24.02.2020 Views

TRAKS MAGAZINE 031

Arriva TRAKS MAGAZINE: il numero di febbraio vede Alex Castelli in copertina e ospita interviste con Roberto Sarno, Lamine, Mido, Cinzia Gargano, Emanuele Montesano, Anthony, ChiaraBlue, 373°K, Matteo Muntoni. Leggi subito!

Arriva TRAKS MAGAZINE: il numero di febbraio vede Alex Castelli in copertina e ospita interviste con Roberto Sarno, Lamine, Mido, Cinzia Gargano, Emanuele Montesano, Anthony, ChiaraBlue, 373°K, Matteo Muntoni. Leggi subito!

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

www.musictraks.com

MAGAZINE

Numero 31 - febbraio 2020

ALEX CASTELLI

non mi piace stare fermo

ROBERTO SARNO

ANTHONY

LAMINE

CINZIA GARGANO

CHIARABLUE 373°K


sommario

4

8

12

18

22

26

30

34

38

42

Alex Castelli

Roberto Sarno

Lamine

Mido

Cinzia Gargano

Emanuele Montesano

ChiaraBlue

Anthony

373°K

Matteo Muntoni

Questa non è una testata giornalistica poiché viene aggiornata

senza alcuna periodicità. Non può pertanto

considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge

n. 62/2001. Qualora l’uso di un’immagine violasse

diritti d’autore, lo si comunichi a info@musictraks.com

e provvederemo alla rimozione immediata

TRAKS MAGAZINE

www.musictraks.com

info@musictraks.com



ALEX CASTELLI

non mi piace stare fermo

“Caduti liberi” è il disco d’esordio di un cantautore che è alla ricerca degli

assassini della musica ma che non disdegna ascoltare anche generi contemporanei

e di nicchia

Ci vuoi raccontare chi è Alex Castelli?

Sono un amante della musica, un

divoratore di musica da quando

ero bambino. Ho sempre ascoltato

musica, ho assorbito e studiato

svariati generi musicali, artisti internazionali

e italiani, senza distinzione.

La curiosità è parte di

me, cerco di ascoltare più artisti

e più generi possibili perché sono

molto curioso e alla ricerca di stimoli

nuovi. Suono musica dall’età

di 14 anni, ho iniziato a comporre

all’eta di 18 anni. Ho suonato con

svariate band, in contesti e generi

più disparati. Da queste esperienze

nasce il mio primo album Caduti

Liberi.

Ci parli anche della lavorazione

del tuo nuovo disco, “Caduti liberi”?

L’album nasce appunto dalle esperienze

vissute: esperienze musicali

per quanto riguarda le influenze

artistiche, esperienze di vita in generale

per i contenuti dei testi.

In Caduti liberi c’è un filo conduttore

che unisce tutte le canzoni:

la paura del cambiamento. Paura

che ho vissuto in prima persona.

Tutti abbiamo almeno una volta

vissuto questa paura, che spesso ci

ha bloccato in una fase evolutiva

del nostro percorso di vita. Tante

volte si evita il cambiamento ma è

proprio quest’ultimo il fattore che

ci fa evolvere. Il cambiamento ci

porta a uno stato di libertà, perché

scegliamo di cambiare attraverso

il libero arbitrio. Il libero arbitrio

è il dono più grande che riceviamo

alla nascita, dono che però la

maggior parte delle persone perde

nel corso della vita. La libertà

è un obiettivo da raggiungere per

migliorare la qualità della nostra

vita. Come dei bambini che imparano

a camminare: si cade ci si

fa male, ma si impara a rialzarsi,

spesso con qualche ammaccatura,

si piange e si soffre, ma poi ci si rialza

più determinati e si impara a

camminare da soli. Camminare da

soli è il primo passo verso la libertà.

Si cade ma poi si diventa liberi.

Per quanto riguarda la tecnica

musicale... Sì mi interessa, ma è

funzionale alle canzoni. Io suono,

gli stili delle canzoni mi vengono

in base all’umore del momento.

Molto è improvvisato, le canzoni

specialmente sul palco non sono

mai uguali. Mi piace molto fare

nuove forme alle canzoni, mi diverte.

Chi sta uccidendo la musica e

perché?

Faccio sempre questo esempio per

spiegare il titolo di questa canzone:

MTV aveva lanciato i concerti

totalmente acustici negli anni 90:

gli unplugged. Eric Clapton per

primo, poi i Nirvana, i Pearl Jam,

gli Alice in Chains... Questi live

erano ascoltati dai ragazzini di allora...

Mi chiedo se nell’MTV di

oggi ci sia spazio per musica simi-

5



le. I ragazzini negli anni ‘70 ascoltavano

canzoni dei Genesis, dei

Pink Floyd, degli Yes... il progressive

rock era basato su modalità

di composizione che mescolavano

musica classica al rock. Le canzoni

erano ancora più complesse,

duravano 15 o 20 minuti, ma

i dischi erano venduti in milioni

di copie. Non c’è piu tempo per

la musica: non si ascoltano gli album,

ma i singoli... pillole di musica.

Oggi c’è la trap, si ascolta il

reggaeton... canzoni facili, che durano

due minuti, che si ascoltano

per 15 giorni, per poi essere dimenticate.

Young Signorino è un

artista paragonato per ‘rottura di

schemi’ al punk dei Sex Pistols...

può anche essere. Basta che non

ci chiudiamo a riccio. I più giovani

oggi hanno molti più stimoli

e i media principali (TV e radio)

non li aiutano a scegliere in base

alla qualità della musica. Ecco,

‘stanno uccidendo la musica’ non

è una protesta, ma una constatazione

che nasce dall’osservazione

di come la musica viene trattata

dai media. È un prodotto commerciale,

di largo consumo. La

musica viene uccisa perché non c’è

più spazio per i tantissimi artisti

che puntano alla qualità. La musica

muore quando il pubblico non

è più in grado di ascoltare musica

che impegni il cervello, che stimoli

a capire ciò che sta ascoltando,

che non si limiti ad ascoltare ma

che si impegni a ‘sentire’ la musica.

Eppure oggi c’è tanta musica

di qualità, ma bisogna vincere la

pigrizia e cercarla per conto proprio,

online sui digital store. Su

spotify la musica è diventata ‘liquida’...

ci sono tante playlist di

qualità che consentono di scoprire

nuovi artisti affini ai nostri gusti.

