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Storia Comune

Gli statuti comunali antichi del Lazio meridionale. Gli statuti dei comuni del Sistema bibliotecario e documentario Valle del Sacco. Biblioteca di Latium, 21 Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale

Gli statuti comunali antichi del Lazio meridionale.
Gli statuti dei comuni del Sistema bibliotecario e documentario Valle del Sacco.
Biblioteca di Latium, 21
Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale

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<strong>Storia</strong> comune<br />

Gli statuti comunali antichi del Lazio meridionale<br />

Gli statuti dei comuni del Sistema bibliotecario e documentario Valle del Sacco<br />

Biblioteca di Latium, 21<br />

Istituto di <strong>Storia</strong> e di Arte<br />

del Lazio Meridionale


Biblioteca di Latium, 21


Biblioteca di Latium<br />

21<br />

<strong>Storia</strong> comune<br />

Gli statuti comunali antichi nel Lazio meridionale<br />

Gli statuti dei comuni del Sistema bibliotecario<br />

e documentario Valle del Sacco<br />

a cura di Gioacchino Giammaria<br />

Istituto di <strong>Storia</strong> e di Arte del Lazio Meridionale<br />

Anagni 2017


4<br />

© Istituto di storia e di arte del Lazio meridionale<br />

Palazzo di Bonifacio VIII<br />

03012 ANAGNI – Italy<br />

Questo volume è stato prodotto nell’ambito del progetto <strong>Storia</strong> <strong>Comune</strong><br />

finanziato con la legge regionale 23 ottobre 2009, n. 26 – Avviso pubblico<br />

finalizzato allo sviluppo dei sistemi culturali.<br />

La stampa delle immagini dei documenti provenienti dall’Archivio di Stato<br />

di Roma è stata autorizzata “su concessione del Ministero delle Attività<br />

dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, ASRM 2/2017 e ASRM<br />

3/2017” e ne è vietata l’ulteriore riproduzione.<br />

La stampa delle immagini dei documenti provenienti dall’Archivio di Stato<br />

di Frosinone è stata autorizzata “su concessione del Ministero delle Attività<br />

dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, ASFR 46/2017” e ne<br />

è vietata l’ulteriore riproduzione.<br />

La stampa delle immagini dei documenti provenienti dall’Archivio Colonna<br />

è stata autorizzata con comunicazione del 19 gennaio 2017 e ne è vietata<br />

l’ulteriore riproduzione.<br />

La stampa delle immagini dei documenti provenienti dalla Biblioteca Molella<br />

è stata autorizzata dalla famiglia e ne è vietata l’ulteriore riproduzione.<br />

La stampa delle immagini dei codici provenienti dal Senato della Repubblica<br />

è liberamente consentita citandone la fonte.<br />

Finito di stampare nell’aprile 2017<br />

Tipografia La Multigrafica - Frosinone<br />

ISBN: 978-88-909212-6-1


5<br />

INDICE<br />

Danilo Collepardi, Prefazione ................................................................ p. 7<br />

Gioacchino Giammaria, Introduzione .................................................... p. 9<br />

Matteo Maccioni, Sul potere di convocare<br />

il “publico Conseglio” in Acuto..........................................................p. 17<br />

Rossana Fiorini, Alatri: controversie del danno dato<br />

negli Statuti cittadini.......................................................................... p. 27<br />

Cristina Giacomi, Lo statuto di Anagni e le riformanze del XVI sec. ..... p. 35<br />

Matteo Maccioni, Statuto d’Anagni e i maleficia ................................... p. 43<br />

Rossana Fiorini, Boville Ernica: un lacerto dello statuto ...................... p. 55<br />

Rossana Fiorini, Castro dei Volsci: lo Statuto Agrario del 1795.<br />

Testimonianze d’archivio..........................................................................p. 77<br />

Paolo Scaccia Scarafoni, Gli Statuti di Castro in Campagna ................ p. 87<br />

Rossana Fiorini, Ceccano: danno dato, conferma di uno statuto .......... p. 113<br />

Marco Di Cosmo, Ceprano: il danno dato nello statuto ........................ p. 127<br />

Marco Di Cosmo, Dispute sulla legittimità del pascolo<br />

nelle terre di Ferentino....................................................................... p. 131<br />

Matteo Maccioni, Lex locale e contenziosi ad Anticoli nel XVIII sec. .. p. 139<br />

Sandro Notari, Note introduttive allo studio degli statuti comunali<br />

di Anticoli in Campanea del 1410...................................................... p. 151<br />

Marco Di Cosmo, Il prezzo della carne a Giuliano e l’antico statuto.... p. 159<br />

Matteo Maccioni,“Minorare il numero troppo eccedente<br />

de Consiglierj”: la riforma dell’adunanza consiliare a Morolo ....... p. 165<br />

Matteo Maccioni, Divisione del territorio, pene e divieti statutari<br />

a Paliano ........................................................................................... p. 173<br />

Marco Di Cosmo, Patrica: statuto e danni dei pastori .......................... p. 181


6<br />

Rossana Fiorini, La tutela e la salvaguardia della Selva di Pofi<br />

negli Statuta Terrae Popharum .......................................................... p. 191<br />

Rossana Fiorini, Ripi: alcuni casi di danno dato<br />

negli statuti comunitativi ................................................................... p. 205<br />

Matteo Maccioni, Serrone: la riforma dell’articolo 22 ......................... p. 219<br />

Matteo Maccioni, Sgurgola: la “pesca” e le norme<br />

del commercio ittico........................................................................... p. 227<br />

Marco Di Cosmo, Il danno dato studioso e lo Statuto di Supino............ p. 233<br />

Rossana Fiorini, Vallecorsa: oliveti e normativa statutaria.................... p. 239<br />

Marco Di Cosmo, Lo Jus pascendi nello Statuto di Veroli ......................p. 247<br />

Paolo Scaccia Scarafoni, Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo ........ p. 261<br />

Marco Di Cosmo, Alla ricerca dello Statuto di S. Stefano.......................p. 291<br />

Alessandro Dani, Qualche nota comparativa tra lo statuto di Roma<br />

del 1469 e quelli di altre città laziali del tempo..................................p. 297<br />

Francesca Pontri, Indagini sui manoscritti statutari ...............................p. 319<br />

Statuti di:Acuto (p. 325), Alatri (p. 333), Anagni (p. 356), Boville<br />

Ernica (p. 371), Castro dei Volsci (p. 374), Ferentino (p. 385),<br />

Fiuggi (p. 401), Morolo (p. 411), Paliano (p. 416), Patrica (p. 425),<br />

Pofi (p. 436), Ripi (p. 441), Serrone (p. 446), Sgurgola (p. 452),<br />

Supino (p. 459), Tecchiena (p. 467), Vallecorsa (p. 472), Veroli (p.<br />

476).<br />

Indice dei nomi.........................................................................................p. 489<br />

Immagini ................................................................................................ p. 511


PREFAZIONE<br />

L’idea di approfondire la conoscenza delle fonti della storia del<br />

nostro territorio era nei nostri propositi da molti anni. L’occasione<br />

per iniziare ci è stata data da un bando della Regione Lazio a cui<br />

abbiamo partecipato con un progetto specifico sugli Statuti dei Comuni<br />

dell’ex provincia di Campagna. Il risultato è stato un lungo<br />

lavoro di ricerca e di confronto e questo libro, “<strong>Storia</strong> <strong>Comune</strong>”.<br />

Tutto il lavoro sarà messo “on line” sul sito del Sistema Bibliotecario<br />

e Documentario della Valle del Sacco. Tutti, studiosi, appassionati<br />

o semplici curiosi avranno la possibilità così di un facile accesso a<br />

tutta la documentazione esistente senza essere costretti a trascorrere<br />

giorni e giorni in polverosi archivi storici della provincia o di altre<br />

istituzioni storico- culturali.<br />

La storia medievale e moderna del nostro territorio merita di essere<br />

valorizzata o quanto meno di essere portata a conoscenza di<br />

un pubblico più vasto. È un prezioso lavoro che già fanno valorosi<br />

ricercatori che vi si dedicano con grande passione, ma il loro lavoro<br />

rimane ristretto agli studiosi, agli specialisti. L’intento nostro è invece<br />

quello di coinvolgere un pubblico più ampio possibile. I moderni<br />

strumenti di comunicazione ci danno oggi possibilità che parevano<br />

impensabili fino a qualche decennio fa.<br />

La nostra è una provincia povera, anche dal punto di vista della<br />

storia. La vicinanza di Roma, capitale dell’Impero e poi della Cristianità,<br />

ci ha costretto ai margini della storia. C’è però un periodo<br />

tra la fine dell’Impero e la nascita degli Stati nazionali, appunto<br />

il Medioevo, che ci ha visto svolgere, spesso nostro malgrado, un<br />

ruolo non voglio dire decisivo, ma quanto meno importante. Tutto<br />

ruota intorno ad una grande via di comunicazione che attraversa<br />

per tutta la lunghezza le nostre terre, la Casilina. L’antica via Latina<br />

che in epoca medievale collegava, come ancora oggi fa, Roma con<br />

Casilinum nei pressi di Capua. Il decadimento dell’Appia antica favorì<br />

l’uso della nostra Casilina. L’uso in ogni senso perché attraverso<br />

essa passarono guerre e distruzioni ma anche conoscenza e civiltà.<br />

Le grandi cattedrali romaniche stanno lì a dimostrarlo. I longobardi,<br />

i Normanni, gli Svevi nel mezzogiorno d’Italia costruirono regni che<br />

hanno lasciato un segno indelebile nella storia della civiltà europea.<br />

Questi popoli, questi regni hanno intessuto per secoli con i Papi di


8<br />

Roma un fitto tessuto di rapporti non sempre pacifico. Il nostro territorio,<br />

spesso, ripeto, suo malgrado, è stato parte di tali incontri e<br />

scontri fino alla sconfitta dell’ultimo degli Svevi.<br />

Poi la <strong>Storia</strong>, quella con la S maiuscola, ha cambiato direzione,<br />

si è spostata più a nord e il nostro territorio è diventato marginale.<br />

Ma i segni dell’antico splendore sono rimasti e sono le abbazie e le<br />

cattedrali e la miriade di castelli che incoronano le nostre colline. E<br />

anche un grande patrimonio di leggi che regolavano la vita di città e<br />

castelli poco o per nulla conosciuto dai nostri conterranei: gli Statuti<br />

medievali e moderni.<br />

Con questo nostro lavoro vogliamo colmare questa lacuna o almeno<br />

contribuire a colmarla.<br />

Danilo Collepardi


Gioacchino Giammaria<br />

Introduzione<br />

Il progetto<br />

Il Sistema bibliotecario e documentario Valle del Sacco ha elaborato<br />

un progetto che ha usufruito di un contributo della Regione Lazio<br />

per studiare gli statuti comunali antichi, che ha una forte valenza<br />

sociale e culturale. I risultati di cotale attività devono essere posti<br />

in pubblico anche con le forme più moderne della comunicazione<br />

e per questo si è prevista la pubblicazione “canonica” di un volume<br />

in cui raccogliere contributi scritti sull’argomento, ma, oltre a ciò,<br />

si è anche pensato ad un DVD con l’illustrazione di una parte molto<br />

significativa del lavoro svolto e, infine, si pubblicheranno nel web i<br />

materiali prodotti. Oltre all’impegno dei ricercatori, il lavoro è stato<br />

seguito dagli amministratori comunali (che l’hanno in primo luogo<br />

voluto) e dai bibliotecari del Sistema che, non solo hanno cooperato<br />

alla progettazione, ma collaborato alla realizzazione, soprattutto della<br />

fase intermedia.<br />

Che tale lavoro si sia svolto in queste terre di Ciociaria, già provincia<br />

di Campagna dei tempi in cui apparteneva allo Stato Pontificio<br />

ovvero dall’epoca in cui gli statuti nacquero, non è del tutto casuale<br />

poiché gli studiosi di jus proprium comunale ricordano i convegni<br />

ferentinati di qualche tempo fa, in cui numerosi ricercatori hanno<br />

mostrato i loro saperi per dare un contributo al progresso degli studi<br />

in questa materia.<br />

Tante sono le persone e le istituzioni da ringraziare, in particolar<br />

modo quelle dello Stato che lavorano per mettere a disposizione<br />

dell’utenza il colossale patrimonio di memoria costituito dai nostri<br />

archivi pubblici (e mi sembra giusto ricordare anche quelli privati<br />

oggi a disposizione dell’utenza); oltre a queste persone cade acconcio<br />

ricordare amministratori, funzionari e bibliotecari, molti benemeriti<br />

studiosi che hanno prodotto i materiali utili alla ricerca. Infine<br />

i numerosi studiosi di res statutaria che hanno accolto il nostro invito<br />

e partecipato ai convegni. Non li menziono per nome e cognome<br />

per evitare di dimenticarne qualcuno.


10<br />

Gioacchino Giammaria<br />

La realizzazione<br />

Non appena il progetto è stato approvato dalla Regione il Sistema<br />

ha dato il via, per cui i collaboratori dell’Istituto di storia e di arte<br />

del Lazio meridionale, affidatario della ricerca, hanno cominciato a<br />

studiare l’argomento dopo un primo stage informativo-formativo, e<br />

quindi hanno consultato gli archivi necessari per svolgere l’attività<br />

proposta. La scarsezza di archivi giudiziari ha indirizzato i tre ricercatori,<br />

Marco Di Cosmo, Rossana Fiorini e Matteo Maccioni, verso<br />

archivi amministrativi come quello della Sacra Congregazione del<br />

Buon Governo, l’Archivio della Delegazione Apostolica di Frosinone,<br />

gli archivi comunali e l’Archivio Colonna depositato, come è<br />

noto, presso la Biblioteca del monumento nazionale S. Scolastica di<br />

Subiaco. Si tratta di imponenti raccolte di atti “amministrativi” che<br />

contengono importanti eventi relativi a affari e contenziosi di varia<br />

natura, e sovente in questi grandi depositi di memoria si trovano<br />

riferimenti agli statuti, o meglio alla loro esistenza ed applicazione.<br />

Su questi aspetti si sono appuntati gli sguardi di Di Cosmo, Fiorini<br />

e Maccioni, volti a trovare prove dell’esistenza di statuti in quei comuni<br />

in cui non se ne trova traccia oggigiorno. E questo ha condotto<br />

a scoprire tracce di statuti dei comuni di Boville Ernica, Ceccano,<br />

Ceprano, Giuliano di Roma, Serrone, Villa S. Stefano di cui prima si<br />

sapeva poco o niente. L’altro aspetto indagato è l’applicazione degli<br />

statuti che negli atti amministrativi ha avuto una direzione ben precisa<br />

o meglio si è trovato che il tema ricorrente e prevalente era quello<br />

del danno dato. Del resto ciò è abbastanza logico e non sorprendente<br />

in quanto l’argomento è quello che nei secoli dell’età moderna ha<br />

avuto un largo riflesso nella vita pubblica (ed economica) ed è l’unico<br />

ad essere stato praticato nell’ambito del diritto comunale, mentre<br />

l’affermazione dello stato moderno ha determinato quel lungo e<br />

lento tramonto dello jus proprium comunale. Ma non per il danno<br />

dato, le cui norme sono state aggiornate dai consigli comunitativi,<br />

richiamate più volte nei conflitti e contenziosi scoppiati nella società<br />

di acien régime, sovente in quelli molto frequenti fra agricoltori e<br />

pastori, tratto caratteristico dei secoli XVIII e XIX in cui il forte<br />

incremento demografico ha comportato l’aumento dei terreni da destinare<br />

alle coltivazioni, la loro recinzione, conseguenza non ultima


Introduzione<br />

11<br />

della riduzione, se non della totale sparizione, del pascolo brado,<br />

ed anche dello spostamento sulle montagne dell’allevamento. Ma<br />

anche qui, in terreni marginali, l’agricoltura ha conteso gli spazi alla<br />

pastorizia. Le carte dei secoli si sono rivelate appunto proficue per i<br />

due filoni di ricerca e per ogni paese si è trovato un argomento che<br />

è stato esposto nei convegni tenuti, paese per paese, interessando<br />

il vasto e diversificato uditorio a cui sono stati sottoposti i risultati<br />

degli studi.<br />

Oltre a questa ricerca si è toccato anche un secondo filone, molto<br />

tradizionale ma poco praticato, della ricerca: l’inchiesta sui codici<br />

statutari che, conosciuti per lo più, non erano descritti codicologicamente;<br />

ed i risultati del lavoro di Francesca Pontri sono 18 schede<br />

descrittive che oggi sono a disposizione di studiosi e ricercatori, in<br />

particolar modo della ricerca storica locale che ha un punto di riferimento<br />

sicuro. Come è noto esistono due grandi collezioni di statuti,<br />

presso il Senato della Repubblica, con una grandiosa collezione che<br />

riguarda tutta l’Italia, e nell’Archivio di Stato di Roma dove si trovano<br />

manoscritti statutari delle terre appartenenti nel passato allo Stato<br />

Pontificio; oltre a queste raccolte, copie di statuti si trovano in primis<br />

presso gli archivi comunali, sovente si tratta di originali, ma anche in<br />

alcuni fondi dell’Archivio di Stato di Frosinone, istituto competente<br />

a raccogliere le carte statali della Provincia di Frosinone. Ci sono poi<br />

biblioteche e archivi privati che ne possiedono alcuni, ed in prima<br />

fila è il ricchissimo Archivio Colonna, raccolto dall’importante famiglia<br />

romano-laziale ed ora conservato presso la Biblioteca statale<br />

del Monumento nazionale S. Scolastica a Subiaco, custodito dai monaci<br />

benedettini sublacensi. Anche qualche biblioteca privata raccoglie<br />

buoni codici manoscritti relativi agli statuti. In questi ambienti<br />

ha svolto la sua attività Francesca Pontri, portando alla luce anche<br />

molti manoscritti poco noti, relegati sugli scaffali poco o per niente<br />

consultati, e per niente studiati. Il risultato del suo lavoro, come si è<br />

accennato, è la predisposizione delle schede descrittive che contengono<br />

brevi riferimenti storici del paese/città, appunto per inquadrare<br />

l’ambito in cui lo statuto è stato elaborato ed ha retto giuridicamente<br />

la vita pubblica (e privata) degli abitanti della Campagna. Ci sono<br />

poi le menzioni dei codici statutari trovati (in qualche caso, dolo-


12<br />

Gioacchino Giammaria<br />

roso, non si è potuto esaminare nessun esemplare!) che vengono<br />

brevemente descritti, ma un’analitica descrizione è stata realizzata,<br />

esemplare per esemplare, secondo un modello descrittivo notissimo<br />

e risalente alle codificazioni elaborate alla fine del secolo passato. Si<br />

va dalla descrizione esterna (identificazione, composizione materiale,<br />

datazione, origine, materia, carte, dimensioni, fascicolazione, rigatura,<br />

specchio della scrittura, righe, disposizione del testo, richiami,<br />

scritture e mani, decorazione, sigilli e timbri, legatura, stato di<br />

conservazione, copisti ed altri artefici, revisioni e annotazioni, varia)<br />

alla descrizione interna (si parte dal titolo e si indicano le carte che<br />

contengono le varie parti del manoscritto, premesse, libri, capitoli,<br />

parti conclusive, sottoscrizioni e tabulae). Un lavoro certosino che<br />

offre molte occasioni di poter approfondire tanti aspetti. Uno solo fra<br />

quelli possibili: il confronto fra le datazioni che rende inquadrabile<br />

in più ampie spiegazioni la redazione di un codice e mi pare opportuno<br />

far riferimento, a mo’ di esempio, all’intervento dei Colonna<br />

in questo campo, che appare veramente notevole in un momento in<br />

cui andavano inquadrando nei loro stati molti feudi di Campagna.<br />

E tutto ciò fa comprendere modi e tempi della signoria colonnese<br />

nel corso del Cinquecento, secolo appunto del loro consolidamento<br />

quali signori predominanti in queste parti del Lazio.<br />

L’altro lavoro è stato effettuato da tre ricercatori che hanno esplorato<br />

le carte di una ventina di comuni dell’area prescelta. Archivi<br />

privilegiati, oltre a quelli comunali, sono stati quelli statali dove<br />

si conserva documentazione del passato pontificio e colonnese di<br />

questa zona. E poiché si ha scarsa traccia degli archivi giudiziari<br />

locali, come si è detto sopra, le fonti maggiormente studiate sono<br />

quelle amministrative. Sopra a tutti i fondi della S. Congregazione<br />

del Buon Governo, della Delegazione apostolica di Frosinone ed a<br />

seguire le carte della ricchissima raccolta documentaria dei Colonna.<br />

Qui è stato possibile poter attingere a fondi dirette ed indirette (tra<br />

l’altro vi sono conservate copie degli statuti) tali da poter illustrare<br />

sia statuti di cui non si conosceva l’esistenza, come della applicazione<br />

con casi certi e documentati, come si diceva di sopra.<br />

Il campo è stato di fatto suddiviso in aree comunali ed i risultati<br />

sono esposti in 25 brevi saggi ciascuno dei quali riferito ai comuni


Introduzione<br />

13<br />

afferenti l’area, toccando così altrettanti argomenti; uno solo riguarda<br />

casi giudiziari (Anagni di Matteo Maccioni), gli altri hanno incontrato<br />

soprattutto una casistica molto ampia soprattutto indirizzata<br />

verso il danno dato, tema diffusissimo e praticamente monopolizzatore<br />

dei contrasti locali in quanto, coll’incremento demografico del<br />

secolo XVIII, esso veniva ad essere l’espressione visibile e reale del<br />

conflitto fra pastori e contadini, così tipico, e su cui non conviene<br />

soffermarci ulteriormente. Invece la casistica del danno dato ha posto<br />

in evidenza diverse cose oltre alla sua capillare diffusione (tratto<br />

caratteristico di società agrarie che affidavano alle coltivazioni ed<br />

all’allevamento brado la sussistenza mentre sono rarissimi i casi in<br />

cui compare la possibilità di accumulo, che, invece, come è noto, è<br />

tratto caratteristico di altri aspetti dell’ economia). In particolar modo<br />

emerge il tema dei “neri”, ovvero dell’allevamento brado del maiale<br />

che, se anche “rientra” nel conflitto pastorizia/coltivazioni, assume<br />

tratti particolari che partono dall’allevamento e terminano nel cambiamento<br />

culinario in atto. La concorrenza fra greggi e branchi d’allevamento<br />

pone al margine dello stesso allevamento il maiale, di cui<br />

si vuol vietare il pascolo brado a favore dell’allevamento stabulante,<br />

per cui l’essere esso animale altamente pericoloso favorisce la sua<br />

“dannazione” ed il relegamento al chiuso. Come è noto l’allevamento<br />

brado rimarrà in auge in ambiti marginali, più esattamente laddove<br />

il bosco rimane a lungo al centro delle attività economiche. Ed è<br />

noto altresì pure che se per il maiale il secolo “nero” sarà il Settecento,<br />

lo stesso trattamento avrà la capra nel secolo seguente quando<br />

sarà “perseguito” il suo allevamento. Se nel secolo XVIII i maiali<br />

verranno sostituiti da altri animali minuti (soprattutto pecore, meno<br />

le capre), nel secolo XIX i pascoli saranno frequentati da cospicui<br />

greggi di pecore. All’interno di questi movimenti si collocano tanti<br />

conflitti settecenteschi e del secolo decimonono, così importanti per<br />

queste aree laziali tanto da aver assunto tratti caratterizzanti. Del<br />

resto le carte del danno dato sono foriere di altre possibilità di poter<br />

entrare meglio nei “meccanismi” della vita sociale delle comunità<br />

del passato, in particolare di quelle che fanno capire quanto hanno<br />

dominato certe regole nei momenti cruciali e di trasformazione sociale<br />

ed economica.


14<br />

Gioacchino Giammaria<br />

Hanno collaborato a tale iniziativa diversi illustri studiosi di res<br />

statutaria alcuni dei quali ci hanno consegnato loro scritti in merito.<br />

Attraverso le biblioteche si sarebbe voluta la partecipazione di studiosi<br />

locali, grandi conoscitori di archivi e situazioni cittadine, ma<br />

solo in due casi si è potuto avere un confronto, risultato molto utile<br />

al fine di indagare in modo più approfondito e in un ampio spettro<br />

d’indagine. Anche gli studiosi più noti hanno partecipato con alcuni<br />

contributi.<br />

Alessandro Dani ha affrontato un problema importante ovvero il<br />

confronto tra codici statutari del Quattrocento, o meglio tra quello<br />

romano ed i codici laziali di Rieti, Viterbo, Tivoli, Ferentino, Alatri,<br />

Velletri, Castro e Ronciglione, tutti risalenti al medesimo periodo<br />

fino all’inizio del Cinquecento. Del nostro gruppo sono appunto gli<br />

statuti di Alatri e Ferentino che presentano redazioni minori quantitativamente<br />

ma anche dal punto di vista della casistica. Il lavoro del<br />

prof. Dani indica una strada per successive ricerche che potrebbero<br />

far capire molte dinamiche interne agli statuti e tanti aspetti della<br />

civiltà giuridica locale.<br />

Cristina Giacomi, su sollecitazione e indicazioni di Tommaso Cecilia,<br />

ha cercato nelle riformanze comunali la presenza dei riferimenti<br />

allo statuto comunale di Anagni, “rinnovato” nel 1517 e legato in<br />

nuova veste nel 1587, a cui ci si riferisce sovente e non solo per le<br />

fortunose vicende del suo trafugamento e del successivo recupero,<br />

ma soprattutto per i richiami normativi strettamente necessari alla<br />

formazione delle decisioni assembleari e consiliari e per l’elezione<br />

degli organi di governo cittadini.<br />

Sandro Notari pubblica una nota sullo statuto anticolano-fiuggino,<br />

già presente nell’archivio comunale della città termale, che ha<br />

avuto diverse e misteriose vicende; scomparso come altri codici statutari,<br />

ha avuto la ventura di ricomparire, “misteriosamente”, nella<br />

collezione del Senato dove attualmente si conserva.<br />

Paolo Scaccia Scarafoni è presente con due note che ha letto nei<br />

convegni di Castro dei Volsci e Veroli. Nella prima individua nel<br />

periodo della signoria Colonna il momento redazionale e corrobora<br />

questo suo assunto con una certosina ricerca documentaria e comparativa<br />

con lo statuto di Olevano Romano; anche nella seconda rela-


Introduzione<br />

15<br />

zione individua il periodo di compilazione degli statuti restringendo<br />

la forchetta degli anni grazie sempre ad un’indagine capillare e microscopica<br />

attraverso l’esame delle molte e superstiti fonti verolane<br />

del tempo. La presenza di officiali forestieri è anche l’occasione per<br />

capire dinamiche locali e di più ampia prospettiva territoriale che<br />

vede l’egemonia di un personaggio collegato con alleanze nel territorio<br />

provinciale di Campagna e Marittima. L’ultimo tema accennato<br />

è la comparazione con le Constitutiones Aegidianae che inducono a<br />

pensare ad un’estesa influenza locale, argomento tutto da sviluppare<br />

in modo trasversale per tutti gli statuti del territorio.


Matteo Maccioni<br />

Sul potere di convocare<br />

il “publico Conseglio” in Acuto<br />

I documenti presi in esame per il comune di Acuto appartengono<br />

alla collezione dell’Archivio di Stato di Roma, più precisamente<br />

all’Archivio della Congregazione del Buon Governo 1 . Il materiale<br />

si sofferma sulla figura che ha il diritto di convocare il Consiglio<br />

popolare, o Adunanza, sulla base dello Statuto locale. Per quanto<br />

concerne la busta 36, si tratta di un fascicolo contenente missive e<br />

rimostranze indirizzate dal sindaco e gli “officiali” della comunità<br />

di Acuto al Buon Governo e dal vescovo di Anagni sempre a questa<br />

Congregazione, datate settembre 1704-aprile 1705. La busta 37<br />

contiene la stampa di un memoriale riportante la data 19 settembre<br />

1778.<br />

Chi ha il diritto di convocare il pubblico consiglio? Il problema<br />

si palesa all’interno di un contenzioso tra la Comunità di Acuto e<br />

il vescovo di Anagni, barone di Acuto 2 , Pietro Paolo Gerardi. Da<br />

1<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (in seguito solo BG), bb. 36-37.<br />

2<br />

Il dominio del Vescovado di Anagni sul castello di Acuto è riportato dalle<br />

stesse fonti dell’epoca come risalente a “tempi immemorabili”. Notizie<br />

storiche precise sull’instaurazione del dominio feudale del Vescovado di<br />

Anagni sul castello di Acuto si hanno solamente per quanto concerne la<br />

fase conclusiva di questo processo, ovvero a partire dalla bolla di Urbano<br />

II del 1088 fino a quella di Bonifacio VIII del 1301. Tra l’XI e il XIII<br />

secolo il castello di Acuto, schiacciato tra le decisioni papali e tra le operazioni<br />

di compravendita e donazioni messe in atto dalla curia vescovile,<br />

passa nelle mani della curia anagnina. Il castello di Acuto, oltre ad essere<br />

soggetto alla giurisdizione del vescovo di Anagni, era anche feudo diretto<br />

di quello, soggetto dunque al merum et mixtum imperium (governo mero e<br />

misto), ovvero all’esercizio, spettante al feudatario, del potere giudicante<br />

nell’ambito civile e penale della giustizia. L’interesse dello Stato pontificio<br />

nell’acquisto e nella conquista di comunità territoriali è spiegato perfetta-


18 Matteo Maccioni<br />

una parte quest’ultimo, messo sotto accusa dalla Comunità per il<br />

taglio della selva, considerato eccessivo, si giustifica adducendo la<br />

necessità di «risarcire, come per edificare case di nuovo, per Capanne,<br />

ed altre cose bisognevoli» 3 ; dall’altra, il “Popolo, e Plebe d’Acuto”<br />

scrive due suppliche alla Congregazione del Buon Governo per<br />

denunciare «gl’incessanti aggravij, che quel Popolo, e Com(muni)tà<br />

mente da Dani: «i vari Stati, deboli nelle loro maglie burocratiche, avevano<br />

bisogno delle comunità territoriali per governare, e dunque il loro rafforzamento<br />

andava nella direzione della conservazione di equilibri corporativi<br />

tradizionali, sui quali si innestarono però nuovi meccanismi di ingerenza,<br />

prima nella sfera giudiziaria (con l’invio o la designazione di magistrati),<br />

poi in quella normativa (con l’approvazione degli statuti), quindi in quella<br />

amministrativa (con il controllo della gestione economica)», vedi A. Dani,<br />

Gli statuti comunali nello Stato della Chiesa di Antico regime: qualche<br />

annotazione e considerazione, in Historia et ius, 2 (2012), paper 6, p. 1,<br />

[www.historiaetius.eu], consultato in data 15/02/2017.<br />

Sulla storia e le varie tappe di assoggettamento del castello di Acuto al<br />

Vescovado di Anagni cfr. M. Ticconi, Acuto: la storia, lo “Statuto”, gli usi<br />

e il costume, Roma 2003, pp. 79-107.<br />

3<br />

BG, b. 36, lettera del Vescovo d’Anagni Pietro Paolo Gerardi al Buon Governo,<br />

31 maggio 1704. Riporto per intero l’uso del legname fatto dal vescovo:<br />

«Tre sono stati li bisogni di Travi, Travicelli ecc. Primo del Palazzo<br />

Vescovale, ò Baronale, nel quale Io vado ad abitare lì trè mesi dell’Anno,<br />

per evitare il caldo della Città, per il quale li due primi Anni stiedi in procinto<br />

di morire, e perche è tanto mal ridotto lo voglio risarcire ed à questo<br />

effetto ho fatto fare alcuni Travicelli, e Tavole. Il secondo caso e Stato,<br />

che ho fatto fare un Reliquiario grande con suoi ornam(en)ti, perche le<br />

Reliquie di quella Chiesa Principale si tenevano assai indecentem(ente) in<br />

Sagrestia, e faccio fare un Organo assai onorevole, la maggior parte à mie<br />

spese, onde per il Palco, scale, ed altro vi sono bisognati delli legnami. Ed<br />

in terzo luogo Antonio Neccia, per riedificare una sua casa triuta, ha parimente<br />

auto di bisogno di alcuni Travi, per li quali hà ottenuta la licenza in<br />

conformità dello Statuto, si da mè come dal Magistrato. Se dunque per fare<br />

tali operazioni pie nelle Chiese onorevoli, e convenienti nel Palazzo Baronale,<br />

e giuste per edificare case in conformità dello Statuto, e per spendere<br />

li miei quadrini per maggior culto, et onore di Dio, ed e Santi merito querele<br />

e ricorsi, sono pronto à riceverne rigoroso gastigo, altrimenti lo meriterà<br />

il querelante, et all’E.V. faccio profondis(si)ma riv(eren)za».


Sul potere di convocare il “publico Conseglio” in Acuto<br />

19<br />

riceve da quel Vescovo», riassumibili in quattro punti: 1) il vescovo<br />

ha fatto tagliare 190 alberi tra i migliori della selva appartenente alla<br />

Comunità, contravvenendo ad una esplicita risoluzione del “publico<br />

Conseglio”; 2) la Comunità versa al Gerardi 200 scudi l’anno, in<br />

vigore di una “Concordia”, per sanare un debito di 3250 scudi, e<br />

dunque questa chiede di essere «ammessa à monti Camerali per<br />

restituire d(ett)o Cap(ita)le, e liberarsi da d(ett)a annua prestatione<br />

di scudi 200 vedendo in tal modo la povera Com(muni)tà ad utilitarsi<br />

di scudi 100 l’anno»; 3) la Comunità accusa il vescovo di aver<br />

usurpato la terza parte del danno dato spettante interamente a questa;<br />

4) infine, essa chiede che venga riconosciuto il diritto di convocare<br />

il “publico Conseglio” senza la licenza del vescovo. Il Popolo di<br />

Acuto si fa scudo di un accordo risalente al 1609 tra la Comunità e<br />

l’allora vescovo Antonio Seneca. Con esso si stabiliva che, dietro<br />

pagamento di 215 scudi l’anno - poi 200 - per ripianare il debito di<br />

3250 scudi contratto con il vescovo stesso, questo «non havesse in<br />

Acuto, che il mero, e misto impero, e non potesse ingerirsi in verun<br />

conto nelle selve, herbe ecc., e generalm(en)te in ogni provente<br />

della Com(muni)tà, ma quelli restassero a libera disposizione degli<br />

Off(icia)li di quella». Poiché tali accordi sono posteriori alla stesura<br />

dello Statuto locale, la Comunità si ritiene in diritto di appellarsi al<br />

Buon Governo e denunciare la condotta del Gerardi 4 .<br />

Il vescovo ribatte punto su punto alle accuse mossegli dalla<br />

Comunità acutina, definendo gli attacchi delle mere calunnie, delle<br />

ingiurie 5 , e sostenendo di aver seguito in molti dei casi posti sotto<br />

inchiesta l’esempio dei suoi predecessori - motivo per cui egli<br />

afferma che «se questa fosse usurpaz(io)ne non sarebbe mia». Per<br />

4<br />

Ivi, memoriale del Popolo e Plebe di Acuto al Buon Governo, 9 agosto<br />

1704: «Né osta lo Statuto perche ritorna all’istessa risposta d(ett)a di sopra<br />

che è anteriore alla Concordia stante le quali è ineseguibile in quelle parti<br />

contrarie all’istessa Concordia».<br />

5<br />

Ivi, informativa del vescovo di Anagni Gerardi al Buon Governo, 12<br />

settembre 1704: «queste sono ingiurie troppo insolenti contro un povero<br />

Vesc(ov)o e provengono, perche pare sia lecito ad ognuno dare questi libelli<br />

infamatorij sotto nome collegativo, acciò non si sappia chi li porge, e<br />

si fà lecito con q(ue)sto stile d’infamare ed eccl(esiast)ici, e laici».


20<br />

Matteo Maccioni<br />

sminuire l’efficacia delle accuse rivoltegli, il vescovo sostiene che il<br />

memorialista che ha redatto l’atto di accusa nei suoi confronti «prende<br />

equivoco, perche imprudentem(en)te si serve delle notizie, che li dà<br />

un Idiota, il quale non sa quello si dica», che «lo fa senza vedere le<br />

scritture stando solo all’asserzione degl’Idioti» 6 . Il Gerardi sostiene<br />

che lo Statuto e altri accordi tra la Curia e la Comunità certificano<br />

che la ragione è dalla sua parte e che per questo si dice disponibile<br />

a produrre, tutte le volte che gli verrà richiesto dal Buon Governo,<br />

i documenti che lo attestano, discolpandosi così delle accuse «che<br />

falsam(en)te mi si impongono» 7 .<br />

Dallo scambio epistolare si evince che la comunità di Acuto, il<br />

sindaco e gli ufficiali, così come il Governatore del paese, mossi<br />

dalla necessità di eleggere il Procuratore – materia che spetta al<br />

consiglio popolare, ritengono di poter convocare autonomamente<br />

il “publico conseglio”. Il primo atto prodotto è una rimostranza<br />

avanzata dal sindaco e i suoi ufficiali, i quali, dal momento che<br />

non riescono a convocare e a tenere l’adunanza, si rivolgono alla<br />

Congregazione del Buon Governo affinché questa faccia pressioni<br />

in tal senso. Il sindaco afferma, vieppiù, che lo statuto locale «non<br />

dispone, che vi debba intervenire la licenza del Barone, ma quella<br />

della Corte, e percio si è sempre praticato di farli non solo con la<br />

licenza, ma anche con l’intervento del Gov(ernator)e pro tempore,<br />

senza quella del Barone» 8 . La comunità d’Acuto si lamenta del fatto<br />

che il Governatore si è occultato più volte al fine di non partecipare<br />

al consiglio popolare, così impedendone lo svolgimento. Questo<br />

comportamento viene spiegato nella lettera del 28 aprile 1705, nella<br />

quale il vescovo di Anagni afferma che il Governatore «non ha<br />

voluto intervenire al Conseglio, che volevano fare, mentre non vi era<br />

la mia licenza, onde io per non lasciarlo fare, e poi mandar carcerato<br />

il sindico, ed altri intervenuti, stimai più oportuno mandargli un<br />

6<br />

Ivi, informativa del vescovo di Anagni Gerardi al Buon Governo, 12 settembre<br />

1704.<br />

7<br />

Ivi.<br />

8<br />

Ivi, missiva del sindaco e degli ufficiali della Comunità di Acuto al Buon<br />

Governo, senza data.


