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Rommel Panzerarmee volume 1°

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La prima denominazione delle forze dell’Asse

in Africa fu quella di Panzergruppe Afrika. Così fu

chiamata fino al 23 gennaio 1942, quando Rommel

si presentò al Comando italiano informandoli che per

ordine di Hitler il Panzergruppe Afrika diventava la

Panzerarmee Afrika, in virtù anche del fatto che

Rommel era stato promosso generale d’armata. Tale

denominazione continuava a comprendere tutte le forze

italo-tedesche, sia quelle corazzate che di fanteria. Si

pensava di essere ormai sufficientemente numerosi e

potenti da far ritenere possibile la definitiva conquista

dell’Egitto.

Coordinamento editoriale: Mario Lazzarini

Progetto grafico e impaginazione: Angelo R. Todaro

© 2020 - Angelo R. Todaro

Prima edizione

Edito da Italia Editrice

Foggia, Viale degli Artigiani, 10b

Tel. 0881 723980 - 0881 368629

Fax. 0881 723980

Per le fotografie di cui non è stato possibile rintracciare gli eventuali aventi diritto,

l'editore si dichiara disponibile ad adempiere ai propri obblighi.


Angelo R. Todaro

ROMMEL

Panzergruppe Afrika

Italiani e Afrika Korps in Nordafrica

Dallo scoppio della guerra

alla prima ritirata dalla Cirenaica

(giugno 1940 - febbraio 1942)


Prefazione

I fatti che si svolsero in Africa settentrionale, dall’inizio della 2ª guerra mondiale

in poi, hanno l’impronta del carro armato.

Il generale Graziani, alla testa dei suoi fanti, fu schiacciato dai cingoli del

Matilda, il possente carro armato inglese che sicuramente apparve ai soldati italiani

come un enorme mostro indistruttibile. Fu subito evidente che un nudo pedone

nulla poteva contro un cavaliere corazzato; perciò all’inizio del ‘41 arrivò in Libia

un altro cavaliere corazzato, che si affiancò al pedone italiano e mosse alla conquista

delle terre perdute l’anno precedente.

Erwin Rommel, il teorico della guerra di movimento, ed i suoi potenti panzer,

bilanciarono la tenzone. Ma, come disse egli stesso, in questo nuovo modo di fare

la guerra neppure il più bravo soldato è efficace senza carri armati, cannoni e veicoli.

L’equilibrio che si era venuto a formare, quindi, mutò spesso a seconda del

materiale acquisito dall’una e dall’altra parte, o delle caratteristiche dei mezzi usati

nella contesa.

Nella guerra mobile – disse Rommel – ogni sforzo si concentra sulla distruzione

del materiale nemico. Ma se questo era pur vero, nelle battaglie tra mezzi che si

svolsero in Africa settentrionale le perdite umani furono notevoli e spesso drammatiche

ed insostituibili.

Rommel esercitò l’azione di comando e manovrò le sue truppe con maggiore

sicurezza e tempestività del nemico (anche se alcune sue decisioni lo portarono in

contrasto con i comandanti italiani e persino con Hitler), e i soldati tedeschi si

mostrarono indubbiamente superiori a quelli britannici e americani. Gli italiani

divennero, per gli Inglesi, avversari da non sottovalutare; molte furono le azioni

eroiche individuali, compiute specialmente dai bersaglieri, dai paracadutisti e dai

carristi dell’Ariete e della Centauro. L’M13 e l’M14, i carri armati italiani, erano

indubbiamente inferiore al più piccolo carro inglese, tuttavia le nostre divisioni

corazzate in più di un’occasione resistettero a forze superiori e a volte le “dettero di

santa ragione”.

Nel 1941 Tedeschi e Italiani riuscirono a riprendere l’intera Cirenaica: solo la

piazzaforte di Tobruk, l’unico vero porto della zona, restava in mani britanniche.

L’assedio delle truppe dell’Asse fu incessante, ma gli Inglesi gettarono sul campo

sempre più uomini e mezzi a compensare le enormi perdite subite. Alla fine dell’anno

Rommel e i Comandi italiani, pur avendo vinto sul campo le più importanti

battaglie, furono costretti a retrocedere, abbandonando Tobruk e la Cirenaica:

mancavano infatti i rifornimenti di mezzi, uomini e carburante, che dall’Italia non

potevano affluire in quantità sufficiente perché il nemico controllava le rotte del

Mediterraneo. Le capacità dell’Armata britannica di rigenerarsi, invece, sembravano

inesauribili.

L’anno successivo Rommel ritentò la conquista della Cirenaica e la sua offensiva

procedette inizialmente senza molte difficoltà. Ma nella primavera del ‘42 si pose


all’Asse un dilemma strategico: Malta o Tobruk? Il Comando Supremo italiano ne

era ossessionato e le due Marine dell’Asse premevano continuamente perché si

tentasse la conquista dell’isola britannica. Anche Rommel sembrava convinto che

la conquista di Malta fosse prioritaria. Ma poiché Hitler era troppo impegnato sul

fronte russo e Mussolini non credeva di poter affrontare la conquista con le sole

forze italiane, sia pure con molti dubbi, la piazzaforte libica fu scelta come primo

obiettivo.

E Tobruk fu presa. La strepitosa vittoria spinse Rommel a puntare oltre il confine,

al deserto egiziano, ad Alessandria. Caddero Bardia, Sidi el Barrani, Marsa

Matruh. Ma ad el Alamein caddero anche le illusioni, proprio quando la vittoria

sembrava a portata dell’Asse. I Britannici subirono un primo attacco, poi un secondo.

Rommel aveva il problema della mancanza di carburante, inutilmente atteso.

Montgomery, invece, aveva a disposizione una gran quantità di materiali, i nuovi

potenti carri americani e una fortissima aviazione. La terza battaglia fu fatale

all’Asse.

Aveva ragione Rommel a tentare l’operazione in Egitto? Il gen. Cavallero riteneva

l’avanzata possibile a condizione che i rifornimenti via mare fossero garantiti.

Ma la presenza di Malta non lo permetteva. Il gen. Bastico invece credeva necessario

fermarsi al confine egiziano. Hitler, inizialmente poco interessato alla faccenda

africana, alla fine aveva dato il suo consenso per la corsa verso Alessandria.

Per l’8ª Armata fu una grande ed importante vittoria. Churchill affermò: “Prima

di el Alamein non avevamo mai vinto. Dopo el Alamein non abbiamo più

perso”.

Così effettivamente avvenne.

Durante la continua ritirata, prima attraverso la Cirenaica, poi in Tripolitania,

infine in Tunisia, ci furono ancora numerosi scontri di carri armati e di fanteria,

con risultati alterni.

L’intervento degli americani, con la loro potenza industriale che consentì di

sbarcare sulle coste africane un’ingente quantità di materiale, segnò la svolta decisiva

in favore degli Alleati. Eppure, in alcuni momenti della guerra, sembrò ancora

possibile per l’Asse rigettare in mare le divisioni nemiche. Se si fosse superato il

problema di sempre: quello dei rifornimenti. Molti, infatti, furono i carri armati (sia

tedeschi che italiani) abbandonati per mancanza di carburante, oppure i cannoni

per mancanza di munizioni; ancora, gli aerei distrutti sulle piste di volo per mancanza

di benzina o di pezzi di ricambio, e le lunghe ed estenuanti marce compiute

a piedi dalle truppe (specialmente quelle italiane) per mancanza di autocarri, inseguite

ossessivamente dalle autoblindo del nemico.

Quel che rimane di questa storia è il contributo di eroismo di soldati e aviatori

che, d’ambo le parti, sopportarono il peso delle tremende battaglie nelle sabbie del

deserto. Quelle sabbie sotto cui essi riposano. Ma non è neanche da dimenticare il

contributo dei marinai che tentarono di rifornire la Libia in ogni modo, persino con

l’utilizzo delle veloci navi da guerra e dei sottomarini, oppure di quelli che tentarono

di impedire che questo avvenisse. Molti di essi giacciono ancora in fondo al

mare.


La corsa delle nazioni europee alle colonie d’Africa

Fino al 1935 l’Africa aveva soltanto tre stati indipendenti:

l’Egitto, l’Etiopia e la Liberia, oltre al territorio internazionale

di Tangeri.

Tutto il resto era suddi viso tra sei potenze coloniali: la Gran

Bretagna, la Francia, il Belgio, il Portogallo, l’Italia e la

Spagna.

Il Portogallo e la Spagna erano le più antiche Potenze colonizzatrici

del continente africano.

Fin dal XV secolo il Portogallo occupò: nel 1419 Madera;

nel 1445 quella che fu chiamata Gui nea Portoghese; nel

1460 le Isole del Capo Verde; nel 1471 le isole di S. Tomè

e del Principe; al 1432 risalivano i primi stabilimenti

dell’Angola o Africa Occidentale Portoghese; al 1505 la

colonia di Mozambico.

Degli antichi possedimenti africani della Spagna, solo le

Canarie risalivano agli anni 1478-1512. Nel 1788 la

Spagna tolse al Portogallo le isole Fernando Poo e

Annabon, riunite col territorio del Rio Muni (acquistato nel

1843) nella colonia della Guinea Spagnola. Nel 1884 fu

occupata la costa del Rio de Oro, poi Sahara Spagnolo.

L’occupazione del Marocco Spagnolo fu iniziata nel 1911.

La colonizzazione inglese dell’Africa iniziò lungo la costa

della Guinea: nel 1588 fu fondata la colonia del Gambia; nel

1618 la Costa d’Oro; nel 1788 la Sierra Leone ; nel 1861

la colonia della Nigeria e nel 1900 i protettorati della

Nigeria del Nord e Nigeria del Sud. Fin dal 1673

l’Inghilterra aveva occupata S. Elena; nel 1794 occupò le

Seycelles; nel 1810 l’isola Maurizio; nel 1815 l’isola

dell’Ascensione e nel 1816 Tristan da Cunha.

Nel 1806 fu fondata la colonia del Capo, unita poi con quelle

del Na tal, del Transvaal e dell’Orange per dar vita

all’Unione Sudafricana, eretta in Dominio il 30 settembre

1909. Inoltre nel 1884 fu istituito il protettorato sul Basuto,

nel 1885 sul Bechuanaland, nel 1889 sul territorio del

Niassa e nel 1894 su quello dei Suazi. Nel 1895 la

Compagnia dell’Africa Meridionale Britannica fondò la colonia

della Rhodesia, riscattata nel 1923 dallo Stato e divisa in

Rhodesia Meridionale e Settentrionale. Nell’Africa orientale,

l’Inghilterra nel 1884 proclamò il protettorato sulla Somalia

Britannica, nel 1886 su Socotra, nel 1890 su Zanzibar e sul

Kenya, e nel 1894 sull’Uganda; il 18 gennaio 1899 fu stipulato

con l’E gitto un accordo di condominio sul Sudan.

I più antichi possedimenti francesi nell’Africa erano l’isola

della Riunione, occupata nel 1643, e la colonia del Senegal,

fondata nel 1654. Ma l’inizio dell’espansione africana della

Francia si ebbe nel 1830 con la conquista dell’Algeria, compiuta

nel 1902; essa era suddivisa nei dipar timenti di Algeri,

Orano e Costantina, considerati territorio metropolitano, e

nel Territorio del Sud. Nel 1881 fu esteso il protettorato

sulla Tunisia. Dal 1857 al 1922 fu compiuta l’occupazione

dell’Africa Occiden tale Francese; dal 1843 al 1910 quella

dell’Africa Equatoriale Francese; dal 1841 furono occupate

le isole Comore e dal 1885 il Madagascar, dal 1862 la

Costa Francese dei Somali. Il 30 marzo 1912 la Francia

proclamò il protettorato sul Marocco.

Il dominio coloniale del Belgio era costituito dallo Stato del

Congo, possedimento del Re Leopoldo II dal 1884, passato

allo Stato il 18 ottobre 1908.

L’Italia iniziò nel 1882 l’occupazione della Colonia Eritrea,

nel 1889 quella della Somalia Italiana e nel 1911-12 conquistò

la Libia muovendo guerra alla Turchia.

Con la guerra italo-etiopica del 1935-36 l’Italia allargò la

sua espansione coloniale conquistando l’Etiopia, la cui corona

imperiale fu assunta da Vittorio Emanuele III.

Il dominio coloniale tedesco d’Africa, dopo la sconfitta della

Germania nella prima guerra mondiale, fu sottratto dal trattato

di Versailles e assegnato sotto forma di mandato della

Società delle Nazio ni: l’Africa Orientale Tedesca, parte alla

Gran Bretagna (Tanganica) e parte al Belgio

(Ruanda-Urundi); l’Africa Sud-occidentale all’Unione del

Sud Africa; il Camerun e il Togo, divisi tra la Francia e la

Gran Bretagna.


La situazione politica dell’Africa nel 1940

7


Antefatto

La situazione politica

in Italia e in Europa

Nel 1861 Vittorio Emanuele II

di Savoia, circondatosi di

valenti forze politiche e militari,

riuscì, tramite alleanze,

rivoluzioni, guerre, interventi e plebisciti,

ad unificare sotto la sua guida

tutte le regioni italiane dando vita al

regno d’Italia. La capitale fu posta

prima a Firenze (1865) e poi a Roma

(1971), da dove il re si adoperò ad

organizzare lo Stato unitario.

Il figlio Umberto I, succedutogli nel

1878, affrontò le prime questioni sociali,

favorendo anche la conquista

dell’Eritrea ed aprendo la via per

l’Oriente alle navi italiane attraverso il

Canale di Suez.

Quando Umberto I fu ucciso a

Monza da un anarchico (1900) salì al

trono d’Italia il figlio Vittorio Emanuele

III che continuò la politica del padre.

Sotto il suo regno l’Italia avviò la guerra

contro la Turchia per la conquista

della Libia (1911-1912) e, allo scoppio

della I guerra mondiale, scese al fianco

dell’Intesa contro l’Austria-Ungheria.

Con la vittoria, nel 1918, il re era

riuscito ad annettere al resto d’Italia

anche il Trentino e la Venezia Giulia,

rimasti fino ad allora in possesso degli

Austriaci.

Ma negli anni seguenti nelle strade

delle città italiane avvennero continui

scontri tra socialisti-comunisti e fascisti.

Benito Mussolini, nel 1919, aveva fondato

i Fasci di combattimento, un partito

che si contrapponeva a quello

socialista, dalle cui file Mussolini era

stato espulso quando, alla vigilia dello

scoppio della Grande Guerra, questi si

era mostrato interventista e quindi

contro le direttive del partito. Quando,

nelle elezioni del 15 maggio 1921, fu

eletto deputato al Parlamento insieme

ad altri 34 fascisti, Mussolini trasformò i

Fasci in Partito nazionale fascista

(novembre 1921). Al culmine della

lotta contro socialisti e comunisti,

Mussolini organizzò una marcia su

Roma (28 ottobre 1922), a seguito

della quale, pur di porre fine alla guerra

civile, il re gli affidò il governo del

paese (29 ottobre 1922). Mussolini

costituì, quindi, un ministero di coalizione

nazionale che il 19 novembre

1922 ottenne il voto favorevole. Ma

dal 1925 al 1928 il potere del fascismo

si rafforzò a tal punto da divenire totalitario

e i partiti d’opposizione furono

sciolti.

Mentre si svolgevano in Libia le

operazioni di riconquista (molti territorio

erano stati nel frattempo rioccupati

dai ribelli libici) il Governo Fascista iniziava

in patria la ricostituzione organica

dell’esercito. Quali fossero i programmi

apparve chiaramente nel

discorso che Mussolini pronunciò a “I

8


Nella pagina

precedente: Vittorio

Emanuele II di Savoia.

A lato: Umberto I,

re d’Italia fino al 29

luglio 1900, quando fu

ucciso da un anarchico

a Monza durante un

tragitto in carrozza.

A lato: Benito Mussolini

in una foto del 1912,

quando entrò nella

direzione del P.S.I. e,

a dicembre, divenne

direttore dell’Avanti.

Rappresentò la corrente

intransigente e

rivoluzionaria del partito,

tanto che, due anni dopo,

a causa delle sue idee

interventiste in favore

dell’Intesa, ne fu espulso.

Tre Poggioli” al termine delle esercitazioni

militari del 1934:

«Stiamo diventando e diventeremo

sempre più, perché lo vogliamo, una

Nazione militare. Poiché non abbiamo

paura delle parole aggiungeremo:

militarista. Per completare: guerriera,

cioè dotata in grado sempre più in alto

della virtù dell’obbedienza, del sacrificio,

della dedizione alla Patria. Questo

significa che tutta la vita della

Nazione, la politica, l’economia, la spirituale

deve convogliarsi verso quelle

che sono le nostre necessità militari.

(…) Non si è trovato ancora niente che

possa sostituire quella che è l’espressione

più chiara, più tangibile, più determinate

della forza complessiva di un

intero popolo: e cioè il volume, il prestigio,

la potenza delle sue armi, in

terra, in mare, nel cielo».

Il nuovo governo, che si dichiarava

quindi militarista, dopo la riconquista

della Libia avviò la guerra contro

l’Abissinia (1935-36) procurando al re

d’Italia anche la corona d’imperatore

d’Etiopia.

