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Cap.II Mediazione familiare sistemica - DI FEBO SARA

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<strong>Cap</strong>.I La mediazione <strong>familiare</strong><br />

§ 1.1 Storia e concettualizzazioni della mediazione<br />

La mediazione, intesa come uno strumento di aiuto alle persone nella<br />

risoluzione dei conflitti si riferisce ad una pratica agita da sempre in tutte le latitudini<br />

e non circoscrivibile al solo ambito delle sparazioni-divorzi.<br />

Da sempre sono stati trovati metodi pacifici per risolvere le dispute tra<br />

singoli famiglie o gruppi, con l'intervento di un terzo che aiutava a trovare soluzioni<br />

accettabili per tutte le parti in causa.<br />

La ricerca della figura che si assumesse questo compito è variata in<br />

relazione alle varie culture e ai diversi momenti storici.<br />

Già cinque secoli prima di Cristo, nell'antica Cina come in diverse tribù<br />

dell'Africa centrale, si ricorreva alla mediazione come metodo preferenziale per la<br />

risoluzione dei conflitti.<br />

Nelle grandi comunità si ricorreva al capoclan come persona autorevole per<br />

risolvere questioni di carattere civile, comprese le dispute familiari. Nelle nostre<br />

società occidentali, nelle famiglie patriarcali, gli anziani, riconosciuti come "capi",<br />

garantivano una risorsa di mediazione per la giovane coppia.<br />

Con l'industrializzazione e l'urbanizzazione nasce la famiglia nucleare e<br />

scompaiono la famiglia estesa e il clan. Dovendo affrontare una vasta gamma di<br />

bisogni vitali per la famiglia ed evolutivi per i singoli, ci si rivolge sempre di più a<br />

istituzioni e strutture sociali.<br />

Nella prima era industriale, all'inizio del fenomeno dell'urbanesimo furono<br />

la Chiesa e le autorità religiose a rivestire il ruolo di mediatori familiari; lo stesso fu<br />

anche nelle altre religioni.<br />

storiche.<br />

Oggi, la mediazione <strong>familiare</strong> riprende il copione ereditato da queste forme<br />

La moderna mediazione nasce come un processo legato agli scambi<br />

commerciali: nel 1913 negli Stati Uniti il Dipartimento del Lavoro introduce l'attività<br />

1


di mediazione allo scopo di dirimere le questioni sindacali tra dipendenti e aziende 1 .<br />

Ad Atlanta nel 1974 nasce il primo centro di mediazione <strong>familiare</strong>, per<br />

opera dello psicologo e avvocato statunitense James Coogler.<br />

Una serie di episodi e sperimentazioni hanno favorito l'affermarsi della<br />

pratica mediatoria: un primo passo decisivo si è avuto quando, nei casi di<br />

dissociazione coniugale in alcune aule giudiziarie, è maturato il concetto di<br />

negoziazione, rispetto alla tradizionale tecnica di conciliazione.<br />

Nel 1939 la Los Angles County Conciliation Court iniziò la sua attività<br />

terapeutica a favore delle famiglie: prevenzione, difesa dei diritti della prole, del<br />

matrimonio e della vita <strong>familiare</strong>, riconciliazione delle coppie e dei loro conflitti.<br />

I servizi offerti dalla Los Angles County Conciliation Court hanno maturato<br />

la necessità di entrare nell'ottica della negoziazione; quest’ultima, dunque, sembra<br />

favorire la nascita e l'affermazione della mediazione.<br />

Negoziazione e mediazione, pur avendo alcune analogie, occupano<br />

differenti aree applicative. La negoziazione precede storicamente la mediazione, non<br />

prevede l'incontro diretto delle parti interessate, che si rivolgono ai negoziatori;<br />

questi ultimi basano la loro attività sulla maggiore soddisfazione possibile dei<br />

committenti e operano soprattutto sul piano della trattativa sociale e del lavoro.<br />

Dagli Stati Uniti la pratica della mediazione <strong>familiare</strong> si diffonde fin dai<br />

primi anni '80 anche in Europa, anche se il concetto risale alla fine del XIX secolo,<br />

quando in Gran Bretagna venne creato l’"Istituto della Riconciliazione" in<br />

collaborazione con i Tribunali. In anni più recenti la cultura e la pratica della<br />

mediazione hanno avuto una grande diffusione.<br />

Il primo servizio di mediazione <strong>familiare</strong> fu fondato a Bristol nel 1978 e,<br />

poco dopo, ne fu istituito uno presso il Tribunale della stessa città. A Londra ha sede<br />

la National Association of Family Mediation and Conciliation Services.<br />

Nel 1995 in Francia è stata approvata una legge che introduce la mediazione<br />

<strong>familiare</strong> nell’ordinamento giudiziario nazionale. Nel 1992 è stata redatta la Charte<br />

européenne de la formation des médiateurs familiaux dans les situation de divorce et<br />

separation a cura della Commissione sulla formazione del mediatore <strong>familiare</strong> e<br />

1 Vetere M., Relazione introduttiva alle sessioni di mediazione <strong>familiare</strong> 1, in <strong>Mediazione</strong> Familiare<br />

Sistemica, Atti del Convegno AIMS, Castelbrando Treviso, 7-8 novembre 2003, nn. 3/4 novembre<br />

2005-2006.<br />

2


promossa dall’Association pour la Promotion de la Médiation Familiale (APMF) di<br />

Parigi.<br />

La Carta europea, cui aderiscono numerosi Paesi quali Germania, Belgio,<br />

Francia, Gran Bretagna, Italia, Svizzera, ha lo scopo di garantire ordine, coerenza,<br />

omogeneità, professionalità in un panorama qual è quello attuale ancora<br />

caratterizzato da un grande e diversificato proliferare di iniziative.<br />

Nel 1997 a Marsiglia è stato istituito il Forum Europeo per la formazione e<br />

la ricerca in mediazione <strong>familiare</strong>, una sorta di coordinamento a livello europeo con<br />

lo scopo di superare le divergenze tra i vari approcci, valorizzando allo stesso tempo<br />

le differenze.<br />

In Italia la mediazione viene introdotta qualche anno dopo rispetto ad altri<br />

Paesi europei. Le prime significative esperienze sono state l’apertura a Milano nel<br />

1987 del Centro GeA (Genitori Ancora) e la costituzione nel 1988 di una<br />

collaborazione fra il Centro studi di Psicologia giuridica dell’età evolutiva e della<br />

famiglia dell’Università La Sapienza e l’Ufficio Tutele della Pretura di Roma.<br />

Nel 1995 sono state costituite due associazioni che riuniscono persone e<br />

servizi che, pur condividendo principi, finalità, programmi, mantengono le rispettive<br />

specificità e originalità: la Società italiana di mediazione <strong>familiare</strong> (Simef) 2 , alla<br />

quale aderiscono operatori con diversi riferimenti teorici, e l’Associazione<br />

internazionale mediatori sistemici, fondata nel 1995 (Aims) 3 , che riunisce operatori<br />

essenzialmente di formazione <strong>sistemica</strong>.<br />

Diversi sono i criteri che distinguono i modelli; tra questi anche la presenza<br />

o meno dei figli nel setting. Al GeA, per esempio, non si lavora con i figli presenti,<br />

ma solo con le "rappresentazioni" che di essi fanno i genitori, gli aderenti all’Aims<br />

prevedono invece anche la possibilità di coinvolgere i figli nella mediazione, se<br />

necessario.<br />

Diverse sono le definizioni che si possono facilmente trovare circa la<br />

mediazione; di conseguenza troviamo diverse sfaccettature quanti sono gli autori che<br />

2 Alla Simef aderiscono il GeA di Milano, la sezione di <strong>Mediazione</strong> <strong>familiare</strong> presso la Facoltà di<br />

psicologia dell’Università La Sapienza di Roma, il Centro studi e ricerche sulla famiglia<br />

dell’Università Cattolica di Milano, il Servizio di <strong>Mediazione</strong> <strong>familiare</strong> presso il Centro età evolutiva<br />

di Roma, sezione di <strong>Mediazione</strong> <strong>familiare</strong> servizio età evolutiva Ulss 14 di Genova.<br />

3 Aderiscono, fra altri, all’Aims l’Iscra di Modena, Eteropoiesi e Punto Familia di Torino, l’Istituto di<br />

terapia <strong>familiare</strong> di Firenze, il Nuovo centro studi G. Bateson di Milano.<br />

3


hanno scritto su di essa:<br />

● La mediazione <strong>familiare</strong> è un intervento professionale rivolto alle coppie e<br />

finalizzato a riorganizzare le relazioni familiari in presenza di una volontà di<br />

separazione e/o di divorzio. Obiettivo centrale della mediazione <strong>familiare</strong> è il<br />

raggiungimento della cogenitorialità (o bigenitorialità) ovvero la salvaguardia<br />

della responsabilità genitoriale individuale nei confronti dei figli, in special<br />

modo se minori. Si tratta di una disciplina trasversale che utilizza conoscenze<br />

proprie alla sociologia, alla psicologia e alla giurisprudenza finalizzate<br />

all'utilizzo di tecniche specifiche quali quelle di mediazione e di negoziazione<br />

del conflitto 4 .<br />

● La mediazione è "l'intervento, nell'ambito di una disputa tra i due<br />

contendenti, di una terza persona imparziale, neutrale, e gradita ad entrambi,<br />

che non riveste autorità decisionale, ma li aiuta affinché essi pervengano ad<br />

una soluzione della vertenza che risulti di reciproca soddisfazione soggettiva<br />

e comune vantaggio oggettivo" 5 .<br />

● La mediazione <strong>familiare</strong> può essere intesa come "un percorso per la<br />

riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o in seguito alla separazione<br />

o al divorzio" 6 .<br />

● "La mediazione è un processo attraverso il quale due o più parti si rivolgono<br />

liberamente a un terzo neutrale, il mediatore, per ridurre gli effetti<br />

indesiderabili di un grave conflitto. La mediazione mira a ristabilire il dialogo<br />

tra le parti per poter raggiungere un obiettivo concreto: la realizzazione di un<br />

progetto di riorganizzazione delle relazioni che risulti il più possibile<br />

soddisfacente per tutti. L'obiettivo finale della mediazione si realizza una<br />

volta che le parti si siano creativamente riappropriate, nell'interesse proprio e<br />

di tutti i soggetti coinvolti, della propria attiva e responsabile capacità<br />

decisionale" 7 .<br />

● L'associazione per la Promozione della <strong>Mediazione</strong> Familiare, a Parigi, nel<br />

4 Wikipedia, enciclopedia libera.<br />

5 Gulotta G., Santi G., Dal conflitto al consenso, Milano, Giuffrè, 1988, p.36.<br />

6 Aa.Vv., Genitori ancora, a cura di Bernardini I., Milano, Editori Riuniti, 1994, pp.76-77.<br />

7 Castelli S., La mediazione. Teorie e tecniche, Milano, Cortina, 1996, p.5.<br />

4


1990 ha definito la mediazione come "un processo di risoluzione dei conflitti<br />

familiari: le coppie, coniugate o no, richiedono o accettano l'intervento<br />

confidenziale di una terza persona, neutrale e qualificata, chiamata mediatore<br />

<strong>familiare</strong>. Il ruolo del mediatore consiste nel mettere in condizioni i membri<br />

di trovare essi stessi le basi di un accordo durevole, tenendo conto dei bisogni<br />

di ciascun componente della famiglia, con una particolare attenzione ai figli".<br />

● Buzzi dà una definizione che dilata l'area di interesse della mediazione<br />

<strong>familiare</strong>, affermando che questa "è destinata a coppie sposate e non sposate,<br />

prima o anche successivamente l'entrata in giudizio legale per la dissoluzione<br />

del loro rapporto coniugale, e si occupa di facilitare la soluzione di liti<br />

riguardanti questioni relazionali e/o organizzative come: la divisione delle<br />

proprietà comuni, l'assegno di mantenimento, gli alimenti, le scelte relative<br />

alla responsabilità genitoriale, la residenza primaria dei figli, le visite, ecc.<br />

