consentito di dare dei<br />

messaggi rasserenanti e di aggiornare<br />

continuamente anche sulle necessità che<br />

potevano avere le persone in questa<br />

emergenza. Messaggi al telefono per essere<br />

sempre in contatto con gli altri<br />

paesi vicini.Tanti i volontari della protezione<br />

civile al lavoro. Ci hanno supportato<br />

molto anche i carabinieri”. Un<br />

abbraccio corale, questo il segreto per<br />

l'immunità.


Il dopo Covid 3. Pontecagnano<br />

Questa birra<br />

sa di libertà<br />

Il racconto di Giampiero e Angelo:<br />

le regole e l’emozione di riaprire il pub<br />

di Elvira Cuciniello<br />

Sembrano lontane le serate<br />

tra amici e i fine settimana<br />

mangiando un panino e bere<br />

una birra. La pandemia da<br />

Coronavirus ha indubbiamente<br />

condizionato la vita<br />

di tutti, cambiano le abitudini e i momenti<br />

da trascorrere insieme. Protocolli<br />

da seguire, distanze da mantenere e accortezze<br />

a cui devono pensare i ristoratori.<br />

“Dopo due mesi di stop abbiamo riaperto<br />

il pub, il primo passo è stato quello<br />

della sanificazione, poi abbiamo provveduto<br />

a riorganizzare gli spazi del locale,<br />

ci abbiamo impiegato due giorni”. A<br />

spiegarlo sono Giampiero Somma e<br />

Angelo Romano proprietari del “Prosit<br />

Pub” di Pontecagnano Faiano che sta<br />

tentando di tornare alla normalità, se


Pontecagnano - Faiano. La sicurezza nel Prosit Pub


Abbiamo sacrificato<br />

il 50 per cento<br />

dei nostri posti a sedere<br />

per garantire<br />

ai nostri clienti<br />

la serenità di venire<br />

da noi,<br />

passando da 90 coperti<br />

ai 40 attuali<br />

così si può dire. Così come i clienti anche il<br />

personale è stato ridotto: “Abbiamo perso<br />

un pò più del 50% dei posti, prima avevamo<br />

90 coperti ora 40 con una media di<br />

dieci dodici persone a sera mentre prima<br />

solo il sabato facevamo 150 persone”.<br />

Al pub si entra su prenotazione, i proprietari<br />

rispettano le norme in maniera scrupolosa.<br />

Chi arriva attende il proprio turno<br />

all’esterno e si fa misurare la temperatura<br />

tramite il termoscanner, all’ingresso e in diversi<br />

punti del locale sono dislocate colonnine<br />

con dispenser di igienizzante.<br />

“I clienti sono entrati nell’ottica che adesso<br />

ci sono delle regole da rispettare e quindi<br />

<strong>Storie</strong><br />

Otto<br />

pagine<br />

L’auspicio è quello di<br />

tornare a sorseggiare un<br />

buon boccale di birra con<br />

gli amici di sempre, senza<br />

mascherine a nascondere<br />

i sorrisi del sabato sera,<br />

senza le paure che si sono<br />

insediate e senza<br />

le distanze che<br />

non permettono<br />

nemmeno gli abbracci<br />

pieni di affetto


accettano il fatto di dover attendere fuori, si<br />

fanno misurare la temperatura e mantengono<br />