Intanto anche la Germania, con

l’avvento di Hitler e del nazismo,

mostrava segni d’insofferenza. Hitler

aveva nascostamente riarmato il suo

esercito e nel marzo 1935 completava

la Wehrfreiheit, come egli asseriva,

cioè la “libertà degli armamenti”, firmando

il decreto che ufficializzava la

rinascita della Wehrmacht (esercito),

della Kriegsmarine (marina) e della

Luftwaffe (aeronautica), le tre forze

armate. Era giunto il momento tanto

atteso: Hitler si sentiva forte al punto

da stracciare tutte le clausole del trattato

di Versailles, che era stato ratificato

al termine della I Guerra Mondiale,

persa dalla Germania, e che aveva

liquidato l’esercito imperiale tedesco,

fortemente ridimensionato la marina

da guerra, sciolto l’aeronautica militare,

vietandone la ricostruzione.

La prima cosa che Hitler fece fu

quella di preparare l’espansione della

Germania verso sud ed est, alla ricerca

dello “spazio vitale”, secondo il principio

che ovunque ci fossero popolazioni

parlanti la lingua tedesca, lì

dovesse essere Germania. In breve

tempo l’Austria e la Cecoslovacchia

furono annesse al Reich tedesco.

A nulla valsero le proteste di

Francia e Inghilterra. Hitler assicurò al

Primo Ministro inglese Arthur Chamberlain,

il quale aveva fatto grandi

concessioni alla Germania, che mai le

sue forze armate avrebbero attaccato

9


la Gran Bretagna. Per niente convinto,

Chamberlain capì che la sua politica

prudente e permissiva era fallita e

cominciò a fare appelli al suo governo

per un rapido riarmo dell’Inghilterra;

era ormai evidente che la Germania e

il suo Führer costituivano per il Regno

Unito una minaccia da non sottovalutare.

Intanto Mussolini, che vedeva l’amico

Hitler passare di successo in successo,

pensò di mettere frettolosamente

a punto un piano che da tempo si

riprometteva di attuare: l’occupazione

dell’Albania, che durante la Grande

Guerra era stata in parte occupata

dalle truppe italiane e persino proclamata

protettorato italiano (1917). Ma

nel 1920 l’Albania era tornata indipendente

ed ora mostrava interesse per

altri paesi, quali Inghil-terra e

Germania. Ma quando il 6 aprile 1939

le truppe italiane sbarcarono in

Albania non ci fu alcuna opposizione;

soltanto la famiglia reale fuggì all’estero.

A Roma, il 16 aprile, Vittorio

Emanuele II fu incoronato Re d’Italia e

d’Albania.

A Berlino, il 22 maggio 1939, fu firmato

tra Germania e Italia un accordo

militare che fu chiamato “Patto

d’Acciaio”; tale accordo, secondo

Mussolini, doveva consentire il mantenimento

della pace almeno fino al

1943. Per Hitler si trattò invece del via

libera alla proprie mire espansionistiche.

Non solo, ma il trattato prevedeva

anche che, qualora una delle parti

si fosse trovata in “complicazioni belliche

con un’altra o altre potenze”, l’altra

parte contraente doveva soccorrerla

militarmente “per terra, per mare e

nell’aria”. Per l’Italia si trattava perciò

di un pesante vincolo.

Ad una riunione dei suoi comandanti

in capo, Hitler spiegò che occorreva

sistemare definitivamente la questione

di Danzica con la Polonia. Con il

trattato di Versailles la città di Danzica

aveva ottenuto una certa indipendenza

pur essendo in territorio polacco.

Tuttavia il 90 per cento dei cittadini

parlava tedesco, perché era d’origine

tedesca, e la moneta che circolava

era il marco. Hitler, pertanto, rivendicava

l’egemonia sulla città.

10

Il 1° settembre 1939 l’esercito tedesco

varcò il confine con la Polonia

penetrandovi all’interno, facilitato

anche dalla scarsa opposizione polacca.

Il giorno seguente l’Inghilterra

cercò di convincere la Francia che era

ormai indispensabile inviare un ultimatum

ad Hitler, ma i Francesi,

sapendo bene che non avrebbero mai

retto ad un urto frontale dei Tedeschi,

temporeggiarono. Ciò costrinse la

Gran Bretagna a rompere gli indugi.

L’ambasciatore Henderson la mattina

del 3 settembre comunicò ai Tedeschi:

“Se oltre le ore 11 il governo di Sua

Maestà britannica non avrà ricevuto

assicurazioni soddisfacenti da parte

del governo tedesco tra i nostri due

paesi esisterà immediatamente lo stato

di guerra”. Le assicurazioni soddisfacenti

non ci furono e al parlamento

inglese Winston Churchill, non ancora

Primo ministro, tuonò: “Siamo di fronte

ad un disastro senza precedenti e

dubito che ne abbiamo vista la fine.

Non è che l’inizio del regolamento dei

Cartolina illustrata con l’effigie

del re Vittorio

Emanuele III, in versione

combattente.


Manifesto

propagandistico con l’immagine

di Adolf Hitler. Il

testo dice: “Un popolo,

uno stato, un capo”,

alludendo al principio

che ovunque ci siano

popolazioni parlanti

la lingua tedesca, lì deve

essere Germania.

Winston Churchill,

l’11 maggio 1940

assumeva la carica di

Primo Ministro britannico.

conti”.

Con l’invasione della Polonia di

fatto iniziava uno stato di guerra tra

Inghilterra e Germania; iniziarono tra i

due contendenti i primi scontri, anche

se al momento soltanto tra aerei sul

Mare del Nord. La Francia, invece,

continuò a mostrarsi indecisa su da

farsi.

Liquidata in breve la Polonia, la

mattina del 9 aprile 1940 le forze

armate tedesche invasero la

Danimarca e la Norvegia per impedire

che queste divenissero basi britanniche

contro la Germania. Sempre per lo

stesso motivo, ma con l’obiettivo finale

di crearvi basi militari per l’attacco

all’Inghilterra, a Berlino si preparava

già l’offensiva contro Olanda, Belgio e

Francia. Infatti il 10 maggio 1940 l’ambasciatore

tedesco all’Aja era davanti

al ministro degli affari esteri olandesi;

portava una nota di Hitler che annunciava

l’entrata delle truppe tedesche

nei Paesi Bassi con lo scopo di proteggerli

dalla minaccia delle forze anglofrancesi.

La stessa cosa avveniva a

Bruxelles; ma, mentre venivano consegnate

le note diplomatiche, negli

aeroporti alleati cadevano già le

bombe della Luftwaffe, e la

Wehrmacht avanzava su di un fronte

di 280 chilometri.

Nel frattempo l’11 maggio, a

Londra, Churchill aveva reso omaggio

al suo re e assunto la carica di Primo

Ministro, in sostituzione dell’ormai stanco

Chamberlain; in Europa le divisioni

della Wehrmacht avevano aggiravano

la linea Maginot, futile barriera

eretta al confine tra Francia e

Germania contro l’eventuale aggressione

tedesca, ed erano penetrate in

Francia attraverso le Ardenne.

In quasi cinque settimane la blitzkrieg

tedesca, la guerra lampo fatta

prevalentemente con carri armati ed

aerei, ebbe ragione della Francia che

inutilmente, insieme alle forze britanniche,

aveva tentato di opporsi. Il 12

giugno Hitler vide le sue truppe sfilare

per le vie di Parigi.

Il precipitare degli eventi fece

mutare l’atteggiamento non belligerante

di Mussolini. Per non perdere

l’occasione di sedere al tavolo dei vincitori,

il 10 giugno 1940 il Duce si

affrettò a dichiarare guerra alla

Francia e all’Inghilterra.

11


L’Italia degli anni ‘30

1

2

3

12


4 5

6

1 Benito Mussolini, capo

del Governo e delle Forze

armate.

2 Elena di Savoia, regina

d’Italia, figlia di Nicola I,

re del Montenegro, sposa

dal 1896 di Vittorio

Emanuele III, quando

costui era ancora

principe di Napoli.

3 Il re ed i principi, in una

foto dell'11 novembre

1939 scattata dalla regina

a S. Rossore in occasione

del 70° compleanno di

Vittorio Emanuele III.

4 Le Camicie Nere sfilano

a Roma in Piazza Venezia,

sullo sfondo dell’Altare

della Patria.

5 Piazza Venezia

si riempie sempre di

una immensa folla che

vuole ascoltare i discorsi

di Mussolini.

6 Mussolini presenzia una

sfilata al Vittoriano.


Antefatto

Breve storia

della colonia Libia

La storia delle colonie italiane in

generale prese il via nella

seconda parte del 1800. Si era

appena raggiunta l’unità nazionale

quando lo sguardo degli italiani

si volse all’Africa, un po’ per i ricordi

gloriosi di Roma, un po’ per la stessa

situazione geografica dell’Italia, protesa

a traverso del Mediterraneo, ma

anche per i racconti dei primi pionieri

che tra il 1870 e l’85 esplorarono la

fascia costiera del continente nero.

I tempi non erano ancora maturi

per un’azione militare in grande stile,

a causa anche dell’ostruzione delle

altre potenze (Inghilterra e Francia

innanzitutto) che, interessate anch’esse

alle coste africane, ritardarono di

diversi lustri l’inizio di un’azione concreta

italiana. Cosicché per più di

quindici anni l’espansione italiana in

Africa fu avviata soltanto da un manipolo

di precursori. Erano, quelle, ancora

imprese dallo spirito risorgimentale,

avviate da gente che provava difficoltà

ad appendere il fucile al muro.

Gli avventurosi che salparono verso il

Mar Rosso e che tracciarono i primi itinerari

sulle carte del Sudan e

dell’Etiopia erano stati quasi tutti nelle

fila di Garibaldi, ed erano ormai restii

ad accettare un impiego governativo

o la vita di guarnigione. Ufficiali brillanti

che piantarono la carriera, ingegneri,

medici, industriali, commercianti,

artieri e gente comune partirono in

massa per l’Africa. Anzi nell’esercito

Umbertino si fece persino a gara per

partecipare alle spedizioni; partì il fior

fiore dei giovani, spinti dal fascino

dell’avventura e dal richiamo di quella

terra che il romanticismo del tempo

definiva la “sfinge nera”. Molti di essi

non tornarono, altri vi acquisirono

esperienza utile per eventi futuri.

Questi primi “africanisti” costituirono

comunque l’avanguardia delle generazioni

di combattenti che si alternarono

nei futuri eserciti coloniali.

Alla fine del 1884 l’Italia decise di

porre militarmente piede in Africa,

indotta dalla Gran Bretagna che contava

sull’appoggio italiano per arginare

la dilagante rivolta religiosa nel

Sudan, ma anche allarmata dalle

intenzioni della Francia di stabilirsi

sulla costa eritrea. Con l’occupazione

di Massaua (5 febbraio 1885) ebbe inizio

l’avventura coloniale italiana e con

la battaglia attorno a Cassala contro i

Dervisci, ad aprile dell’anno seguente,

si concludeva il ciclo di operazioni per

la conquista della primogenita colonia

Eritrea.

Per quanto riguarda la Libia, fin dal

XVII secolo viaggiatori e commercianti

vi avevano compiuto sporadiche

18


Pagina precedente: il

capitano Manfredo

Camperio, che nel 1877

aveva fondato il giornale

L’Esporatore, un periodico

di propaganda coloniale

che divenne ben presto

piuttosto noto in Italia.

A destra: una cartolina del

1911 testimonia la retorica

della romanità che

avvolse l’impresa libica.

Il marinaio che raccoglie

il gladio dell’antico

centurione romano per

proseguirne la conquista

è il simbolo della nuova

Italia che segue le orme

di Roma Imperiale.

Effettivamente

il 10 ottobre 1911 ben

38 piroscafi sbarcano sul

suolo libico 20.000 uomini

al comando del

gen. Caneva. Nella foto

un momento dello sbarco

dei marinai.

esplorazioni spingendosi, alcuni,

anche nelle oasi dell’entroterra. A

metà dell’800 fu avviato un regolare

programma di penetrazione commerciale

nel Nord Africa ad opera di

società geografiche, tra le quali il giornale

L’Esporatore, fondato nel 1877 da

Manfredo Camperio che aveva lasciato

l’esercito col grado di capitano. Il

periodico di propaganda coloniale

divenne ben presto piuttosto noto in

Italia, tant’è che Camperio, spinto

anch’egli dal desiderio di illustrare agli

Italiani le bellezze del Nordafrica,

avviò con alcuni amici alcuni viaggi

d’esplorazione in Cirenaica, giungendo

persino a stabilire a Bengasi la

prima agenzia commerciale. Le

avventure narrate sul giornale destarono

vivo interesse negli Italiani sulla

Libia, portandovi altri ardimentosi in

cerca d’avventure.

Ma in quel tempo la Libia faceva

parte del vasto Impero turco. Il

Governo ottomano non vedeva di

buon occhio lo sviluppo, sia pure pacifico,

del commercio italiano in Libia e

cominciò ad opporre continui ostacoli

all’espansione, finché nel 1910 la “questione

tripolina” si fece più acuta e il

governo italiano inviò alla Turchia un

ultimatum, affermando in modo deciso

il diritto dell’Italia ad una zona di

espansione nel Mediterraneo adeguata

ai propri interessi (si era in pieno

periodo coloniale e molte nazioni,

Inghilterra e Francia in testa, stavano

conquistando territori coloniali in

Africa). Poiché il governo turco rispose

in un modo che fu ritenuto insoddisfacente,

il Regio Governo dichiarò il giorno

29 settembre 1911 la guerra alla

Turchia e approntò immediatamente

un Corpo d’armata speciale per l’occupazione

della Libia. Le truppe iniziarono

a sbarcare a Tobruk, o Tobruch,

come si scriveva allora (4 ottobre

1911) con 400 uomini, e a Tripoli (5

ottobre) con due reggimenti di marinai.

Nonostante il contrasto dei Turchi,

gli Italiani, grazie ad altri sbarchi effettuati

nei giorni seguenti, riuscirono a

conquistare le due città.

Per mesi si protrassero gli sbarchi di

contingenti armati italiani lungo la

costa libica e le battaglie contro le

armate turche; pian piano tutti i luoghi

più importanti furono conquistati:

Derna (20 ottobre 1911), Homs (21 ottobre),

Sciara Sciat (23 ottobre) Ain Zara

(4 dicembre), Leptis Magna (maggio

1912), l’oasi di Zanzur (8 giugno),

Misurata (8 luglio), Zuara (6 agosto).

Nel frattempo l’Italia, per mettere

fine ad una guerra che stava diventando

anche troppo lunga, decideva

un’azione su vasta scala nell’Egeo.

Mentre la flotta imponeva il blocco, il

15 maggio 1912 le truppe sbarcarono

nell’isola di Rodi; all’interno dell’isola si

scontrarono con 1500 turchi che inizialmente

resistettero accanitamente per

poi arrendersi dopo un intenso cannoneggiamento.

Intanto le navi italiane

avevano sbarcato truppe su altre

undici isole dell’Egeo (che con Rodi

andarono a formare il Dodecaneso italiano).

Con questa azione l’Italia pose

19


Antefatto

La Libia

allo scoppio della guerra

La Libia era formata dalla

Tripolitania, Cirenaica e dai territori

costieri e interni a esse

aggregati (Sirtica, Mar márica,

Fezzan, Deserto Libico).

Confinava, cominciando da ovest,

con la Tunisia, con il Sud-Algerino,

con i territori dell’Africa Occidentale

ed Equatoriale Francese, con il Sudan

anglo egiziano e con l’Egitto, protettorato

inglese.

La superficie complessiva era cinque

volte quella dell’Italia, ma la

maggioranza della popolazione e

delle attività agricole e commerciali si

estendevano nella fascia costiera,

17.000 km circa.

La Libia mancava di catene montuose

vere e proprie, erano invece presenti

estesi alti piani noti con la denominazione

di Gebel. Quelli costieri,

raggiun genti l’altitudine di 800-900

metri, erano il tripolino Gebel Nefusa e

il cirenaico Gebel el Achdar che scendeva

a terrazzi sul mare. Nel retroterra

sirtico c’era il Gebel es Soda e gli

Harug; nell’estremo sud, il massiccio di

el Auenat (1.000 m), le pendici settentrionali

del massiccio del Tibesti, i

monti Tummo e il sistema dell’Acácus-Tadrart.

Il resto della zona

interna era costituito da piani desertici,

disseminati qua e là di colline designate

col nome di gare.

Non c’erano veri fiumi; per quanto

solcata in ogni senso da impluvi, la

Libia possedeva soltanto una vasta

rete di uidian (plurale di uadi, letto

asciutto di fiume) che incideva profondamente

gli altipiani. L’unico corso

d’acqua perenne era quello dell’uadi

Derna; gli altri uadi si riempivano in

breve tempo per le piogge torrenziali,

ma altrettanto rapidamente si prosciugavano.

Le precipitazioni erano molto

scarse e la natura permeabile del terreno

contribuiva a rendere arido il territorio.

Erano quasi esclusivamente

invernali, e diminuivano a mano a

mano che si procedeva verso l’interno.

Non fu facile, quindi, per i coloni italiani

coltivare quella terra, dovendo

sfruttare essenzialmente le acque del

sottosuolo; i più fortunati la attingevano

direttamente da pozzi a bassa

profondità o da sorgenti lungo gli altipiani

(freatiche), altrimenti occorreva

trivellare il suolo a profondità che raggiungevano

i 400 e più metri (modenesi).

