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PORTAVOCE DI SAN LEOPOLDO MANDIC - aprile 2020

Portavoce di san Leopoldo Mandic (Dal 1961, a Padova, la rivista del santuario di padre Leopoldo, francescano cappuccino, il santo della misericordia e dell'ecumenismo spirirituale)

Portavoce di san Leopoldo Mandic (Dal 1961, a Padova, la rivista del santuario di padre Leopoldo, francescano cappuccino, il santo della misericordia e dell'ecumenismo spirirituale)

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SAN LEOPOLDO A MONTEGALDA

SAN LEOPOLDO IERI E OGGI

solo la statua lignea opera di artigiani della Val

Gardena, ma pure il grande affresco realizzato

da Mihail Ivanov! La statua è molto semplice nella

composizione: l’iconografia classica del frate

confessore, stola violacea sulle spalle, che con

fare paterno benedice.

Molto più elaborato il disegno di Ivanov che

si destreggia da grande artista tra colori vivaci

e oro raggiante, presentando padre Leopoldo in

modo geniale. Il santo è al centro della composizione,

inginocchiato in mezzo all’azzurro mare

e, spalle alla chiesa di Montegalda, orante col rosario

in mano, guarda la sua terra, le Bocche di

Cattaro, invocando l’unità tra la Chiesa cattolica

e quella d’Oriente. Il programma è chiaramente

espresso dalla didascalia posta al di sotto della

sua figura: «Ut unum sint!» (lat. «Perché siano

una cosa sola», parole tratte dalla preghiera sacerdotale

di Gesù, al cap. 17 del vangelo di Giovanni,

ndr)

In alto, racchiuso in un cerchio, l’effigie di Cristo,

alla sinistra papa Giovanni XXIII, che sollecitò

l’unione dei cristiani, e a destra san Carlo

Borromeo. Molto belle le due scene nella parte

inferiore dell’affresco: a sinistra, padre Leopoldo

benedicente accoglie al confessionale una

famiglia e, a destra, l’abbraccio fra Paolo VI e il

patriarca ortodosso Atenagora. Chiaro lo scopo

di questa composizione, espressa peraltro dalla

famiglia Cattaneo, in una targa dedicatoria: «In

memoria di Carlo Cattaneo devoto a san Leopoldo.

“O san Leopoldo apri i nostri cuori allo spirito

ecumenico!”».

IL DONO DI UNA FAMIGLIA DEVOTA

«La mia famiglia da decenni è devota al santo

cappuccino», dice la quasi novantenne Maria

Bortolan, vedova Cattaneo. «Spesso ci recavamo

al suo convento per le celebrazioni liturgiche e

le confessioni, specie mio marito Egidio che ora

non c’è più e il figlio Carlo, malato di distrofia

muscolare, scomparso nel 2000, a 37 anni».

«Com’è rimasto contento Carlo», ricorda la

signora Bortolan, «quando abbiamo inaugurato

la statua durante l’Anno Santo del 1984. Non

ha avuto l’opportunità di veder completato

quest’angolo di devozione perché l’affresco è

stato svelato il 14 ottobre 2001. Di certo, dopo

la protezione ricevuta in questa terra, è andato

a godere, faccia a faccia, il suo amato padre Leopoldo

in Paradiso. Era tanto buono il mio Carlo e

non si lamentava mai». P

La guarigione

del cieco nato

Arte in santuario Opera del

veronese Pellizzari, la tela mette

in scena un miracolo evangelico.

Che è pure momento di incontro

tra la compassione del Signore

e la gratitudine dell’uomo

d i A n n a B o s c o l o A r t m a n n

Una pregevole perla, che arricchisce la serie di

quadri che abbelliscono il santuario leopoldiano,

è La guarigione del cieco nato. A tema, nuovamente,

un episodio evangelico, un miracolo

di Gesù, qui oggetto di degna attenzione, di

stupore. La narrazione pittorica si pone come riflessione

della guarigione miracolosa raccontata nel Vangelo

di Giovanni.

«Passando, Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i

suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbì, chi ha peccato, lui

o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Rispose Gesù: “Né

lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano

manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le

opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene

la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel

mondo, sono la luce del mondo”. Detto questo, sputò per

terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi

del cieco e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Siloe”

– che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci

vedeva…» (cf. Gv 9,1-41).

Posta al centro della parete sinistra della navata della

chiesa, la grande tela, di valido esito narrativo, è attribuita

a Giovanni Battista Pellizzari (1598-1660), portando

la data del 1635, risulta dallo stesso dipinta all’età di 37

anni. L’artista veronese ci introduce abilmente nella dinamica

di un evento straordinario, ma improntato a realismo

e immediatezza, con notazioni dal timbro cromatico

vario, che va da toni accesi ad altri, più pacati, scuri,

quasi spenti. L’atmosfera della scena appare sospesa, di

attesa non concitata, con tratti di nitore per dare rilievo

28 | PORTAVOCE | APRILE 2020

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