Tutti gli aspetti relazionali, legali, economici e fiscali legati alla separazione<br />

coniugale e/o divorzio possono essere inclusi nel processo di mediazione" 8 .<br />

● Il regolamento del A.I.M.S. 9 definisce la mediazione <strong>familiare</strong> come<br />

"l’intervento di un professionista neutrale nel conflitto che si accompagna al<br />

processo di separazione e di divorzio: essa si articola in un numero limitato di<br />

incontri, in cui è offerto ai coniugi un contesto strutturato e protetto, dove<br />

affrontare la crisi coniugale, cogliendo le opportunità evolutive che il<br />

conflitto propone anche in funzione della crescita e della maturazione dei<br />

figli.<br />

Con la <strong>Mediazione</strong> Familiare s’intende raggiungere accordi concreti<br />

e stabili nel tempo sulle principali decisioni che riguardano genitori e figli: la<br />

divisione dei beni, l’affidamento e l’educazione dei minori, i periodi di visita<br />

del genitore non affidatario, la gestione del tempo libero, etc. Sono proprio<br />

tali aspetti, infatti, che ostacolano quasi sempre il processo di separazione,<br />

diventando terreno di scontro fra i partners su questioni relazionali di fondo<br />

rimaste irrisolte. Il Modello Sistemico, prendendo in considerazione l’intero<br />

8 Buzzi I., "Introduzione alla mediazione <strong>familiare</strong>", in Haynes J.H., Buzzi I., Introduzione alla<br />

mediazione <strong>familiare</strong>, cit., pp.11-22.<br />

9 Associazione Internazionale Mediatori Sistemici.<br />

5


sistema <strong>familiare</strong> coinvolto, ha il vantaggio di aiutare il gruppo <strong>familiare</strong> a<br />

superare la fase critica del suo ciclo vitale ed a raggiungere, utilizzando le<br />

risorse presenti un assetto relazionale più soddisfacente per i membri della<br />

famiglia. L’intervento viene effettuato con la coppia e, quando è necessario,<br />

con i figli" 10 .<br />

§ 1.2 Modelli di <strong>Mediazione</strong><br />

Nel corso della formazione è opportuno che il mediatore esplori diverse<br />

opzioni metodologico-tecniche, allo scopo di individuare ciò che è più<br />

idoneo per quella specifica coppia. Pertanto, esiste una tipologia e<br />

classificazione di modelli di <strong>Mediazione</strong> Familiare:<br />

� La mediazione integrata: è un modello utilizzato da coloro che considerano<br />

il divorzio un problema relazionale piuttosto che legale nella vita di una<br />

coppia. Si lavora sull’aumento delle capacità di autodeterminazione degli ex<br />

coniugi come fonte di valorizzazione di sé. Pur programmando sedute<br />

congiunte, si preferisce lavorare separatamente ma in modo integrato;<br />

� La mediazione strutturata: è un modello di mediazione istituito da Coogler<br />

ed Heynes, caratterizzato da fasi predefinite in cui si riduce al minimo<br />

l’introduzione dei sentimenti connessi con i contenuti della controversia.<br />

Fortemente orientato sul compito e fondato sui principi della negoziazione,<br />

mira a ristabilire la comunicazione e la collaboratività tra le parti lasciando<br />

ampio spazio all’autodeterminazione.<br />

� La mediazione terapeutica: la priorità è data alla soluzione degli aspetti<br />

emotivo-affettivi connessi al trauma del divorzio. L’obiettivo è di<br />

minimizzare l’impatto delle decisioni più coinvolgenti relative ai figli, alla<br />

divisione dei beni, al sostegno da offrire al coniuge.<br />

� La mediazione negoziale: si intende raggiungere il miglior risultato possibile<br />

utilizzando alcune tecniche della negoziazione; emozioni e sentimenti sono<br />

posti sotto controllo e se l’odio e l’ostilità sono incontenibili il mediatore<br />

10 Art.1, Regolamento AIMS; www.mediazione<strong>sistemica</strong>.it.<br />

6


invia ad un terapeuta.<br />

� La mediazione interdisciplinare : il percorso di mediazione è condotto sia da<br />

un legale che si occupa delle questioni tecniche-finanziarie sia da un<br />

operatore sociale che si occupa della comunicazione e della riduzione delle<br />

aree di conflitto. Gli incontri di coppia avvengono separatamente ma in<br />

presenza di entrambi gli esperti 11 .<br />

§ 1.3 Principi e obiettivi della mediazione <strong>familiare</strong><br />

La mediazione <strong>familiare</strong> nella separazione e nel divorzio presuppone un<br />

atteggiamento culturale di fondo basato sulla consapevolezza che nei<br />

momenti più critici del ciclo vitale di una famiglia, quale quello della<br />

separazione, i bisogni e le necessità di nuove modalità organizzative e<br />

relazionali funzionali al soddisfacimento evolutivo dei bisogni stessi, sono<br />

tali da non poter essere ricondotti esclusivamente a contesti di trattamento<br />

rigidi, formalizzati e obbligati.<br />

L'efficacia della mediazione <strong>familiare</strong> sta proprio nella costitutiva<br />

"debolezza" dei contesti informali e non obbligatori, dipendenti dalla<br />

richiesta e dalla disponibilità personali, e che riconoscono la competenza<br />

degli utenti; accanto ai tradizionali contesti "forti" quali quelli del diritto e<br />

della cura, caratterizzati dalla dimensione dell'obbligo, del controllo. Sono<br />

proprio l'adesione spontanea e la mancanza di una connotazione negativa a<br />

favorire una maggiore attivazione di risorse, legata al sentirsi protagonisti<br />

delle decisioni e, più in generale, della propria vicenda esistenziale.<br />

Alcuni punti di riferimento accomunano la maggior parte degli orientamenti<br />

di mediazione <strong>familiare</strong> nei casi di separazione e divorzio 12 , tra questi:<br />

11 Cigoli “ Psicologia della separazione e del divorzio”- Ed. Il Mulino 2007.<br />

12 Vedi anche A. Tiberio, A. Cericola, Vi dichiaro separati. Separazione, divorzio e mediazione, Ed.<br />

7


➢ autonomia dal contesto giudiziario, seppur in un contesto di collaborazione<br />

con questo;<br />

➢ non colpevolizzazione del processo di separazione;<br />

➢ contenimento e riorganizzazione della conflittualità, intesa come possibilità di<br />

crescita e cambiamento;<br />

➢ valorizzazione delle responsabilità genitoriali e centralità della prole;<br />

➢ non obbligatorietà del processo mediatorio;<br />

➢ transitorietà della mediazione: la mediazione <strong>familiare</strong> prevede un numero<br />

limitato di incontri, in cui il mediatore deve essere in grado di fornire alla<br />

coppia gli strumenti per trovare essi stessi un accordo nel conflitto e non<br />

delegare più a terzi le proprie decisioni;<br />

➢ neutralità del mediatore, il quale non agisce come un arbitro che dà ragione<br />

ora all'uno ora all'altro, ma contiene la confittualità facendo emergere gli<br />

aspetti collaborativi ed emotivi;<br />

➢ stipulazione del contratto (verbale) di mediazione: questo sarà tanto più<br />

valido quanto più sarà considerato in ambito giudiziario;<br />

➢ verifica degli accordi presi nel contratto di mediazione;<br />

➢ distinzione degli aspetti caratterizzanti il conflitto (affettivi, finanziari,<br />

giudiziari).<br />

La mediazione <strong>familiare</strong> prevede un numero limitato di incontri - distinti in<br />

tre fasi, una iniziale, di due o tre sedute per la definizione del conflitto e delle<br />

possibili risorse, una centrale e una finale - che in relazione all'orientamento<br />

metodologico, varia da otto a dieci, concordati con il mediatore.<br />

E' compito del mediatore scandire la durata degli incontri e dell'intero<br />

processo e rispettare e far rispettare le regole fondamentali della mediazione.<br />

Franco Angeli, pp.95-97.<br />

8


Il primo approccio con l'intervento mediatorio ha inizio attraverso un primo<br />

contatto con la struttura di mediazione, quando l'operatore delinea chiaramente le<br />

caratteristiche e gli obiettivi della mediazione <strong>familiare</strong>; lo scopo principale è fornire<br />

dati descrittivi e verificare l'attuabilità di un appuntamento per un colloquio<br />

congiunto. Già dal primo incontro ha inizio l'accertamento della mediabilità del<br />

conflitto della coppia in fase di separazione o divorzio.<br />

Nella fase iniziale della mediazione, che si conclude in genere in due o tre<br />

incontri, il mediatore deve saper ascoltare e prestare attenzione ad entrambi i membri<br />

della coppia, far emergere i motivi del conflitto, comprendere la sofferenza e le<br />

aspettative; il mediatore, dopo aver chiarito la situazione <strong>familiare</strong>, le regole, le<br />

aspettative e gli obiettivi dell'intervento mediatorio, tenta di attivare nei genitori o<br />

nella coppia separata la volontà di trovare un accordo sul loro futuro.<br />

Nella seconda fase si lavora sul presente, per raggiungere e attuare accordi<br />

concreti e specifici: l'attenzione è rivolta alle richieste, ai limiti e alle libertà che i<br />

genitori considerano accettabili e che insieme possono rendere efficaci. Ad ogni<br />

incontro è fondamentale sintetizzare gli argomenti già affrontati, facendo emergere<br />

ciò che può risultare utile al processo mediatorio.<br />

Compito del mediatore è aiutare la coppia a focalizzare l'attenzione su ciò<br />

che è essenziale per il futuro, superando gli aspetti negativi della conflittualità e<br />

fornendo gli strumenti per la stesura di un accordo.<br />

Da parte loro, i membri della coppia in mediazione devono impegnarsi,<br />

anche al di fuori degli incontri di mediazione, a mettere in pratica ciò che hanno<br />

acquisito teoricamente nei colloqui: iniziare ad accettare psicologicamente la<br />

separazione continuando comunque a condividere la progettualità del futuro<br />

genitoriale. Gli obiettivi di questa specifica fase consistono nel portare i genitori al di<br />

fuori delle possibili influenze che fanno vivere la separazione o il divorzio con<br />

sentimenti di colpa e nell'aiutarli a considerare la loro esperienza in relazione al<br />

presente e non in confronto con i modelli del passato.<br />

Il fine ultimo è permettere alla coppia di affrontare il conflitto recuperando<br />

pienamente il senso di responsabilità, senza evitare i problemi e la sofferenza che<br />

9


questo comporta.<br />

Nell'eventualità che uno dei membri della coppia in mediazione chieda di<br />

effettuare un incontro individuale, il mediatore proporrà lo stesso anche all'altro<br />

coniuge; restando così in posizione neutrale e avendo la possibilità di ottenere<br />

chiarimenti da parte di entrambi e di approfondire alcuni aspetti particolarmente<br />

problematici.<br />

Questa fase centrale della mediazione deve portare alla realizzazione di un<br />

contratto verbale di mediazione e deve dimostrare il passaggio dalla discussine dei<br />

colloqui alla realizzazione pratica nella vita di tutti i giorni: recupero della<br />

genitorialità, gestione adeguata e responsabile del conflitto, accordi di verfica e,<br />

soprattutto, l'acquisizione di una nuova cultura in tema di separazione e divorzio. 13<br />

La fase conclusiva prevede la stesura scritta del contratto verbale, che<br />

dev'essere chiaro, semplice, lineare e, soprattutto, deve dimostrare di essere frutto<br />

della collaborazione di entrambi gli interlocutori. Compito del mediatore è avvertire<br />

la possibilità di eventuali disaccordi e preparare la coppia o i genitori ad affrontarli.<br />

§ 1.4 Competenze del Mediatore Familiare<br />

E' necessario che durante il percorso di formazione e supervisione il<br />

mediatore <strong>familiare</strong> acquisisca competenze specifiche, quali:<br />

