Burri e Pistoia

“Maestro sono Amendola, non so se si ricorda di me… sa, ci siamo incontrati
a Roma, circa tre mesi fa con Pericle Fazzini”. E Burri: “Certo
che mi ricordo, venga pure a trovarmi, ma senza macchina fotografica”.
Pensai: “… e si comincia bene!”
Senza la mia Hasselblad, e con la convinzione di far poco più che una
gita, partii con mia moglie Lella, alla volta di Città di Castello. L’artista
era in compagnia di Nemo Sarteanesi, tuo padre, che in seguito ebbi
modo di conoscere e apprezzare. Da allora, infatti, in ogni occasione
d’incontro con Burri, trovavo sempre anche lui. Poi seppi che si frequentavano
da ragazzi e che li legava una stima profonda.
Anche se due miei amici artisti pistoiesi, Barni e Ruffi, mi avevano
detto che Burri era il più bravo di tutti, un grande e importante artista,
non ero pienamente consapevole di questa realtà. Mi avvicinai a lui con
un po’ di timidezza, neanche tanta a dire il vero, e non con il reverente
timore che l’occasione avrebbe richiesto. Avevo già fotografato Pisano
e Marini e mi sentivo abbastanza sicuro.
CS: Conoscendo bene Burri, immagino che ti abbia sottoposto a una sorta di
esame per capire se eri all’altezza della situazione.
Alberto Burri, Case Nove di
Morra, 1977
AA: Certamente, fui sottoposto come dici tu, a un esamino! Voleva sapere,
nei minimi dettagli, quali apparecchi fotografici usassi; se lavorassi
da solo o con degli assistenti.
Sarteanesi, nel frattempo, guardava con interesse i libri su Marini e Pisano
che avevo portato e notai degli sguardi di approvazione che Burri
colse al volo: era un lavoro di squadra fra di loro!
Alla fine l’artista dettò le sue condizioni e m’invitò ad andare nel
suo studio di Case Nove, per fotografarlo durante la creazione di una
“Combustione”. Con la macchina fotografica sì, ma senza assistente.
Non conoscevo il suo lavoro e a cosa si riferisse con quella definizione:
“combustione”. Fino a quel momento, mi ero occupato di scultori
e pittori che operavano con mezzi tradizionalmente riferibili a queste
due discipline e non potevo immaginare cosa mi aspettasse.
A Case Nove mi fermai, su decisione dell’artista, cinque o sei giordisciplines
and had no idea what to expect.
I stayed at Case Nove, at the artist’s insistence,
for five or six days. I met some of
Burri’s other friends, people he had known
all his life: Beppe Volpi who was in charge
of the cooking, Roberto Mancini factotum
and Jack the Spark [Giacomo Di Sabbatino,
called “Jack scintilla” for his ability to find
brilliant solutions to all sorts of problems,
editor’s note].
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