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Palazzo de'Rossi. Una storia pistoiese

a cura di Roberto Cadonici fotografie di Aurelio Amendola

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doverosa, che oltre a proporre un’altra prova di Marino (fig. 33) e una di Caligiani 67 consentono<br />

di spaziare sugli altri protagonisti del periodo, a partire da Umberto Mariotti per finire con<br />

i capannoni della Breda di Francesco Melani. Lungo questo breve viaggio abbiamo modo<br />

di incontrare Egle Marini, la gemella di Marino, in doppia versione: come autrice e come<br />

soggetto, nel bel ritratto che le fece il marito Alberto Giuntoli. Lo sguardo può soffermarsi<br />

poi su opere di Giulio Pierucci, Antonio Guidotti, Silvio Pucci e Silvano Palandri (a parte<br />

quest’ultimo, leggermente più giovane, tutti tra i ventisei protagonisti della celebrata Mostra<br />

Provinciale del 1928), mentre giganteggia sullo sfondo la luminosa Madonna del grano eseguita<br />

da Luigi Mazzei nel 1934.<br />

Il corridoio di destra, nella logica del percorso, si percorre all’uscita dall’ultima sala, quella<br />

dedicata al secondo Novecento 68 . Si tratta dell’ambiente più spazioso, e quindi è stato possibile<br />

raggruppare un numero abbastanza importante di lavori. Nel costruire la selezione di<br />

opere ospitata in questa sala e nelle precedenti, dovendo fare i conti con gli spazi, si è fatto<br />

ricorso al criterio di rappresentare ciascun autore con un solo pezzo; criterio che naturalmente<br />

registra le sue brave eccezioni 69 . Quella più vistosa, assieme alla serie futurista di Mario<br />

Nannini, è riservata al lavoro di Fernando Melani, cui viene dedicata un’intera parete. Si tratta<br />

di un gruppo di nove opere, tutte risalenti alla seconda metà degli anni ’50 e stilisticamente<br />

abbastanza omogenee, che rappresentano solo una parte di quanto acquisito in questi anni<br />

per la collezione. La scelta ha diverse motivazioni, a partire dalla qualità del lavoro e dal riconoscimento<br />

doveroso nei confronti di un personaggio sicuramente singolare, tanto isolato e<br />

reciso nelle convinzioni quanto attrattivo e fecondo al di là delle apparenze. La motivazione<br />

di fondo, tuttavia, è legata al suo ruolo di rottura e di cerniera al tempo stesso, appartenendo<br />

anagraficamente alla generazione primo-novecentesca, ma risultando proiettato del tutto in<br />

avanti, tanto da risultare il punto di riferimento per molta parte delle generazioni successive 70 .<br />

La composizione del resto della sala è assai eterogenea, dovendo rappresentare un periodo particolarmente<br />

complesso e variegato. Estremizzando si potrebbe dire che le uniche opere tra loro<br />

contigue sono quelle della seconda “scuola di Pistoia”, vale a dire il periodo legato alla Pop Art e<br />

ai nomi di Barni, Buscioni, Ruffi e Natalini, ciascuno rappresentato qui da un’opera significativa.<br />

Ci sono i Chiodi per Ruffi, una Fiat Cinquecento per Barni, camicia e cravatta di Buscioni e il<br />

Satchmo di Natalini: opera che nel 2013 prese il volo per l’Olanda, per l’esposizione Pop Art in<br />

Western Europe che si tenne nel museo di Nijmegen.<br />

Per il resto si spazia tra l’astrattismo di Nativi e l’espressionismo sarcastico di Iacomelli e<br />

Salvi; si incontrano la leggerezza soffusa di Landini e l’umanità dolente di Agenore Fabbri; la<br />

reinvenzione del collage in Gordigiani e la bianca delicatezza di Aldo Frosini; il dramma esistenziale<br />

di Nigro e l’ironico tabernacolo di Chiavacci; l’elegante postimpressionismo fuori<br />

stagione di Cammilli e il campionario in miniatura di Iorio Vivarelli.<br />

Per chi non si accontenta di una mescolanza di espressioni così disparata, rimane ancora la<br />

possibilità di imboccare il corridoio per tornare indietro verso l’uscita. Ne troverà di ulteriori:<br />

paesaggi realistici, memoriali, metafisici, d’impressione e perfino semi-naïf, introdotti da<br />

una Mappa di Franco Bovani che sembra soffrire questo tipo di vicinanza, ma non riesce più<br />

a illudersi di dipanare gli intrecciati fili del proprio percorso 71 .<br />

Il percorso che invece si snoda e si scioglie è quello del viaggio all’interno di queste sale:<br />

prima di uscirne si può gettare uno sguardo sul vetro che lascia intravedere il percorso della<br />

scala a chiocciola, adesso interclusa, immancabile nei palazzi d’epoca. Un’ampia porta a vetri<br />

impedisce l’accesso agli scantinati, ma è chiaramente visibile la spaziosa e leggera gradonatura<br />

che tuttora lo contraddistingue.<br />

Guadagnato nuovamente il “ricetto”, con un percorso a ritroso che fa attraversare una seconda<br />

volta le prime due sale, uno dei viandanti indicherà l’uscita su via de’ Rossi: una strada che<br />

con certezza assoluta la parte maggiore degli artisti rappresentati nel palazzo ha calpestato<br />

ripetutamente, e in epoche davvero molto distanti tra loro.<br />

35. Sala del secondo Novecento<br />

34. Mario Nannini, Rose<br />

pivotal role, belonging by birth to the generation of the early twentieth century, but so forward<br />

looking as to become a point of reference for a large part of subsequent generations 70 .<br />

The composition of the rest of the room is rather mixed, representing as it does a particularly<br />

complex and varied period. One could even say that the only contiguous works are those<br />

from the second “Pistoia school”, in other words the period associated with Pop Art and<br />

the names of Barni, Buscioni, Ruffi and Natalini, each one here represented by a significant<br />

work. There is Chiodi for Ruffi, a Fiat Cinquecento for Barni, shirt and tie by Buscioni and<br />

the Satchmo by Natalini: a work which travelled to Holland in 2012, for the Pop Art in Western<br />

Europe exhibition held in the Nijmegen museum.<br />

Otherwise it ranges between the abstractionism of Nativi and the sarcastic expressionism of<br />

Iacomelli and Salvi; it brings together the suffuse lightness of Landini and the painful humanity<br />

of Agenore Fabbri; the reinvention of the collage in Gordigiani and the white delicateness<br />

of Aldo Frosini; the existential drama of Nigro and the ironic tabernacle by Chiavacci; the elegant<br />

post Impressionism of Cammilli and the miniature sample collection by Iorio Vivarelli.<br />

For those still not satisfied with the varied mix of expression, there still remains the chance<br />

to take the corridor to go back towards the exit. Here there is even more: realistic landscapes,<br />

memorials, metaphysical, impressionist and even semi-naïf art, introduced by a Mappa by<br />

Franco Bovani, which seems to suffer this type of proximity, but can no longer delude itself<br />

in thinking it can untangle the intertwining threads of its pathway 71 .<br />

The route that instead winds and unwinds is in fact the journey through these rooms: before<br />

leaving, one can catch a glimpse through a window of the winding staircase, an essential element<br />

in period buildings. A large glass door blocks access to the basements, but the light,<br />

spacious stairs that still sets it apart are clearly visible.<br />

Having returned to the “reception”, with an itinerary that takes us back through the first two rooms<br />

for the second time, one of the wayfarers will indicate the exit onto Via de’ Rossi: a street that was<br />

definitely and repeatedly trodden by most of the artists represented here, and in very different eras.<br />

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