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Meccanismi di censura nel cinema. L'Italia degli anni Sessanta

La ricerca confluita nelle pagine di questa tesi prende avvio dall'idea che il cinema italiano sia legato parallelamente alla storia della censura e all'evoluzione delle sue leggi. In particolare si prende in esame il decennio degli anni Sessanta, come periodo denso di avvenimenti cruciali nel nostro paese, da un punto di vista politico, economico e culturale. L'analisi parte dalla ricostruzione del percorso storico compiuto dalla produzione cinematografica italiana, in relazione agli aspetti di trasformazione generale della società, che inevitabilmente condizionano le scelte di registi e di alcune case di produzione. La tesi mira, pertanto, a chiarire il funzionamento della revisione cinematografica come strumento di potere, con un'influente possibilità d'intervento sul cinema. Infine, tale argomentazione viene dimostrata attraverso l'analisi di due casi studio, quello dei film "Rocco e i suoi fratelli" di Luchino Visconti e "8½" di Federico Fellini.

La ricerca confluita nelle pagine di questa tesi prende avvio dall'idea che
il cinema italiano sia legato parallelamente alla storia della censura e
all'evoluzione delle sue leggi. In particolare si prende in esame il decennio
degli anni Sessanta, come periodo denso di avvenimenti cruciali nel
nostro paese, da un punto di vista politico, economico e culturale.
L'analisi parte dalla ricostruzione del percorso storico compiuto dalla
produzione cinematografica italiana, in relazione agli aspetti di trasformazione generale della società, che inevitabilmente condizionano le scelte di registi e di alcune case di produzione.
La tesi mira, pertanto, a chiarire il funzionamento della revisione cinematografica come strumento di potere, con un'influente possibilità d'intervento sul cinema. Infine, tale argomentazione viene dimostrata attraverso l'analisi di due casi studio, quello dei film "Rocco e i suoi fratelli" di Luchino Visconti e "8½" di Federico Fellini.

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156 MECCANISMI DI CENSURA NEL CINEMA

Italia Cronache, 23-02-1963

Fellini spiegato al popolo

Subito dopo la proiezione a Roma del film di Resnais “L’anéè dernière a Marienbad”

circolava una storiella attribuita ad Alberto Sordi: «Se l’avessero

fatto in Italia, l’avrebbero chiamato “L’anno scorso a Chianciano”». Proprio

un anno dopo il lancio della storiella, “L’anno scorso a Chianciano” è sugli

schermi italiani. Circola però sotto falso nome: «Federico Fellini, 8 e mezzo».

In «Marienbad» il regista Resnais ed il soggettista sceneggiatore Robbe

Grillet avevano cercato di trasportare sullo schermo il nuoveau roman,

l’ultimo tentativo di superare la crisi del romanzo, come genere letterario,

sulla falsa riga di Proust e di Joyce. Se considerato sotto uno schema tradizionale

il nouveau roman risulta di faticosa lettura per la discontinuità di

tempo e di luogo; se considerato sotto l’angolo visuale dei singoli personaggi

e dei singoli protagonisti, nei salti e nelle trasposizioni di pensieri e

di immagini che continuamente sono presenti nella mente di un individuo,

minuto per minuto, attimo per attimo, il tentativo letterario gli scrittori d’oltralpe

appare per lo meno giustificato proprio come ricerca per uscire da

schemi narrativi oggi superati.

L’esperimento di Resnais di costruire un film in questo senso non aveva ottenuto

un grande successo. Per il grosso pubblico abituato a non sforzarsi

nel percepire, a vedere macroscopicamente, ad odorare più che a sentire

ed aiutato in questo dalla quasi totalità dei produttori e registi, quel saltare

di immagini, quell’andare avanti ed andare indietro, quel veder dopo, quello

che già si era visto prima senza che nemmeno il dialogo (anzi!) aiutasse nel

capire qualcosa, era stato giudicato né più né meno che una truffa.

Non che, da come «Marienbad» era stato realizzato questo non potesse anche

essere vero; ma un giudizio senza appello del pubblico di cassetta aveva

sollevato le naturali indignazioni del pubblico «élite»„ che era stata solleticata

dalla parola «esperimento». Le discussioni a base di «nuovo linguaggio»,

«...e a me che me ne importa... », «... fenomenologia della percezione...

», «... io non ci ho capito niente... », «... quei soffitti... », «... preferivo i vestiti

di lei...», «....già ma era,magra», si trascinarono per un certo tempo concluse

poi forse per stanchezza con la battuta di Alberto Sordi.

Sordi in questi ultimi tempi è infatti rivalutato come attore intellettuale.

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