� saper strutturare l’incontro;<br />

� saper identificare lo stato emotivo degli ex coniugi;<br />

� saper aiutare la coppia a ordinare le questioni relative al conflitto;<br />

� saper equilibrare il potere dei partecipanti e valorizzare la loro abilità a<br />

negoziare;<br />

13 Cfr. Cericola A., Tiberio A., Il modello di mediazione <strong>familiare</strong> in Italia, in Rassegna di Servizio<br />

Sociale, n.3, 1997, pp.65-73.<br />

10


� saper utilizzare tecniche idonee per riformulare gli interventi dei partecipanti;<br />

� sapere come e quanto spostare la discussione dal livello dei principi e dei<br />

valori, per affrontare gli interessi concreti o viceversa;<br />

� sapere come modificare lo stile di negoziazione dei partecipanti, in modo da<br />

farli passare da uno stile avversario e oppositivo ad uno stile di cooperazione<br />

ed integrazione;<br />

� saper utilizzare l’invio ad altre persone e l’uso di altre risorse.<br />

§ 1.5 Il coinvolgimento di altre figure professionali: la co-mediazione<br />

Negli ultimi tempi si sta diffondendo un nuovo modo di svolgere<br />

l’intervento di mediazione; si tratta di una mediazione a tutto tondo, più complessa e<br />

più informata su tutte le aree di competenza e di interesse, che comporta l'intervento<br />

di co-mediazione tra diverse figure professionali.<br />

Un modello di lavoro in equipe può risultare molto vantaggioso, infatti, si<br />

può scegliere la co-mediazione per raggiungere diversi obiettivi: per aiutare un<br />

mediatore inesperto ad imparare da un collega più competente, per la supervisione,<br />

per una funzione di equilibrio e di supporto quando esistono squilibri di potere tra le<br />

parti, per una funzione di equilibrio sessuale o culturale, per incrementare la gamma<br />

di conoscenze e capacità disponibili all’interno della mediazione, per il cambiamento<br />

delle dinamiche del processo, ed infine per l’ampliamento del numero e dei tipi di<br />

strategia possibili.<br />

Quindi, purché sussistano le condizioni di base per attuarla, la co-<br />

mediazione può offrire molti vantaggi.<br />

Anche diverse prospettive professionali ed esperienze all’interno di un<br />

gruppo di mediazione interdisciplinare, offrono più competenza e sicurezza nella<br />

gestione di molte problematiche; infatti, si avrà una gamma più ampia di competenze<br />

e modalità strategiche per fornire informazioni alla coppia e possibilità di<br />

completarsi a vicenda.<br />

Le motivazioni che possono stimolare gli operatori a co-condurre gli<br />

incontri, si rivelano coincidenti con i principali vantaggi riportati dagli studi e dalle<br />

11


icerche che hanno trattato il tema dell’interdisciplinarità.<br />

La separazione ha l’opportunità di essere gestita con maggiore completezza<br />

affrontando congiuntamente le sue problematiche tipiche, da prospettive<br />

professionali diverse, ma perseguendo un obiettivo comune all’interno del processo<br />

di mediazione. In quest’ottica, la co-mediazione interdisciplinare si inserisce molto<br />

bene tra la terapia, che sostiene le persone e le cura negli aspetti disfunzionali a<br />

livello relazionale e/o nella manifestazione del sintomo, e il diritto inteso come<br />

cornice normativa a tutela della parte potenzialmente più debole, ora i figli, ora<br />

l’altro partner.<br />

La co-mediazione porta con sè anche degli svantaggi:<br />

� gestione dei costi: due mediatori costano più di un solo mediatore;<br />

� utilizzo di risorse: poiché l’impiego di due mediatori non è sempre<br />

necessario;<br />

� gestione del tempo e del luogo: due mediatori richiedono tempi più lunghi<br />

nella redazione dei riassunti e nella decisione del luogo;<br />

� competizione o confusione: due mediatori potrebbero sbagliare nel recepire<br />

le istruzioni dell’altro o esercitare una pressione eccessiva per un cliente<br />

debole e nervoso.<br />

A fronte di tutto questo, la valenza della co-mediazione è indiscutibile poiché<br />

costituisce una componente essenziale per la formazione dei “nuovi” mediatori,<br />

poiché fornisce un’occasione di apprendimento immediato, dà sicurezza e permette<br />

ai mediatori di capire quali metodi funzionano e quali no; infine, per i mediatori<br />

esperti essere affiancati da una persona nuova può essere di stimolo a riflettere<br />

meglio sul loro modo di lavorare.<br />

12


<strong>Cap</strong>.<strong>II</strong> <strong>Mediazione</strong> <strong>familiare</strong> <strong>sistemica</strong><br />

Dagli anni '50 il modello di approccio sistemico si è configurato come<br />

plausibile riferimento nell'ambito della psicologia clinica. Così come per la<br />

psicoterapia, si è inteso adottare l'indirizzo sistemico quale riferimento<br />

epistemologico anche per la mediazione <strong>familiare</strong>. Nel 1995 è stata fondata l'AIMS,<br />

Associazione Internazionale dei Mediatori Sistemici, che, con i propri statuto,<br />

regolamento e codice deontologico, funge da punto di riferimento per la formazione<br />

e la professione di mediazione ad approccio sistemico.<br />

"Per mediazione <strong>sistemica</strong> si intende un Processo di negoziazione che fa riferimento<br />

dal punto di vista teorico e pragmatico all'approccio sistemico-relazionale (alla<br />

teoria della comunicazione, dell'informazione e alla teoria generale dei sistemi)". 14<br />

La <strong>Mediazione</strong> affronta il conflitto nei vari contesti in cui si manifesta e ne<br />

ricerca gli aspetti evolutivi; non entra direttamente nei problemi del conflitto<br />

proponendo soluzioni, ma fornisce strumenti per la risoluzione dello stesso da parte<br />

delle parti protagoniste 15 ; considera il conflitto un evento naturale e non eccezionale,<br />

indicatore di una fase di profonda trasformazione e cambiamento; in particolare, la<br />

mediazione <strong>familiare</strong> è quel processo attraverso il quale i conflitti che nascono nel<br />

contesto <strong>familiare</strong> sono gestiti con l'aiuto di un professionista "neutrale" e qualificato<br />

- il mediatore – al quale è affidato il compito non di risolvere i problemi ma di<br />

favorire il raggiungimento di un accordo e una modalità di gestione dei rapporti tale<br />

da permettere di convivere con il conflitto stesso, evidenziando le potenzialità<br />

evolutive dei singoli individui e del sistema, o dei nuovi microsistemi in formazione.<br />

Il "terzo neutrale" interviene per aiutare la famiglia a trovare essa stessa le<br />

basi per un accordo, non propone soluzioni, ma fornisce stimoli.<br />

§ 2.1 Quadro epistemologico<br />

La <strong>Mediazione</strong> <strong>familiare</strong> <strong>sistemica</strong> adotta, dunque, come quadro di<br />

14 Bassoli F., convegno su <strong>Mediazione</strong> e Costruzionismo sociale, in Delbert R.M., <strong>Mediazione</strong>, in<br />

<strong>Mediazione</strong> Sistemica, Bassoli F., Mariotti M., Frison R., Ed. Sapere,1999.<br />

15 Bassoli F., Introduzione: perchè mediazione <strong>sistemica</strong>, in <strong>Mediazione</strong> Sistemica, Bassoli F.,<br />

Mariotti M., Frison R., Ed. Sapere,1999.<br />

13


iferimento epistemologico la teoria <strong>sistemica</strong>; su questa basa principi e metodologie.<br />

Dagli anni '50 l'approccio sistemico ha rappresentato un plausibile<br />

riferimento nel campo della psicologia clinica. Oggi l'indirizzo sistemico viene<br />

adottato come quadro epistemologico sia in psicoterapia sia in mediazione: si adotta<br />

una concezione <strong>sistemica</strong> e relazionale della natura umana, una visione "contestuale"<br />

della sofferenza e del conflitto.<br />

Gregory Bateson, il "grande padre" della teoria <strong>sistemica</strong> ha dato vita<br />

all'idea che senza contesto non è possibile comprendere il comportamento umano;<br />

dunque, l'approccio sistemico relazionale valorizza "la relazione nella misura in cui<br />

l'individuo viene colto entro la struttura dei rapporti che ha con altri individui nei vari<br />

contesti di appartenenza" 16 .<br />

La famiglia ha costituito il punto di riferimento privilegiato nella<br />

mediazione dei conflitti; questa è intesa come un Sistema, un sistema aperto, inserita<br />

in un contesto, organizzata in sottosistemi in relazione tra loro e con altri sistemi.<br />

In quanto sistema, la famiglia ha le proprietà attribuite ai sistemi stessi:<br />

1. Totalità, per cui "ogni parte di un sistema è in rapporto tale con le parti che lo<br />

costituiscono che qualunque cambiamento in una parte causa un<br />

cambiamento in tutte le parti e in tutto il sistema" 18 ; ne consegue la non-<br />

sommatività delle parti, secondo la quale un sistema non può coincidere con<br />

la somma delle sue parti, quindi per conoscere il sistema è necessario<br />

trascurare le parti per fare attenzione all'organizzazione. Al principio della<br />

totalità dei sistemi può essere ricondotto anche il principio di relazioni<br />

circolari tra gli elementi del sistema che smentisce la teoria dell'interazione<br />

unilaterale 19 tra elementi: se il comportamento di A influenza il<br />

comportamento di B, questo non può far altro che influenzare a sua volta la<br />

reazione di A.<br />

2. Retroazione: "circolarità e retroazione sono il modello causale appropriato<br />

16 I principi sistemici della mediazione nella famiglia e nelle istituzioni, in “<strong>Mediazione</strong> Familiare<br />

Sistemica”, Atti del Convegno AIMS, Castelbrando Treviso, 7-8 novembre 2003, nn. 3/4 novembre<br />

2005-2006.<br />

18 P. Watzlawick, J. H. Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Ed.<br />

Astrolabio, Roma 1997, p.113.<br />

19 Secondo la Teoria dell'interazione unilaterale A può influenzare B ma non viceversa.<br />

14


per la teoria dei sistemi interattivi". 20 Come precedentemente affermato, il<br />

comportamento di ogni elemento del sistema influenza ed è influenzato dal<br />

comportamento di ogni altro elemento.<br />

3. Equifinalità: "in un sistema circolare e autoregolantesi, i risultati non sono<br />

determinati tanto dalle condizioni iniziali quanto dalla natura del processo o<br />

dai parametri del sistema. ... Gli stessi risultati possono avere origini diverse<br />

perché ciò che è determinante è la natura dell'organizzazione. ... Se il<br />

comportamento equifinale dei sistemi aperti è basato sulla loro indipendenza<br />

dalle condizioni iniziali, allora non soltanto condizioni iniziali diverse<br />

possono produrre lo stesso risultato finale, ma risultati diversi possono essere<br />

stati prodotti dalle stesse cause". 21<br />

Individuata la famiglia come un sistema aperto, non si può prescindere<br />

dall'attenzione al contesto in cui è inserita: "un fenomeno resta inspiegabile finché il<br />

campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il<br />

fenomeno si verifica" 22 . Il processo di mediazione <strong>familiare</strong> in un'ottica <strong>sistemica</strong><br />

dovrà considerare il contesto in cui il conflitto si verifica, più che il suo contenuto;<br />

questo implica un allargamento dell'attenzione a tutto il sistema <strong>familiare</strong> e non solo<br />

alla diade marito-moglie, ma anche ai figli (se presenti) e alle generazioni parentali;<br />

il conflitto viene considerato in un ottica trigenerazionale, nelle relazioni orizzontali<br />

e verticali tra i membri del sistema. Fondamentale per la comprensione delle<br />

dinamiche del conflitto sarà l'analisi del genogramma e del ciclo di vita della<br />

famiglia." La coppia da sola appare un'entità monca, spogliata della sua storia e dei<br />

suoi legami tra le generazioni. ...I figli come la generazione dei genitori dei genitori,<br />

non saranno mai tenuti distanti dall'evento che li coinvolge". 23<br />

20 P. Watzlawick, J. H. Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Ed.<br />

Astrolabio, Roma 1997, p.117.<br />

21 P. Watzlawick, J. H. Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Ed.<br />

Astrolabio, Roma 1997, p.117.<br />

22 P. Watzlawick, J. H. Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Ed.<br />

Astrolabio, Roma 1997, p.14.<br />

23 Bassoli F., Introduzione: perchè mediazione <strong>sistemica</strong>, in <strong>Mediazione</strong> Sistemica, Bassoli F.,<br />

