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Aldo Cesar Fagà - Rivista dell'Associazione Analisti Ambientali - BIOTOPI URBANI E RIGENERAZIONE - La struttura come scultura mutante

Articolo di Aldo Cesar Fagà, testo in cui l'artista guarda alla città (e ai contesti più in generale) come aree dove si sperimentano le relazioni tra i sistemi viventi, processo dove l'arte interpreta le aree interessate attraverso il rapporto che intercorre tra l'uomo, l'animale e il territorio su cui agiscono, ampliando le implicazioni al di là della biosfera. Attraverso le tappe dei suoi progetti d'arte iniziati nei primi anni ottanta, segue questo nuovo punto di vista che considerò, sin da allora, il vivente come il focus progettuale per un nuovo linguaggio dell'arte.

Articolo di Aldo Cesar Fagà, testo in cui l'artista guarda alla città (e ai contesti più in generale) come aree dove si sperimentano le relazioni tra i sistemi viventi, processo dove l'arte interpreta le aree interessate attraverso il rapporto che intercorre tra l'uomo, l'animale e il territorio su cui agiscono, ampliando le implicazioni al di là della biosfera. Attraverso le tappe dei suoi progetti d'arte iniziati nei primi anni ottanta, segue questo nuovo punto di vista che considerò, sin da allora, il vivente come il focus progettuale per un nuovo linguaggio dell'arte.

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Le Valutazioni <strong>Ambientali</strong> - Valutare la rigenerazione urbana N. 2-2018<br />

Sulle tracce del tema urbano ci imbattiamo nel<br />

movimento metabolista che nacque, <strong>come</strong> è noto,<br />

dall’incontro del gruppo di architetti giapponesi<br />

che lo fondò in occasione della World Design<br />

Conference di Tokyo del 1960, circostanza in cui<br />

emersero i concetti di città ed edificio, in senso<br />

figurato, <strong>come</strong> parti di un’entità biologica. Fu il<br />

frutto di metafore tese a considerare la metropoli<br />

similmente ad un “organismo”, sia da un punto<br />

di vista formale, quanto per l’idea di estensione<br />

dell’edificio e del tessuto urbano <strong>come</strong> combinazioni<br />

modulari, sia additive che sottrattive. Si<br />

guardava a questo processo di crescita della città<br />

verso le aree limitrofe <strong>come</strong> a funzioni vitali, talvolta<br />

in osmosi con sistemi vegetali. Dall’utopia<br />

alla prassi, con il “metabolismo urbano” il concetto<br />

si fa oggi ricerca di un equilibrio che studia<br />

i processi biologici cercando modi per conciliare<br />

il rapporto tra il consumo di risorse e le ricadute<br />

ambientali. Tali riferimenti assumono in questa<br />

accezione anche il tratto distintivo di obiettivi<br />

mirati alla riqualificazione, aspetti mutuati tout<br />

court dalla biologia, dalla fisica, dalla matematica,<br />

dalla chimica e dall’ecologia urbana. Molto<br />

in sintesi: la città è un sistema aperto <strong>come</strong> una<br />

cellula che in ingresso ha scambi con l’esterno<br />

sotto forma di risorse nutritive, in uscita con la<br />

sortita di prodotti e scorie. In questi approcci, dal<br />

confronto con una numerosa serie di fattori multidisciplinari<br />

emerge, infine, una linea progettuale<br />

da seguire. <strong>La</strong> ricerca in tale direzione dovrà però<br />

tener conto di una eredità culturale e tecnologica<br />

dove influenze deterministiche possono talvolta<br />

presentarsi sotto forma di schemi derivati dalla<br />

chimica e della fisica classica: «In biologia nulla è<br />

matematicamente prevedibile se non appunto entro<br />

i limiti della fisica classica, cioè di situazioni<br />

molto semplificate» (Sachetti, 1985, p. 85).<br />

È un sapere tecnologico guidato dalla biomimesi,<br />

il ben noto procedimento con cui si guarda alla<br />

natura <strong>come</strong> fonte d’ispirazione per la progettazione<br />

di oggetti o attraverso il quale orientare<br />

la ricerca scientifica. <strong>La</strong> biomimesi però ha un<br />

cammino lunghissimo, cosa che i designer sanno<br />

bene; fuori da ogni pregiudizio, questi orientamenti<br />

verso la natura non sarebbero propri della<br />

scienza moderna né della nostra cultura. L’uomo<br />

ha sempre avuto una continua relazione simbiotica<br />

con il territorio; questi processi costituiscono<br />

piuttosto fattori imprescindibili. <strong>La</strong> tesi della<br />

Biofilia, dà conto di un tratto molto comune tra<br />

gli umani, dando (e sembra una tautologia) fondatezza<br />

scientifica ad un fatto risaputo: l’innata<br />

tendenza dell’uomo verso la natura, verso il vivente;<br />

ipotesi scientifica secondo cui vi sarebbe<br />

un’acquisizione evolutiva da parte dell’uomo di<br />

questa tendenza in quanto coevoluzione genetica<br />

e culturale: «Insomma, la cultura è creata e<br />

modellata da processi biologici, mentre contemporaneamente<br />

i processi biologici sono alterati<br />

in risposta al mutamento culturale» (Lumsden &<br />

Wilson, 1984, p. 156).<br />

A tal proposito, scegliamo tra i tantissimi esempi<br />

noti nel design, nella scienza, nell’arte, il caso del<br />

celebre Crystal Palace eretto a Londra in occasione<br />

della Great Exhibition del 1851, in cui il<br />

progettista del grande edificio che accolse l’evento,<br />

l’architetto e botanico Joseph Paxton, si ispirò<br />

alle caratteristiche <strong>struttura</strong>li della ninfea Victoria<br />

Amazonica. Ma l’atteggiamento verso la natura,<br />

la scienza, il progetto, non è sempre così simmetrico.<br />

Numerosi artisti, architetti e designer hanno<br />

guardato al corpo umano e, più ampiamente, alla<br />

materialità intendendo la faccenda naturale <strong>come</strong><br />

da superare, talvolta <strong>come</strong> obsoleta. Ad esempio,<br />

autori partigiani della dicotomia analogico/digitale<br />

(atomi contro bit) <strong>come</strong> Nicholas Negroponte<br />

(Essere digitali, 1995) che, in fondo, ripropongono<br />

uno schema derivato dal dualismo cartesiano:<br />

res cogitans e res extensa, realtà dove il vecchio<br />

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