Sul potere di convocare il “publico Conseglio” in Acuto<br />

21<br />

precetto, che non facessero il Conseglio, senza la mia licenza, ò<br />

vero senza mostrare prima la facoltà ottenuta da miei Superiori» 9 .<br />

Stando a quanto stabilito dallo statuto locale, non è infatti possibile<br />

convocare il consiglio «sine licentia curiae»: il governatore, mero<br />

sottoposto del Barone, non ha tale facoltà, e d’altronde la comunità<br />

non ha il potere di fare risoluzioni «perche è pupilla senza il Decreto<br />

del Giudice» 10 – quanto a dire, impotente. Nella lettera del primo<br />

aprile 1705, diretta a Monsignor Nunez, il vescovo di Anagni, Pietro<br />

Paolo Gerardi, trascrive in toto il capitolo 49 dello statuto di Acuto:<br />

«Cap. 49. Quod Adunantiae, sive Consilia non fiant<br />

sine Licentia Curiae. Item Statuimus, et ordinamus, quod<br />

Adunantiae, aut parlamentum In dicto Castro, aut alibi Per<br />

aliquos homines ipsius Castri non debeant fieri Sine Licentia<br />

Curiae ad Poenam ut ipsi Curiae et Officialibus videbitur» 11 .<br />

La lettura dell’articolo dello statuto dimostra che il vescovo<br />

è apparentemente dalla parte della ragione. Inoltre, egli afferma<br />

di non avere nessuna difficoltà a concedere la suddetta licenza, e<br />

che anzi sarebbe ingiusto da parte sua non farlo, ma al contempo<br />

giudica inaccettabile tanto l’interpretazione quanto l’applicazione<br />

che gli appellanti danno di questo articolo, ritenendole pericolose<br />

per il mantenimento dello status quo politico: «loro si vorrebbono<br />

governare da Republica, mà in tempo mio con la giustizia alla mano,<br />

credo non li riuscirà» 12 .<br />

9<br />

Ivi, Missiva del Vescovo Gerardi al Buon Governo, 28 aprile 1705.<br />

10<br />

Ivi.<br />

11<br />

Ivi, Missiva del Vescovo Gerardi al Buon Governo, 1 aprile 1705. Il<br />

libro Antico statuto della comunità di Acuto abrogato dalle presenti leggi<br />

nell’anno della salvezza 1821, pazientemente restaurato affinché resti per<br />

i posteri come ricordo di un animo riconoscente (trascrizione di F. Pompili,<br />

Acuto 1995, p. 17) riporta la seguente traduzione: «RUBRICA XLIX<br />

Similmente stabiliamo ed ordiniamo che l’Adunanza o il Parlamento non<br />

debbano essere fatti in detto Castello o altrove da alcuni uomini dello stesso<br />

Castello, senza il permesso della Curia, pena la pena che sembrerà opportuna<br />

alla stessa Curia ed agli Ufficiali».<br />

12<br />

Ivi, Missiva del Vescovo Gerardi al Buon Governo, 28 aprile 1705.


22<br />

Matteo Maccioni<br />

Il contenzioso, a conti fatti, lascia trasparire il profilo di un<br />

vescovo timoroso di una possibile ribellione all’interno della<br />

comunità cittadina; e contrario, quest’ultima stima il potere del<br />

Barone – spesso adoperato arbitrariamente – profondamente lesivo<br />

della propria stabilità.<br />

Prendendo spunto dalle oppressioni dei governatori, e dall’avidità<br />

dei baroni a cui la comunità è sottoposta, il memoriale del<br />

settembre 1778 illustra tre esempi di «dispotico metodo con cui e<br />

dal Governatore, e dal Barone di detto Luogo regolansi gli affari,<br />

e gli interessi della Communità, e del Popolo» 13 . Il primo esempio<br />

proposto riguarda proprio la modalità di convocazione del pubblico<br />

consiglio. Secondo Alessandro Trambusti - autore del suddetto<br />

memoriale indirizzato al monsignor Gavotti, «Ponente Anagnina per<br />

li Consiglieri, e Popolo della terra di Acuto Diocesi di Anagni» della<br />

Congregazione del Buon Governo - la convocazione del consiglio<br />

può avvenire direttamente su richiesta dei “Publici Rappresentanti”<br />

e dei Consiglieri, se è «diretta a consultare gl’affari, e le indigenze<br />

del Publico» 14 . Il Trambusti ritiene che, nel caso in cui si tratti di<br />

un atto «di Governo economico, e non mai di Giurisdizione», sia<br />

lecita la convocazione senza licenza della curia vescovile: è dovere<br />

istituzionale dei consiglieri provvedere agli interessi e al benessere<br />

materiale della popolazione 15 . Scrive il Trambusti:<br />

13<br />

Ivi, b. 37, memoriale di Alessandro Trambusti a Mons. Gavotti del Buon<br />

Governo, 19 settembre 1778.<br />

14<br />

Ivi.<br />

15<br />

Ivi: «Che alli Publici Rappresentanti, e a Consiglieri medesimi spetti il<br />

diritto di convocare il Publico Conseglio troppo chiaramente lo insegna il<br />

Testo nella Leg. Observare a. Cee.de Decur ivi: Observare oportebit Magistratus,<br />

ut Decurionibus solemniter in Curiam convocatis nominationem<br />

ad certa munera faciant; e ciò al riflesso, che essendo la convocazione del<br />

Conseglio diretta a consultare gl’affari, ed indigenze del Publico un’atto<br />

di Governo economico, e non mai di Giurisdizione, quale preso de’ Consiglieri<br />

risiede, che a tale effetto chiamansi Curatores Communitatis, come<br />

li definisce il Bald. Nel cons. 282 num. 2 Menoch. Cons. 38 num. 32, ne<br />

viene da ciò in conseguenza, che ad essi spetti, attesa la contingenza de’<br />

casi, ed il respettivo bisogno del Publico il coadunare il Conseglio come


Sul potere di convocare il “publico Conseglio” in Acuto<br />

23<br />

«Quante volte adunque a nostri Consiglieri competa<br />

una tal facoltà, e respettivo diritto di convocare il Publico<br />

Consiglio, non senza un’evidente aggravio, che voglia farsi à<br />

medesimi, potrà dall’odierno Barone pretendersi, impedire ad<br />

essi di convocarlo se prima non ne riportino o da esso, o dal<br />

di lui Governatore un’espressa licenza. Di fatti se li Publici<br />

Rappresentanti, se l’Anziani del Conseglio ordinandone<br />

la convocazione per provvedere agl’interessi, e respettive<br />

indigenze del Publico, altro non fanno se non se esercitare<br />

un’atto del di loro Uffizio, niuno certamente, che abbia senno,<br />

ed intelletto potrà affermare, che in ciò sia necessaria la licenza<br />

del Governatore Locale, mà dovrà onninamente confessare, che<br />

una tal facoltà, quale a medesimi compete al riflesso del loro<br />

Ufficio debba esser libera, assoluta, ed indipendente, conforme<br />

con la commune opinione de Dottori […] Ed in vero risiedendo<br />

nel Generale Conseglio tutto il potere della Communità, e<br />

respettivo Popolo, come osserva il Campell, ad Conflit. Duc.<br />

Urbin, decr. 23. num. 71. Ivi: Consilium denique generale, in<br />

quo verè, et propriè residet tota vis, et potestas Civitatis, et<br />

Populi; e formando altresì la Communità un Collegio lecito,<br />

ed approvato puole Egli certamente convocarsi senza veruna<br />

Licenza, o Ordine del di lui Superiore per gli affari ad essa<br />

risguardanti a beneplacito de Consiglieri» 16 .<br />

Il documento lascia trasparire l’insoddisfazione della comunità<br />

per la propria situazione giurisdizionale e un forte sentimento di<br />

rivalsa nei confronti delle istituzioni, dalle quali sente di essere stata<br />

sottoposta a soprusi. La ribellione strisciante nelle lettere di 70 anni<br />

prima - presente già a inizio XVII secolo, e sedata con la Concordia<br />

siglata nel 1609 dal Vescovo di Anagni e il Popolo acutino - si palesa<br />

nella richiesta di impedire l’applicazione della norma statutaria che<br />

doppo il prelodato Testo ferma il Campell. Ad Conflit. Urbin. Decr. 34 numer.<br />

49 ivi: At legittima Consilii coadunatio spectat ad Magistratum Leg.<br />

Oc. Quod si forte Magistratus deesset poterit tunc antiquior ex oraine (sic)<br />

vel Collegio Consiliariorum reliquos convocare».<br />

16<br />

Ivi.


24<br />

Matteo Maccioni<br />

conferisce al Barone il potere e l’autorità di convocare, proibire e/o<br />

permettere la riunione del pubblico consiglio. A questa norma il<br />

Governatore, inoltre, ha aggiunto la pretesa che gli siano comunicate<br />

in anticipo, e per iscritto, le proposte da discutere in sede consiliare.<br />

È per queste ragioni che il Trambusti si spinge oltre e radicalizza<br />

la spaccatura chiedendo l’abolizione della norma 17 . Egli afferma,<br />

infatti, che fino a quel momento il Governatore, così come il Barone,<br />

hanno abusato del diritto di impedire la convocazione e riunione del<br />

Consiglio, diritto che si sono arrogati in modo improprio e arbitrario:<br />

«E chi è che non sappia, che quante volte, o dallo Statuto<br />

prescrivasi, o dalla consuetudine siasi introdotto, che alla<br />

coadunazione de’ Consiglieri debba precedere la Licenza del<br />

Governatore Locale, questa non ad altro riducesi, se non se ad<br />

una semplice notizia, che si dà al medesimo del Conseglio da<br />

tenersi, nel quale hà anch’esso ad intervenire?<br />

Da questa peraltro non deve, né puole arrogarsi ò il Barone,<br />

o il di lui Governatore il diritto d’impedirlo, né toglie a<br />

Consiglieri la libertà di coadunarsi ancorche il Governatore<br />

ricusasse d’intervenirvi, poiché non essendo secondo la<br />

disposizione di raggione proibito il Publico Conseglio senza<br />

la Licenza del Barone, o sia Governatore; quante volte questa<br />

richiedasi dallo Statuto, in tanto richiedesi acciocche le<br />

risoluzioni da prendersi nel Conseglio restino approvate dal<br />

Governatore del Luogo, e le medesime facciansi alla di lui<br />

presenza, così ne precisi termini della nostra questione distingue<br />

egregiamente il Menoch. Consil. 28 num. II. Ivi: Universitatum<br />

Congregationes, et Consilia jure non prohibentur, nec juris<br />

17<br />

Ivi: «Di fatti avvalorato esso da alcune parole dello Statuto Locale, nel<br />

quale dicesi, che il Conseglio non si convochi nisi de Licentia Curiae crede<br />

da ciò derivarne in esso il diritto di adunare il Conseglio a suo talento, di<br />

proibirlo, quando al medesimo così piaccia, e finalmente di non permetterlo,<br />

se non se nel solo caso, che li Consiglieri communichino in iscritto,<br />

qualche giorno avanti al di lui Governatore tutto ciò che debba proporsi nel<br />

Consiglio medesimo. Strana per altro non meno, che insussistente è una<br />

tal pretensione, e degna certamente che venga dalla Suprema Autorità di<br />

questa Sagra Congregazione affatto abolita, e depressa».


Sul potere di convocare il “publico Conseglio” in Acuto<br />

25<br />

necessitate requirunt Superioris praesentiam, vel licentiam,<br />

CUM LICENTIA SOLUM REQUIRATUR, ut actus gesti<br />

eorum auctoritate confirmari valeant: così fermò il Cancer. var.<br />

resol. lib. 3. cap. 13. num. 163. ivi: Est regula generalis, quod<br />

ea, quae ad Reipublicae administrationem, administrandique<br />

necessitatem, sive utilitatem pertinent ipsam, Rempublicam,<br />

seu Consilium posse per se sine consensu Superiori agere,<br />

licet bene IN CONGREGATIONE, et convocatione DEBEAT<br />

INTERVENIRE SUPERIOR, SIVE EJUS OFFICIALIS ET<br />

PROPOSITIO DEBEAT FIERJ etc. EO PRAESENTE.<br />

Che se la disposizione del nostro Statuto non dà all’Odierno<br />

Barone il gius d’impedire a nostri Consiglieri la libertà di<br />

convocarsi, con quanto maggior aggravio de’ medesimi si è<br />

eccitata una tal pretensione, nel caso nostro, nel quale lo Statuto<br />

non solo in questo, mà in veruno de’ suoi Capi non è operativo,<br />

nè puole costringere il Popolo di Acuto alla di lui osservanza,<br />

in quelle parti, che concernono li diritti del Barone. Per ben<br />

comprendere la verità di un tal assunto convien premettere,<br />

gravissime essere, state ne passati secoli le controversie, che<br />

insorgevano tutto dì tra li Baroni pro tempore, ed il Popolo;<br />

queste ridotte a foro contenzioso produssero un ben lungo,<br />

e dispendioso Litigio, al quale finalmente nell’anno 1609.<br />

impose fine una solenne Transazione, che stipolossi trà il<br />

nostro Popolo, ed il Barone di quel tempo» 18 .<br />

Trambusti evidenzia come la pretesa del Governatore di conoscere<br />

in anticipo quanto debba proporsi nel Consiglio 19 sia in realtà<br />

contraria a quanto prescritto nella bolla De Bono Regimine, «la quale<br />

vuole, che soltanto doppo convocato legittimamente il Conseglio,<br />

si propongano gli affari, quali proposti si consultino su di ciò li<br />

Consiglieri, e finalmente si raccolgano i Voti di questi» 20 . Ciò che<br />

18<br />

Ivi.<br />

19<br />

Cfr. nota 17.<br />

20<br />

Nel memoriale il Trambusti fa riferimento al commentario di Jacobo Cohellio<br />

alla bolla De Bono Regimine del 1656, al capitolo XXXI, num. 147:<br />

«Postquam Consilium praed(ictis) solemnitatibus convocatum est primo


26 Matteo Maccioni<br />

più meraviglia il Trambusti è però l’incongruenza tra l’insistenza del<br />

Governatore su questo suo presunto diritto di proibire l’Adunanza e<br />

il fatto che egli, in concreto, non ha voce in capitolo nelle Risoluzioni<br />

in essa adottate: è un suo diritto/dovere essere presente al Pubblico<br />

Consiglio, eppure risulta privo della facoltà di dare il suo voto su<br />

quanto esso decide 21 .<br />

Il discorso portato avanti dal Trambusti è evidentemente<br />

focalizzato sulla situazione giurisdizionale del comune di Acuto,<br />

resa intricata dalle prerogative che il Governatore e/o il Barone<br />

si sono arrogati nel corso del tempo – in spregio dell’accordo di<br />

Concordia del 1609 con cui questi, consapevolmente, hanno sancito<br />

la propria impotenza nella vita giurisdizionale del comune. L’autore<br />

del memoriale, analogamente al Popolo di Acuto nelle missive di 70<br />

anni prima, si richiama precisamente a questo patto di Concordia per<br />

evidenziare abusi e soprusi a cui la Comunità viene costantemente ed<br />

ingiustamente sottoposta. Sotto la lente d’ingrandimento vi è il danno<br />

che questo contenzioso tra le parti arreca a una Comunità sfibrata<br />

dalle tensioni politico-giurisdizionali e impoverita finanziariamente<br />

a motivo del dispendio economico conseguente.<br />

loco proponitur negocium, quod expleri debet, secundo consulitur super<br />

eo, Tertio capitur resolutio, & definitur negocium».<br />

21<br />

BG, b. 37, memoriale di Alessandro Trambusti a Mons. Gavotti del Buon<br />

Governo, 19 settembre 1778: «Ma ciò che rende più ridicola una tal pretension<br />

si è il riflesso, che sebbene il Governatore Locale debba intervenire<br />

al Publico Conseglio, debbano le Proposizionj farsi alla di lui presenza, ed<br />

esso finalmente presente prendersi le Risoluzioni, non però ha Egli facoltà<br />

di dare il suo voto nel Conseglio med(esimo) in cui presiede sopra quel<br />

tanto, che sia stato proposto: Se adunque al Governatore Locale, si niega<br />

affatto la facoltà di dar questo Voto, troppo legittima da cio ne deriva la<br />

conseguenza, che al med(esimo) non debba mai rivelarsi quel tanto, che sia<br />

per proporsi in Conseglio; Imperciocche sarebbe un assurdo grandissimo<br />

che si dasse a quello la notizia, ed esame degl’affari da risolversi soltanto<br />

collegialmente in Conseglio, al quale si niega nel medesimo Conseglio la<br />

facoltà di potervi votare».


Rossana Fiorini<br />

Alatri: controversie del danno<br />

dato negli Statuti cittadini<br />

Per quanto riguarda il <strong>Comune</strong> di Alatri godiamo della grandissima<br />

fortuna di conservare diverse e più copie degli Statuti cittadini di<br />

cui la Città si dotava, per codificare, regolamentare e amministrare<br />

la vita sociale della collettività 1 . Ad oggi disponiamo di ben sei copie<br />

dello Statuto di Alatri, che mostrano una normativa soggetta a modifiche<br />

e continui cambiamenti, legati al tempo e alla società.<br />

Le norme statutarie rispecchiano un’economia prevalentemente<br />

agricola: il tempo della terra e della sua coltivazione scandisce il<br />

tempo dell’uomo. Le pratiche agricole e la tutela degli spazi vocati<br />

alla coltivazione sono argomenti centrali nella regolamentazione<br />

normativa: su tutti spicca il cosiddetto danno dato, ovvero i danni<br />

procurati dalle bestie o anche dagli uomini alle coltivazioni. La ricerca<br />

d’archivio restituisce una casistica varia in materia di danno<br />

dato.<br />

I documenti presi in esame per il <strong>Comune</strong> di Alatri sono conservati<br />

nell’Archivio di Stato di Roma, Fondo della Congregazione del<br />

Buon Governo 2 . Le pratiche studiate sono formate da lettere, richie-<br />

1<br />

Il più antico testimone giunto a noi degli Statuta Civitatis Alatri è del<br />

1549 (Alatri, Biblioteca Molella MS. I, 1). Il Codice Molella è l’antigrafo<br />

della copia di uso ufficiale, redatta tra il 1585 e 1586 (Constitutiones sive<br />

statuta civitatis Alatri, Alatri Liceo Ginnasio Conti Gentili, Biblioteca, Armadio<br />

XX). Alatri quattro testimoni esemplati sui codici cinquecenteschi<br />

sono conservati a Roma (ASRm, Biblioteca, Collezione Statuti, 842); a<br />

Veroli (Biblioteca Giovardiana, MS. 42.2.16); ad Alatri (Biblioteca Molella,<br />

due esemplari XVIII e XIX secolo). Sugli statuti cfr. M. D’Alatri e C.<br />

Carosi, Gli statuti medioevali del <strong>Comune</strong> di Alatri, Alatri 1976; S. Notari,<br />

Rubricario degli Statuti comunali di Alatri e Patrica (secoli XVI-XVIII).<br />

Per un rubricario degli Statuti della provincia storica di Campagna, in<br />

Latium, 14 (1997), pp. 141-222; G. Boezi, Jus proprium del comune di<br />

Alatri, Alatri 2007.<br />

2<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Gover-


28 Rossana Fiorini<br />

ste e memoriali che utilizzano lo Statuto per risolvere determinate<br />

questioni sociali e quotidiane che venivano a crearsi all’interno della<br />

Città alatrina. La documentazione, inviata dai “Pubblici Rappresentanti”<br />

di Alatri alla Sacra Congregazione del Buon Governo, risale<br />

alla fine del XVII secolo ed è utile ad approfondire consuetudini<br />

e costumi della Città. In particolar modo le controversie esaminate<br />

riguardano il diritto dello jus pascendi e le relative dispute fra la Comunità<br />

e i padri benedettini della Certosa di Trisulti; i contrasti fra la<br />

Comunità e gli affittuari del danno dato, che porteranno a riformare<br />

la regolamentazione della vendita e della custodia del danno dato.<br />

L’immediata testimonianza di come lo Statuto fungesse da elemento<br />

base insostituibile per la risoluzione dei problemi nella Comunità.<br />

Una supplica 3 scritta alla Sacra Congregazione del Buon Governo<br />

da parte della Comunità di Alatri, datata 16 ottobre 1666, riportava<br />

il divieto statutario di pascere porci per tutti. Tale disposizione<br />

non era rispettata dai padri certosini di S. Bartolomeo di Trisulti, con<br />

i quali la comunità aveva quindi un’antichissima lite. Infatti, anche<br />

se è presente una forte contraddizione, si comprende dalla lettura,<br />

come gli ecclesiastici avessero sempre goduto dello ius pascendi.<br />

Essi si beneficiavano dei privilegi che erano stati convalidati loro<br />

dal Cardinale Camerlengo nel 1659, già esistenti ed ufficializzati<br />

dal potere pontificale nel 1656. La comunità pertanto richiedeva che<br />

attraverso un bando l’osservanza statutaria fosse estesa anche ai pano,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 58.<br />

3<br />

Ivi. La lettera è indirizzata al Cardinal Chigi della Sacra Congregazione<br />

del Buon Governo, datata 16 ottobre 1666 da parte della Comunità. La<br />

firma in calce non è leggibile chiaramente. Il testo è il seguente: «Il Statuto<br />

di Alatri proibisce, che non ardisca alcuno ritenere a pascolar porci in quel<br />

territorio, e se i particolari interessati si contentassero, che una renovatione<br />

di bando per detta osservanza andasse solamente sopra di loro, sarebbe<br />

negozio facile, e con giustizia ma sentimento di questi particolari sarebbe<br />

che il medesimo bando comprendesse i Padri Certosini di San Bartolomeo<br />

di Trisulti, con quali hanno antichissima lite, e perché i Padri rispondono<br />

di non poter essere costretti a questa privazione di pascolo con mostrare<br />

incontinente il loro possesso, convalidato da più privilegi pontifici, stati<br />

confirmati nel 1656; e per sentenza dell’Eminentissimo Signore Cardinal<br />

Camerlengo nel 1659; mio sentimento sarebbe che non si innovasse».


Alatri: controversie del danno dato negli Statuti cittadini<br />

29<br />

dri certosini.<br />

Tant’è vero che nel memoriale 4 , contenuto all’interno della suddetta<br />

supplica, si riferiva che da moltissimo tempo i maiali venivano<br />

condotti al pascolo, malgrado la disposizione dello Statuto proibisse<br />

tale attività per via del gran danno che tali animali apportavano ai<br />

terreni e alle coltivazioni e, come cita il testo, «ad altro bestiame» 5 .<br />

Per tale ragione la Comunità cercava di raccomandarsi con l’intenzione<br />

di far richiesta al Monsignor Governatore di Campagna, affinché<br />

emanasse un’ordinanza penale.<br />

La conflittualità tra le norme richiama contraddizione, che derivava<br />

da quelle disposizioni e dai particolari privilegi di cui godevano<br />

i certosini, grazie alle concessioni che il Papa aveva fatto loro. Ciò<br />

però era strettamente contradditorio relativamente allo Statuto – che<br />

invece circoscriveva certe libertà.<br />

Al codice, libro del danno dato, vi sono riferimenti precisi:<br />

Rubrica 36 – «De pena bestiarum porcinarum»<br />

«Item, propter moltiplicia enormiaque damna, que per bestias<br />

porcinas in territorio alatrino quotidie inferentur, et ut<br />

tollantur discordie et iurgia, que propter damna predicta inter<br />

cives alatrinos oriri possent, statuimus et ordinamus quod nullus<br />

civis, habitator, incola civitatis Alatri seu forensis, cuiuscumque<br />

status et conditionis existat, possit nec debeat retinere<br />

aliquam bestiam porcinam ad pascuamdum seu pascendum in<br />

territorio et districtu civitatis Alatri, nullo unquam tempore, ad<br />

penam XXX librarum denariorum pro turma, et pro qualibet<br />

bestia porcina penam XX solidorum» 6 .<br />

4<br />

Ivi. Nel memoriale la Comunità espone la situazione. Il documento non<br />

presenta né firma, né data. Il testo è il seguente: «La Comunità di Alatri<br />

espone riverentemente all’Eminenze Vostre che da molti vengono introdotti<br />

i porci in quel territorio pascolando quivi contro la disposizione dello<br />

Statuto, che li proibisce per il gran danno che apportano a gli altri bestiami.<br />

Supplica pertanto l’Eminenza Vostra scrivere a Monsignor Governatore di<br />

Campagna, che mandi un ordine penato che non vi si possino ritenere».<br />

5<br />

Ibidem.<br />

6<br />

Cfr. M. D’Alatri e C. Carosi, Gli statuti medioevali, cit., p. 238; lo statuto<br />

continua con altre disposizioni.


30<br />

Rossana Fiorini<br />

La documentazione d’archivio è piuttosto ricca di controversie<br />

legate al danno dato. Contestuali sono infatti altre carte in cui<br />

si è di fronte ad una lettera e ad un memoriale presente all’interno<br />

della stessa. Il Governatore di Alatri rimetteva al Buon Governo il<br />

memoriale a lui consegnato da parte della medesima Comunità. Il<br />

memoriale riporta la supplica da parte della Comunità che si sentiva<br />

“turbata” dagli affittuari dell’Abbazia di San Sebastiano, i quali<br />

avevano istituito su quello stesso territorio un carcere privato, dando<br />

ordine di condurvi i delinquenti che commettevano danno nei terreni<br />

dell’Abbazia stessa. La Comunità dunque rivendicava la giurisdizione<br />

di quei terreni abbaziali, che comunque ricadevano all’interno<br />

del territorio della Città di Alatri, e supplicava il Buon Governo di<br />

ordinare al Governatore di ripristinare il diritto cittadino e di punire<br />

i delinquenti che avevano istituito il “carcere privato” nel modo giusto<br />

e consueto 7 .<br />

In seguito leggendo la lettera del Governatore scopriamo altre informazioni<br />

preziose: egli dichiarava che quanto riferito dalla Comunità<br />

corrispondesse al vero e che effettivamente l’affittuario dell’Abbazia<br />

di San Sebastiano avesse fatto ricondurre gli animali trovati a<br />

dar danno alle coltivazioni di quei terreni presso il “carcere privato”.<br />

Il fatto più grave è che i padroni delle bestie si fossero accordati<br />

loscamente «pagando pena minore di quella che sarebbe loro convenuta<br />

di sborsare all’affittuario del danno dato della Comunità». Così<br />

si richiedeva il permesso a procedere contro i danneggiatori dei beni<br />

7<br />

Cfr. BG, b. 58. Il memoriale, presenta il seguente contenuto: «La Comunità<br />

di Alatri […] espone come havendo il Ministerio del danno dato del<br />

suo territorio, come cessionaria della Reverenda Camera, hora vien turbata<br />

della giurisdizione dalli Ministri et Affittuarj dell’Abbadia di S. Sebastiano<br />

situata nel medesimo territorio con havervi fatto un carcere privato, et dar<br />

ordine, che si conduchino le bestiami delli poveri cittadini che sono trovati<br />

a dar danni nelli terreni della detta Abbadia, et perché tutto ciò è con<br />

grandissimo danno e spesa de cittadini, come della Comunità. Si supplica<br />

le Eminenze Vostre a voler ordinare a Monsignor Governatore, che assista<br />

alla medesima […], che non riceva pregiudizio in tal Ministerio, e che li<br />

delinquenti, per il carcere privato siano gastigati come sarà di raggione». Il<br />

documento non è datato.


Alatri: controversie del danno dato negli Statuti cittadini<br />

31<br />

dell’Abbazia e contro l’affittuario della medesima 8 .<br />

Situazioni dispotiche, intricate e poco chiare erano all’ordine<br />

del giorno, per cui lo Statuto appare unica e insostituibile fonte per<br />

riportare equilibrio entro la collettività. Numerose sono infatti le<br />

presenze statuali rintracciate nelle carte d’archivio, in cui è citato<br />

nuovamente lo Statuto, proprio per sciogliere tali controversie. Un<br />

esempio, fra tutti (del 1664), è quello in cui «poveri lavoratori e i<br />

cittadini di Alatri», in una lettera inviata al Governatore, sottolineavano<br />

di essere gravati dall’affitto del danno dato, e questo colpiva<br />

soprattutto i cittadini che possedevano un numero maggiore di animali.<br />

La Comunità spesso vendeva il danno dato. Si presenta qui<br />

il caso di Sisto Liberati. Come solito il danno dato veniva venduto<br />

dalla Comunità e in quello stesso anno concesso a Sisto Liberati, con<br />

la condizione che la guardia del campo venisse svolta da due uomini<br />

scelti dall’affittuario, così come ordinava lo Statuto. In più questi<br />

due uomini dovevano essere accompagnati da altri due uomini scelti<br />

dalla Comunità; la stessa Comunità aveva il dovere di consegnare<br />

all’affittuario l’elenco dei nomi degli uomini che avevano la funzione<br />

di accompagnare i custodi. Si utilizzava questo procedimento per<br />

prevenire il danno e possibili controversie 9 .<br />

8<br />

Ivi. La firma della lettera non è leggibile. La data in calce è 6 novembre<br />

1661. «Dall’informazione presa sopra il memoriale della Comunità di Alatri,<br />

che qui compiegato rimetto, ho riportato esser vero che l’Affittuario<br />

dell’Abbadia di S. Sebastiano pretenda di conoscer le cause de’ danni, che<br />

si fanno ne’ terreni di tal Abbadia, e che alcune volte ha fatto ricondurre<br />

da lavoratori, e ritenere i bestiami trovati a danneggiarvi, e che i padroni<br />

di essi bestiami si sono quietamente accordati con lui, pagando una pena<br />

minore di quella, che sarebbe loro convenuto di sborsare all’Affittuario del<br />

danno dato della Comunità. Per parte di questa, oltre la ragione dell’aver<br />

l’officio con titolo oneroso della risposta di settantaquattro scudi l’anno alla<br />

Reverenda Camera, si allega, mostrandosi il libro dell’accuse, il permesso<br />

di procedere non solamente contro quei che hanno danneggiato ne’ beni<br />

dell’Abbadia suddetta, ma anche contro l’Affittuario medesimo di essa».<br />

9<br />

Ivi. La supplica è indirizzata alla Sacra Congregazione del Buon Governo<br />

e alla Sacra Consulta. La firma riportata è de «Li poveri lavoratori e altri<br />

cittadini della Città di Alatri». La data apposta dal Buon Governo è 24 aprile<br />

1664. Il contenuto è il seguente: «Li poveri lavoratori e cittadini d’Alatri


32<br />

Rossana Fiorini<br />

Proseguendo la lettura si nota che i cittadini fossero costretti a<br />

devotissimi oratori dell’Eccellenze Vostre si espondono ritrovarsi angariati<br />

al maggior segno per li pesi che hanno sopra de loro bestiami, dove la<br />

Communità per uguagliare l’esito, et introito sòle maggiormente imporre<br />

collette; è tra l’altre gravezze se li aggiunge in questo presente anno quella<br />

del danno dato solita a vendersi dalla Communità, come ha fatto questo<br />

anno a Sisto Liberati con conditione che la guardia del Canpo si debbia<br />

fare da due homini, da deputarsi da esso affittuario, et approvarsi dalla<br />

Comunità conforme ordina lo Statuto, a quali acciò non comotano falsita,<br />

et altri eccessi in grave danno di quel popolo; li si debbia dare dalla medesima<br />

Communità un homo che accompagni ciascuno di detti custodi che<br />

elegge l’affittuario; e benché la Communità per togliere ogni atto dannoso<br />

dia al detto affittuario la nota delli omini, che devono in ciascun giorno<br />

accompagnare detto custode dell’affittuario per far la solita custodia, nulla<br />

di meno il suddetto affittuario per far fare delle accuse assai senza che detti<br />

custodi da lui deputati si movano dalla Città, dà occasione alli medesimi<br />

commandati dalla Comunità, o che non vi vadino, o che alleghino causa<br />

frivola a non potervi andare in luogo dei quali esso affittuario deputa altri a<br />

lui noti, et uguali alli primi con pagarli a suue proprie spese, acciò faccino<br />

delle accuse in gran numero, per poter fare grosso guadagno; e tra l’altri<br />

homini sempre cerca mandarvi homini mendici, di mala conditione, e<br />

fama, et in particolare un suo compare, che questi senza vedere, né andare<br />

a trovare il preteso dannificante, ma solo o con stare dentro la Città, o dormire<br />

nelli cespugli, o altri luoghi nascosti formano le accuse. Perilché detti<br />

poveri sono astretti a pagare delle decine e decine di scudi, senza commettere<br />

un minimo danno, e anzi detto affittuario per maggiormente concuterli<br />

far intendere a molti, che si componghino […] pagar tanto l’anno e che<br />

poi dannifichino quanto vogliono in grave danno di quelli che seminano,<br />

et hanno di beni nel detto territorio. Ricorrono pertanto dalle Eminenze<br />

Vostre et humilmente, le supplicano ad ordinare al Governatore di detta<br />

Città che astringhi detto affittuario ad osservare la conventione fatta con<br />

detta Comunità, et il Statuto della medesima disponente sopra esso danno<br />

dato, et anco che non facci dare esecuzione alle accuse fatte sin’ora contro<br />

la forma del medemo, e che proibisca a detto affittuario di deputare alla<br />

detta custodia altri homini, che quelli convenuti nella conpra che ha fatta<br />

di esso danno dato, et a quelli commandati dalla Communità per far fare<br />

detta custodia, e che recusano d’andarvi, d’inporvi la pena a suuo arbitrio,<br />

e finalmente che rimedj a tanti d’anni et inconvenienti, che per causa delle<br />

cose espresse nascono. Che il tutto. Che.».


Alatri: controversie del danno dato negli Statuti cittadini<br />

33<br />

pagare «decine di scudi senza mai commettere danno». Dunque i<br />

lavoratori ricorrevano al Governatore della città per richiedere che<br />

l’affittuario osservasse la convenzione, stipulata tra la Comunità e<br />

lo stesso, seguendo perciò le disposizioni dello Statuto sul danno<br />

dato. Si richiedeva inoltre di proibire all’affittuario di scegliere uomini<br />

deputati alla guardia di sua sponte, non rispettando la lista dei<br />

nominativi convenuti nel contratto stipulato con la Comunità. Non<br />

era la prima volta che si verificavano estorsioni e frodi: il Sindaco<br />

di Alatri, diversi anni prima, aveva ufficialmente fatto presente al<br />

Cardinale Panfilj tali situazioni. Dopo aver saputo da parte dei concittadini<br />

«di estorsione, falsità ed ingiustizia verificatesi per molti<br />

anni» da parte del depositario e affittuario del danno dato contro le<br />

imposizioni dello Statuto e gli ordini della Sacra Consulta. Quindi si<br />

supplicava di «di spedire subito […] un commissario con una ottima<br />

compartita per provvedere conformemente col giusto» 10 .<br />

Per avere la misura di come venisse regolamentato il danno dato,<br />

è opportuno notare i continui cambiamenti e i rifacimenti delle procedure<br />

di vendita o di affitto dello stesso. Procedure che subirono<br />

nuovi cambiamenti quando le estorsioni degli affittuari si fecero insopportabili.<br />

La decisione venne presa durante un Pubblico Consiglio<br />

11 . Si imponeva pertanto di non dare più il danno dato in affitto,<br />

10<br />

Ivi. La supplica presenta la data del Buon Governo del 10 giugno 1645,<br />

scritta dalla Comunità di Alatri. «Il sindaco e officiali della Città di Alatri<br />

devotissimi oratori […] gli rappresentano che tante l’estorsioni e falsità, et<br />

ingiustitie fatte da molti anni in qua dal Giovanni Battista […] al presente<br />

dipositario et affittuario di danno dato contro la dispositione dello Statuto<br />

et ordini della Sacra Consulta, tutti i poveri cittadini si sentono agravati<br />

et oppressi Ricorrono pertanto alla pietà e giustizia di Vostra Eccellenza<br />

humilmente supplicandola a ordinare che sia spedito subito con il detto a<br />

spese del medesimo un Commissario con uno ottima Computista per provvedere<br />

conforme al giusto che del tutto Che».<br />

11<br />

Ivi, b. 59. Da una supplica indirizzata al Buon Governo datata 6 maggio<br />

1673, firmata in calce da Giovan Battista Autini, “pubblico ufficiale” della<br />

Comunità di Alatri. «Per l’estorsioni, che commettevano gl’affittuari del<br />

danno dato della Città d’Alatri, quella Comunità risolve in Pubblico Conseglio<br />

di non darlo più in affitto, ma deputare un Cittadino all’esattione<br />

delle pene per l’accuse, che di giorno in giorno riportavano i guardiani del


34<br />

Rossana Fiorini<br />

ma di deputare un cittadino che invece riscuotesse la tassa delle pene<br />

per le accuse. Nell’anno 1671 venne deputato per tale ruolo il signor<br />

Lorenzo Tutij, che aveva l’obbligo di intimare periodicamente, ogni<br />

mese, gli accusati, affinché sborsassero entro otto giorni, la somma<br />

delle pene stabilita.<br />

In conclusione si potrà certamente affermare che gli statuti concedano<br />

una percezione parziale della società: la documentazione<br />

d’archivio dona una visione abbastanza concreta di informazioni significative<br />

che consentono di ricostruire il puzzle storico della Città<br />

di Alatri. Il confronto tra le testimonianze d’archivio e gli Statuti<br />

ridisegna l’immagine della collettività alatrina.<br />

territorio con promissione di scudi dieci per cento dell’esatto, e per l’anno<br />

1671 fu deputato Lorenzo Tutij con obligo d’intimare ogni mese all’accusati<br />

la somma delle pene in che ciascheduno era incorso col termine di pagare<br />

fra otto giorni, quali spirati dovesse rilassare contro di loro il mandato,<br />

e consegnarlo all’essecutori, con registrare il tutto al libro, altrimente le<br />

pene s’havessero per esatte in suo pregiuditio, come quel più, che dispongono<br />

li capitoli sopra ciò fatti».