Mariotti M., Frison R., Ed. Sapere,1999.<br />

15


§ 2.2 Una nuova concezione del conflitto<br />

La mediazione si occupa del fenomeno conflitto, considerato come un<br />

evento naturale e non più eccezionale, né positivo né negativo, bensì indicativo di<br />

una fase di profonda trasformazione e cambiamento. 24<br />

La visione <strong>sistemica</strong> abbandona una concezione negativistica del conflitto,<br />

non più visto come un evento negativo e distruttivo, ma contemporaneamente nei<br />

suoi aspetti di vincolo e possibilità rispetto ai processi evolutivi dei sistemi in esso<br />

coinvolti.<br />

Si ritiene che il conflitto sia caratterizzato da preziose potenzialità evolutive,<br />

che però restano spesso soffocate in una dinamica di competizione tra le parti,<br />

limitando così le possibilità di sviluppo sia individuali che familiari.<br />

Il conflitto è una dimensione inevitabile in qualsiasi relazione, sia tra singoli<br />

sia tra gruppi, piccoli come la famiglia o grandi, come aziende o addirittura nazioni.<br />

Il conflitto ha come possibile teatro anche il singolo, si pensi alla<br />

dimensione intrapsichica del conflitto, analizzata dalla psicologia ad orientamento<br />

psicodinamico.<br />

Adottando un'ottica relazionale-<strong>sistemica</strong> e considerando quindi il conflitto<br />

in una dimensione interpersonale, si può considerare l'individuo come un sistema in<br />

relazione con altri sistemi, sovrasistemi esterni e sottosistemi interni; ossia, "come<br />

unità complessa e allo stesso tempo originale, non complementare e non omogenea,<br />

poiché costituita da elementi peculiari e differenti tra loro interrelati" 25 .<br />

La famiglia, intesa come organizzazione complessa di relazioni di parentela,<br />

è scenario, lungo il proprio ciclo di vita, di conflitti di diversa natura che si snodano a<br />

diversi livelli relazionali: possono riguardare i sottosistemi familiari (figli, relazione<br />

genitori-figli, rapporti con la famiglia di origine) e la famiglia estesa, all'interno di<br />

una cornice multigenerazionale. Ogni gruppo <strong>familiare</strong> sarà caratterizzato da<br />

specifiche dinamiche relazionali, modalità interattive e tipo di problemi che dovrà<br />

affrontare sia al suo interno sia in relazione con l'ambiente esterno.<br />

24 Delbert R.M., <strong>Mediazione</strong>, in <strong>Mediazione</strong> Sistemica, Bassoli F., Mariotti M., Frison R., Ed.<br />

Sapere,1999.<br />

25 Giuliani C., Il conflitto: ostacolo e opportunità lungo il percorso evolutivo della famiglia, in<br />

<strong>Mediazione</strong> Sistemica, Bassoli F., Mariotti M., Frison R., Ed. Sapere,1999.<br />

16


Questa visione della famiglia e del conflitto si contrappone all'idea per<br />

lungo tempo dominante di normalità come assenza di patologia; ottica in cui il<br />

funzionamento <strong>familiare</strong> "normale" coincide con il funzionamento ideale, in cui<br />

viene eliminato ogni polo negativo. Il criterio fondamentale di distinzione delle<br />

famiglie normali da quelle patologiche sarebbe dunque l'assenza del conflitto, della<br />

sofferenza; nella famiglia "normale", in continua armonia, non ci sarebbero tensioni<br />

di alcun tipo.<br />

Al contrario, consideriamo la "normalità" non più come una dimensione<br />

presente o assente, ma come processo che si muove nel tempo 26 . Nel processo di<br />

crescita della famiglia assumono un ruolo sempre più determinante il disequilibrio, la<br />

crisi e il conflitto. Essendo un sistema aperto agli scambi con l'ambiente e<br />

contemporaneamente "chiuso dal punto di vista dell'organizzazione" 27 , la famiglia è<br />

imprevedibile di fronte agli eventi del ciclo vitale: di fronte alle stesse stimolazioni<br />

ambientali può mostrare soluzioni diverse, più o meno adattive, espressione dei gradi<br />

di libertà del sistema. Quindi, uno stesso elemento di perturbazione, quale ad<br />

esempio il conflitto coniugale, può condurre ad esiti molto diversi nei vari sistemi<br />

familiari, a seconda del modo in cui viene concepito ed affrontato dai membri del<br />

sistema <strong>familiare</strong> stesso.<br />

Il conflitto affonda le proprie radici nella "differenza": ha origine dalla<br />

differenza e si espande e autoalimenta sulla difficoltà di gestione delle differenze;<br />

così i conflitti familiari sono radicati nelle differenze che caratterizzano il sistema<br />

<strong>familiare</strong> già dal momento della sua formazione.<br />

Disarmonie e conflitti insorgono quando l'entità della differenza diventa così<br />

grande da non poter più essere tollerata.<br />

"Il conflitto per eccellenza nella famiglia ruota attorno alla differenza tra<br />

separazione ed unità, distacco ed intimità" 28 .<br />

26 La Giuliani (citando Cusinato M., Psicologia delle relazioni familiari, Il Mulino, Bologna,<br />

1988)scrive che questa nuova concezione di normalità "è coerente con l'idea batesoniana per cui il<br />

luogo della salute piuttosto che della patologia sia, prima ancora che il singolo, la sua realtà di<br />

soggetto in relazione, cioè di unità che non coincide con l'unicità somatica, ma piuttosto come legame<br />

interattivo e interpersonale". In Il conflitto: ostacolo e opportunità lungo il percorso evolutivo della<br />

famiglia, in <strong>Mediazione</strong> Sistemica, Bassoli F., Mariotti M., Frison R., Ed. Sapere,1999, p.125.<br />

27 Giuliani C., Il conflitto: ostacolo e opportunità lungo il percorso evolutivo della famiglia, in<br />

<strong>Mediazione</strong> Sistemica, Bassoli F., Mariotti M., Frison R., Ed. Sapere,1999, p.127.<br />

28 Giuliani C., Il conflitto: ostacolo e opportunità lungo il percorso evolutivo della famiglia, in<br />

<strong>Mediazione</strong> Sistemica, Bassoli F., Mariotti M., Frison R., Ed. Sapere,1999, p.128.<br />

17


Nel corso del proprio ciclo di vita ogni sistema <strong>familiare</strong> dovrà conciliare<br />

forze opposte, nel tentativo di sintetizzare tra le spinte individuali verso la<br />

differenziazione e l'esigenza di unità, tese a mantenere nel tempo l'identità del<br />

sistema. Si ricordano, ad esempio, i passaggi evolutivi in occasione della costituzione<br />

di una nuova coppia, della nascita di un figlio, dell'adolescenza dei figli, fino alla<br />

separazione e alla morte.<br />

"La famiglia diviene così teatro di disarmonie e contrasti che creano il<br />

giusto attrito perché il sistema si trasformi nel tempo senza perdere però la propria<br />

identità" 29 .<br />

§ 2.3 Conflitti mediabili e conflitti non mediabili 30<br />

Autori diversi si confrontano sui criteri di mediabilità e non mediabilità<br />

delle situazioni di conflitto; vi è però accordo su alcune caratteristiche di<br />

incompatibilità con la mediazione, quali gravi disfunzioni a livello cognitivo o<br />

affettivo che ne precludano il setting. 31<br />

Hirving detta le seguenti controindicazioni alla mediazione:<br />

� collera intensa spesso associata ad una conflittualità incontrollata;<br />

� violenza verso i figli o il coniuge;<br />

� tensione talmente intensa da causare una sensazione di sopraffazione<br />

nell'individuo;<br />

� preoccupazione ossessiva di un coniuge verso l'altro che a sua volta lo<br />

respinge;<br />

� estrema rigidità nelle aspettative e nei progetti;<br />

29 Giuliani C., Il conflitto: ostacolo e opportunità lungo il percorso evolutivo della famiglia, in<br />

<strong>Mediazione</strong> Sistemica, Bassoli F., Mariotti M., Frison R., Ed. Sapere,1999, p.129.<br />

30 Vedi anche Mantovani A., Quali possibilità di mediazione? Teoria e pratica, in "<strong>Mediazione</strong><br />

Familiare Sistemica", Atti del VI congresso AIMS, Firenze, 26/27 ottobre 2007, nn.7/8/9, giugno<br />

2008/giugno 2009, pp.57-60.<br />

31 Mantovani A., Quali possibilità di mediazione? Teoria e pratica, in "<strong>Mediazione</strong> Familiare<br />

Sistemica", Atti del VI congresso AIMS, Firenze, 26/27 ottobre 2007, nn.7/8/9, giugno 2008/giugno<br />

2009.<br />

18


� grave disfunzione a livello cognitivo e affettivo.<br />

Il Centro studi e ricerche sulla famiglia di Milano elenca i criteri di non<br />

idoneità della coppia al percorso di mediazione:<br />

� la coppia non è separata;<br />

� dopo la separazione i coniugi abitano ancora sotto lo stesso tetto;<br />

� c'è un invio coatto da parte di un magistrato;<br />

� eccessivo squilibrio di potere nella coppia;<br />

� personalità con forte rischio di passaggio all'atto.<br />

Everett ha ideato una griglia per la valutazione dell'idoneità della coppia<br />

all'intervento di mediazione distinguendo fra alcune aree:<br />

• area dei confini familiari con l'esterno: flessibilità/rigidità dei confini,<br />

isolamento/socializzazione del gruppo <strong>familiare</strong>;<br />

• area dei legami intergenerazionali: legami invischiati/disimpegnati,<br />

separazione/confusione tra le generazioni;<br />

• area della differenziazione dei ruoli/di genere;<br />

• area della genitorialità;<br />

• area dei legami orizzontali.<br />

Mattucci ritiene "non mediabili coloro che, per mantenere intatto un legame<br />

e la speranza di cambiamento dell'altro, trovano nel conflitto la condizione per<br />

rimanere collegati con l'ex coniuge (legame disperante). Oppure coloro che, non<br />

potendo possedere l'altro, lavorano per la sua totale esclusione dalla propria vita e, di<br />

conseguenza, da quella dei figli (cosiddetto scisma)" . 32<br />

Ardone evidenzia come criteri di non mediabilità: battaglie legali o<br />

consulenze tecniche d'ufficio in corso; procedimenti penali; maltrattamento/violenza<br />

32 Mattucci A., in Mantovani A., Quali possibilità di mediazione? Teoria e pratica, in "<strong>Mediazione</strong><br />

Familiare Sistemica", Atti del VI congresso AIMS, Firenze, 26/27 ottobre 2007, nn.7/8/9, giugno<br />

2008/giugno 2009, p.58.<br />

19


o abuso sui minori.<br />

Infine Cigoli ritiene che la presenza di un forte potere e l'assenza della<br />

capacità di negoziazione siano indicatori di un fallimento del processo mediatorio.<br />