Ma poi la musica stanno cercando

di ucciderla anche a livello di

eventi live. Oggi si fa sempre più

fatica a proporre musica dal vivo

a causa dei costi da sostenere. Più

ancora, la gente esce sempre meno

di casa... e la musica se la ascolta

sullo smartphone piuttosto che

dal vivo. Ma la musica c’è, è viva

e trova sempre il modo di tornare

ancora più forte.

Leggendo dei tuoi punti di riferimento

musicali si incontrano

tantissimi nomi del passato. E

del presente?

Da grande curioso ascolto veramente

di tutto e non mi pongo

limiti, se non altro perché penso

che si possa imparare qualcosa da

qualunque artista. I miei punti di

riferimento sono quegli artisti ‘più

vecchi di me’, quelli che sono alla

base della mia formazione musicale.

Mi capita di ascoltare musica

di ragazzi molto giovani magari

nell’ambito trap o hop hop (non

mi spiace per contenuti e musicalità

per esempio Mahmood)

ma poi riascolto i Soundgarden,

riprendo ad ascoltare del buon

blues e torno a Daniele Silvestri o

agli Afterhours, poi mi reimmergo

nei Wilco o nei Black Keys per

poi riascoltare musica barocca o

fingerstyle... Lou Reed, Bowie, i

Beatles insomma nuovo o vecchio

penso che ogni album contenga

almeno una canzone che valga la

pena di ascoltare.

Che cosa prevede il tuo futuro?

Sto lavorando per organizzare i

live per il lancio dell’album, quindi

sui miei canali social conto a

breve di segnalare i primi live.

Entro fine marzo dovrà uscire il

terzo singolo, con un nuovo videoclip.

Contemporaneamente sto

avviando i lavori per un nuovo

album, sempre legato a un unico

filo conduttore. Un nuovo argomento,

nuove tematiche e stili che

non ho mai esplorato finora. Nuove

canzoni che stanno già prendendo

forma, un progetto in fase

di sviluppo che dovrà essere pronto

nel giro di massimo 12 mesi.

Non mi piace stare fermo... decisamente

no!

6

7



ROBERTO SARNO

“Prova zero” riepiloga dieci anni di canzoni di un cantautore dalla sensibilità

sicuramente “alternativa”, attento alle vibrazioni che arrivano sia dalla

memoria sia dal presente

Mi pare di capire che “Prova

zero” sia una sorta di compendio

e riepilogazione degli anni precedenti.

Come hai capito che era

necessario tirare una riga in fondo

al foglio?

Ho avuto paura di perdermi, sentivo

che quello che avevo fatto

per quelle canzoni non era stato



abbastanza. Ho avuto bisogno di

viverle ancora, di sentirle vibrare

con un mood più viscerale e

istintivo. Ho sentito l’esigenza di

approfondire le cose fatte, prima

di proseguire. Il processo naturale

della memoria è quello di setacciare

i ricordi, lasciando leggibili

solo quelli che ci hanno segnato

di più. I gesti, le immagini, i colori

di queste canzoni per me sono indelebili

e ho dovuto dare loro una

veste più congrua alla loro indole

per appagare la mia coscienza.

Altra impressione che ho avuto

è che il dolore sia forse l’ingrediente

più condiviso dalle canzoni

del disco. E’ una fotografia

realistica del periodo?

Il dolore è una componente esistenziale

dell’uomo, lo osserviamo

manifestarsi in molteplici modi e

in varie entità. A partire dal malessere

interiore di un bambino

che si sente incompreso, fino al

crepacuore di un innamorato, dalla

sofferenza della depressione di

una persona cara, fino alla morte

di un malato e al vuoto che lascia

nei vivi. Ho avuto occasione di osservare

e vivere queste emozioni,

di sentirle vibrare nel profondo

tanto da trasformarle in musica e

parole.

Perché la cover di Motta? Quali

altri cantautori di oggi ti colpiscono?

Motta e il suo primo disco mi avevano

colpito e quel pezzo mi era

vicino in particolare per le parole.

L’adattamento musicale è venuto

piuttosto istintivamente, come se

l’avessi scritto davvero io; per l’arrangiamento

ho adottato lo stesso

metodo di svuotamento e rimodellamento

come per gli altri pezzi

che ho inserito nel disco. Forse

oggi proverei a fare qualcosa di

simile con Giorgio Poi, mi piace

molto come gioca con le parole.

A ogni modo il songwriter che più

ha sconvolto il mio immaginario

cantautorale viene da oltre oceano

e si chiama Justin Vernon.

Visto che “Prova zero” ha messo

un punto, che cosa ti aspetta da

ora in poi?

Vorrei che tutte le sperimentazioni

sonore dell’ultimo periodo fossero

la base di un nuovo lavoro,

sul quale peraltro sono già impegnato

sul fronte compositivo. Mi

piacerebbe che la maturità stilistica

che ho ricercato fosse il presupposto

di un nuovo e originale

capitolo della mia vita artistica.

Vorrei suonare di più dal vivo,

essere maggiormente a contatto

con la gente per cogliere più direttamente

il feedback emotivo

delle persone che ascoltano la mia

musica. Infine vorrei sorprendere

perfino me stesso…

10

11



LAMINE

Di Chiara Orsetti

La vittoria al Premio De Andrè, un’esperienza sanremese ad Attico Monina,

un ep in arrivo: Viviana Strambelli racconta la sua anima eterogenea

Con il tuo brano Non è Tardi ha

vinto il premio De Andrè. Una

bella soddisfazione, che ha attirato

anche l’attenzione di Dori

Ghezzi. Com’è andata e che effetto

ti ha fatto?

È stato sicuramente il momento

più bello di questa esperienza.

Dori Ghezzi ha fatto, ha visto con

i suoi occhi la storia della musica

crescere, svilupparsi, evolvere accanto

a De Andrè e agli altri cantautori.