Cristina Giacomi<br />

Lo statuto di Anagni<br />

e le riformanze del XVI secolo 1<br />

Il nostro sarà un intervento teso a mettere in evidenza il ruolo<br />

cruciale dello statuto nel XVI secolo. E lo faremo presentandovi uno<br />

strumento essenziale e prioritario del governo locale nel Cinquecento:<br />

le riformanze.<br />

Quando parliamo di riformanze intendiamo registri nei quali il<br />

cancelliere riportava scrupolosamente e dettagliatamente quanto<br />

discusso negli incontri del governo locale che si riuniva ogniqualvolta<br />

se ne ravvedesse la necessità per discutere, deliberare, approvare o<br />

condannare fatti ed eventi che caratterizzavano il vivere quotidiano<br />

della città.<br />

Per rendervi un’idea più immediata di questa tipologia<br />

documentaria, potremmo dire che si trattava di registri dalle grandi<br />

dimensioni, circa 15x22 cm, contenenti fogli in carta con rilegatura<br />

cucita a mano e copertine in pergamena o in cuoio. I registri venivano<br />

compilati da cancellieri che partecipavano agli incontri e riportavano<br />

ogni singolo intervento dei membri del consiglio. Testimonianza di<br />

una scrittura immediata sono i frequenti segni di cancellatura, le<br />

abbreviazioni e una scrittura rapida, a volte di difficile comprensione.<br />

Del resto, in quelle circostanze, non era prioritaria la forma quanto<br />

piuttosto la necessità di riportare scrupolosamente, parola per parola,<br />

quanto deciso in consiglio perché, reso pubblico, divenisse norma<br />

del vivere quotidiano.<br />

Anagni nel XVI secolo vive, citando Zappasodi, anni di “sciagure<br />

e calamità” determinate perlopiù dal governo debole e incerto di<br />

Clemente VII che, ponendosi contro i Colonna, lascia più volte la<br />

città in balia di continue scorribande tanto che il popolo anagnino,<br />

con sempre maggiore frequenza, si appella allo statuto, nel tentativo<br />

1<br />

Ringrazio il prof. Tommaso Cecilia per avermi dato utilissime indicazioni<br />

e l’assistenza prestata in archivio.


36 Cristina Giacomi<br />

estremo di tutelare i propri diritti.<br />

Intorno agli anni ’30 del 1500 il Consiglio generale della città<br />

decreta che l’allora «governatore cardinale Caraffa fac[ia] osservare<br />

e osserv[i] lo statuto e le antiche consuetudini, immunità, usi e<br />

costumi della città» e «che non fac[ia] innovare alcuna cosa nei detti<br />

statuti oltre i soliti e consueti ordinamenti» 2 .<br />

Da queste forti affermazioni si evince il ruolo cruciale dello statuto<br />

e si comprende chiaramente il perché del suo essere citato, potremmo<br />

dire quasi pedissequamente, nei libri delle riformanze del XVI<br />

secolo. Citare lo statuto equivaleva, dunque, a inequivocabile verità,<br />

assolutamente indiscutibile: grande forma di libertà e indipendenza<br />

per i comuni sotto il dominio della chiesa. Iuxta formam statutorum<br />

è la formula che compare puntualmente nelle riformanze, a conferma<br />

di quanto finora detto.<br />

Lo stato di abbandono ad Anagni persiste fino al 1554, anno in<br />

cui il vescovo e governatore Torelli, “dispiaciuto” del tanto degrado,<br />

inizia ad acquistare case diroccate per accrescere il suo palazzo di<br />

nuovi spazi. Il consiglio comunale vive con grande entusiasmo il<br />

“risveglio edilizio” 3 e il 13 ottobre 1554 4 , nelle riformanze si legge<br />

dell’elezione del podestà, secondo la formula indicata nel libro I<br />

capitolo I dello statuto 5 .<br />

L’illusione di una “nuova e migliore era”, però, svanisce ben presto:<br />

proprio in quello stesso 1554 la città che da anni viveva controversie<br />

territoriali con Ferentino, viene nominata sede del comando delle<br />

2<br />

P. Zappasodi, Anagni attraverso i secoli, Veroli 1908 (ris. Roma 1985),<br />

2, pp. 51-52.<br />

3<br />

Il sindaco Angelo di Alba, gli officiali Giovanni Modesto, Innocenzo<br />

Antonucci, Filippo Iacobelli, Lorenzo Costantini, Fabrizio Finocchio,<br />

Francesco Giorgi, il camerlengo Aristeo Manzi e i principali consiglieri,<br />

Gian Nicola Benvenuti, Cesare Ricchi, Marzio Ambrosi, Pietro Paolo Sezzese,<br />

Marco Bruschini e Antonio Turri approvano la domanda di edificazione<br />

e monitorano personalmente i lavori.<br />

4<br />

Anagni, Archivio storico comunale, Riformanze 1554-1556 (in seguito<br />

solo Riformanze ed estremi degli anni), f. 50r.<br />

5<br />

Statutum Civitatis Anagniae, libro I capitolo I.


Lo statuto di Anagni e le riformanze del XVI secolo<br />

37<br />

milizie postesi, appunto, tra Anagni, Frosinone, Ferentino, Alatri,<br />

Guarcino, Fumone, Acuto e Tivoli. Anagni deve garantire vitto e<br />

alloggio al comandante delle milizie e a tutti i soldati acquartierati,<br />

secondo le norme vigenti. Quando nel 1556 viene dichiarata, infine,<br />

piazza di guerra, il consiglio comunale, per far fronte alle emergenze,<br />

nomina, appellandosi allo statuto, dei commissari per ogni contrada<br />

della città, incaricati di provvedere alle richieste militari in genere,<br />

dalla distribuzione del foraggio all’alloggio 6 . E di questo, ancora una<br />

volta, se ne ha notizia tramite le riformanze.<br />

Gli scontri bellici a cui Anagni deve far fronte sono violentissimi:<br />

gli spagnoli, capeggiati dal Toledo, non concedono il tempo ai<br />

difensori di organizzarsi e attaccano con violenza e spregiudicatezza,<br />

anticipando qualsiasi tentativo di difesa della città che vede, uno<br />

a uno, crollare i propri capisaldi. Molti dei membri del consiglio<br />

comunale, il podestà, il sindaco, i magistrati civici abbandonano la<br />

città nel tentativo estremo di evitare le crudeltà, imperdonabili, degli<br />

spagnoli, che sconvolgono la popolazione, tra gli altri effetti anche il<br />

furto di molti documenti di archivio fra cui lo statuto 7 .<br />

Il libro degli statuti viene trafugato da un soldato spagnolo, gesto<br />

carico di senso: per annullare una città era importante eliminare la<br />

sua giurisdizione e, in questo senso, lo statuto essendo il caposaldo<br />

normativo, giuridico e amministrativo è il giusto rappresentante.<br />

Nel Libro delle riformanze 1557-1560 8 , si tratta del secondo dei<br />

libri delle riformanze giunto a noi (probabilmente si salvò dal rogo<br />

perché conservato nell’abitazione dell’allora camerlengo - a quei<br />

tempi l’amministrazione pubblica veniva gestita “personalmente” per<br />

cui è assolutamente possibile che il libro delle riformanze si trovasse<br />

nell’abitazione personale del camerlengo) si legge dell’ampia<br />

discussione in merito al recupero dello statuto. Nella seduta del 5<br />

maggio 1558 9 i membri del consiglio, sindaco e officiali, nonché il<br />

camerlengo Felice Nardoni, riunitisi disquisiscono sulla possibilità<br />

6<br />

P. Zappasodi, Anagni attraverso i secoli, cit., 2, p. 65.<br />

7<br />

Le vicende sono narrate in ivi, 2, pp. 65-67.<br />

8<br />

Riformanze, 1557-1560.<br />

9<br />

Ivi, f. 25 v.


38<br />

Cristina Giacomi<br />

di recuperare lo statuto, cercando di individuare un incaricato e di<br />

definire le spese per il viaggio. Il consiglio comunale, viene, infatti, a<br />

conoscenza del fatto che lo statuto di Anagni è custodito da Giovanni<br />

Osorio, abitante di Petra Mellara. Ci troviamo nei pressi di Caserta<br />

e il viaggio risulta, dunque, essere complesso. Bisogna far fronte a<br />

una serie di spese vive: vitto e alloggio per l’addetto al recupero,<br />

assegnazione di cavalli per il viaggio, cibo e stalle per i cavalli. Nella<br />

stessa seduta viene definita la cifra di viginti scudorum. Qualche<br />

giorno dopo, il 15 giugno 10 , il consiglio si riunisce nuovamente e<br />

nomina la persona che si recherà a Petra Mellara: Giulio Campagna.<br />

Dalle riformanze non risultano informazioni che ci permettano di<br />

tracciare un profilo dell’incaricato; di certo, era uno degli officiali in<br />

capite. Il 1° luglio 11 , tornando sulla questione, il Consiglio comunale<br />

delibera che Giulio Campagna, intraprendendo il viaggio, faccia<br />

tappa ad Alatri, dal «magnificum dominum logotenente», per avere<br />

una sorta di firma suggellatrice ad intraprendere il viaggio. Viene,<br />

inoltre, in quella stessa data, definito il viatico necessario. Il 3<br />

ottobre 12 , si legge ancora, Felice Nardoni conferisce un residuo di 10<br />

scudi a Giulio Campagna, come saldo del viaggio a Petra Mellara.<br />

Si conclude, così, una parentesi burrascosa per la città di Anagni<br />

che recupera alla sua storia e alle sue tradizioni un documento<br />

importantissimo.<br />

In quello stesso 1558, tenendo conto del numero di abitanti di<br />

Anagni e facendo i conti con l’attuale stato socio economico della<br />

città, si decide di ridurre il numero delle contrade da 8 a 7, unendo<br />

quelle meno abitate. Tra di esse la contrada di Castello viene<br />

rappresentata dai mediani Giulio Campagna e Pasquale Astolfi. Cito<br />

proprio questa contrada perché, dal Libro delle riformanze 1560-<br />

1564 13 , facendo riferimento alle norme statutarie, il 26 settembre<br />

1562 14 vengono nominati un mediano e un guardiano per la stessa.<br />

10<br />

Ivi, f. 32 r.<br />

11<br />

Ivi, ff. 32 v-33 r<br />

12<br />

Ivi, f. 44 v.<br />

13<br />

Riformanze 1560-1564.<br />

14<br />

Ivi, ff. 195 v-196 r.


Lo statuto di Anagni e le riformanze del XVI secolo<br />

39<br />

Il 12 febbraio 1563 15 , invece, dalle riformanze si evince che,<br />

appellandosi allo statuto, viene eletto podestà Ascanio De Bellis, di<br />

Arpino. Sempre seguendo le procedure statutarie vengono eletti il<br />

sindaco e i consiglieri. L’elezione dei membri del governo locale,<br />

con rimando categorico allo statuto, è un aspetto frequentissimo<br />

nelle riformanze.<br />

Con un rapido salto temporale, arriviamo all’adunanza del 1°<br />

novembre 1575 16 . Nel libro delle riformanze lo statuto ancora una<br />

volta viene citato, con riferimento alla formula di insediamento del<br />

consiglio comunale che prevede, tra le varie ritualità, la preghiera<br />

in cattedrale. È, infatti, obbligo statutario, visitare la cattedrale in<br />

alcuni momenti dell’anno.<br />

Nello stesso 1575, il 13 novembre 17 , si legge dell’elezione di<br />

4 cittadini, i conservatori del buono stato della città di Anagni e,<br />

una volta conferito loro l’incarico, gli viene chiesto, con formula<br />

rigorosamente riportata nel verbale dell’adunanza, che «habbino<br />

cura dell’osservatione de Statuti [e] delle cose contenenti in essi».<br />

Esattamente un anno dopo, e siamo al 1° novembre 1576 18 , lo<br />

statuto viene richiamato nel libro delle riformanze in occasione del<br />

giuramento del sindaco e degli officiali.<br />

Il 4 febbraio 1577 19 , invece, lo statuto viene citato in occasione<br />

della riconsegna dei libri delle entrate e delle uscite della città da<br />

parte del camerarius. E ancora, il 14 luglio 1577 20 , nel menzionare<br />

l’attività notarile, viene ribadita la iuxta forma statutorum.<br />

Il 1° maggio 1578 21 , facendo una ricognizione dell’archivio<br />

comunale, dall’inventario risulta esserci il libro dello statuto della<br />

15<br />

Ivi, ff. 227 v-228 r.<br />

16<br />

Riformanze 1575-1581, ff. 2r -3r.<br />

17<br />

Ivi, ff. 8r-12r.<br />

18<br />

Ivi, f. 79v.<br />

19<br />

Ivi, f. 92v.<br />

20<br />

Ivi, ff. 108r/v.<br />

21<br />

Ivi, ff. 145r/v.


40<br />

Cristina Giacomi<br />

città. Il 22 luglio 22 dello stesso anno, le nomine dei custodi dei campi<br />

e del conestabile militum in vista delle feste della città avvengono,<br />

ancora una volta, secondo le formule statutarie. Il 13 novembre<br />

1579 23 , invece, vengono eletti 4 capocento, i guardiani deputati alla<br />

sicurezza della città; anche qui la nomina avviene tenendo conto di<br />

quanto dettato dallo statuto. Infine, il 17 giugno 1582 24 , vengono<br />

eletti soprastanti e custodi secondo le norme statutarie.<br />

Curiosa, se vogliamo, è l’adunanza del 1 gennaio 1584 25 .<br />

Sindaco, officiali in capite e camerarius si riuniscono il primo giorno<br />

dell’anno e redigono l’inventario dei beni posseduti dal comune e, in<br />

particolare, elencano il materiale d’archivio; si legge, tra il posseduto,<br />

di un timbro in argento, di un catasto vecchio e di uno nuovo, di 24<br />

libri tra civili e criminali, di 6 libri delle riformanze e, ovviamente,<br />

“quattro libretti in quarto” dello statuto.<br />

Il 27 aprile 1588 26 , invece, una lunga adunanza comunale lavora su<br />

ben 13 punti all’ordine del giorno tra cui anche l’elezione di quattro<br />

contrade «dalle quale poi si caccino li elettori secondo la forma dello<br />

statuto» e, successivamente si nominino gli officiali dagli elettori.<br />

Un ultimo rimando allo statuto, nelle riformanze del XVI secolo,<br />

si ha il 18 giugno 1588 27 , quando viene rendicontato l’acquisto di<br />

materiale di vario tipo: olio per la lampada del palazzo comunale,<br />

cera verde per il sigillo, candele per la festa di Santa Secondina,<br />

carta pergamena per riportare le tasse. A seguire, è presente un<br />

elenco di spese sostenute dal comune per il viaggio a Roma di chi<br />

è andato per la «confirmatione delli statuti». Si legge, infatti, del<br />

pagamento a «messere […] De Marchis notaro in Roma […] per<br />

la speditione di […] patente fatte nella confirmatione delli statuti<br />

et tasse de mercede delli governatori […] d’Anagni»; ancora, viene<br />

22<br />

Ivi, f. 158v.<br />

23<br />

Ivi, 204r--205r.<br />

24<br />

Riformanze 1581-1587, f. 34r.<br />

25<br />

Ivi, ff. 107r/v.<br />

26<br />

Riformanze 1587- 1591, ff. 13r-15v.<br />

27<br />

Ivi, ff. 16r-25v.


Lo statuto di Anagni e le riformanze del XVI secolo<br />

41<br />

retribuito il «segretario dell’illustrissimo cardinal camerlengo per il<br />

segillo della camera messo in detta confirmatione de statuti»; altre<br />

spese sono «per il bollo del detto segillo, fittuccia et carta pergamena<br />

per la coperta del libro delli statuti» e «per la supplica data al Papa<br />

per ottenere la detta confirmatione». Si legge ancora che Giacomo<br />

Antonio Colomba, incaricato per il viaggio a Roma, si trattiene nella<br />

città eterna per un mese e mezzo: per il pagamento del suo servizio<br />

si attende, sollecitandola, la cassa della colletta in Roma per ottenere<br />

la confirmatione 28 .<br />

Da questo rapido quadro si evince anzitutto la centralità dello<br />

statuto, i cui libri e capitoli non soltanto ricalcano appieno la struttura<br />

socio-politica della città ma fissano soprattutto norme e regole cui<br />

nessuno può sottrarsi. Questo rispetto costante e scrupoloso delle<br />

norme statutarie è chiaramente percepibile nelle riformanze. È<br />

interessante sfogliare questi grandi libri e comprendere come nulla<br />

sfugge all’applicazione della regola. Iuxta formam statutorum è la<br />

chiara dimostrazione di come il comune anagnino del XVI secolo<br />

vedesse nello statuto il punto di riferimento, da cui partire e a cui<br />

arrivare per vivere in uno stato civile.<br />

28<br />

Quasi sicuramente si fa riferimento alla compilazione del manoscritto,<br />

ora deperdito, redatto in forma solenne, decorato e considerato il codice<br />

normativo ufficiale locale, approvato dal governatore Portici.


Matteo Maccioni<br />

Statuto d’Anagni e i maleficia<br />

Il materiale preso in esame per il comune di Anagni proviene dal<br />

Libro delle condanne (1558-1562), conservato presso l’Archivio<br />

storico comunale di Anagni 1 .Il documento scelto si presenta<br />

consunto, di difficile lettura a causa dello stato di conservazione e di<br />

una scrittura non sempre di facile comprensione.<br />

I casi dei procedimenti di accusa scelti sono tre e riguardano:<br />

1) ingiurie e percosse nei confronti di una donna che raccoglieva<br />

spighe di grano; 2) due casi di bestemmie «in via publica»; 3) un<br />

furto di animali, cavalli e muli. Le accuse e denunce riguardano fatti<br />

avvenuti nel giugno e luglio 1559.<br />

Il primo caso riguarda l’accusa presentata da Narda Pitocchi<br />

nei confronti di Antonio Celle di Filettino, accusato dalla donna<br />

di ingiurie e percosse in seguito all’essere stata scoperta mentre<br />

raccoglieva spighe di grano nel possedimento di Santa Maria,<br />

presso la contrada “Le bagnera”. Il verbale dell’accusa riporta<br />

che il detto inquisito, armato di falce messoria, «malo animo, et<br />

pexima intentione», spostandosi di luogo in luogo con impeto e<br />

fare aggressivo, si rivolgeva alla querelante con parole ingiuriose e<br />

minatorie:<br />

«« ... quod de anno presenti 1559 mense Junii die 12<br />

prefatus inquisitus, Deum prae oculis non habendo, sed potius<br />

humani generis inimicus, cum donna Narda Pitochi, ut in<br />

Territorio Anagnino in quadam possetione sante Mariae in<br />

Contrata le bagnera, ea recolligendi spicas, ut moris est, dictus<br />

inquisitus, malo animo, et pexima intentione, armatus quadam<br />

falce messoria vulgo nuncupata serrichio, movens se de loco<br />

ad locum, impetum et aggressuram faciendo contra dictam<br />

querelantem, et verbis minatorijs, ignuriosis, contumeliosis et<br />

1<br />

Anagni, Archivio storico comunale, Preunitario, b. 362, Libro delle condanne<br />

(1558-1562); in seguito solo Libro delle condanne.


44 Matteo Maccioni<br />

turpibus, videlicet vulgo loquendo, ruffiana, puttana, levate de<br />

qua se non ch’io te taglio il naso, et alia similia verba etc. et<br />

eam percutiendo manu vacua in pectore, et expellendo de<br />

dicta possessione ne ricolligendi spicas contra formam iuris<br />

statutorum ac ordinamentum Reverendissimi Domini, contra<br />

bonos mores bonamque consuetudinem dictae Civitatis<br />

Anagniae penas et penis etc.» 2 .<br />

Per quanto concerne l’accusa di aver rivolto parole ingiuriose<br />

nei confronti di donna Narda Pitocchi, è necessario tenere ben<br />

presente quanto è stabilito dallo Statuto locale, il quale infligge<br />

un determinato tipo di pena pecuniaria per i minori e i maggiori di<br />

14 anni per i maschi e di 12 anni per le femmine 3 . Dette sanzioni<br />

sono però applicabili solamente nel caso in cui la denuncia avvenga<br />

entro 4 giorni dall’accadimento e, ancora, vengano riportate nel<br />

verbale la data e l’offesa ricevuta 4 - caratteristiche presenti in questo<br />

2<br />

Ivi, f. 47rv, Narda Pitocchi contro Antonio Celle, 15 giugno 1559.<br />

3<br />

La differenza di età tra maschi e femmine è una ripresa di quanto avveniva<br />

nel diritto classico in cui solamente il pubertati proximus era considerato<br />

responsabile penalmente, qualora fosse stato riconosciuto capace di dolo<br />

o colpa. Questa ipotesi, a differenza di quanto avveniva in precedenza,<br />

prende in esame non più lo stato fisico del soggetto, bensì le sue capacità<br />

intellettive, di discernimento, di scelta e di volontà. Il discrimine era, dunque,<br />

il raggiungimento della pubertà, il cui inizio era fissato al compimento<br />

dei quattordici anni, per i maschi, e dei dodici per le femmine.<br />

4<br />

Roma, Archivio di Stato, Collezione statuti (in seguito solo Collezione<br />

Statuti), stat. 0640, Statutum inclytae ac pervetustae Civitatis Anagniae, ex<br />

apographo quod anno MDXVII Laurentius Pacoticus sacerdos dioeceseos<br />

Grossetanae exaraverat: «Liber III, C. XIX: De verbis iniuriosis. Item statuimus<br />

quod quicumque masculus maior XIV annis vel foemina maior XII<br />

annis dixerit alicui viro [vel mulieri] bonae famae, proditor, vel periurius,<br />

falsarius, latro vel revallusus, fur vel similes iniurias de quorum verborum<br />

similitudine stetur declarationi conservatorum aut trium ipsorum ad minus<br />

praestito sacramento ab eisdem iuxta conscientiam ipsorum, ex quibus verbis<br />

de jure vel ex forma statuti Anagniae iniuria resultet aequipera vel verborum<br />

aequiperatione similis dici possit, in VII libris denariorum quotiens<br />

offenderit puniatur. Et si major XIV annis vel foemina major XII dixerit<br />

alicui mercendaro, poltrone, riballo, mentiris in solidis XX puniatur. Sed


Statuto d’Anagni e i maleficia<br />

45<br />

procedimento penale.<br />

È importante far notare una piccola crux: sebbene in un primo<br />

momento l’accusato venga descritto «armatus quadam falce<br />

messoria», in seguito, nel momento in cui, percuotendola, allontana<br />

dal suo terreno la querelante, viene presentato disarmato, «manu<br />

vacua». Lo Statuto di Anagni prevede sanzioni differenti - sebbene<br />

sempre di natura pecuniaria - per i casi di aggressione perpetrata<br />

senza armi, con armi non taglienti e con armi taglienti 5 . Ovviamente,il<br />

si alicui mulieri honestae dixerit cactiva, zocza, rea, malvagia, factochiara<br />

vel meretrix vel similes iniurias in V libris vice qualibet puniatur; de quorum<br />

verborum similitudine stetur declarationi conservatorum ut supra».<br />

«Liber III, C. XX: Quod infra quatuor dies possit accusari de verbis iniuriosis.<br />

Item statuimus quod de verbis iniuriosis possit infra quatuor dies<br />

tantum accusari, et non aliter aliquo statuto loquente in contrarium non<br />

obstante, post dictam iniuriam non computato die iniuriae; et dictis quatuor<br />

diebus elapsis non audiatur. Volumus etiam quod si accusatus de verbis<br />

iniuriosis suum accusatorem voluerit reaccusare ad accusandum admittatur<br />

post responsionem factam factae de eo per duos dies praeter formam<br />

praedictam». «Liber III, C. XXII: Quod accusa denuntiatio seu inquisitio<br />

de verbis iniuriosis non valeat nisi contineat diem, et verba sint dicta praesente<br />

iniuriato. Item statuimus quod de verbis iniuriosis accusa fieri non<br />

possit nec inquisitio seu denunciatio si contineat diem iniuriae et nisi verba<br />

dicta fuerint iniuriato praesente. Statuimus insuper quod si quis accusaverit<br />

aliquem de verbis iniuriosis, et propter difectum accusae non probatae<br />

accusatus absolvatur, et accusator puniatur in V solidis, hoc tamen locum<br />

non habeat si per pacem factam accusatus fuerit absolutus».<br />

5<br />

Ivi: «Liber III, C. XLI: De percussionibus sine armis. Item statuimus<br />

quod quicumque aliquem suppositum jurisdictioni potestatis seu rectoris<br />

Anagniae percusserit malo modo seu tetigerit a collo seu canna superius<br />

inclusive exceptis casibus infrascriptis, seu etiam coeperit per cannam sine<br />

armis cum sanguinis effusione in 16 libris denariorum quotiens offenderit<br />

puniatur. Si sine sanguine in 6 libris puniatur. Si vero arteratam seu ugillum<br />

seu cum manibus in facie dederit cum sanguinis effusione 30 libris<br />

denariorum quotiens offenderit puniatur. Si vero sine sanguinis effusione<br />

in libris 20 puniatur. Et si quis aliquem per capillos caeperis vel per aures<br />

aut per aliquem partem faciei in 15 libris denariorum quotiens contrafecerit<br />

puniatur. Si a collo seu canna inferius percusserit seu malo modo tetigerit<br />

seu caeperit sine armis cum sanguinis effusione in 10 libris puniatur


46<br />

Matteo Maccioni<br />

rapporto tra entità del danno ed entità della pena è proporzionale:<br />

sine diminutione. Si sine sanguinis effusione in 40 solidis puniatur. Si vero<br />

sine armis aliquem spoliaverit malo modo in 20 solidis puniatur. Si cum<br />

armis in solidis 40 puniatur. Si vero cum pede vel cum manibus aliquem<br />

percusserit in terra prostratam qualitercumque sine armis in quocumque<br />

parte corporis vel per terra traginaverit cum sanguinis effusione in libris 15<br />

denariorum puniatur: et si sine sanguinis effusione in libris 8 denariorum<br />

quoties in aliquo praedictorum casuum offenderit puniatur. Si vero cum<br />

armis poena dupli puniatur. Et si talis cum pede percusserit a collo seu<br />

canna inferius cum sanguinis effusione et non in terram proiecerit in 12<br />

libris denariorum puniatur. Et si in terram proiecerit sine sanguinis effusione<br />

in 25 libris denariorum puniatur. Si cum sanguinis effusione in 30<br />

libris denariorum puniatur dummodo ad alteriores actus non processerit,<br />

et si percusserit puniatur poena statuti de maleficio alterius perpetrato et<br />

consumato et fuerit maior poena aliis per quae pervenerit ad id poenitus<br />

praetermissum. Si vero momorderit puniatur in singulis casibus delinquens<br />

poena statuti praesentis manu vacua ac si percusserit. Si cum membri mutilatione<br />

seu fractione, seu debilitatione puniatur poena dupli et si cum abscissione<br />

membri puniatur poena, ac si ascissiset cum armis molutis. Idem<br />

dicimus observandum in singulis maleficiis et excessibus quibuscumque<br />

nisi in quibus ubi constaret legitime et expresse fuisse amissum divisim<br />

vel separatim per aliquod temporis intervallum et non continuatim sive<br />

iterata delicta fuerint de quolibet puniatur delinquens pro singulis delictis.<br />

Et si quis aliquam vilem et abiectam personam percusserit qualitercumque<br />

ex praedictis modis vel alias iniuratus fuerit eidem modo quocumque talis<br />

percussor seu iniurator arbitrio conservatorum communi puniatur. Vilem<br />

autem et adiectos vaxallos et abiectam personam in hoc casu intelligimus<br />

de iure communi vel ex forma statutorum quod infamis habetur et etiam a<br />

dictos spavallos et his similes, nec non de qua communiter maledicatur per<br />

civitate Anagniae vel in contrata ubi habitat». «Liber III, C. XLII: De percutientibus<br />

sine armis molutis. Item statuimus quod quicumque percusserit<br />

aliquem suppositum potestati cum appello, baculo, mazza lignea vel stella,<br />

lapite, pallocta plumbea vel cuiuscumque generis metalli, vel quocumque<br />

genere armorum non molutorum a collo supra, ac in ipso collo sine sanguinis<br />

effusione et membri mutilatione seu fractione aut debilitatione in 30<br />

libris denariorum puniatur. Si cum sanguinis effusione vel tumefactione<br />

ex qua oporteat ad sanguinem prosilire hominis mi[ni]sterio in 40 libris<br />

denariorum puniatur pro qualibet percussione. Et si membrum fregerit non<br />

tamen ex illa fractione efficiatur inutile, duplicetur in eo poena qualibet in


Statuto d’Anagni e i maleficia<br />

47<br />

maggiore è l’entità del danno fisico arrecato,più cospicua sarà la<br />

suo casu. Si a collo infra immedietate poenarum praedictarum puniatur in<br />

casibus supradictis. Si vero mutilaverit vel inutile fecerit puniatur poena<br />

statuti loquentis in casu ipso ac si cum armis molutis percusserit. Si vero<br />

cum aliquibus ex praedictis armis percusserit in facie cum sanguinis effusione<br />

vel tumefatione ex qua oporteat ad sanguinem prosilire hominis<br />

mi[ni]sterio in 40 libris denariorum quotiens deliquerit puniatur, ubi non<br />

esset remansura cicatrix ex qua sequeretur deturpatio faciei perpetua; quo<br />

casu ubi esset remansura sit poena in centum libris denariorum; si sine<br />

sanguinis effusione puniatur in libris 30 pro qualibet percussione. Et si<br />

quis cum aliqua quacumque re, quam tenent alienam de genere armorum<br />

percusserit aliquem in faciei cum sanguinis effusione in libris 15 denariorum<br />

quoties offenderit puniatur. Salvo ubi esset remansura cicatrix ex qua<br />

sequitur deturpatio faciei, quo casu puniatur ut supra, exceptione de vilibus<br />

et abiectis personis, de quibus puniatur ut supra in praecedenti capitulo».<br />

«Liber III, C. XLIII: De percussionibus cum armis molutis. Item statuimus<br />

quod quicumque suppositus iurisdictionis potestatis dictae civitatis percusserit<br />

gladio ense manarese vel bastone ferreo seu mazza ferrea vel cum<br />

quibuscumque armis molutis a spatulis superius inclusive cum sanguinis<br />

effusione vel tumefatione ex qua oporteat ad sanguinem hominis mi[ni]sterio<br />

in 40 libris denariorum puniatur vice qualibet. Sine sanguinis effusione<br />

vel alicuius sanguine apparitione in libris 30 denariorum quoties deliquerit<br />

puniatur. Si non exquantiaverit vel in quacumque parte faciei percusserit<br />

cum sanguinis effusione in centum libris denariorum puniatur. Si vero sine<br />

sanguinis effusione in 50 libris denariorum puniatur vice qualibet a capillis<br />

inferioribus usque ad cannam inclusive. Et si quis aliquem percusserit a<br />

spatulis inferius cum aliquibus ex praedictis armis cum sanguine effusione<br />

vel tumefactione ut supra in 40 libris denariorum puniatur. Sed sine sanguinis<br />

effusione vice qualibet in libris 25 puniatur. Si vero cum mutilatione vel<br />

fractione membri vel debilitatione totali ita quod membrum sit perditum<br />

vel mutilatum aut inutile totum factum aliquem percusserit, vel si manum<br />

aut pedem vel nasum inciserit aut mutilaverit, vel oculum cecaverit in 30<br />

libris denariorum talis delinquens puniatur, dummodo membrum totaliter<br />

sit abscissum vel mutilatum aut inutile factum aut oculus cecatus. Si autem<br />

auricula inciserit in 100 libris denariorum puniatur: et pro quolibet digito<br />

mutilato in 100 similiter libris denariorum puniatur. Si vero dentem proiecerit<br />

pro quolibet dente in libris denariorum 20 puniatur, et poena sanguinis<br />

in quolibet casu praedictorum ubi de ipso sanguine expressa mentio non<br />

habeatur non diminuatur contra percussorem. Si autem tricciam sei triccias


48<br />

Matteo Maccioni<br />

somma di denaro che il colpevole deve elargire. In questo caso<br />

particolare non si fa menzione, né nell’accusa né nelle testimonianze,<br />

di particolari ferite – perdita di sangue, tagli, tumefazioni, ossa rotte<br />

- arrecate alla donna.<br />

Oltre all’accusa di ingiurie e di percotimento, l’inquisito Celle<br />

viene accusato, come si evince dalla lettura del capo d’accusa<br />

riportato, di aver negato alla donna il diritto di raccogliere le spighe<br />

dopo la mietitura: una consuetudine esplicitata dalle locuzioni latine<br />

«ut moris est», «contra formam iuris statutorum ac ordinamentum»<br />

e «contra bonos mores bonamque consuetudinem dictae Civitatis<br />

Anagniae» 6 . A questo proposito ho potuto constatare che nelle<br />

rubriche dello Statuto di Anagni – perlomeno nella copia da me<br />

consultata – vi è un unico capitolo dedicato allo ius spicandi, nel<br />

libro IV, capitolo XXVI, in cui viene sancito il divieto di raccogliere<br />

le spighe «sine licentia domini» 7 , ovvero del proprietario del terreno<br />

bonae et honestae mulieris inciserit in 100 libris denariorum puniatur. Et si<br />

praedictae personae solvendae non essent incidatur eis manus dextera pro<br />

qualibet. Et si inciserit triccias inhonestae mulieris in 10 libris denariorum<br />

puniatur. Nisi esset sua amantia aut concubina quo casu puniatur in 100<br />

solidis. Et si praedictae personae solvendae non essent, ac capi possent<br />

ponantur per unum diem in catena, et si capi non possint exbandiantur de<br />

civitate perpetuo ad quam reintrare non possint nisi poenam persolverint<br />

cum effectu».<br />

6<br />

Le formule latine ut moris est e contra bonos mores bonamque consuetudinem<br />

dictae Civitatis Anagniae indicano che lo ius spicandi faceva<br />

parte delle consuetudini vigenti nella comunità. La consuetudine, intesa<br />

come usus o diuturnitas, costituisce la fonte di diritto non scritta. È una<br />

regola che viene a formarsi a seguito del costante ripetersi di un dato comportamento<br />

nell’ambito di una determinata collettività, nella libera convinzione<br />

di ottemperare a norme giuridicamente vincolanti. La reiterazione di<br />

un determinato comportamento da parte della collettività lo rende moralmente,<br />

socialmente e giuridicamente valido e obbligatorio.<br />

7<br />

Collezione statuti, stat. 0640, Statutum inclytae ac pervetustae Civitatis<br />

Anagniae, ex apographo quod anno MDXVII Laurentius Pacoticus sacerdos<br />

dioeceseos Grossetanae exaraverat: «Liber IV, C. XXVI: Quod non<br />

liceat spicarolis colligere spicas sine licentia domini. Item statuimus quod<br />

nullus spicarolus vel spicarola absente domino vel laboratore colligat spi-


Statuto d’Anagni e i maleficia<br />

49<br />

o del coltivo: siamo evidentemente in un regime di privatizzazione<br />

del coltivo.<br />

Il secondo caso esaminato riguarda le accuse di bestemmia mosse<br />

verso due uomini, Giovanni Battista Canterano e Sebastiano Sabelli,<br />

noto anche con il nomignolo di “Barile”. Per quanto riguarda questi<br />

due casi non abbiamo notizie in merito ai querelanti, poiché nel capo<br />

di accusa non è riportato il nominativo di chi ha sporto denuncia. Nel<br />

caso di Canterano, questo viene accusato di aver maledetto Cristo e<br />

di aver pronunciato frasi contrarie alla fede e alla dottrina cattolica in<br />

pieno giorno, lungo la strada pubblica e in presenza di altri uomini 8 .<br />

Per quanto riguarda Sebastiano Sabelli sappiamo che è stato accusato<br />

di aver bestemmiato Dio onnipotente, maledicendolo,durante il<br />

gioco dei dadi in una piazza adiacente alla strada pubblica, e di aver<br />

oltraggiato con parole e frasi empie la fede cattolica e la Chiesa 9 .<br />

cas de loco alieno per stipulas ubi sunt arcellae vel montones grani, vel<br />

gregnae sparsae ad poenam X solidorum et damnum emendet in duplum<br />

nisi esset de voluntate domini loci, et credatur cuilibet bonae famae cum<br />

iuramento, et habeat dominus sive colonus accusator medietatem partem<br />

poenae, custos vero tertiam partem».<br />

8<br />

Libro delle condanne (1558-1562), f. 70r, contro Giovanni Battista Canterano,<br />

15 luglio 1559: «Hec est quedam inquisitio que fit et fieri intenditur<br />

per Magnificum Dominum Potestatem Et suo mero offitio, potestate Auctoritate,<br />

atque balia, contra, et adversus Johanem Baptistam, Canteranae, in<br />

eo de eo, et super eo clamosa insinuatione referente, non quidem etc. et eo<br />

quia malo animo etc. Deum prae oculis non habendo, eumque non timendo,<br />

necque colendo, ausus fuit, ut malus cristicula, in via publica, de die,<br />

coram hominibus, blasfemare Deum, dicens maledictus sit Christus, veniendo<br />

contra formam Statutorum, contra fidem catolicam, contra formam<br />

sacrarum constituitam bonorum morum , et bannimentorum Reverendissimi<br />

Gubernatoris etc penas, et penis etc Quare etc Et hoc fuit, in contrada<br />

Turris ante Domum Aronnis, de Mense aestatis Mensis Julij 1559».<br />

9<br />

Ivi, f. 72r, contro Sebastiano Sabelli, 18 luglio 1559: «Hec est quedam<br />

inquisitio quae fit et fieri intenditur per Magnificum Dominum Potestatem<br />

Civitatis Anagniae dominum Andrianum Alleva de santo genesio,<br />

ex suo mero offitio potestatis, auctoritatis atque balia, contra, et adversus<br />

Sebastianum alias barilem Sabelli, in eo de eo et super eo etc. Non<br />

quidem etc Sed etc. Publica voce etc Et fama etc referente etc Atque cla-


50<br />

Matteo Maccioni<br />

Questi due uomini sono dunque accusati di aver contravvenuto<br />

a quanto stabilito nello Statuto locale 10 , ai dettami della Chiesa e<br />

al buon costume. La bestemmia è, infatti, allo stesso tempo reato<br />

e peccato: è un’offesa ai valori cristiani in quanto tali, ed è altresì<br />

un’offesa alla comunità, strettamente legata a quei valori. Per questo<br />

motivo colui che si macchia di questo atto deplorevole dovrebbe<br />

essere - e in molti casi è - relegato ai margini della società civile,<br />

segnato dal marchio dell’infamia e trattato come un rifiuto: «È altro<br />

mosa etc Quod de presenti anno 1559 de Mense Julij die XIII in apoteca,<br />

Domini Vicentij setini, in platea, iuxta viam publicam, aleis ludendo rusus<br />

fuit malo animo etc Deum prae oculis non habendo, necque eis pietatis misericordiam,<br />

Iustitiam non considerando, immo adverso, diabolico spiriti<br />

iudigatus Nomen Dei Omnipotentis blasfemat, videlicet dicendo sit Deus<br />

Maledictus, Et hoc tamque impiis, et Malus cristicula, et transgressor fidei,<br />

catholicae, Dictis animo, et anno mense die ut supra veniens contra<br />

Ecclesiam, formam Statutorum constitutionis bonorum consuetudinorum<br />

formam contra bannimentum Reverendissimi Domini Gubernatoris incurrendo<br />

etc penas, et penis etc quare etc».<br />

10<br />

Collezione statuti, stat. 0640, Statutum inclytae ac pervetustae Civitatis<br />

Anagniae, ex apographo quod anno MDXVII Laurentius Pacoticus sacerdos<br />

dioeceseos Grossetanae exaraverat: «Liber III, C. XIII: De blasfemantibus<br />

Deum et Sanctos. Item statuimus quod si quis vir maior XIV annis,<br />

vel mulier maior XII maledixerit seu blasfemaverit Deo vel B. Virgini Mariae<br />

aut mala verba protulerit seu dixerit, teneatur ad poenam X librarum<br />

denariorum si constiterit curiae, et credatur accusatori cum iuramento et<br />

uno teste idoneo, et habeat accusator quartam partem banni. Et si accusatus<br />

non habuerit unde solvat ponatur in catena, et stet ibi per totam diem, et<br />

postmodum fustigetur per civitatem exeptis accusationibus in casu praedicto<br />

pro macellariis vel eorum altero factis quibus stari seu credi volumus<br />

nisi probetur per duos testes qui non sint de macellariis. Si vero aliquis<br />

alium sanctum vel sanctam blasphemaverit, seu de eo male dixerit solvat<br />

pro poena libras denariorum senatus V secus si maledixerit S. Magnum vel<br />

Beatam Secundinam duplicetur poenam et credatur ut supra. Si vero blasphemaverit<br />

Deum et B. Virginem Mariam similiter et semel puniatur poena<br />

dupli sine diminutione, et credatur ut supra. Et si plures Sanctos blasphemaverit<br />

augeatur poena et multiplicetur secundum multiplicationem seu<br />

iterationem blasphemantium et credatur ut supra».