le distanze tra di loro – sottolineano i<br />

due proprietari del Prosit ­ Così come gli<br />

altri pub ci siamo adeguati alle norme e qui<br />

si viene solo se si prenota telefonicamente.<br />

Abbiamo un’agenda con il numero di telefono<br />

dei clienti, chiediamo se si tratta di<br />

amici o di un nucleo appartenente alla<br />

stessa famiglia”. “I dati vengono presi nel<br />

momento in cui si prenota telefonicamente,<br />

cerchiamo di essere precisi e chiediamo soprattutto<br />

la puntualità, se si è congiunti o<br />

amici, perché in quest’ultimo caso il tavolo<br />

può essere massimo per quattro persone.<br />

La scorsa settimana è venuta una comitiva<br />

di otto ragazzi e trattandosi di amici abbiamo<br />

fatto sedere le persone in due tavoli<br />

separati”.<br />

Quando si entra all’interno del pub si capisce<br />

subito che nulla è come prima, il primo<br />

impatto è dato dai numerosi avvisi che invitano<br />

a rispettare le norme, a terra sono<br />

evidenti i separatori per mantenere le distanze<br />

così come previsto dalle ordinanze<br />

regionali, al bagno si entra uno alla volta e<br />

anche ai tavoli si devono rispettare i separatori<br />

che indicano lo spazio da rispettare<br />

tra una persona e un’altra.<br />

I due soci, infatti, hanno dovuto anche rivedere<br />

gli spazi ed eliminare ben cinque tavoli<br />

sia dentro che fuori, togliendo anche<br />

gli sgabelli al banco dove prima, invece, gli<br />

avventori si intrattenevano per bere una<br />

birra e scambiare qualche chiacchiera con i<br />

proprietari. Anche i menù di una volta sono<br />

stati sostituiti da quelli monouso per permettere<br />

dunque, di limitare il più possibile<br />

il contagio tra persone e le operazioni di<br />

igienizzazione vengono fatte ogni giorno e<br />

più volte al giorno.<br />

“Al di là delle norme abbiamo messo altre<br />

regole aggiuntive, noi ci teniamo molto al<br />

rispetto degli orari di prenotazione, inoltre,<br />

rispettare la disposizione di tavoli e sedie<br />

perché non si può arbitrariamente spostare<br />

tutto ed infine evitare assembramenti nei<br />

corridoi e nei bagni. Ci sono molte accortezze<br />

e atteggiamenti che nell’ordinanza<br />

non vengono riportate ma un gestore di un<br />

pub che ha esperienza si trova a dover specificare<br />

per rispettare la legge. Abbiamo<br />

messo fogli ovunque con le regole da seguire<br />

ma purtroppo nessuno li legge”.<br />

L’auspicio è quello di tornare a sorseggiare<br />

un buon boccale di birra con gli amici di<br />

sempre, senza mascherine a nascondere i<br />

sorrisi del sabato sera, senza le paure che si<br />

sono insediate e senza le distanze che non<br />

permettono nemmeno gli abbracci pieni di<br />

affetto. Tornerà la normalità e ne riscopriremo<br />

il valore, lo stesso che abbiamo dato<br />

per scontato ma che adesso ci manca.