Quando mi ha detto che

voleva ascoltare anche le altre mie

canzoni è stato emozionante. Subito

dopo la premiazione abbiamo

fatto ascoltare Penna Bic anziché

il pezzo vincitore. Quello che mi

ha stupito è che avesse percepito

e compreso il pezzo nella sua interezza,

nonostante le parole non

arrivassero chiaramente, vista anche

la velocità del brano. Eppure

la canzone le è arrivata. Ho provato

come un senso di “giusto”: il

contenuto che per me era chiaro

è arrivato anche a lei, e dimostra

che se il contenuto c’è, arriva anche

se non ti sforzi per farlo capire.

C’è un ep che aspetta di essere

pubblicato e che abbiamo ascoltato

in anteprima. Nonostante

siano brani singoli ben definiti,

l’anima che ci hai messo funziona

come un filo conduttore importante.

Il legame tra le canzoni che compongono

l’ep c’è, e mi fa piacere

che tu l’abbia trovato. I primi feedback

sono sempre i più interessanti:

sono i primi riscontri, esci

dal buio e inizi a vederti attraverso

gli occhi degli altri, a scoprire

parti di te che ancora non conoscevi.

Nelle tue canzoni ci sono molte

sfaccettature di colori e di interpretazione.

Sembra difficile incasellarti

in una categoria… Sei

un’anima complessa?

Eterogenea. E’ un po’ come quando

mi chiedono, parlando di musica,

“che genere fai”? Non lo so!

Se mi piace una melodia che sembra

metal, perché non possiamo

usarla? Possiamo fare quello che

vogliamo. Siamo in un periodo

storico in cui è permesso dire la

propria anche nel modo più bislacco.

Vale per la moda, per la

letteratura, per la politica. Perché

13



non utilizzare questa libertà e far

sì che una canzone possa essere

tridimensionale, che puoi girarla e

ha una faccia diversa secondo chi

la guarda, chi la ascolta. Stiamo

approfittando dell’assenza di punti

di riferimento, che è sicuramente

drammatica sotto alcuni aspetti,

ma difficilmente sarebbe potuto

venir fuori un progetto monolitico,

uniforme. O forse sono io che

non sono in grado di farlo! Una

ragazza che ha ascoltato Penna Bic

era convinta che il brano parlasse

di bullismo. E mi ha stupito che

la canzone abbia aperto porte che

neanche io immaginavo nel momento

in cui l’ho scritta. Diventa

pretenzioso andare in una sola

direzione, si rischia di diventare

pedagogici: io non voglio insegnare

niente a nessuno. Si può partire

da una storia personale, da un

fatto di cronaca, quando si scrive

una canzone: ma poi si deve passare

attraverso il filtro dell’autocritica,

farsi mediatori tra ciò che

hai vissuto e quello che diventerà

una volta che ti è passato attraverso

mescolandosi agli accordi, alle

melodie, ai suoni.

Anima complessa, dicevamo, ma

anche giramondo: sei siciliana

ma hai vissuto in Puglia, a Genova,

a Roma, a Napoli. Dove è

nata la tua ispirazione musicale?

Ero a Genova quando ho scritto le

mie prime canzoni. È nata lì l’ispirazione.

Penso sia una delle città

più tristi ma nello stesso tempo

più ricche in termini di input sensoriali.

È piena odori: abitavo nei

vicoli, nella foresteria del teatro

in cui lavoravo, e appena ci arrivi

Genova si aggancia immediatamente

con il tuo io malinconico.

C’è tutta la parte metallica, i container,

il porto, e poi i vicoletti. È

una città che ti “splitta”. L’ha detto

Bindi, l’ha detto Tenco… Penso

che non sia un caso. Ho partecipato

al concorso Genova per voi

quasi per caso, tramite il teatro.

Mi sono approcciata ingenuamente

alla composizione dei tre brani

in italiano necessari a partecipare.

Ho seguito un flusso emotivo continuo.

Siamo a Sanremo. Quali canzoni

ti piacerebbe aver scritto tra

quelle che sono state presentate

sul Palco dell’Ariston?

Sicuramente Almeno tu nell’Universo,

è la prima che mi viene in

mente. Anche se trovo straordinaria

Mi sono innamorato di te

di Luigi Tenco. Mi sono innamorato

di te perché non avevo niente

da fare è quel tipo di verità e di

semplicità che raggiungi solo col

tempo. È riuscito a essere spietatamente

sincero, non ambasciatore

della verità pornografica morbosa

di conosce i fatti e i dettagli di

cui non te ne frega niente. Piccole

verità imbarazzanti che appartengono

a tutti e di cui ci vergogniamo.

Dai, come si fa a iniziare una

canzone abbassandosi così le mutande…

non avevo niente da fare.

Il bisogno di comunicare di quel

periodo cantautorale per i nostri

tempi è difficile. È come se ci fossimo

arresi, come se fosse impossibile

cambiare le cose e quindi

perché sprecare tempo per descriverle.

Ci sono sprazzi di speranza,

qualcuno prova a tirare fuori le

unghie e a smettere di lamentarsi.

È un momento drammaticamen-

14

15



te figo, in fondo. Ma sconfinando,

altri brani che avrei voluto scrivere

sono Il mio mondo di Bindi, e

Khorakhanè di De Andrè.

Sul palco dell’Ariston si è molto

parlato delle esibizioni di Achille

Lauro. Anche lui tenta di comunicare

qualcosa a modo suo?

In questo momento ci sembra figa

una cosa già vista negli anni ‘70,

ma perché ci siamo appiattiti. Il

momento di “sveglia” non è giusto

o sbagliato, dopo 40 minuti più o

meno piatti se arriva qualcuno che

ti lancia qualcosa in faccia spezza

la noia e ti piace comunque. Al

di là del giudizio personale, sulla

voce o sulle musiche, lo trovo

simpatico perché rompe qualcosa.

Va bene perché ci ha provato, il

suo è un pacchetto completo che

va analizzato come tale e non fermandosi

solo a un lato del suo

personaggio.

Visto che siamo insieme ad Andrea

Cicorelli, bassista e autore

dei disegni del progetto, parliamo

del ruolo del fumetto all’interno

del progetto del tuo ep?

(Andrea) L’artwork definitivo verrà

presentato quando uscirà l’ep. Il

nostro rapporto è iniziato grazie

alla musica, sono il bassista della

band. Dopo poco aver scoperto

che sono appassionato di disegno,

Viviana ha iniziato ad appassionarsi

e abbiamo iniziato a lavorarci.