Statuto d’Anagni e i maleficia<br />

51<br />

al fine che un poco di putredine colorata? No, non è altri; egli è un<br />

uomo vile, un vermicciuolo levato su dalla terra, sordido, stomacoso,<br />

un uomo che cola lezzo per ogni lato» 11 .<br />

Occorre rimarcare che, in questo caso, l’accusatore deve prestare<br />

testimonianza sotto giuramento e deve produrre un «teste idoneo»,<br />

ovvero una persona rispettabile e affidabile, di buona fama. Anche<br />

in questo caso la pena che spetta a colui che si macchia di questo<br />

crimine è una pena pecuniaria: dieci libbre di denari per chi maledice,<br />

bestemmia o ingiuria Dio, la Vergine Maria; se si bestemmiano o<br />

ingiuriano i santi la pena è di cinque libbre, le quali raddoppiano<br />

se si offendono san Magno o santa Secondina (perché patroni del<br />

paese). Solamente nel caso in cui l’accusato non disponga dei mezzi<br />

finanziari per estinguere la pena viene condannato alla catena, alla<br />

quale è forzato a rimanere per tutto il giorno. Inoltre, può essere<br />

eventualmente fustigato (e vituperato) ad libitum dai cittadini.<br />

Il terzo caso preso in esame riguarda l’accusa di furto nei<br />

confronti di Agostino Ramati, reo di essersi intrufolato, nella notte,<br />

nel territorio della città chiamato “la Torricella” assieme a complici<br />

e di aver sottratto due cavalli, «unum pilaminis morelli, alterumque<br />

rubei ultra quasi», con tutti i finimenti, agli assistenti - auditore 12 e<br />

bargello 13 - di Marco Antonio Colonna 14 . Il querelato viene accusato<br />

11<br />

P. Segneri, Il cristiano istruito nella sua legge, in Maledire Dio. Studio<br />

sulla bestemmia, I. Turina, tesi di laurea a.a. 1999/2000, Università degli<br />

Studi di Bologna, Lettere e Filosofia, Scienze della comunicazione, p.63.<br />

12<br />

La qualifica di auditore era attribuita a magistrati e ufficiali pubblici ed<br />

ecclesiastici aventi compiti giurisdizionali o connessi con l’amministrazione<br />

della giustizia.<br />

13<br />

Il bargello era il capo dei birri o delle milizie cittadine, dunque un ufficiale<br />

preposto ai servizi di polizia.<br />

14<br />

Libro delle condanne (1558-1562), f. 74rv, contro Agostino Ramati, 21<br />

luglio 1559: «Hec est quedam inquisitio que fit et fieri Intenditur, per Magnificum<br />

Dominum Potestatem ex suo mero offitio, potestati, auctoritati,<br />

atque balia contra et adversus Agustinum Ramatij, in eo, de eo, et super<br />

eo, per fama publica, precedente etc non quidem, a malevolis et suspectis<br />

noctis, sed a personis, veridicis et fidei dignis, non semel …, sed plureis,<br />

et plureis, ad aures, prefati, Magnifici Domini Potestati venit, qualiter pre-


52<br />

Matteo Maccioni<br />

anche di aver razziato altri animali di grande valore: dodici buoi,<br />

appartenenti a Pietro Mei e a “Piditto” della curia anagnina; altri<br />

quattro buoi, due di proprietà di “Bello in campo” e due di Domenico<br />

Ferrati (o Ferrari); un giovenco, «pilaminis rubei», appartenente a<br />

Giovanni Carticone.<br />

Per il furto di animali lo Statuto non stabilisce pene pecuniarie<br />

predeterminate ma, in compenso, prevede il sequestro delle bestie<br />

sottratte e la loro riconsegna al legittimo proprietario. Se colui che<br />

è sospettato di essere in possesso di animali rubati non è in grado di<br />

dimostrarne la proprietà in modo certo, al di là di ogni ragionevole<br />

dubbio, viene condannato alla restituzione dei detti animali e alla<br />

detenzione. Nel caso in cui il sospettato riesca a produrre una qualche<br />

fatus inquisitus, non habens Deum prae oculis, sed potius inimicus humane<br />

naturae, et diabolico spirito ductis … malo, commitendi et perpetrandi<br />

prefatum, malefitium, delictum, et fortem movens se de loco ad locum,<br />

una, cum quibusdam sotiis ad talia perpetranda, et commitenda, nomina<br />

quorum sub silentio, pertranseunt pro meliori, et accessi, ad Territorium<br />

istique civitatis in contrada, ubi dicitur, la Torricella, ibidem … substulit,<br />

et furto sub traxit, duos equos, unum pilaminis morelli, alterumque rubei<br />

ultra quasi, et similiter unum mulum, que Animalia, spectabant et pertinebant,<br />

cum suis guarnimentis, ibidem assistentibus ad d. Auditorem et barricellum<br />

Illustrissimi et Eccellentissimi Domini Marci Antonii de Colonna,<br />

Iuri dominij ultra quasi, ut quo voluit asportavit ac in ... usum convertit, in<br />

grave damnum et preiudicium prefatorum Domini, Auditores et barricelli,<br />

et non contentus predictis sed malum malis adende, …, …, dictum Territorium<br />

Anagninae. Invenit quosdam bufalos, nummero, duodecim in circa<br />

spectandis et pertinentis ad petrum Mei, et pidittum de Anagnina curia, dominici<br />

ultra quasi et similiter boves quatuor, spectantis duos, ad bellum in<br />

campo iuri, … ultra quasi duos alios, ad Dominicum ferratii iuri, dominij<br />

ultra quasi, nec non unum iuvencum pilaminis rubei, spectante et pertinente<br />

iuri domini ultra quasi ad Johannem Carticonem ultra eiis malum, que<br />

animalia omnia erat valoris, et communis extimationem pro ut liquidabitur<br />

in processu, et quo voluit unum cum dictis sotiis conduxit et asportavit ac<br />

in eorum usus convertit in grave ... et precis prefatorum dominorum bestiarum<br />

contra formam iuris et Statutorum sacrorum constitutorum etc bonos<br />

et laudabiles mores vicendi, ut predicta, facta, fuerit per supra inquisito de<br />

Anno 1559 de mense Martij in ebdomada santa, ultra alio veriori Tempori,<br />

etc penas et penis etc super quibusque etc».


Statuto d’Anagni e i maleficia<br />

53<br />

giusta motivazione per la quale si trovi in possesso delle bestie allora,<br />

ragionevolmente, non deve essere sottoposto ad ulteriori indagini.<br />

L’indagato ha otto giorni di tempo per trovare un acquirente per gli<br />

animali, al termine dei quali il detentore di questi sarà condannato<br />

a restituirli al debitore. Lo Statuto sancisce che lo stesso querelante<br />

ha il potere di determinare le giuste garanzie nel caso in cui le<br />

circostanze stesse trasferissero la proprietà degli animali da lui ad<br />

altri per mezzo di un contratto di vendita 15 .<br />

Il fatto che per il furto di animali sia prevista non una pena<br />

pecuniaria, ma la restituzione di questi e la detenzione, è una riprova<br />

dell’importanza degli animali all’interno della vita della comunità.<br />

Non bisogna dimenticare che le bestie, in una società prevalentemente<br />

15<br />

Collezione statuti, stat. 0640, Statutum inclytae ac pervetustae Civitatis<br />

Anagniae, ex apographo quod anno MDXVII Laurentius Pacoticus sacerdos<br />

dioeceseos Grossetanae exaraverat: «Liber III, C. LXV: De animalibus<br />

furto subtractis. Item statuimus quod si quis boves furto subtractus vel<br />

alia quaecumque animalia ab aliquo potierit potestas seu rector et judex<br />

illa incontinenti in iudicio faciat exhiberi, et primo scriptis signis et numero<br />

bestiarum apud aliquem faciat sequestrari. Si persona possidens fuerit<br />

suspecta ad eum quaerentem et ipsis signis in iudicio examinatis cum bestiis<br />

si concordantia inveniatur tunc prohibeant detemptori seu convento<br />

ad certam poenam vel ad alienationem seu contractionem procedat sine<br />

potestatis licentia seu rectoris vel judicis vel mandato. In qua quaestione<br />

sic procedi volumus. Quod si potestas seu rector et judex fidem habuerint<br />

per confessionem conventi vel idonea probatione quod talis petitor ipsa<br />

animalia bona fide possederit vel pro suis tenuerit per aliquod tempus, et de<br />

dominio non probato, ad restitutionem ipsorum animalium detemtorem petenti<br />

condemnetur. Salvo tamen si praefatus conventus legittime probaverit<br />

aliquam juxtam causam propter quam idem petens a dominio petitorum<br />

animalium vel alias a sui intentione rationabiiter sit exclusus, vel fuerit<br />

infra terminum octo dierum sibi per emptorem praefigendum et talis detentor<br />

eidem petitori dicta animalia secundum formam praedictam restitueri<br />

fuerit condemnatus. Idem petitor idoneas fideiussiones cautiones quos si<br />

quo tempore constiterit ipsum dicta animalia alienasse per quemcumque<br />

contractum alienationis vel jus ei non competere quod ipsa vel ipsorum extimationem<br />

restituat condemnato. Et praesens statutum sibi locum vindicet<br />

etiam in non suppositis jurisdictione potestatis».


54<br />

Matteo Maccioni<br />

dedita all’agricoltura e alla pastorizia, sono fondamentali in quanto<br />

garantiscono la sopravvivenza della popolazione da un punto di<br />

vista economico e per la produzione dei beni alimentari: prima della<br />

meccanizzazione dell’agricoltura gli animali erano infatti adoperati<br />

come forza motrice degli strumenti agricoli e come mezzi di<br />

trasporto, oltre che per la produzione di beni di consumo da vendere<br />

all’interno e all’esterno della comunità locale.


Rossana Fiorini<br />

Boville Ernica:un lacerto dello statuto<br />

Il presente studio è finalizzato a riportare alla luce documenti e<br />

testimonianze scritte sullo statuto storico del <strong>Comune</strong> di Bauco, oggi<br />

Boville Ernica 1 .<br />

Nelle ricerche finora condotte lo studio relativo alla Comunità<br />

di Bauco fa riferimento a quella che viene definita «plurisecolare<br />

attività autonormativa degli ordinamenti locali campanini» 2 . I<br />

documenti di cui si ha possesso e conoscenza risalgono alla fine<br />

1<br />

L’esperienza istituzionale di Bauco è un caso atipico all’interno del contesto<br />

territoriale della Provincia di Campagna: la comunità si diede un autogoverno<br />

definitosi repubblicano (pur dovendo, in alcuni casi, sottostare<br />

a Signori locali – fra i quali i Colonna – fino a quando fu direttamente sottoposta<br />

alla Camera Apostolica) differentemente dalla maggior parte dei<br />

centri limitrofi. Il “reggimento” repubblicano “baucano” trarrebbe origine<br />

da uno statuto elargito nel 1204 da Papa Innocenzo III. Si può risalire ai<br />

fatti attraverso la consultazione delle “Cronache di Fossanova”: queste riportano<br />

che i Condomini Partecipes di Bauco riuscirono a respingere gli<br />

assalti delle truppe germaniche insediate presso le vicine rocche di Sora ed<br />

Arce, avamposti del Regno di Sicilia, che da sempre cercava di sottrarre<br />

territori allo Stato Pontificio. Scampato il pericolo, il Papa concesse loro<br />

autonomia amministrativa e giudiziaria: un sistema che concedeva la gestione<br />

del potere da parte di dodici famiglie “nobiliari” ogni nove mesi (per<br />

nove mesi); perciò ogni “domino” prima di poter tornare in carica doveva<br />

aspettare ben novantanove mesi. Il periodo “oligarchico-repubblicano” si<br />

protrasse sino al 1582 e alcune prerogative circa la scelta dei magistrati<br />

vennero progressivamente sottratte agli organi comunitativi, a partire dal<br />

secolo successivo. Cfr. S. Notari, Per una geografia statutaria del Lazio:<br />

il rubricario degli statuti comunali della provincia storica di Campagna,<br />

in Rivista Storica del Lazio, 13-14 (2005-2006), 22, Le comunità rurali e i<br />

loro statuti (secolo XII-XV), Atti dell’VIII Convegno del Comitato italiano<br />

per gli studi e le edizione delle fonti normative, Viterbo 30 maggio – 1 giugno<br />

2002, a cura di A. Cortonesi e F. Viola, pp. 51, 57-58, 84.<br />

2<br />

Ivi, p. 58.


56<br />

Rossana Fiorini<br />

del XVIII secolo e descrivono una cittadina che per lungo tempo<br />

si era “autogovernata”, in età medievale e primomoderna, come<br />

sibi princeps (con l’imponente e per certi versi gravoso titolo di<br />

Repubblica 3 ) e che in questo momento implora il sovrano di un<br />

formale atto per autorizzare la «risoluzione del pubblico Conseglio di<br />

Bauco», e pertanto fa domanda di una nuova stampa di statuti. Siamo<br />

di fronte ad una situazione tardo feudale: la presentazione al pontefice<br />

delle «statutarie leggi» approvate dal Consiglio generale della Terra<br />

di Bauco «per toglier di mezzo tanti latrocinii, che si commettono in<br />

Bauco nell’olivi, e nelle piante […] come anche per ovviare ai danni,<br />

che si fanno dai bestiami negli oliveti […] acciò […] raffrenare la<br />

licenza dei ladri, e dannificanti» 4 – al fine di ottenere l’estensione del<br />

Breve Apostolico – si diede avvio ad un lungo iter legislativo. È noto<br />

infatti dalle carte, dalla supplica al Papa risalente alla primavera del<br />

1781, che il Luogotenente di Frosinone venne chiamato ad esprimersi<br />

sul testo e propose degli emendamenti a due capitoli 5 , dai quali secondo<br />

i “comunisti” di Bauco dipendeva la corretta organizzazione delle<br />

leggi statutarie. Incaricato direttamente della questione è il Cardinale<br />

Camerlengo Carlo Rezzonico. Gli statuti nella loro forma definitiva<br />

vengono approvati da Papa Pio VI nel 1783; nei fascicoli preparatori<br />

rinvenuti si trovano tutte le stesure precedenti e si leggono, oltre agli<br />

emendamenti e alle modifiche apportate, anche le motivazioni della<br />

bocciatura di alcune proposte di alcuni articoli 6 .<br />

3<br />

Ibidem. Vedi anche L. Scotoni, I territori autonomi dello Stato ecclesiastico<br />

nel Cinquecento. Cartografia e aspetti amministrativi, economici e<br />

sociali, Galatina 1982, p. 54.<br />

4<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 447. Missiva inviata dal governatore di<br />

Bauco al Buon Governo in data 24 novembre 1781.<br />

5<br />

Ivi, Biblioteca, Collezione statuti, 824.7, Lo statuto di Bauco sopra li<br />

danni che si fanno nelli terreni del luogo sudetto (in seguito solo Lo Statuto<br />

di Bauco), cc.6, capp. I-XVI; nel volume miscellaneo è stato inserito<br />

il testo stampato del chirografo pontificio (in Roma nella Stamperia della<br />

Reverenda Camera Apostolica, 1785) da cui fu esemplato il testo manoscritto<br />

della collezione.<br />

6<br />

Ivi, Camerale III, Serie Comuni (in seguito solo Camerale III), b. 349. Le


Boville Ernica: un lacerto dello statuto<br />

57<br />

L’istanza viene accolta dal pontefice che indirizza al prefetto<br />

della Congregazione «de’ Sgravj, e Buon Governo», Cardinal Casali,<br />

il chirografo perché, dopo aver «riveduto, esaminati, ed in parte<br />

riformati detti statuti» 7 , le leggi abbiano «una inviolabile osservanza<br />

per indennità di quel territorio» 8 .<br />

In questa sede si prenderanno in considerazione testimonianze<br />

intorno a alcune controversie che hanno per argomento il danno<br />

dato 9 , e le carte prodotte durante la complessa trafila che infine<br />

prime carte contenute nel fascicolo sono delle lettere indirizzate a Papa Pio<br />

VI. Le date apposte dalle “Stanze del Vaticano” al Cardinal Camerlengo<br />

risalgono al 18 e al 26 maggio 1782.<br />

7<br />

BG, b. 447. Documento titolato «Memoria Per l’Udienza di Nostro Signore».<br />

La decisione è riportata nel retro: «Transmitatur Copia Chirographi»<br />

ed è datata 29 marzo 1783.<br />

8<br />

La sanzione e il testo son registrati nel Bullarium romanum continuatio,<br />

VII, Roma 1843: CDXXVI, Confirmatio statuti in loco nuncupato “Bauco”<br />

super damnis datis in bonis eiusdem loci, pp. 93b-96a. Significativo il<br />

richiamo del pontefice alle “leggi generali” in materia, la bolla di Benedetto<br />

XIV, del 25 gennaio 1751, e un’enciclica di Clemente XIV, «alla quale<br />

[Enciclica Clementina] ed alla detta Benedettina si dovrà aver sempre relazione<br />

ne’ casi, e circostanze non contemplati nei presenti Statuti». Cfr. S.<br />

Notari, Per una geografia, cit., p. 58.<br />

9<br />

G. Giammaria, Il ‘danno dato’ negli statuti di Campagna e Marittima.<br />

Una nota illustrativa, in Rivista Storica del Lazio, cit., pp. 121-140. «È<br />

cosa nota che con l’appellativo danno dato si intenda quasi univocamente<br />

danno campestre, sia ai fondi che alle coltivazioni, causato tanto da persone,<br />

quanto da animali, sia di proposito sia involontariamente. Definibile<br />

anche maleficia laeviora, fondamentale nelle società agrarie, in cui la<br />

coltivazione e l’allevamento rappresentano le principali risorse. Esso si<br />

ricollega al furto perpetrato alle proprietà rustiche e ben distingue l’azione<br />

di asportazione da quella di danneggiamento, considerando la prima una<br />

discriminante importante. Il danno dato comprende qualsiasi uso improprio<br />

e inappropriato di beni altrui e tutto ciò che può condurre ad un’alterazione<br />

illecita, non accettata della proprietà. Il danno risulta essere sempre<br />

risarcibile, e tale azione – pagando un’ammenda o penalità – estingue il<br />

procedimento giudiziario, a condizione però che non sussista maligna intenzionalità<br />

ed il danno in questione venga ritenuto e valutato esiguo, o


58<br />

Rossana Fiorini<br />

porta all’approvazione delle nuove leggi statutarie. Procedendo con<br />

ordine è opportuno pertanto elencare gli articoli ad oggi rinvenuti<br />

che testimoniano il rifacimento dei capitoli stessi. A tal fine vengono<br />

consultati numerosi documenti ufficiali, compreso un certo numero di<br />

missive, che si trasmettono all’attenzione della Sacra Congregazione<br />

del Buon Governo, secondo la tipica modalità dell’amministrar<br />

giudicando 10 , che spesso fanno riferimento o citano direttamente<br />

lo statuto. Va comunque sottolineato che la fonte statutaria vera e<br />

propria di Bauco rimane ad oggi ancora sconosciuta 11 , in quanto dalle<br />

ricerche sono emersi appunto soltanto lacerti dello statuto «sopra li<br />

danni delli terreni» e «riforma di un capitolo», rispettivamente del<br />

1781 e del 1816 – già inseriti nel rubricario degli statuti comunali della<br />

provincia di Campagna da Sandro Notari, il quale sottolinea come<br />

l’ampia letteratura storico-giuridica sulla potestas condendi statuta<br />

dei comuni nelle terrae ecclesiae abbia affrontato solo marginalmente<br />

ancora venga cagionato per forza maggiore o da un minore. Nel caso in cui<br />

il danno venga apportato di proposito, le norme statutarie andranno a controllare<br />

in maniera minuziosa la volontà: se solo volontario o con odio, se<br />

con violenza a uomini e cose, se per incuria o solo per colpa. Non sembra<br />

che, prima del Quattrocento, il danno dato sia stato disciplinato e pertanto<br />

è presente solamente negli statuti cittadini e rurali». Da un punto di vista<br />

dottrinale non perviene riflessione approfondita. Solo in età moderna ci<br />

imbattiamo nelle considerazioni di P. Farinacci e G. De Luca; esistono<br />

inoltre studi più direttamente processuali anche se la letteratura sembra<br />

essere piuttosto scarsa.<br />

10<br />

S. Notari, Per una geografia, cit., p. 42.<br />

11<br />

Camerale III, b. 349. Qui è necessario citare la dichiarazione del segretario<br />

comunale Rocco De Paulis, datata 16 luglio 1781, contenuta nel fascicolo<br />

delle carte preparatorie per nuove leggi statutarie, in cui egli attesta<br />

che a Bauco non esisteva alcuna normativa statutaria. Si legge: «Depongo<br />

io infrascritto pubblico segretario di questa Comunità per la pura verità<br />

richiesta non esser in questa nostra patria verun Statuto di sorte alcuna. In<br />

fede di che ne ho munita la presente col solito segno comunitativo». Qualora<br />

dunque fossero esistiti statuti precedenti è probabile che se ne fosse<br />

persa la memoria.


Boville Ernica: un lacerto dello statuto<br />

59<br />

il caso concreto dei comuni di Campagna 12 . Nel nostro caso, d’altra<br />

parte, avendo a disposizione un testo normativo inerente solamente<br />

il danno dato, non è possibile ad oggi ricostruire compiutamente le<br />

forme delle istituzioni che erano a capo della comunità di Bauco;<br />

benché si possa comunque affermare che compaiono lacerti che<br />

fanno luce su quelle che erano le norme in vigore.<br />

Le carte inerenti «li danni sopra li terreni» sono testi imperativi, di<br />

struttura ampia e complessa: in esse si possono leggere le cause che<br />

portarono alla richiesta del rimaneggiamento delle fonti statutarie.<br />

I documenti sono precisi e puntuali, e trattano con specificità<br />

la normativa del danno dato. L’operazione del 1781 non è però<br />

solamente un aggiornamento, ma scaturisce da un ricorso del Pubblico<br />

Consiglio e del popolo stesso per porre «un dovuto equitativo freno<br />

ai continui danni che si cagionano alle piante d’olive e ai loro frutti<br />

in diverse maniere, non solo dagli uomini ma anche da ogni sorta di<br />

bestiame, come anche ad altre sorti di piante e prodotti» 13 .<br />

Prima di elencare i capitoli del nuovo statuto sopra il danno<br />

dato, cerchiamo di capire in che modo questo fosse disciplinato<br />

precedentemente. Non è agevole determinare esattamente come<br />

fosse la normativa riguardante i danneggiamenti alle proprietà,<br />

ma nei documenti rinvenuti presso l’Archivio di Stato di Roma<br />

non mancano accenni atti a farcelo definire. Già a partire dal 1717<br />

sappiamo che non fosse «più un dovere affittare il danno dato» ma<br />

che le risorse di quest’ultimo potessero essere ricavate da un “riparto”<br />

12<br />

S. Notari, Per una geografia, cit., p. 30. Lo studioso accoglie il rilievo<br />

di Sandro Carocci che, riguardo a questa tradizione di studi, sottolinea «il<br />

limite di trascurare», circa le podestà della Santa Sede di intervenire sulle<br />

norme, «l’articolato divario che, in questo campo intercorreva tra le enunciazioni<br />

di papi e legati e la concreta prassi legislativa e istituzionale». Cfr.<br />

S. Carocci, Regimi signorili, Statuti cittadini e governo papale nello Stato<br />

della Chiesa (XIV e XV secolo), in Signori, regimi signorili e statuti nel<br />

tardo medioevo, Atti del VII Convegno del Comitato Italiano per gli studi<br />

e le edizioni delle fonti normative, a cura di R. Dondarini, G. M. Varanini,<br />

M. Venticelli, Ferrara 5-7ottobre 2000, Bologna 2003, pp. 252-269.<br />

13<br />

BG, b. 447. Il documento è copia del verbale del Pubblico Consiglio del<br />

giorno 11 novembre 1781.


60<br />

Rossana Fiorini<br />

sopra i bestiami 14 . Occorre fare qualche osservazione: anzitutto i<br />

documenti ci fanno capire molto bene come in precedenza vigesse<br />

l’imposizione di affittare il danno dato e che, soltanto in seguito<br />

tale forma di esazione venisse indirizzata verso la raccolta fiscale<br />

derivata dai bestiami; la motivazione, come si evince, era data dal<br />

fatto che con la seconda forma si evitavano i danni. Non doveva<br />

evidentemente palesarsi allora la situazione dei molti danni ai campi<br />

e ai raccolti che un cinquantennio più tardi richiederà una nuova<br />

specifica stampa degli statuti.<br />

Poteva comunque esserci motivo di attrito fra gli interessi dei<br />

diversi ceti sociali che si curavano della campagna e quelli della<br />

Comunità. Il danno dato era inteso come un’entrata fiscale della<br />

Comunità pagata dai danneggianti dei fondi privati e pubblici, ma col<br />

tempo tale forma fiscale deve essere stata considerata negativamente<br />

perché, come risulta sin dal 1716, alcuni allevatori di bestiame avevano<br />

ottenuto dal Buon Governo di non dover considerare il danno dato<br />

per i successivi tre anni, potendosi questo invece ripartire «per capo<br />

di animali» 15 , e quindi poter sostituire l’insieme delle multe con un<br />

“riparto”. Dopo il lasso di tempo di tre anni la Sacra Congregazione<br />

ordinò che la ripartizione della vendita del danno dato avvenisse<br />

diversamente, ma l’ordinanza venne trascurata. Intimamente legato<br />

alla vicenda è il pregiudizio che ne scaturisce nei cittadini di allora:<br />

«gli amministratori delle cose pubbliche» erano «gli stessi padroni<br />

di animali» che secondo la Comunità «si procurarono detta licenza<br />

14<br />

Ivi, b. 445. «Mi riferisce il Vice Podestà di Bauco, che fin sotto li 5 di<br />

marzo prossimo passato, da quel pubblico consiglio fusse risoluto di non<br />

doversi più affittare il danno dato ma che debba ripartirsi sopra li bestiami<br />

per l’entrante quota solita ritrarsi dal medesimo affitto, con contenergli<br />

secondo l’uso a consuetudine della città di Veroli in quanto alli danni manuali<br />

et affidati con il motivo che dalli affitti dell’accennato provento si<br />

faccino illeciti accordi con chi ha bestiami dal che ne nascano danni considerabili».<br />

Da una missiva firmata dal governatore Giovan Battista Leonini<br />

indirizzata al Buon Governo, datata 16 maggio 1717.<br />

15<br />

Ivi, b. 445. Il foglio, accluso all’interno di una supplica datata 21 gennaio<br />

1722 scritta dal governatore Ludovico Anguissola, probabilmente risale al<br />

20 novembre 1721.


Boville Ernica: un lacerto dello statuto<br />

61<br />

per potere a loro beneplacito danneggiare liberamente» 16 . Tangibile<br />

riferimento alla necessaria licenza si riscontra ancora nelle carte del<br />

1717 17 , con la causa «di togliere […] i tanti danni che si commettono<br />

e l’estorsioni degli affittuari» 18 , facendoci intendere in che modo il<br />

quadro generale avesse subito dei cambiamenti nel tempo. Nelle<br />

testimonianze dell’anno susseguente è possibile sapere che quando<br />

«nell’anno […] passato […] fu ripartito a capo dei bestiami l’affitto<br />

del danno dato, furono commessi danni eccessivi nei sementati a<br />

vigne, a cagione che non camminava per il territorio l’affittuario del<br />

danno dato, et in cambio di riuscire di utile al pubblico, fu trovato<br />

dannoso» 19 .<br />

Queste parole ci fanno capire che l’espediente di eliminare<br />

l’affitto del danno dato è risultato notevolmente dannoso ai coltivi,<br />

poiché mancava l’affittuario che, evidentemente, era visto come un<br />

controllore del pascolo e un deterrente per i danni.<br />

Non era però sempre facile avere un affittuario, poiché nel 1718 la<br />

Comunità di Bauco non trova chi avesse voluto attendere all’affitto<br />

del danno dato; intanto la Sacra Congregazione aveva permesso di<br />

ripartire l’entrata per due anni «sopra li bestiami del territorio» 20 e<br />

tale “riparto” fu portato avanti non solo per il tempo stabilito, ma<br />

sino a tutto il 1721 21 , pur senza il rinnovo della concessione da parte<br />

del Buon Governo 22 . In una missiva del Marzo del 1722 la Comunità<br />

di Bauco lamenta come «il podestà […] sia fatto lecito senza ordine»<br />

16<br />

Ibidem.<br />

17<br />

Ivi. Dal memoriale annesso alla lettera inviata da Giovan Battista Leonini<br />

il 16 maggio 1716 già citata.<br />

18<br />

Ibidem.<br />

19<br />

Ivi. Missiva del governatore Leonini al Buon Governo del 6 febbraio<br />

1718.<br />

20<br />

Ivi. Missiva del governatore Leonini al Buon Governo del 18 giugno<br />

1718.<br />

21<br />

Ivi. Il documento è firmato in calce da Ludovico Anguissola, governatore<br />

di Frosinone; datato 21 gennaio 1722.<br />

22<br />

Ivi.


62<br />

Rossana Fiorini<br />

di vendere l’affitto «del danno dato spettante alla Comunità» 23 . La<br />

disputa nasce ora intorno alla somma spettante alla Comunità: negli<br />

anni passati l’affitto del danno dato rendeva di 60 scudi all’incirca,<br />

e grazie al riparto invece la somma era salita a circa scudi 95, fino<br />

ad arrivare a 200. Non solo, si chiede anche che il governatore di<br />

Frosinone ordini al podestà di convocare il Pubblico Consiglio prima<br />

di procedere ad una risoluzione dell’affitto 24 . Così il governatore<br />

avanza la richiesta ai consiglieri di pubblicare i «soliti editti e incarti<br />

per la vendita del provento». È chiaro che la Comunità aveva tutto<br />

l’interesse a mantenere il riparto sul bestiame: la procedura prevedeva<br />

che si giungesse ad una decisione durante la seduta consiliare in cui,<br />

sottoposta la proposta da parte dell’autorità governativa, si arrivò<br />

alla votazione che risultò essere infatti «favorevolmente vinta con<br />

voti 51 favorevoli e 2 soli contrari» 25 .<br />

Questa è l’ultima informazione del periodo. Si può ipotizzare che<br />

il “ripartimento” sul bestiame possa esser stato causa dell’aumento<br />

dei danni denunciati e della necessità di revisionare le leggi, soltanto<br />

a distanza di molti anni, nel 1781. In quell’anno la Comunità di<br />

Bauco, riunito il consiglio comunitativo il giorno 11 novembre 1781,<br />

decide di riformare alcuni capitoli dello statuto per evitare i danni<br />

agli oliveti 26 .<br />

«Die 11 novembris 1781. Coram Illustrissimis Dominis<br />

Francisco Bisentio praetore, Ioanne Gualberto Becarini<br />

Sindaco, Domino Cayetano Diamante; et Eugenio Palmegiani<br />

officialibus, absentibus, quanquam intimatis Domini deputatis,<br />

ecclesiastico, saeculari, et regulari fuit convocatum pubblicum<br />

consilium, cum interventu Dominorum consiliariorum de<br />

numero etc. Propositio: Avendo questa nostra comunità fatto<br />

umiliar supplica alla Santità di Nostro Signore Papa Pio<br />

23<br />

Ivi. I cittadini supplicano il Buon Governo. Il documento probabilmente<br />

risale al febbraio, o al più tardi, ai primi di marzo del 1722.<br />

24<br />

Ibidem. La lettera riferiva che il podestà aveva, senza ordine esplicito,<br />

dato in affitto il danno dato per la somma di 60 scudi.<br />

25<br />

Ivi.<br />

26<br />

Ivi, b. 447. Verbale del consiglio del giorno 11 novembre 1781.


Boville Ernica: un lacerto dello statuto<br />

63<br />

VI felicemente regnante fin dallo scorso Febbraro, in cui si<br />

chiede la conferma per mezzo d’un Breve d’alcuni Capitoli<br />

concernenti un dovuto equitativo freno alli continui danni che<br />

si cagionano alle piante d’olive, e loro frutti in diverse maniere<br />

non solo dagl’Uomini, ma anche da ogni sorta di bestiame<br />

come anche ad altre sorti di piante, e prodotti per cui degnasi la<br />

Signoria sua rimetter iscrizione dell’Istanza all’Eminentissimo<br />

Signor Cardinal Conti Segretario de Brevi, che ne volle sentire<br />

l’informazione, e voto del Signor Luogotenente di Frosinone,<br />

come pervenuta informazione al detto Eminentissimo<br />

Signore, e riferita alla santità sua, che si degnasse rimetterla<br />

all’eminentissimo signor cardinal Camerlengo, da cui<br />

maturatamente esaminati i Capitoli a seconda dell’equità, e<br />

ragione, e riformati nella maniera che ora le signorie vostre<br />

sentiranno, quindi è che essendo stata presentata nuova<br />

supplica a Nostro Signore per la spedizione dell’accennato<br />

Breve e degnatasi di riscrivere che si proponessero tali<br />

Capitoli in detto Consiglio seguente, cioè: capitoli formati<br />

dalla comunità di Bauco, per evitar li danni e furti degl’olivi,<br />

come anche di qualsivoglia altri arbori fruttiferi e de seminati<br />

nel suo territorio.<br />

1 – Che trovandosi, chiunque a portar via dagli oliveti, rami o<br />

legna di ogni sorte di olive, tagliar alberi, sveller radiche e fare ogni<br />

altro atto pregiudizievole alle piante di olivo in qualsivoglia tempo,<br />

incorra 27 nella pena di scudi 4, da dividersi 28 fra il giudice locale, ed<br />

accusatore, oltre la rifazione di tutti e singoli danni ed in altre pene<br />

corporali ancora, secondo la qualità, e condizione delle persone e<br />

27<br />

Cfr. Ivi, b. 447. Dal fondo è stato reperito un “foglio di correzioni” utile<br />

a ricostruire le diverse stesure del testo statutario. Nel foglio di correzioni<br />

qui viene indicato aggiungere dopo “incorra” le parole “per conferma voler”.<br />

28<br />

Ibidem. Dopo “da dividersi” si aggiungerà “pro equali fra il Giudice<br />

locale, la Comunità e l’Accusatore”. I testi preparatori del Camerale mantengono<br />

la correzione. Cfr. Camerale III, b. 349.


64<br />

Rossana Fiorini<br />

circostanze di casi 29 .<br />

2 – Che chiunque si farà lecito di rubar piantoni di olivi, o ramo<br />

di questi per piantagione, debba soggiacere alla pena di scudo 1<br />

per piantone, o ramo derubato 30 oltre la rifazione del danno, e pena<br />

afflittiva come sopra.<br />

3 – Che qualora si trovassero dannificati gli olivi senza la presenza<br />

della persona dannificante ed indi si venisse in cognizione di chi<br />

avesse causato tal danno, sarà lecito di procedere contro questi,<br />

previa le solite legali giustificazioni, per inquisizione ad oggetto<br />

soltanto 31 della rifazione del danno a pro del dannificato.<br />

4 – Che non sia lecito a chiunque di introdurre bestiami di sorta<br />

alcuna, sotto qual si voglia quesito colore, negli oliveti ristretti<br />

con macerie, fossi o limiti in qual si voglia tempo, sotto pena 32 , se<br />

saranno pecore di baiocchi 10 per qual si voglia capo; se somaro, o<br />

mulo baiocchi 50 per capo; se bovi, purché non stiano attualmente<br />

sotto il giogo scudo 1 per bove; se capra baiocchi 50 per capo atteso<br />

il maggior danno, che sogliono cagionare con il loro morso; oltre<br />

di che sia tenuto ogni pastore dei riferiti bestiami alla rifazione del<br />

danno intendendosi oliveti ristretti, ancora quelli, li quali fossero<br />

con termini con 1 o più compossidenti, e non vi fosse nei termini, o<br />

confini, divisione di macerie, siepi, limiti o fossi, bastando che stiano<br />

ristretti nella circonferenza.<br />

5 – Parimenti si proibisca poter introdurre qualunque sorte dei<br />

29<br />

Cfr. BG, b. 447, foglio di correzioni: si aggiungerà “a tenore dell’enciclica<br />

della sua sacra memoria di Clemente XIV de …”. La correzione è<br />

riportata in Lo Statuto di Bauco, cit.<br />

30<br />

BG, b. 447, foglio di correzioni: dopo la parola “derubato” si aggiungerà<br />

“per ciascuna volta da dividersi come sopra”. La correzione è riportata in<br />

Lo Statuto di Bauco, cit.<br />

31<br />

BG, b. 447, foglio di correzioni: “Si levi la parola soltanto e, prima della<br />

parola sarà, si dica …”. Nell’ultimo testo preparatorio la correzione è stata<br />

mantenuta. Cfr. Camerale III, b. 349. La correzione è riportata in Lo Statuto<br />

di Bauco, cit.<br />

32<br />

Cfr. BG, b. 447, foglio di correzioni: dopo la parola “sottopena” si aggiungerà<br />

“da incorrersi in ciascuna volta e a dividersi come sopra”. La<br />

correzione è riportata in Lo Statuto di Bauco, cit.