Distingue in quattro quadranti i contesti mediabili e non mediabili:<br />

1. alta capacità di negoziare e legame forte;<br />

2. alta capacità di negoziare e legame debole;<br />

3. bassa capacità di negoziare e legame forte;<br />

4. bassa capacità di negoziare e legame debole.<br />

Negli ultimi due casi in cui l'intervento di mediazione è sconsigliabile,<br />

Cigoli cita come possibili il counselling individuale, l'intervento clinico sotto tutela<br />

del tribunale, la partecipazione a gruppi terapeutici.<br />

Mantovani si chiede se la mediabilità/non mediabilità sia un aspetto<br />

oggettivo o relazionale, sia collegata a caratteristiche della coppia o del mediatore e<br />

quale ruolo giochi il tempo. Al di là dei criteri presenti in letteratura, dall'esperienza<br />

clinica ha notato come la mediazione, in quanto processo relazionale, intervenga ed<br />

operi in modo differente sulle diverse dimensioni del conflitto; il tempo sia un fattore<br />

importante nel processo di mediazione: c'è un tempo per mediare e un tempo per<br />

lasciare le cose invariate, soprattutto quando gli aspetti emotivi sono così forti da<br />

rischiare di sfociare in episodi di violenza.<br />

Si parlerà allora non più di mediabilità/non mediabilità delle coppie in<br />

conflitto, ma di «dimensioni del conflitto più o meno "resistenti" in relazione al<br />

tempo» 33 . Grazie alla variabile "tempo", nelle situazioni di alta conflittualità e<br />

violenza, la mediazione può avere il duplice effetto di tutela e contenimento degli<br />

aspetti emotivi; infine, il mediatore lavora sulle "possibilità", su ciò che c'è, e in tal<br />

senso emerge la sua abilità e l'opportunità della mediazione nel ridefinire connessioni<br />

possibili nel conflitto.<br />

33 Mantovani A., Quali possibilità di mediazione? Teoria e pratica, in "<strong>Mediazione</strong> Familiare<br />

Sistemica", Atti del VI congresso AIMS, Firenze, 26/27 ottobre 2007, nn.7/8/9, giugno 2008/giugno<br />

2009, p.60.<br />

20


§ 2.4 Lo stile mediatorio e le competenze del mediatore sistemico<br />

Lo stile che caratterizza la mediazione <strong>sistemica</strong> può essere definito con la<br />

parola inglese Politeness.<br />

La Politeness esprime la capacità del mediatore di entrare in contatto con<br />

l'altro, comprendendo le motivazioni di superficie ancor prima della natura del<br />

problema; corrisponde alla capacità di aprirsi ad un atteggiamento di disponibilità<br />

all'ascolto fin dal primo istante della comunicazione. E' basata, ancora, sulla capacità<br />

di decodificare i segnali comunicativi dell'altro, appartenenti alle diverse aree dei<br />

linguaggi prossemici e digitali. Questi primi messaggi di comunicazione permettono<br />

al mediatore sistemico di costruire le prime rilevazioni personali sull'altro che<br />

rimarranno inscritte, inesplorate, in attesa di avvenimenti sostanziali, solitamente<br />

linguistici, che dettano i primi giudizi sull'altro.<br />

Il mediatore sistemico, consapevole dell'importanza di queste prime<br />

informazioni, attribuisce un valore sostanziale e di contenuto alla forma del primo<br />

incontro, infatti, "il contenuto della relazione si basa sugli aspetti qualitativi dello<br />

stare assieme e non sugli aspetti sostanziali della relazione" 34 .<br />

Il mediatore sistemico è in grado di porsi in modo aperto di fronte alle<br />

proprie emozioni e sentimenti e, ascoltando le proprie reazioni, si domanderà che<br />

cosa, nel comportamento di quel cliente suscita in lui quella determinata reazione<br />

emotivo-comportamentale, e saprà riconoscere che il problema suscitato da quel<br />

comportamento non risiede nella natura del comportamento del cliente, ma nel<br />

proprio modello organizzativo interno.<br />

Dunque, nella costruzione del proprio stile personale, il mediatore dovrà<br />

saper mettere al primo posto non tanto il contenuto del conflitto da mediare, quanto<br />

la conoscenza e la qualità della propria risposta allo stile comunicativo del cliente.<br />

Per essere efficace dovrà essere in grado di esercitare la politeness, una sorta di<br />

atteggiamento empatico e comprensivo di accettazione del modo di porsi in relazione<br />

all'altro.<br />

34 In Mariotti M., La specificità della mediazione <strong>sistemica</strong>, in Bassoli F., Mariotti M., Frison R.,<br />

<strong>Mediazione</strong> Sistemica, Ed. Sapere,1999, p.16.<br />

21


Il mediatore deve affrontare un percorso personale di rispetto e<br />

riconoscimento dei propri stati emozionali, di riconoscimento dei pensieri suscitati da<br />

stimoli intensi e dei pensieri che, al contrario, danno origine a stimoli intensi.<br />

Il mediatore sistemico deve saper riconoscere il conflitto da mediare come<br />

un evento riflessivo della propria esperienza; "sa cercare nella propria storia, nel<br />

proprio passato, elementi, anche marginali, di basso peso specifico, di breve<br />

momento, che comunque in lui risuonano, che sa riconoscere e verso cui risuona<br />

l'empatia" 35 ; pensa a se stesso come in grado di identificarsi nelle storie degli altri; si<br />

esercita nel saper trovare in ogni storia decine di punteggiature e nell'immaginare<br />

quali emozioni provocano, quali differenze, quali contrasti possono nascere nei<br />

diversi contesti; sarà in grado di costruire un proprio punto di vista sulla natura del<br />

conflitto e saprà anche criticarlo e modificarlo.<br />

Il mediatore sistemico dev'essere credibile; la credibilità è una qualità<br />

costruita con le proprie azioni, costanti nel tempo, affidabili e riconoscibili come tali.<br />

"La prima parte della credibilità consiste nel fatto che entrambi gli interlocutori<br />

devono essere in grado di riconoscere la affidabilità, la multiparzialità, la<br />

equivicinanza del mediatore" 36 .<br />

Il mediatore dovrà agire in modo che le diverse parti in conflitto si sentano<br />

accolte e, in queste situazioni dovrà gestire le proprie emozioni che ne saranno<br />

suscitate: dovrà avere la capacità di "riconoscere lo stress sollevato dall'emozione,<br />

tradurlo in parola e codificare il risultato in sentimento" 37 .<br />

Il processo di gestione delle emozioni è facilitato dall'acquisizione da parte<br />

del mediatore di tecniche linguistiche dirette ad obiettivi specifici: "smascherare gli<br />

imbrogli semantici, ritrovare o costruire i denominatori comuni, esaltare quei<br />

particolari che nella storia precedente al conflitto, o anche durante il conflitto<br />

funzionavano o funzionano bene" 38 .<br />

Già nel percorso di formazione il mediatore sistemico deve sviluppare<br />

35 In Mariotti M., La specificità della mediazione <strong>sistemica</strong>, in Bassoli F., Mariotti M., Frison R.,<br />

<strong>Mediazione</strong> Sistemica, Ed. Sapere,1999, p.25.<br />

36 In Mariotti M., La specificità della mediazione <strong>sistemica</strong>, in Bassoli F., Mariotti M., Frison R.,<br />

<strong>Mediazione</strong> Sistemica, Ed. Sapere,1999, p.27.<br />

37 In Mariotti M., La specificità della mediazione <strong>sistemica</strong>, in Bassoli F., Mariotti M., Frison R.,<br />

<strong>Mediazione</strong> Sistemica, Ed. Sapere,1999, p.28.<br />

38 In Mariotti M., La specificità della mediazione <strong>sistemica</strong>, in Bassoli F., Mariotti M., Frison R.,<br />

<strong>Mediazione</strong> Sistemica, Ed. Sapere,1999, p.28.<br />

22


determinate competenze emotive, tra queste:<br />

� capacità di ascolto, capacità di comunicazione emotiva e capacità di<br />

collaborazione tra le parti;<br />

� abilità di costruzione di una giusta distanza emozionale tra i clienti e tra loro e il<br />

mediatore;<br />

� consapevolezza della differenza tra il problema portato in mediazione e le<br />

persone nella loro interezza e complessità emotiva.<br />

In particolare, gli obiettivi da raggiungere durante la formazione di<br />

mediazione possono essere così riassunti:<br />

� saper creare un setting collaborativo tra le parti;<br />

� saper ascoltare con empatia i temi portati dalle parti in mediazione;<br />

� saper attuare una giusta distanza tra le parti;<br />

� saper separare il problema dalla persona;<br />

� saper separare le proprie emozioni da quelle dei clienti;<br />

� saper comunicare alle parti i propri bisogni emotivi.<br />

Le capacità di riconoscimento e gestione delle proprie emozioni sono<br />

fondamentali nel setting mediatorio, sia per la lettura cognitivo-emotiva del contesto<br />

relazionale in cui si svolge la mediazione, sia per poter sviluppare ipotesi di lavoro<br />

utili alla soluzione del conflitto emotivo sottostante, che alimenta la disputa tra le<br />

parti 39 .<br />

39 Biagini S., <strong>Mediazione</strong> <strong>familiare</strong> e competenze emotive del mediatore, in “<strong>Mediazione</strong> Familiare<br />

Sistemica”, Atti del Convegno AIMS, Castelbrando Treviso, 7-8 novembre 2003, nn. 3/4 novembre<br />

2005-2006.<br />

23


§2.5 Strumenti di indagine e di tecnica della mediazione <strong>sistemica</strong><br />

2.5.1 Genogramma<br />

La continuità di una stirpe nel tempo, il legame con gli avi e con i<br />

discendenti trova una rappresentazione nell'immagine dell'albero, che ne simboleggia<br />

il legame con il passato (le radici) e con il futuro (i germogli), l'unità del ceppo<br />

originario e la molteplicità dei rami che ne derivano. Da qui la consuetudine dell'uso<br />

dell'albero genealogico per la rappresentazione grafica della struttura di una famiglia,<br />

considerata nel suo aspetto trigenerazionale.<br />

Nel Medioevo, la raffigurazione dell'albero genealogico s'incontrò con<br />

quella dell' «arbor vitae», presente nell'arte figurativa paleocristiana; l'interesse<br />

maggiore era quello di definire i legami esistenti tra i vari membri della stirpe,<br />

rispetto al tronco, cioè al ceppo originario.<br />

Secondo Cigoli "un'unità organizzata di relazioni tra elementi, azioni, e<br />

individui" costituisce un sistema. Se pensiamo a una famiglia trigenerazionale come<br />

a un sistema, allora l'albero genealogico diventa un "genogramma", cioè "una forma<br />

di rappresentazione dell'albero genealogico che registra informazioni sui membri di<br />

una famiglia e sulle loro relazioni nel corso di almeno tre generazioni. Il<br />

genogramma mette in evidenza graficamente le informazioni della famiglia, in modo<br />

da offrire una rapida visione di insieme dei complessi patterns familiari" 40 .<br />

Dunque, il genogramma è una specifica “versione” dell’albero genealogico<br />

utilizzato dai terapeuti familiari; può essere definito come la rappresentazione grafica<br />

della struttura di una famiglia accompagnata dalle verbalizzazioni che colui che<br />

compila il genogramma fa rispetto alle relazioni tra i soggetti rappresentati, alla<br />

comunicazione tra essi, alle somiglianze o differenze, ai miti 41 o ai rituali che<br />

caratterizzano parti del sistema rappresentato (o il sistema intero). Alla semplice<br />

descrizione dei legami di parentela si aggiunge, dunque, l’analisi degli elementi<br />

relazionali, emotivi e affettivi.<br />

40 McGoldrick M., F.G. Gerson, Genograms in Family Assessment, Norton, New York, London,<br />

1985; in Montàgano S., Pazzagli A., Il genogramma. Teatro di alchimie familiari, Ed. Franco Angeli,<br />

2009, p.58.<br />

41 "I miti familiari sono un insieme di credenze condivise da tutti i membri della famiglia, in parte<br />

reali, in parte frutto della fantasia, che concernono i reciproci ruoli familiari e la natura delle relazioni<br />

tra i membri, favorendone l'identità e la coesione". In Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A.,<br />

Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia, ed. Il Mulino, 2002, p.49.<br />

24


Introdotto nella terapia <strong>sistemica</strong> <strong>familiare</strong> da Bowen 42 , il genogramma si è<br />

diffuso poi alla quasi totalità degli indirizzi relazionali, ma con modalità differenti di<br />

essere proposto, utilizzato e inserito nel contesto della terapia, della formazione e<br />

della mediazione.<br />

Generalmente il genogramma include almeno tre generazioni e permette di<br />

delineare i legami biologici e legali/parentali tra le diverse generazioni.<br />