Tutte le acque affioranti davano

invece vita alle oasi, ricche di vegetazione.

Caratteristiche erano le sebche,

lagune costiere ricche di sale, che prosciugandosi

costituivano vere e proprie

saline naturali, dette mellahe.

Il clima della regione, nelle zone

22


Pagina precedente: coloni

italiani inquadrati come

militari ma armati di pala.

Fantasie di cavalieri libici.

co stiere e nel Gebel, era quello dei

paesi sub-tropicali, mentre nelle zone

inter ne aveva carattere predesertico e

desertico con elevate escursioni da 45°

a 50°, durante il giorno, ad alcuni

gradi sotto zero nella notte.

Il deserto marmarico costiero era

sassoso e quindi più compatto, mentre

quello all’interno era sabbioso e rovente.

Tra i venti era caratteristico, seppure

non frequen te, il caldo Ghibli, proveniente

dalle zone desertiche e che

aveva effetto deprimente sugli animali

e sulle colture.

La flora e la fauna naturale erano

assai povere.

I libici

La popolazione della Libia ammontava

(stima del 1939), a 876.563 abitanti,

di cui 828.162 nelle quattro province.

La popolazione italiana di queste

province era, a giugno 1939, di

108.419 abitanti.

La scarsità della popolazione era

ovviamente in relazione con lo sfavorevole

ambiente fisico, la maggior

parte della quale, come vediamo, era

distribuita lungo la fascia litoranea.

Durante la guerra, però, buona parte

della popolazione indigena si spostò

più all’interno per evitare di essere

immischiata nei combattimenti.

Etnicamente la popolazione era

costi tuita da berberi, gli antichi Libi, e

da arabi, stabilitivisi nel VII, VIII secolo

e ancora di più nell’XI. In quantità

minore c’erano: neri discendenti da

schiavi sudanesi, i cologhli, derivati

da connubi di giannizzeri turchi con

donne locali, gli israeliti, immigrati in

tempi antichi dalla Palestina e nel

XIV-XV sec. dalla Spagna, che attualmente

ammontavano a circa

22.000.

Gli abitanti parlavano dialetti

arabi; i gruppi berberi erano spesso

bilingui.

La religione era la islamita di rito

malechita.

Le occupazioni principali degli abitanti

erano l’agricoltura, praticata

soprattutto nella zona costiera o nelle

23


oasi interne, e la pastorizia, esercitata

da popolazioni seminomadi e nomadi.

I principali prodotti erano: datteri,

olive, man dorle, uve, agrumi ed altri

frutti per le colture arboree; orzo e frumento

per le cerealicole; tabacco,

henna (da cui si ricavava una sostanza

rossa per tingere unghie e capelli),

alfa (una fibra per cordami) e sparto

(fibra per tessitura) tra le piante industriali.

L’industria, sia pure nascente, contava

distillerie, fabbriche di sapone, di

laterizi, stabilimenti di concia delle

pelli, molini, fabbriche di birra, ecc.

L’artigianato era fiorente dappertutto:

lavorazione di tappeti e tessuti in

lana e seta, cuoi ricamati, or namenti

d’oro e d’argento, lavorazioni in ottone

e rame, intrecci di stuoie e cesti in

giunco, ecc.

I prodotti principali della pesca

riguardavano special mente il tonno e

le spugne.

Importanza notevole aveva l’estrazione

del sale.

L’organizzazione italiana

della Libia

La Libia contava una rete ferroviaria

di 398 km, di cui 234 nella pro vincia di

Tripoli e 164 in quella di Bengasi (terminava

a Barce). Un gran numero di strade

permettevano di raggiungere qualsiasi

località, anche la più lontana dai

centri costieri. La più importante era la

grande Litoranea Libica nota anche

come Via Balbia, lunga 1.822 km dal

confine tunisino a quello egiziano, inaugurata

nel 1937; era un’ottima strada,

destinata ad avere grandissima parte

nelle comunicazioni nord-africane e ad

incrementare notevolmente il movimen

to turistico. C’erano strade a fondo

artificiale, tutte o in parte asfaltate, strade

a fondo naturale, con adatta menti,

e piste camionabili o adatte alle sole

carovane.

La Libia era amministrata da un

Governo generale alle dipendenze del

Ministero dell’Africa Italiana. Era suddivisa

in quattro Province costiere: Tripoli,

Ragazza libica.

Carta del Mediterraneo

del 1940.

24


Misurata, Bengasi. Derna, rette da

Prefetti e a loro volta suddi vise in

Circondari, Residenze e Vice Residenze,

e in un Territorio del Sáhara Libico retto

da un Comando Militare e diviso in sottozone.

Con deliberazione del Gran

Consiglio del 28 ottobre 1938, le quattro

province della Libia erano entrate a far

parte integrante del territorio del Regno

d’Italia, con particolari disposizioni per

la popolazione libica ivi residente.

In Libia era in atto una colonizzazione

agricola inten siva a deciso sfondo

demografico, con l’intento di trasferirvi

il maggior nu mero possibile di famiglie

coloniche italiane e di fissarvele definitivamente;

per questo scopo il governo

concedeva contratti speciali che prevedevano

il passaggio in pro prietà dei

poderi ai coloni.

Tale politica colonizzatrice, dopo il

primo esperimento delle “concessioni”,

cominciò ad attuarsi nel 1932. Fu costituito

allora l’Ente per la Colonizzazione

per la Cirenaica, poi trasformato in Ente

Un giovane berbero e,

più in basso, un Tuaregh

del Fezzan.

La Libia in una carta

del 1937.

25


PANZER

GRUPPE

AFRIKA

Capitolo 1

Il territorio

conteso

Allo scoppio

della guerra sia

italiani che inglesi

considerano

importante il

possesso della

penisola cirenaica

40

Per un periodo di circa due anni

dopo l’entrata in guerra dell’Italia

(giugno 1940), la fascia

d’Africa mediterranea che si

stende tra el Agheila, al centro della

Sirtica in Libia, ed Alam el Halfa, in

territorio egiziano e ad una settantina

di chilometri da Alessandria, fu teatro

di violenti combattimenti, per lo più di

mezzi corazzati, tra le armate dell’Italia

di Mussolini (alla quale si aggiunsero

presto quelle della Germania di Hitler)

da una parte e l’armata dell’Impero

Britannico dall’altra. Entrambe attribuivano

rilevante importanza strategica

a questa fascia di territorio. Anzi, in

special modo alla Cirenaica, e in particolare

alla zona collinosa e relativamente

fertile di Gebel Akhdar che si

estende tra Bengasi e il golfo di

Bomba; per la sua forma caratteristica

era denominata “la protuberanza”.

Gli Inglesi ne ritenevano importante

il possesso perché eventuali loro aeroporti

in questa zona avrebbero potuto

fornire migliore protezione aerea ai

convogli in navigazione tra Malta e

Alessandria d’Egitto. Invece la stessa

Malta, crocevia del traffico marittimo

inglese tra Gibilterra e il Mediterraneo

orientale, in quel momento era circondata

dal traffico marittimo italiano e

quindi in pericolo. Inoltre, se gli Inglesi

avessero addirittura potuto occupare

la Libia, avrebbero potuto anche raggiungere

e liberare l’Africa Settentrionale

Francese, in quel momento sotto

il controllo del Governo del collaborazionista

Pétain che aveva accettato

l’armistizio imposto dalla Germania.

Per gli stessi motivi gli italo-germanici

cercarono di mantenere il controllo

di quel territorio. Aerei di base in

Cirenaica (e poi anche a Creta) potevano

impedire agli Inglesi l’accesso a

Malta da est. Inoltre era preferibile

usare il porto di Bengasi per rifornire le

truppe avanzate in Cirenaica, anziché

quello di Tripoli, sia perché le navi in

partenza dall’Italia avrebbero compiuto

una rotta più diretta per il fronte, al

confine con l’Egitto, sia perché Malta si

sarebbe venuta appunto a trovare al

centro del traffico marittimo dell’Asse e

quindi resa inerme senza doverla

necessariamente occupare.

La Libia era stata conquistata

dall’Italia già dal 1912 con la guerra

italo-turca e, nel 1939, l’occupazione

aveva visto la sua definitiva sistemazione

politica con la costituzione di

quattro province libiche: Tripoli,

Bengasi (capoluogo della Cirenaica),

Misurata e Derna, considerate parte

integrante del territorio italiano.

Gli Inglesi, invece, occupavano

militarmente l’Egitto già dal 1882,

anche se si trattava formalmente di un


La zona delle prime

operazioni.

Deserto di sale, bianco

e duro.

regno indipendente e, nella 2ª guerra

mondiale, neutrale.

Quando nel 1935 l’Italia iniziò la

campagna d’espansione coloniale in

Etiopia, l’Inghilterra vide il pericolo di

un accerchiamento dell’Egitto da

parte delle truppe di Mussolini e

rafforzò le sue guarnigioni in quel

territorio; inoltre fortificò la frontiera

con la Cirenaica costruendo numerosi

forti, anche all’interno del deserto,

con campo d’atterraggio, depositi

di benzina, acqua e munizioni. E

questo nell’ipotesi che gli Italiani, muovendo

dalla Cirenaica per la conquista

del Canale di Suez, potessero

rinunciare alla via litoranea per lanciarsi

in una manovra d’aggiramento

attraverso il deserto e piombare alle

spalle del Cairo e Alessandria. Quindi

fu concepita anche una doppia linea

di sbarramento lungo il confine: una,

da Sollum, doveva seguire il confine

cirenaico in direzione nord-sud giù fino

all’oasi di Siwa; l’altra dall’oasi di Siwa

all’oasi di Bahariya in direzione ovestest.

Nell’interno del poligono che si

veniva a formare tra le linee di sbarramento,

il Cairo e Alessandria, una

massa di manovra sarebbe stata pronta

a spostarsi verso il settore più

minacciato. Questo piano tuttavia non

fu completato per l’incanzare degli

avvenimenti.

All’inizio della seconda guerra, nel

giugno del 1940, gli Inglesi avevano

nel deserto libico, e precisamente a

Mersa Matruh, la 7ª divisione corazzata,

in realtà composta di vecchi carri

armati Rolls-Royce della prima guerra,

e, in appoggio, la Desert Air Force,

con una squadriglia di caccia e tre da

bombardamento.

Per quanto la “protuberanza” potesse

far gola agli Inglesi, i comandanti

in capo che si succedettero al Cairo

ritenevano che bisognava tentarne

l’occupazione quando ci fossero state

forze sufficienti non solo per impadronirsene,

ma anche per tenerla saldamente;

era evidente che l’occupazione

di Mersa Brega avrebbe sbarrato qualunque

accesso alla zona orientale,

mentre quella di Tobruk, che occupava

una posizione chiave quale unico

porto riparato tra Bengasi ed Alessandria,

avrebbe consentito l’attracco di

navi di grossa stazza e quindi rifornimenti.

Nonostante il tentennamento inglese,

i carri armati dell’11° Ussari attraversarono

il confine della Cirenaica

per attaccare postazioni italiane.

41


Un luogo inospitale ma affascinante

A parte la zona delle oasi,

il territorio libico era quasi

tutto desertico:

1 Aridi altipiani si

affacciano sul

Mediterraneo.

2 Il piatto deserto libico

lungo la costa, con pochi

ciottoli sparsi e sabbia a

perdita d’occhio. In primo

piano uno scheletro di

cammello che il sole

imbianca e polverizza in

poco tempo.

1

2

3 Più all’interno il deserto

di sabbia, attraversato

soltanto da nomadi a

dorso di cammelli.

3

42


4

5

6

4 Un punto

di osservazione italiano

nel deserto.

7

5 La sabbia del sahara,

formata dall’erosione di

rocce arenarie: piccoli e

rotondi granelli sempre in

movimento per effetto del

vento.

6 Nella piana di Giza,

in Egitto, le millenarie

piramidi egizie sono ormai

costantemente sorvolate

da aerei della RAF

inglese.

7 Una carovana

raggiunge gli archi

naturali di roccia nel

versante orientale del

Tassili d’Agger, in una

zona tra il Sud Libico

e il territorio delle oasi.

43


LE ARMI LEGGERE ITALIANE

Il fucile modello 1891

Fucile mod. 1891

Calibro: 6,5 mm mod. 1895

lunghezza totale: 1280 mm

peso (scarico): 3,750 kg

lunghezza canna: 780 mm

alimentazione: scatola-serbatoio da 6 colpi

velocità del proiettile: 700 m/sec.

Moschetto mod. 1891/38

Calibro: 6,5 mm mod. 1895

lunghezza totale: 1016 mm

peso (scarico): 3,090 kg

lunghezza canna: 540 mm

alimentazione: scatola-serbatoio da 6 colpi

velocità del proiettile: 700 m/sec.

arma più famosa che ha accompagnato il soldato italiano per oltre mezzo secolo, il fucile modello

L’ 1891, deriva dal modello tedesco Mannlicher- Mauser.

Nel 1890 il Ministero italiano della Guerra, diede l’incarico ad una Commissione istituita presso la Scuola

di Fanteria di Parma, di valutare le possibilità di ottenere un’arma “moderna” e rispondente alle esigenze

del nostro esercito. Ovviamente la commissione partì con l’esaminare le varie armi in dotazione agli eserciti

delle altre nazioni e giunse alla conclusione che quella più efficiente era senza dubbio il Mannlicher-Mauser

tedesco. Partendo da questo presupposto, venne indetta una vera e propria “gara” fra inventori volenterosi

e ben disposti sia italiani che stranieri, ma, nel giro di alcuni mesi, pervennero alla Commissione solo pochi

brevetti nessuno dei quali fu giudicato soddisfacente. Venne allora seguita la strada delle più sicure ed affidabili

fabbriche d’armi statali italiane, una delle quali, la fabbrica d’armi di Torino, verso la fine del 1891,

propose un modello che apparve subito affidabile e competitivo. Per verificarne l’affidabilità vennero eseguite

innumerevoli prove nelle quali si mise a confronto l’arma prescelta con altre armi prodotte dalle fabbriche

di Terni e Torre Annunziata ed altri svariati esemplari ideati da privati.

L’arma della fabbrica di Torino prevalse sulle altre, tuttavia per giungere all’adozione del fucile si dovette

aspettare fino al marzo del

1892 in quanto furono

richieste alcune modifiche: la

baionetta divenne asportabile

ed assunse la forma di un

coltello allungato per consentirne

un uso diversificato

e non limitato a quello di

arma bianca; il calibro fu fissato

in 6,5 millimetri per

consentire al fante di poter

disporre di un numero superiore

di pallottole; fu inserito

un caricatore a pacchetto,

analogo a quello utilizzato

Fucile mod. 1891

Sezione del sistema di caricamento e sparo.

dal fucile tedesco modello

1888, tanto che si dovettero

48


LE ARMI LEGGERE ITALIANE

corrispondere trecentomila lire al suo inventore, Von Mannlicher, per la cessione del brevetto.

La nuova arma, distribuita dapprima ai reparti alpini, venne anche prodotta, a partire dal 1893, in una

versione più corta , chiamata “moschetto” che prevedeva un tipo di baionetta “a spiedo“ di forma rettangolare

e ripiegabile su se stessa; l’arma fu distribuita ai reparti speciali fra cui carabinieri, cavalleria, ciclisti

ed agli stessi alpini.

Prima del suo impiego effettivo sui campi di battaglia, e precisamente nel 1911 durante la guerra di

Libia, il fucile subì ancora alcune modifiche: in particolare venne modificata la composizione chimica della

polvere da sparo delle cartucce riducendo il quantitativo di nitroglicerina presente; la balistite, nome della

polvere da sparo, fu così trasformata in solenite, per evitare continui inceppamenti dell’arma dovuti alla difficoltosa

estrazione dei bossoli.

Il fucile, dopo la dura prova del deserto libico, superata brillantemente, venne impiegato su larga scala

nella guerra 1915-18 dove si impose efficacemente. Le riserve del fucile, che nel 1914 ammontavano a

circa settecentomila esemplari per il modello base e circa centomila per la versione moschetto, vennero

integrate durante tutto il periodo bellico fino a raggiungere la ragguardevole cifra di oltre due milioni e

mezzo di esemplari, di cui circa cinquecentomila moschetti, di più di cinque milioni di pezzi di ricambio, di

un milione e mezzo di baionette e di oltre tre miliardi e mezzo di cartucce.

A cavallo degli anni ‘20 fu deciso di aumentare il calibro da 6,5 a 7,35 millimetri; infatti si riteneva la

vecchia pallottola troppo leggera e quindi suscettibile di variazioni di traiettoria per l’azione del vento: il

nuovo modello fu chiamato 91-38.

Allo scoppio della seconda guerra, sebbene la variazione del calibro fosse stata definita da un pezzo, le

fabbriche italiane non erano state adeguate alle esigenze della nuova produzione, così, fatta eccezione per

pochi esemplari, si tornò a produrre il vecchio modello 91 con cartuccia da 6,5 millimetri. Il risultato fu

disastroso perché il nostro esercito venne equipaggiato con un’arma non adeguata alle nuove esigenze,

soprattutto se si considera il fatto che molti degli eserciti avversari, e lo stesso esercito tedesco, erano dotati

di armi automatiche e fucili mitragliatori e, comunque, nel peggiore dei casi, di fucili più leggeri e dal calibro

più grosso. Solo alla fine della guerra in Italia fecero la loro comparsa le prime armi automatiche.

