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Toponimi dell'Alta Valle Gesso • a cura di Mauro Rabbia

Un territorio prende forma, costruisce la propria identità attorno ai nomi dei luoghi che lo compongono. Nel caso di un’area di montagna: nomi di cime, di passi, di valloni, di laghi, ma anche, a quote inferiori, dove le comunità umane si erano insediate stabilmente, toponimi che sono riferiti a sorgenti, canali, appezzamenti coltivati, boschi, oltre naturalmente a tèit e jaç. Un enorme patrimonio, accumulatosi nel corso dei secoli, passato di generazione in generazione grazie alla trasmissione verbale, che con l’abbandono della montagna è in parte andato perso. Fortunatamente numerose ricerche a livello locale a partire dagli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso hanno raccolto prima e fissato su carta poi una notevole quantità di nomi di luogo, indagando anche su origini e significati dei vari termini. A questa importantissima operazione di salvataggio ha contribuito attivamente il Parco Naturale Alpi Marittime che, partendo dalla capillare conoscenza del territorio dei suoi guardiaparco, ha creato un archivio di toponimi dell’area protetta. Una parte del materiale raccolto ed elaborato viene oggi divulgato con la pubblicazione di questo Quaderno, la cui consultazione siamo sicuri renderà ancora più viva e appassionante la scoperta e la frequentazione dell’alta Valle Gesso.

Un territorio prende forma, costruisce la propria identità attorno ai nomi dei luoghi che lo compongono. Nel caso di un’area di montagna: nomi di cime, di passi, di valloni, di laghi, ma anche, a quote inferiori, dove le comunità umane si erano insediate stabilmente, toponimi che sono riferiti a sorgenti, canali, appezzamenti coltivati, boschi, oltre naturalmente a tèit e jaç.

Un enorme patrimonio, accumulatosi nel corso dei secoli, passato di generazione in generazione grazie alla trasmissione verbale, che con l’abbandono della montagna è in parte andato perso. Fortunatamente numerose ricerche a livello locale a partire dagli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso hanno raccolto prima e fissato su carta poi una notevole quantità di nomi di luogo, indagando anche su origini e significati dei vari termini. A questa importantissima operazione di salvataggio ha contribuito attivamente il Parco Naturale Alpi Marittime che, partendo dalla capillare conoscenza del territorio dei suoi guardiaparco, ha creato un archivio di toponimi dell’area protetta. Una parte del materiale raccolto ed elaborato viene oggi divulgato con la pubblicazione di questo Quaderno, la cui consultazione siamo sicuri renderà ancora più viva e appassionante la scoperta e la frequentazione dell’alta Valle Gesso.

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116<br />

273 San Giovanni (Punta), 2325 m<br />

T11<br />

Ròcha d’ Sant Joan<br />

Imponente montagna che domina le (304) Terme,<br />

conosciuta localmente come la Ròcha; San<br />

Giovanni è un’aggiunta derivante dal nome del<br />

santo a cui è de<strong>di</strong>cata la cappella sottostante.<br />

In un anno imprecisato della seconda metà del<br />

1800, i guar<strong>di</strong>acaccia locali al servizio <strong>di</strong> Vittorio<br />

Emanuele II vennero inviati in <strong>Valle</strong> d’Aosta per<br />

una battuta <strong>di</strong> caccia nell’allora Riserva Reale<br />

del Gran Para<strong>di</strong>so: in quell’occasione vennero<br />

abbandonati dai colleghi valdostani in una zona<br />

impervia e costretti a invocare aiuto. Solamente<br />

a notte fonda i valdostani misero fine allo<br />

scherzo, mostrando agli sventurati la via per<br />

l’accampamento. Successivamente le guar<strong>di</strong>e<br />

valdostane furono ospiti della Riserva Reale della<br />

<strong>Valle</strong> <strong>Gesso</strong> per una battuta <strong>di</strong> caccia su la<br />

Ròcha. Saliti agevolmente percorrendo la mulattiera<br />

della Valcubèrta, i valdostani vennero<br />

poi accompagnati con astuzia sui ripi<strong>di</strong> versanti<br />

prospicienti le (304) Terme. In testa al gruppo<br />

c’era Bartolomeo Piacenza, detto lo Chat, il<br />

Gatto, una guida alpina <strong>di</strong> (274) Sant’Anna famosa<br />

per la sua agilità. Senza destar sospetti le<br />

guar<strong>di</strong>e locali si <strong>di</strong>leguarono alla chetichella fino<br />

a che con i valdostani rimase solo il Piacenza.<br />

Quando anche lui sparì, i poveri guar<strong>di</strong>acaccia si<br />

trovarono in serie <strong>di</strong>fficoltà e dovettero invocare<br />

a lungo aiuto. Pari e patta!<br />

274 Sant’Anna, 1000 m<br />

T02<br />

Sant’Ana, o Blanjìar / Blangier<br />

Il paese in passato era composto da <strong>di</strong>versi<br />

nuclei sparsi che nel tempo, con successivi ampliamenti,<br />

si sono collegati. Iniziando da valle<br />

e risalendo a monte troviamo: Tèits d’ Bandet,<br />

Tèits d’ Noni, Tèits d’ Piqueta, Tèits <strong>di</strong> Barba, Es<br />

Lisalai, Tèits dal Pont, Tèits dal Mul.<br />

Gli e<strong>di</strong>fici caratteristici <strong>di</strong> Sant'Anna sono:<br />