Nella pratica, nel genogramma si possono includere le generazioni che<br />

vengono considerate rilevanti in base al momento evolutivo della famiglia (o<br />

dell’individuo), in base alle problematiche evidenziate, in base alle ipotesi formulate<br />

dal terapeuta e dal gruppo dietro lo specchio.<br />

presentate:<br />

Gli elementi “tipici” del genogramma sono, a livello di informazioni<br />

� nomi, soprannomi, posizione parentale di ogni soggetto rappresentato;<br />

� date di nascita, di morte, eventuali gravi malattie, matrimoni, separazioni,<br />

divorzi, importanti “riti di passaggio”;<br />

� luogo di residenza e date di “spostamenti” / trasferimenti significativi;<br />

� frequenza dei contatti tra i soggetti;<br />

� intensità e tipo di relazione tra gli individui indicati nel genogramma;<br />

� rotture/separazioni emotive ed affettive;<br />

� etnia, occupazione, livello socio-economico, appartenenze religiose o di altro<br />

genere (se significative);<br />

� caratteristiche di salute e di personalità peculiari dei soggetti rappresentati.<br />

La maggior parte di queste informazioni ha dei corrispettivi simboli<br />

standard usati per rappresentare in forma grafica “sintetica” i dati della famiglia.<br />

Esiste un livello di condivisione piuttosto ampia rispetto alla simbologia “di base”<br />

che, per altro, è la stessa che viene utilizzata nei comuni alberi genealogici.<br />

Ciò che viene fuori da un genogramma inteso come strumento sistemico e<br />

relazionale è una co-costruzione di una storia che ha, in quel momento, un<br />

42 "Attraverso lo studio di alberi genealogici di diverse famiglie, risalenti a periodi dai cento ai<br />

trcento anni egli ha messo in luce l'analogia di certi processi, individuando una trasmissione di<br />

caratteristiche familiari da una generazione all'altra, caratteristiche che possono essere definite come<br />

modelli di base generalizzabili"; in Montàgano S., Pazzagli A., Il genogramma. Teatro di alchimie<br />

familiari, Ed. Franco Angeli, 2009.<br />

25


protagonista, ma anche una moltitudine di co-protagonisti, attori minori e comparse<br />

che possono essere presenti o no all'attività, ma che comunque compaiono nella<br />

rappresentazione della propria storia di vita 43 .<br />

La prospettiva trigenerazionale del genogramma considera la dimensione<br />

storico evolutiva della famiglia, considera le relazioni integrando la dimensione<br />

orizzontale con quella verticale.<br />

Ogni persona, ogni famiglia ha una propria storia, una propria "cultura<br />

<strong>familiare</strong>" che si tramanda attraverso le generazioni. Ogni generazione dipende, in un<br />

certo senso, dalle generazioni precedenti, da ciò che sono state e da ciò che hanno<br />

trasmesso loro 44 .<br />

"Il passaggio intergenerazionale è un processo che comprende la<br />

trasmissione dell'intera gamma delle tradizioni, valori e comportamenti legati alla<br />

famiglia" 45 .<br />

In questo processo di trasmissione è di cruciale importanza il modo in cui<br />

sono stati affrontati i compiti di sviluppo, gli eventi critici e i processi di separazione<br />

e differenziazione. "Tutto quello che a questi livelli non è stato risolto o elaborato<br />

tende a riproporsi e assume il carattere di obbligo, di vincolo" 46 in quanto è difficile<br />

dare significato agli eventi. Quando invece c'è stata elaborazione, può esserci<br />

comprensione e apprendimento: il passaggio intergenerazionale favorisce allora la<br />

crescita. Dunque, la trasmissione intergenerazionale è funzionale quando vi è<br />

equilibrio tra gli aspetti di vincolo e gli aspetti di risorsa, tra distanza e vicinanza.<br />

"Quando le generazioni precedenti non riescono a trattare i sentimenti di<br />

colpa, vergogna, di scacco, di perdita irreparabile connessi a tali difficoltà del vivere,<br />

facilmente trasferiscono tale incapacità sulle generazioni successive (...) Per pensare,<br />

sentire, agire come persone, bisogna essere stati pensati e bisogna essere stati<br />

fiduciosamente attesi. Bisogna poi che le generazioni precedenti riconoscano il figlio<br />

sia come proprio (accolto, appartenente), sia come altro (specifico, unico), altrimenti<br />

43 Tratto da www.terapia<strong>sistemica</strong>.info.<br />

44 Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A., Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia,<br />

ed. Il Mulino, 2002.<br />

45 Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A., Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia,<br />

ed. Il Mulino, 2002.<br />

46 Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A., Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia,<br />

ed. Il Mulino, 2002.<br />

26


la persona si ritrova sradicata, oppure informe" 47 .<br />

Secondo Stierlin si possono distinguere tre modalità di trasmissione<br />

intergenerazionale: legare, delegare, rifiutare.<br />

Nel primo caso i legami sono troppo stretti, mentre nell'ultimo sono troppo<br />

labili; al contrario, la "delega" lascia al figlio uno spazio di autonomia all'interno del<br />

mandato <strong>familiare</strong>; porta al realizzarsi di un legame di lealtà tra il figlio e la sua<br />

famiglia: questo può allontanarsi per svolgere il suo compito ma poi deve renderne<br />

conto 48 .<br />

Il processo di trasmissione intergenerazionale non riguarda solo il passaggio<br />

di eredità "negative", eventi o situazioni che le generazioni non hanno potuto o<br />

saputo affrontare, ma anche la trasmissione di beni, valori ed affetti.<br />

"Se il legame è fondato sulla fiducia, sull'empatia e sul riconoscimento<br />

dell'altro come persona, allora potrà rappresentare una risorsa per il soggetto, anche<br />

nelle sue relazioni future" 49 .<br />

2.5.2 Ciclo vitale<br />

Il concetto di ciclo di vita della famiglia ha origine nel campo delle scienze<br />

sociali e, in particolare dal lavoro di due sociologi americani Hill e Duvall, negli<br />

anni immediatamente seguenti alla seconda guerra mondiale.<br />

I due autori, pur concettualizzando la famiglia primariamente come una<br />

serie di cicli individuali, sottolinearono l'interdipendenza tra i membri 50 . Osservarono<br />

che ogni membro della famiglia, sia delle generazioni più anziane sia di quelle di<br />

mezzo che di quelle più giovani ha il proprio compito evolutivo, ossia un insieme di<br />

obiettivi finalizzati alla realizzazione di ciascun membro in un determinato periodo<br />

47 Cigoli V. (a cura di), Il vello d'oro, ricerche sul valore della famiglia, Milano, Ed. San Paolo; in<br />

Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A., Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia, ed.<br />

Il Mulino, 2002, p47.<br />

48 Stierlin H., Delegation und Familie, Frankfurt, Suhrkamp Verlag, 1978; trad. it. La famiglia e i<br />

disturbi psicosociali Torino, Bollati Boringhieri, 1981; in Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera<br />

A., Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia, ed. Il Mulino, 2002.<br />

49 Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A., Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia,<br />

ed. Il Mulino, 2002, p.48.<br />

50 Malagoli Togliatti M., Telfener U., Dall'individuo al sistema, <strong>Cap</strong>itolo 8, Il ciclo vitale, Bollati<br />

Boringhieri, Torino, 1991.<br />

27


di vita della famiglia; il portare a termine con successo questo compito dipende, e a<br />

sua volta influenza, quello degli altri membri. Dunque, il concetto di ciclo di vita<br />

<strong>familiare</strong> è da loro considerato nei termini di un insieme di compiti di sviluppo,<br />

obiettivi finalizzati alla crescita in un determinato periodo della vita della famiglia.<br />

In particolare, Hill sottolineò l'importanza della dimensione storica per<br />

valutare l'interdipendenza tra le generazioni familiari (almeno tre): ogni individuo è<br />

impegnato sia in relazioni di tipo orizzontale, cioè tra soggetti della stessa<br />

generazione, sia in relazioni di tipo verticale, ossia con membri appartenenti a<br />

generazioni diverse.<br />

La Duvall, suddivise il ciclo di vita della famiglia in otto stadi: ad ogni<br />

stadio corrisponde uno specifico compito di sviluppo e la soluzione di uno stadio di<br />

sviluppo segna il passaggio a quello successivo.<br />

Di seguito vengono elencati gli 8 stadi individuati da Duvall:<br />

1. Formazione della coppia;<br />

2. Famiglia con figli (0-2 anni);<br />

3. Famiglia con figli in età prescolare;<br />

4. Famiglia con figli in età scolare;<br />

5. Famiglia con figli adolescenti;<br />

6. Famiglia come trampolino di lancio;<br />

7. Famiglia in fase di pensionamento;<br />

8. Famiglia anziana.<br />

Nei primi anni '70 Haley sposta ufficialmente il concetto di ciclo di vita<br />

della famiglia dal campo sociologico a quello psicoterapeutico: afferma che i sintomi<br />

psicologici insorgono "quando c'è deviazione o interruzione del normale svolgimento<br />

del ciclo vitale di una famiglia" 51 .<br />

Inoltre, se da un punto di vista sociologico il passaggio della famiglia da<br />

uno stadio all'altro del ciclo vitale è considerato naturale all'indomani di un evento<br />

critico, Haley ritiene che questo passaggio non sia affatto naturale, ma presupponga<br />

51 Haley J., Terapie non comuni, 1973; in Malagoli Togliatti M., Telfener U., Dall'individuo al<br />

sistema, <strong>Cap</strong>itolo 8, Il ciclo vitale, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, p.111.<br />

28


una serie di compiti evolutivi che non sempre la famiglia riesce ad affrontare.<br />

Quando la famiglia è bloccata o avanza con difficoltà verso la fase successiva del suo<br />

ciclo di vita, insorgono i sintomi.<br />

In sintesi, la prospettiva <strong>sistemica</strong> considera il processo evolutivo della<br />

famiglia come un processo di continua ristrutturazione della trama dei rapporti tra i<br />

membri della famiglia, a tutti i livelli generazionali 52 .<br />

Nel 1980 Carter e McGoldrick hanno elaborato un modello di ciclo di vita<br />

<strong>familiare</strong> integrando contributi dalla sociologia, dalla psicologia e dalla pratica<br />

psicoterapeutica.<br />

Fasi del ciclo di vita Compiti emozionali<br />

Giovane adulto senza legami Differenziazione e definizione del proprio sè rispetto ai<br />

familiari, in ambito lavorativo e nelle relazioni con i pari.<br />

Formazione della coppia Costruzione dell'identità di coppia. Ridefinizione delle<br />

relazioni con le famiglie estese.<br />

Nascita del 1°figlio e famiglia con bambini piccoli Accettazione del figlio come nuovo membro del sistema.<br />

Assunzione dei ruoli genitoriali e riadattamento delle<br />

relazioni con le famiglie d'origine.<br />

Famiglia con adolescenti Incremento della flessibilità dei confini familiari per<br />

permettere il progressivo svincolo dei figli. Nuova<br />

attenzione ai rapporti di coppia.<br />

Famiglia in cui i figli adulti escono di casa Accettazione di un numero sempre maggiore di movimenti<br />

di uscita e di entrata nel sistema.<br />

Famiglia nell'età anziana Accettazione del cambiamento dei ruoli generazionali.<br />

Mantenimento del funzionamento di coppia. Sostegno del<br />

ruolo centrale della generazione di mezzo.<br />

In Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A., Dinamiche relazionali e ciclo di vita della<br />

29<br />

famiglia, ed. Il Mulino, 2002, p.23.<br />

In ogni fase almeno tre o quattro generazioni si trovano a dover cambiare<br />

simultaneamente e adattarsi alle transizioni del ciclo di vita. Ad esempio, quando una<br />

generazione si sta avvicinando alla vecchiaia, la seguente è nello stadio del "nido<br />

vuoto", la terza è impegnata nella formazione della vita di coppia e la quarta con il<br />

processo di crescita.<br />

52 Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A., Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia,<br />

ed. Il Mulino, 2002.