A mano a mano che il progetto

andava avanti avevo nuovi spunti

e il personaggio Lamine si trasformava

piano piano. Col tempo,

ogni membro della band ha avuto

il suo avatar, ma non superpoteri.

(Vivivana): Andrea si è occupato

anche della lavorazione del video:

il make up geometrico è stato

scelto vista la dimensione onirica

delle immagini girate. I fumetti,

insieme alla musica, regalano

una suggestione visiva. La musica

ti conduce in un luogo creando

la giusta atmosfera, ma una volta

che hai la possibilità di guardare

delle immagini sei trasportato in

modo quasi cinematografico. Disegni,

arrangiamenti, suoni di veri

e propri oggetti… il suono diventa

materico, evoca e materializza le

immagini. Ringrazio le persone

che stanno dando qualsiasi tipo di

contributo per questo progetto, a

partire dai gesti più piccoli. (C.O.)

17



MIDO

Si chiama “Blu” il nuovo disco del cantautore (vero

nome Domenico Russo), che anche in questo caso ha lavorato

in totale autoproduzione

Ci vuoi raccontare chi è Mido?

Fin da bambino ho suonato la

chitarra, la batteria e ho cantato,

ma la mia arte principale è la

registrazione sonora. E’ da questo

background che nasce la mia

connotazione di musicista “indipendente”:

quello che produco e

pubblico, lo suono davvero tutto

io; microfono, registro, arrangio,

fino ad arrivare alla mia fase preferita

del missaggio finale. E’ così

che mi riassumo in questo nome,

Mido: “M-usicista I-ndipendente

DO-menico” (il mio nome di battesimo).

Per i più nerd ci sarebbe

anche da dire che MI-DO sono

due note con un rapporto inter-



vallare corrispondente a una terza

minore discendente, indice di una

sottile linea di amarezza nascosta

e che va controcorrente…

Meduse in copertina e un titolo

“colorato”, benché i tuoi suoni siano

rock: quali sono state le premesse

del tuo disco, Blu?

La copertina rappresenta una

sorta di iperuranio, dove le idee,

come meduse, nuotano libere ed

eleganti nel profondo blu. Questa

immagine va contro gli stereotipi

della musica rock, perché la mia

voce non è rock, non vuole esserlo

e, se ci intendiamo, non ho mai

avuto voglia di strapparmi i pantaloni

per doverlo essere a tutti i

costi…

Chi ti piace dei tuoi colleghi italiani

di oggi?

Sovraincidere tante chitarre era

un’usanza tipica della musica

rock e alternativa degli anni ’90.

La mia adolescenza è stata proprio

in quegli anni che furono, a

mio avviso, quelli della genuinità

creativa. L’album elogia un ritorno

a quell’epoca. Mi piacciono gli

Ex-Otago, ho sentito una bellissima

canzone di Brunori ma non ho

voglia di sbilanciarmi troppo in

merito al mainstream attuale perché

quello che sento oggi per me

non è bello come lo era prima.

Hai collaborato con personaggi

importanti della scena italiana.

Quali le migliori esperienze?

L’esperienza più intensa è stata

presso lo studio Metropolis di

Milano di Lucio Fabbri. Ho avuto

l’opportunità di lavorare come assistente

fonico durante le registrazioni

audio per il dvd del live in

Tokyo del 2002 della PFM. Nello

stesso studio ho conosciuto Dolcenera,

con la quale ho avuto successivamente

l’opportunità di fare

qualche live.

Quali i tuoi prossimi progetti?

La musica è prima di tutto suonata

dal vivo. Sto preparando una

band per presentare il mio album

Blu suonando dal vivo, sia in elettrico

che in acustico. Suono la batteria

in una cover band blues che

si chiama “The Ramblers”. E giusto

per non farmi mancare nulla,

ho anche iniziato a curare con dedizione

delle playlist di Spotify, tra

cui la mia “Emergenti Italia 2020”

che consiglio a tutti di ascoltare!

21



CINZIA GARGANO

Di Chiara Orsetti

Pop, ironia e molti sogni (qualcuno realizzato): la cantautrice palermitana

presenta il nuovo singolo “Stupiscimi”, in attesa del primo lp

Hai iniziato il tuo percorso artistico

come ballerina, proseguendo

poi con il canto…

Diciamo che ho avuto varie vite

artistiche. Una mia canzone incomincia

proprio dicendo “ho

cambiato tante vite e tante vite mi

han cambiata” perché in effetti

ho iniziato all’età di quattro anni

con la danza. Da piccola cantavo

e ballavo davanti allo specchio, e

ho iniziato a camminare e a ballare

contemporaneamente. Ricordo

che mia madre, per farmi mangiare,

doveva rincorrermi in giro

per casa a tempo di musica con il

piatto in mano. Povera mamma!

Ho portato poi mio padre in una

scuola di danza, costringendo mio

padre a iscrivermi. Ho iniziato il

percorso che poi è durato per 23

anni, diventando una professionista.

Mi sono diplomata in un’accademia

di musical, iniziando a

portare in scena anche questo tipo

di ballo. Ho poi avuto un brutto

incidente in macchina, e la mia

carriera si è dovuta interrompere.

Lo posso raccontare, quindi va

bene, e poi credo che tutto abbia

un senso. Mi sono ritrovata nella

veste di cantautrice e, passata la

rabbia, ho capito che tutte le cose

accadono per una ragione, anche

quelle brutte, soprattutto quelle

brutte. Ho ricevuto la chiamata

per entrare a far parte di un trio

vocale femminile, e da lì è iniziata

la nuova avventura. Inizialmente

è stata tosta: era tutto un altro

mondo rispetto alla danza. Abbiamo

girato molto insieme alle

altre ragazze del gruppo, andando

anche in televisione. Poi ci siamo

sciolte. Ho pensato allora di iniziare

a comporre inediti, all’età di

30 anni. Ho scritto poesie fin da

piccola, e sembrava un buon momento

per iniziare. Ho pubblicato

così il mio primo singolo, intitolato

AAA Cercasi, proprio nell’anno

di Occidentali’s Karma. Ho letto il

testo della canzone su TV Sorrisi e

Canzoni ho pensato “Mannaggia,

ci ha pensato prima lui”! Grazie a

questo brano sono arrivata in finale

a Fiat Music con Red Ronnie,

un’esperienza incredibile in diretta

su Roxy Bar. Da lì ho ricevuto la

chiamata del mio produttore che

mi ha proposto di creare insieme

un progetto. Edoardo Musumeci

23



ha dato un vestito vero e proprio

alle mie canzoni, che fino a quel

momento erano più vintage: parto

da Gaber, Buscaglione, Jannacci e

lui ha dato una veste più moderna

e ha inserito parti elettroniche.