Boville Ernica: un lacerto dello statuto<br />

65<br />

bestiami nelle piantagioni di olive per anni 10, che si son fatti e si<br />

faranno, sebbene non siano ristretti come sopra, altrimenti si incorra 33<br />

nella pena contenuta nel capitolo 2, da ripartirsi come sopra con la<br />

rifazione anche del danno, dovendosi questi riguardare come ristretti<br />

per dar tempo alle piante che crescano 34 .<br />

6 – Negli oliveti non ristretti di macerie, siepi fossi o limiti si<br />

possa introdurre qualunque sorte di animali, con che però trovandosi<br />

danno nei germogli, o piantoni dei detti oliveti, siano li dannificanti<br />

tenuti alla rifazione dei danni 35 .<br />

7 – Che si intenda in detti oliveti, o ristretti o non ristretti in tempo<br />

del frutto pendente proibita l’introduzione di tutte le su dette sorti<br />

dei bestiami dal 1 di novembre fino a tutto febbraio 36 , in caso di<br />

contravvenzione sia i delinquenti soggetti 37 alle pene espresse nel<br />

capitolo 4; qualora poi i frutti pendenti cominciassero a cadere<br />

per infezione, o intemperie d’aria, allora si intenda la proibizione<br />

anticipata al 15 di ottobre, previa la notificazione da pubblicarsi dal<br />

governatore locale, e le dette pene da dividersi come sopra con la<br />

rifazione dei danni 38 .<br />

8 – Riguardo ai gallinacci come pregiudiziale ai frutti, non<br />

solo pendenti, ma anche decaduti dalle piante, si intenda proibita<br />

33<br />

Cfr. BG, b. 447, foglio di correzioni: dopo la parola “si incorra” si aggiungerà<br />

“ciascuna volta”. La correzione è riportata in Lo Statuto di Bauco,<br />

cit.<br />

34<br />

Cfr. Camerale III, b. 349. La frase “dovendosi questi riguardare come<br />

ristretti per dar tempo alle piante che crescano” sarà depennata nei fascicoli<br />

preparatori.<br />

35<br />

Alla fine dell’articolo nello Statuto è stato aggiunto: “ed all’incorso nelle<br />

pene come nel Capitolo V”, cfr. Lo Statuto di Bauco, cit.<br />

36<br />

Cfr. Camerale III, b. 249. Nei fascicoli preparatori il mese indicato è<br />

quello di “gennaio” ma nella stesura definitiva dello Statuto si riporta “febbraio”,<br />

cfr. Lo Statuto di Bauco, cit.<br />

37<br />

Cfr. BG, b. 447, foglio di correzioni: dopo la parola “soggetto” si aggiungerà<br />

“ciascuna volta”; correzione mantenuta anche nella redazione definitiva,<br />

cfr. Lo Statuto di Bauco, cit.<br />

38<br />

Cfr. Camerale III, b. 349. Nei fascicoli preparatori la frase “e le dette<br />

pene da dividersi come sopra con la rifazione dei danni” non è riportata.


66<br />

Rossana Fiorini<br />

l’introduzione in qualsivoglia sorte dal 1 di settembre sino alla totale<br />

raccolta sotto la pena 39 di baiocchi 5 per capo, rifazione del danno e<br />

la pena su detta da dividersi come sopra.<br />

9 – E siccome si sono troppe inoltrate le maligne industrie dei<br />

ladri da pochi anni a questa parte, li quali sotto specie di spigolare 40<br />

vanno di giorno e notte a man salva derubando olive con notabili<br />

danno anche delle piante stesse col romper rami; quindi è che per<br />

ovviare ad un danno cotanto notabile si proibisca a chiunque di<br />

spigolar olivi in qualsivoglia oliveto se prima il padrone dello stesso<br />

non avrà terminata interamente la raccolta delle olive sotto la pena 41<br />

di scudi 4, ed altre afflittive da arbitrarsi da su detto governatore<br />

locale secondo la qualità dei casi e persone 42 .<br />

10 – Ed acciò che la povera gente possa aver comodo di raccoglier<br />

la spiga negli oliveti si proibisca perciò esser pressamente ad ogni<br />

padrone di qualsivoglia sorte di bestiame, ed anche ai padroni degli<br />

oliveti medesimi di introdurre bestiame di qualsivoglia specie a<br />

pascolarlo negli oliveti, già colto il frutto se non scorsi giorni 8 dalla<br />

39<br />

Cfr. BG, b. 447, foglio di correzioni: dopo le parole “sotto la pena” si aggiungerà<br />

“per ciascuna volta”; correzione mantenuta anche nella redazione<br />

definitiva, cfr. in Lo Statuto di Bauco, cit.<br />

40<br />

Cfr. BG, b. 447, foglio di correzioni: dopo la parola “spigolatura” si<br />

aggiungerà “e di profittare della olive abbandonate dal Padrone o suoi Uomini<br />

nell’atto della raccolta” (correzione mantenuta anche nella redazione<br />

definitiva, cfr Lo Statuto di Bauco, cit.). Nei fogli del Camerale si legge:<br />

“[…] li quali col pretesto di spicolare vanno di giorno […]”. Cfr. Camerale<br />

III b. 349.<br />

41<br />

Cfr. BG, b. 447, foglio di correzioni: dopo la parola “pena” si aggiungerà<br />

“per ciascuna volta”; correzione mantenuta anche nella redazione definitiva,<br />

cfr. Lo Statuto di Bauco, cit.<br />

42<br />

Cfr. BG, b. 447. Il foglio di correzioni indica di apporre alla fine della<br />

frase le parole “a tenore di detta enciclica”; correzione mantenuta anche<br />

nella redazione definitiva (cfr. Lo Statuto di Bauco, cit.), che terminerà<br />

con le medesime parole succitate. Il fascicolo preparatorio del Camerale<br />

riportava dopo la medesima sanzione dei quattro scudi “per ogni volta da<br />

distribuirsi al Padrone, e di altre anche corporali secondo la circostanza de<br />

casi”. Cfr. Camerale III, b. 349.


Boville Ernica: un lacerto dello statuto<br />

67<br />

detta general raccolta sotto la pena a trasgressori di scudi 3 per qual<br />

si voglia volta da ripartirsi tra il giudice, comunità ed accusatore ed<br />

anche per inquisitionem 43 .<br />

11 – Chiunque devasterà macerie, siepi e fossi che formano<br />

ristretti gli oliveti, incorrerà nella pena di scudi 1 da dividersi tra il<br />

giudice ed accusatore 44 oltre la rifazione della stessa materia e siepi<br />

e olive e fossi.<br />

12 45 – Se poi si trovassero persone le quali di proposito, sia di<br />

notte che di giorno, andassero a man salva derubando, incorrono<br />

nella pena del furto, come anche afflittiva secondo l’enciclica della<br />

S. M. di Clemente XIV, oltre la rifazione di danni.<br />

13 46 – Che volendosi dai padroni degli oliveti, compratori,<br />

raccoglitori di olivi, volgarmente detti spigolatori ed affittuari,<br />

macinar i loro olivi nei mulini forestieri di Bauco, sia loro permesso<br />

di farlo, con che però debbano dare la preventiva assegna al segretario<br />

locale della quantità che per il fine su detto verranno estratte sotto la<br />

pena della perdita dei detti olivi, o olio, che cadranno in commissum<br />

ed altre pene afflittive secondo la già riferita enciclica della S. M. di<br />

43<br />

Ibidem. Nella fascicolazione di preparazione la “spiga negli oliveti” è<br />

individuata con le parole “olivi derelitti”; non devono passare 8 giorni ma<br />

15; la pena non è di scudi 3 ma di 10; non è indicato il giudice ma il governatore.<br />

Il testo definitivo dello Statuto è identico a quello riportato nel<br />

testo, cfr. Lo Statuto di Bauco, cit.<br />

44<br />

Cfr. Camerale III, b. 349: nella stesura preparatoria non sono indicati il<br />

giudice e l’accusatore ma si legge “da dividersi come sopra”. Al testo definitivo<br />

viene aggiunta “la Comunità”, cfr. Lo Statuto di Bauco, cit.<br />

45<br />

Cfr. Camerale III, b. 349. Nella redazione preparatoria contenuta nel<br />

fascicolo dello Statuto il capitolo 12 è del tutto depennato, e così di seguito<br />

la numerazione scala di un’unità, ma l’articolo sarà invece riportato in Lo<br />

Statuto di Bauco, cit.<br />

46<br />

Cfr. Camerale III, b. 349. Ci sono delle differenze fra le diverse redazioni:<br />

oltre ad incorrere nella sanzione della perdita degli olivi o dell’olio,<br />

vi era anche un’ammenda di 10 scudi da pagare. Nella parte finale non si<br />

fa riferimento all’Enciclica ma si scrive “secondo la circostanza de casi e<br />

delle persone”. L’articolo non è riportato nel testo definitivo dello Statuto,<br />

cfr. Lo Statuto di Bauco, cit.


68<br />

Rossana Fiorini<br />

Clemente XIV.<br />

14 – Che ogni padrone dei molini da olio sia tenuto nel fine<br />

d’ogni settimana, da che comincerà la macina, sino al fine, dare<br />

nota giurata per mano di pubblico segretario, che dovrà far gratis 47 ,<br />

di tutti quelli, che realmente ed effettivamente avranno macinato e<br />

della quantità all’olivi, ed olio ritratte da qualunque persona sotto<br />

pena in caso di contravvenzione, a chi la darà detta nota di scudi<br />

due, a chi la darà simulata, sotto pena di scudi sei per ogni volta ad<br />

ambedue le suddette mancanze da ripartirsi tra il giudice, comunità<br />

ed accusatore 48 . E tutto ciò affine di venire in cognizione non solo<br />

de veri padroni macinati, ma anche per aver la notizia certa di tutta<br />

la quantità dell’olio, che si ritraerà in tutto il territorio, per darne le<br />

consuete assegne all’Annona Olearia di Roma, incombensandosi il<br />

medesimo segretario passar copia dell’esegre ricevute in mano dal<br />

giudice locale settimana per settimana, acciò possa inquirere contro<br />

i trasgressori.<br />

15 – Essendosi da molti anni incominciata l’industria della seta<br />

in questa nostra patria e per tal effetto fatte delle molte piantaggioni<br />

de mori celsi da cittadini, che però scorgendosi continui derubamenti<br />

nella foglia medesima con grave loro danno e pregiudizio e nell’arbori<br />

stessi col romper rami; perciò si è stabilita, oltre l’emenda del danno<br />

al padrone dannificato, la pena di scudi cinque contro chiunque<br />

ruberà la foglia suddetta, o pregiudicherà agl’arbori, da ripartirsi tra<br />

il giudice, comunità ed accusatore 49 , e non essendo il dannificante<br />

idoneo al pagamento si debba procedere alla pena afflittiva a tenore<br />

della suddetta Enciclica.<br />

47<br />

Cfr. BG, b. 447, foglio di correzioni: “Invece di far gratis dire mercede<br />

gratis”; lo stesso testo è anche nella preparazione; cfr. Camerale III, b. 349.<br />

L’articolo non è riportato nel testo definitivo in Lo Statuto di Bauco, cit.<br />

48<br />

Cfr. Camerale III, b. 349. Nella redazione preparatoria non sono indicati<br />

giudice, comunità ed accusatore ma si usano solo le parole “come sopra”.<br />

Inoltre tutta la frase finale non è stata riportata affatto.<br />

49<br />

Cfr. Camerale III, b. 349. Nel testo preparatorio invece di “tra il giudice,<br />

comunità ed accusatore” si legge “come sopra”. Il testo definitivo dello<br />

Statuto è identico a quello riportato nel testo (art. 13), cfr. Lo Statuto di<br />

Bauco, cit.


Boville Ernica: un lacerto dello statuto<br />

69<br />

16 50 – Contro poi tutti quelli, li quali studiosamente danneggiaranno<br />

le piante di qualunque specie sia nascenti che crescenti, s’intenda<br />

comminata, ed imposta la pena di scudi quattro da ripartirsi come<br />

sopra, ed anche afflittiva secondo la suddetta Enciclica; ma se il<br />

danno non sarà studioso, allora s’intendono soggetti gli dannificanti,<br />

oltre l’emenda del danno alla pena di baiocchi 30.<br />

17 51 – Come ancora incorrono nella medesima pena ed anche<br />

afflittiva e all’emenda del danno fatto quelli che a bello studio<br />

danneggiaranno i seminati d’ogni specie con i loro bestiami, o<br />

faranno pascer l’erba ne terreni, sia ristretti che non ristretti, ed<br />

anche prativi.<br />

18 – Alla medesima pena di scudi 4, oltre l’afflittiva, ed all’emenda<br />

del danno si intendano incorsi tutti quelli che anderanno derubando<br />

o se sapesse avere in qualunque medesimo derubato tanto ne campi,<br />

quanto nell’are, grano, formentone detto granturco, orzo, legumi,<br />

ed altre strade volendo, che per reprimere maggiormente la licenza<br />

di tutti ladri, persone danneggianti abbiamo ad incorrere tanto alla<br />

Benedettina Bolla de danno dato, quanto all’Enciclica suddetta della<br />

S. M. di Clemente XIV in quelli casi e circostanze che non sono stati<br />

50<br />

Cfr. Camerale III, b. 349. Il capitolo risulta discostarsi in parte da quello<br />

qui della copia del Camerale: “Contro poi tutti quelli, che studiosamente<br />

danneggieranno le piante sia nascenti, che crescenti, s’intenda, che siano<br />

incorsi, oltre all’emenda di paoli tre da ripartirsi come sopra, ed anche<br />

afflittiva secondo la detta Enciclica”. La parte finale del testo non è invece<br />

stata trascritta. Il testo definitivo dello Statuto è identico a quello riportato<br />

nel testo, ma si precisa la pena di scudi quattro “per ciascuna volta” (art.<br />

14); cfr. Lo Statuto di Bauco, cit..<br />

51<br />

Cfr. Camerale III, b. 349. Anche qui ci sono delle differenze ragguardevoli<br />

fra le diverse redazioni: «E finalmente chiunque farà danno nelli orti<br />

seminati, vigne, arboreti, erbe, e tutt’altro non compreso nella presente<br />

ordinazione dovrà rimaner soggetto alle pene prescritte o dallo Statuto, o<br />

dalla consuetudine, che si osserva nella Città di Veroli da ripartirsi come<br />

sopra, ed oltre all’emenda del danno a favore del dannificato». Il testo definitivo<br />

dello Statuto è identico a quello riportato nel testo ma non si registrano<br />

precisazioni intorno al danno studioso (art. 15), cfr. Lo Statuto di<br />

Bauco, cit.


70<br />

Rossana Fiorini<br />

nel precedente statuto, né previsti né considerati 52 .<br />

In seguito di simil ubidienza si propongono alle medesime<br />

EE.VV., acciò li esaminino ed in conformità di essi diranno il loro<br />

rispettivo parere» 53 .<br />

Nel fascicolo preparatorio vi sono delle carte molto interessanti<br />

in cui si spiega perché alcuni articoli vengano rigettati e quindi<br />

non approvati da parte del Luogotenente. Le ragioni, tutte trascritte<br />

dallo stesso, sono diversificate: egli spesso consiglia di “resecare”<br />

52<br />

L’articolo riportato è l’ultimo dello Statuto, non presenta differenze (art.<br />

16). Nell’analisi presentata all’interno del presente studio la numerazione<br />

degli articoli farà riferimento a quella del testo sopra riportato e non a quella<br />

degli Statuti conservati nella Biblioteca dell’Archivio di Stato di Roma.<br />

53<br />

BG, b. 445. Si riporta di seguito il frammento conclusivo del documento.<br />

«L’Ill.mo Sig. Tito Marziale uno del numero de’ Sig.ri Sindaci arringando<br />

dice, che essendo pur troppo giusti a ragione volergli proposti capitoli concernenti<br />

il modo d’evitar i danni che si fanno tanto dagli uomini, quanto<br />

da bestiami, e come più diffusamente dal tenore di essi capitoli, e questi,<br />

sia cosa molto vantaggiosa, anzi necessaria ad accettarsi ed abbracciarsi in<br />

tutte le sue parti a riserba soltanto però di restringere nel capitolo decimo<br />

il termine di giorni quindici a giorno otto, per la introduzione di bestiami<br />

nell’oliveti già ricolti, e rispetto al capitolo undecimo che si comprenda<br />

colla devastazione di macerie e siepi, anche quella de’ fossi, qualora questi<br />

servano di ristretto agl’oliveti, ed il tutto a seconda delle supreme determinazioni,<br />

che si degnerà in ciò prender la santità di Nostro Sig.re, quante<br />

volte voglia compiacersi ammetter tali riflessioni, con determinare anche<br />

il giudice, che dovrà procedere nell’esecuzione delle pene in detti capitoli<br />

stabilite contro trasgressori, coll’espressione della qualità delle pene corporali,<br />

giusta le circostanza de delitti e de casi; per il che è di parere, che<br />

di bel nuovo si reiterino alla ... le preci da questo nostro magistrato per la<br />

grazia già richiesta della spedizione del divisato Breve. Proclamato per<br />

medesimo. Chi intende aderire a tal arringo, e di approvare detti capitoli<br />

da me proclamati, e come sopra dichiarati darà il voto bianco, e chi no, lo<br />

darà nero».<br />

Il rinvenimento degli importanti documenti menzionati di sopra ci offre la<br />

possibilità di poter effettuare confronti fra le diverse stesure del testo che in<br />

questa sede ci limitiamo solo ad indicare sommariamente avendo ben presente<br />

la necessità di uno studio molto più esteso che richiede un’ulteriore<br />

indagine archivistica e soprattutto l’approfondimento tematico necessario.


Boville Ernica: un lacerto dello statuto<br />

71<br />

gli articoli per favorire le libertà dei possidenti oppure per non<br />

intralciare l’attività dei periti nelle eventuali perizie; inoltre scrive<br />

per salvaguardare i confini (spesso definiti grossolanamente), le<br />

liti sull’attività della spremitura d’olio e infine per tutelare il libero<br />

commercio 54 .<br />

Dalle lettura del testo, emerge come le disposizioni relative<br />

alla materia penale fossero fortemente caratterizzate da una<br />

connatura afflittività: con esse si perseguiva una spiccata funzione<br />

repressiva. I reati penali contemplati dalle carte statutarie in esame<br />

riguardano danni al patrimonio, ai terreni e alle proprietà. In special<br />

modo disciplinano i danni agli oliveti: viene infatti riportata una<br />

descrizione analitica dei danneggiamenti che si potevano arrecare<br />

a questo tipo di piantagione. Tale valutazione dipende naturalmente<br />

dal valore attribuito al frutto degli oliveti nell’economia locale 55 .<br />

Inoltre vengono distinti gli oliveti non ristretti da quelli ristretti,<br />

intendendosi con questi ultimi i terreni “con termini” 56 , ovvero delle<br />

colonnette monolitiche, cippi rozzamente scalpellati oppure pali,<br />

poste ai limiti dei campi per segnare il confine.<br />

In un unico contesto e con le opportune evidenziazioni, è<br />

interessante notare come le disposizioni legislative e regolamentari<br />

relative agli oliveti vengano importate per i casi generali, quindi<br />

applicate a tutti gli altri tipi di piantagioni – pubblicate negli<br />

articoli finali dello statuto e per le quali infatti si richiamano le<br />

pene e le punizioni espresse precedentemente. Sono soltanto tre<br />

infatti gli articoli che citano tutti i tipi di piantagione, sottolineando<br />

così la grande importanza che le olive dovevano rappresentare<br />

nell’economia rurale del paese. Si potrebbe quasi dire che le norme<br />

54<br />

Cfr. Camerale III, b. 349.<br />

55<br />

G. Giammaria, Il ‘danno dato’ negli statuti di Campagna, cit., p. 134.<br />

56<br />

Accorgimento molto importante soprattutto se si trattava del confine con<br />

altri Comuni limitrofi. Nel nostro caso, ad esempio, all’art. 4 si precisa<br />

bene che poteva trattarsi di “termini con uno o più compossidenti”. Tale<br />

documentazione risulta estremamente interessante e ritengo che debba essere<br />

oggetto di uno studio apposito, approfondito sia sul piano giuridico<br />

che economico ed anche per i risvolti sociali che emergono.


72<br />

Rossana Fiorini<br />

sugli oliveti avevano portata generale, e non rappresentavano invece<br />

il caso specifico.<br />

Preliminarmente possiamo affermare che la fonte statutaria<br />

prevede, in linea di principio, che chi ha causato un danno sia<br />

soggetto ad una pena ed anche al risarcimento, da corrispondere<br />

in ogni circostanza 57 . Ovviamente ricorrono classificazioni che<br />

caratterizzano anche il corpo di altre leggi statutarie, prima fra tutte<br />

la diversificazione fra le bestie 58 . Le pene sono sempre commisurate<br />

alla gravità del reato commesso e sono subordinate alla volontà<br />

colposa o dolosa di commettere il reato 59 . Una discriminazione è<br />

57<br />

Nei diciotto articoli la penalità che ricorre maggiormente è la “rifazione<br />

del danno”, seguita poi dalla tipologia della contravvenzione; all’art. 13 la<br />

pena è la perdita degli ulivi o dell’olio macinato. Sono menzionate pene<br />

afflittive riferite nell’Enciclica di Papa Clemente XIV (artt. 12-13; 15-16;<br />

18). Si nomina anche la “Benedettina Bolla de danno dato” (art. 18). Eccezionalmente<br />

ricorrono pene corporali (artt. 1-2) e questo appare particolarmente<br />

insolito se si confrontano altri statuti come quello di Pontecorvo o<br />

quello di Castro dei Volsci (cfr. G. Giammaria, Il ‘danno dato’ negli statuti<br />

di Campagna, cit., p. 134-135).<br />

58<br />

A titolo puramente esemplificativo, una bestia minuta che compie un<br />

danno comporta una pena inferiore rispetto ad una bestia di notevoli dimensioni.<br />

Sulla base della lettura dello statuto si differenziano bestie quali<br />

“pecore”, “somari”, “muli”, “bovi”, “gallinacci” e “capre”, quest’ultime in<br />

particolare additate per il maggior danno atteso a causa del “loro morso”.<br />

Non si fa però nessun riferimento al branco.<br />

59<br />

Possono essere menzionate alcune disposizioni significative: “Se poi si<br />

trovassero persone le quali di proposito […]” per quanto riguarda i furti<br />

in generale (art. 14); “Contro poi tutti quelli, li quali studiosamente danneggiaranno<br />

[…]” in relazione a tutte le specie di piante (art. 16); “Come<br />

ancora incorrono nella medesima pena ed anche afflittiva e all’emenda del<br />

danno fatto quelli che a bello studio dannaggiaranno i seminati d’ogni specie”<br />

(art. 17). Dunque è considerata un’aggravante la “volontaria decisione<br />

di produrre un vulnus al proprietario”. Cfr. G. Giammaria, Il ‘danno dato’<br />

negli statuti di Campagna, cit., p. 128. La Bolla Benedettina prima e l’Enciclica<br />

Clementina dopo, disciplinavano le pene per il danno dato nelle<br />

campagne. Ad esempio, a norma della Bolla non con una pena corporale,<br />

ma soltanto con la pena pecuniaria era punibile l’autore di un danno dato


Boville Ernica: un lacerto dello statuto<br />

73<br />

attuata poi in riferimento al periodo dell’anno in cui è commesso<br />

il danno 60 , non comparendo però, come circostanza aggravante,<br />

l’esercizio notturno dell’attività 61 .<br />

La pena poi si diversifica anche a seconda che si tratti di portar<br />

via rami, legna, radici ed alberi dagli oliveti o si tratti ad esempio di<br />

rubare «i piantoni di olivo».<br />

Un’altra attività importante nell’agricoltura e che con i nuovi<br />

statuti si va a disciplinare è la cosiddetta “spigolatura”: consisteva<br />

nella raccolta delle spighe di grano in seguito alla mietitura, cadute<br />

nel campo e non raccolte dal mietitore. Era lecito, secondo la<br />

norma, poter spigolare soltanto quando il padrone del campo avesse<br />

terminato definitivamente la raccolta (nei documenti la spigolatura<br />

si riferisce anche alle olive); in più, per gli otto giorni seguenti, era<br />

negato l’ingresso nei campi alle bestie da pascolo.<br />

Anche la spremitura delle olive era regolata dagli statuti, infatti,<br />

gli artt. 13 e 14 stabiliscono con molta chiarezza norme in caso di<br />

esportazione delle olive i raccoglitori dovevano preventivamente<br />

studioso. Ma coloro i quali non avessero potuto soddisfare la pecuniaria,<br />

avrebbero dovuto subire quella corporale.<br />

60<br />

Sussiste una particolarità negli statuti baucani a tal proposito. Invero non<br />

è attuato un inasprimento della pena ma sono disposte delle proibizioni in<br />

determinati periodi dell’anno; esemplificando: “in tempo del frutto pendente”<br />

dal primo novembre fino a tutto febbraio o, con un’anticipazione,<br />

dal 15 ottobre si proibiva l’introduzione del bestiame negli oliveti (art. 7)<br />

e dal primo settembre fino alla totale raccolta dei frutti caduti si intendeva<br />

vietata l’introduzione di galli o galline (art. 8). Qui dunque sono stati<br />

prescritti i tempi calendariali ed in relazione ad essi si sono determinati i<br />

divieti e le penalità. Cfr. Ivi, p. 129.<br />

61<br />

La potestà statutaria delle Comunità rurali presenta generalmente delle<br />

casistiche specifiche in relazione al tempo del danno dato. Ciò solitamente<br />

comporta una penalità più grande se il danno è arrecato nottetempo. La<br />

disciplina statutaria di Bauco invece non diversifica in nessun articolo la<br />

doppia regolamentazione, anzi all’art. 1 la pena disposta è la medesima “in<br />

qualsivoglia tempo”, così come i divieti di “spigolare” all’art. 8 “vanno di<br />

giorno e di notte” e all’art. 12 la pena inflitta è fissata “sia di giorno che di<br />

notte”.


74<br />

Rossana Fiorini<br />

denunciare l’“assegna” della quantità da condurre fuori al segretario<br />

locale. Anche i proprietari dei frantoi dovevano dichiarare al<br />

segretario coloro che avevano macinato, la quantità delle olive<br />

lavorate e dell’olio ricavato. Il lavoro del segretario comunitativo<br />

durante questi procedimenti era molto oneroso e la sua figura appare<br />

centrale nella procedura di controllo della produzione. Il suo lavoro<br />

era sottoposto al giudice locale. Il segretario, con nota giurata, dava<br />

ogni settimana la quantità delle olive che erano state effettivamente<br />

macinate e dell’olio ritirato dalle famiglie; se ne dava infine notizia<br />

all’Annona Olearia.<br />

Una coltura particolarmente interessante, di cui si legge all’art.15,<br />

dalla Comunità è legata alle piantagioni dei gelsi, utili all’industria<br />

della seta attiva già da molto tempo rispetto all’anno degli statuti.<br />

L’articolo disciplinava le pene per i danni che si causavano in<br />

particolar modo alle foglie.<br />

La vigenza e la codificazione degli statuti è segnatamente legata<br />

all’organizzazione degli uffici e degli istituti del <strong>Comune</strong>. Dalla<br />

lettura delle carte emergono gli ufficiali maggiori dello stesso, fra i<br />

quali il sindaco 62 , i consiglieri, il camerlengo 63 , il podestà 64 , il giudice,<br />

l’accusatore. Queste ultime tre cariche sono quelle che la dottrina<br />

statutaria qui presentata nomina più spesso. In particolar modo in<br />

tema di disposizioni di organizzazione della pena a contravvenzione<br />

si prevedeva 65 la ripartizione della medesima fra la Comunità, il<br />

giudice locale e l’accusatore.<br />

Un simile testo – riveduto, esaminato ed in parte riformato, come<br />

dai documenti si legge – dopo la tanto agognata approvazione,<br />

62<br />

Figura che era a presidio del Pubblico Consiglio. Firmava e sottoscriveva<br />

i documenti, doveva quindi essere persona istruita, in grado di saper<br />

leggere e scrivere.<br />

63<br />

Custodiva ed amministrava il denaro e le entrate del <strong>Comune</strong>, tenendo<br />

presso i suoi uffici i sigilli da usarsi previa licenza del Pubblico Consiglio<br />

o del sindaco.<br />

64<br />

La più alta carica dell’ordinamento comunale, il più alto magistrato.<br />

65<br />

Si confrontino gli artt. 1, 10, 11, 14 e 15.


Boville Ernica: un lacerto dello statuto<br />

75<br />

sarebbe dovuto rimanere intatto per molto tempo. Nelle intenzioni<br />

del legislatore gli statuti avrebbero infatti dovuto rappresentare<br />

l’esito finale di una bilanciata ripartizione delle pene rispetto alla<br />

precedente normativa che, come abbiamo potuto appurare nelle<br />

pagine scorse, aveva suscitato non pochi disordini nella Comunità<br />

stessa. Se, tuttavia, l’obiettivo di una nuova stampa degli statuti era<br />

stato quello di soddisfare le pressanti richieste della Comunità e di<br />

limitare quindi i danni provocati nei terreni (soprattutto negli oliveti),<br />

la ripartizione delle pene non sembrò coerente, equa ed equilibrata.<br />

I casi previsti erano differenziati ma evidentemente approssimativi<br />

e quindi, contrariamente a quanto si sarebbe potuto supporre,<br />

la Comunità cercava un mutamento di prospettiva rispetto alla<br />

precedente disciplina, esortando nel 1794 66 ad una riformulazione<br />

di alcune delle voci elencate dagli statuti stessi. Sintomatica di tale<br />

approssimazione redazionale fu la richiesta di modificare alcuni<br />

capitoli statutari. A questo proposito è agevole osservare come la<br />

supplica, inviata al Buon Governo, venisse sottoscritta dai padroni<br />

delle bestie, gravati per le querele e le multe ricevute per i danni<br />

causati in campagna. La cifra sintetica di tale richiesta di moderazione<br />

era elaborata a ridosso del tipo di danno causato, che la norma né<br />

stabiliva né interpretava attingendo ad una nuova e maggiore equità<br />

e facendo leva sulla distinzione tra i danni di poco conto e quelli di<br />

più ampia entità. Ciò infatti sta a chiarire che per tutti i danni, anche<br />

quelli di piccola entità, si applicava e si ripeteva inesorabilmente<br />

la medesima rigorosa multa. A chiosa del documento peraltro si<br />

legge: «risiedendo i rispettivi contadini in campagna è caso quasi<br />

impossibile che qualche loro animale non abbia per sfuggita ad<br />

incorrere in modico danno, non sembrando perciò ragionevole, che<br />

debba il padrone esser multato a similitudine del danno grave» 67 .<br />

66<br />

BG, b. 449. Si tratta di un memoriale e due lettere indirizzate al Buon<br />

Governo. A redigere i documenti a nome della Comunità sono il sindaco<br />

Giovan Gualberto Beccarini e l’ufficiale Paolo Crescenzi. L’arco temporale<br />

delle suddette è compreso fra l’8 e il 26 febbraio 1794. La data apposta<br />

dal Buon Governo è del 15 marzo 1794.<br />

67<br />

Ibidem.


76<br />

Rossana Fiorini<br />

Si supplicava pertanto di poter stimare il danno con una maggiore<br />

accuratezza. È ipotizzabile che tali motivazioni siano state accolte<br />

nella Riforma di un capitolo dello Statuto, nel 1816, di cui è bene<br />

precisare che non si hanno altri dati limitatamente a questa ricerca.<br />

Le più recenti presenze dello Statuto nelle carte d’archivio si<br />

registrano ancora nel 1840, per un episodio di danno dato avvenuto<br />

nel 1838. L’avvenimento è relativo ad un ragazzo di Monte San<br />

Giovanni Campano che si era introdotto all’interno di un oliveto<br />

e, sorpreso, era stato accusato e multato della pena di diversi<br />

scudi. Invero, sarà poi il padre a comparire nelle carte, essendo il<br />

ragazzo ancora minorenne, figlio di famiglia. Le ultime evidenze<br />

documentarie provengono dall’Archivio di Stato di Frosinone,<br />

fondo della Delegazione Apostolica, in una testimonianza in cui il<br />

Priore di Bauco nel dato afferma che «in questa <strong>Comune</strong> vi esiste<br />

lo Statuto Locale per i danni dati nel di lui territorio cagionati, e<br />

fino al presente e in pieno vigore, specialmente per li danni fatti dal<br />

bestiame caprino, con quelle regole, e penali che nel Capitolo 4° di<br />

esso Statuto restano già emanati contro di queste, per cui per maggior<br />

dichiarazione, ho creduto rimetterne qui copia autenticata» 68 .<br />

Tale episodio porta quindi a concludere indiscutibilmente che<br />

ancora alla metà del XIX secolo lo Statuto di Bauco sopra li danni<br />

che si fanno nelli terreni è fonte normativa di riferimento in “pieno<br />

vigore” per tutta la Comunità.<br />

68<br />

Archivio di Stato di Frosinone, Fondo Delegazione Apostolica, Agricoltura,<br />

Titolo II, b. 324. Il priore Paolo Pinti alla Delegazione Apostolica; la<br />

data in calce è del 22 luglio 1841. Nella busta è stata rintracciata inoltre la<br />

copia autenticata menzionata dal Priore. Si è potuto appurare che il Capitolo<br />

4° combaciava ancora con quello che in questa sede si è presentato.


Rossana Fiorini<br />

Castro dei Volsci:<br />

lo Statuto Agrario del 1795.<br />

Testimonianze d’archivio.<br />

In merito alla ricerca storica locale relativa al progetto “<strong>Storia</strong><br />

comune”, sono stati visionati documenti che riguardano gli Statuti<br />

comunali medievali vigenti fino al 1816 nel <strong>Comune</strong> di Castro dei<br />

Volsci, anticamente chiamato Castro, un piccolo centro che viveva<br />

di agricoltura e allevamento.<br />

L’esperienza istituzionale di Castro era regolata dagli statuti<br />

denominati Statuta terrae Castri. La stesura del più antico testo<br />

normativo castrese attualmente posseduto, che discende da un atto<br />

di autonomia normativa dell’Universitas, va collocata tra il 1404 e il<br />

1510; lo statuto ebbe poi una trascrizione nel 1589.<br />

La fonte statutaria di Castro, analogamente a molte altre, non<br />

può definirsi immutabile, fissa e costante; essa è materia viva,<br />

suscettibile di modifiche o integrazioni, per regolare al meglio la<br />

vita della Comunità, ancorché sussistevano per la stessa degli ambiti<br />

di specifico e maggiore interesse come, per esempio, la tutela e la<br />

massima importanza che si attribuiva alle pratiche agricole e ai danni<br />

che si potevano arrecare a piantagioni o terreni. È vero infatti che<br />

dello statuto quattrocentesco, rimasero in vigore fino al XVIII secolo<br />

(quando con l’assoggettamento delle terre baronali alla legislazione<br />

statuale la sua normativa perse rapidamente valore), solamente<br />

le disposizioni sul danno dato; finché furono sostituite col nuovo<br />

Statuto agrario del 1795.<br />

Il nuovo codice si divideva in due parti: danni dati con bestie,<br />

danni manuali. Lo statuto agrario andava a sostituire le disposizioni<br />

del vecchio statuto che risalivano a diversi secoli prima e che quindi<br />

non potevano più considerarsi idonee a regolare giuridicamente le<br />

pratiche agricole, né tantomeno il danno dato.<br />

Così, come asserisce Paolo Scaccia Scarafoni, si possono<br />

facilmente comprendere quanto inadeguate dovessero essere quelle


78<br />

Rossana Fiorini<br />

disposizioni, che erano state elaborate in funzione di un sistema<br />

economico agricolo molto primitivo e per una comunità di poche<br />

centinaia di persone, che ora viceversa superava le 2100 unità.<br />

Inoltre, mentre l’inflazione monetaria aveva tolto efficacia alle<br />

sanzioni pecuniarie stabilite dall’antica regolamentazione, si doveva<br />

percepire l’esigenza «del coordinamento di questa con la ormai<br />

copiosa legislazione statuale in materia agricola» 1 . Tali motivazioni<br />

si possono scorgere dalla lettura delle carte d’archivio consultate<br />

presso l’Archivio Colonna della Biblioteca del Monumento<br />

Nazionale di Santa Scolastica di Subiaco e presso il fondo della Sacra<br />

Congregazione del Buon Governo dell’Archivio di Stato di Roma.<br />

La ricerca d’archivio ha infatti prodotto una serie di documenti che<br />

riguardano per larga parte il danno dato. Grandissima importanza<br />

ha tale informazione, perché ci fa capire in che modo lo studio sul<br />

danno dato – all’interno della più vasta disamina delle carte – possa<br />

riportare a noi uno spaccato dell’effettiva applicazione delle norme<br />

che derivavano dallo statuto. Il materiale visionato peraltro risale<br />

agli anni immediatamente precedenti la nuova redazione dello<br />

Statuto agrario del 1795. L’importanza della regolamentazione delle<br />

attività produttive rurali appare più fattiva e concreta nell’accurata e<br />

meticolosa distinzione dei damnorum datorum.<br />

Emerge chiaramente una estrema attenzione delle scritture<br />

normative per i danni arrecati da animali e uomini ai coltivi e in<br />

generale ai prodotti agricoli: una costante di lungo periodo che<br />

collega e accomuna le civitates rurali e le minori comunità. Si nota<br />

il bisogno collettivo di incrementare i terreni da destinare a coltivo,<br />

necessità avvertita anche dagli ecclesiastici e spesso osteggiata dai<br />

baroni, attirati dai minori costi del pascolo. L’inasprimento delle<br />

pene e la ricerca di una maggiore efficacia sanzionatoria in alcuni<br />

casi sembrerebbe conseguenza dell’introduzione di colture erbacee<br />

destinate al bestiame e alla correlata sottrazione di varie tipologie di<br />

1<br />

P. Scaccia Scarafoni, Gli Statuti di Castro (oggi dei Volsci), Anagni 1989<br />

(Biblioteca di Latium, 8) p. 31; Id, Gli Statuti di Castro di Campagna, in<br />

questo volume.


