PORTAVOCE DI SAN LEOPOLDO MANDIC - maggio 2020
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IL SACRO TELO E IL CORPO
alcune punte conficcate a forza.
Non sembra trattarsi di una specie
di casco che avvolgeva tutto il cranio,
come a volte si dice, ma di una
corona. Una ferita facilmente riconoscibile
nel telo sindonico, quella
che ha prodotto un rivolo di sangue
a forma di 3, proprio al centro della
fronte, si trova nella stessa posizione
della spina sul capo di santa Rita
da Cascia.
Racconta l’evangelista Marco che
i soldati romani vestirono Gesù con
un telo «di porpora, intrecciarono
una corona di spine e gliela misero
attorno al capo. Poi presero a salutarlo:
“Salve, re dei Giudei!”» (Mc
15,17-18). Quei soldati mettono in
scena una perfetta parodia di un
corteo regale che omaggia il sovrano,
del tutto ignari di quanto fossero
vicini alla verità!
Sul corpo sono evidenti i segni
della tortura. Il computo dei colpi
è parziale, perché la Sindone non
restituisce l’immagine dei fianchi
dell’uomo. Sulla parte anteriore, si
possono contare più di sessanta
colpi di un flagello con tre corde e
sei piccoli corpi sferici contundenti;
sulla schiena, più di cento colpi con
uno strumento diverso, costituito
da due cordicelle e quattro sfere.
Secondo il giudizio degli storici, generalmente
i romani usavano fruste
costituite da cinghie di pelle provviste
di pezzi di osso, di piombo o di
aculei. Il reo era fustigato una volta
pronunciata la condanna capitale
(cf. Mc 15,15 e Mt 27,26, mentre Gv
19,1 accenna alla fustigazione durante
il corso del processo romano).
Occasionalmente, la flagellazione
avveniva anche quando il condannato
portava la croce o la sola traversa
verso il luogo dell’esecuzione.
Per quanto riguarda l’uso dei
chiodi, è necessario specificare che
– contrariamente a quanto si crede
– in genere i romani usavano corde
per appendere alla croce i condannati,
sia perché i chiodi non erano
necessari per sostenere il peso del
corpo sia per velocizzare le operazioni,
dal momento che le esecuzioni
capitali potevano essere multiple.
In alcune occasioni, tuttavia, erano
utilizzati i chiodi – come è testimoniato
per Gesù e come è confermato
da alcune evidenze archeologiche
– allo scopo di infierire maggiormente
nei confronti del reo, aggiungendo
dolore a dolore.
Esaminando da vicino la Sindone,
lo scultore Rodella avanza l’ipotesi,
suffragata anche da prove
sperimentali, che i chiodi usati per
le mani dell’Uomo della Sindone
non passassero attraverso il polso,
ma tra il terzo e il quarto osso metacarpale,
esattamente al centro del
palmo, mentre il foro di entrata e
di uscita attraverso l’astragalo (l’osso
della caviglia) presuppone che il
piede appoggiasse su un cuneo (in
latino, suppedaneum), che aveva lo
scopo di sostenere il corpo del condannato
che, posto in posizione verticale,
si sentiva schiacciato verso il
basso dal suo stesso peso.
Non si deve però pensare che il
sostegno sotto il piede fosse un gesto
di attenzione nei confronti del
crocifisso: piuttosto era un modo
per prolungare l’agonia del condannato
che, lentamente, moriva tra
atroci dolori per asfissia. Ed ecco
un’altra sorprendente coincidenza,
se così si può chiamare: la posizione
del foro del chiodo sulla mano
destra dell’Uomo della Sindone
coincide perfettamente con quello
di padre Pio.
Uno dei misteri più inquietanti
dell’immagine sindonica è il fatto
che il braccio destro sembra innaturalmente
più lungo di quello sinistro.
Dall’analisi fatta dallo scultore,
si riesce a intuire che il telo doveva
essere completamente aderente al
corpo deposto nel sepolcro, grazie
forse ad alcuni oli o balsami con
cui il corpo era stato cosparso (come
scrive Gv 19,39-40), mentre una
fascia mentoniera teneva chiusa la
mandibola, sollevando leggermente
due ciocche di capelli ai lati del viso,
e altre fasce tenevano le braccia e le
gambe in posizione.
Così, una volta che il telo viene
aperto completamente, l’immagine
del corpo sottostante viene leg-
14 | PORTAVOCE | MAGGIO-GIUGNO 2020