Il dopo Covid 4. Pontecagnano<br />

Eurobond?<br />

No, caciobond<br />

Creativa e virale la risposta alla crisi:<br />

contro gli sprechi si investe per il futuro<br />

di Imma Tedesco<br />

9Marzo 2<strong>02</strong>0. Il Paese si ferma<br />

per l'emergenza Coronavirus.<br />

Ma il lavoro nei campi e negli<br />

allevamenti deve continuare,<br />

nonostante le difficoltà. Gli<br />

animali hanno bisogno di<br />

continuare ad essere accuditi e le<br />

aziende agricole continuano a produrre.<br />

Ma con la chiusura di tutte le attività di<br />

ristorazione per molti comparti diventa<br />

difficile se non proprio impossibile vendere<br />

i prodotti. E per la filiera bufalina in<br />

pochi giorni inizia a palesarsi sempre<br />

più il rischio di dover buttare il latte.<br />

Nasce così a Salerno l'iniziativa dei 'Caciobond',<br />

da un'idea del produttore Giuseppe<br />

Morese dell'omonimo caseificio<br />

di Pontecagnano e della Coldiretti.<br />

“La filiera Bufalina è la prima ad andare<br />

in difficoltà quando a marzo il lockdown


Giuseppe Morese racconta la sua idea


L’idea nasce<br />

dall’esigenza<br />

di non mandare sprecata<br />

la grande quantità<br />

di latte comunque munto<br />

e non più assorbito<br />

dalla vendita nei circuiti<br />

e direttamente<br />

nei propri caseifici<br />

investe anche il Sud Italia ed una massa<br />

consistente di latte fresco munto dalle bufale<br />

quotidianamente trova difficoltà ad essere<br />

trasformato poiché il prodotto finito<br />

non viene più acquistato dal canale Oreca e<br />

dai consumatori direttamente al Caseificio,<br />

quindi si pone la problematica di capire<br />

cosa fare”. Di qui l'avvio di una serie di misure<br />

per cercare di contenere le perdite<br />

come “la realizzazione dei caciocavalli, un<br />

prodotto utile nelle stagioni in cui la mozzarella<br />

è meno richiesta. Prodotto che trova<br />

buon riscontro tra le persone”.<br />

Vengono così realizzati i primi 'caciobond':<br />

“Lo slogan era 'proviamo a trasformare<br />

un'eccedenza di latte in una possibile eccellenza<br />

del domani”, racconta Morese ricordando<br />

come in quel momento i 'Caciobond'<br />

dovessero consentire anche di “incassare<br />

<strong>Storie</strong><br />

Otto<br />

pagine<br />

Chiunque voglia<br />

darci fiducia<br />

acquista il prodotto<br />

garantendosi la qualità<br />

a sei mesi, un anno<br />

e anche due anni,<br />

avendo la possibilità<br />

di dare il proprio nome<br />

anche a una singola<br />

pezza di formaggio


un prezzo immediato e proporlo in degustazione<br />

ad appassionati del settore che potessero<br />

consumarlo con una stagionatura<br />

che va dai tre mesi fino ai due anni”.<br />

Si riesce dunque a rispondere alla mancanza<br />

di liquidità, tante le aziende che durante<br />

il lockdown hanno continuato a<br />

lavorare pur vedendosi ridurre drasticamente<br />

le vendite. Ma questo progetto piace<br />

e conquista tutti. A Pontecagnano arrivano<br />

richieste da tutta Europa e tanti decidono di<br />

legare la nascita del 'caciobond' ad un<br />

evento particolare, magari ad un matrimonio<br />

rinviato proprio a causa dell'emergenza<br />

Coronavirus oppure ad un data significativa:<br />

“Il singolo pezzo nasce appena il prodotto<br />

viene acquistato e viene curato<br />

secondo le esigenze dell'acquirente, a cui<br />

abbiamo dato la possibilità di legare il 'caciobond'<br />

ad un evento o una data particolare.<br />

E l'idea è piaciuta molto alle persone e<br />

anche ai media al punto che abbiamo avuto<br />

interessamenti dalla Francia, dal Belgio,<br />

dal Nord Italia ed anche da molti locali.<br />

Erano i giorni in cui l'Europa discuteva sull'emissione<br />

dei 'Coronabond', diciamo che<br />

abbiamo battuto tutti sul tempo inventandoci<br />

i caciobond”.<br />

Un'eccedenza diventa così anche un segnale<br />

di speranza e di rinascita. A questa<br />

iniziativa Giuseppe Morese decide infatti<br />

di legare anche una finalità benefica: “Abbiamo<br />

scelto l'ospedale Cotugno poiché<br />

impegnato in prima linea nella lotta al Coronavirus<br />

a cui abbiamo deciso di devolvere<br />

il venti per cento di tutti i caciobond<br />

acquistati. Questo il messaggio di speranza<br />

con cui dico sempre che il caciobond fa<br />

bene anche al cuore”.


Otto<br />

pagine<br />

<strong>Storie</strong><br />

La leggenda<br />

del fagiolo<br />

imprenditore<br />

A Senerchia<br />

l’azienda<br />

“due D due”<br />

tutela<br />

il più raro:<br />

quello<br />

“con l’occhio”


