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1910-2010. Un secolo d'arte a Pistoia

Opere dalla collezione della fondazione della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia

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Marino Marini<br />

<strong>Pistoia</strong>, 1901 – Forte dei Marmi, 1980<br />

Da sempre legato alla sua città, dove partecipava, ai suoi inizi, a tutte le manifestazioni<br />

espositive promosse dal Sindacato Fascista di Belle Arti assieme ai<br />

giovani artisti pistoiesi, e dove tornava spesso, anche quando viveva a Milano,<br />

anche perché a <strong>Pistoia</strong> viveva la sorella gemella, Egle, che lo aveva sempre seguito<br />

condividendo con lui il periodo della sua formazione, e che a <strong>Pistoia</strong> portava<br />

avanti il proprio lavoro artistico, in una sua schiva autonomia. Marini aveva<br />

studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, allievo, tra gli altri, di Trentacoste<br />

e di Galileo Chini. Si dedicava, inizialmente, alla pittura e al disegno,<br />

seguendo, in questo, le idee di Costetti, relative all’uso del colore nel quale,<br />

come dichiarava Costetti, è “l’inizio di ogni idea”. Dagli anni Trenta affrontava<br />

anche la scultura.<br />

Frattanto era stato a Parigi, dove aveva incontrato la maggior parte degli artisti<br />

più noti, dagli italiani De Chirico, De Pisis, Magnelli, a Picasso, Kandinskij, Braque,<br />

e aveva visto la scultura di Rodin e di Medardo Rosso. Nello stesso periodo,<br />

dal ’29 al ’40, succedeva, presso la Scuola d’Arte di Monza, nella cattedra di Arturo<br />

Martini. Durante la seconda guerra mondiale visse nel Canton Ticino, dove<br />

conobbe Giacometti e dove affrontò l’attività di incisore che continuerà, con risultati<br />

straordinari, per tutta la vita. Dopo la guerra si trasferiva definitivamente<br />

a Milano. Ha portato avanti, con straordinaria creatività e con uno spirito innovativo,<br />

il suo lavoro di scultore. Non ha mai seguito infatti le linee del “Novecento<br />

italiano” e dei “Valori plastici”, allora dominanti, rivolti a proporre una posizione<br />

di “centralità nazionale”, secondo i canoni di Margherita Sarfatti e del Regime,<br />

che intendevano imprimere anche al gruppo pistoiese una forte impronta politica.<br />

Marino si volgeva invece verso una ricerca di plastica pura, rifacendosi anche<br />

a certi moduli astratteggianti dell’arte egizia e di quella etrusca, in termini di una<br />

rinnovata intenzionalità formale, tesa ad una nuova formatività scultorea che non<br />

rifiuta il naturalismo a tutto tondo, di forte impianto architettonico. Scriveva nel<br />

1992 Danilo Eccher: “L’arcaismo sottile di Marino Marini affonda [...] le proprie<br />

radici da un lato sull’opulenta visionarietà etrusca e dall’ altro lato in un sobrio e<br />

quasi barbarico medievalismo compositivo”. Si pensi alle sue magnifiche, esuberanti<br />

Pomone, bloccate e monumentali, ai suoi Giocolieri, così agili in scultura, così<br />

vivi e ricchi di colore in pittura, ai suoi straordinari ritratti, di una rara e preziosa<br />

intensità psicologica, tra le realizzazioni più importanti, sul tema, nell’ ambito<br />

della scultura contemporanea, che si ispirano, pur nella loro assoluta autonomia,<br />

alla scultura del Rinascimento e a quella romana, e che superano il riferimento<br />

realistico al soggetto per evidenziarne la personalità più segreta. “<strong>Un</strong>isono a<br />

una somiglianza spesso angosciante anche un alto livello di transvisualizzazio-<br />

ne spirituale” (Erich Steingräber 1992). Si ricordino anche le sue tante versioni<br />

di cavaliere e cavallo, uniti spesso in una sola, dinamica, ambigua, drammatica<br />

creatura. Pensiamo allo straordinario Miracolo del ’43, che apre il suo periodo<br />

definito “gotico”, nel quale il blocco si apre come per una esplosione interna, in<br />