Castro dei Volsci: lo Statuto Agrario del 1795<br />

79<br />

fondi, banditi, anche solo in maniera temporanea, al pascolo 2 .<br />

Dai documenti risultano le suppliche di singoli cittadini, ad<br />

esempio per richiedere che si attuasse una giusta regolamentazione,<br />

in grado di accumunare tutti i luoghi e i paesi confinanti, in relazione<br />

ai dazi 3 da pagare per i terreni da pascolo e in riferimento alle multe<br />

da pagare legate al danno dato.<br />

Già a partire dal 1752 ritroviamo delle suppliche indirizzate al<br />

Buon Governo in cui è possibile discernere la volontà della Comunità<br />

di modificare le disposizioni relativamente alla giurisdizione sui<br />

danni provocati dai suini. Si richiedeva maggiore sorveglianza verso<br />

le stesse che rendevano l’aria e la terra “sporca”, a discapito della<br />

cura del corpo della persona e della sua buona salute. Inoltre veniva<br />

reiterata l’istanza sopra l’espulsione dei suini, già precedentemente<br />

comprovata fin dal 1708 da risoluzioni consiliari. Si inviavano<br />

al contempo: copia del bando elaborato nel 1708 a firma del<br />

Governatore 4 , copia della lettera della Sacra Congregazione, copia<br />

2<br />

Subiaco, Biblioteca del Monumento Nazionale di Santa Scolastica, Archivio<br />

Colonna (in seguito solo Colonna), Castro III A.D., Corrispondenza,<br />

1742-1775. Il luogotenente Domenico Antonio Galloni, con una<br />

missiva del 12 settembre 1772 indirizzata al Governatore, ribadisce che<br />

la consuetudine di Castro, relativa al pascolo, prevede che le pene per il pascolo<br />

abusivo nella selva terminano il giorno dopo di S. Andrea Apostolo,<br />

esclusa le Selva della Monticella. Però i fratelli Lauretti di Vallecorsa vogliono<br />

togliere il libero pascolo ai castresi e per questo vanno raccogliendo<br />

testimonianza contrarie a tale consuetudine. Tutto ciò è pregiudizievole<br />

agli interessi di casa Colonna poiché si inibisce il transito al libero pascolo<br />

creando ostacolo anche alla fida.<br />

3<br />

Ivi.<br />

4<br />

Ivi. Il testo del bando recitava: «Ci ha la medesima Sacra Congregazione<br />

con ordine espresso a noi ordinato con ogni rigore estirpare tali animali<br />

da detta Terra, e Territorio sotto pene rigorosissime, riservando solo ad<br />

uso proprio dei cittadini chi vorrà allevarsene ritenere anche uno, o due,<br />

ristretti e che non vadino vagando per la terra ciò le sia lecito. Quindi<br />

per ubbidire, come è il nostro debito, con il precedente pubblico editto<br />

ordinario, ed espressamente comandiamo, che dopo la pubblicazione del<br />

presente non vi sia nessuna persona di qualsivoglia stato, grado, condizione,<br />

anche privilegiata, non ardischi, né presumi ritenere simili animali se


80<br />

Rossana Fiorini<br />

di alcune risoluzioni consiliari adottate per ovviare ai continui<br />

danneggiamenti che si commettevano 5 . Si spiegavano le motivazioni<br />

che avevano portato una insufficiente osservanza del suddetto bando<br />

a causa di “facinorosi” e “delinquenti” che non ne hanno fatto<br />

eseguire la sua piena attuazione 6 .<br />

In realtà, gran parte delle successive carte d’archivio sono<br />

connotate dai conflitti fra i cittadini per i diversi casi disciplinati dal<br />

codice del danno dato. Gli ambiti nei quali tali conflitti si rivelarono<br />

particolarmente aspri furono, oltre a quelli dei diritti sul pascolo e il<br />

potere di limitazione degli stessi, relativi all’inasprimento delle pene<br />

non con la conformità del presente editto sotto la pena della perdita degli<br />

animali e di scudi 25 per padrone, d’applicarsi la metà alla corte e l’altra<br />

metà disponeva in tal caso la detta Sacra Congregazione oltre la mercede,<br />

che destiniamo agli esecutori, che sarà di scudi 5 per massaria, e giulj per<br />

capo d’animale, dichiarando la massaria s’intenda passata il numero di 10;<br />

avverta ogni uno di ubbidire perché si procederà per via di inquisizione e<br />

si darà credito ad un testimone degno di fede; il presente editto pubblicato<br />

che sarà, e affisso la copia nel luogo solito di questa terra vogliamo, che<br />

abbia forza e rigore come fosse stato ad ognuno personalmente intimato,<br />

dato in Castro nella nostra residenza questo dì 6 ottobre 1708. Lelio Lunghi<br />

Governatore. Pompeo Mulinaro Cancelliere».<br />

5<br />

Ivi. Il governatore scrive al Principe Colonna in data 20 aprile 1752 «I<br />

pubblici rappresentanti per comprovare maggiormente le loro istanze […]<br />

hanno esibito un bando proibitivo di detti (animali) neri fatto fin dal 1708,<br />

dal Governatore di quel tempo per ordine della Sacra Congregazione […]<br />

come altresì alcune resoluzioni consiliari per la detta espulsione».<br />

6<br />

Ivi: «[…] mi è stato soggiunto avere avuta l’esecuzione per alcuni anni,<br />

e che l’avrebbe avuta fin al presente giorno, se in questa terra non fossero<br />

nate delle scissure, e disordini per causa di omicidij ed altri enormi delitti,<br />

per i quali contumaci e delinquenti si erano resi talmente audaci e facinorosi,<br />

che la Giustizia non poteva seguire il suo pieno corso e gli esecutori non<br />

potevano mai accostarvisi, e dal tempo delle predette scissure in qua perde<br />

la sua osservanza; laonde per le cose suddette prima di venire alla rinnovazione<br />

di detta proibizione di neri ho stimato mio preciso debito consultarne<br />

le sanissime determinazioni di Vostra Eccellenza, potendole accertare tanto<br />

per parte mia, che per parte dei renomati pubblici Rappresentanti esser<br />

gravi li danni che da detti animali si apportano […]».


Castro dei Volsci: lo Statuto Agrario del 1795<br />

81<br />

comminate per i danni delle bestie.<br />

La trattazione dell’argomento dal Pubblico Consiglio avvenne<br />

nel 1794, proprio un anno prima che si confermassero le nuove<br />

disposizioni. Vi fu, anzitutto, la segnalazione dei danni arrecati alle<br />

piantagioni di olive e si votò affinché si aumentassero le sanzioni,<br />

credendo questo l’unico rimedio per impedire il «frequente<br />

danneggio, e come l’unico mezzo per promuovere lo spirito di questa<br />

utile industria, tanto raccomandata» 7 dal Buon Governo «con editto<br />

7<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 918. Da una lettera del Luogotenente<br />

Giovan Battista De Giulj al Principe Colonna, in data 28 gennaio 1794:<br />

«Sul ricorso avanzato a nome Giuseppe Solli alla Santità di Nostro Signore<br />

per l’accrescimento delle pene per le bestie, che dannificano le piantagioni<br />

di olive, rimessomi da Vostra Eccellenza volersi i Pubblici Rappresentati<br />

sentire il Pubblico Consiglio, tenuto il 24 del corrente. Niuno dei consiglieri<br />

si oppose alla rappresentanza del Solli in quanto alla sussistenza dei<br />

su detti danni nelle dette piantagioni, massime novelle si questionò lungamente,<br />

se sì o no, dovessero crescere, le pene per rimediare a tali dannificazioni.<br />

I Deputati Ecclesiastici, se non dal numero maggiore, almeno dalla<br />

parte più sana de’ consiglieri diedero il loro ragionato voto consultivo, che<br />

si crescessero tali pene, come l’unica remora per impedire questo frequente<br />

danneggio, e come l’unico mezzo per promuovere lo spirito di questa utile<br />

industria, tanto raccomandata dalla Santità di Nostro Signore con editto<br />

emanato per organo di Monsignor Tesoriere de’ 21 aprile 1788. Al parere<br />

de’ Deputati Ecclesiastici, si oppose il Consigliere Marco Palombi, il<br />

quale senza confutare le ragioni addotte da essi deputati, arringando altro<br />

non poté dire, che si stia alle pene delle Liberanze, altre volte imposte. Il<br />

di lui arringo però, tutto che inconcludente, tirò a sé nella ballottazione il<br />

maggior numero De’ voti de’ Consiglieri, i quali avendo bestiame a proprio<br />

conto non sanno indursi all’accrescimento delle pene, che sarebbero contro<br />

loro stessi e perciò invece di seguire il parere de’ Deputati Ecclesiastici,<br />

la maggior parte de’ Consiglieri approvò l’arringa del consigliere Marco<br />

Palombi, la quale favorisce i Dannificanti; e toglie ogni speranza ai coltivatori<br />

degli Olivi di vedere un giorno il frutto de’ lori sudori e impedisce l’accrescimento<br />

di questa vantaggiosa industria. Che però costando dall’esperienza,<br />

che le pene imposte in addietro per impedire le dannificazioni a tali<br />

piantagioni, non sono state finora bastanti ad ottenere il fine della legge;<br />

sembra troppo necessario, che si venga ad espediente più efficace, quale


82<br />

Rossana Fiorini<br />

emanato nel 1788». Posizione differente fu assunta dal consigliere<br />

Marco Palombi il quale, senza confutare le sanzioni, con un’arringa<br />

portò al successo la sua tesi poiché: «Il di lui arringo, tutto che<br />

inconcludente però, tirò a sé nella ballottazione il maggior numero<br />

di voti dei consiglieri, i quali avendo bestiame a proprio conto non<br />

sanno indurgli all’accrescimento delle pene, che farebbero contro<br />

loro stessi» 8 . Pertanto la maggior parte dei consiglieri non prese<br />

in considerazione il parere dei “deputati ecclesiastici”, ma preferì<br />

approvare l’arringa 9 del consigliere Palombi.<br />

Giuseppe Solli, in una supplica al Papa contro i pastori, ribadì<br />

che continuavano ad essere eccessivi i danni provocati dal bestiame<br />

alle piantagioni delle olive 10 e chiese dunque di imporre una pena<br />

per impedire «i danneggiamenti». L’Uditore di Ceccano, diretto al<br />

è appunto l’accrescimento di dette pene, a norma del parere de’ Deputati<br />

Ecclesiastici, ben informati della vastità del territorio sufficientissimo per<br />

il pascolo del bestiame, senza che questi scorrano per il corpo degli uliveti:<br />

che in contrario ne dicano i Pubblici Rappresentanti a piè del foglio della<br />

risoluzione consiliare, che col ritorno del ricorso umilio all’Eccellenza Vostra<br />

a cui profondamente mi inchino. Di Vostra Eccellenza Padrone. Castro<br />

28 Gennaio 1794. Giovan Battista de Giulij Luogotenente»<br />

8<br />

Ivi.<br />

9<br />

Ivi. Tale arringa «toglie ogni spesa a coltivatori di olive, di vedere un<br />

giorno il frutto di loro sudore; e impedisce all’accrescimento di questa vantaggiosa<br />

industria».<br />

10<br />

Ivi. Giuseppe Solli invia una supplica al Papa. Il documento è datato 11<br />

gennaio 1794. «Giuseppe Solli al Beatissimo Padre. Giuseppe Solli del<br />

Luogo di Castro Feudo del Gran Contestabile Colonna prostrato ai piedi<br />

della Vostra Beatitudine umilmente espone, che li Pastori di detta Terra di<br />

giorno in giorno danneggiano con il Bestiame le piantagioni d’olive. Per la<br />

tenuità di pena imposta contro tali Danneggianti nella Legge Municipale<br />

fatta da Persone che ritengano Bestiami in guisa, che per mero caso in una<br />

piantagione vi resta qualche piantone, che non sia dalli Bestiami; già la<br />

Vostra Beatitudine animò lo Stato a far tali piantagioni con dar il premio<br />

per esser tal piantagione riconosciuta troppo vantaggiosa; ora affinché tal<br />

piantagione possa dare, e rendere l’utile riconosciuto, l’Oratore supplica la<br />

Vostra Beatitudine ad imporre una pena, mediante la quale si astenghi di<br />

danneggiare simili piantagioni. Castro, 11 Gennaio 1794».


Castro dei Volsci: lo Statuto Agrario del 1795<br />

83<br />

Buon Governo, fece notare che la proposta del Solli non era bene<br />

accetta da tutti e che la situazione risultava essere più complicata<br />

di quanto si credesse, in quanto certamente l’aumento delle pene<br />

avrebbe scoraggiato l’attività della pastorizia; per cui sarebbe bastato<br />

applicare le norme dello Statuto esistente. Inoltre l’Uditore sottolineò<br />

che la pastorizia era un’attività rilevante e che per converso gli stessi<br />

proprietari degli oliveti non intendevano investire alcuna somma<br />

di denaro per realizzare una recinzione con “macerie” e siepi 11 che<br />

fosse veramente efficace.<br />

La Comunità di Castro dunque propose 12 di aumentare la somma<br />

11<br />

Ivi: «Il memoriale presentato al Santo Padre da Giuseppe Solli di Castro<br />

e rimesso alla Sacra Congregazione in cui proponeva l’aumento delle pene<br />

statutarie per il danno dato negli Uliveti e di quel Territorio, si manda da<br />

quel Luogotenente la informazione. Il Consiglio di quella Comunità e li<br />

Pubblici Rappresentanti di quel Pubblico sono contrari al detto proposto<br />

aumento delle pene, come dalla carta ossia foglio, che umilio a Vostra Signoria<br />

Illustrissima e Revendissima. Aggiungo, che se le pene si esiggessero<br />

come si trovano stabilite, potrebbe ciò bastare alla salvezza degli oliveti.<br />

Pare probabile, come avvertono li Pubblici Rappresentanti , che l’aumento<br />

si proponga per iscoragiare la pastorizia con la industria della quale si mantengono<br />

moltissimi in quella Terra. Gli Zelanti poi dell’aumento pare, che<br />

intendino di non volere spender per le fratte e per le macerie con le quali<br />

ristringere i loro oliveti, e avere per lo scoraggimento de’ pastori indirettamente<br />

il loro intento […]». Lettera dell’Uditore di Ceccano Giacomo A.<br />

Rizzardi al Buon Governo in data 4 febbraio 1794.<br />

12<br />

Ivi. Copia del verbale del Pubblico Consiglio della Comunità di Castro<br />

firmato dal Segretario Domenico Antonio Galloni e dal Luogotenente<br />

Giovan Battista de Giulij in data 25 gennaio 1794. «Foglio di risposta che<br />

fanno li Signori Pubblici Rappresentanti di Castro alla supplica fatta dal<br />

Sig. Giuseppe Solli a Nostro Signore per la pena rigorosa ai Bestiami nelle<br />

piantagioni delle Olive, qual supplica è stata fatta manifestata alla Sacra<br />

Congregazione del Buon Governo, che ha riscritto informazione, etc. Sentiti<br />

gli Pubblici Rappresentanti, i quali per una cosa più giusta hanno voluto<br />

sentirne il Pubblico Consiglio tenuto coll’intervento de signori Deputati<br />

Ecclesiastici, fatto ieri 24 gennaio 1794 del seguente tenore, cioè: Proposta:<br />

il sig. Giuseppe Solli ha ricorso ha Nostro Singore colla supplica che<br />

ponga la pena contro a chi danneggia li Oliveti più di quello, che è nella


84<br />

Rossana Fiorini<br />

delle contravvenzioni relative ai danni provocati dalle bestie,<br />

andando a disciplinare una diversificazione degli stessi: se compiuti<br />

da animali “grossi” oppure “minuti”, se “studiosi” o “notturni”<br />

(quindi intenzionali).<br />

È interessante notare che la disposizione proposta durante il<br />

Pubblico Consiglio fu in seguito accolta nel testo definitivo dello<br />

Statuto Agrario di Castro dei Volsci dell’anno 1795:<br />

«Le pene che si saranno imposte anche liberazione fatta<br />

deliberanza per causa, che quella vi è troppo tenue, motivo per cui vengono<br />

danneggiati detti oliveti come meglio dalla supplica ora letta, la quale dalla<br />

Sacra Congregazione del Buon Governo è stata rimessa per sollecita informazione<br />

sentiti in scritto i Pubblici Rappresentanti, i quali vonno sentire il<br />

presente Pubblico Consiglio, onde li sopradetti sig. Deputati ecclesiastici<br />

Abate don Domenico Antonio Tafani, e don Giuseppe Lombardi per il loro<br />

voto consultivo, per dar remora a questi danni frequenti per dare al Paese<br />

una risorsa, forse l’unica, che si puole sperare con l’industria dell’oliva,<br />

sono di sentimento, che si crescano le pene, cioè riguardo alle bestie grosse,<br />

cioè vaccine, anche Bovi, muline, o Somarine vi si imponga la pena<br />

danneggiando gli oliveti ristretti in ogni tempo scudi due a capo, e che di<br />

notte il doppio, ed che studioso il doppio della notte, e riguardo alle Bestie<br />

minute caprine, pecorine, e porcine trovate a danneggiar in detti oliveti<br />

ristretti vi si imponga la pena di baiocchi settancinque a capo, e di notte il<br />

doppio, ed essendo danno studioso il doppio della pena della notte; a queste<br />

stesse pene si estendano anche le stesse anche se ristretto all’oliveti non<br />

ristretti in tempo che vi sono li frutti. E tali pene da ripartirsi per la metà al<br />

danneggiato oltre il danno, e per l’altra metà alla corte o balio.<br />

Marco Palombi consigliere arringando dice che li pare ben giusto di stare<br />

alle pene già imposte nello statuto ossia nelle deliberanze e perciò che si<br />

debba fare a dette pene.<br />

Stante tale disparere, si voterà due volte con dichiarazione che si intenda<br />

accettato o sia approvato il parere, o arringo, che avrà più voti bianchi, e<br />

chi no non approvato.<br />

Corso il Bussolo per il parere dei Signori Deputati Ecclesiastici si sono<br />

trovati voti bianchi numero nove e neri numero dieci sette.<br />

Corso il Bussolo per l’arringo del Consigliere Palombi si contavano voti<br />

bianchi sedici e neri numero dieci.<br />

Sicché è stato approvato l’arringo di Marco Palombi. G.B. de’Giulj Luogotenente.<br />

Di A. Galloni segretario»


Castro dei Volsci: lo Statuto Agrario del 1795<br />

85<br />

dalli deputati del Pubblico Consiglio tenuto coll’intervento<br />

dei deputati ecclesiastici, e già approvata dal barone sono<br />

le seguenti: bestie grosse a spromuccare, o altro danno agli<br />

oliveti ristretti recipienti giulii 10.<br />

Bestie minute, anche porcine, a detti oliveti giulj 15.<br />

E dette pene agli oliveti ristretti vi siano di tutto tempo. Agli<br />

oliveti non ristretti sì padronali che communitativi nihil.<br />

Bestie grosse a dar danno agli oliveti non ristretti, in tempo<br />

vi sono le olive, o in terra o nei piedi baiocchi 15.<br />

Bestie minute, anche porcine, a dar danno come sopra scudi<br />

50, alli porci mannarini scudi 5» 13 .<br />

Ciò conferma linearità e continuità in merito alla disciplina del<br />

danno dato 14 .<br />

13<br />

Ivi, il documento si conclude con il seguente testo: « Essi Pubblici Rappresentanti<br />

dicono, che si rimettono anche essi a quanto è stato risoluto in<br />

Pubblico Consiglio, cioè al parere dell’arringatore Marco Palombi, quale<br />

è rimesso approvato in detto Consiglio, e dicono che fa bene il parere dei<br />

Sig. Deputati Ecclesiastici è stato di dare grosse pene, questo credo che sia<br />

stato a motivo di non esser essi capaci della pastorizia e neppure del territorio<br />

di Castro che è troppo confuso, che il tutto. Castro, 25 gennaio 1794.<br />

Domenico Antonio Galloni segretario».<br />

14<br />

Cfr. inoltre P. Scaccia Scarafoni, Gli Statuti di Castro, cit., pp. 102-103,<br />

art. 11 sugli «Oliveti».


Paolo Scaccia Scarafoni<br />

Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

Forse fin da epoca tardoantica o altomedievale, il territorio di Castro<br />

appartenne patrimonialmente alla Chiesa come grande proprietà<br />

agricola, messa a frutto attraverso aziende rustiche di pianura (i<br />

casalia e le domuscultae), come sembrano indicare i ritrovamenti<br />

archeologici altomedievali di Casale di Madonna del Piano 1 . Comunque<br />

sia, l’appartenenza al patrimonio della Chiesa di Roma si<br />

manifesta pienamente alla metà del secolo XII, quando Eugenio III<br />

dona all’abbazia di Casamari una porzione di mulini, terre, pascoli e<br />

selve di Castro e del limitrofo castello di Montenero, centro peraltro<br />

in via di spopolamento a favore di Castro 2 .<br />

Tuttavia la prima menzione di Castro è precedente, cioè del 1081,<br />

quando papa Gregorio VII, confermando la giurisdizione del vescovo<br />

di Veroli, comprende il castello nel territorio diocesano, come poi<br />

faranno i pontefici successivi da Urbano II ad Anastasio IV 3 . È intu-<br />

1<br />

Il sito ha restituito i resti di una grande villa esistita fra epoca tardo-repubblicana<br />

ed imperiale, ridotta ad azienda agricola nel IV secolo e in cui,<br />

tra V e VI secolo, venne realizzato un edificio di culto cristiano, absidato<br />

e a tre navate; il complesso agricolo-cultuale ebbe vita fino al secolo IX,<br />

quando fu distrutto da un incendio «probabilmente coevo della distruzione<br />

di Montecassino e di San Vincenzo al Volturno ad opera degli Arabi (881-<br />

883)», cfr. G. R. Bellini, L’edificio di culto, in Il Museo civico archeologico<br />

di Castro dei Volsci, a cura di M. Fenelli, P. Pascucci, Roma 2009,<br />

pp. 63s; 64. Per notizie e bibliografia sul complesso archeologico vedi S.<br />

Pietrobono, Carta archeologica medievale. Frosinone, Firenze 2006, pp.<br />

161-164; Il Museo civico, cit., passim.<br />

2<br />

Vedi argomentazioni e bibliografia in P. Scaccia Scarafoni, Gli Statuti<br />

di Castro (oggi Castro dei Volsci), Anagni 1989 (Biblioteca di Latium, 8),<br />

p. 10.<br />

3<br />

Cfr. A. Pieralisi, Bullae seu diplomata, Roma 1899, pp. 9-11; C. Scaccia<br />

Scarafoni, Le carte dell’Archivio capitolare della cattedrale di Veroli,<br />

Roma 1960, pp. 104-108, 121-124, 145-148, 150-153, 169-171, 193-196.


88<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

ibile che Castro, abitato di altura e fortificato come indica lo stesso<br />

nome, sia sorto nell’àmbito del più vasto fenomeno dell’incastellamento<br />

quando nel Lazio, dal secolo IX, la necessità di coltivare le<br />

terre lontane dalle città spinse sopratutto i grandi enti ecclesiastici a<br />

creare nuovi insediamenti abitativi in luoghi muniti e difesi da mura 4 .<br />

Al 1157 risalgono le prime notizie dello stretto controllo dell’amministrazione<br />

papale sul castello attraverso un fiduciario, detto prima<br />

balivo e poi custode: è da sottolineare che la carica di custode è<br />

quella preposta al governo di un castello di vitale importanza politica<br />

e militare per lo Stato della Chiesa. Le fonti storiche successive sono<br />

molto esplicite circa il ruolo strategico di Castro, controllato attraverso<br />

personalità ecclesiastiche e laiche, che – dietro pagamento di<br />

un consistente canone in danaro alla Chiesa – esercitano per proprio<br />

conto i diritti patrimoniali e di sovranità sulla popolazione e sul territorio<br />

5 .<br />

Tra l’altro, nel 1284, papa Martino IV conferisce la castellania di<br />

Castro al rettore della provincia di Campagna e Marittima, Andrea<br />

Spiliati 6 , cosicché non stupisce che poi documentazione del 1311<br />

attesti che Castro sia sede del tribunale del giudice generale della<br />

provincia, Raimondo di Guglielmo de Bolderiis 7 .<br />

Nonostante questo controllo così stretto da parte dell’amministrazione<br />

papale, nel corso del Trecento sembra svilupparsi un’organizzazione<br />

civica, perché nel testamento di Giacomo di Ceccano del<br />

1363 vengono lasciati sessanta fiorini «hominibus de Castro in conmunitate»,<br />

in riparazione di alcuni danni arrecati alla popolazione 8 .<br />

4<br />

Sull’incastellamento vedi P. Toubert, Les structures du Latium médiéval.<br />

Le Latium méridional et la Sabine du IX au XIII siècle, Rome 1974, pp.<br />

303-447.<br />

5<br />

Cfr. P. Scaccia Scarafoni, Gli statuti di Castro, cit., pp. 11-14.<br />

6<br />

G. Falco, I comuni della Campagna e della Marittima nel Medio Evo, in<br />

Id., Studi sulla storia del Lazio nel Medioevo, Roma 1988, pp. 419-690:<br />

470.<br />

7<br />

Cfr. M. T. Caciorgna, Le pergamene di Sezze (1181-1347), Roma 1989,<br />

pp. 342-344.<br />

8<br />

Regesta chartarum. Regesto delle pergamene dell’Archivio Caetani, a


Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

89<br />

Ma certamente i tempi non sono molto propizi, perché siamo all’epoca<br />

della cosiddetta “cattività avignonese”, cioè quando i successori<br />

di Bonifacio VIII sono perlopiù francesi, risiedono ad Avignone ed<br />

amministrano questa provincia con personale ultramontano (prima<br />

era romano o nativo del Lazio meridionale), che, estraneo alle<br />

tradizioni giuridiche locali, cerca di comprimere le secolari libertà<br />

dei comuni maggiori, consacrate da papa Caetani nella costituzione<br />

“Romana mater”, e certamente argina la nascita di nuove autonomie<br />

nei castelli controllati direttamente, come Castro 9 .<br />

Tra l’altro, il periodo della residenza avignonese dei pontefici<br />

coincide con gravissime ribellioni all’interno di tutto lo Stato della<br />

Chiesa contro l’amministrazione papale e nel 1366 scoppia una<br />

sollevazione generale dei comuni del Lazio meridionale, ma Castro<br />

è saldamente nelle mani degli officiali della provincia e non vi partecipa<br />

10 .<br />

La “cattività avignonese” ha termine nel 1377 col ritorno a Roma<br />

di Gregorio XI, che però muore l’anno seguente, lasciando molti<br />

contrasti irrisolti tanto nello Stato quanto all’interno del collegio cardinalizio.<br />

La successiva elezione di Urbano VI, primo papa italiano<br />

dopo cinque francesi, provoca per contraccolpo la secessione dei<br />

cardinali francesi, che a Fondi – con la protezione armata del conte<br />

Onorato Caetani – eleggono un altro pontefice, ovvero un antipapa:<br />

il francese Robert de Genevois, che prende il nome di Clemente VII.<br />

Inizia così il Grande Scisma d’Occidente (1378-1417) destinato a<br />

protrarsi per ben 39 anni. Clemente VII non riesce ad insediarsi a<br />

Roma e va a stabilirsi ad Avignone, ma nomina rettore della provincia<br />

di Campagna e Marittima Onorato Caetani, con poteri di vicario<br />

apostolico e concedendogli pure l’ereditarietà della carica. Il Caetani<br />

è abilissimo uomo d’armi e politico accorto, tanto che, guerreggiando<br />

e promettendo le migliori condizioni ai comuni, riesce a guadacura<br />

di G. Caetani, Sancasciano Val di Pesa 1926, 2, p. 218s.<br />

9<br />

Sulla situazione della Campagna e Marittima all’epoca, vedi G. Falco, I<br />

comuni, cit., pp. 567-659.<br />

10<br />

Ivi, p. 463.


90<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

gnare l’obbedienza di larga parte della provincia 11 .<br />

In questi frangenti, la città di Veroli passa all’obbedienza avignonese<br />

tra marzo e aprile 1383, dopo la morte del suo vecchio vescovo<br />

Giovanni de Prato. Segue un periodo in cui Veroli ha contemporaneamente<br />

due vescovi: l’uno di nomina romana non può prendere<br />

possesso della cattedra in Veroli e – almeno nella seconda metà degli<br />

anni ‘90 – risiede a Bauco (Boville Ernica) 12 ; mentre l’altro, Nicola,<br />

prima d’entrare a Veroli, nel 1384 s’installa a Castro, che era dunque<br />

già nell’orbita di Onorato Caetani e, anzi, doveva presentarsi come il<br />

luogo più sicuro nella diocesi per la fazione avignonese 13 .<br />

Ma, nella seconda metà degli anni ‘90 del Trecento, Onorato Caetani<br />

e l’obbedienza avignonese pèrdono progressivamente terreno<br />

in tutta la provincia sotto il profilo militare e politico (Veroli ripassa<br />

all’obbedienza romana nella primavera 1399) e, assai significativamente,<br />

la prima notizia di Castro per il Quattrocento ci mostra questa<br />

castellania presidiata da un fiduciario del papa romano Bonifacio IX,<br />

successore di Urbano VI: Ubaldino Guidalotti, investito del castello<br />

nel 1403 14 .<br />

Nel successivo 1404, Bonifacio IX guadagna a sé il potente re di<br />

Napoli, Ladislao d’Angiò, dandogli in contropartita il governo della<br />

provincia di Campagna. Il monarca di Napoli ha tra i suoi migliori<br />

11<br />

Per notizie e bibliografia su Onorato Caetani vedi Dizionario biografico<br />

degli Italiani, Roma 1973, 16, sub voce a cura di E. R. Labande; M.<br />

T. Caciorgna, La contea di Fondi nel XIV secolo, in Gli ebrei a Fondi e<br />

nel suo territorio. Atti del convegno. Fondi 10 maggio 2012, a cura di G.<br />

Lacerenza, Napoli 2014, pp. 49-88. Per l’azione politica inerente i comuni<br />

di Campagna e Marittima, vedi G. Falco, I comuni, cit., pp. 659-676; A.<br />

Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1969, ad indicem; M. T.<br />

Caciorgna, La contea, cit., pp. 63-72.<br />

12<br />

Archivio Capitolare di S. Andrea in Veroli, perg. 86, in data 1396 giu.<br />

29, Bauco, rescritto del vescovo d’obbedienza romana, Francesco Bellanti,<br />

relativo a beneficio in Veroli.<br />

13<br />

Ivi, perg. 52, in data 1384 giu. 7, Castro, rescritto del vescovo clementista,<br />

Nicola, relativo a beneficio in Veroli.<br />

14<br />

G. Silvestrelli, Città, castelli e terre della regione romana, Roma 1940,<br />

p. 135; A. Esch, Bonifaz IX. undderKirchenstaat, cit., p. 491n.


Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

91<br />

alleati i Colonna del ramo di Genazzano e ricompensa presto costoro<br />

con la concessione di Castro e Ripi (certamente prima del 1408) 15 .<br />

Non si conoscono i termini di questa prima concessione ai Colonna<br />

di Genazzano, ma costoro riescono a conservarne il possesso anche<br />

quando il Grande Scisma si complica ulteriormente con il prevalere<br />

in questa provincia di una terza obbedienza, cioè quella ad Alessandro<br />

V, eletto dal concilio di Pisa nel 1409: fin da quell’anno questo<br />

pontefice riconosce i castelli di Castro e Ripi ai fratelli Giordano e<br />

Lorenzo Colonna per tre generazioni, con le facoltà di vicari apostolici,<br />

cioè con una posizione giuridica quasi sovrana 16 .<br />

Infine il Grande Scisma ha termine nel 1417 con l’incontrastata<br />

elezione al soglio pontificio del fratello di Giordano e Lorenzo Colonna:<br />

Oddone, che assume il nome di Martino V. Il favore del nuovo<br />

pontefice consente ai Colonna di consolidare e perpetuare il possesso<br />

di Castro. Anzi, nel 1427, Martino V provvede a dividere i numerosi<br />

feudi colonnesi tra i nipoti Antonio ed Odoardo, figli di Lorenzo,<br />

e assegna ad Antonio la titolarità di Castro. Però, nel bilancio della<br />

Camera apostolica del 1481, attraverso dinamiche successorie che<br />

non conosciamo in dettaglio, Castro risulta essere passato al «signor<br />

duca Columna et fratelli», ovvero a Fabrizio duca dei Marsi e fratelli,<br />

figli di Odoardo, di cui avremo modo di riparlare 17 . Intanto diciamo<br />

che le ulteriori successioni nella signoria di Castro sono in linea<br />

retta: da Fabrizio a suo figlio Ascanio, celebre uomo d’armi, e da<br />

questi al figlio Marcantonio II, il vincitore di Lepanto.<br />

Gli statuti di Castro pervenutici sono del periodo dell’appartenenza<br />

ai Colonna, come mostrano quattro riferimenti del testo ai domini<br />

Columnenses o domini nostri (proemio; libro I, rubr. I e XXXVI;<br />

libro II, rubr. XXVII) 18 . Inoltre, in due casi, le espressioni che accompagnano<br />

il riferimento ai Colonna fanno intendere che la loro<br />

15<br />

Vedi P. Scaccia Scarafoni, Gli statuti di Castro, cit., p. 15.<br />

16<br />

Vedi ibidem.<br />

17<br />

Vedi C. Bauer, Studi per la storia delle finanze papali durante il pontificato<br />

di Sisto IV, in Archivio della Società romana di storia patria, 50<br />

(1927), pp. 319-400: 358.<br />

18<br />

Vedi P. Scaccia Scarafoni, Gli statuti di Castro, cit., pp. 35, 37, 46, 57.


92<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

signoria del castello sia già di vecchia data 19 . Combinando questa<br />

constatazione col fatto che gli statuti antichi in latino sono seguiti da<br />

“capitoli novi” in volgare che, datati 1510, presuppongono esplicitamente<br />

l’esistenza degli statuti 20 , si può ragionevolmente dare una<br />

prima attribuzione del testo latino al periodo fra il pieno Quattrocento<br />

e la fine del secolo. Inoltre le riferite espressioni domini Columnenses<br />

e domini nostri inducono a credere che, al momento della<br />

compilazione del corpo statutario, la signoria del castello spetti a<br />

una pluralità di titolari. Perciò, in base alle cognizioni disponibili, si<br />

può proporre come più probabile il periodo in cui Castro risulta di<br />

Fabrizio Colonna e fratelli, cioè intorno al 1481.<br />

È giunto il momento di spendere qualche parola su gli statuti<br />

comunali in generale. Innanzitutto sul nome statuta, che deriva dal<br />

verbo statuere, cioè stabilire. Invero gli statuti più antichi furono<br />

deliberazioni isolate prese di volta in volta dalle autorità comunali<br />

di fronte a una necessità pratica e attuale. In un secondo momento,<br />

ogni comune cominciò a riunire le risoluzioni che avessero stabile<br />

contenuto normativo, in un unico testo organizzato per materia. Nella<br />

genesi e sviluppo dei testi statutari ebbe ovviamente un ruolo fondamentale<br />

il ceto dei giurisperiti (soprattutto notai e causidici), che<br />

– inseriti nelle varie magistrature civiche – prima diedero forma e<br />

linguaggio giuridico alle deliberazioni e poi ne curarono la riunione<br />

in testi organici, distribuiti in più libri secondo materia; provvidero<br />

infine alla loro riforma ed aggiornamento secondo l’evoluzione dei<br />

tempi.<br />

Bisogna aggiungere che gli statuti non intervenivano in un mondo<br />

privo di regole giuridiche, anzi: ce n’erano molte: tutta la tradizione<br />

del diritto romano giustinianeo reinterpretato dai commentatori e dalle<br />

scuole legate alle università; le decretali papali riunite in raccolte<br />

19<br />

«[...] universitas terrae Castri ad laudem dominorum nostrorum, sub<br />

quorum gremio fidelis semper extitit [...]», cfr. ivi, p. 35; «[...] pro statu<br />

dominorum nostrorum Columnensium, prout solitum et consuetum fuit»,<br />

cfr. ivi, p. 46.<br />

20<br />

«li guardiani [...] non possano punire ultra la forma delli statuti», cfr. ivi,<br />

p. 73.


Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

93<br />

organiche, che spaziavano in molti campi del diritto e costituivano<br />

i più autorevoli precedenti giurisprudenziali; inoltre, ogni provincia<br />

del dominio papale aveva proprie costituzioni, che rispecchiavano le<br />

tradizioni giuridiche locali; infine, la consuetudine, normativa non<br />

scritta, che in ogni luogo corrispondeva all’esigenza e al sentimento<br />

di giustizia. In tale situazione, gli statuti corrispondevano anzitutto<br />

alla necessità di avere certezza circa le norme da applicare, ma<br />

anche al bisogno di creare norme più adatte alla realtà locale, cioè<br />

costituire un diritto particolare. Altresì, quando i comuni iniziarono<br />

ad avere giudici forestieri (i podestà delle città, i vicari o rettori nei<br />

castelli), si dovette sentire l’esigenza di mettere per iscritto il diritto<br />

consuetudinario locale o almeno la parte di esso che poteva apparire<br />

controvertibile di fronte al giusdicente estraneo al luogo. Dal<br />

complesso di questi fattori risulta peraltro chiaro che gli statuti non<br />

avevano alcuna pretesa di contenere tutta la normativa vigente nel<br />

luogo di riferimento.<br />

Tanto per fare un esempio, gli statuti di Castro non contengono<br />

una norma che punisca l’omicidio, ma ciò non significa che, a Castro,<br />

gli omicidi non venissero puniti: certamente lo si faceva ricorrendo<br />

ad altra normativa.<br />

Per quanto riguarda gli statuti comunali del nostro territorio, grosso<br />

modo, essi si possono inquadrare in due categorie: quelli delle città,<br />

che contemplavano, affermavano e consacravano per scritto autonomie<br />

più o meno ampie nei confronti dell’amministrazione papale;<br />

e quelli delle comunità castellane soggette a signorie di tipo feudale,<br />

statuti questi che tendevano a contenere i poteri signorili e a veder<br />

riconosciute dai feudatari (e dai loro tribunali) le consuetudines castri,<br />

ovvero le norme consuetudinarie del luogo, in particolare quelle<br />

che regolavano le prerogative signorili. Sotto un profilo meramente<br />

quantitativo, si potrebbe dire che, tendenzialmente, gli statuti cittadini<br />

fossero piuttosto estesi, cioè articolati in molte rubriche, mentre<br />

quelli castellani fossero sensibilmente più semplici 21 . Ma una pro-<br />

21<br />

Circa questa tipologia di statuti comunali in quest’area, vedi S. Notari,<br />

Per una geografia statutaria del Lazio: il rubricario degli statuti comunali<br />

della provincia storica di Campagna, in Rivista Storica del Lazio, 13-14<br />

(2005-2006), 21-22, Le comunità rurali e i loro statuti (secolo XII-XV),


94<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

fonda differenza fra gli statuti dei comuni cittadini maggiori rispetto<br />

a quelli dei centri castellani stava nella libera elezione o meno di chi<br />

esercitava il potere politico e giudiziario del luogo: cioè il podestà<br />

della città, il vicario o officiale del castello.<br />

Veniamo agli statuti castresi tardomedievali, conservati nel manoscritto<br />

cinquecentesco pergamenaceo descritto da Francesca Pontri<br />

in questo stesso volume, iniziando i cenni dal breve proemio che<br />

precede le disposizioni. Inizialmente ha un’intonazione di carattere<br />

morale astratto, ma poi fornisce alcune indicazioni preziose per<br />

comprendere la genesi del corpo statutario: infatti afferma che è stata<br />

l’«universitas terrae Castri» a stabilirlo e che ha fatto ciò «ad laudem<br />

dominorum nostrorum, sub quorum gremio fidelis semper extitit»,<br />

ma con il fine pratico della certezza del diritto («ne inter multa volumina<br />

legum fluctuare cogatur»), allo scopo prevalendo sopra ogni<br />

legge, comprese le costituzioni provinciali. L’idea della nascita degli<br />

statuti castresi da un atto di autonomia normativa della comunità<br />

sembra notevole, ancorché si possa pensare che l’iniziativa sia stata<br />

preceduta da una trattativa con i Colonna. Si noti che, dal punto<br />

di vista storico, un’operazione di questa portata potrebbe collocarsi<br />

soddisfacentemente durante il burrascoso periodo che comprende i<br />

pontificati da Sisto IV ad Alessandro VI, quando – coprotagonisti nel<br />

complesso gioco politico italiano – Fabrizio e la famiglia Colonna<br />

debbono affrontare pesanti proscrizioni e confische dei feudi e sono<br />

nella necessità di assicurarsi la maggior fedeltà possibile delle popolazioni<br />

loro soggette 22 .<br />

Le norme statutarie di Castro sono articolate in centotrentanove<br />

Atti del VIII Convegno del Comitato italiano per gli studi e le edizione delle<br />

fonti normative, Viterbo 30 maggio – 1 giugno 2002, a cura di A. Cortonesi<br />

e F. Viola, pp. 25-92. Su singoli aspetti e comparazioni fra statuti, vedi<br />

A. Esposito, Matrimonio, famiglia e condizione femminile nella normativa<br />

statutaria del Lazio medievale, in ivi, pp. 93-108; G. Giammaria, Il ‘danno<br />

dato’ negli statuti di Campagna e Marittima. Una nota illustrativa, in ivi,<br />

pp. 121-139.<br />

22<br />

Per una sintesi dell’operato e delle vicende di Fabrizio Colonna, vedi sub<br />

voce a cura di F. Petrucci in Dizionario biografico degli italiani, Roma<br />

1982, 27, pp. 288-293.


Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

95<br />

rubriche in latino giuridico tardomedievale, con qualche variante ortografica<br />

forse locale (come assallimentum per assalimentum, condandatio<br />

per condemnatio, quatraginta per quadraginta, quicunque<br />

per quicumque, solli per solidi). Nella copia cinquecentesca pervenutaci,<br />

gli statuti castresi non si presentano divisi in libri, ma – dalla<br />

successione degli argomenti e dalla comparazione con altre compilazioni<br />

statutarie 23 – si comprende facilmente come, in origine, il corpo<br />

normativo fosse distribuito in quattro libri, secondo un modello<br />

abbastanza diffuso:<br />

• il primo libro è dedicato all’organizzazione civica e<br />

ai principi di diritto processuale;<br />

• il secondo contempla la repressione dei maleficia, ovverosia<br />

il diritto criminale, oggi detto penale;<br />

• il terzo libro riguarda la materia del così detto ‘danno<br />

dato’, cioè i più importanti casi di danneggiamento nell’economia<br />

agricola;<br />

• il quarto libro contiene norme eterogenee ovvero gli<br />

extraordinaria, perlopiù a carattere amministrativo.<br />

Il manoscritto in pergamena comprende anche Capitoli novi sul<br />

danno dato, indirizzati il 1° dicembre 1510 da Agnesina di Montefeltro,<br />

moglie di Fabrizio Colonna, al “commissario” di Castro, cioè al<br />

rappresentante della signoria colonnese in loco 24 . Differentemente<br />

dal testo precedente, queste disposizioni sono in volgare e in un passo<br />

– relativo a controversie tra Castro e Pofi – si rinvia all’ «ordine<br />

che darrà Domenico de Bologna», personaggio che dunque dovrebbe<br />

avere un ruolo superiore a quello del commissario nell’amministrazione<br />

colonnese, forse un governatore .<br />

Veniamo alle norme statutarie. Ho già fatto cenno dell’importanza<br />

che aveva l’elezione del giudicante per l’autonomia dei comuni. In<br />

23<br />

Vedi ad es. a livello locale nell’àmbito delle terre colonnesi, gli statuti<br />

di Morolo e di Supino: E. Canali, Cenni storici della terra di Morolo (con<br />

l’edizione dello statuto del 1610), a cura di G. Giammaria, Anagni 1990<br />

(Biblioteca di Latium, 12), p. 18s; G. Giammaria, Lo statuto di Supino,<br />

Anagni 1986 (Biblioteca di Latium, 1), pp. 18-22.<br />

24<br />

Cfr. P. Scaccia Scarafoni, Gli statuti di Castro, cit., p. 73s.


96<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

effetti, il primo problema d’interpretazione delle norme statutarie di<br />

Castro riguarda proprio questo argomento. Infatti, dalla terza, molte<br />

rubriche di quello che s’individua come primo libro, parlano diffusamente<br />

dei còmpiti dell’officialis – o officialis curiae – come giudice<br />

civile e penale 25 , mentre la prima rubrica ne stabilisce l’elezione popolare,<br />

fatta “in concione universali” con la scelta di una rosa di due<br />

o tre nomi, nel cui àmbito il locale governatore dei Colonna opera<br />

un’ulteriore scelta, confermandone uno soltanto nell’ufficio. L’elezione<br />

di una rosa di candidati all’ufficio, vincolante per il governatore<br />

del feudatario, sembra un segnale di notevole sviluppo politico<br />

per una comunità castellana tardomedievale. Ma questa statuizione<br />

avrà mai avuto effettiva applicazione? o sarà stata una concessione<br />

strappata ai Colonna in un momento di particolare debolezza della<br />

loro signoria, poi rimasta sulla carta? Si badi: non è solamente una<br />

questione di rapporti di forza politica fra la comunità castellana e la<br />

signoria colonnese, perché all’epoca occorrevano ampie relazioni e<br />

conoscenze non comuni per individuare un giurisperito forestiero<br />

disposto a venire in loco e capace di «totam hanc universitatem in<br />

genere administrare, gubernare et procurare» come recita la formula<br />

di giuramento (lib. I, rubr. II), laddove nell’administrare è compresa<br />

l’amministrazione della giustizia, ma pure tutta una serie di scelte<br />

politiche. E non si può escludere che l’elezione popolare descritta<br />

dalla norma statutaria dovesse comportare una partecipazione della<br />

comunità agli oneri economici di stipendiare l’officialis. Si rifletta<br />

sul fatto che già le maggiori città della Campagna avevano vistosi<br />

limiti nel reperire i podestà, dovendosi spesso accontentare di giurisperiti<br />

provenienti da centri viciniori 26 .<br />

25<br />

Ad es. lib. I, rubr. [III], [IIII], [VI], [VIII]-[XI], [XIII]-[XV], [XVIII],<br />

[XXIII]. In quest’ultima rubrica compaiono tanto l’“officialis curiae”<br />

quanto gli officiales dell’ universitas Castri. Gli officiales comunali sono<br />

poi presi in più esplicita considerazione dalla rubr. [XXXXVI], De mutatione<br />

officialium, che ne stabilisce la durata in carica per un quadrimestre,<br />

l’elezione “in consilio universali” e i termini del giuramento.<br />

26<br />

Vedi in proposito J.C. Maire Vigueur, Comuni e signorie in Umbria,<br />

Marche e Lazio, in Comuni e signorie nell’Italia nordorientale e centrale:<br />

Lazio, Umbria e Marche, Lucca, Torino 1987, p. 423.


Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

97<br />

Peraltro, la norma sull’elezione del giusdicente non è l’unica che<br />

proponga difficoltà d’interpretazione storica: dubbi analoghi sorgono<br />

circa parte della normativa sui maleficia, di cui Marcantonio II<br />

escluderà l’efficacia “a sanguine supra” nell’approvare gli statuti nel<br />

1561 27 ; altresì problematica appare la rubrica De molendinis et molituris<br />

(lib. I, rubr. XXXXV), che assicurerebbe la libertà di andare<br />

a macinare in qualsivoglia mulino, in aperta contraddizione con la<br />

relativa privativa signorile che conosciamo dai documenti d’età moderna<br />

28 .<br />

C’è poi una questione ulteriore, connessa peraltro alla stessa genesi<br />

degli statuti castresi: quale significato ha la circostanza che (sia<br />

pur sviluppandone l’articolazione e la casistica) molte norme criminali<br />

ricalcano quelle degli statuti di Olevano del 1364? Tra l’altro,<br />

in quell’anno – come risulta evidente negli statuti 29 – l’antico feudo<br />

colonnese di Olevano era stato assoggettato dal comune di Roma,<br />

anche se per tornare poi ai Colonna 30 . In altra sede, si è ipotizzato<br />

che parte degli statuti di Olevano sia servita di modello per quelli di<br />

Castro nel secolo XV, grazie al passaggio di giurisperiti da un castello<br />

all’altro nella rotazione di personale a servizio dei Colonna 31 .<br />

Tuttavia non si può escludere che entrambi i corpi normativi derivino<br />

queste norme da un archetipo comune non ancora individuato. Ad<br />

ogni buon conto, in appendice si riproducono gli esempi più significativi<br />

di queste coincidenze tra i due testi statutari.<br />

Di fronte a questioni così complesse, che finiscono col coinvolgere<br />

la stessa essenza e modalità della signoria colonnese, sarebbe<br />

desiderabile disporre di fonti che ci permettessero di conoscere ampiamente<br />

i nomi dei giusdicenti di Castro nel secolo XV e i processi<br />

celebrati da costoro, come pure l’organizzazione e il personale<br />

27<br />

Vedi P. Scaccia Scarafoni, Gli statuti di Castro, cit., p. 74.<br />

28<br />

Vedi ivi, p. 16s.<br />

29<br />

Vedi V. La Mantìa, Statuti di Olevano Romano del 15 gennaro 1364,<br />

Roma 1900, p. XVII.<br />

30<br />

Per il dominio dei Colonna su Olevano, vedi G. Silvestrelli, Città, cit.,<br />

p. 343.<br />

31<br />

Vedi P. Scaccia Scarafoni,Gli statuti di Castro, cit., p. 29.


98<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

impiegato dai Colonna nella gestione del feudo. Nei limiti del presente<br />

lavoro, chi scrive ha condotto una prima indagine nei cinque<br />

protocolli più antichi del fondo notarile di Castro, che abbracciano<br />

gli anni dal 1472 al 1525 32 . Invero non si possono aspettare grossi<br />

risultati da una ricerca del genere perché condotta in un fondo di<br />

scritture di rogatari del luogo, mentre il notaio a servizio del giudice<br />

era generalmente un forestiero. Tuttavia si può cogliere qualche<br />

elemento utile.<br />

Il primo giusdicente rinvenuto è ser Giovanni di Perugia, vicario<br />

di Castro, che in tale ruolo ordina e presenzia ad un inventario di<br />

beni mobili di un defunto con l’assistenza del fattore della curia,<br />

l’ecclesiastico Antonio Cole Iacobi, in un momento tra la fine del<br />

1476 e l’inizio di agosto 1477 33 . A distanza di quasi un ventennio,<br />

il 25 marzo 1496 troviamo nelle funzioni di giudice ser Nicola di<br />

Ripi, vicario di Castro, impegnato in un procedimento di volontaria<br />

giurisdizione 34 . Poi, occupato in pari attività, nel 1498 compare<br />

32<br />

Archivio di Stato di Frosinone, Fondo dell’Archivio Notarile di Castro<br />

dei Volsci (in seguito soltanto ASFr, Fondo Notarile Castro dei Volsci), b.<br />

1, prott. 1-5.<br />

33<br />

Ivi, prot. 2, atti del notaio presbiter Laurentius Ioannes, c. 59v, atto con<br />

data cronica mutila di anno e mese, restando le sole indicazioni dell’indizione<br />

decima e del sesto anno del pontificato di Sisto IV: «[…] hoc est<br />

memoriale et inventarium bonorum omnium mobilium condam Antonii<br />

Gaglardi (così), factum et ordinatum per ser Iohannem de Perusia, vicarium<br />

castri Castri, presentem etc. et presente dopno Antonio Cole Iacobi,<br />

factore curie [...]».<br />

34<br />

Ivi, prot. 5, atti del notaio Sebastianus ser Francisci Iohannis Postis de<br />

castro Castri, cc. 19v-20v: «[...] constituta in iudicio coram spectabili viro<br />

ser Nicolao castri Riparum, honorando vicario terre Castri, Nanna Antonii<br />

Bubalelli, uxor condam Pauli Cole Iacobi Simeonis, mater infrascriptorum<br />

heredum, que petiit a prefato vicario ius videlicet Marie, Antonii et Nicolai,<br />

heredum condam dicti Pauli olim defuncti, tam personis quam bonis<br />

ipsorum pupillorum, heredum et filiorum predictorum, dari tutorem et curatorem<br />

quam ibidem a dicto domino vicario, nomine dictorum filiorum<br />

nominavit et petiit predictam Nannam uxorem predicti Pauli et matrem<br />

predictorum [...]. Qui dictus dominus vicarius et officialis predictus, sedens<br />

pro tribunali ad eius solitum bancum iuris, suum interposuit decretum


Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

99<br />

Federico di Cecigliano, dottore in diritto, commissario ed officialis<br />

di Castro 35 . Nel 1502, sempre un atto di volontaria giurisdizione<br />

si compie coll’approvazione di Giovan Francesco Spada di Alatri,<br />

commissario del castello 36 .<br />

Da queste notizie, sia pur così limitate, si trae l’impressione che<br />

coloro che amministrano la giustizia in Castro, siano in realtà di nomina<br />

colonnese, perché altrimenti sarebbe difficile giustificare la<br />

presenza di un giurisperito di Perugia e perfino di un dottore in diritto<br />

in un’epoca in cui ci sono ancora comuni maggiori governati da<br />

podestà non addottorati 37 . Del resto, anche il prevalere dal 1498 del<br />

et auctoritatem, dicendo dicte Nanne hec verba: Tutrix esto et curatrix esto;<br />

cum beneficio tamen inventarii bonorum dictorum pupillorum [...]. Actum<br />

in domo solite residentie supradicti officialis, in contrata Civite, ad bancum<br />

iuris, presentibus hiis, videlicet Iacobo Antonii Matonis et Bartholomeo<br />

Cole Melioris et Salvatore Collepardis habitator(ibus) Castri, testibus vocatis<br />

etc.».<br />

35<br />

Ivi, c. 69r-v, atto in data 1498 apr. 10: «[...] constituta personaliter in iudicio<br />

coram iuris doctore domino Federico de Cicigliano, honorabili commissario<br />

et officiale terre Castri», Bella Rose Ioannis, madre dei minori<br />

Benedetto, Antona e Beatrice, figli del defunto Antolino Bernabei, chiede<br />

al medesimo commissario di costituire gli zii Vangelista e Antonio Bernabei<br />

tutori e curatori per detti minori; «qui dominus commissarius et officialis<br />

predictus, sedens pro tribunali et eius solitum bancum iuris, suum<br />

interposuit decretum et auctoritatem, dicendo dictis Vangeliste et Antonio<br />

hec verba: Tutores extote et curatores extote, cum beneficio tamen inventarii<br />

bonorum dictorum pupillorum, pupillorum et heredum. Actum in domo<br />

solite residentie supradicti officialis, ad bancum iuris [...]».<br />

36<br />

Ivi, prot. 4, atti di notaio non identificato, c. 38r: «[...] coram spectabili<br />

viro Iohanni (così) Francisco Spada de Alatro, honor(abili) commissario<br />

terre Castri», Nicola Todiscus chiede che sia nominato un tutore per suo<br />

figlio Giacomo, minore ed erede della defunta madre, indicandolo nella<br />

persona di Alessandro Aurelio, nonno materno del minore; «qui dominus<br />

commissarius supra, sedens, predicta admisit fieri [...] dicendo eidem Alexandri<br />

(così) presenti et intelligenti et acceptanti: Esto tutor, esto tutor, esto<br />

tutor [...]. Actum in terra Castri, in domo residentie dicti commissarii [...]».<br />

37<br />

Ad es. per Veroli, l’obbligo di eleggere podestà unicamente chi sia dottore<br />

in legge interviene solo con una riforma statutaria del 1516 (Biblioteca


100<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

titolo di commissario lascia intendere che si tratti di incaricati dei<br />

Colonna. Anzi, in tal senso depongono chiaramente le lettere patenti<br />

di nomina del «magnificus Gabriel de Briscia, comissarius generalis<br />

domini Fabritii de Colunna», rilasciate dal duca in Roma nel 1487<br />

e pervenuteci grazie all’inserimento in un atto notarile dello stesso<br />

anno 38 :<br />

Fabritius Colunna, armorum etc.<br />

Castri, Riparum et Sancti Stephani<br />

[P]er tenore della presente, ordiniamo et deputamo et constituimo<br />

nelli infrascripti lochi nostro comissario lo nobeli[ssimo] Gabriel<br />

de Brescia circha tucte le entrate et occurrentie quomodocumque<br />

pertinenti ad nui et alla nostra corte; commandando expressamente<br />

ad tucti vicarii, facturi, comestabili, officiali et subditi nostri de dicti<br />

infrascripti lochi gli debiano dare in tucte cose fede piena che lui<br />

ordenarà et vorrà et obedientia quanto alla persona nostra propria;<br />

notificando che nui haberemo rato, accepto et fermo tucto quello<br />

sarrà facto, ordinato et exequito per lo dicto Gabriel comissario et<br />

conpare nostro, quanto fosse facto, ordinato et exequito da nui propri;<br />

non facendo, né persconendo lo contrario per quanto havendo<br />

cara la gratia nostra et socto altra nostra iure pena reservata al nostro<br />

arbitrio. In quorum fidem, presentes fieri fecimus nostri consueti<br />

sigilli impressione munitas. Datum Rome, xvi iunii, anno Domini<br />

MCCCCLXXXVII.<br />

Giovardiana in Veroli, perg. P. LI).<br />

38<br />

ASFr, Fondo Notarile Castro dei Volsci, b. 1, prot. 3, atti del notaio presbiter<br />

Laurentius Ioannes, cc.143v-146r, atto in data 1487 lug. 4, Gabriele<br />

di Brescia, «comissarius generalis domini Fabritii de Colunna», esibisce le<br />

lettere patenti della sua nomina e provvede a vendere un’area di spettanza<br />

della curia di Castro. Nel pubblicare qui le lettere patenti, si è avuta cura di<br />

riordinarne gli elementi, riportando l’intitulatio e l’inscriptio all’inizio del<br />

testo mentre nella copia notarile sono trascritte al termine («[...] A capite<br />

presentium scriptum erat: Fabritius Colunna, armorum etc. Intus erat scriptum:<br />

Castri, Riparum et Sancti Stephani»).


Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

101<br />

Il documento merita almeno un’ulteriore considerazione: Fabrizio<br />

Colonna esercita da solo la signoria di Castro. Salvo diversa interpretazione,<br />

questa circostanza può far ritenere superata dalla metà<br />

del 1487 la ricordata fase di contitolarità tra Fabrizio e i fratelli. Comunque,<br />

anche i documenti successivi fanno menzione unicamente<br />

di Fabrizio come signore del luogo 39 .<br />

Viceversa, una dozzina di anni prima, il 19 maggio 1475, durante<br />

la messa dell’arciprete nella matrice di S. Oliva, si era celebrata<br />

solennemente un’adozione di una bambina «coram reverendissimo<br />

domino prothonotario de Columna, domino nostro» 40 , dunque uno<br />

dei contitolari di Castro, anche se non è possibile identificarlo con<br />

sicurezza perché, all’epoca, ci sono due protonotari apostolici fratelli<br />

di Fabrizio: Lorenzo, che cadrà assassinato a Roma nel giugno<br />

1484 per mano di nemici della famiglia, e Giovanni, che sarà creato<br />

cardinale da Sisto IV nel 1480 41 . Comunque fosse, sembra che il pro-<br />

39<br />

ASFr, Fondo Notarile Castro dei Volsci, b. 1, prot. 3, cc. 160r-v, atto in<br />

data 1487 dic. 3: «Iohannes condam archipresbiteri, factor i(llustris) domini<br />

Fabritii de Columna et administrator etc.» concede a Giovanni e a<br />

Carlo del defunto Pietro Caçarelli la facoltà di edificare sopra un torrione<br />

di Castro, lasciando aperte tuttavia le feritoie e quant’altro necessario alla<br />

difesa del paese. Ivi, medesimo prot., c. 163r, atto in data 1487 dic. 21:<br />

Giovanna del defunto Cola Stephani vende una camera dell’abitazione,<br />

«occasione delicti filii sui presbiteri Bartholomei, qui in presenti detinetur<br />

in carceribus sub potestate domini Fabritii de Colunna». Ivi, prot. 5, cc.<br />

136v-137v atto in data 1499 ott. 12: il magister Giacomo archipresbiter e il<br />

magister Francesco, entrambi di Castro, sono affittuari delle erbe e dell’erbatico<br />

del territorio di Castro, per acquisto fattone «a factore castri predicti<br />

et illustrissimi domini domini Fabritii Columne ducis etc.» e vendono tutta<br />

la ghianda a Diallevalo, ceccanese.<br />

40<br />

Ivi, prot. 2, c. 31v. L’adozione è compiuta attraverso azioni formali e<br />

solenni degne di essere studiate per la storia locale del diritto: Antonio condam<br />

Petrutii di Castro pone la figlia Giovanna sull’altare dove è celebrata<br />

la messa, e Angelo Falanga di Gaeta la solleva dall’altare, ricevendola con<br />

ciò in figlia, peraltro col diritto di utilizzarla «in cunctis suis negotiis onestis»<br />

per otto anni e con l’onere di assegnarle in dote 24 ducati.<br />

41<br />

Circa il protonotario Lorenzo vedi le notizie riportate nella voce relativa<br />

a Fabrizio in Dizionario biografico degli italiani, a cura di F. Petrucci, cit.,


102<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

tonotario in questione si trattenesse abbastanza a Castro, visto che un<br />

atto notarile del 29 settembre 1476 elenca tra i testimoni «Simone de<br />

Valentone, familiari domini prothonotarii de Colunna» 42 . Viceversa,<br />

un documento del 1484 si riferisce esplicitamente al ‘protonotario’<br />

Giovanni (in effetti cardinale da tempo) come contitolare di Castro<br />

con Fabrizio 43 .<br />

Dai protocolli notarili emerge anche la consistenza dell’apparato<br />

locale dell’amministrazione colonnese e della sua attività. Così, tra<br />

marzo e luglio 1476, tra i testimoni di atti notarili compare il notaio<br />

Fabrizio de Pontianis di Roma 44 , che potrebbe essere stato il notaio<br />

della curia signorile: con rammarico si deve constatare che l’Archivio<br />

di Stato di Roma conserva i suoi protocolli solamente dal 1496.<br />

Dal 1485 figura nella documentazione il già ricordato e autorevole<br />

Domenico di Bologna, ovvero «Dominico de Porta de Bononia, habitatore<br />

Castri» 45 , che – pur privo di esplicite qualifiche – dobbiamo<br />

presumere sia un giureconsulto dei Colonna. Ovviamente, in questo<br />

rango elevato di professionisti vanno ricompresi i vicari e commissari<br />

già esaminati, che tengono udienza «ad bancum iuris» nella loro<br />

residenza, «in contrata subtus platee (così) Sancti Salvatoris” 46 , ov-<br />

27, p. 288. Per Giovanni vedi sub voce in ivi, pp. 342-344.<br />

42<br />

ASFr, Fondo Notarile Castro dei Volsci, b. 1, prot. 2, c. 52v.<br />

43<br />

Ivi, prot. 3, cc. 38r-39v, atto in data 1484 feb. 27: permuta fra il capitolo<br />

della matrice di S. Oliva e «Antonius Simeonis de castro Castri, factor<br />

et administrator rerum dominorum nostrorum, videlicet domin(orum)<br />

i(llustrium) prothonotarii Iohannis et Fabritius (così) domini nostri de<br />

Colunna ».<br />

44<br />

Ivi, prot. 2, cc. 42v, 43r., 50r.<br />

45<br />

Ivi, prot. 3, c. 84, atto in data 1485 set. 11; ivi, medesimo prot., c. 157r,<br />

atto in data 1487 ott. 11 (da cui è tratto il passo tra virgolette). Circa i figli<br />

di costui: ivi, prot. 5, c. 18v, contratto matrimoniale del 1496 feb. 1, Giovanni<br />

Battista è testimone; I monasteri di Subiaco. La biblioteca e l’archivio,<br />

a cura di V. Federici, 2, Roma 1904, pp. 302, 446, Sigismondo è notaio<br />

e roga a Subiaco nel 1557.<br />

46<br />

ASFr, Fondo Notarile Castro dei Volsci, b. 2, fascicolo ricongiunto dopo<br />

il restauro, c. 61v di antica cartulazione, atto in data 1477 gen. 15.


Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

103<br />

vero “in contrata Civite” 47 .<br />

A questi si affianca, in posizione subordinata, l’addetto all’ordinaria<br />

amministrazione degli interessi patrimoniali della signoria,<br />

cioè il fattore, spesso un ecclesiastico, che provvede – tra l’altro –<br />

all’affitto dell’erbatico e del ghiandatico del territorio castrese 48 . È<br />

presente pure l’elemento militare 49 e, per il personale esecutivo, il<br />

mandatario della curia, che è un forestiero 50 .<br />

Riguardo all’amministrazione della giustizia criminale, ci sono<br />

poche tracce ma danno l’idea di un sistema tenuto in efficienza e<br />

curato dall’amministrazione centrale dei Colonna 51 . A questa si deve<br />

anche l’utilizzo delle forze professionali locali facendole circolare<br />

nei feudi della signoria 52 in una strategia di governo che potrebbe<br />

47<br />

Ivi, b. 1, prot. 5, c. 70v, atto in data 1498 apr. 10.<br />

48<br />

Ivi, prot. 2, c. 43v, atto in data 1476 feb. 1; b. 1, prot. 2, c. 59v, atto attribuibile<br />

al 1476-77, vedi nota 33; b. 1, prot. 3, cc. 38r-39v, atto in data 1484<br />

feb. 27; b. 1, prot. 3, c. 86r; b. 1, prot. 3, cc. 160r-v, atto in data 1487 dic.<br />

3; b. 1, prot. 5, cc. 136v-137v, atto in data 1499 ott. 12.<br />

49<br />

Ivi, prot. 5, cc. 155-v-158r, atto in data 1500 feb. 3, tra i cui testimoni<br />

figura «Princivalle armigero illustrissimi domini Fabritii Columna dux<br />

(così) etc.».<br />

50<br />

Ivi, prot. 1, c. 4v, atto in data 1472 mag. 31: Mariano Antonelli di Anagni,<br />

mandatario di Castro, ha bandito una vendita di terreni al miglior offerente.<br />

51<br />

Ivi, prot. 2, fascicolo ricongiunto dopo il restauro, c. 62r-v di antica cartulazione,<br />

compravendita in data 1477 gen. 22, da cui risulta che Antonio<br />

condam Iohannis Ferrari di Castro, «ob certum scelus contra curiam per<br />

eum actum [...], factus erat exul et Castrum reverti minime poterat»; b.<br />

1, prot. 3, c. 163r, atto in data 1487 dic. 21, Giovanna del defunto Cola<br />

Stephani vende una camera dell’abitazione, facendolo «occasione delicti<br />

filii sui presbiteri Bartholomei, qui in presenti detinetur in carceribus sub<br />

potestate domini Fabritii de Colunna».<br />

52<br />

È il caso del notaio «Sebastianus ser Francisci Iohannis Postis de castro<br />

Castri», che nel 1498 è vicario di Piglio ed emette una sentenza che si<br />

conserva in uno dei suoi protocolli per averne egli stesso redatto il documento,<br />

vedi in ivi, prot. 5, cc. 104r-105r: 1498 nov. 6, Piglio, «Nos notarius<br />

Sebastianus de castro Castri, pro illustrissimo domino domino Fabritio<br />

Columna etc. vicarius castri Pilei, pro tribunali sedentes ad meum soli-


104<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

essere degna di studio in altra sede.<br />

Viceversa, purtroppo, nei protocolli notarili esaminati manca<br />

qualsiasi esplicito riferimento alle norme statutarie, anche quando<br />

è molto probabile che ci si trovi di fronte ad una loro applicazione,<br />

come nel caso degli arbitrati fra stretti parenti, previsti dalla rubrica<br />

De differentiis inter consanguineos (lib. I, rubr. XIIII) 53 . Per contro,<br />

gli stessi protocolli danno testimonianza di una società castellana<br />

più vivace e dinamica di quanto ci si possa aspettare da un piccolo<br />

centro feudale dell’epoca, con flussi d’uomini e scambi commerciali<br />

al di fuori dell’àmbito strettamente locale.<br />

tum banchum iuris [...]». Un altro esempio è quello del castrese Pellegrino<br />

Rampalli, castellano della rocca di Colli, vedi in ivi, c. 153r, atto in data<br />

1500 gen. 27.<br />

53<br />

Ad es. ivi, c. 3r, elezione di arbitri del 1494 mag. 29, fra Angelo Antonii<br />

Ambrosii e suo figlio Pietro, per dividere una casa in comune e contesa fra<br />

loro.


Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

105<br />

appendice<br />

comparazione fra alcune norme degli statuti<br />

di Olevano e di Castro<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. LVIII. De penis minorum<br />

Item quod si minor XXIIII annis<br />

usque ad X fecerit furtum, puniatur<br />

in dimidio quam alius qui<br />

maior esset. Et si minor X annis<br />

damnum dederit aut furtu commiserit,<br />

damnum tantum emendet.<br />

Et si rixam fecerit aut percusserit<br />

cum sanguine vel sine,<br />

absque pena transeat, medicaminis<br />

pretium tantum prestet. Et ad<br />

probandum dictam etatem et annos,<br />

pater et mater admittantur.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, rubr. XXXVIII]. De<br />

furtis puerorum, damnis et excessibus<br />

Si minor quindecim et maior<br />

decem annis puer fecerit furtum,<br />

puniatur in dimidio quam maiores<br />

et, si minor decem annis,<br />

damnum aut furtum emendet sine<br />

poena. Et, si rixam fecerit aut percusserit<br />

tam cum sanguine quam<br />

sine, impune transeat, medicantis<br />

pretium tantumodo prestet et ad<br />

probandum ipsam etatem sive annos<br />

pater et mater admittantur.<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. LXIII. De excessibus<br />

commissis ludendo<br />

Item quod excessum aliquem<br />

si quis commiserit ignoranter seu<br />

ludendo seu casualiter et probare<br />

poterit, facta reconciliatione cum<br />

parte lesa, sine pena transeat et<br />

contra eum procedi non possit.<br />

Et si processum fuerit, retractetur<br />

processus.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, rubr. X]. De excessu<br />

commisso ludendo<br />

Statuimus quod si quis excessum<br />

commiserit ludendo vel<br />

ignoranter et hoc probare poterit,<br />

facta compositione cum parte<br />

lesa,transeat sine poena et officialis<br />

non procedat ulterius contra<br />

eos, nec permittat quod aliquis<br />

contra eos procedat nisi facta fuerit<br />

querela coram officiali a parte<br />

lesa, non dum facta compositione<br />

de offensa; et hoc intelligimus in<br />

casibus in quibus potest transigi<br />

et pacisci.


106<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. LXIII. De forbannitis<br />

et diffidatis<br />

Item quod forbanniti et diffidati<br />

dictum castrum reintrare non<br />

possint, nisi prius curie et parti<br />

lese extiterit satisfactum. Si aliter<br />

reintraret aliquis ipsorum, castellanus<br />

seu vicarius teneatur ipsos<br />

capere et detinere donec satisfaciant<br />

curie et parti lese, salvo si<br />

a dicto exbannimento fuerit appellatum<br />

et in causa appellationis<br />

obtentum pro parte diffidati,<br />

in quo casu appellationi deferre<br />

teneatur. Forbanniti vero propter<br />

homicidium nullo modo reintrare<br />

possint donec in totum satisfecerint<br />

secundum formam statuti loquentis<br />

de homicidio (. . .).<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, rubr. XI]. De forbanditis<br />

Ordinamus quod forbanditi<br />

in dicto Castro regredi non possint<br />

nisi prius curiae et parti lesae<br />

erit satisfactum; salvo si ab exbandimento<br />

fuerit appellatum et<br />

in causa appellationis pro parte<br />

forbanditi fuerit impetratum, in<br />

quo casu officialis appellationem<br />

differre debeat. Forbanditi vero<br />

propter homicidium nullo modo<br />

redire possint.<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. LXIV. De verbis iniuriosis<br />

Item quicumque dixerit alicui<br />

verba iniuriosa, videlicet homicida,<br />

latro, fur, revallosus, puctana,<br />

mentiris et his similia, in decem<br />

solidos vice qualibet puniatur,<br />

sive unum verbum dixerit sive<br />

plura.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, rubr. XV]. De verbis<br />

iniuriosis<br />

Quicunque dixerit alicui verba<br />

iniuriosa, videlicet homicida, fur,<br />

latro, revagliosus, ruffianus, reportator<br />

et hiis similia, ex quibus<br />

rixa et odium consuevit exoriri,<br />

sive unum de predictis sive plura<br />

dixerit, in viginti solidos puniatur<br />

si fuerit proclamatum exinde<br />

ab audiente iniuriam et infra tres<br />

dies cum iuramento fiet accusatio<br />

testimonialis.


Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

107<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. LXV. De improperiis<br />

Item quicumque improperavit<br />

vel ad memoriam reduxerit alicui<br />

iniuriam sibi illatam, eius patri,<br />

matri, fratri, sorori vel nepoti carnali,<br />

utpote de patris homicidio<br />

vel matris vel aliqua morte turpi<br />

vel iniuria gravi, in X solidos vice<br />

qualibet puniatur.<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. LXVI. De pena impellentium<br />

aliquem<br />

Item si quis aliquem irato animo<br />

impulerit, si eum cadere fecerit<br />

in X solidos puniatur, si vero<br />

cadere eum non fecerit puniatur<br />

in V solidos.<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. LXIX. De pena extrahentium<br />

arma sine percussione<br />

Item si quis contra aliquem<br />

extraxerit quocumque modo arma<br />

et non percusserit, in X solidos<br />

puniatur, nisi hoc fecerit ad sui<br />

defensionem. Et si contra plures<br />

personas eodem instanti semel<br />

dicta arma extraxerit, pro uno excessu<br />

tantum puniatur.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, rubr. XIIII].De exprolatione<br />

iniuriarum<br />

Quicunque reimproperaverit<br />

vel ad memoriam reduxerit alicui<br />

iniuriam sibi vel patri vel matri,<br />

fratri vel sorori suae vel nepotibus<br />

illatam, utpote de homicidio<br />

vel morte aliqua naturali, puniatur<br />

in quatraginta solidos, si persustinentem<br />

iniuriam fuerit exinde<br />

proclamatum et cum iuramento<br />

illum duxerit accusandum.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, rubr. XVI]. De impulsione<br />

iratorum<br />

Si aliquem irato animo impellet<br />

et cadere non fecerit, puniatur<br />

in viginti solidos et, si cadere fecerit,<br />

dupliciter puniatur.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, rubr. XVII]. De extractione<br />

armorum<br />

Quicunque extraxerit arma<br />

contra suum civem ad percutiendum<br />

et non percusserit, puniatur<br />

in quindecim solidos, nisi hoc<br />

fecerit in suam defensionem; et<br />

si contra plures in eodem loco in<br />

una rixa extraxerit arma, pro uno<br />

excessu tantum puniatur.


