GHISA Numero 0

Capire cosa stai ascoltando<br />

di Alessandro<br />

Un argomento spesso sottovalutato,<br />

quando si parla di dar un giudizio<br />

sulla qualità di mixing e master, è la<br />

compressione. Il compressore è uno<br />

strumento che nella maggior parte<br />

dei casi limita o riduce (ma può anche<br />

espandere) il rapporto dinamico<br />

di un brano. Per spiegarla all’uomo<br />

della strada si potrebbe dire che se<br />

una traccia audio ha livelli di volume<br />

sia alti che bassi il compressore<br />

fa come un contrappeso che spinge<br />

in giù il segnale in maniera selettiva<br />

alzando di conseguenza quelli più<br />

deboli. Questo avviene attaverso il<br />

threshold, o “soglia” in italiano, che<br />

è la quantità di rumore a partire<br />

dal quale il compressore inizia<br />

ad agire. Pensiamo ad percussionista<br />

che scuote una sola volta una<br />

maracas o a una nota fatta con la<br />

chitarra. Abbiamo un hit iniziale,<br />

un colpo, che probabilmente nella<br />

maggior parte dei casi è più forte<br />

del suono che viene dopo ad esso.<br />

Con un compressore si può ridurre<br />

l’impatto iniziale e alzarne la coda o<br />

abbassare anche entrambe. Funziona<br />

proprio come se il segnale venisse<br />

spinto in giù da un peso: superato<br />

il thereshold inizia ad agire il ratio<br />

che è la misura della forza che viene<br />

applicata per fermare il segnale. Con<br />

un rapporto oltre il 10:1 il compressore<br />

viene definito limiter, perché<br />

limita del tutto e quindi taglia di<br />

netto qualsiasi suono oltre la soglia.<br />

Molto più comune è invece sentire<br />

musica compressa 2:1, ovvero con<br />

una riduzione della metà del volume,<br />

che fa passare comunque 1db<br />

ogni 2. Infine si inserisce il Make-up Gain,<br />

che non ha niente a che vedere con ombretto<br />

fondotinta o rossetto, ma che serve<br />

semplicemente ad ri-aggiungere volume<br />

al suono processato. Questo strumento<br />

di produzione viene usato dappertutto e<br />

quasi sempre viene usato più di una volta.<br />

La batteria e il basso sono strumenti<br />

che solitamente passano per questo processo<br />

e lo stesso per la traccia finita. Ma<br />

la parola compressione ha acquistato nel<br />

corso degli anni una sorta di accezione<br />

negativa, associata soprattutto al mondo<br />

della compressione dei file. Un file MP3<br />

si sente peggio dell’originale su CD e se<br />

chiedete perché ad un esperto aspettatevi<br />

la risposta è per via della compressione.<br />

Ma la compressione in musica non<br />

serve a far occupare meno spazio agli<br />

strumenti come invece è per la compressione<br />

dei file. Serve soprattutto a rendere<br />

più amalgamati gli stessi e viene anche<br />

utilizzata per motivi artistici. Prendiamo<br />

per esempio She Said She Said dei Beatles.<br />

Il compressore impostato sui piatti<br />

della batteria di Ringo qui è utilizzato<br />

in modo che l’attacco, ovvero il tempo<br />

in millisecondi prima che l’effetto entri<br />

in funzione, sia velocissimo e annientando<br />

praticamente l’impatto iniziale delle<br />

bacchette, in modo da mantenere solo<br />

la coda. Questo ha un specifico scopo<br />

ed è un antentato del reversed crash<br />

oggi usato in tutta la musica EDM. Nella<br />

Italo Disco e nel Funk utilizzavamo<br />

tempi di attacco molto più lenti, per far<br />

arrivare il colpo iniziale il più possibile<br />

prima di livellarlo, in modo da avere<br />

un brano pulito ma molto dinamico<br />

e aggressivo. Questa differenza dipende<br />

dall’estetica stessa del brano. Il fascino e


il mistero più grande di questo strumento<br />

di registrazione però è come<br />

mai i fonici pensano, visto tutti questi<br />

