Burri e Pistoia

the Teatrino di Amendola. In the end they agreed that the ideal solution
was to install the work in the place where it can still be seen today.
Burri donated it to the province and municipality of Pistoia, owners of
the land.
“On Burri’s insistence the sculpture is an integral part of the collection.
Giuliano Gori met all the expenses of its realization and still takes care of its
maintenance today, with great dedication and tenacity. It was this aspect that
took me to Celle for the first time. The occasion was the consultation about how
to restore the work, necessary after the passage of a tornado that had broken
off some parts. Thus I had the pleasure and the honor of meeting Gori, another
gift from Burri.”
CS: You have always preferred to photograph sculpture, but for Burri, you
were happy to work on his pictures too!
AA: When I photographed the “Cellotexes,” I was able to bring out
the characteristics of the material, which is what Burri wanted. You’re
right, I’ve always preferred sculptures to paintings. I’ve never been enthusiastic
about photographing pictures painted in the traditional way,
but with Burri it was different, because even in his painted works, the
material is preponderant.
CS: I remember accompanying you to the ex-Seccatoi, the former drying sheds,
for photograph his black works, the Neri, and how many times you had to go
back because Burri was never satisfied with the result!
AA: Yes, it was a very singular affair, but one that ended well. Burri stood
alongside the picture and told me: “This is how it has to come out!”
It was difficult to arrange the spotlights in a way that did not penalize
the variations in the shades of black that he wanted to obtain. Today it
would be easier with digital photography, although I have never given
up using film and plates. After various attempts Burri, convinced that it
wasn’t possible to do any better, told me he had understood how hard it
ho mai abbandonato pellicole e lastre. Dopo vari tentativi il Maestro,
convinto che meglio non si potesse fare, mi disse che aveva capito la
difficoltà e che si sarebbe accontentato. Non potevo accettarlo e alla
fine, con varie peripezie, consegnai il lavoro come doveva essere.
Fu davvero un’impresa! Non mi trovai in difficoltà, piuttosto divenne
una sfida fra noi, uno stimolo a fare di più e meglio.
CS: Qual è il bene più prezioso che hai ricevuto da questo rapporto?
AA: Quando nella vita incontri dei “grandi”, anche tu in qualche modo
lo diventi, non per la notorietà che è un aspetto importante anche se
secondario, ma per la crescita professionale: il Maestro mi ha insegnato
il rigore, soprattutto nelle scelte di lavoro. Quando mi prospettano un
incarico… come dire… commerciale, penso: “Burri lo avrebbe accettato?”
e rinuncio. Un altro artista dal quale ho imparato quest’aspetto,
fondamentale in una carriera se la si vuole definire dignitosa, è stato
Marino che la pensava allo stesso modo. Accettavano di fare esposizioni
solo se ritenevano che lo spazio fosse adeguato e di prestigio: fare
dieci mostre all’anno non era essenziale, meglio una sola ma ben bene.
Preferivano regalare le loro opere a collezionisti appassionati piuttosto
che venderle per realizzare cifre cospicue.
CS: Avvertivi la differenza di spessore di Burri e Marino rispetto ad altri
artisti con i quali hai lavorato?
AA: Certo, non posso negare che ambedue avessero una marcia in più
rispetto a tanti altri.
Al di là di questo, ho lavorato bene più o meno con tutti e con la maggior
parte ho stabilito anche rapporti amicali, anche se non paragonabili
a quello con Burri. Solo con Ceroli è avvenuto qualcosa di simile. Molti
contatti si sono verificati perché ero il fotografo di Burri. Tra questi
Kounellis [Jannis], grande ammiratore del Maestro che, poco dopo la
sua morte, mi disse: “Ci manca molto! Per noi era un faro”.
CS: So che sei di ritorno da Gibellina, dove sei stato per documentare il “Gran-
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