L’Escòla<br />

Fabbricato dalla configurazione particolare, con<br />

tetto spiovente e muri perimetrali in pietra. Le<br />

pietre per la sua costruzione vennero prese nella<br />

zona de (140) Lu Gurgàs, dove c’è un’estesa<br />

pietraia, e trasportate a valle tramite una fune a<br />

sbalzo. Fu costruita negli anni 1930 su interessamento<br />

della Regina Elena, alla quale è de<strong>di</strong>cata<br />

una scritta inneggiante "Viva la Regina",<br />

tutt’ora visibile sul muro della casa prospiciente.<br />

L’e<strong>di</strong>ficio fu sede della scuola elementare fino<br />

all’anno scolastico 1978/1979; da allora i pochi<br />

bambini iniziarono a frequentare la scuola <strong>di</strong><br />

Val<strong>di</strong>eri. L’e<strong>di</strong>ficio è rimasto inutilizzato fino al<br />

1985 quando, dopo una ra<strong>di</strong>cale ristrutturazione,<br />

è <strong>di</strong>ventato un albergo.<br />

La Casèrma <strong>di</strong> Parposè<br />

L’ex-caserma dei finanzieri porta il nome <strong>di</strong> parposè,<br />

nome locale degli agenti <strong>di</strong> finanza che<br />

deriva, con storpiature, dal francese preposés<br />

des douanes. I finanzieri arrivarono in paese a<br />

fine 1800, quando, poco a monte, fu tracciato<br />

il confine tra il Regno d’Italia e quello <strong>di</strong> Francia.<br />

Ci rimasero fino al 1970: grazie agli accor<strong>di</strong> della<br />

Comunità Europea, il controllo <strong>di</strong> quei confini<br />

<strong>di</strong>venne, fortunatamente, inutile. Nel 1935 si<br />

rese necessario un intervento <strong>di</strong> risanamento<br />

del fabbricato con lo sbancamento <strong>di</strong> parte del<br />

rilievo a monte e il miglioramento della strada:<br />

«[…] I lavori furono realizzati da un certo Joanìn<br />

de Jòt <strong>di</strong> Val<strong>di</strong>eri, che scavò il materiale e con<br />

un carro, trainato da un mulo, lo trasportò a<br />

valle della chiesa, dove si stavano facendo dei<br />

riempimenti. Dopo ottanta giornate <strong>di</strong> lavoro,<br />

presentò al Comune <strong>di</strong> Val<strong>di</strong>eri un ren<strong>di</strong>conto<br />

per una spesa <strong>di</strong> duemila lire. Il Podestà Oliva<br />

mo<strong>di</strong>ficò l’ammontare portandolo a ventimila<br />

lire e intascò la <strong>di</strong>fferenza. Il povero Joanìn andava<br />

perciò in giro a <strong>di</strong>re: 'Io ho lavorato ottanta<br />

giorni per duemila lire. Il Podestà in nemmeno<br />

mezza giornata ne ha guadagnate <strong>di</strong>ciottomila<br />

stando seduto al tavolo'» 151 .<br />

Lo Samenteuri<br />

Il cimitero venne costruito nel 1900 su interessamento<br />

<strong>di</strong> Re Umberto I. La zona è denominata<br />

Las Charbonieras, le Carbonaie, probabilmente<br />

perché in origine c’era un grosso bosco da cui<br />

veniva prelevato il legname per trasformarlo sul<br />

posto in carbone.<br />

Il primo ad esservi sepolto fu un certo Carabina.<br />

In precedenza i defunti dovevano essere tumulati<br />

presso il cimitero <strong>di</strong> Val<strong>di</strong>eri 152 . Bel problema<br />

durante l’inverno!<br />

La Glèisa / La Guiaiza<br />

Fin dal Seicento esisteva nella frazione Balangero<br />

una cappella de<strong>di</strong>cata a Sant’Anna. Doveva<br />

essere una costruzione piuttosto piccola e meschina,<br />

anche perché la popolazione locale era<br />

scarsa, ma verso la fine del Settecento aveva al<br />

proprio servizio un cappellano alle <strong>di</strong>pendenze<br />

della parrocchia (si hanno atti <strong>di</strong> battesimo già<br />

negli anni 1775-1810). Tale forse sarebbe rimasta<br />

per chissà quanti anni ancora se un tragico<br />

avvenimento nel 1810 non l’avesse <strong>di</strong>strutta,<br />

asportandone persino le macerie. Quell’anno<br />

infatti per la <strong>Valle</strong> <strong>Gesso</strong>, come pure per la <strong>Valle</strong><br />

Stura, fu <strong>di</strong>sastroso a causa delle abbondanti<br />

piogge. Singolare quanto avvenne a Sant’Anna,<br />

come narra il cronista, spettatore della cosa:<br />

«In questa medesima notte, lì 15 settembre<br />

1810, dalle ore tre dopo mezzanotte l’acqua ha<br />

menato via la Cappella <strong>di</strong> Sant’Anna con tutta la<br />

mobilia, essendo riservato solamente il calice, e<br />

la statua <strong>di</strong> Sant’Anna si è andata a fermare alla<br />

Bombonina. Ed ha menato via la casa del prete,<br />

Sig. Don Antonio Fresia, con tutta la mobilia,<br />

ma la casa apparteneva a Sant’Anna».<br />

Da altra fonte abbiamo qualche particolare in<br />

più. Il conte Luigi Taricchi <strong>di</strong> Stroppo, proprie-<br />

117<br />

151 e 152<br />

Fonte: Franco Antonio.

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