Ascoltando i tuoi brani si percepisce

un’aria fresca, frizzante.

La musica per me è un mezzo per

lasciare sorrisi. Nel disco ci sono

canzoni più malinconiche e più

autobiografiche, ma mi hanno

detto che l’ironico è un malinconico

mancato, in fondo. L’altra

faccia della medaglia l’ho voluta

mettere nel primo album che si

intitola Seria-mente, un gioco di

parole evidente. Il primo singolo

estratto è Ti amo il meno possibile,

semifinalista al contest del Concertone

del Primo Maggio Next.

Parliamo di Tragifavola, il secondo

singolo. Il principe azzurro

arriva e salva la fanciulla indifesa

o anche in questo caso c’è

dell’ironia di fondo?

Io odio le canzoni “sole cuore e

amore”, che sono lontane dal mio

modo di essere. Se parlo d’amore

devo farlo in maniera ironica, non

riesco a buttarmi sul passionale

straziante. Mi piace ironizzare

perché, se non si può ridere di tutto,

cosa resta nella vita? Ho preso

in giro il principe azzurro perché

fin da piccole, nelle favole, le storie

di eroi in calzamaglia ci hanno

creato un sacco di aspettative. Che

palle! Ho creato questa canzone

per demolire il principe azzurro,

che nella vita reale non esiste… e

meno male!

Quando uscirà il tuo album?

In realtà il disco è pronto da un

anno. Sto aspettando a pubblicarlo

perché vorrei l’occasione giusta.

È un progetto a cui tengo moltissimo

e vorrei che venisse pubblicato

nel momento migliore possibile.

Contiene tutte le sfaccettature del

il mio essere cantautrice e del mio

essere persona. Il disco si compone

di 8 tracce, di cui una cover riarrangiata

e 7 inediti, alcuni ironici

e altri autobiografici a cui tengo

molto. Uno di questi affronta un

tematica che mi sta molto a cuore

e che mi piacerebbe avesse un suo

spazio importante in mezzo alle

altre. La perfezione non esiste, ma

vorrei dare il massimo a questo

primo album, che mi rappresenta

al 100%. Le canzoni sono come

mettersi a nudo, più che togliersi

gli abiti di dosso. Nel momento in

cui canti un tuo brano, le persone

che ascoltano sanno che tutto parte

direttamente da te e dal tuo vissuto.

Ci vuole fegato!

Quale canzone di Sanremo avresti

voluto scrivere tu? Non necessariamente

canzoni che hanno

vinto, eh!

Le due canzoni che avrei voluto

scrivere, perché le metto a pari

merito, sono Ti regalerò una rosa

e Abbi cura di me di Simone Cristicchi.

Per me è il punto di riferimento

dal punto di vista autorale

delle musica italiana. Ho avuto

un colpo di fulmine per lui fin dal

primo istante, perché è un autore

pazzesco e per me geniale: riesce

a essere ironico e contemporaneamente

e ad avere una profondità

fuori dal normale. Lui spazia dalla

musica al teatro, è carisma allo

stato puro, e tutto quello che sforna,

per me, è poesia, che sia ironica

o emotiva. (Chiara Orsetti)

24

25



EMANUELE MONTESANO

“Mettiamoci d’accordo” è il nuovo album di un cantautore che ama spaziare

tra i generi, sempre con vista sulla speranza di cambiare

“Origine” era il tuo esordio da

solista. Quali lezioni utili hai

tratto per arrivare a questo nuovo

disco, “Mettiamoci d’accordo”?

Be’, essendo stato il primo album

da solista c’era curiosità mista ad



ansia, su ciò che sarebbe, poi, stato

il risultato. Ho imparato ad esser

meno grezzo, quello di sicuro.

E ho imparato anche a dare più

contenuti, a livello testuale, e non

solo semplicemente a utilizzare i

testi per scaricare la rabbia.

Da che cosa hai tratto ispirazione

per questo nuovo album?

Lo sperare in un cambiamento

delle cose, la rabbia che non manca

mai: c’è chi si sfoga con la palestra

o, alla peggiore, scaricando la

propria frustrazione sugli altri. Io,

invece, scelgo di usare una penna,

un foglio e una chitarra.

In tempi come questi, “Mettiamoci

d’accordo” è una dichiarazione

forte. Su che cosa ritieni

sia più necessario trovare un accordo?

Sulle tematiche ambientali in primis.

Nel senso, “muoviamoci”,

il tempo è poco, i danni che abbiamo

causato sono molteplici e

abbiamo iniziato già a pagarne le

conseguenze. Ma anche sulla giustizia,

lo Stato assente e il popolo

che continua a pagare senza mai

alzare la testa: dove ci porterà tutto

questo? Nel mio album ho voluto

dare il mio punto di vista su

questa e altre tematiche.

Salti tranquillamente da un genere

all’altro, ma in quale ti senti

più “a casa”?

Amo sperimentare e in questo

ultimo lavoro ho dato molto sfogo

al mio estro: ho spaziato dal

rock all’elettronica, dal pop ai ritmi

in levare, fino al rap. Non ho

un genere preferito, ma sul rock

in generale mi sento più vivo

rispetto ad altri stili musicali,

quello sì.

Quali saranno i tuoi passi

futuri?

Appena sistemato alcune

cose, inizierò con i live di

promozione di entrambi gli

album, in trio acustico. Nel

frattempo, mi sono state proposte

delle collaborazioni che

dovrò valutare. Ci prendiamo

i momenti che vengono, belli

e brutti che siano, con la consapevolezza

che sono tasselli

di vita, quindi, già solo per questo,

importantissimi.

28

29



CHIARABLUE

Di Chiara Orsetti

“Dinosauri” è il nuovo singolo della cantautrice reatina, “folgorata” da

Carmen Consoli e con molta voglia di suonare dal vivo

Parliamo degli artisti che hanno

influenzato il tuo percorso e che

ti hanno ispirata al punto da voler

intraprendere questa strada?