La pistola Beretta mod. 1934

Svariati furono i tipi di pistola utilizzati dalle nostre Forze Armate, molti addirittura di fattura civile, in

quanto elevata era la richiesta poiché tali armi venivano utilizzate da tutti gli ufficiali, da molti autieri,

dalla maggior parte dei carristi, dai sottufficiali dell’Esercito e della Marina nonché dagli equipaggi di volo

degli aerei da combattimento. Tuttavia le pistole adottate durante il primo conflitto e ancora in servizio,

come la Glisenti semi-automatica mod. 1910 ed i revolver Brixia-Glisenti mod. 1874 e Bodeo mod.

1889, finirono per essere utilizzate da alcuni reparti delle retrovie o con funzioni secondarie.

La pistola che, per eccellenza, trovò largo impiego nella II Guerra Mondiale, fu la Beretta mod. 1934,

derivata dal precedente modello

1923 prodotto sempre nella fabbrica

di Gardone Val Trompia.

Durante il conflitto la Beretta

mod. 34 diede prova della propria

robustezza e funzionalità in tutti i

luoghi ed in tutti i climi in cui fu portata.

L’unico difetto, se così si può

chiamare, si rivelò nella scarsa potenza

di tiro rispetto alle armi tedesche

e nemiche, dovuta al peso della pallottola

(circa 6 grammi contro gli 8,5

della 9 mm. parabellum tedesca) e

dalla sua minor velocità.

La Beretta ha continuato a produrre

con successo la sua arma,

con i vari ammodernamenti, tanto

che è stata adottata, negli anni ‘80,

dall’esercito degli Stati Uniti

d’America.

Pistola Beretta mod. 1934

Calibro: 9 mm corto

lunghezza totale: 152 mm

peso (scarica): 0,650 kg

lunghezza canna: 86 mm

alimentazione: caricatore da 7 colpi

velocità del proiettile: 240 m/sec.

49


PANZER

GRUPPE

AFRIKA

Capitolo 2

Si muove

Graziani

In un incidente

aereo muore Italo

Balbo. Mussolini

invia Graziani in

Libia come nuovo

governatore,

col compito di

preparare

l’offensiva contro

l’Egitto

50

Al margine del deserto marmarico,

una siepe di filo spinato

segnava il confine tra

Libia ed Egitto. Essa era in

molti punti strappata ed insabbiata.

Ma poco importava, dato che costituiva

soltanto una vaga indicazione di

frontiera, in quel territorio arido e sabbioso

il cui aspetto variava continuamente

a causa del ghibli, il vento del

deserto. Il ghibli è un vento caldo e

dura da un minimo di tre fino ad undici

giorni. Attraversa il Mediterraneo, si

inumidisce e raggiunge l’Italia del sud;

e lì poi lo chiamiamo scirocco. Nel

deserto, l’effetto del ghibli è tremendo

poiché al suo soffio le tende volano via

come fazzoletti. Così occorre fissarle

bene al terreno tenendo i margini con

enormi pietre; allora si gonfiano come

palloncini e starci dentro diventa una

tortura.

Il reticolato di frontiera si snodava

come un serpente per circa 270 km.

partendo, a nord, poco più avanti del

campo trincerato di Bardi fino alla

zona dell’oasi di Giarabub a sud.

Lungo il percorso avvolgeva un altro

campo trincerato, quello della ridotta

Capuzzo, che doveva diventare presto

famosa per i sanguinosi combattimenti

che vi sarebbero stati nei mesi a seguire,

con continui capovolgimenti di

fronte. Estremo presidio italiano,

Capuzzo era fronteggiata da Sollum,

in territorio egiziano ed in mano agli

Inglesi, a soli 12 km di distanza. Ma

mentre Capuzzo era situata all’interno

del deserto, Sollum sboccava sul golfo

omonimo, e quindi era facilmente

rifornibile per mare.

Un’impervia scarpata di 200 m. di

altezza, che si svolgeva per 60 km di

lunghezza in direzione sud-est, impediva

l’accesso a questa zona da sud,

cosicché per raggiungere questa parte

di territorio da oriente occorreva attraversare

il passo Halfaya, altro luogo

che doveva diventare tristemente

famoso, oppure si doveva aggirare la

scarpata scendendo a sud-est, a Bir

Sofafi.

Proprio per migliorare la posizione

militare, il 12 giugno i carri armati e le

autoblindo dell’11° Ussari inglese varcarono

il confine e, tentando di sfondare

la linea delle difese italiane,

attaccarono i presidi di Sidi Omar e

della ridotta Maddalena, ma questi

resistettero.

Era notte alla ridotta Capuzzo

quando alle tre del mattino strani

rumori svegliarono il tenente comandante

dell’avamposto. Mandò fuori un

soldato a vedere cosa stesse succedendo;

dopo qualche istante il soldato

rientrò, con gli occhi spauriti e balbet-


Una barzelletta

dell’agosto 1940 che si

rifà ai bombardamenti italiani

su Haifa. L'uomo in

abiti civili chiede ai soldati

inglesi: «Scusate, avreste

ancora un po' di benzina

per la mia macchinetta?».

Pagina precedente:

il ghibli soffia furioso e

spazza via tutto ciò che

incontra, cambiando

continuamente l’aspetto

del deserto.

tante cercando di comunicargli qualcosa.

S’udì una voce: «Hands up!».

Dietro al soldato italiano apparve un

inglese col mitra spianato che urlava

ancora «hands up», imitando il gesto di

alzare le mani. Apparvero altri soldati

inglesi; uno di questi urlò: «Avanti, presto»,

poi puntò la sua pistola alle reni

del tenente che si affrettò a chiedere:

«Chi siete?».

«Tenente Johnson dell’11° Ussari –

rispose l’inglese che aveva parlato in

italiano – Camminate senza fare difficoltà».

Quando uscirono all’aperto c’erano

soldati italiani morti ed altri erano stati

catturati. Il commando inglese si

affrettò a far seppellire i morti, poi portarono

via i prigionieri. Era il 14 giugno

e per i 200 difensori della ridotta

Capuzzo la guerra appena iniziata era

già finita.

Anche le truppe che erano a Sidi

Azeiz furno attaccate e dovettero ripiegare

su Bardia. Ma quando si mandarono

avanti truppe armate con cannoni

anticarro, gli Inglesi si ritirarono ed

iniziarono la tattica degli agguati.

Da parte italiana si avviarono i

bombardamenti aerei su Alessandria

e poi su Haifa, in Palestina, con un’idea

strategica più importante: si tendeva

a distruggere l’oleodotto proveniente

dall’Irak per togliere all’Inghilterra

la possibilità di utilizzare il

petrolio arabo, indispensabile ad una

guerra motorizzata, alle navi, agli

aerei e ai mezzi che gli Inglesi avevano

sul fronte cirenaico.

L’oleodotto irakeno portava il petrolio

alla costa del Mediterraneo tramite

due tubazioni: una verso la Palestina

Britannica e una verso la Siria francese.

Gli Italiani si chiedevano, in quei

momenti, cosa avrebbero fatto gli

Inglesi se si fosse interrotto il rifornimento

verso Haifa grazie ai bombardamenti.

Sarebbero andati a cercarlo

nella Siria che era sotto il controllo del

Governo di Vichy a sua volta satellite

della Germania? Per averlo, avrebbero

dovuto usare le armi ed invadere la

Siria. Oppure sarebbero stati costretti a

ritirarsi, specialmente se Malta e

Gibilterra fossero cadute.

Soldati scozzesi

pattugliano le strade

di Haifa.


Graziani deve attaccare in Egitto!

1

1 Camicie Nere

in partenza dal porto di

Napoli per la Libia.

2 Un carro italiano L 38,

uno sviluppo dell’L 3, con

nuove sospensioni e

armamento Breda.

3 Autocolonna italiana

pronta a muovere verso

l'Egitto.

4 Graziani passa i

n rassegna le truppe

italiane pronte ad avviarsi

verso l’Egitto.

58


3

5

4

5 Rodolfo Graziani (a

destra) sul palco della

autorità.

6

6 Un carrista italiano.

7 Un carro leggero L35

italiano affronta una

impervia discesa.

7


MITRAGLIATORI E MORTAI ITALIANI

Fucile mitragliatore Breda mod. 1930

Calibro: 6,5

lunghezza totale: 1230 mm

peso (scarico): 10,200 kg

lunghezza canna: 520 mm

alimentazione: caricatore da 20 colpi

velocità del proiettile: 620 m/sec.

ritmo di tiro: 150 colpi al minuto

Il fucile mitragliatore Breda 1930

Italia fu la prima nazione ad intuire la validità di un’arma automatica leggera d’assalto di supporto alla

L’ fanteria, che utilizzasse proiettili di pistole automatiche; ma fu l’ultima a sviluppare questa idea tanto da

giungere al secondo conflitto quasi priva di mitra.

Il fucile mitragliatore utilizzato nel secondo conflitto fu il Breda mod. 1930 prodotto dalla Società

Italiana Ernesto Breda di Brescia, ex fabbrica di locomotive. L’arma aveva il pregio di un’elevata perfezione

meccanica, ma più di qualche difetto: necessità di lubrificazione continua (in Africa settentrionale si guadagnò

una cattiva reputazione a causa dei continui inceppamenti dovuti alla sabbia), caricatori delicati e facilmente

danneggiabili, scarsa potenza (cartuccia da 6,5 mm.) e basso ritmo di tiro (150 colpi al minuto)

oltre al fatto che, mancando una maniglia per il trasporto creava non pochi problemi ai mitraglieri costretti

a portarsi dietro, a braccia, l’arma rovente.

Mitragliatrici Fiat-Revelli mod. 14/35 e Breda mod. 37

Per quanto concerne, invece, le armi automatiche pesanti, l’Italia, all’inizio del conflitto, disponeva di due

differenti tipi di mitragliatrici: la Fiat-Revelli mod. 14/35 e la Breda mod. 37.

La prima, piuttosto obsoleta, progettata dall’ufficicale italiano di artiglieria Berthel Revelli, già ideatore

della pistola Glisenti mod.1910 e della pistola mitragliatrice Villar Perosa mod. 1915, fu costruita dalla Fiat

Mitragliatrice Fiat-Revelli mod. 1934

Calibro: 6,5

lunghezza totale: 1180 mm

peso (senza acqua): 17 kg

peso treppiede: 21,500 kg

lunghezza canna: 654 mm

alimentazione: caricatore a serbatoio da 50 cartucce

velocità del proiettile: 680 m/sec.

ritmo di tiro: 400 colpi al minuto

66


MITRAGLIATORI E MORTAI ITALIANI

Mitragliatrice Breda mod. 1937

Calibro: 8

lunghezza totale: 1270

peso (scarica): 19,500

peso treppiede: 18,800

lunghezza canna: 600 mm

alimentazione: caricatore a serbatoio da 28 cartucce

velocità del proiettile: 791 m/sec.

ritmo di tiro: 350 colpi al minuto

in varie versioni: modello 1910, 1914 e 1914/35. Quest’ultimo, realizzato alle soglie del secondo conflitto,

subì a sua volta continue modifiche che, però, non cambiarono nella sostanza l’arma che rimase una mitragliatrice

della I Guerra Mondiale adattata, con scarsi risultati, alla seconda.

L’ultimo miglioramento in fatto di mitragliatrici venne dalla ditta Breda che realizzò il modello 1937 cal.

8 mm.

Per la prima volta l’esercito italiano ebbe un’arma di ideazione e produzione tutta nazionale, funzionante

a recupero di gas e non ad utilizzazione diretta del rinculo. La Breda mod. 37 si rivelò un’arma robusta

ed affidabile sia tra le nevi delle Alpi e delle steppe russe che tra le sabbie del deserto. L’arma poteva essere

lubrificata indifferentemente con olio Breda o con olio d’oliva; unici suoi difetti il peso e la bassa cadenza di

tiro (350 colpi al minuto). La mitragliatrice Breda è rimasta in servizio fino agli anni ‘70.

Mortaio Brixia da 45 e 81 mm.

Questi modelli furono largamente impiegati dall’esercito italiano: il primo, molto leggero (pesava 15

kg.), lanciava piccole bombe, quasi delle bombe a mano, il cui effetto era di scarsa potenza. Aveva una

celerità di tiro di 20-30 colpi al minuto ed una gittata di 4-500 metri.

Il secondo pesava complessivamente, fra canna, bipiede e piastra d’appoggio, 58 kg., per cui doveva

necessariamente essere trasportato smontato su mulo o da tre differenti uomini. Poteva utilizzare granate

dai 3 ai 7 kg. con effetto dirompente,

raggiungere i 1.150 m. di

gittata e sparare fino ad un massimo

di 35 colpi al minuto.

Mortaio Brixia 45mm

Calibro: 45

peso: 15 kg

gittata: 4-500 m

ritmo di tiro: 20-30 colpi al minuto

Mortaio Brixia 81mm

Calibro: 81

peso totale: 58 kg

gittata: 1.150 m

ritmo di tiro: 35 colpi al minuto

67


1

PANZER

GRUPPE

AFRIKA

Capitolo 3

Gli Inglesi

attaccano

Alla fine del 1940

i britannici

cominciano

il contrattacco

che in pochi mesi

termina con la

conquista della

Cirenaica

68

Il 9 dicembre del 1940 scattò la controffensiva

delle forze inglesi guidate

dal gen. Richard O’Connor,

dando così il via all’Operazione

Compass, e con una perfetta fusione

fra le unità corazzate, l’aviazione e la

marina da guerra. I possenti, anche se

lenti, carri armati Matilda della

7ª divisione corazzata respinsero

le truppe italiane oltre il confine

egiziano. Nulla potevano fare i

modestissimi carri L e le artiglierie

italiane contro le soverchianti

forze corazzate britanniche e il

fine anno vedeva violenti combattimenti

intorno a Bardia.

Intanto subivano incursioni

aeree Bengasi, Tobruk e la stessa

Tripoli.

Il 5 gennaio Bardia capitolava

e i combattimenti si spostavano

verso la piazzaforte di

Tobruk, tenuta da una divisione

di fanteria, la Sirte, da un battaglione

di Guardia alla Frontiera,

da un battaglione di Camicie

Nere e marinai e artiglieri per

un totale di circa 20.000 uomini.

Dopo 19 giorni di attacchi da

terra, mare e dall’aria, il 22

Tobruk cadeva.

Anche le oasi cominciarono

ad essere attaccate. Le armate

britanniche avanzavano e,

nonostante il continuo intervento di

aerei del X C.A.T. (Corpo Aereo

Tedesco) che dalla Sicilia contribuivano

a bombardare i mezzi corazzati e le

batterie britanniche, le truppe italiane

e libiche venivano continuamente

sopraffatte. Caduta anche Bengasi, il 7

2


3

1 Il gen. O’Connor (a sinistra)

e il gen. Wavell,

comandante

in capo del Medio Oriente

britannico, si incontrano

nei pressi di Bardia.

2 L’arte di arrangiarsi del

soldato italiano. Per

difendersi dai possenti

carri Matilda gli Italiani

usarono anche delle

originali bombe molotov

come quelle mostrate da

questo soldato britannico:

sono bottiglie di birra

marca Trieste della

Dreher, piene di benzina,

unite ad una bomba a

mano.

3 il gen. Italo Gariboldi.

4 Cartolina italiana

dedicata all’aeronautica.

5 L’impero britannico

necessita di combattenti,

perciò si fa appello a tutte

le colonie. Questo

manifesto che dice "La

Nuova Zelanda combatte"

sollecita al reclutamento.

Nel 1941 ottenne buoni

risultati: infatti,

una divisione

neozelandese,

al comando del gen.

Freyberg, giunse in Africa

per combattere al fianco

degli Inglesi.

febbraio 1941 con la battaglia

di Beda Fomm, a

sud di Bengasi, la sconfitta

fu definitiva (oltre 60.000

furono i prigionieri italiani).

Così delle due armate

che il Comando superiore

delle Forze Armate aveva

in Africa Settentrionale, la

10a in Cirenaica e la 5a in

Tripolitania, la prima era

praticamente annientata.

La seconda ne uscì malconcia.

I depositi di carburanti,

munizioni e approvvigionamenti

in Marmarica

e Cirenaica erano

andati tutti perduti.

L’aviazione completamente a terra.

Ciò nonostante le truppe britanniche,

comprendenti anche reparti

australiani, neozelandesi, indiani e

rodesiani, che avevano conquistato

con una avanzata che sembrò inarrestabile

tutta la Cirenaica, anziché proseguire

in direzione di Tripoli, si arrestarono.

In effetti, lo sforzo principale

dell’Inghilterra, in quel periodo, era

rivolto all’inutile tentativo di salvare la

Grecia e l’isola di Creta dall’invasione

tedesca.

Dalla Cirenaica erano affluiti in

Tripolitania praticamente 7.000 italiani

e 1.300 libici, oltre a 2.700 uomini che

erano sfuggiti isolatamente alla cattura.

Queste truppe vennero poste agli

ordini del generale Della Bona,

comandante della divisione Sabratha

(che era stata quasi annientata), e

destinate ad Homs per organizzarvi

uno sbarramento.