esempi, che per usarla bene la<br />

compressione deve essere SEMPRE<br />

invisibile. Non è del tutto vero. Se è<br />

vero che un attacco molto veloce del<br />

compressore può cancellare le piccole<br />

imperfezioni umane del musicista<br />

è anche vero, io credo, che utilizzare<br />

un effetto per correggere una mancanza<br />

di un musicista abbia poco<br />

senso. Delle due si cambia il musicista.<br />

Molta musica pop americana<br />

cade in questo errore. Da quando le<br />

grandi radio hanno iniziato a sponsorizzare<br />

per lo più musica frastornante<br />

in termini volume, sì è creata<br />

un po’ l’esigenza nelle case di produzione<br />

di spingere il più possibile<br />

il master del brano sempre al limite,<br />

appena sotto la distorsione vera e<br />

propria. Ma farlo di nascosto, in<br />

sordina, rinnegando poi di aver mai<br />

utilizzato tali metodi o anche solo<br />

sentiti per caso, manco sia la peste,<br />

non è la soluzione migliore. Non<br />

si fa partecipare emotivamente l’ascoltatore<br />

e non accresce in nessun<br />

modo il suono. Come nel cinema<br />

anche per gli effetti audio vale la<br />

regola se non è strettamente necessario<br />

non metterlo. Con il passare dei<br />

decenni però sono state anche molte<br />

le sperimentazioni che hanno permesso<br />

di ottenere un suono originale<br />

e estetico da questo trend. Come<br />

Elvis usava il delay reverb per creare<br />

l’ipnotica melodia volcale della sua<br />

versione di Blue Moon ecco che una<br />

sperimentazione dei limiti aggressivi<br />

della compressione ci ha portato il<br />

suono dei Death Grips per cui il<br />

gruppo è tanto riconosciuto. Sporco,<br />

esagerato, pieno, diretto in faccia<br />

come un cazzotto, che arriva e stordisce<br />

l’ascoltatore come un tuono. Usato<br />

con vari settaggi diversi ma sempre<br />

onnipresente nelle composizioni del trio<br />

hardcore hiphop questa caratteristica ha<br />

fatto sì che la violenza di musica e testi<br />

venga trasportata anche nell’immediato<br />

del mixaggio creando un muro del suono<br />

che è riconoscibile subito tra tanti altri.<br />

Siccome applicando una compressione<br />

audio si vanno ad accentuare rumori di<br />

sottofondo, riverberi naturali ed armoniche<br />

degli strumenti è stato utilizzato con<br />

efficacia anche nel campionamento, per<br />

rendere più apparente all’ascoltatore dove<br />

il sample finisce e viene loopato sviluppando<br />

una trance del tutto analogica e<br />

umana, come per il montaggio analogico<br />

fatto con le forbici. Questo è utilizzatissimo<br />

nella Techno vecchia scuola e nella<br />

French House dove la compressione diventa<br />

fondamentale anche sulla grancassa<br />

per arricchirla di armoniche e alle volte<br />

saturazione. Ma dobbiamo ricordarci che<br />

in quasi tutti gli altri casi di musica<br />

mainstream avere un corretto rapporto<br />

tra momenti di quiete sonora e assordante<br />

caos è fondamentale, specie se comprimere<br />

all’inverosimile non incrementa<br />

le qualità di un brano ma serve solo a<br />

farsi accettare alla radio locale. Ricordo<br />

ancora il primo momento in cui capì<br />

veramente qual’era il vero scopo di avere<br />

un range dinamico alto nelle canzoni.<br />

Era la prima di molte volte che ascoltavo<br />

Amarok l’album uscito nel 1990 dal genio<br />

di Mike Oldfield, tuttora il mio album<br />

preferito. Dopo 25 secondi di una melodia<br />

molto “lazy” e arpeggiata suonata<br />

con un volume bassissimo entrano degli<br />

“stab” (pugnalate) di chitarra elettrica a<br />

violentare le orecchie dell’ascoltatore. Un<br />

gesto che va visto come un affronto di<br />

Oldfield e che io cito spesso come uno<br />

dei momenti più incredibili della musica<br />

del novecento.