Sicuramente tanti artisti. Nella ricerca

del sound giusto per il progetto

sicuramente a un certo punto

ho capito che avrei dovuto farlo

somigliare il più possibile a me

stessa. Seguendo questa idea ho

messo insieme tutto quello che in

qualche modo riusciva a smuovere

la mia anima. L’ho messo insieme

e mi sono resa conto che mondi

diversi, anche molto distanti, possono

stare bene insieme. Sicura-

mente i grandi cantautori italiani

sono stati le mie influenze più importanti:

sono cresciuta con una

mamma che ascoltava moltissima

musica italiana, e sono diventata

grande con le loro parole.

Ricordo in particolare il momento

in cui ho visto la prima esibizione

di Carmen Consoli a Sanremo.

Lì ho capito che esisteva una dimensione

di cantautrice, di donna

che si approcciava alla musica

che mi ispirava. Trovo che sia

la cantante più rivoluzionaria di

sempre: per le sonorità, per la capacità

di utilizzare le parole, per la

sperimentazione e per la capacità

di mettersi in gioco, sempre. In

un’intervista, Carmen ha dichiarato

di non aver mai avuto paura

di cambiare generi e influenze,

che l’evoluzione e l’essere sempre

capace di seguire ciò che ti appassiona

in un momento determinato

alla lunga ti premia. Puoi essere te

stessa, ma in tutte le sue versioni.

Si rischia di rimanere intrappolati

altrimenti. Mi sento vicina a

lei per la voglia di sperimentare,

di cambiare, di seguire ciò che

in quel momento mi ispira e mi

appassiona. Ultimamente, per

esempio, mi sono legata molto alla

musica folk latina: mi piace tutto

ciò che riguarda la bossanova, il

flamenco, la musica messicana, il

bolero cubano, e non posso non

citare Silvia Perez Cruz, che si è

esibita sul palco dell’Ariston insieme

a Tosca. Posso definirla la mia

cantante preferita in assoluto, il

suo modo di approcciarsi alla musica

è pazzesco. Anche lei è una

sperimentatrice, una grande donna

in evoluzione. Spero vi capiti di

ascoltarla.

Anche tu hai una gran voglia di

sperimentare: si intuisce dal tuo

singolo Dinosauri, pubblicato da

poco. C’è un bel mix di suoni e di

idee, e si parla anche di persone

in evoluzione.

Fa un po’ ridere, ma quando mi

chiedono “Che genere fai?” io lo

definisco “un fritto misto”, perché

davvero è l’unione di tante cose

tutte insieme che hanno in comune

soltanto l’essere le mie passioni,

l’essere qualcosa che a me…

sposta. Dentro Dinosauri ci sono

molti elementi diversi tra loro: c’è

il violino che segue melodie fla-

31



menche, la chitarra segue un’idea

di Bossanova, delle percussioni

che strizzano l’occhio all’Africa…

mettiamo dentro tante cose senza

dimenticare le nostre radici, il

nostro essere italiani. La melodia

della nostra musica popolare.

Avremo modo di vederti suonare

dal vivo? Cosa bolle in pentola?

Assolutamente si! È tanto che siamo

chiusi in studio a sperimentare

e abbiamo un grandissimo

desiderio di live, non vediamo l’ora

di condividere. Ho proprio voglia

di guardare negli occhi le persone,

non solo di immaginare che

ci ascoltano attraverso un telefonino

o alla radio. Voglio stabilire

un contatto con le persone, fare in

modo che la musica fluisca diretta

alle loro orecchie. Condividere è la

parola chiave della nostra società,

inteso come stare insieme. Fare

gruppo e spalleggiarsi è l’unica

strada percorribile per tutti gli artisti

e soprattutto per noi donne che,

storicamente, siamo sempre state

un po’ conflittuali tra noi. Negli ultimi

anni ci sono realtà meravigliose,

anche di scrittura, dove le donne

si mettono insieme e fanno cose

straordinarie. Mi viene in mente la

Murgia con I suoi podcast, le scrittrici

come Antonella Lattanzi, hanno

fatto cose stupende… Penso sia

la strada da percorrere. Io vorrei

percorrerla.

Il primo appuntamento sarà a

Milano il 17 marzo, per la rassegna

Because the Night. Cosa puoi

raccontarci?

La serata fa parte di una rassegna

di Marian Trapassi, dedicata al

cantautorato femminile, e ci esibiremo

con altre cantautrici. Ho

assistito a una delle serate e devo

dire che è stata un’esperienza stupenda,

un grande momento di

musica, di condivisione di “sorellanza”.

Cominceremo a far sentire

il nostro progetto dove porteremo

Dinosauri e alcuni brani inediti

che faranno parte dell’album.

Che cosa ha rappresentato per te

essere arrivata in finale al Premio

Bianca D’Aponte?

Per me ha segnato l’inizio del

viaggio. Speravo moltissimo di

arrivare in semifinale, soprattutto

quest’anno in cui c’era Tosca come

madrina. Sono molto legata al suo

percorso, mi piace molto come

artista, e per me era importante

poter esserci con lei. Quando Gaetano

mi ha comunicato di essere

tra le 10 finaliste è stato un sogno

che si è realizzato. Quando sono

arrivata là il sogno si è triplicato.

Credo sia impossibile comprendere

la bellezza del Bianca D’Aponte

finché tu non sei lì. Prima

di tutto perché è l’unico premio

dedicato alle donne in Italia, ma è

un premio completamente diverso

da tutti gli altri perché è davvero

un atto d’amore. La capacità di

trasformare una cosa così brutta,

come la perdita di una figlia, in

una possibilità per le altre cantautrici

per me è una cosa davvero

eccezionale. Sono grata a Gaetano,

a Giovanna e a Gennaro e tutte

le cantautrici che hanno partecipato

al premio con me. Abbiamo

una chat su Whatsapp da ottobre

e non abbiamo intenzione di

chiuderla per nessuna ragione!

Possiamo continuare a fare cose

insieme: con due di loro stiamo

vivendo l’esperienza sanremese.

Consiglio a tutte le cantautrici di

passare dal Bianca D’Aponte.