La pausa fu forse fatale per i britannici,

poiché nel frattempo a Berlino,

allarmati del probabile crollo della

resistenza italiana in Libia, si decise di

intervenire. Il generale Enno von

Rintelen, addetto militare a Roma,

convinse Mussolini (senza troppi sforzi

in verità) della necessità dell’aiuto germanico

in Cirenaica.

Il 10 febbraio il Maresciallo Graziani

veniva rimpatriato, per ordine del

Duce, dopo aver ceduto il comando al

generale Italo Gariboldi che assumeva

anche la reggenza del Governatorato

Generale della Libia.

Hitler inviò in tutta fretta a Tripoli

una piccola forza mobile costituita

dalla 5ª divisione leggera, più tardi

ribattezzata 21ª divisione corazzata,

che rappresenterà il nucleo del

Deutsches Afrika Korps (DAK). Per

comandare le truppe tedesche occorreva

un buon generale esperto di

mezzi corazzati e di guerra di movimento.

Pensò ad Erwin Rommel, il

generale che l’anno prima, durante

l’occupazione della Francia, aveva

dato prova di grandi capacità.

69

4

5


L’Inghilterra reagisce…

1

1 Sbarco di mezzi

corazzati nel porto di

Alessandria.

2 Le truppe britanniche

comprendevano anche

reparti di soldati

rodesiani.

3 Autoblindo Marmor

Herrington in azione di

pattuglia.

2

3

70


4

4 Carri Matilda del

7° Royal Tank Regiment

fotografati con gli

equipaggi in occasione

dell'avvio dell'Operazione

Compass.

5 6

5 A Londra Wavell viene

sollecitato a dare inizio al

contrattacco.

6 Reparti indiani in

addestramento in Egitto.

7 Un moimento di pausa

per questi soldati

neozelandesi impegnati

a trasportare nel deserto

un cannone da 16 libbre.

71


PANZER

GRUPPE

AFRIKA

Capitolo 4

Arriva

Rommel

Vista la difficile

situazione

Mussolini è

costretto a

chiedere

l’intervento

tedesco in Libia.

Hitler invia

immediatamente

il gen. Rommel e

l’Afrika Korps

82

All’inizio di febbraio 1941 il

tenente generale Rommel si

trovava in Germania, nel

villaggio di Herrlingen, in

una stretta valle ad 8 chilometri da

Ulm. Vi era arrivato due giorni prima

per riposarsi delle fatiche della campagna

di Francia, dove aveva

comandato con successo la 7ª divisione

Panzer che, partita dalla frontiera

belga, dopo quaranta giorni aveva

ottenuto la resa di Cherbourg.

Improvvisamente il trillo del telefono

interruppe il suo riposo: veniva immediatamente

convocato a Berlino.

Il giorno seguente una lunga

Mercedes della Wehrmacht andò a

prendere il generale all’aeroporto di

Staatsen e lo condusse al quartier

generale dell’O.K.W. (Oberkommando

der Wehrmacht) dove lo attendeva il

maresciallo von Brauchitsch, comandante

in capo delle Forze Armate.

Costui lo mise subito al corrente della

nuova missione. Rommel fu introdotto

da Hitler che continuò a fare un’esposizione

minuziosa, durata due ore, della

situazione in Africa e di quello che ci si

aspettava da lui. Era impensabile, gli

disse, che Mussolini potesse perdere la

Libia: sarebbe stato un danno irreparabile

al suo prestigio. Per questo, un

corpo di spedizione tedesco, composto

di due divisioni corazzate, stava per

essere inviato laggiù ad arginare la

falla. La missione di questo Deutsch

Afrika Korps era molto semplice: spalleggiare

le truppe italiane, ormai

demoralizzate, e impedire che gli

Inglesi potessero raggiungere Tripoli.

In seguito, a fine autunno, si sarebbe

potuto pensare ad un’offensiva per

riconquistare la Cirenaica. Per il

momento occorreva unicamente proteggere

la Tripolitania.

Hitler concludeva: «Rommel, vi affido

il comando dell’Afrika Korps. Sono

certo che saprete adattarvi benissimo

alle condizioni particolari della guerra

in Libia. Tornate a trovarmi fra sei settimane:

mi riferirete su quello che avete

visto».

Con questo incarico l’11 febbraio

Rommel raggiunse Roma, in compagnia

del suo ufficiale d’ordinanza

Aldinger e del colonnello Scmundt,

primo aiutante in campo di Hitler,

dove passò la mattinata. Si presentò

subito al generale Guzzoni, capo di

stato maggiore del Comando supremo,

ed ottenne subito l’autorizzazione

a stabilire la linea del fronte nel golfo

della Grande Sirte, che appariva più

adatto alla difesa della Tripolitania.

Nel pomeriggio Rommel raggiunse

in volo Catania, dove incontrò il gen.

Geissler, comandante del 10° Corpo

aereo tedesco. Da costui ottenne noti-


Oberkommando der

Wehrmacht, alto comando

dell’esercito: Hitler e

Brauchitsch elaborano

piani di attacco.

Nella pagina precedente,

il gen. Erwin Rommel.

zie sul fronte libico non proprio rassicuranti:

gli Italiani si sentivano sbandati,

dopo che la loro ultima divisione

corazzata era stata sconfitta il 6 febbraio

nel tentativo di difendere

Bengasi. Il maresciallo Graziani, scoraggiato

anch’egli, aveva chiesto al

Duce di rinunciare al comando, che

era passato al suo capo di stato maggiore,

generale Gariboldi. «Se avanzano

con questo ritmo gli Inglesi saranno

a Tripoli ancor prima che le truppe

tedesche possano sbarcare in Africa»,

concluse Geissler. Non restava, obiettò

Rommel, che ritardare l’avanzata

inglese bombardando il porto di

Bengasi e le colonne inglesi in trasferimento

a sud-ovest della città. Geissler

era restio a questa ipotesi, poiché gli

Italiani lo avevano pregato di non

bombardare Bengasi, dove molti funzionari

ed ufficiali possedevano case.

Rommel non volle accettare quelle

motivazioni e fece pervenire l’autorizzazione

all’attacco dal quartiere generale

del Führer. Poche ore dopo i bombardieri

tedeschi lasciarono il suolo italiano

per andare a bombardare i convogli

di rifornimento per Bengasi ed il

suo porto.

Quella stessa mattina Rommel, in

volo anch’egli per la Libia, atterrò

all’aeroporto di Castel Benito, a venti

chilometri a sud di Tripoli. Dall’alto il

generale tedesco aveva avuto modo

di ammirare il paesaggio libico: la

83


GLI UOMINI

Rommel, la volpe

del deserto

Erwin Johannes Rommel nacque il 12

novembre 1891 a Heidenheim nel regno

di Württemberg.

Suo padre, Erwin senior, era insegnante

a Heidenheim. Sua madre Helene von Luz

(che visse fino al 1940) era figlia del locale

Regierungs-Präsident (Presidente del

governo locale).

L’Impero tedesco era stato proclamato

nel 1871 a seguito della vittoria riportata

nella guerra Franco-Prussiana. Tutti i nobili,

re, duchi, ecc., giurarono fedeltà al re di

Prussia che divenne l’imperatore della

Germania. Le truppe del regno di

Württemberg andarono a formare il XIII

Corpo dell’Esercito Imperiale tedesco,

comandato da uno staff Imperiale, i cui

antenati erano i grandi Prussiani della

guerra per l’indipendenza, Scharnhorst e

Gneisenau; la maggior parte di questi

componenti riconobbero il Kaiser come

Comandante Supremo. L’esercito assunse

un ruolo importante nella vita tedesca di

allora per via delle continue ostilità tra la

Germania e le nazioni a lei vicine: Russia e

Francia. Il popolo rispettava, ammirava e

amava il proprio esercito, convinto che

fosse il solo che potesse proteggere la

Germania dai possibili invasori.

In questa atmosfera militaresca crebbe

il giovane Erwin Rommel, che fu temprato

sia accademicamente che atleticamente.

Durante l’adolescenza egli fu attratto dalle

scienze matematiche (sia il padre che il

nonno erano entrambi distinti matematici);

quando fu costruito il primo aeroplano

della storia si mise a studiarne i principi

costruttivi. Si appassionò a tal punto che,

dopo il liceo, Rommel pensava di andare a

lavorare nella fabbrica Zeppelin a

Friederichshafen, ma suo padre, ex ufficiale

di artiglieria, lo spinse invece ad entrare

nell’esercito.

Nel luglio 1910, Rommel diveniva

cadetto del 124° Reggimento di fanteria

Württemberg, inquadrato nella 26ª

Divisione di Fanteria dell’esercito tedesco

imperiale. Ma a marzo un’operazione

all’ernia lo mise fuori gioco per quattro

mesi. Cosicché decise di frequentare l’accademia

militare della prestigiosa

Konigliche Kriegsschule a Danzica. Il corso

88

durò otto mesi, fino alla fine di

novembre 1911, terminandolo col grado

di sottotenente.

In quel periodo incontrò la donna della

sua vita, Lucia Maria Mollin, alla quale

avrebbe scritto ogni giorno preziose lettere

durante la II Guerra Mondiale.

A gennaio del 1912, il piccolo e vivace

giovane sottotenente Erwin Rommel

ritornò nel 124° R.f. Fino all’estate del

1914, servì nell’artiglieria che si esercitava

nei pressi di Ulm.

Il 28 luglio 1914 avveniva l’assassinio di

Franz Ferdinand che dava avvio alla I

Guerra Mondiale.

Rommel fu impegnato come tenente

comandante di una compagnia cacciatori

da montagna, il Konigliche Württemberg

Gebirgsbatallion, composto di 6 compagnie

di fucilieri e sei plotoni di mitraglieri,

che dovette muovere all’Arlberg in Austria

per l’addestramento allo sci. Il 30 dicembre

1915 il battaglione si spostò in un settore

meridionale della prima linea

Occidentale. Era responsabile di un fronte

di 10 chilometri, ma qui la guerra si svolgeva

in maniera completamente differente.

Nessuna trincea, solo una difesa mobile,

condizione adatta per le incursioni. Con

azioni veloci e furiosi Rommel attaccava i

Rumeni portandosi indietro numerosi prigionieri.

Con un’operazione brillante riuscì

a conquistare e difendere dal contrattacco

dei Russi il Monte Cosna, subendo poche

perdite.

A novembre 1916 sposò Lucie Marie a

Danzica.

Nel 1917 Rommel prese parte allo sfondamento

del fronte italiano a Caporetto.

Per la conquista di Matajur ad ottobre ricevette

il grado di capitano e la massima

Due foto di Rommel agli

inizi della carriera militare.


Rommel cin la moglie

Lucie Marie e il figlio

Manfred.

Una bella foto di Rommel

in Africa. Sul berretto

spicca un paio di occhiali

in perspex; del tipo usati

dagli inglesi per

proteggersi dal sole e

dalla sabbia.

ricompensa al valore, la croce dell’ordine

“pour le mérite”.

Finita la guerra, persa dalla Germania,

Rommel fu rispedito al suo originale 124°

Reggimento Württemberg. Non avrebbe

ingaggiato battaglia per altri 20 anni.

Il Reichswehr divenne il nuovo esercito

nazionale che la Germania era stata autorizzata

a tenere: 100.000 uomini e solo

4.000 ufficiali. Dei 46.000 ufficiali in attività

allo scoppio della guerra, 34.500 era

ancora vivi. Era chiaro che la maggior

parte di questi avrebbero smesso di indossare

la divisa.

Il comandante von Seeckt, nello scegliere

gli ufficiali del suo nuovo esercito,

pensò che convenisse addestrare quelli che

sarebbero stati in grado di occupare due o

tre posizioni più in alto quando l’esercito

tedesco sarebbe stato ricostruito. Cosicché

il decorato Rommel conservò il suo grado

di capitano.

Nel 1924, Rommel fu messo al comando

di una compagnia di mitraglieri.

A settembre del 1929 fu inviato come

istruttore alla scuola di fanteria a Dresden

e due anni dopo pubblicava il suo libro

Infanterie greift (La fanteria attacca) dove

teorizzava una guerra veloce, dinamica e

senza trincee.

Ad aprile del 1932, all’età di 40 anni,

Rommel fu promosso al grado di maggiore

e ad ottobre del 1933 entrò a far parte

della fila dei tenente colonnello, andando

a comandare il 3° Jäger Battalion, 17° reggimento

di fanteria, a Goslar.

A settembre del 1934 Rommel incontrò

per la prima volta Hitler, quando costui era

già Cancelliere del Reich. Pensò che fosse

un buon uomo, mosso dall’orgoglio

patriottico, e che stesse lavorando per il

bene della Germania. Hitler restò impressionato

dal carattere di Rommel che ottenne

presto il grado di colonnello e poi di

maggiore generale, andando a comandare

la Guardia personale del Führer, un compito

di prestigio.

All’inizio della II guerra mondiale, il 4

settembre 1939, Rommel attraversava il

confine polacco con le truppe del Quartier

Generale del Führer. Durante queste operazioni

iniziali Rommel notò il successo e i

vantaggi che le colonne di panzer ottenevano

in aperto terreno; vide come i nemici

nulla potevano contro quei mostri d’acciaio.

Rommel prestò attenzione alla loro

velocità e all’armamento. In quei giorni

89


I CARRI ARMATI ITALIANI

Carro armato M13/40

Peso: 14 t

Equipaggio: 4 uomini

Armamento: 1 pezzo da 47/32 in torretta – 1

mitr. Breda cal. 8 mm coassiale – 2 mitr. cal. 8

mm. in casamatta

Corazza: frontale 42 mm – laterale 14,5 mm

Motore: Diesel da 125 HP

Velocità: 31,800 km/h su carreggiata

Autonomia: 210 km

Formazione

dei carri italiani

Dopo l’esperienza fatta nella guerra

civile spagnola l’Italia reputò necessario

dotarsi di un carro migliore del

modesto L3 da 3 ton. ed ordinò alla

Fiat la costruzione di un nuovo carro

di tipo medio.

Nacque l’M11/39 del peso di 11

ton. e dotato di un cannone da 37

mm. Ma a causa dell’insolita sistemazione

del suo armamento (2 mitragliatrici

cal. 8 mm. erano nella torretta

girevole ed il cannone nello scafo), il

progetto fu un fallimento, anche perché

risultò essere poco adatto al

deserto.

Nel settembre del 1939, quando

la Germania invase la Polonia, il

carro armato tedesco assunse un ruolo

importante ed un aspetto imponente.

Perciò i progettisti italiani tornarono,

con l’M13/40, al sistema di armamento

tradizionale, cioè il cannone in

torretta e le mitragliatrici nella corazza,

dando vita al primo carro moderno

dell’esercito italiano.

Con la divisione Ariete fece la sua comparsa in Libia nel febbraio

del 1941 e vi restò, con continui miglioramenti, nei restanti anni di

guerra nel deserto.

Alcuni di questi carri furono catturati e usati dai britannici. Il 6°

Australian Cavalry Regiment e il 6° Royal Tanks inglese (denominati

Topi del deserto) li usarono contro gli italo-tedeschi, principalmente in

azioni difensive, fino all’estate del 1941.

Finita la guerra, l’M13/40 restò ancora in servizio,

ma quando arrivarono all’esercito italiano

i carri armati americani, fu prima destinato

ad altro uso e poi completamente eliminato

nel 1950.

Carro armato M11/40

Carro armato M11/39

102

Disegni di Angelo Todaro


PANZER KW III

In origine, nel 1936, fu progettato come carro da 15 tonnellate

ma finì per pesare, all’inizio dell’offensiva contro la Russia, 22 tonnellate,

con una disponibilità di 1500 unità.

Il Kw III divenne il carro armato tedesco di

più largo impiego. Nel maggio del ‘40 oltre

300 ne furono impiegati in una sola azione nell’invasione

della Francia.

Anche nella guerra d’Africa fu sempre presente;

l’ottimo armamento e una buona velocità

fecero del Kw III un eccellente veicolo da

combattimento, tanto da riuscire a schiacciare

tutte le opposizioni durante la prima

metà della guerra. Soltanto il

Matilda, per la sua spessa

corazza, risultò invulnerabile;

per averne ragione lo si

attendeva per colpirlo ad una

distanza inferiore ai 500

metri. In tutto furono prodotte

12 differenti versioni del panzer

Kw III.

Nella metà del ‘42, però,

risultò inferiore ai nuovi carri

armati degli alleati così che fu

rimpiazzato, dove possibile, dai

più potenti carri Kw IV, presenti

anche negli anni precedenti ma in

quantità modesta.

Panzer Kw III (Sd Kfz 141)

Peso: 20,3 t

Equipaggio: 5 uomini

Armamento: 1 pezzo da 50/42 mm. (oppure 1

pezzo da 75/24 a tiro non rapido) – 2 mitragliatrici

cal. 7.92

Corazza: frontale 30 mm – laterale 30 mm

Motore: Diesel da 300 HP

Velocità: 40 km/h su strada - 18 km/h fuori strada

Autonomia: 175 km / 97 km fuori strada

Panzer Kw III

5ª leichte

Division

15ª Panzer

Division

CARRI ARMATI E CANNONI ANTICARRI

Comparazione delle munizioni - 1941-1942

La tabella a sinistra mostra una selezione delle munizioni maggiormente usate durante

la guerra in Africa, in modo da evidenziare meglio la differenza tra i vari calibri.

È subito evidente la sproporzione tra il 2 libbre inglese ed l’88mm antiaereo tedesco

usato contro i mezzi corazzati.