Fenomenologia dell’artista<br />

morderno: il dualismo tra<br />

opportunismo e solidarietà<br />

di Selvaggia Vidal<br />

Bisognerebbe fare a pugni con il<br />

mondo circostante, eludere qualsiasi<br />

forma dicontrollo per rappresentare<br />

realmente il concetto di artista? Forse<br />

sì, in unmondo musicale dominato<br />

da un pugno di major discografiche,<br />

altrettantepotentissime agenzie<br />

di booking, bisognerebbe dare un<br />

segnale forte didiscontinuità. Ci hanno<br />

provato in molti, con risultati a<br />

volte clamorosi, a volteeroicamente<br />

fallimentari, a volte nulli e velleitari.<br />

Il problema cruciale è proprio questo:<br />

non è necessaria la venuta messianica<br />

diun’etichetta dalle utopiche<br />

intenzioni né di un santone-artista di<br />

riferimento chefaccia da spartiacque,<br />

ma bensì una radicale riconversione<br />

del concetto di artistastesso. Focalizzarsi<br />

sulla moda passeggera, rievocare<br />

i fasti gloriosi di soundleggendario<br />

ma ormai datato, sono i cliché tipici<br />

di chi ha ben chiaro dove vuolearrivare,<br />

ma non ha a cuore l’essenza<br />

del suo ruolo, che dovrebbe essere<br />

quellodi creare una forma di dinamismo<br />

emotivo, sociale e per alcuni<br />

versi anchetrascendentale. I temi<br />

attorno i quali l’artista orbita sono<br />

importanti, ma altrettantoè importante<br />

è l’approccio con il quale li<br />

affronta: ci vorrebbe e ci vuole maggiorecoraggio,<br />

spesso le opere che<br />

negli ultimi anni vengono additate<br />

comecapolavori, rivoluzioni, cambi<br />

di passo non sono altro che timide,<br />

pallideimitazioni di pietre miliari<br />

del passato, salve rare eccezioni. Nei<br />

casi miglioritentativi di rielaborazioni<br />

concettuali ed estetiche comunque di<br />

qualcosa di giàelaborato ed espresso.<br />

E’ vero, per avere una discontinuità è necessario<br />

elaborare un nuovo linguaggiosenza<br />

dimenticarsi di trovare però anche<br />

una nuova dimensione dove esprimersi.<br />

Per far ciò occorre una guerra culturale,<br />

introspettiva e collettiva, che crei ildinamismo<br />

su citato teso a rielaborare nuovi<br />

schemi, nuova competizione, nuovasolidarietà.<br />

Quest’ultima tende ad esser sempre<br />

più merce rara in questoambiente: senza<br />

di essa non ci può esser nessuna rete,<br />

nessun underground,nessuna scena. Rimarremo<br />

fedeli ad un sistema di feudalesimo<br />

musicale,arroccato, fermo, immobile.<br />

Nell’immobilità non c’è creazione,<br />

soloconservazione di vecchi schemi, di<br />

inutili barocchi e di opere dimenticabili.<br />

In una società dove i social media non<br />

sono il mezzo ma influenzano lacomunicazione<br />

in sé, è possibile far fluire<br />

nuovi messaggi, creare nuovedimensioni,<br />

costruire una rete autentica? La possibilità<br />

c’è e spetta soltanto a noidifenderla<br />

e diffonderla. Salvare, proteggere ed incentivare<br />

i luoghi fisici di ritrovodove si<br />

sviluppano ancora network artistici senza<br />

vincolo alcuno, se non quello diemozionare,<br />

condividere, creando un’interazione<br />

orizzontale tra artista e platea.<br />

E’ nostro dovere ricollocarci in un quadro<br />

dove non siamo più in posa, ma<br />

abilipittori di uno scenario che può e<br />

deve riflettere i nostri istinti anche più<br />

primitivi,con l’obiettivo non facile di vincere<br />

una guerra dove sono in gioco la<br />

libertàd’espressione e il vezzo facile di<br />

cadere in opportunismi facili. La strada<br />

è lungama inizia da qui.