gestualità scattanti, in uno slancio violento, trasformando il gruppo equestre in<br />

una dinamica, simbolica, disperata esistenzialità. “Il cavaliere rappresenta per lui<br />

una figura tragica. Lo vede come simbolo del dramma umano. Balza immediatamente<br />

all’occhio la relazione che intercorre tra i cavalieri di Marini e la desolata<br />

situazione esistenziale del dopoguerra”. “Le mie figure di cavaliere” dichiarava<br />

lo stesso Marini “sono simboli dell’affanno che mi prende quando guardo la<br />

mia epoca. I miei cavalli diventano sempre più inquieti; i cavalieri sempre più<br />

incapaci di controllarli. La catastrofe che schiaccia uomo e animale assomiglia<br />

a quelle che distrussero Pompei e Sodoma”. Su questa via Marino arriverà alla<br />

totale scarnificazione della forma. Per quanto riguarda la pittura, il disegno e la<br />

grafica cito ancora una frase di Marino: “Per me il dipingere è innato, un’esigenza<br />

originaria e potente che mi spinge a cercare il colore. Non c’è scultura che non<br />

sia passata attraverso questa esperienza”. Ma pittura, scultura, grafica, non sono<br />

per lui solo le premesse della scultura; rappresentano momenti essenziali del suo<br />

fare: anche se i temi sono gli stessi, sia in pittura,<br />

che nel disegno e nella grafica, spesso egli travalica<br />

il “figurale” per arrivare a sintesi formali<br />

praticamente (o apparentemente) astratte, che<br />

tendono a rendere più drammatici i temi inquietanti<br />

trattati in scultura. Bisognerà dire che,<br />

per il disegno e la grafica, egli viene da una città<br />

che nel 1913 aveva dato vita alla Mostra del<br />

Bianco e Nero, che avrà peso e risonanza per gli<br />

artisti pistoiesi per tutto il Novecento. “Il disegno”<br />

scrive ancora Erich Steingräber “incarna<br />

l’ aspetto più originario e geniale dell’atto creativo,<br />

la prima traduzione della visione e l’idea<br />

o il concetto, come venne chiamato l’atto creativo<br />

a partire dal Rinascimento”. I disegni e le<br />

grafiche di Marino (anche se restano disegni e<br />

grafiche di scultore), tendono sempre più, dal<br />

secondo dopoguerra, ad una “riduttività” verso<br />

forme elementari, ma violentemente spezzate e<br />

sempre più tese, espressione della sempre più<br />

minacciata distruzione del mondo occidentale.<br />

Cenni bibliografici<br />

U. Apollonio, Marino Marini scultore, Milano<br />

1953.<br />

Marino Marini. L’opera completa, Milano 1970.<br />

C. Pirovano, Marino Marini scultore, Milano<br />

1972.<br />

Marino Marini, cat. Centro di Documentazione<br />

dell’opera, a cura di Giorgio e Guido Guastalla,<br />

<strong>Pistoia</strong> 1979.<br />

Marino pittore, cat. mostra a cura di M. De<br />

Micheli e C. Pirovano, Milano 1987.<br />

M. De Micheli, Marino Marini, <strong>Pistoia</strong> 1990.<br />

Il Museo Marino Marini di Firenze, cat. mostra a<br />

cura di C. Pirovano, Milano 1990.<br />

Marino Marini, a cura di D. Eccher, Galleria Civica<br />

di Arte contemporanea, Trento 1992.<br />

E. Steingräber, Marino Marini, in Marino<br />

Marini, a cura di D. Eccher, Galleria Civica di<br />

Arte contemporanea, Trento 1992.<br />

L.-V. Masini, Arte contemporanea, Firenze 1996.<br />

Marino Marini. Catalogo ragionato della scultura,<br />

saggio introduttivo di G. Carandente, Milano<br />

1998.<br />

M. Bazzini, M.T. Tosi, Marino Marini, la forma<br />

del colore, <strong>Pistoia</strong> 2001.<br />

E. Steingräber, M. Bazzini, Marino Marini e il<br />

ritratto, <strong>Pistoia</strong> 2004.<br />

M.T. Tosi, V. Gaiffi,Marino Marini e il nudo,<br />

<strong>Pistoia</strong> 2005.<br />

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