Il 2 libbre inglese e il 37mm americano raggiungevano la stessa distanza massima d’azione

(460 metri) ma avevano una diversa capacità di penetrazione: il 2 libbre era in

grado di bucare una placca piatta di 58mm, mentre il 37mm solo una di 48mm.

Il cannone tedesco L/60 da 50mm era più potente e capace di distruggere la maggior

parte di carri britannici ed americani di quel periodo. Sparava proietti speciali, ma

anche comuni munizioni. Il proietto AP40 aveva un bossolo in acciaio dolce e un

proiettile in lega tungsteno-carburo. La velocità inferta al proiettile era molto alta, ma il

tiro efficace non molto lungo, cosicché la massima penetrazione la si aveva con un tiro

a distanza ravvicinata. Era particolarmente adatto contro i pesanti e lenti carri di fanteria

britannica, quali il Matilda e il Crusader.

Anche il 75mm dell’M3 Grant sparava analoghi proietti speciali, ma nelle battaglie iniziali

questo tipo di munizione era piuttosto scarso.

103


PANZER

GRUPPE

AFRIKA

Capitolo 6

L’Asse

avanza

Rommel mette

in atto la sua

blitzkrieg

(guerra-lampo)

africana e in

una settimana

riconquista quasi

tutta la Cirenaica

122

Ceduta el Agheila, i Britannici

ripiegarono sulla stretta di

Marsa el Brega, un agglomerato

arabo attorno ad una

moschea su una ripida altura di sabbia,

e là cominciarono a sistemarsi a

difesa.

Nel timore che un’ulteriore attesa

lasciasse all’avversario il tempo di

rafforzare il caposaldo, già forte per

natura, il 31 marzo Rommel attaccò

Marsa el Brega. L’azione comunque

venne concepita come un’operazione

di assestamento e non in previsione di

un attacco in grande scala.

Dopo un violento scambio di tiro di

artiglieria tra i due contendenti, i guastatori

italiani e tedeschi uscirono dalle

linee e, distesi sulla sabbia rovente,

iniziarono ad individuare le mine

insabbiate. Ad una ad una le neutralizzarono

e le estrassero dal loro alveo.

Ogni metro di terreno bonificato veniva

segnalato con una striscia di tessuto

o una bandierina nera. Così, dopo

una mattinata d’intenso e massacrante

lavoro, una striscia di terreno era

stata bonificata per il passaggio dei

veicoli.

Mentre a distanza i finti carri continuavano

ad effettuare una ronda

infernale sollevando grandi nuvole di

polvere, quelli veri s’infilarono nella

striscia di terreno bonificata. Nello stesso

momento la fanteria uscì dai buchi

nella sabbia e si gettò all’assalto zigzagando

e urlando e nel cielo comparvero

gli Stuka, con la croce nera sulle

carlinghe. Gli aeri si gettarono in picchiata

sulle prime linee inglesi centrando

i carri che si trasformarono, uno

dopo l’altro, in torce fumanti. Dopo

aver eliminato i carri, gli Stuka si lanciarono

contro le postazioni di artiglieria

tempestandole di pallottole fino a

quando tutti i pezzi tacquero.

Verso la fine del pomeriggio la fanteria

italo-tedesca aveva circondato le

ultime isole di resistenza; prima di

notte, frastornati e spossati dalla battaglia,

i britannici che ancora combattevano

si arresero tutti. Altri, invece, battevano

in ritirata, ma avevano lasciato

sul terreno della battaglia alcuni

carri armati rimasti intatti. I Tedeschi

se ne impossessarono subito, cercando

di impararne la manovra per adoperarli

contro gli ex proprietari. Ottocento

soldati britannici passarono in carico

al commissariato italiano, con il

magro vitto a pane e acqua riservato

ai prigionieri di guerra.

Durante tutta la battaglia Rommel

non fece altro che incitare per galvanizzare

gli uomini; seguì minuto per

minuto l’evolversi della lotta, in modo

da poter modificare all’istante il suo

piano e trarre vantaggio da qualsiasi


Pagina precedente: i gen.

Gariboldi a sinistra e

Rommel al centro.

I rapporti tra i due furono

sempre piuttosto tesi.

Il generale italiano cercò

continuamente di limitare

l’autonomia di Rommel,

causando numerosi e

vivacissimi dibattiti.

fatto imprevisto.

I piloti degli Stuka che inseguivano

le truppe britanniche riferirono che più

che una ritirata quella inglese sembrava

un disfatta, poiché le colonne

nemiche fuggivano alla rinfusa.

«Ad Agedabia! – fu allora il grido di

Rommel – Non daremo agli Inglesi il

tempo di trincerarvisi, e i pozzi d’acqua

saranno nostri!».

Ripetendo il copione descritto in

precedenza, il 2 aprile l’armata

dell’Asse raggiunse Agedabia.

All’interno della sua tenda Rommel

esaminò la situazione su una carta. La

Cirenaica, con la sua protuberanza

verso nord, assomigliava ad un’isola

circondata dal mare; da qui gli Inglesi

avrebbero certamente cercato di fuggire.

Perché allora non cercare di inseguirle

o addirittura accerchiarle con

un movimento da sud? Per fare ciò

occorreva però raggiungere la linea

Mechili-Derna.

«Impossibile! – fu il commento di

Gariboldi quando Rommel lo informò

delle sue intenzioni – Il vostro piano

non è realizzabile!».

«Perché mai?», chiese Rommel.

«Perché la pista Agedabia-Mechili è

mal segnata e manca completamente

di punti di riferimento. Inoltre le ripide

discese la rendono pericolosa. Le carovane

di cammelli faticano a seguire

questa pista, come fareste voi, generale,

a percorrerla con i carri armati e gli

autocarri? Conosco quella pista: è

impraticabile!».

Ma le parole di Gariboldi a Rommel

non potevano bastavare, occorreva

controllare di persona. Con la sua

automobile si diresse in direzione della

pista da esplorare. Man mano che

avanzava il percorso diventava sempre

più difficile. Mentre procedeva

Rommel cominciò a riflettere sulle

parole di Gariboldi. «Impraticabile!».

Ricordò che anche un’altra pista gli

italiani l’avevano definita «impraticabile».

Era quella che da Mechili portava

a Seda Fum, proprio quella che gli

Inglesi avevano invece percorso

durante la loro vittoriosa avanzata. Se

l’avevano fatto gli Inglesi, si diceva

Rommel, perché no l’Afrika Korps?

Di tanto in tanto la sabbia sulla

pista diventava meno compatta e le

ruote dell’auto vi affondavano; allora

tutto l’equipaggio scendeva a spingere

il veicolo, Rommel compreso, oppure

di davano da fare ad infilare sotto

le ruote le strisce di scorrimento, delle

maglie metalliche mobili di cui tutti i

veicoli che viaggiavano nel deserto

erano muniti.

Dopo un certo tempo, l’auto di

Rommel raggiunse una pattuglia italiana

in avanscoperta che lo aveva

preceduto. La prova era stata superata.

Così le indicazioni della pista

Agedabia-Mechili furono cambiate da

«impraticabile» in «difficile, ma praticabile».

L’avanzata tedesca riprese con un

insieme di piccole colonne su tutta la

“protuberanza”, mentre Rommel si spostava

continuamente lungo il fronte a

bordo di un piccolo aereo. Le fanterie

italiane, intanto, si portavano avanti

per occupare il territorio conquistato.

Gli Inglesi tentarono persino di ingannare

gli attaccanti nascondendo i loro

carri in tende da beduino, ma inutilmente.

Rommel avanzava: il 4 aprile

era a Bengasi, il 5 a Barce.

Lungo la pista Agedabia-Mechili

procedeva la divisione corazzata

Ariete accorpata alla 5a leggera,

entrambe al comando del ten. col.

Schwerin; queste rappresentarono la

minaccia più grave per gli Inglesi ed

infatti raggiunsero Mechili il 6 aprile.

Il 7 aprile le truppe italo-tedesche

erano a Derna e proseguivano per

Tobruk. La più importante unità britannica,

la 2ª divisione corazzata,

aveva praticamente cessato di esistere;

quattro generali erano stati catturati.

Soltanto la 9ª divisione australiana,

con qualche rimasuglio di carri e artiglieria,

difendeva con tenacia il solo

porto di Tobruk, mentre la strada per

l’Egitto era libera. Ed infatti Rommel

raggiunse Sollum, sul confine egiziano,

e qui si arrestò.

In una settimana, quindi, era stata

riconquistata, eccetto Tobruk, tutta la

Cirenaica. Come fu possibile?

Alla vigilia della controffensiva,

Rommel riteneva, secondo le informazioni

in suo possesso in quel momento,

derivanti prevalentemente da ricognizioni

aeree, che l’elemento risolutore

sarebbe stato costituito dai carri armati.

Al di là del numero, sia pure impor-

123


1

2

3

1 Alcuni bersaglieri

conversano con soldati

tedeschi di un

Panzerfunkwagen SdKfz

263. Il motociclista in

primo piano è un

portaordini, riconoscibile

anche per la borsa

portadocumenti che

indossa a tracolla.

2 Per indurre i Britannici

a credere che i corazzati

dell’Asse fossero più

numerosi, Rommel fece

preparare un gran numero

di sagome di carri armati

che furono montate su

auto Volkswagen.

3 Un Panzerjäger I in

avanscoperta nel deserto.

Essendo un caccia-carri

fungeva da avanguardia

della colonna avanzante.

132


4 Il forte di el Michili, dove

la mattina dell’8 aprile

1941 i bersaglieri del col.

Montemurro catturarono

il gen. Gambier-Parry e il

gen. Vaughan,

comandante delle truppe

indiane.

4

5 Gli artiglieri italiani

piazzano velocemente

i cannoni per incalzare

le forze nemiche.

6 Una bella foto di un

carro armato italiano

M 13/40, con colorazione

sabbia. Un modello

migliorato rispetto al

precedente M13/39.

5

6


PANZER

GRUPPE

AFRIKA

Capitolo 8

Battleaxe

I Britannici

avviano un nuovo

ben più poderoso

piano per liberare

Tobruk.

Si muovono ben

13 divisioni di cui

2 corazzate

154

Dopo la cattura di Neame e

O’Connor, Wavell aveva

chiamato il gen. Beresford-

Peirse come nuovo comandante

della Western Desert Force e

all’inizio di giugno stava preparando

un nuovo piano di attacco denominato

Battleaxe (ascia di guerra).

La forza britannica consisteva in 13

divisioni, di cui due corazzate, che

ancora una volta avrebbero sferrato

un attacco a tridente: la colonna

costiera verso Sollum tramite il passo

dell’Halfaya, quella centrale verso la

tanto contesa ridotta Capuzzo, mentre

quella interna doveva aggirare a sud

il fianco occidentale per accerchiare

ed interrompere i rifornimenti dell’Asse.

Le forze italo-tedesche che gravitavano

tra l’assedio a Tobruk e la frontiera

consistevano in otto divisioni, di cui 3

corazzate. Alcuni comandanti era stati

sostituiti: il gen. Streich con il gen.

Johannes von Ravenstein; iI comandante

della 15ª Panzerdivision, gen.

von Esebeck (aveva sostituito lo sfortunato

gen. von Prittwitz, morto appena

giunto al fronte), ferito, con il gen.

Neumann-Silcow. I vari caposaldi di

confine erano stati maggiormente fortificati:

il presidio di Halfaya era stato

protetto da un campo minato e comprendeva

400 italiani e 500 tedeschi al

comando del cap.Wilhelm Bach; a

Sollum, priva di una vera fortificazione,

c’erano 200 italiani; a Musaid 220

italiani; alla ridotta Capuzzo 180 italiani

e 30 tedeschi; al caposaldo di q. 206

c’erano elementi della 5ª leggera; a

Bir Hafid un complesso misto italotedesco-libico.

Al confine manovrava

parte della 5ª divisione leggera e la

15ª divisione Panzer che aveva in

dotazione, oltre ai cannoni contraerei

da 88 (usati come controcarro), i nuovi

pezzi controcarro da 50 mm.

La mattina del 15 giugno l’attacco

britannico prese il via.

La punta d’attacco di destra si diresse

verso Halfaya suddivisa in due colonne

di carri seguiti da fanteria; quella

sulla costa, comprendente la 4a divisione

indiana, fu accolta da un pesantissimo

fuoco di sbarramento che la

bloccò. I carri Matilda si vennero a trovare

all’interno del campo minato:

quattro saltarono in aria e gli altri due

si arrestarono sparando. L’altra colonna,

comprendente l’11a brigata indiana,

procedette contro il passo con uno

schieramento a ventaglio dei carri. Al

presidio dell’Halfaya genieri italiani, al

comando del maggiore Pardi, avevano

piazzato una batteria da 88, una

batteria da 100/17 e una batteria da

155, preda bellica francese. Quando i

Matilda giunsero a tiro e l’88 contrae-


OPERAZIONE BATTLEAXE (15 giugno ‘41)

OPERAZIONE BATTLEAXE

(16 giugno ‘41)

Pagina precedente:

soldati italiani al passo

Halfaya. È il posto più

“caldo” del momento,

perché passaggio

obbligato per entrare in

Cirenaica lungo la costa,

su un terreno compatto.

Ma è anche il luogo dove

maggiormente i britannici

incontrarono forte

opposizione.

Non per niente fu da loro

soprannominato

Hellfire Pass (passo del

fuoco infernale).

reo entrò in funzione lanciando una

grandine di perforanti, undici dei dodici

Matilda andarono in fiamme.

L’ultimo Matilda, un carro leggero e la

fanteria arretrarono restando per due

giorni inchiodati sulla difensiva. Così

ebbe termine l’attacco all’Halfaya che

in seguito gli inglesi avrebbero chiamato

Hellfire Pass (passo del fuoco

infernale).

La punta d’attacco centrale, invece,

comprendente la 4a brigata corazzata

e la 22ª Guard Brigate, si allargò su un

fronte di 25 chilometri puntando sulla

ridotta Capuzzo. I Matilda irruppero

nel caposaldo intorno a mezzogiorno,

lasciando sul terreno cinque carri.

OPERAZIONE BATTLEAXE (17 giugno ‘41)

Un primo contrattacco della Panzerjäger

venne respinto sia pure con la

perdita di altri tre carri e la lotta si spostò

verso Musaid, nei pressi di Sollum.

Alle 17 il caposaldo italiano fu assalito

da alcuni Matilda e un battaglione

delle Guardie, ma resistette. I Britannici

si fermarono, poi si diressero verso

Bardia. Giunti in periferia si trovarono

di fronte un pezzo da 88 e due panzer

IV dotati di pezzo da 75. Nello scontro

sei Matilda ebbero la peggio.

Comunque Capuzzo restava in mano

inglese. Anche il caposaldo di q. 206

veniva espugnato.

La punta d’attacco di sinistra, costituita

dalla 7ª divisione corazzata con 38

cruiser di vario tipo e 50 Crusader (i

nuovi carri arrivati col convoglio

Tiger), con un percorso più lungo tentò

di aggirare i Tedeschi, ma cadde sotto

un terribile fuoco di pezzi controcarro.

Negativo battesimo del fuoco per i

nuovi Crusader: undici carri distrutti e

sei danneggiati. L’intervento di un battaglione

del 5° Panzerregiment respinse

l’avanzata distruggendo una ventina

di cruisers.

La prima giornata si concluse quindi

per gli Inglesi con la perdita di 60 carri

e senza aver ancora incontrato il grosso

dei panzer.

La mattina del 16 la 15ª Panzer con

80 carri attaccò Capuzzo su due lati,

ma le cose si misero male e a mezzogiorno

fu costretta a ripiegare.

La zona in cui si trovava la colonna

britannica di sinistra vide invece una

155


1

1 Un Matilda catturato

viene rimesso in sesto

per poterlo usare

contro gli Inglesi.

2 Con l'operazione

Battleaxe il Matilda perde

definitivamente la sua

reputazione di carro

indistruttibile. Dei 100

nuovi carri giunti in Egitto

i Britannici ne persero ben

64 durante questa

operazione. Nella foto,

due Matilda immobilizzati.

2

3 4

166


3 Il cap. Bach e i suoi

uomini del 1° battaglione,

104° reggimento,

gioiscono per la vittoria

riportata.

5

4 Gli uomini del cap. Bach

schierati in attesa

di essere decorati, ad

Halfaya (luglio 1941).

Si deve principalmente a

questi uomini e ai 400

italiani del maggiore Pardi

se, con la loro coraggiosa

resistenza al passo

d’Halfaya, l’operazione

Battleaxe è fallita.

5 Un cimitero nei pressi di

Tobruk.

6 Si seppelliscono i morti;

un plotone spara un salva

di fucileria.

7 Il Cappellano Militare

benedice tutti, i morti e i

vivi.

6

7

8 Il cimitero degli Eroi alla

ridotta Capuzzo.

9 Un ringraziamento per

lo scampato pericolo alla

Madonnina dell’Halfaya.

10 - 11 Si premiano

i valorosi delle due

formazioni, italiane

e tedesche.