Quale canzone di Sanremo avresti

voluto scrivere? Anche una

che non è arrivata in vetta alla

classifica…

La canzone che avrei voluto scrivere…

be’, Amore di Plastica di

Carmen Consoli. Credo sia la

donna più rivoluzionaria, è capace

di mescolare dolcezza ed eleganza

con parole così forti e violente con

una dirompenza ammirevole. Non

credo ci sia nessuno equiparabile.

(Chiara Orsetti)

32

33



ANTHONY

“Walking On Tomorrow”, esordio da solista, contiene vita, esperienze,

emozioni e sogni, in un album dalle sonorità metal di cui è songwriter, autore,

compositore, arrangiatore, chitarrista e produttore

Primo disco da solista: perché

ora? Che esperienza è stata?

Credo che ci sia sempre un momento

nella vita che consideriamo

giusto per fare determinate

cose e tutto dipende da ciò che si

sente e si vuole esprimere secondo

me. Dopo tanti anni di musica

all’interno di gruppi, progetti di

collaborazioni artistiche e piccole

produzione, sentivo che era arrivato

il momento giusto per scrivere,

comporre e produrre qualcosa

che fosse soltanto mio, senza influenze

esterne, che parlasse di me

e di ciò che avevo dentro. Questa

urgenza comunicativa mi ha messo

nelle condizione di prendermi

una pausa dai gruppi che avevo

in quel momento per dedicarmi a

questo mio primo album solista.

La cosa importante per me era

quella di fare un lungo viaggio introspettivo

nel quale raccontarmi

senza filtri e con la massima libertà

sia a livello di contenuti e temi,

sia a livello musicale. Walking On

Tomorrow è un album di stampo

Hard Rock, ma sono molte le influenze

e le atmosfere e, anche in



questo, cercavo la massima libertà

di espressione che è un qualcosa

che si può trovare nella concezione

di album solista. L’esperienza

è stata intensa perché è stato un

lungo viaggio dentro di me in cui

racconto alcune mie esperienze,

stati d’animo. Parlo di amore, amicizia,

passione, sogni, paure, gioie

e tormenti. Ho tirato fuori molto

di me in questo disco.

Come sono andate le lavorazioni

del disco?

Decisamente impegnative un po’

su tutti i fronti ma ne ero assolutamente

consapevole. Fare un

album in generale è sempre impegnativo

e farne uno solista in cui

sai che tutto dipende da te a livello

di gestione è decisamente molto

intenso. Una volta scritti i brani la

cosa piu’ complessa è stata trovare

i turnisti giusti che suonassero in

studio le mie composizioni e devo

dire che la ricerca è stata lunga.

Cercavo musicisti che “sentissero”

ciò che avevo scritto e che potessero

quindi eseguire al meglio le

parti in sessione. Io sono l’autore,

compositore, arrangiatore, chitarrista

e produttore, ho scritto tutto

in quest’album comprese le linee

vocali dei brani, mi serviva però

stringere collaborazioni in studio

per gli altri strumenti che io non

suono, inclusa la voce. Devo dire

che è stata una delle parti più lunghe

e complesse. Anche l’aspetto

economico ha avuto decisamente

un peso per la produzione dell’album

e questo ha portato a qualche

fase di rallentamento. Tutto fa

parte del gioco. La forza c’è sempre

stata, anche nei momenti più

complessi, proprio perchè sapevo

che stavo facendo un qualcosa di

molto importante per me. Ci sono

stati momenti di grande emozione

dovuti al vedere come ciò che avevo

nella testa e nel cuore si stava

man mano concretizzando e momenti

molto divertenti nelle sessioni

di registrazione con il mio

fonico di fiducia (Massari) e nella

fase mix e master (Castelli). Un

esperienza importante, formativa,

intensa.

Qual è la canzone del disco alla

quale sei più legato?

Essendo un album solista è veramente

difficile pensare di essere

legato maggiormente a un brano

piuttosto che ad un altro. Ogni

canzone ha un significato, uno

stato d’animo e tema differente.

Posso però dire che il brano che

mi ha divertito di più registrare è

stato Get Off. Un Hard Rock molto

diretto, veloce. Le parti soliste

di questo brano sono state completamente

improvvisate dall’inizo

alla fine in studio di registrazione.

In generale ho improvvisato altre

parti soliste nell’album, ma Get

Off nella sua totalità.

Mi sembra che i tuoi gusti puntino

dritto verso l’epoca d’oro del

metal. Quali sono i tuoi punti di

riferimento?

Arrivo da una scuola Hard Rock

e Heavy Metal che si rifà alle sonorità

classiche degli anni settanta

e soprattutto ottanta e novanta.

Oltre ai grandi gruppi che hanno

caratterizzato quell’epoca straordinaria

per il genere, sono molto

influenzato anche dal Punk, Epic

Metal, Folk Italiano, Spanish e,

ovviamente Blues e Rock N’ Roll.

Quali i tuoi prossimi passi?

In questo momento penso a promuovere

Walking On Tomorrow e

a proporlo dal vivo il più possibile,

poi sono tante le cose che vorrei

fare. Continuare a collaborare

con artisti sia in studio che live,

che è qualcosa che faccio da diversi

anni. Mi piacerebbe fare un

album con il mio attuale gruppo,

che è la band che mi accompagna

live in Walking On Tomorrow. Sicuramente

continuare a scrivere e

produrre anche come solista. L’aspetto

di scrittura e composizione

è molto importante per me. Di

idee ce ne sono tante cosi come di

voglia e determinazione. Certamente

la musica, il Rock N’ Roll,

avranno sempre un ruolo fondamentale

nella mia vita.

36

37



373°K

“Capovalle” è il titolo del nuovo disco della band ma è anche il luogo

(“dell’anima”) in cui le canzoni nuove hanno preso forma

Per spiegare questo disco mi

pare di capire si debba partire

dalla geografia. Ci spiegate cos’è

“Capovalle”?

