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1910-2010. Un secolo d'arte a Pistoia

Opere dalla collezione della fondazione della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia

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Daniel Buren<br />

Boulogne-Billancourt, Parigi, 1938; vive a Parigi<br />

Ha studiato a Parigi. Lavora sempre, come dice, “in situ”, cioè secondo situazioni<br />

e luoghi diversi, in rapporto alla sua intenzionalità rivolta all’analisi critica delle<br />

strutture della società (quelle soprattutto coinvolte nel sistema borghese dell’arte,<br />

secondo il suo intento di carattere socio-politico). Ha ridotto la sua tecnica<br />

artistica a un minimalismo assoluto, tendendo ad interventi “anonimi” (e comunque<br />

riconoscibilissimi, righe verticali parallele, in bianco e un colore su stoffa da<br />

tende, tecnica che ha esteso anche ai suoi lavori a parete, interni ed esterni, come<br />

nella Biennale del 1986). Dal 1980 lavora realizzando installazioni architettoniche<br />

permanenti in spazi pubblici perché per lui l’architettura vuol dire “contesto<br />

sociale, politico, economico” ed è supporto di qualsiasi opera, che ne qualifica o<br />

ne accentua le qualità (<strong>Un</strong>a ragnatela, Samanedizioni, Genova 1975). Per citarne<br />

qualcuna, ad esempio, in una piazza di Lione, appesantita da una grande fontana<br />

di carattere tardo-barocco, ha creato un ambiente vitale e attuale, spartendo in<br />

quadrati la piazza, facendo uscire dal centro di ogni quadrato uno zampillo che di<br />

notte si illumina e si colora, disponendo le sue “righe” lungo le pareti degli edifici,<br />

modificando la qualità architettonica del luogo, trasformandolo in una zona di<br />

sosta, di gioco per bambini e animali, percorso, comunque, come luogo pubblico.<br />

Ha anche realizzato l’installazione Les deux plateaux presso il Palais Royal a Parigi.<br />

Ha sempre cercato di rivelare i rapporti tra l’opera d’arte e l’ambiente, dal museo,<br />

alla galleria, alla città. “L’opera, l’oggetto artistico” ha scritto “non esiste e non<br />

può esser vista in funzione del Museo/Galleria che la contiene, Museo/Galleria<br />

in vista dei quali è stata fatta e alla quale tuttavia non si presta nessuna attenzione<br />

particolare […] Fuori di questo contesto, preteso neutro perché non ci si pensa,<br />

(contesto) fuori tempo, fuori limiti, sia pure considerato puro e neutro (l’oggetto<br />

d’arte) si affossa” (Limites critiques, Parigi 1970). Nel ’71 realizzava perciò una delle<br />

sue più straordinarie installazioni nel Museo Guggenhein, a New York, spaccandone<br />

praticamente lo spazio architettonico, tagliandolo, verticalmente, con<br />

una sua enorme tela a righe verticali, una sorta di grande vessillo inteso a gridare<br />

la sua idea di libertà. “Solo la conoscenza di questi quadri/limiti successivi e la<br />

loro importanza può permettere all’opera/prodotto, così come noi la conosciamo,<br />

di porsi in rapporto con questi limiti, e di seguito, svelarli”. “L’arte” aggiungeva<br />

“qualunque cosa sia, è esclusivamente politica, Si impone dunque l’ analisi dei<br />

diritti formali e culturali (e non l’ uno o l’ altro) all’interno dei quali l’arte esiste e<br />

si agita. Questi limiti sono molteplici e di intensità diverse. Benché l’ideologia sia<br />

dominante e gli artisti uniti insieme tentino in ogni modo di camuffarli, e benché<br />

sia troppo presto per farli saltare – non concordando le condizioni, è giunto il<br />

momento di svelarli... <strong>Un</strong>a galleria non è solo sala espositiva, ma luogo di contrattazione<br />

economica” (<strong>Un</strong>a ragnatela, cit).<br />

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