Lo sviluppo si svolge su entrambi gli assi, verticale e orizzontale, il primo,<br />

come abbiamo già visto, riguarda la trasmissione dei modelli di relazione e di<br />

funzionamento di generazione in generazione; il secondo, indica i momenti di<br />

tensione e di "crisi". Per superare questi eventi la famiglia deve riadattarsi e<br />

modificare i suoi modelli interattivi. I sintomi insorgono quando le problematiche<br />

derivanti dalla storia trigenerazionale (asse verticale) si intersecano con quelle che si<br />

possono incontrare durante il proprio ciclo di vita (asse orizzontale).<br />

Il modello di Carter e McGoldrick brevemente esposto rischia di essere un<br />

modello riduttivo, che non spiega la complessa realtà delle relazioni familiari e la<br />

variabilità della struttura sociodemografica delle famiglie; infatti, a causa dei<br />

cambiamenti nelle strutture familiari è difficile definire un ciclo di vita valido per<br />

tutte le diverse strutture familiari. Si rischia, quindi, di considerare disfunzionali tutte<br />

quelle famiglie che non seguono la successione di fasi prevista.<br />

Comunque, qualsiasi suddivisone del ciclo di vita <strong>familiare</strong> può essere<br />

considerata arbitraria e risente dei cambiamenti storico-sociali che influenzano la<br />

struttura e la composizione della famiglia.<br />

La regolarità nella successione di fasi dello sviluppo <strong>familiare</strong> non<br />

rispecchia ciò che accade nella società contemporanea, dove si tende sempre più a<br />

rimandare la formazione della coppia ed il progetto genitoriale, di conseguenza, la<br />

nascita del primo figlio va spesso a coincidere non con la fase dell'età adulta, come<br />

previsto dal modello classico, ma con l'ingresso nell'età di mezzo. Inoltre, le stesse<br />

fasi possono compiersi in successione diversa rispetto a quanto previsto, per il<br />

diffondersi sempre maggiore di nuove tipologie di famiglie; un esempio classico è<br />

costituito dalle famiglie ricostituite, in cui la formazione della coppia non precede<br />

l'assunzione del ruolo genitoriale, in quanto almeno uno dei due coniugi ha già un<br />

figlio nato dalla relazione precedente.<br />

Il modello classico proposto da Carter e McGoldrick resta una base<br />

importante per integrare diverse teorie e modelli che da soli si verificano insufficienti<br />

a spiegare la complessità e le trasformazioni delle famiglie attuali, dato che ciascun<br />

modello si concentra su un aspetto particolare.<br />

L'orientamento attuale prevede l'integrazione dell'aspetto intergenerazionale<br />

30


con quello socioambientale. L'ipotesi è quella di considerare le fasi del modello<br />

classico di ciclo di vita composte ciascuna da microtransizioni che caratterizzano la<br />

vita quotidiana e possono favorire oppure ostacolare la capacità di affrontare gli<br />

eventi critici dei diversi momenti evolutivi: un modello che prevede simultaneamente<br />

momenti di continuità (microtransizioni) e di discontinuità nello sviluppo (eventi<br />

critici) 53 .<br />

A questo punto è interessante citare la Teoria dello stress <strong>familiare</strong>, che<br />

considera lo sviluppo scandito da eventi critici, questi ultimi innescano processi<br />

trasformativi necessari al passaggio da una fase all'altra del ciclo di vita. Ciascun<br />

evento critico caratterizza una fase del ciclo di vita della famiglia e la sua risoluzione<br />

permette il passaggio allo stadio successivo; ha una funzione positiva in quanto attiva<br />

processi evolutivi introducendo nuove variabili e compiti di sviluppo che modificano<br />

le precedenti modalità di funzionamento della famiglia.<br />

In un primo momento si verifica una crisi, o rottura, con le precedenti<br />

modalità organizzative, in seguito vi è un momento di transizione che può sfociare in<br />

una riorganizzazione o, in caso di fallimento, in una destrutturazione del sistema. In<br />

quest'ultimo caso il processo evolutivo si blocca e la situazione di disagio e<br />

sofferenza può manifestarsi nel comportamento sintomatico di uno dei membri<br />

familiari.<br />

L'evoluzione della famiglia è quindi legata alle modalità con cui affronta lo<br />

squilibrio prodotto da ciascun evento critico.<br />

Gli eventi critici vengono distinti in normativi e paranormativi; i primi<br />

rappresentano quegli eventi che la maggior parte degli individui e delle famiglie<br />

incontra nel corso del proprio ciclo di vita e che quindi sono attesi, prevedibili, i<br />

secondi sono quegli eventi non completamente prevedibili anche se frequenti.<br />

Proprio in quanto inattesi, gli eventi paranormativi pongono difficoltà maggiori<br />

rispetto agli eventi normativi di cui culturalmente si possiede lo schema normativo su<br />

come affrontarli. Spesso gli eventi critici paranormativi richiedono l'impiego di tutte<br />

le risorse della famiglia e necessitano di anni di continui riassestamenti per essere<br />

superati; a volte è necessario un aiuto esterno, altre volte si manifesta un disagio o si<br />

53 Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A., Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia,<br />

ed. Il Mulino, 2002.<br />

31


verifica una disgregazione.<br />

Fondamentale, infine, è l'aspetto cognitivo, ovvero la rappresentazione<br />

dell'evento: infatti, ogni evento critico non è critico in sè, ma la sua caratteristica di<br />

criticità dipende dalle aspettative e dalle attese individuali, familiari e sociali che lo<br />

precedono.<br />

2.5.3 Domande circolari<br />

Le domande circolari sono domande che introducono alla relazione<br />

Selvini Palazzoli e la sua equipe affermano che questo metodo particolare<br />

sembra aumentare fortemente la quantità e la qualità di informazione che si ricava da<br />

un'intervista. Il punto fondamentale consiste sempre nel porre domande riguardanti<br />

una differenza o che definiscono una relazione.<br />

Esempi di domande sulla differenza sono chiedere a qualcuno di fare<br />

commenti sul matrimonio dei genitori oppure classificare su una scala da uno a dieci<br />

la rabbia della madre e del padre quando la sorella rientra tardi a casa la sera; o<br />

ancora, domande che si occupano del prima e del dopo, come chiedere ad un<br />

bambino quanto sono diminuite le liti fra i genitori da quando il fratello maggiore è<br />

stato ospedalizzato; oppure domande che iniziano con un "se" o orientate al futuro.<br />

Le domande circolari costringono le persone a fermarsi e a pensare, invece<br />

di reagire in modo stereotipato; anche le persone che non stanno parlando ascoltano<br />

con attenzione; inoltre pongono fine alle escalation e alle liti tra i membri della<br />

famiglia. Infine, sembrano scatenare una maggiore quantità dello stesso tipo di<br />

pensiero "differente" che è essenzialmente circolare, in quanto introduce l'idea di<br />

legami che si basano su prospettive di cambiamento.<br />

Le domande circolari possono avere un effetto cumulativo. "Si potrebbe<br />

chiedere a una moglie che tipo di relazione abbia il marito con la madre e poi porre a<br />

lui la stessa domanda su di lei e sulla madre di lei. Questo riferimento incrociato di<br />

informazioni può essere rivelatore e può condurre a ulteriori rivelazioni" 54 .<br />

54 Hoffman L., Principi di terapia della famiglia, Casa Ed. Astrolabio, 1984, pp.276,277.<br />

32


Secondo la Hoffman, queste domande spingono indirettamente le persone a<br />

differenziarsi, esattamente quanto potrebbero se glielo si chiedesse direttamente.<br />

Cecchin descrive l'intervista circolare come un metodo per creare curiosità<br />

sia all'interno del sistema <strong>familiare</strong> che di quello terapeutico. Una conseguenza<br />

interessante delle domande circolari è che la famiglia stessa diventa neutrale nei<br />

confronti delle sue stesse ipotesi; inoltre permettono di scalzare il sistema di<br />

credenze della famiglia, basato su "verità" e sull'uso esagerato del verbo "essere",<br />

utilizzando il linguaggio della relazione e non quello dell'essere. Scalzando il sistema<br />

di credenze, creano l'opportunità per la formulazione di nuove storie.<br />

"La tecnica dell'intervista circolare viene usata per sviluppare, rifinire e<br />

abbandonare le ipotesi sulla famiglia, aiutandoci a costruire un contesto di curiosità e<br />

di neutralità" 55 .<br />

2.5.4 Uso delle emozioni<br />

Tante sono le emozioni che vivono sia i membri in conflitto sia il mediatore<br />

stesso durante un incontro di mediazione e lungo tutto il percorso mediatorio;<br />

fondamentale è sapere riconoscerle, gestirle e, soprattutto, saper utilizzarle per uno<br />

scambio positivo di comunicazione emotiva e per l'evoluzione del conflitto verso un<br />

sua risoluzione.<br />

Delle competenze emotive del mediatore è stato già discusso, possiamo<br />

aggiungere quanto afferma Emery che parla di una "mediazione emotivamente<br />

informata" 56 , nel senso di una necessità della consapevolezza da parte del mediatore<br />

della potente e spesso irrazionale corrente di emozioni che esiste nelle situazioni di<br />

conflitto e, in particolare, nel divorzio. La conoscenza di queste emozioni aiuta il<br />

mediatore a educare i genitori circa le questioni legali e i bisogni dei figli e anche<br />

riguardo alle loro proprie imprevedibili emozioni.<br />

Il nodo principale intorno a cui ruota il bagaglio emotivo che caratterizza il<br />

divorzio è il dolore associato alla sensazione di perdita e il divorzio causa perdite<br />

55 Cecchin G., Revisione dei concetti di ipotizzazione, circolarità e neutralità. Un invito alla curiosità,<br />

Trad. da Fam. Proc., vol.26, Dicembre 1987, p.40.<br />

56 Emery R. Una mediazione emotivamente informata, in “<strong>Mediazione</strong> Familiare Sistemica”, Atti del<br />

Convegno AIMS, Castelbrando Treviso, 7-8 novembre 2003, nn. 3/4 novembre 2005-2006.<br />

33


molto diverse: la perdita del tuo matrimonio, la perdita del tuo compagno, la perdita<br />

della tua famiglia, o almeno del tuo "sentimento di famiglia", probabilmente la<br />

perdita della tua casa, la paura di perdere i tuoi figli, la perdita di relazioni con molti<br />

amici e parenti. Il dolore del divorzio e poi complicato dalla solitudine. La<br />

complicazione più importante per il dolore nel divorzio è la natura unilaterale di<br />

molte separazioni, in cui un coniuge vuole porre fine al matrimonio e l'altro desidera<br />

disperatamente che continui. Questa dinamica implica posizioni diverse sia riguardo<br />

al dolore sia riguardo alle speranze per una futura relazione, inoltre causa molto<br />

conflitto, rabbia e sofferenza emotiva e una diversa gestione del dolore: se il partner<br />

che lascia ha il tempo di prepararsi alla perdita e vive molto del suo dolore prima<br />

della separazione, o prima di dichiarare all'altro il desiderio di separarsi.<br />

Le emozioni del partner che viene lasciato sono intense e caotiche;<br />

dapprima c'è speranza, poi rabbia e infine disperazione.<br />

Dunque, ciascun coniuge passa attraverso le emozioni di amore, rabbia e<br />

tristezza, ma chi lascia e chi viene lasciato provano sentimenti diversi, con diversa<br />

intensità e con sensazioni diverse causate dal passaggio da un sentimento all'altro.<br />

Compito del mediatore non è quello di aiutare i coniugi in conflitto a<br />

risolvere il loro dolore, sarebbe un obiettivo troppo ampio per la mediazione che, per<br />

definizione, è un processo di soluzione dei conflitti a breve termine.<br />

Il mediatore può e dovrebbe considerare il dolore, incrementando così la<br />

possibilità di raggiungere un accordo. Alcuni modi per affrontare il dolore nel corso<br />

di una mediazione emotivamente informata sono:<br />

� riconoscere il dolore dei coniugi;<br />

� aiutare i coniugi a comprendere il loro dolore, come parte del vissuto di perdita<br />

che stanno vivendo;<br />

� aiutare i coniugi a comprendere il dolore l'uno dell'altro seppur diverso;<br />

