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PORTAVOCE DI SAN LEOPOLDO MANDIC - aprile 2019

Portavoce di san Leopoldo Mandic (Dal 1961, a Padova, la rivista del santuario di padre Leopoldo, francescano cappuccino, il santo della misericordia e dell'ecumenismo spirirituale)

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ATTUALITÀ ECCLESIALE<br />

L’esperienza “francescana”<br />

di due cappellani ospedalieri.<br />

Ogni giorno tra malati giovanissimi<br />

e i loro genitori, per «stare accanto<br />

alle persone sofferenti, condividendone<br />

dubbi, paure e domande»<br />

d i G i a n f r a n c o Ti n e l l o<br />

Testimoni di vicinanza e umanità<br />

Al Policlinico universitario “Gemelli” di Roma<br />

abbiamo incontrato due Frati Minori francescani,<br />

fra Riccardo Giordanella e fra Sandro Romanato.<br />

Quest’ultimo opera stabilmente come<br />

cappellano e provvede con il suo servizio a più<br />

di dieci reparti di area pediatrica.<br />

Fra Riccardo, come sei approdato<br />

al reparto di Oncologia pediatrica?<br />

«Mi è stato proposto di vivere un’esperienza di cinque<br />

mesi assieme ai cappellani dell’ospedale. Mi sono stati<br />

assegnati cinque reparti, e la sorte volle che all’inizio<br />

non ci fosse l’Oncologia Pediatrica, forse per tutelarmi<br />

in quanto pensavano che all’inizio magari fosse troppo<br />

forte per me. Poi, un giorno fra Sandro, uno dei cappellani,<br />

mi chiese di prendermi cura di Martina Ciliberti<br />

(cf. Portavoce n. 2/<strong>2019</strong>, pp. 16-17), la quale desiderava<br />

quotidianamente l’Eucarestia, e di interessarmi alla sua<br />

famiglia».<br />

Come hai vissuto la sofferenza dei bambini,<br />

soprattutto quando le condizioni peggioravano?<br />

«Non sono affatto momenti facili. E ci pongono davanti<br />

a domande la cui risposta ce l’ha solo Dio. Mi veniva di<br />

affidare le situazioni a Lui. Anch’io ho vissuto momenti<br />

in cui ho gridato a Dio, chiedendogli: «Perché, Signore?».<br />

Di certo Dio non vuole malati i bambini, ma credo che<br />

anche in certi momenti di sofferenza e buio, la sua presenza<br />

possa portare conforto, e ci dia la certezza che la<br />

morte non è l’ultima parola. Ciò non toglie la drammaticità<br />

dell’evento, né la sofferenza».<br />

Come è stato il primo incontro con Martina?<br />

«È stato particolare. Ero contento di andare in quel reparto,<br />

perché desideravo conoscere quella realtà, anche<br />

se ero un po’ spaventato. Ma quando sono entrato nella<br />

stanza di Martina, tutte le mie paure sono crollate. Invece<br />

di trovarmi di fronte una persona triste e in difficoltà,<br />

Martina mi ha accolto con un grande sorriso, facendomi<br />

sentire subito a mio agio. Subito ha cominciato a<br />

raccontarmi la sua storia… In breve, le mie paure sono<br />

crollate».<br />

Martina ha avuto una compagna di cammino<br />

con il suo stesso nome. Una curiosa coincidenza<br />

le accomuna: sono morte lo stesso giorno a distanza<br />

di un anno. Cosa puoi dirci?<br />

«Martina aveva conosciuto un’altra ragazza, più o meno<br />

coetanea. Quest’ultima, però, non aveva un buon rapporto<br />

con la fede. Ma essa stessa mi ha confidato, dopo<br />

la morte di Martina, che l’esperienza di questo incontro<br />

tra ragazze con la stessa malattia l’aveva portata a<br />

capire che la fede non era una cosa assurda e distante.<br />

Martina, con la sua fede e la condivisione dell’amicizia,<br />

aveva toccato in profondità il suo cuore. Ciò l’aveva fatta<br />

riavvicinare alla fede e all’incontro con Dio. Nel reparto<br />

c’era anche un’altra ragazza con la quale componevano<br />

una specie di trio nelle lunghe giornate».<br />

Mi sembra di capire che queste esperienze,<br />

questi incontri, sono stati davvero toccanti…<br />

«È vero. Sento che la mia vocazione è molto legata all’essere<br />

vicino ai più piccoli e ai più poveri. Il desiderio di<br />

18 | <strong>PORTAVOCE</strong> | APRILE <strong>2019</strong>

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