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1910-2010. Un secolo d'arte a Pistoia

Opere dalla collezione della fondazione della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia

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Agenore Fabbri<br />

Barba, <strong>Pistoia</strong>, 1911 – Savona, 1998<br />

Già dimostrava, da giovanissimo, la sua chiara propensione verso la scultura; è infatti<br />

del ’29 il suo bel Ritratto della madre, in terracotta; partecipava, con gli altri artisti<br />

pistoiesi, alle mostre regionali e provinciali. Nel ’32 era ad Albissola, sede privilegiata<br />

per il lavoro ceramico e frequentata da tanti artisti, e dove nel ’54 Jorn, del<br />

Gruppo Cobra, avrebbe organizzato gli “Incontri Internazionali della Ceramica”,<br />

a cui partecipavano Fontana, Baj, Dangelo, Scanavino, Appel, Corneille, Matta,<br />

Koenig, Pinot Gallizio... Fabbri lavorava in un piccolo laboratorio La Fiamma, ma<br />

già si avvicinava al gruppo di artisti che si ritrovavano ad Albissola, che continuò<br />

a frequentare anche quando, dal ’45, si trasferiva definitivamente a Milano. Dava<br />

inizio allora alle sue sculture il cui tema era la lotta tra uomo e animale. Presente<br />

alla Biennale veneziana dal ’48, alla Quadriennale di Roma dal ’52, consegnava<br />

direttamente e prepotentemente la sua presenza nell’ambito della nuova scultura<br />

italiana della metà del Novecento. Da un naturalismo luministico legato al Novecento<br />

italiano passerà a una sua interpretazione della scultura, dapprima ancora<br />

figurativa, ma già espressione di un’energia ostinata, di una “tragicità allucinata”.<br />

“Per quanto torturata” scriveva Dieter Ronte (1997) “la figura umana vista da<br />

Fabbri rimane stabile, eretta, orgogliosa, lineare, si impone, quasi a contrasto con<br />

la condizione che esprime, secondo moduli plastici, di volumi di impostazione,<br />

che suggeriscono un distacco, un allontanamento”. La collocazione di alcune sue<br />

sculture, singole o a coppie, su sedie altissime, filiformi, fuori scala, ne accentua<br />

l’ambigua, improbabile condizione: “E se l’insistita operazione di stravolgimento<br />

a cui tutte le opere di Fabbri sono sottoposte” prosegue Ronte “è il segno di<br />

una volontà di distruzione della forma, di ‘abolizione della materia con cui l’atto<br />

drammatico vorrebbe esprimersi allo stato puro’, ciò significa non solo che lo<br />

scultore, per analogia, compie tale operazione di<br />

stravolgimento per rappresentare una condizione<br />

appunto stravolta, di umanità tradita, ferita nella<br />

coscienza attraverso la ferita visibile inflitta al<br />

corpo”. Dal ’57 Fabbri utilizza il bronzo e volge<br />

verso uno stravolgimento dinamico del figurativo,<br />

realizzando lavori in chiave con quelli europei<br />

contemporanei (Butler, Chadwick...), che<br />

sembrano prefigurare un’umanità trasformata in<br />

macchina distruttiva, in un mondo già in via di<br />

estinzione. Dedito dal 1982 anche alla pittura, vi<br />

esprime con la materia e il colore la forza della sua<br />

drammaticità.<br />

Cenni bibliografici<br />

M. Valsecchi, Sei artisti milanesi 1960-1965, cat.<br />

mostra di Bruno Cassinari, Agenore Fabbri,<br />

Toni Fabris, Franco Francese, Umberto<br />

Milani, Ennio Morlotti, Verona 1966.<br />

M. de Micheli, G. Gassiot Talabot, Fabbri,<br />

Milano 1972.<br />

Agenore Fabbri, cat. mostra a Palazzo Reale,<br />

Milano, 1975.<br />

R. Sanesi, D. Ronte, Agenore Fabbri, Opere<br />

1929-1995. Acquisizione, Collezione 1, a cura<br />

di C. d’Afflitto, <strong>Pistoia</strong> Palazzo Fabroni,<br />

Poggibonsi 1997.<br />

G. Damiani, La scuola Pistoiese tra le due guerre,<br />

Firenze 2000, pp. 148-149.<br />

G. Uzzani, M. De Micheli, C. Cappellini,<br />

Agenore Fabbri. Il mito di Orfeo, <strong>Pistoia</strong> <strong>2010.</strong><br />

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