8

9

10 11

167


LE MITRAGLIATRICI TEDESCHE

MG30 - MG34 - MG42

Maschinengewehr 34 (MG34)

Calibro: 7,92 c 57 mm Mauser

lunghezza totale: 1219 mm

peso (scarico): 12,100 kg

lunghezza canna: 627 mm

rigature canna: 4 destrorse

alimentazione: nastro da 50 colpi/tamburo da 75

velocità del proiettile: 760 m/sec.

ritmo di tiro: 900 colpi al minuto

L

’esercito tedesco, dopo l’esperienza

fatta nella prima guerra, aveva idee

chiare circa le mitragliatrici; per esso rappresentava

l’arma da fuoco primaria della

fanteria, in supporto ai fucilieri, da mettere

in posizione tale da recare il massimo

danno possibile.

Quando Hitler salì al potere

nel 1933 iniziò a riequipaggiare

l’esercito anche di nuove

mitragliatrici, che man

mano sono andate sviluppandosi

durante la

guerra. Uno dei problemi

per i progettisti di armi da fuoco tedeschi, nel periodo tra le due guerre, fu quello di dover nascondere i

loro prototipi, poiché naturalmente non erano autorizzati; cosicché soltanto poche unità ne erano state

costruite. Famose compagnie siderurgiche della Renania acquisirono segretamente una piccola ditta ingegneristica

svizzera, nota come Waffenfabrik Solothurn. Il resto del mondo ignorava però che i progetti elaborati

da questa fabbrica svizzera arrivavano in realtà dalla Solothurn residente a Dusseldorf. Questa fabbrica

tedesca finì anche per controllare una compagnia residente in Austria, la Waffenwerke Steyr, cosicché le armi

erano progettate in Germania, realizzate in prototipo e sperimentate in Svizzera, e poi messe in produzione

e vendute in Austria. Una delle armi realizzate dalla Solothurn fu la mitragliatrice denominata MG30.

L’MG30 era una mitragliatrice ingegnosa, alimentata da un nastro con cinquanta colpi e sparava al ritmo

di 800 colpi al minuto. Era molto ben realizzata, stabile e affidabile, ma per qualche ignota ragione l’esercito

tedesco non la adottò. Dopo alcuni miglioramenti l’ama fu nuovamente sottoposta e accettata, ma il progetto

passò alla compagnia Mauser per ulteriori miglioramenti. Il risultato fu un nuovo modello denominato

MG34, che divenne la mitragliatrice standard tedesca. Come ci si poteva aspettare da una tale compagnia,

l’arma era eccellente, ma non facile da produrre, cosicché quando la guerra iniziò ben cinque fabbriche

costruivano MG34 per sopperire alla domanda. Furono realizzate anche altre due versioni, chiamate

MG34/41 e MG34S, possibili di solo fuoco automatico e più corti di 5 centimetri.

Per sopperire al problema della produzione, fuavviato un nuovo progetto

che portò alla realizzazione dell’MG42, più facile da costruire perché

progettato per essere assemblato con pezzi prefabbricati.

Una cosa interessante di quest’arma da

fuoco era che poteva essere adoperata

con treppiede o senza,

poiché era più leggera

della

classica

mitragliatrice

da postazione.

Maschinengewehr 42 (MG42)

Calibro: 7,92 c 57 mm Mauser

lunghezza totale: 1219 mm

peso (scarico): 11,500 kg

lunghezza canna: 533 mm

rigature canna: 4 destrorse

alimentazione: nastro da 50 colpi

velocità del proiettile: 760 m/sec.

ritmo di tiro: 1200 colpi al minuto

168


LE MITRAGLIATRICI BRITANNICHE

Bren Mark 1

La mitragliatrice Bren Mark 1, progettata in

Cecoslovacchia, fu adottata dall’esercito britannico

nel 1938. Probabilmente era la migliore

mitragliatrice leggera del tempo. Il progetto

ceco era stato esaminato nel 1935,

poi si decise di acquisirne i dirittti di costruzione.

Caricamento a gas, raffreddamento

ad aria, canna facilmente

sostituibile,

era alimentata da un

caricatore da 30

colpi che si inseriva

dall’alto; era semplice

da usare, accurata,

estremamente affidabile,

tant’è che, dopo alcune modifiche, viene

adorata ancora oggi dalla NATO.

L’intera produzione britannica del Bren

fu affidata fabbrica Royal Small Arms

Factory ad Enfield, mai seriamente danneggiata

da un’incursione aerea. Ma poiché il

War Office era meno fiducioso circa le possibilità

che restasse illesa, chiese al Birmingham

Small Arms Company di sviluppare una

versione semplificata di quest’arma. Harry

Faulkner, il progettista capo della BSA, in

poco tempo produsse il Besal Gun, semplice

nella costruzione ma anche affidabile. Fu fatto

un prototipo e sperimentato, poi il progetto

Bren Mark 1 con cavalletto

e con treppiede.

Mitragliatrice Vickers MK1

Calibro: .303 britannico

lunghezza totale: 1092 mm

peso (scarico): senz’acqua 14,97 kg - con

acqua circa 18,14 kg - con treppiede 23,13 kg

lunghezza canna: 722 mm

alimentazione: 250 colpi in nastro di tela

velocità del proiettile: 743 m/sec.

ritmo di tiro: 450/550 colpi al minuto

fu messo d parte in attesa di un qualcosa che non venne mai, cosicché la mitragliatrice Besal (che più tardi

divenne nota come Faulkner) non fu mai messa in produzione.

Mitragliatrice Vickers

Come mitragliatrice medio-pesante gli inglesi continuarono ad affidarsi, come avevano fatto per anni, alla

Vickers Mark 1. Questo era, in realtà, il Maxim Gun

del 1887 migliorato dalla Vickers nel 1912, con raffreddamento

ad acqua e munito di treppiede;

poteva sparare 450 colpi al minuto per ore

senza interruzione. Era la classica mitragliatrice

da usare in supporto all’attacco della fanteria o

per la difesa statica, e ogni battaglione ne aveva

alcune nel proprio organico. Alcuni reggimenti,

come il Manchester Regiment per esempio, divennero

unità mitraglieri, col compito di intervenire sul fronte

quando ciò si rendeva necessario.

Mitragliatrice Vickers MK1

Calibro: .303 britannico

lunghezza totale: 1092 mm

peso (scarico): senz’acqua 14,97 kg - con

acqua circa 18,14 kg - con treppiede 23,13 kg

lunghezza canna: 722 mm

alimentazione: 250 colpi in nastro di tela

velocità del proiettile: 743 m/sec.

ritmo di tiro: 450/550 colpi al minuto

169


Enigma, una strana macchina per scrivere

Nella Seconda Guerra mondiale l’uso

della radio per comunicare tra i vari

reparti militari acuì il problema dell’intercettazione

nemica, poiché le onde radio

potevano facilmente essere captate e

ascoltate da orecchie indiscrete. Così i

Tedeschi pensarono di aver trovato la soluzione

al problema nell’uso di una macchina

elettromeccanica per cifratura e decifratura

denominata Enigma.

In realtà Enigma, o meglio il suo prototipo,

era stata costruita per scopi commerciali,

per consentire cioè alle aziende di

criptare i propri messaggi riservati; il suo

ideatore, un certo Scherbius, la presentò

nel 1923 in Germania alla Fiera internazionale

delle Poste e Telecomunicazioni.

L’oggetto non sfuggì all’attenzione dei servizi

segreti tedeschi, i quali pensarono di

adoperarlo per i loro scopi militari e lo

fecero quindi sparire immediatamente

dalla circolazione.

All’inizio della guerra i Tedeschi operavano

già con una cinquantina di Enigma,

alcuni nell’esercito ed altri nella marina,

nell’aeronautica, nella ferrovia e nel servizio

segreto, e tutti dormivano sonni tranquilli,

poiché la decifratura da parte del

Una macchina Enigma

aperta per mostrare il

suo interno.

Denominazione: Macchina cifrante

Modello: Enigma

Dimensioni: 34 x 28 x 15 cm.

Anno di fabbricazione: 1936

Fabbricante: Chiffriermachinen Gesellschaft Heumsoeth u. Rinke

Berlin W35 Ludendorfstrasse 6

Materiale: Metallo - custodia in legno

Colore: Nero

192


A destra, un dettaglio

interno di Enigma.

In basso, come si

presenta Enigma agli

occhi di un operatore.

nemico era ritenuta impossibile. Tanto più

che la chiave d’accesso, indispensabile

proprio per la decifratura, veniva periodicamente

modificata.

Gli Inglesi cercarono in vari modi di

decifrare i messaggi tedeschi, ma ovviamente

l’impresa si rivelò sempre ardua,

anche quando si cominciò ad utilizzare il

primo computer elettronico, dono degli

Americani, denominato Colossus perché

era così grande che occorse un intero edificio

per ospitarlo.

Ma la fortuna venne in aiuto degli

Inglesi. Già prima della guerra un gruppo

di Polacchi si era interessato alla decifratura

di Enigma, agevolato dal possesso, avvenuto

per circostanze fortuite, di una macchina

originale che venne chiamata

Bomba. Quando la Polonia fu occupata

dalle forze del Reich, il gruppo polacco

raggiunse, con varie peripezie, la Francia,

portando con sé la macchina decrittatrice.

Da qui passò poi in Inghilterra.

Immaginatevi la gioia degli Inglesi quando

si videro consegnare su un piatto d’argento

una macchina Enigma! Ribattezzarono la

macchina Ultra e misero sù un’organizzazione

denominata Ultra Secret, sistemata

alla periferia di Londra in località Bletchley

Park, con lo scopo di decrittare i dispacci

tedeschi; s’iniziò con uno staff di 120 persone

nel ‘39, che divennero circa 7000

all’inizio del ‘44. Ovviamente possedere

Ultra non era sufficiente, poiché occorreva

anche conoscere la chiave utilizzata al

momento dal nemico. Ma, grazie a circostanze

fortuite e ad errori degli operatori

tedeschi, si cominciarono a decifrare i

primi messaggi. Quando poi i Tedeschi

cambiavano chiave, ecco mettersi in moto

la macchina dello spionaggio inglese per

cercare di venirne in possesso; e in genere

erano sufficienti due o tre giorni per scoprirla.

I Tedeschi, che ignoravano tutto ciò (gli

Inglesi hanno rivelato l’esistenza di Ultra

alla fine degli anni ‘60), continuarono

tranquillamente ad usare Enigma; unica

preoccupazione: cambiare spesso la chiave

di accesso o utilizzare chiavi differenti tra

le forze armate. E né sospettarono alcunché

quando nei vari teatri di guerra gli

Inglesi si cominciarono a comportare

come se conoscessero a perfezione i movimenti

e gli obiettivi delle truppe e delle

navi dell’Asse, giungendo puntuali a sbarrare

loro la strada. Così accadde che le

navi italiane in rotta per l’Africa venissero

spesso intercettate e affondate da sommergibili

o navi inglesi; che i panzer di

Rommel trovassero ostacoli impensabili;

che gli U-Boot tedeschi e i sommergibili

italiani venissero misteriosamente scoperti,

inseguiti e affondati.

In definitiva ben poco sfuggì al SIS delle

intenzioni delle armate di Rommel: gli

ordini dei vari comandanti, che viaggiavano

via etere criptati, furono regolarmente

decriptati, giungendo regolarmente sul

tavolo di Churchill; allo stesso modo gli

inglesi conobbero quasi sempre la composizione

delle formazioni tedesche, la loro

posizione, e tante altre notizie segrete.

«Gli Italiani sono troppo chiacchieroni»

dicevano i tedeschi, e cominciarono a

guardarli con diffidenza. Proprio quegli

Italiani che invece avevano preferito usare

tra le forze armate, anziché la macchina, i

193


PANZER

GRUPPE

AFRIKA

Capitolo 13

La corsa

di Rommel

Rommel insegue

le truppe

britanniche

in ritirata e di

slancio supera

anche il confine

egiziano, ma…

218

Durante la notte sul 24 le due

divisioni dell’Afrika Korps e

l’Ariete si erano riunite in una

zona tra q. 178 e l’aeroporto

di Sidi Rezegh.

Mentre era ancora in atto il rifornimento,

alle 8,45 giunse l’ordine di

muoversi per inseguire il nemico. Alle

10,40 le divisioni Panzer non erano

ancora pronte, per cui Rommel, sempre

più impaziente, ordinò al 5°

Panzerreggiment di avviarsi sulle tracce

dei Britannici “a tutta velocità”

senza attendere il resto della divisione.

La 15ª Panzerdivision partì verso mezzogiorno,

più compatta e organizzata.

La 21ª, invece, incalzata da Rommel,

cominciò a sgranarsi lungo la strada.

Così, mentre la testa avanzava velocemente

in direzione del confine, il

resto della colonna si spezzettava in

più punti e ciò procurò in seguito una

serie di piccoli scontri.

Il compito assegnato all’Ariete era

complementare alle divisioni del DAK;

doveva affiancare la loro discesa, ma

quando trovò la 1a brigata australiana

a sbarrarle il passo dovette arrestarsi.

La 4ª e 22ª brigata britanniche avevano

ricevuto l’ordine di Gott di dirigersi

verso nord per proteggere il fianco

sinistro dei neozelandesi asserragliati

a q. 178. Le unità rimanenti invece

si riorganizzavano con calma.

Il percorso prescelto portò la colonna

tedesca attraverso i reparti superstiti

e in direzione del comando di Gott,

ove si trovavano anche Cunningham

e Norrie in riunione. All’avvicinarsi dei

Panzer l’allarme si diffuse nel campo,

Cunningham ripartì immediatamente

col suo Blenheim. Il fuggi-fuggi fu

generale e coinvolse tutti i reparti. Una

batteria di 24 pezzi da 25 lbs. aprì il

fuoco contro i carri tedeschi, ma con

scarsi risultati.

“Quel giorno – scrisse un corrispondente

di guerra – fuggimmo nove ore

di seguito. Tutti eravamo contagiati

dalla paura, disorientati ed all’oscuro

di quanto stava accadendo. Ad ogni

sosta si diffondevano voci fantastiche;

nessuno aveva ordini. (…) Fuggivamo

da un pericolo sconosciuto, costituito

dal nemico e da noi stessi. Non sapevamo

chi ci stesse inseguendo, né

quanti fossero, né per quanto tempo ci

avrebbero braccato, né se, alla fine,

sarebbero riusciti a raggiungerci (…)”.

I carri britannici, sia pure in gruppi

isolati, cercarono di opporre resistenza,

e, alla fine, la colonna tedesca si

spezzò in più tronconi.

Cunnignam, rientrato alla ridotta

Maddalena verso mezzogiorno, trovò

le direttive di Auchinleck che lo esortava

a continuare l’offensiva, poiché era


Pagina precedente:

Rommel a bordo di un

SdKfz 250.

OPERAZIONE CRUSADER (avvenimenti del 24 novembre ‘41)

determinante ricongiungersi con

Tobruk, anche se fosse stato necessario

operare «fino al limite estremo delle

sue risorse». Esortò ad organizzare

incursioni della Long Range Desert

Group «fino al limite delle sue possibilità

contro ogni possibile obiettivo» e

ad utilizzare tutte le autoblindo disponibili

«con la massima audacia».

Cunningham volle prendere direttamente

contatto con Godwin-Austen e

si recò in volo a Sidi Azeiz.

«Mentre sorvolavamo il reticolato di

frontiera – ricordò più tardi – guardai

giù e vidi svolgersi una battaglia di

carri. Quando tornai al quartier generale

nessuno volle credermi. Rommel

era proprio in direzione della mia base

di rifornimenti…».

Invece Rommel raggiunse, alla

testa della 21ª Panzerdivision, il reticolato

della frontiera ma, senza rendersene

conto, era passato a nord dei

depositi di rifornimento. Era privo di

collegamento con le varie unità disseminate

lungo la strada, insieme ai

mezzi radio. Disse a von Ravenstein di

proseguire con tutte le forze disponibili

e di passare la notte a sud di Halfaya.

Lo raggiunse Crüwell un’ora dopo,

informandolo che la 21ª Panzer era

ridotta a 20 carri e la 15a a 56. E

Rommel spiegò il suo piano: «Compito

dell’Africakorps è di operare con il

corpo motorizzato (italiano), schiacciare

e distruggere il nemico ad oriente e

occidente del fronte di Sollum e di

Bardia. A tale scopo: la 21ª Panzerdivision

volgerà ad est del fronte di

Sollum; la 15ª sbarrerà ogni via di

scampo verso sud con metà delle sue

forze da ambo i lati del reticolato e con

il centro nella zona di Gasr el Abd.

L’Ariete sopraggiungerà ad ovest, con

la Trieste sul fianco dell’Ariete. 21ª e

15ª Panzer costringeranno ad arrendersi.

Il 33° gruppo da ricognizione si

spingerà avanti su Habara per bloccare

la discesa dalla scarpata, in modo

che il nemico sia impossibilitato ad

usarla per ripiegare o per rifornirsi».

Ma Rommel stava trascurando il

problema dei rifornimenti: dato che

era impossibile pensare all’afflusso da

tergo, diventava vitale trovare i depositi

del nemico (nelle vicinanze ce n’erano

quattro), ma la loro dislocazione

non era conosciuta. C’era il problema

dell’Afrika Korps, sparpagliato in un

territorio in cui si mescolavano reparti

amici e nemici e con i comandanti

che viaggiavano pressoché soli.

Inoltre non esisteva alcun contatto con

l’Ariete e la Trieste che erano molto

indietro.