#ROTTURA1:<br />

Comunque<br />

di Tipea Tapei<br />

Ho fatto un pensiero lucido<br />

Con la testa che sprofondo<br />

E ho visto i nostri mostri<br />

Goffi, gobbi e un po’ scarnati<br />

Così cinici e a amati<br />

Con gli occhi rossi da ubriachi<br />

Ho pianto no a Saturno<br />

Con il ato che si spezza<br />

E maledetto l’autunno<br />

Troppo stretto, fuori turno<br />

E ho pensato all’amarezza<br />

Al letame che ci a resca<br />

All’improvviso è tutto fermo<br />

Sembra bello come ieri<br />

Nel ricordo maledetto<br />

Di un ospite estraneo, malato<br />

Ma voglio tutto l’universo<br />

Me lo mangio<br />

Me ne abbuffo<br />

Faccio scorta<br />

Nelle tasche, nell’ombrello<br />

Nella faccia, tutto addosso<br />

Troppo troppo troppo<br />

Calma e sangue<br />

Pietra e luce<br />

In un attimo è il sapore<br />

Così vero, la realtà...<br />

Cos’è poi che ci distingue<br />

Il veleno nelle vene<br />

Che spruzziamo l’uno nell’altro<br />

Amore mio t’avessi viva<br />

Ti avvolgerei nell’alluminio<br />

E ti conserverei in congelatore<br />

Bella luccica per me, come solo tu sai fare<br />

Fredda pallida, labbra viola<br />

E quel rosso acceso che così<br />

Non si spegnerà<br />

Mai


LIBRI SPOLVERATI:<br />

capolavori dimenticati, strani, fuori catalogo o<br />

anche solo diversi<br />

di Domenico Francesco Cirillo<br />

LA VITA AGRA (LUCIANO<br />

BIANCIARDI, 1962)<br />

Durante gli anni del cosiddetto<br />

“Boom Economico”, compreso tra<br />

gli anni Cinquanta e Sessanta del<br />

XX secolo, c’è stato un libro che<br />

ha saputo dare un sincero punto di<br />

vista diverso della società italiana del<br />

periodo. Una società che era esplosione,<br />

senza dubbio, di idee, nuovi<br />

stili di vita, opportunità lavorative e<br />

svolte artistiche. Un paese soggetto a<br />

cambiamenti anche radicali dal ritmo<br />

frenetico, tra immigrati del Mezzogiorno<br />

che si trasferivano nelle città<br />

del Nord inseguendo le nuove possibilità<br />

e un’industializzazione sempre<br />

più tecnologica e presente nella vita<br />

di tutti i giorni. L’autore in questione<br />

non era alieno da questi risvolti,<br />

anzi, anche lui uno dei tantissimi<br />

italiani che si spostarono più a nord,<br />

precisamente a Milano, sperando di<br />

trovare la galline dalle uova d’oro.<br />

Luciano Bianciardi era il suo nome<br />

e veniva da Grosseto, in Toscana,<br />

da un clima culturalmente fervido<br />

ma ancora legato indissolubilmente<br />

a una vita rurale e di provincia.<br />