di Luca Barra<br />

Esistono prodotti della terra<br />

che hanno accompagnato<br />

l’umanità segnando la storia<br />

delle civiltà con il loro sapore.<br />

Prodotti antichissimi,<br />

spesso dimenticati o modificati<br />

per assecondare le mutazioni del<br />

gusto e degli stili di vita. Prodotti che si<br />

sono nascosti nelle piega della millenaria<br />

storia che si dipana alle nostre spalle.<br />

Uno di questi prodotti è giunto fino a<br />

noi conservato dalla tenacia contadina<br />

che ha saputo proteggerlo nella sua integrità<br />

e nel suo sapore.<br />

Si tratta del fagiolo con l’occhio, un legume<br />

che è quasi scomparso dagli scaffali<br />

dei supermercati e che è difficile<br />

reperire. Il nome deriva dalla tipica


Amato dai contadini. Tradizione millenaria<br />

macchiolina nera a forma di occhio al centro<br />

di un fagiolo invece bianchissimo.<br />

Questo legume è in realtà l’unico fagiolo<br />

del “Vecchio Mondo”. Mentre infatti le<br />

altre tipologie di fagioli arrivarono dalle<br />

Americhe, questo legume è parte integrante<br />

delle antiche civiltà e la sua presenza<br />

è certificata in Africa, in Asia e in<br />

Europa ben prima della scoperta del<br />

Nuovo Mondo.<br />

Questo legume ha accompagnato la storia<br />

dell’umanità attraversando l’ascesa e la<br />

caduta delle varie civiltà, passando da una<br />

fase storica all’altra mantenendo un sapore<br />

che ancora oggi affascina.<br />

Gli antichi egizi convinti che questo fagiolo<br />

avesse doti magiche lo riservavano<br />

ai sacerdoti che lo utilizzavano per i rituali<br />

religiosi.<br />

Con l’avvento e la stabilizzazione dell’impero<br />

romano il fagiolo con l’occhio divenne<br />

un cibo popolare che veniva<br />

coltivato in ogni orto dell’esteso impero.<br />

Nel medioevo, quel cibo che era stato magico,<br />

diventò una delle basi delle ricette<br />

dell’epoca, da quelle più povere a quelle<br />

più regali, diventando così un simbolo<br />

fondamentale della cultura cristiana.<br />

In realtà a colpire duramente il fagiolo con<br />

l’occhio è stata la società dei consumi di<br />

massa e il fatto che dal “Nuovo Mondo”<br />

arrivarono i Phaseolus Vulgaris. I nuovi<br />

fagioli (borlotti, cannellini, bianchi di Spagna…)<br />

infatti, essendo più grandi e garantendo<br />

una produzione maggiore, si<br />

adattarono meglio alla modernità e alle<br />

nuove modalità di produzione e di consumo<br />

dei prodotti agricoli. I fagioli con<br />

l’occhio da allora furono soppiantati e<br />

quasi dimenticati, schiacciati da una<br />

nuova società che aveva un concetto totalmente<br />

diverso del cibo.<br />

Lontano dai mercati e dal consumo massificato,<br />

grazie alla tenacia e alla forza di


Abbiamo studiato<br />

le stesse modalità<br />

di coltivazione<br />

e di raccolta<br />

utilizzate<br />

nell’antichità<br />

tanti contadini, questo legume è sopravvissuto<br />

e il suo sapore è arrivato immutato<br />

ai giorni nostri.<br />

Tra le zone di produzione della tipica<br />

pianta rampicante è quella dell’Alta Valle<br />

de Sele e qui una nuova realtà imprenditoriale,<br />

l’azienda agricola due D due, si è<br />

posta l’obiettivo “di riscoprire questo legume<br />

per troppo tempo dimenticato.” Un<br />

obiettivo che l’azienda di “Senerchia, in<br />

una cornice suggestiva tra l’Irpinia e la<br />

piana del Sele, incastonata tra i monti Picentini<br />

a cavallo tra l’Oasi naturale Valle<br />

della Caccia e il Monte Polveracchio”<br />

prova a raggiungere utilizzando “la stessa<br />

antica e attenta cura contadina in ogni fase<br />

della produzione e le stesse tecniche per<br />

la pulitura e l’essiccamento conservando<br />

i gesti e le usanze che hanno reso questo<br />

legume parte del patrimonio civile delle<br />

nostre comunità. Abbiamo studiato e riproposto<br />

le stesse modalità di coltivazione<br />

e di raccolta utilizzate nell’antichità. Tutto<br />

questo per ridare valore e spessore al Fagiolo<br />

con l’occhio nero e per offrire la possibilità<br />

di assaporare non solo un fagiolo<br />

ma una storia”.<br />

La produzione si avvia con un impianto a<br />

reti sulle quali le piante possono arrampicarsi.<br />

È su queste reti che la pianta viene<br />

fatta maturare e seccare e poi vengono<br />

raccolti i baccelli, rigorosamente a mano,<br />

che poi vanno fatti essiccare in un luogo


asciutto. Arrivato ad essiccazione i fagioli<br />

vengono sgusciati e poi ripuliti anche con<br />

l’antico setaccio per eliminare le impurità.<br />

Le ricette tradizionali sono davvero molte,<br />

dalla tipica pasta e fagioli con l’occhio e la<br />

polvere di peperoncino, a quello che viene<br />

chiamato “l’ultimo pasto del brigante”<br />

composto da fagioli bolliti e peperoni<br />

sotto aceto. Il brigante Scarola infatti trovò<br />

la morte proprio nelle campagna di Senerchia,<br />

dove alcuni finti manutengoli senerchiesi,<br />

dopo avergli servito l’ultima cena,<br />

a base proprio di fagioli con l’occhio, attesero<br />

la notte per attaccare il gruppo di briganti<br />

nel sonno, uccidendo anche Scarola,<br />

che morì scappando dopo essere stato ferito<br />

a colpi di mannaia.<br />

Ogni piatto che può essere cucinato con<br />

questo fagiolo con l’occhio racconta una<br />

storia che spesso si è persa e che solo il sapore<br />

di un prodotto da conservare e proteggere<br />

può raccontare.<br />

Abbiamo voluto<br />

offrire<br />

la possibilità<br />

i assaporare<br />

non solo un fagiolo<br />

ma una storia<br />

La fotogallery. Tradizione millenaria

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!