Ciao a tutti! Allora: Capovalle è

una piccola contrada in montagna

nel paese di Roncobello, in

provincia di Bergamo, mio paese

natale (Tia, cantante e autore della

band). Sono tornato a viverci

dopo il rientro da Bologna, una

volta terminata l’università, e lì un

po’ in solitudine e in mezzo alle

montagne ho scritto i dieci pezzi

dell’album. A Capovalle abbiamo

poi arrangiato i brani, suonando



per interi weekend e buttando giù

idee per ore e ore. Alcuni brani

sono nati a notte fonda, perché

non essendo un posto molto abitato,

avevamo la libertà di suonare

a tutte le ore (ride nda). Per

cui ci sembrava il titolo giusto per

questo album nato lì, a Capovalle...

Inoltre va aggiunto che queste

canzoni sono nate in un periodo

di fermo della band e risentono

molto del carattere intimo e personale

tipico di una composizione

che risponde a una necessità di

scrittura di indagine su di sé. Per

cui, al di là del mero dato geografico,

che indubbiamente c’è, Capovalle

rappresenta metaforicamente

un luogo dell’anima da cui poter

guardarsi dentro e indagare sulla

nostra persona, che è il carattere

del disco.

Dodici anni e qualche disco alle

spalle: come avete affrontato il

lavoro su questo disco?

Come dicevo, il lavoro su questo

album è stato molto particolare.

Una volta selezionati i dieci brani

su cui lavorare dal materiale a

disposizione (cioè quattro anni di

composizione), abbiamo cercato

di trovare i giusti arrangiamenti

che potessero incastrarsi alla perfezione

con l’animo delicato delle

dieci canzoni. Per questo abbiamo

deciso di isolarci in montagna per

trovare l’animo del disco. Poi, una

volta fatte le prime registrazioni

demo, siamo andati in studio a

registrare a Ospedaletto Lodigiano

alla Tanzan, iniziando i lavori a

ottobre 2018 e terminando con il

mastering al PriStudio di Bologna

nell’Aprile 2019. E adesso finalmente

l’album vede la “luce”.

Vorrei sapere come nasce “Pura

forma”

Pura forma è nata in un modo

piuttosto fortuito. Ero a cena con

mia moglie in un locale della zona

di Roncobello e al tavolino di fianco

a noi sedeva una coppia di persone

che conosco; e so con quale

verve sottolineano la loro relazione

d’amore sui social network.

Tuttavia, passarono l’intera serata

ognuno con gli occhi fissi sullo

schermo del proprio smartphone.

Io non amo molto i social né tanto

meno i telefonini, per cui tornato

a casa quella sera ho cominciato

a riflettere su quanto in realtà

il mondo

dei social

nasconda

molto la

sostanza

delle cose.

Non è una

scoperta

mirabolante,

ok; però

volevo in

un certo

senso cantare

questa

cosa, cioè:

più della

forma è

importante

la sostanza.

E da qui la

canzone Pura forma.

Che cosa vi piace oggi della musica

italiana?

Personalmente sono molto affezionato

a vecchi autori o nomi

della musica italiana, dal cantautorato

(De André, Dalla, Fossati...)

al rock (Litfiba, Timoria, Ritmo

Tribale, ecc.); di nuovo italiano

conosco poco. Per cui non saprei

dirti. Ecco potrei citarti Max Gazzè,

lui mi piace molto.

Quali sono i progetti futuri della

band?

Be’ vista l’imminente uscita, promuovere

il disco il più possibile

con i live: il prossimo 28 febbraio

saremo a Lodi al KM298 per la serata

di presentazione ufficiale. Poi

in futuro vedremo. Magari qualche

altro weekend a Capovalle per

trovare nuove idee.

40

41



MATTEO MUNTONI

“Radio Luxembourg” è il nuovo disco del

musicista, sospeso tra ispirazioni “lennoniane”,

spirito rock e una curiosità nei confronti

di Beck

Il tuo percorso artistico è molto

vario e articolato. Quali sono le

tappe fondamentali che “ti spiegano”

meglio?

Be’ diciamo che ho studiato dalla

classica al jazz alla musica elettronica

e non mi sono risparmiato

in nulla! ho tenuto sempre, pur

spaziando tra generi, un approccio

vicino alla musica che mi ha



forgiato soprattuto da adolescente,

ovvero il rock nelle sue varie sfaccettature.

“Radio Luxembourg”: già il titolo

merita un approfondimento.

Ci vuoi spiegare anche che cosa

ti ha ispirato nell’avventura di

questa radio pre-bellica?

Il tutto è partito quando dopo

aver visto il film Nowhere boy dedicato

alla vita pre Beatles di John

Lennon, dove era chiaro quanto

fosse importante per tutti i musicisti

europei e non solo inglesi

l’ascolto della musica oltre oceano

e di come tutti questi se ne nutris-

sero golosamente

per formare poi i

propri gusti e scelte

musicali: il fatto

che poi si trattasse

di una radio libera

che trasmettesse

da una nave pirata

dalle coste del

Belgio ha fatto il

resto. A seguito

di questo, poi, ho

conosciuto molte

persone, sopratutto

musicisti italiani,

che mi hanno

raccontato quanto

fosse stata importante

per loro. Tutta

questa storia mi

ha davvero colpito

e non potevo che

omaggiarla scrivendo

musica!

Nel disco si avvertono numerose

influenze e anche un discreto

sprezzo dei limiti di genere. Però

ci avverto un certo spirito “rock”

sottostante che forse è uno dei

principali fil rouge del lavoro.

Mi sbaglio? Era questa la tua intenzione

iniziale?

Come ho detto prima, ho scritto

musica molto diversa che arriva

da mondi anche in contrasto tra

loro, ma ho mantenuto proprio

questo filo conduttore, forse anche

un po’ in maniera inconsapevole.

Il tutto è avvenuto in maniera

naturale, non organizzata: pensavo

solo a scrivere musica che mi

sarebbe piaciuto ascoltare. E mi

sono messo alla prova sopratutto

dal punto di vista organizzativo,

dato che ho seguito tutto il progetto

completamente, dalla stesura

dei pezzi, alla registrazione, sino

alla pubblicazione.

Un nome “possibile” e uno “impossibile”

con cui desidereresti

collaborare

Domanda difficilissima a cui rispondere!

Sono troppi, la lista

sarebbe infinita! Al momento vi

dico che mi piacerebbe, tra le cose

impossibili, vedere come lavora

Beck in studio!

Quali saranno i tuoi prossimi

passi?

Sto organizzando un po’ di concerti

per promuovere il disco e

spero di suonare il più possibile!

44

45



Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!