Arrivato nella grande Milano venne<br />

assunto in qualità di traduttore da<br />

Feltrinelli, sua è la prima traduzione<br />

italiana nel 1962 del “Tropico del<br />

Capricorno”di Henry Miller, già sequestrato<br />

in patria l’anno precedente<br />

per oscenità e avventurosamente<br />

venduto pressocché sottobanco nel<br />

nostro paese. Il romanzo di cui<br />

parliamo oggi “La Vita Agra” uscì<br />

nello stesso e ruota anch’esso attorno<br />

ad un’esplosione: quella che il protagonista<br />

progetta di compiere facendo saltare<br />

in aria il Pirellone e vendicando la morte<br />

di alcune decine di minatori morti sul<br />

lavoro. Ma fino a che punto anche un<br />

idealista può sopportare prima di essere<br />

schiacciato dal peso della modernità ? Il<br />

romanzo, attraverso un linguaggio spontaneo,<br />

cristallino e coloritoche ha più<br />

di un elemento in comune coi Beat di<br />

cui approfonditamente si occupava la sua<br />

“concittadina d’azione”Fernanda Pivano<br />

fa da contraltare alla rappresentazione<br />

di una una metropoli grigia e soffocante<br />

e alla drammatica rivalutazione dello<br />

scoppio economico italiano vista come<br />

l’inizio di un capitalismo invadente e<br />

di un’industrializzazione massicia, totalitaria,<br />

che opprime gli individui nella loro<br />

quotidianità. Impensabile anche solo da<br />

assesire nell’ubriacatura d’ottimismo che<br />

una parte del paese mostrava in quegli<br />

anni. Interessanntissime rappresentazioni<br />

del sottomondo culturale e intellettuale<br />

milanese dell’epoca, un po’ beat un po’<br />

bohemien, ricostruite poi fedemente da<br />

Carlo Lizzani nella trasposizione filmica<br />

del 1964 dell’omonimo romanzo. Nella<br />

parte finale del romanzo il protagonista/<br />

Bianciardi, perché come per i più celebri<br />

Bukoswio H.S.Thompson o lo stesso<br />

Harry Miller anche Biancardi rende labile<br />

il confine tra fiction e autobiografia,<br />

riverserà il suo piano di distruzione<br />

e il suo dissenso in una maniera più<br />

dolente e relativamente inaspettata, oggi<br />

aggiungeremo anche profetica. Bianciardi,<br />

l’idealista e romantico cui i Baustelle<br />

dedicarono un famoso brano sulla sua<br />

esperienza milanese, morirà prematuramente<br />

all’inizio degli anni 70 devastato<br />

dall’alcol e venendo rivalutato più di<br />

vent’anni dopo con la biografia “Vita<br />

Agra di un anarchico” diPino Corrias,<br />

avventurosa tanto quanto il suo romanzo.