Crüwell, con una piccola scorta,

raggiunse von Ravenstein e lo informò

delle direttive di Rommel. Sulla via del

219


Vari stili del simbolo della PALMA usato dal DAK

1

2

3

4

Il simbolo più comune usato dal Deutsches

Afrikakorps sui propri veicoli fu la stilizzazione

palma/svastica. Esso venne applicato

sui veicoli della 15ª PzDiv. e 21ª PzDiv.,

compresi i carri armati, i veicoli da ricognizione,

i motocicli, i camion, ecc. Ma in differenti

applicazioni e nel corso del tempo

lo stile di questo simbolo subì alcune

modifiche. Inoltre, alcuni venivano verniciati

a mano, altri venivano applicati usando

degli stampi. Nella maggior parte dei

casi il simbolo comparve in bianco su una

base più scura. Il formato e la disposizione

sui veicoli furono vari quanto lo stile del

disegno; pare che la scelta fosse affidata

alle varie unità.

A lato vediamo le varianti più comuni, in

nessun ordine speciale, con una descrizione

sommaria e su quale veicolo è apparso.

1 - Questo simbolo fu applicato sui primi

mezzi di colore originale grigio, successivamente

ridipinti color sabbia, come

apparve sull’autoblinda SdKfz. 222. Era

in vista sulla parte anteriore di entrambi

i lati del veicolo.

2 - Questa versione apparve sul parafango

anteriore sinistro di un camion catturato

Chevrolet 3-ton, in servizio nella 21ª

Pz.Div. Il colore di fondo era probabilmente

un nero sbiadito.

3 - Questa versione più grande apparve su

un portello di camion che aveva un

fondo mimetico. Probabilmente fu

applicata utilizzando uno stampo, poiché

ha i bordi sfumati, tipici della vernice

data a spruzzo.

4 - Qui vediamo che il simbolo della palma

è stato abbinato al simbolo tattico dell’

artiglieria ed a quello della 15ª Pz.Div.

Questo apparve sul parafango anteriore

sinistro d’un veicolo da ricognizione

Kfz. 15 Horch.

5 - In questo caso il simbolo della palma è

stato verniciato in nero su un fondo

color sabbia. Apparve sul parafango

anteriore sinistro del Mammut “Moritz“

di Rommel.

6 - Questo esempio combinato palma-simbolo

divisione sembra essere stato

applicato utilizzando uno stampino

matrice, come dimostrerebbero le linee

verticali nelle foglie della palma. Fu

visto sui Pz. III della 15ª Pz.Div.

7 - Questo simbolo apparve sulla parte alta

della fiancata di un SdKfz. 251/3, poco

sopra il finestrino. Anche in questo caso

il colore di fondo era grigio.

5

Una palma di primo tipo

è ben visibile sulla fiancata

di questo veicolo Horch 901

della Luftwaffe.

6

7

222


1 Rommel e von dem

Borne percorrono la via

Balbia a bordo del

Mammut.

1

2 Un Panzer III in

perlustrazione.

3 Un Mark II Matilda

catturato ed ora usato dal

5° Panzer Regiment della

21ª Panzer Division.

È visibile la croce tedesca

applicata sulla copertura

dei cingoli.

Più tardi questo carro

fu ricatturato dalle forze

britanniche.

4 Un artigliere tedesco in

postazione contraerea

con MG34 binate.

2

5 Il problema più grande

nel deserto è quello

dell'acqua. Nella foto, un

punto di rifornimento in

Marmarica per autobotti:

condutture lunghe decine

di chilometri e otto

distributori portano

l'acqua per le truppe

italo-tedesche.

3 4

5

223


PANZERGRUPPE AFRIKA E AERONAUTICA (gennaio ‘42)

Comandante Panzergruppe Afrika: gen. Erwin Rommel

1

DAK

gen.

L. Crüwell

15ª Panzerdivision

(gen.

Gustav von Vaerst)

21ª Panzerdivision

(gen. Karl Böttcher)

fino al 30 gennaio, poi

gen. Georg von Bismarck

– 8° Panzerregiment

– 15ª brigata fucilieri

– 33° gruppo esplorante

– 33° rgm. artigl. motorizzato

– 33° gruppo Panzerjäger

– unità minori e servizi

– 5° Panzerregiment

– 8° btg. mitraglieri

– 3° gruppo esplorante

– 3° gruppo Panzerjäger

– unità minori e servizi

90ª div. leggera

(gen. Richard Veith) fino al 28 aprile, poi

gen. Ulrich Kleeman

gruppo Marcks

(col. Werner Marcks)

– 155° fucilieri (al gruppo Marcks)

– 361° rgm. fant. Afrika

– gruppo paracadutisti Burkhardt

– gruppo contraerei

– 155° fucilieri

– II/104° fanteria

– 605° gruppo Panzerjäger

– I/2° artiglieria celere (italiano) (magg. Pardi)

– batteria da 88/56

2

CAM

(corpo

di armata

di manovra)

gen.

Zingales

D. cor. Ariete

(gen. De Stefanis)

D. mot. Trieste

(gen. Azzi)

– 8° Bersaglieri

– 132° fanteria carrista

– 132° artiglieria

– unità minori

– 65° e 66° fanteria

– 9° bersaglieri

– 21° artiglieria

– unità minori

XXI C.A.

gen.

E. Navarinil

D.f. Sabratha

(gen. Soldarelli)

D.f. Trento

(gen. Gotti)

– 85° e 86° fanteria

– raggruppamento Giovani fascisti

– Battaglione San Marco

– 2 gruppi artiglieria di medio calibro

– unità minori

– 61° e 62° fanteria

– 7° bersaglieri

– 46° artiglieria

– unità minori

3

D.f. Pavia

(gen. Franceschini)

– 27° e 28° fanteria

– 3° artiglieria celere

– unità minori

X C.A.

gen.

B. Giodal

D.f. Brescia

(gen. Lombardi)

D.f. Bologna

(gen. Gloria)

– 19° e 20° fanteria

– 1° artiglieria celere

– unità minori

– 39° e 40° fanteria

– 205° artiglieria

– unità minori

5ª Squadra aerea (gen. Vittorio Marchesi)

4

Fliegerführer Afrika (gen. Stefan Froelich)

5 1 Per la mensa a volte ci si deve arrangiare.

2 Distribuzione di accessori di vestiario per

la truppa.

3 Sotto una improvvisa tempesta di sabbia.

4 Uno Stuka Ju 87B con mimetizzazione

Africa.

5 Questi soldati sono più fortunati: possono

mangiare attorno ad un comodo tavolo.

6 Il gen. Rommel dialoga con il

feldmaresciallo Kesselring.

248


TRUPPE BRITANNICHE PRESENTI NELLA CIRENAICA OCCIDENTALE

Comandante 8ª Armata: gen. N.M. Ritchie

13° corpo

d’armata

gen.

A. Reade

Godwin-Austen

(da Marsa el-Brega

a Tobruk)

1ª divisione corazzata

(gen. Frank W. Messervy)

4ª divisione indiana

(gen. Francis Tucker)

– 2ª brigata corazzata (gen. R. Briggs)

– 1 ° gruppo di sostegno (gen. C.M. Vallentin)

– 200ª Guards Brigate (gen. J.C.O. Marriott)

– reggimento Central India Horse

– 1° King’s Dragoon Guards

– 12° Lancieri

– 7ª brigata indiana (gen. H.R. Briggs)

– 5ª brigata indiana (gen. D. Russel)

– 11ª brigata indiana (gen. A. Anderson)

– 22ª brigata corazzata (gen. Scott-Cockburn)

Western Desert Air Force (vicemaresciallo dell’Aria Arthur Coningham)

6


MILITARIA DELLA II GUERRA MONDIALE

1

1 Casco, mostrine, spalline,

pugnale e gradi da

braccio dell’uniforme dei

reparti di Camicie Nere.

2 Casco, occhiali e

bustina dell’Afrika Korps.

3 Diario dell’Afrika Korps.

4 Tenute coloniali; da sinistra:

tedesca da truppa

con elmetto e berretto a

visiera; ufficiale della

Regia Aeronautica italiana

con casco, cinturone e

portamappa; da truppa

del III Reggimento

Bersaglieri con casco piumato,

cinturone e giberne.

2

3

4

250


5 Cuffia e occhiali da

pilota inglese.

6 Elmetto inglese MK2,

comunemente detto

“padella”.

7 Basco da carrista

britannico.

5

6

8 Fante britannico in

tenuta coloniale.

9 Ufficiale britannico.

10 Piper scozzese con

il caratteristico kilt e

cornamusa dei clan

scozzesi.

7

8 9 10

251


L’ARMAMENTO PESANTE BRITANNICO

Il carro di fanteria MKII Matilda, con ottima corazzatura

(78 mm frontale e 16 mm laterale), fu il miglior

carro inglese nei primi diciotto mesi di guerra. Ma per il

mediocre cannone da 40 mm e la bassa velocità (inoltre

si conoscevano ormai tutti i suoi punti deboli) si trovò

a non essere più competitivo con le nuove versioni dei

carri tedeschi; ciò spinse i Britannici a sostituirlo man

mano con i nuovi arrivi e scomparve del tutto nella battaglia

di el Alamein.

All’inizio del ‘42 erano presenti in Cirenaica: il

carro MKVI Crusader, dotato di buona corazzatura

(51 mm frontali), di un cannone di 40 mm, ma una velocità

doppia del Matilda; l’MKII Valentine, un carro

leggero incrociatore con un pezzo da 40 mm; l’MK 5

Stuart, di costruzione americana, 67 mm. di corazza

frontale, un cannone da 37 mm, e l’ottima velocità di

57 km/h, il più veloce del momento. Nel frattempo era

giunto il primo scaglione di un nuovo carro americano:

l’M3 Grant, che sparava speciali proietti ad alto esplosivo

e perforanti, con possibilità di tiro a distanza superiori

agli altri mezzi britannici. Nonostante alcuni difetti

(bassa velocità sul terreno marmarico, congegno di puntamento

delicato e torretta soggetta a bloccaggi), era al

momento il miglior carro usato dai Britannici, tant’è che

fu dato in dotazione ad ogni reggimento.

Per quanto riguarda i pezzi controcarro, il più diffuso

era ancora lo scarso cannone da 2 libbre (40 mm);

erano giunti comunque un centinaio di pezzi da 6 libbre

(57 mm) e un altro centinaio da 8 libbre, superiori

al 50 mm tedesco.

Era usato anche in funzione controcarri il pezzo da

campagna da 25 libbre; inizialmente, contro i carri

corazzati nemici, si fece affidamento solo sulla potenza

d’urto del proietto, ma in seguito si utilizzarono speciali

munizioni perforanti. Tutti questi cannoni erano

Ordnance, Q.F. (Quick Firing, cioè tiro rapido).

Carro armato M3 Grant Mk1

Peso: 27,24 t.

Equipaggio: 6 uomini

Armamento: 1 cannone da 75 mm in casamatta - 1 cannone

da 37 mm e 1 mitr. coassiale da 7,62 mm nella torretta

Corazza: max 50 mm - minimo 12 mm

Motore: Continental R-975-EC2 radiale a benzina, da 340HP

Velocità: 42 km/h su strada

Autonomia: 193 km su strada

Dimensioni: Lungh. m 5,64; Largh. m 2,72; Alt. m 3,12

Simile al carro Lee

americano eccetto per la

torretta, modificata per

far posto alla radio, e

un’altra cupola con

mitragliatrice eliminata.

266


CARTOLINE ITALIANE

Cartoline coloniali:

1 VIII compagnia indigeni

2 I reggimento artiglieria coloniale

3 II gruppo Sahariano Tripolitani

1

2

3

Gli anni di guerra:

4 Esercito imbattibile

5 Soldato italiano e tedesco tolgono dente a Jophn Bull

6 Soldato italiano che respinge un’orda britannica

4 5 6

7 8 9 10

Cartolina dedicata ai paracadutisti (7) alla marina dal guerra (8) all’aeronautica (9) e che induce al silenzio (10).

267



I

Indice del volume

4

6

Prefazione

La corsa alle colonie d’Africa delle nazioni europee

8

18

22

28

39

Antefatto

Gli uomini

La situazione politica in Italia e in Europa

Breve storia della colonia Libia

La Libia allo scoppio della guerra

Principali città e villaggi della Libia

Italo Balbo governatore della Libia

40

44

47

48

Capitolo 1

Il territorio conteso

Allo scoppio della guerra sia italiani che inglesi considerano importante il

possesso della penisola cirenaica.

Egitto Inglese

Gli Italiani in Egitto

Le armi leggere italiane

50

63

64

65

66

Capitolo 2

Gli uomini

Si muove Graziani

In un incidente aereo muore Italo Balbo. Mussolini invia Graziani in Libia

come nuovo governatore, col compito di preparare l’offensiva contro l’Egitto.

Carro leggero L3

Graziani l’Africano

Il soldato italiano sul fronte cirenaico

Mitragliatori e mortai italiani

68

72

76

80

Capitolo 3

Gli Inglesi attaccano

Alla fine del 1940 i britannici cominciano il contrattacco che in pochi mesi

termina con la conquista della Cirenaica

Le autoblindo britanniche

L’ultima missione del San Giorgio

Le armi leggere britanniche

82

88

93

102

103

Capitolo 4

Gli uomini

Arriva Rommel

Vista la difficile situazione Mussolini è costretto a chiedere l’intervento

tedesco in Libia. Hitler invia immediatamente il gen. Rommel e l’Afrika Korps.

Rommel, la volpe del deserto

Alto Comando italiano, tedesco, britannico

I carri armati italiani

Panzer Kw III

269


104

105

Carro leggero “Vichers MK VI”

Carro pesante di fanteria “Matilda”

106

110

117

119

Capitolo 5

Guerra nelle oasi

Britannici e francesi attaccano le oasi libiche occupate dagli italiani. E nasce

la sagra di Giarabub.

Giarabub

Il Long Range Desert Group

Le armi leggere tedesche

122

129

143

144

145

Capitolo 6

L’Asse avanza

Rommel mette in atto la sua blitzkrieg (guerra-lampo) africana e in

una settimana riconquista quasi tutta la Cirenaica.

Dal diario di Rommel

Un’ispezione a Rommel

Il mitra tedesco: MP40

Il mitra inglese: Sten SMG

146

Capitolo 7

Operazione Brevity

Solo Tobruk resiste agli assalti dell’Asse. I Britannici mettono in atto un

primo piano per tentare di liberarla dall’assedio.

154

158

159

160

168

169

Capitolo 8

Battleaxe

I Britannici avviano un nuovo ben più poderoso piano per liberare Tobruk.

Avanzano ben 13 divisioni di cui 2 corazzate.

Una sfida di carri

Western Desert Airforce (WDAF)

Il Mammut di Rommel

Le mitragliatrici tedesche

Le mitragliatrici britanniche

170

173

173

178

179

Capitolo 9

Gli Uomini

Gli Uomini

Pausa operativa

Dopo l’insuccesso di Battleaxe i Britannici optano per una pausa

operativa, per riordinare le idee e far giungere nuovi rinforzi

e armamenti.

Gen. Ettore Bastico

Gen. Claude John Eyre Auchinlek

Sogno di una notte d’estate

I cannoni

180

187

Capitolo 10

I preparativi

Churchill morde il freno e spinge Auchinleck ad avviare un nuovo attacco.

Intanto giungono in Egitto centinaia di carri armati, cannoni e aerei.

Medagliere dell’Asse

270


187

192

195

Vari stili del simbolo Balkenkreuz usato dal DAK

Enigma, una strana macchina per scrivere

Obiettivo: Rommel!

198

212

213

Capitolo 11

Operazione Crusader

Parte un nuovo massiccio attacco britannico in combinata: dalla frontiera

egiziana e dalla cerchia di Tobruk.

Mitragliatrici pesanti, granate e bombe britanniche

Mine e bombe tedesche

214

Capitolo 12

Der Totensonntag

Rommel decide di contrattaccare il nemico e dà il via ad una tremenda

battaglia tra carri armati, con forti perdite di entrambi i contendenti.

218

222

Capitolo 13

La corsa di Rommel

Rommel insegue le truppe britanniche in ritirata e di slancio supera anche il

confine egiziano, ma…

Vari stili del simbolo della Palma usato dal DAK

226

233

Capitolo 14

Indietro a Tobruk

Le perdite notevoli e una nuova avanzata dei Britannici a nord fanno

ritenere a Rommel più prudente ritornare a Tobruk.

La guerra sul mare

238

Capitolo 15

L’abbandono della Cirenaica

Mentre i Britannici sostituiscono costantemente il materiale perso, le forze

dell’Asse possono al massimo recuperare quantopossibile dai campi di

battaglia. La situazione, comunque, si fa difficile per Rommel.

245

250

250

251

Capitolo 16 La situazione all’inizio del 1942

Dopo la ritirata in Tripolitania le truppe dell’Asse si riorganizzano e si

rinforzano. Della pausa ne approfittano anche i Britannici.

Militaria della II Guerra Mondiale

Le uniformi italiane e tedesche

Le uniformi britanniche

252

258

259

262

266

267

Capitolo 17

Ritorno a Bengasi

Per i Britannici è un sorpresa: Rommel attacca! E riprende la corsa dell’Asse

in Cirenaica.

Una riunione in prima linea

L’armamento pesante tedesco

L’armamento pesante italiano

L’armamento pesante britannico

Cartoline italiane

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