� entrare in relazione empatica con i sentimenti di ciascun coniuge;<br />

� normalizzare e legittimare il dolore di ciascun coniuge, in particolare i sentimenti<br />

del partner che viene lasciato;<br />

� incoraggiare entrambi i coniugi a guardare oltre la loro rabbia e indirizzarsi verso<br />

emozioni più profonde e oneste.<br />

34


Infatti, la rabbia, reazione naturale e biologicamente fondata al dolore, è<br />

un'emozione che può coprire i veri sentimenti, più favorevoli sia per la mediazione<br />

che per la crescita personale. Se si riconosce il dolore che sta sotto la rabbia, ci si<br />

concentra sulla sofferenza più profonda, e si può impedire alla rabbia di interferire<br />

con tutte le questioni più importanti da affrontare 57 .<br />

Le emozioni del terapeuta/mediatore possono essere, di volta in volta, una<br />

risorsa, disposizioni all'azione, indicatori, informazione, guida.<br />

Basile e collaboratori 58 individuano alcune modalità per utilizzare le<br />

emozioni del terapeuta/mediatore, nella relazione con i clienti:<br />

1) Esplicitazione dei pregiudizi del terapeuta/mediatore:<br />

i pregiudizi, in quanto idee che vincolano il nostro modo di descrivere la realtà, sono<br />

sempre connessi anche alle emozioni. Diventando consapevole e responsabile delle<br />

proprie idee e quindi anche delle proprie emozioni, si può scegliere di sostenerle o di<br />

metterle in discussione. E' Cecchin a suggerire di esplicitare i propri pregiudizi ai<br />

clienti; così facendo si disattiva l'effetto del pregiudizio sia sull'operatore sia sul<br />

cliente, liberando entrambi dal rimanerne prigionieri.<br />

2) Ampliamento delle tonalità emotive:<br />

Koch invita a misurarci con le emozioni ampliando il numero dei sentimenti di cui<br />

possiamo usufruire: "Dove è stato stabilito il divieto di usare le emozioni lievi,<br />

l'ironia e il sorriso per costeggiare le esperienze drammatiche che si svolgono<br />

all'interno protetto della persona" 59 .<br />

3) Parole ponte: uso della metafora per veicolare emozioni:<br />

per "parole ponte" Boscolo e Bertrando intendono parole che, «per la loro polisemia,<br />

veicolano significati molteplici e ambigui e collegano mondi differenti e distanti tra<br />

loro» 60 ; suggeriscono di utilizzare un linguaggio allegorico, ricco di metafore e<br />

parole ponte. Nella complessità e nella polivalenza sono insite le maggiori<br />

57 Emery R. Una mediazione emotivamente informata, in “<strong>Mediazione</strong> Familiare Sistemica”, Atti del<br />

Convegno AIMS, Castelbrando Treviso, 7-8 novembre 2003, nn. 3/4 novembre 2005-2006.<br />

58 Basile G., <strong>Cap</strong>rari F., Martelli R., L'emozione di emozionarsi, in "Connessioni", rivista di<br />

consulenza e ricerca sui sistemi umani, n.6, aprile 2000.<br />

59 Koch Candela M.C., 1999; in Basile G., <strong>Cap</strong>rari F., Martelli R., L'emozione di emozionarsi, in<br />

"Connessioni", rivista di consulenza e ricerca sui sistemi umani, n.6, aprile 2000, p.103.<br />

60 Basile G., <strong>Cap</strong>rari F., Martelli R., L'emozione di emozionarsi, in "Connessioni", rivista di<br />

consulenza e ricerca sui sistemi umani, n.6, aprile 2000, p.102.<br />

35


potenzialità evolutive del linguaggio; un tale linguaggio conduce a sperimentare<br />

cognitivamente ed emotivamente nuovi giochi di linguaggio, contribuendo a<br />

cambiare le premesse e la visione della realtà.<br />

4) Connotazione positiva:<br />

la connotazione positiva veicola le emozioni del terapeuta/mediatore connesse alle<br />

sue ipotesi e può trasformare in senso evolutivo le emozioni del cliente.<br />

2.5.5 Paradosso e Connotazione positiva<br />

Il paradosso è una contraddizione tra due livelli logici diversi.<br />

Nell’interazione umana non conta tanto il contenuto del paradosso, ma l’aspetto<br />

relazionale della comunicazione. Nel paradosso la comunicazione che viene data al<br />

paziente non si può né eludere né capire chiaramente, quest'ultimo è spiazzato nella<br />

sua logica e diventa recettivo ad altre suggestioni.<br />

Il paradosso è una modalità di comunicazione che si adatta all’inconscio del<br />

paziente, in quanto l’inconscio elabora le parole in modo diverso, analogico, e con<br />

minore senso critico; fornisce al paziente degli input mentali inconsci che allargano<br />

le sue potenzialità e le sue prospettive.<br />

Il paziente viene messo in una situazione insostenibile dal punto di vista<br />

razionale, per cui deve cercare naturalmente scampo nella parte emotiva.<br />

L'intervento paradossale viene usato da Watzlawick come sinonimo di<br />

doppio legame terapeutico 61 , intervento in cui "al cliente viene richiesto di non<br />

cambiare in un contesto in cui si aspettava di essere aiutato a cambiare. Se resiste<br />

all'ingiunzione, cambia; se non cambia, fa ciò che il terapeuta gli ha chiesto di fare.<br />

In tutti e due i casi il terapeuta ha partita vinta. Abitualmente la resistenza del cliente<br />

al terapeuta ha la meglio ed egli sceglie di cambiare" 62 .<br />

Tra gli interventi paradossali citiamo la prescrizione del sintomo e la<br />

connotazione positiva.<br />

La prescrizione del sintomo è un intervento paradossale che sfida le<br />

premesse della famiglia, inserendo il sintomo entro una nuova cornice di significato.<br />

61 Watzlawick P. et al., Pragmatica della comunicazione umana, Casa Ed. Astrolabio, 1971.<br />

62 Hoffman L., Principi di terapia della famiglia, Casa Ed. Astrolabio, 1984, p.280.<br />

36


In questo senso si colloca all'interno della procedura di "reframing" e fornisce una<br />

"connotazione positiva" del comportamento prescritto.<br />

La connotazione positiva è uno stratagemma terapeutico costituito da una<br />

valutazione positiva, da parte del terapeuta, di un comportamento (di solito quello<br />

sintomatico) che usualmente è presentato in termini pesantemente negativi e<br />

squalificanti. In questo senso si accompagna, esplicitamente o implicitamente alla<br />

"prescrizione del sintomo" 63 e comporta un "reframing" 64 . Può essere usata anche per<br />

smorzare una escalation conflittuale giocata sulle competizioni di ruoli,<br />

comportamenti, attitudini (effetto di parificazione delle parti) 65 .<br />

La connotazione positiva che, unitamente alla neutralità e alla curiosità,<br />

conduce a dare meno peso agli aspetti disturbanti e problematici, a favore di una<br />

sottolineatura delle risorse del cliente, dei comportamenti utili, per quanto unici o rari<br />

nel presentarsi, delle abilità e competenze invece che delle inadeguatezze e dei<br />

limiti 66 .<br />

2.5.6 Neutralità<br />

Intendiamo per neutralità la volontà di non assumere coscientemente<br />

nessuna posizione come più corretta di un'altra. In questo senso la neutralità è servita<br />

ad orientare il terapeuta verso un'epistemologia <strong>sistemica</strong>. La conseguenza è stata il<br />

considerare la neutralità come l'assunzione di una posizione di non-coinvolgimento,<br />

di non sostenere posizioni decise, di non prendersi responsabilità quando necessario;<br />

tutto questo conduce ad una eccessiva semplificazione, all'esasperazione di una<br />

63 è un intervento paradossale (nel senso: vi posso aiutare a cambiare purchè non cambiate) che sfida<br />

le premesse della famiglia, inserendo il sintomo entro una nuova cornice di significato. In questo<br />

senso si colloca all'interno della procedura di "reframing" e fornisce una "connotazione positiva" del<br />

comportamento prescritto.<br />

Interventi paradossali: si tratta di fornire alla famiglia istruzioni contraddittorie a livello logico, tali<br />

per cui la situazione può essere risolta solo attraverso la rottura dei propri schemi di riferimento<br />

sviluppando creativamente, quindi, un diverso approccio ai vecchi problemi (sono meno usati di una<br />

volta).<br />

64 Si tratta di una strategia che mira ad alterare la mappa interna della famiglia, su cui poggiano le<br />

punteggiature familiari. Tale ristrutturazione ha come scopo l'introduzione di un punto di vista<br />

alternativo e il cambiamento dei modelli familiari. Può essere usata direttamente (ripunteggiatura<br />

verbale del terapista) o indirettamente (uso connotazione positiva, intervento paradossale, prescrizione<br />

del sintomo).<br />

65 www.POL.it, the Italian on line psychiatric magazine.<br />

66 www.centropantarei.it.<br />

37


posizione fredda e distaccata.<br />

Al contrario Cecchin propone di considerare la neutralità come una<br />

posizione mentale di curiosità: da una parte la curiosità porta a sperimentare e<br />

inventare punti di vista e mosse alternative, dall'altra punti di vista e mosse<br />

alternative generano, a loro volta, curiosità.<br />

La curiosità, e di conseguenza, la neutralità, vengono meno quando<br />

perseguendo una spiegazione lineare degli eventi in questione, crediamo di aver<br />

trovato una spiegazione vera. Quando si ha interesse per la verità, il contenuto degli<br />

eventi e non per la loro modalità, il pattern.<br />

Si tratta di una visione <strong>sistemica</strong>: non si cerca più la verità/falsità delle<br />

spiegazioni, ma si inventano punteggiature molteplici del comportamento, degli<br />

eventi e delle relazioni.<br />

Sintomi di non-neutralità sono la noia e i sintomi psicosomatici. La noia si<br />

avverte quando ci sembra di sapere già quello che sta succedendo, smettiamo di<br />

ascoltare in quanto percepiamo che qualsiasi informazione che proviene dai racconti<br />

e dalle descrizioni dei membri della famiglia. Ci sentiamo annoiati e insieme<br />

svalutati nella professione. Se essere neutrali vuol dire mantenere una posizione di<br />

curiosità, allora la mancanza di neutralità implica l'abbandono della curiosità, poiché<br />

ci illudiamo di aver dato un'interpretazione corretta e ci precludiamo la conoscenza<br />

di patterns alternativi.<br />

I sintomi psicosomatici insorgono, ad esempio, in caso di conflitto con il<br />

contesto in cui si lavora, che può portare a una svalutazione professionale.<br />

Connessa alla neutralità troviamo l'ipotizzazione: la curiosità è una<br />

posizione, l'ipotizzazione è una tecnica, ciò che facciamo per cercare la neutralità 67 .<br />

Il processo di ipotizzazione <strong>sistemica</strong> ha due funzioni fondamentali sia in<br />

psicoterapia sia in mediazione: garantire l'attività del terapeuta/mediatore e<br />

introdurre struttura e informazione nel sistema <strong>familiare</strong>. Le ipotesi sistemiche<br />

presentano specifiche caratteristiche. Le fonti per la loro formulazione sono: il<br />

problema in questione con la sua storia e i suoi effetti; la storia del sistema in senso<br />

trigenerazionale; punti di vista sui caratteri e le relazioni; spiegazioni e aspettative<br />

67 Cecchin G., Revisione dei concetti di ipotizzazione, circolarità e neutralità. Un invito alla curiosità,<br />

Trad. Da Fam. Proc., vol.26, Dicembre 1987.<br />

38


sul problema; osservazioni sui comportamenti non verbali. Fondamentale nella<br />

formulazione di ipotesi sistemiche è l'attenzione al tempo e al contesto.<br />

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