ROMANZO CON COCAINA (M.<br />

AGEEV, 1934)<br />

La letteratura è piena di cattivi ragazzi<br />

ma mai nessuno si è avvicinato<br />

al cinismo e alla psicologia di<br />

“Romanzo con Cocaina”di M. Ageev.<br />

Già la curiosa storia redazionale<br />

di questo libro ne giustificherebbe<br />

la lettura. Ad inizio anni ’30, in<br />

un plico proveniente da Costantinopoli,<br />

giunse a Parigi il manoscritto<br />

in russo di questo “Romanzo con<br />

Cocaina”, il quale venne pubblicato<br />

a puntate su Vstreci (“incontri”), rivista<br />

per emigrati russi residenti in<br />

Francia e successivamente pubblicato<br />

in volume unico. Date le scarse<br />

informazioni sì è speculato a lungo<br />

sull’autore, riportato sul manoscritto<br />

come M. Ageev (Agayev in alcune<br />

translitterazioni). C’è chi ha dedotto<br />

fosse anch’egli un emigrato russo a<br />

Parigi, chi invece immaginò un autore<br />

mai allontanatosi dall’URSS che<br />

ha riversato sè stesso in un’unica<br />

potente opera, chi ha immaginato<br />

fosse uno pseudonimo, alcuni hanno<br />

speculato potesse essere Vladimir<br />

Nabokovin persona sotto mentite<br />

spoglie, lui ha sempre rinnegato e<br />

lo stile narrativo confermerebbe la<br />

sua versione. Ma cosa c’è di così<br />

forte in questa misteriosa opera unica?<br />

Ci troviamo di fronte ad un<br />

piccolo grande gioiello dimenticato<br />

della letteratura russa, ingustamente<br />

spesso trascurato, che narra la storia<br />

di un ragazzo sbandato con difficoltà<br />

sociali apparenti che si riversano<br />

nelle sue giornate di scuola e nei<br />

confronti di una madre spesso oggetto<br />

di crudeltà gratuite da parte dello<br />

stesso giovane protagonista, il quale<br />

attraverserà prima una relazione tormentata<br />

con la giovane amata Sonja<br />

e poi a quella, altrettanto problematica,<br />

con la dama bianca, la coca,<br />

il tutto nel periodo immediatamente<br />

antecedente la Rivoluzione d’Ottobre.<br />

Il titolo originale del romanzo è<br />

ancora più eloquente, “Roman s kokainom”in<br />

cui Roman pare avere il doppio<br />

significato tanto di “Romanzo” quanto<br />

quello inglese di “Romance” a sottolineare<br />

l’ambiguità della relazione amorosa e<br />

quella con la polvere bianca. La droga fà<br />

il suo ingresso solo nella terza parte del<br />

libro ma l’effetto è a dir poco devastante,<br />

tanto negli effetti sul povero protagonista<br />

quanto sul lettore cui non verranno risparmiate<br />

descrizioni dettagliate e di una<br />

tale lucidità psicologica da esser degne<br />

del miglior Dostoevskij. Sempre se, in<br />

un ipotetica via di mezzo tra ucronia e<br />

distopia, Dostoevskij fosse vissuto fino al<br />

XX secolo e avesse conosciuto gli orrori<br />

del nuovo secolo tra questi la droga.<br />

Non non farei paragoni tanto azzardati<br />

se non lo trovassi, come trovo, assolutamente<br />

degno e di pari livello questo<br />

ad un “L’idiota”. Il periodare spezzato e<br />

incisivo, quasi degno di un aforismario,<br />

e la profonditā delle riflessioni esistenziali<br />

del giovane protagonista farebbero impallidire<br />

qualsiasi Holden Caufield. Chiunque<br />

sia questo Ageev, probabilmente non<br />

lo sapremo mai, possiamo sperare solo<br />

che abbia avuto la consapevolezza anche<br />

solo per un attimo di accorgersi della<br />

grandezza della sua opera.


Naked<br />

di Iulia<br />

Spogli d’ogni inutile maschera.<br />

Siamo nudi.<br />

E, discinti in toto,<br />

di tutti siamo<br />

e di nessuno.<br />

Poliedri,<br />

mutiamo a seconda della stagione.<br />

Vulnerabili,<br />

come lumache prive di guscio<br />

che apatiche strascicano in carreggiata<br />

con l’illusione d’esser travolte<br />

agognando una vergine dimora.<br />

Artica batte la pioggia<br />

sul molle epitelio,<br />

lava il cristallino nastro di bava<br />

che lasciano alle spalle.<br />

[memorie che tentano d’incollarsi al suolo,<br />

flash-back amalgamati al cemento].<br />

Radicati,<br />

al suolo come secolari querce<br />

che autorizzano l’aitante vento<br />

a scompigliar le voluminose chiome,<br />

sibila Egli pacate ninna-nanne<br />

tra le foglie.<br />

Irriverenti sospiri accarezzano<br />

i giovani e più alti rami danzanti<br />

che emancipati si flettono<br />

verso l’intangibile ionosfera.<br />

[I sogni svincolano e si protendono<br />

alle nuvole che in alto deambulano in gregge].<br />

Risoluti,<br />

sulla nuda roccia come stambecchi scalatori<br />

che in equilibrio sostano tra le sporgenze<br />

d’inclinate e temibili pareti,<br />

noncuranti del vuoto che sotto spiomba.<br />

Audaci conquistano la vetta<br />

Inerpicandosi in verticale<br />

in anticipo mentale su ogni singolo passo.<br />

Zoccolano coriacei e leali verso l’ obiettivo<br />

scalfendo la parete di selce che li sorregge.<br />

[la materia dei sogni e delle illusioni si concretizza<br />

prende forma e diviene solida pietra]


#ROTTURA2:<br />

IERI / OGGI<br />

di Tipea Tapei

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