108<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. LXXII. De percutientibus<br />

cum armis in facie<br />

Item si aliqui aliquem percusserit<br />

cultello vel ense, clava, lancea,<br />

sagitta, falcione vel lapide<br />

seu baculo et his similibus in facie<br />

cum sanguinis effusione, ita quod<br />

signum turpe appareat et in facie<br />

percussi remaneat, si cum cultello<br />

et his similibus, puniatur in XV libris<br />

denariorum; si cum lapide vel<br />

baculo, in X libris. Mulieres vero<br />

et minores XV annis usque ad decem<br />

annos, si talia commiserint,<br />

puniantur in centum solidis. Et si<br />

offensor penam solvere non poterit<br />

vel neglexerit infra competentem<br />

terminum sibi datum et capi<br />

poterit, secundum iura puniatur.<br />

Et si capi non poterit, procedatur<br />

contra eum ad diffidationem<br />

et publicationem bonorum curie<br />

et offenso pro tertia parte. Et<br />

quod in omnibus percussionibus<br />

percussor cogatur dare pretium<br />

medicaminis percusso, taxatione<br />

tamen castellani seu vicarii.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, rubr. XX]. De percussione<br />

cum armis<br />

Si qui percusserit aliquem<br />

cultello, ense, clavia, lancea seu<br />

sagitta, falcione et baculo ferrato<br />

et hiis armis similibus, cum sanguine<br />

et in facie, ita quod signum<br />

cicatricis appareat et remaneat,<br />

puniatur in quindecim libras et<br />

expellatur de Castro a loge duodem<br />

milia passus et stet exul per<br />

tres menses ad minus. Si vero<br />

percusserit cum lapide, puniatur<br />

in decem libras et maneat exul<br />

per duos menses. Mulieres autem<br />

et pueri decem annorum usque ad<br />

quindecim, si predicta commiserint,<br />

puniantur in tribus libris.<br />

Et si offensores predictas poenas<br />

solvere non poterint nec capi,<br />

procedatur contra eos ad exbandimentum<br />

et ad publicationem omnium<br />

bonorum eorum, applicandorum<br />

curiae et offenso pro tertia<br />

parte; et hoc ordinamus expresse<br />

observare. Et si capi poterit, puniatur<br />

secundum iura.


Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

109<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. LXXVI. De pena insultus<br />

Item si aliquis assaliverit aliquem<br />

seu insultaverit in quocumque<br />

loco existentem, puniatur<br />

in XL solidis, salvis aliis penis<br />

in quas incidere potest pro aliis<br />

excessibus quos committeret. Et<br />

si de nocte fuerit, puniatur in duplum<br />

et qui eum tunc offenderet,<br />

transeat sine pena. Assalimentum<br />

vero et insultum intelligi volumus<br />

cum aliquem offenderet vel<br />

offendere vellet, nullis verbis precedentibus.<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. LXXVIII. De excessibus<br />

commissis ad defensionem<br />

Item qui, ad defensionem<br />

suam vel sue familie, utpote patris,<br />

fratis, sororis, matris, nepotis<br />

carnalis seu consobrini vel familiaris,<br />

domestici, aliquid fecerit<br />

seu aliquem offenderit, non teneatur<br />

ad penam.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, Rubr. XXII]. De assalimentis<br />

Si quis aliquem assalliverit in<br />

quocunquqe loco existentem, puniatur<br />

in centum solidos, salvis<br />

aliis pęnis in quibus incurrat pro<br />

aliis excessibus quos commiserit.<br />

Et qui, succurrendo assallitum,<br />

percusserit vel offenderit agressorem,<br />

transeat sine poena; et qui<br />

de nocte assalliverit, puniatur in<br />

duplo. Assallimentum autem vocamus<br />

et intelligimus dummodo<br />

aliquis aliquem offendat vel offendere<br />

velit, verbis iniuriosis et<br />

contumeliis non precedentibus.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, Rubr. XXIII]. De<br />

percussione causa defensionis<br />

Quis, ad sui defensionem vel<br />

suae familiae, matris, patris, sororis<br />

et fratris sui vel nepotis carnalis<br />

seu consobrini aut domestici,<br />

familiaris, aliquem leserit, non<br />

puniatur ad aliquid, dummodo<br />

fiat defensio cum moderamine inculpate<br />

tutele ut iura volunt, ac si<br />

ipsum defenderet vel res proprias.


110<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. LXXX. De pena armorum<br />

Item si quis inventus fuerit<br />

cum armis prohibitis per vicarium<br />

vel familiares et domesticos<br />

ipsius intus castrum predictum<br />

de die, solvat V solidos, de nocte<br />

vero decem, exceptis officialibus<br />

curie et communis, quibus portare<br />

liceat, non tamen malitiose sed<br />

pro statu pacifico et concordia<br />

dicti castri.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, Rubr. XXVII]. De<br />

portantibus arma<br />

Quicunque fuerit inventus<br />

cum armis ad defensionem seu<br />

impugnationem vel offensionem,<br />

excepto cultello non ultra mensuram,<br />

intus dictum Castrum,<br />

puniatur in decem solidos et de<br />

nocte in duplo, exceptis officialibus<br />

curiae et communis, salvo<br />

quod non possit ire cum dictis<br />

armis malitiose nisi pro statu dominorum<br />

nostrorum et communis<br />

dicti Castri, salvo tempore guerrę<br />

quando mandatur ab officiali cum<br />

concilio quod liceat omnibus portare<br />

arma.<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. LXXXIII. De nequitiis<br />

mulierum<br />

Item considerantes nequitias<br />

mulierum, volumus quod si aliqua<br />

mulier fuit pregnans et voluerit de<br />

aliquo ponere clamorem dicendo<br />

quod fuerit exfortiata ab illo a quo<br />

esset pregnans, eius proclamatio<br />

non teneat nec admittatur et accusatus<br />

transeat sine pena.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, rubr. VII]. De nequitia<br />

mulierum<br />

Considerantes nequitiam mulierum,<br />

statuimus quod, si foemina<br />

[gravida] proclamaverit dicendo<br />

quod fuit exfortiata a quo est<br />

facta gravida, proclamatio eius<br />

non admittatur et, si male denunciatum<br />

fuerit, accusatus transeat<br />

sine poena.


Gli Statuti di Castro in Campagna<br />

111<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. XC. De pena infocantis<br />

Item qui studiose posuerit<br />

ignem ad comburendum aliquam<br />

domum intus castrum, secundum<br />

iura puniatur; si vero extra in aliqua<br />

domo in qua habitetur, puniatur<br />

in L libris denariorum et, si<br />

non habitetur, in X libris. Et si vocatus<br />

non comparuerit, diffidetur<br />

et bona eius publicentur curie et<br />

damnum passo usque ad debitam<br />

quantitatem pene et damni et reaffidari<br />

non possit donec satisfecerit<br />

curie et damnum passo. Et si<br />

capi poterit et infra competentem<br />

terminum sibi datum satisfacere<br />

neglexerit, secundum iura puniatur<br />

et curia possit omnimodo procedere.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. II, rubr. XXXX]. De incendiariis<br />

Ignem studiose accendentes<br />

causa comburendi aliquam domum<br />

intus Castrum, secundum<br />

iura puniantur; si extra menia in<br />

domo habitantis, puniantur in<br />

quinquaginta libris; et si domus<br />

non habitatur, in vigintiquinque<br />

libris puniatur; et si capi non poterit,<br />

diffidetur de Castro et bona<br />

eius curiae applicentur et passo<br />

incendium usque ad satisfactionem<br />

damni; si non capietur etpoenam<br />

ante dictam solvere noluerit,<br />

puniatur secundum iura. Intelligitur<br />

quod in quolibet predictorum<br />

casu damnum emendet, excepto<br />

in casu ubi poena esset personalis,<br />

in quo ad curiam generalem<br />

remittatur.<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. CIV. De pena non euntium<br />

ad opus communis<br />

Item qui vocatus fuerit ad opus<br />

communis et non iverit, solvat denarios<br />

XX.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. I, rubr. XXXVIII]. Ad<br />

opus communis<br />

Qui vocatus fuerit ad opus et<br />

non iverit, puniatur in quinque<br />

soli(do)s nisihabeat legitimam<br />

excusationem et credatur ei cum<br />

iuramento.


112<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

Statuti di Olevano<br />

Rubr. CVI. De cautionibus<br />

Item quod castellanus dari faciat<br />

cautiones de non offendendo<br />

et pace servanda cuilibet petenti<br />

eas ab aliquo de dicto castro ,<br />

qui, si dare noluerit, forbanniatur<br />

et stet forbannitus donec prestet<br />

huiusmodi cautiones.<br />

Statuti di Castro<br />

[Lib. I, rubr. XXX]. De cautionibus<br />

ne offendatur<br />

Statuimus quod officialis dari<br />

faciat cautiones de non offendendo<br />

et pace servanda homini de<br />

Castro petenti ex rationabili et<br />

evidenti causa; et qui dare recusaverit<br />

aut dare non potuerit [exbandiatur]<br />

donec prestet huiusmodi<br />

cautiones.


Rossana Fiorini<br />

Ceccano: danno dato, conferma di uno statuto<br />

Introduzione<br />

Ripercorrere in maniera esatta e puntuale le tappe basilari della<br />

storia statutaria del <strong>Comune</strong> di Ceccano 1 è compito assai arduo vista<br />

la scarsità delle fonti a disposizione. La storiografia locale infatti<br />

lamenta l’assenza degli antichi statuti, ma grazie alla disamina dei<br />

documenti d’archivio si sono prodotte numerose testimonianze circa<br />

la normativa statutaria della comunità. Le carte prese in esame per la<br />

nostra ricerca provengono dal fondo della Congregazione del Buon<br />

Governo presso l’Archivio di Stato di Roma.<br />

È altresì importante chiarire che, malgrado l’inesistenza di una<br />

copia statutaria sulla quale confrontare i dati reperiti, in nostro favore<br />

possiamo disporre delle Delibere del Consiglio, 2 custodite presso<br />

1<br />

I destini della Comunità si legarono indissolubilmente a quelli dei comites,<br />

poi domini, de Ceccano, potente famiglia che dominò una vasta Signoria<br />

a partire dalla seconda metà del X secolo. La maggior parte delle notizie<br />

relative ai de Ceccano si trovano in G. H. Pertz, Annales Ceccanenses seu<br />

chronicon Fossae Novae, in Monumenta Germaniae Historica, Hannoverae<br />

1866 (Scriptores, 19). L’instaurarsi di una simile stirpe nel territorio<br />

determinò diversi conflitti con il papa: i de Ceccano infatti non ruotavano<br />

nell’orbita del potere papale e cercarono sempre di sviluppare assetti e<br />

pratiche amministrative in contrasto con la giurisdizione pontificale; poi,<br />

con Giovanni, sotto Innocenzo III, riconobbero la signoria pontificia, fintanto<br />

che la loro potenza non si esaurì nel corso del XIV secolo. Cfr. G.<br />

Falco, I Comuni della Campagna e della Marittima nel Medioevo, in Archivio<br />

della Regia Società Romana di <strong>Storia</strong> Patria, (1919), pp. 537-605;<br />

P. Toubert, Les structures du Latium médiéval: le Latium méridional et la<br />

Sabine du IXème à la fin du XIème siècle, Roma 1973; Castelli del Lazio<br />

Meridionale: contributi di storia, architettura e archeologia, a cura di G.<br />

Giammaria, Roma 1998.<br />

2<br />

A tal proposito cfr. C. Cristofanilli, Vicende statutarie di Ceccano dal<br />

Medioevo al sec. XX, in Teretum, 6 (1995), 2, p. 65; un esame dei Libri


114<br />

Rossana Fiorini<br />

l’archivio storico comunale, che già hanno fatto emergere molteplici<br />

informazioni. Dunque la nostra analisi aggiunge nuovi ed ulteriori<br />

elementi a quanto finora conosciuto.<br />

Sorte di uno statuto<br />

Una prima fonte statutaria – che racchiudeva le più antiche<br />

consuetudini della comunità – si ebbe verosimilmente sotto la guida<br />

di Giovanni I, quando si trovò maggiore stabilità politica. 3<br />

Più tardi, nel XIV secolo, anche Ceccano rientrò nel più generale<br />

riordinamento normativo delle cosiddette Costituzioni Egidiane (in<br />

vigore nel territorio ceccanese dal 1362) e tutti i paesi che ricadevano<br />

all’interno della signoria dei de Ceccano erano tenuti a rispettare gli<br />

statuti ceccanesi. Tali disposizioni avevano come obbiettivo quello<br />

di soddisfare il rafforzamento dei poteri della Chiesa. 4 Nei secoli<br />

dei Consigli conduce l’autore ad una parziale ricostruzione degli organi<br />

decisionali della Comunità, che nelle linee generali non si discostavano da<br />

quelli previsti per le comunità dello Stato Pontificio; cfr. E. Lodolini, L’archivio<br />

della S. Congregazione del Buon Governo (1592-1847). Inventario,<br />

Roma 1956 (Pubblicazioni dell’Archivio di Stato, 20).<br />

3<br />

C. Cristofanilli, Vicende statutarie, cit., pp. 66-67. Di essa non abbiamo<br />

alcuna trascrizione, ma possiamo recuperare delle informazioni grazie ad<br />

un documento coevo, la Carta Libertatis, con la quale Giovanni I de Ceccano<br />

nel 1196 concedeva all’abate Landulfo giurisdizione su uomini e beni<br />

dell’abbazia di Santa Maria a Fiume.<br />

4<br />

Ibidem. Gli statuti comunitativi avevano l’obbligo di uniformarsi e costituire<br />

delle norme coerenti con le nuove costituzioni, per non risultare<br />

in contrasto con esse. Gli statuti di nuova compilazione invece dovevano<br />

ricevere approvazione pontificia per poter entrare in vigore. La nuova disciplina<br />

fu causa di ribellioni da parte di alcuni Comuni, fra i quali anche<br />

Ceccano; inoltre l’abrogazione della bolla pontificia Romana Mater emanata<br />

da Bonifacio VIII (1297), nell’ambito della quale si autorizzavano i<br />

donativi volontari del clero a favore del re senza permesso del papa, ed era<br />

permessa la libera elezione del podestà e delle massime cariche comunali,<br />

fece inasprire le ribellioni. Le controversie si conclusero soltanto quando<br />

la suddetta bolla venne modificata e reintegrata; un documento del 1389<br />

ricorda che il governo della città, pur rimanendo sotto il potere feudale di


Ceccano: danno dato, conferma di uno statuto<br />

115<br />

successivi le vicende istituzionali di Ceccano si congiunsero alle più<br />

generali sorti della Provincia di Campagna e Marittima dello Stato<br />

Pontificio, sempre più roccaforte delle nobili casate romane 5 .<br />

Una prima redazione di uno statuto comunitario dovrebbe<br />

appartenere alla prima metà del Cinquecento: si tratta di una versione<br />

ora perduta, più volte citata nei Libri dei Consigli e nel Registro<br />

delle Sentenze 6 .<br />

Sul danno dato<br />

È evidente come non sia agevole studiare la disciplina statutaria, 7<br />

ma svariate interpretazioni e numerosi elementi possono esser fatti<br />

derivare dalla lettura di documenti ufficiali o carteggi e missive.<br />

Giovanni III, aveva ufficiali propri e una magistratura formante l’Universitas.<br />

In seguito Papa Sisto IV decretò – nella bolla Etsi Cunctorum (1478)<br />

– che le precedenti Costituzioni Egidiane fossero estese a tutto il territorio<br />

dello Stato Pontificio; e Paolo III Farnese diede loro nuovo vigore tam in<br />

Urbe quam in Provincia (cfr. inoltre G. Floridi, La “Romana Mater” di<br />

Bonifacio VIII e le libertà comunali nel Basso Lazio, Guarcino 1986).<br />

5<br />

Utili ad una ricerca documentaria intorno alla normativa statutaria sono<br />

gli inventari di Onorato III Caetani di Fondi, perché oltre ad elencare i beni<br />

del castello, restituiscono all’indagine storica le ordinanze della Corte. In<br />

tali documenti, alla Corte vengono resi tutti i territori di Ceccano e vengono<br />

citate le disposizioni circa gli antichi defensa (diritti) della Chiesa, da rispettare<br />

secondo gli articoli e lo Statuto ad essa concessi. Cfr. Inventarium<br />

Honorati Gaietani: l’inventario dei beni di Onorato II Gaetani d’Aragona,<br />

1491-1493, trascrizione di C. Ramadori, revisione critica, introduzione e<br />

aggiunte di S. Pollastri, Roma 2006, ad indicem; E. A. Papetti, Ceccano<br />

al tramonto del Medioevo nell’inventario di Onorato III Caetani. 1491,<br />

Traduzione e note a cura di U. Germani, Frosinone 2003, pp. 7-23.<br />

6<br />

Tale redazione si inserisce nel più vasto ambito di un’opera di sistemazione<br />

delle norme e consuetudini comunitative che portò, in quegli stessi<br />

anni, alla revisione degli statuti di molti altri centri del Lazio meridionale.<br />

7<br />

A tal proposito notevole importanza riveste una copia cartacea del secolo<br />

XIX, due fogli di recto e verso, proveniente dall’archivio privato di Carlo<br />

Cristofanilli, che ci restituisce il capitolo numero 54 del libro IV dello statuto<br />

ceccanese.


116<br />

Rossana Fiorini<br />

La Comunità di Ceccano si rivolge alla Congregazione del Buon<br />

Governo per evidenziare i gravi danni derivanti dalle bestie caprine.<br />

Con una lettera dell’agosto 1778, la Comunità di Ceccano denuncia<br />

lo stato di insufficienza giurisdizionale delle norme statutarie nei<br />

confronti delle sanzioni per i danni arrecati alle coltivazioni 8 e<br />

sollecita la Sacra Congregazione affinché approvi definitivamente<br />

la risoluzione consiliare, precedentemente discussa e approvata in<br />

Consiglio 9 . La nuova norma sanciva la possibilità di poter sopprimere<br />

le bestie che si trovavano a danneggiare le coltivazioni. Il Consiglio<br />

si era riunito e aveva deliberato l’11 gennaio 1778. Trattavasi di<br />

una disposizione abbastanza anomala: è a tutti noto infatti, anche in<br />

confronto a dati assunti in generale da altre Comunità della Provincia<br />

di Campagna, che le bestie erano considerate risorse importanti,<br />

quindi difficilmente soggette a uccisione. La risoluzione consiliare<br />

adottata non incontrava il parere positivo e favorevole di tutti: da<br />

un altro foglio della medesima busta infatti (risalente al maggio<br />

dello stesso anno) si può leggere il giudizio di Gaspare Tonelli,<br />

uditore di Ceccano. Egli, scrivendo al Buon Governo, sostiene che<br />

la risoluzione presa dal Consiglio sia in contrasto con la giustizia<br />

e per questo suggerisce invece di imporre una sanzione pecuniaria<br />

contro i trasgressori, i padroni delle bestie che avessero arrecato<br />

danni ai terreni definiti “ristretti” – cioè quei terreni recintati vocati<br />

esclusivamente alla coltivazione, in cui passaggio e pascolo degli<br />

8<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 938. La Comunità di Ceccano scrive, in<br />

data 14 agosto 1778, alla Sacra Congregazione. «La comunità di Ceccano<br />

[…] rappresenta essere intollerabili i danni, che specialmente dalle bestie<br />

caprine, si recano a quei arboreti ed oliveti. Giacché non sono state sufficienti<br />

le pene ed aumento delle medesime per ovviare tali danni».<br />

9<br />

Ibidem. «[…] il Consiglio, che a questo effetto si adunò, per non sentire<br />

più tali schiamazzi e bestemmie di quei poveri, risolvette che da qui in<br />

avvenire si potessero le capre ammazzare impunemente trovandosi a dar<br />

danno nei luoghi suddetti. Resta solo, che tale risoluzione venga ora approvata<br />

dall’Eminenze Vostre, di che sono pregate, perché così si sarà dato<br />

fine a tali danni né più si sentiranno i lamenti, e bestemmie di quel popolo<br />

danneggiato».


Ceccano: danno dato, conferma di uno statuto<br />

117<br />

animali risultavano particolarmente dannosi. Senza la necessità<br />

dunque di uccidere l’animale 10 .<br />

La deliberazione del Consiglio però appare l’estrema ratio<br />

dinanzi ad episodi ricorrenti: i documenti sono estremamente chiari<br />

al riguardo, riportano una situazione in cui nulla avevano potuto le<br />

precedenti disposizioni che avevano modificato e aggravato le pene<br />

comminate. I danni perpetrati spingevano dunque la Comunità a<br />

richiedere di rendere legale l’uccisione delle bestie. La risoluzione<br />

consiliare adottata recitava infatti:<br />

«Per dar riparo a li danni che vengono causati nelli ristretti<br />

di questa terra, e suoi cittadini, giacché gl’altri pratticati per<br />

il passato tutti sono stati, e riusciti inutili, sarebbe egli di<br />

opinione, e erede espediente, che oltre la pena statutaria contro<br />

li trasgressori, dare la facoltà, e libertà alli padroni di tali<br />

ristretti di poter impunemente ammazzare le bestie caprine,<br />

che entrano in detti ristretti, con l’approvazione dei superiori».<br />

Malgrado ciò era stato impossibile trovare un rimedio ai danni<br />

apportati dalle capre 11 , quindi il parere dell’uditore si era ora<br />

10<br />

Ivi. L’uditore di Ceccano scrive alla Sacra Congregazione in data 5 maggio<br />

1778. «È contraria alla giustizia e all’equità la risoluzione presa da<br />

questo Pubblico Consiglio di potersi ammazzare le capre, che si trovano<br />

a danneggiare ne’ luoghi ristretti, potendo quelli, che ricevono il danno,<br />

convenire giudizialmente li padroni di esse per conseguirne l’emenda. Se<br />

si crede tenue la pena statutaria, si può accrescere, a riportarne l’approvazione<br />

de’ superiori, giacché così si rimedierebbe all’intollerabile licenza<br />

d’alcuni caprari».<br />

11<br />

Ivi, b. 939. Missiva indirizzata al Buon Governo dall’uditore Pietro Antonio<br />

Vaccari, in data 3 ottobre 1780. «Rapporto a quanto si espone nella<br />

supplica data alla Sacra Congregazione del Buon Governo in nome dei<br />

Consiglieri della terra di Ceccano, e che univocamente col documento nella<br />

medesima annessa mi do l’onore di ritrovar compiegata all’Eccellenza<br />

Vostra devo ossequiosamente riferire alla medesima, esser veramente<br />

intollerabili li danni, li quali si recano delle capre nelle vigne, alboreti,<br />

oliveri, ed altri ristretti di quel territorio, e non esser stato possibile finora<br />

il prendervi riparo, neppure all’accrescimento della pena altre volte dalla<br />

prelodata Sacra Congregazione ordinato, atteso che gl’animali suddetti appartengono<br />

per la massima parte a persone prepotenti, le quali poco, o nul-


118<br />

Rossana Fiorini<br />

uniformato a quanto richiesto dalla popolazione. Ora si consiglia<br />

di cacciare totalmente le bestie dal territorio e consentire la loro<br />

uccisione, o meglio una per branco, come già accade per i maiali 12 .<br />

Risulta però che il malessere della popolazione, a seguito di una<br />

breve tregua, torni a manifestarsi perché come testimonia Domenico<br />

Marella il ricorrere nei confronti è durato poco e gli animali tutti, in<br />

generale, vanno compiendo notevoli danni 13 .<br />

la temono lo sbirro. Farci perciò anch’io di parere, che altro riparo che vi<br />

resti a prendere, se non bandirle affatto dai luoghi, e ristretti suddetti colla<br />

permissione a chi ve le troverà a danneggiare di ucciderne una per branco,<br />

nella maniera istessa che per statutaria disposizione vien permesso di fare<br />

con gli’animali neri, tantoppiù che non mancano in suddetto territorio altri<br />

luoghi commodi, e propri, ove ritenerle alli pascoli senza pericolo di recar<br />

danni».<br />

12<br />

Questo dato sugli animali neri può esser confrontato con alcune informaaioni<br />

reperite nelle Delibere Consiliari. «Si confermano le difese tra le vigne,<br />

e che se debbia ammazzar il porco trovandosi a far danno nelle vigne,<br />

e portar il quarto alla Corte, e che se paga de pena uno carlino (per pascere<br />

uno da dece in giù), et che se debbia rescuoter il denaro dell’erbatico ecc.<br />

che alcuno fosse trovato con uva in mano, o incontrato per strada, o in<br />

qualunque luogo fossero trovati, che gli abbia a menar dove l’ha colta con<br />

la pena ad arbitrio del signor Auditore (facendolo) stare anche in berlingha<br />

e che sia creso con giuramento ogniuno per accusar (danni) dell’uva e che<br />

sia pagato quello che accorderà il (capitano)». Ceccano, Archivio Storico<br />

Comunale, Libro dei Consigli (1579-1587), Delibera 5 Agosto 1580; cfr.<br />

inoltre C. Cristofanilli, Vicende statutarie, cit., pp. 66-67.<br />

13<br />

BG, b. 939. Il documento è un memoriale che non presenta né firma né<br />

data. È annesso a due lettere, una del 30 ottobre 1784 e l’altra del 5 novembre<br />

1784, rispettivamente firmate dall’uditore Patrei e dall’uditore Terisse.<br />

Le carte sono indirizzate alla Sacra Congregazione che appone, sul retro,<br />

la data del 13 novembre 1784. «Domenico Marella della terra di Ceccano<br />

diocesi di Ferentino Oratore Umilissimo dell’Eccellenza Sua divotamente<br />

le rappresenta come da quattro anni fa quella Comunità porge supplica alla<br />

Sacra Congregazione del Buon Governo per li danni che quella Comunità<br />

praticava nei ristretti, e molto più nelli oliveti, per i danni che facevano<br />

le bestie caprine; si degnò essa Sacra Congregazione con veneratissimo<br />

rescritto imponere la pena sopra le bestie caprine […] motivo che più da


Ceccano: danno dato, conferma di uno statuto<br />

119<br />

Attraverso gli statuti si regolava la materia giuridica civile e penale<br />

della Comunità, ma non sempre le norme stabilite erano sufficienti a<br />

mitigare gli abusi che si commettevano (soprattutto nelle campagne)<br />

e, di conseguenza, spesso si richiedevano sanzioni più rigide per far<br />

rispettare la legge.<br />

In particolare si apprendono nozioni sulla supplica di Antonio<br />

Lauretti 14 al Buon Governo (della fine del XVIII secolo), inviata per<br />

ottenere che nei vigneti già danneggiati a causa delle recenti gelate,<br />

venisse vietata l’introduzione degli animali per almeno cinque anni<br />

e che si accrescesse la sanzione di 20 baiocchi per ciascuna bestia<br />

che avesse compiuto il danno. In questo documento viene citato<br />

il danno dato, ovvero i danneggiamenti, dolosi o colposi, delle<br />

terre comunali e delle relative coltivazioni, provocati da persone o<br />

animali. L’attenzione è posta proprio intorno alla pena accresciuta<br />

(già dovuta al tribunale): la risoluzione consiliare 15 deliberava che<br />

padroni venderne suoi armenti di bestie caprine. […] Ha durato poco un<br />

tal rigore in quanto anno corrente non solo nelli ristretti vanno pascolando<br />

le capre, ma pecore e animali neri, vaccine d’ogni genere, bufali e cavalli,<br />

senza haver visto avanti ai propri occhi i poveri paesani non hanno a chi<br />

ricorrere […] pertanto poveri paesani vivono nelle angustie molto più che<br />

molti de poveri compatrioti nella annata scorsa.<br />

14<br />

Ivi, b. 940. Nelle carte è stato reperito un memoriale firmato da Antonio<br />

Lauretti e altri possidenti del territorio di Ceccano. La data in calce è del 22<br />

maggio 1790. Il documento riporta «come stante le gelate dell’anno scorso<br />

si seccarono negli albereti tutte le viti quali soltanto in quest’anno germogliando<br />

nelle radiche si vanno ritirando su per unirle all’albero, portando<br />

anche del frutto; ma siccome Eminenti Signori seguita la raccolta del grano<br />

e granturco, entrando le bestie al pascolo queste ritrovando le viti basse e<br />

stando alla loro altezza essendo, che le pascolano, e se una va a perdere il<br />

frutto, o l’intento, che per l’anno fruttuoso sia la vite giunta all’albero, non<br />

essendovi compenso per qualunque danno si potesse far pagare alle dette<br />

bestie dannificanti». Infine si richiedeva che fosse «chiunque proibito di<br />

pascolare in detti viti, dove sono questi albereti, sotto pena della perdita<br />

della bestia, da applicarsi in favore della Comunità».<br />

15<br />

Ivi. L’uditore Giacomo Antonio Riccardi scrive alla Sacra Congregazione,<br />

in data 14 agosto 1790, per avere un parere intorno al caso e alla<br />

supplica presentata da Antonio Lauretti, di cui invierà alla stessa copia del


120<br />

Rossana Fiorini<br />

il divieto di introdurre le bestie nei terreni durasse per cinque anni<br />

e stabiliva che la sanzione venisse applicata per metà al padrone<br />

del fondo e per l’altra metà alla Comunità. L’uditore considerava<br />

tale diversificazione nella pena contrastante con il diritto baronale 16 ,<br />

che fino ad allora era stato esclusivo, nel senso che il barone<br />

prendeva l’intera pena. Inoltre l’uditore propone di mantenere il<br />

divieto per due anni e non cinque 17 . La risposta 18 dell’incaricato del<br />

memoriale. «Il memoriale dato a nome di Antonio Lauretti, quale ritorno a<br />

Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima ha dato causa al Consiglio<br />

di Ceccano di risolvere, che si imponesse la pena di baiocchi 20 per ciascuna<br />

bestia, che si volesse introdurre e si facesse introdurre negli oliveti<br />

ed albereti ristretti da durare per due anni. L’allontanamento delle bestie da<br />

tali luoghi ha per fine la conservazione dalla rinascenza delle radici delle<br />

piante seccate nell’inverno dell’anno 1789».<br />

16<br />

Ivi. «Sia ben pensato un tale allontanamento: ma il modo di applicare<br />

la pena è offensiva del diritto del Barone, il quale per l’applicazione delle<br />

pene del danno dato al suo Tribunale vi compare la Reverenda Camera<br />

Apostolica sotto di Clemente VIII onde con titolo oneroso restano addotte<br />

alle casse de’ rispettivi frutti. Imperocché il Consiglio […] la metà della<br />

pena che impone per ciascuna bestia introdotta nei predetti ristretti applica<br />

alla Comunità, e l’altra metà al padrone del ristretto fondo. Il signor Contestabile<br />

terrà per nullo in questa parte il detto Consiglio senza tralasciare<br />

di applaudir alla proibizione della introduzione delle bestie negli oliveti, ed<br />

albereti per li due anni. Io […] non tralascio di portare nel capo al doppio<br />

la pena statutaria da applicarsi alla Curia».<br />

17<br />

Ivi. «L’uditore del Barone ammette per giusta tale risoluzione, supponendo<br />

che debba durare per due anni, quando la risoluzione conciliare porta<br />

per cinque anni. Ma si oppone all’applicazione della pena accresciuta al<br />

padrone del fondo, ed alla Comunità, perché le pene dei danni dati spettano<br />

al Barone e al suo Tribunale per la cessione avutane da Clemente VIII».<br />

18<br />

Ivi. Il documento porta la titolazione: «Sulla supplica di Antonio Lauretti».<br />

Si tratta di un parere scritto dal Ponente del Buon Governo, relativo<br />

appunto alla supplica precedentemente inviata da Antonio Lauretti di Ceccano.<br />

«Supplicò Antonio Lauretti la Sacra Congregazione, che proibisse<br />

l’introduzione degli animali negli albereti, per un danno, acciò le viti già<br />

molto pregiudicate dalla gelata dell’anno passato possano rigermogliare, e<br />

giungere li nuovi germogli ad una altezza tale da non poter essere pregiu-


Ceccano: danno dato, conferma di uno statuto<br />

121<br />

Buon Governo va a mediare la richiesta del Lauretti con il parere<br />

dell’uditore, consigliando di stabilire il divieto per tre anni. Riguardo<br />

la suddivisione della sanzione “accresciuta”, imputata per metà al<br />

padrone del fondo e per l’altra metà alla Comunità, il suo parere trova<br />

accordo con quanto statuito dal Consiglio, poiché in tal modo non si<br />

« reca pregiudizio alcuno al Barone per le pene del danno dato, che<br />

dev’esigere il suo Tribunale a tenore delle tasse vigenti per essere<br />

queste pene accertate, e preservate nella Risoluzione Conciliare» 19 .<br />

D’altra parte l’inasprimento imposto riguardava l’introduzione degli<br />

animali e non propriamente il danno arrecato 20 . Il Ponente della Sacra<br />

Congregazione dunque concludeva:<br />

« Poiché la suddetta pena aggiunta s’intenda e sia per la<br />

sola introduzione di qualunque bestia. Crederei perciò, che la<br />

Sacra Congregazione potesse riscrivere:<br />

Pro approbatione Resolutionis Concilii ad Triennium<br />

tantum Etiam quod applicationem poenarum auctarum ex<br />

causa Introductionis animalium in Arboreta et oliveta, salvis<br />

juribus Tribunalis pro exactione Poenarum Danni dati justa<br />

taxas» 21 .<br />

dicati da medesimi animali. Rimessa la supplica pro informatione audito<br />

concilio cum interventu de deputati ecclesiastici, il consiglio è convenuto<br />

che la proibizione di introdurre gli animali negli albereti, ed oliveti duri per<br />

cinque anni. Con accrescere la pena già dovuta al Tribunale per li danni in<br />

baiocchi 20 per ogni bestia minuta, e grossa di qualunque sorte che verrà<br />

introdotta negli albereti, ed oliveti. Ed applicandola per metà al padrone<br />

del fondo e per l’altra metà alla comunità».<br />

19<br />

Ivi. «Il tempo, che dovrà durare tale proibizione, io crederei, che si potesse<br />

determinare per soli tre anni, perché tanto le viti, quanto gli olivi, quale<br />

che non riacquistano in tre anni non lo riacquistano più. La pena accresciuta<br />

poi credo, che sia bene applicata al padrone del fondo per la metà, e per<br />

l’altra metà alla Comunità».<br />

20<br />

Ivi. «[…] l’accrescimento stabilito dal Consiglio non è propriamente<br />

pena del danno, ma piuttosto una pena imposta alla sola introduzione degli<br />

animali e pena di contravvenzione non di danno; come spiega la Risoluzione<br />

Conciliare».<br />

21<br />

Ivi.


122<br />

Rossana Fiorini<br />

Nei primissimi anni del XIX secolo si solleva la questione degli<br />

animali neri 22 , che essendo troppo dannosi vengono banditi, oppure,<br />

così come stabilito, si consente la loro uccisione, quando siano trovati<br />

a far danno. Difatti, come recita una supplica firmata dal sindaco e<br />

dal segretario di Ceccano:<br />

«Per ovviare alli grandissimi danni che si commettono<br />

dalli animali neri in quel territorio e nelli granturchi, e ristretti<br />

d’arboreti in una, olive, o d’altri generi, vi fu sotto il 4 del<br />

corrente luglio risoluzione consiliare, nella quale fu stabilito<br />

e risoluto, che trovandosi a danneggiare dette sopra tanto di<br />

morra, che mandarini di ammazzarli […] come in tempo del<br />

governo provvisorio fu ulteriormente risoluto di tal pena per<br />

esser li danni» 23 .<br />

La risoluzione consiliare succitata confermava le modifiche<br />

apportate alla normativa – rese evidentemente indispensabili per via<br />

22<br />

A tal proposito cfr S. Notari, Per una geografia statutaria del Lazio: il<br />

rubricario degli statuti comunali della provincia storica di Campagna, in<br />

Rivista Storica del Lazio, 13-14 (2005-2006), 22, Le comunità rurali e i<br />

loro statuti (secolo XII-XV), Atti dell’VIII Convegno del Comitato italiano<br />

per gli studi e le edizione delle fonti normative, Viterbo 30 maggio – 1<br />

giugno 2002, a cura di A. Cortonesi e F. Viola, p. 47. «È assai ricorrente<br />

in tutta la provincia la previsione di dure sanzioni risarcitorie per limitare<br />

i danneggiamenti arrecati ai coltivi dai ‘porci mandarini’ (o ‘mandarili’), o<br />

addirittura la facoltà di ucciderli”, così come accadeva anche nel <strong>Comune</strong><br />

di Pofi». Inoltre, come specifica Giammaria nel suo contributo sul danno<br />

dato nella provincia di Campagna e Marittima, come fosse certamente lecito<br />

uccidere il maiale, animale notoriamente devastatore, in qualche caso<br />

anche altri animali, per i quali c’erano prescrizioni comportamentali e soprattutto<br />

condizione d’essere. Per evitare contestazioni l’uccisore era obbligato<br />

a portare alla Curia una parte dell’animale, quasi a voler significare<br />

la compartecipazione di quest’ultima ad un’azione ammessa dalla legge.<br />

Cfr. G. Giammaria, Il ‘danno dato’ negli statuti di Campagna e Marittima.<br />

Una nota illustrativa, in ivi, p. 139.<br />

23<br />

BG, b. 942. La supplica è firmata dal sindaco Giovan Francesco Leo e<br />

dal segretario Magno Colantonj. La data apposta dalla Sacra Congregazione<br />

riguardante l’intera pratica – cioè tutti i documenti annessi – è del 14<br />

agosto 1802.


Ceccano: danno dato, conferma di uno statuto<br />

123<br />

delle enormi ed ingenti rovine presso i campi di granturco, i vigneti,<br />

gli oliveti o altri terreni, anche ristretti – consentendo di sopprimere<br />

le bestie; tale provvedimento fu accolto positivamente dall’uditore 24 .<br />

È da sottolineare inoltre come tali disposizioni non incontrassero<br />

spesso il consenso degli ecclesiastici 25 . La proposta in Consiglio<br />

aveva ottenuto una votazione unanime 26 , ora se ne richiedeva<br />

l’approvazione definitiva da parte della Sacra Congregazione.<br />

Controversie giurisdizionali sul danno dato disputate all’inizio del<br />

XIX secolo<br />

Interessanti sono le controversie giurisdizionali sul danno<br />

dato disputate all’inizio del XIX secolo fra la curia di Ceccano e<br />

la curia subalterna di Ripi. La disputa nasce tra Giovanni Martelli<br />

giudice e governatore di Ripi e l’uditore di Ceccano, suo giudice<br />

superiore, sui capitoli IV, V, VII e VIII 27 del motu proprio papale<br />

24<br />

Ivi. «[…] è giustissima la risoluzione presa del pubblico consiglio di poter<br />

uccidere gli animali neri che si rinvengon esser danno nei granturchi, e<br />

ristretti di questo territorio, conforme giusta la riconoscono anche li stessi<br />

pubblici rappresentanti […]».<br />

25<br />

Ivi. Viene inviata al Buon Governo copia della risoluzione consiliare,<br />

la data della trascrizione è del 27 luglio 1802. La firma in calce è di Magno<br />

Colantonj, che qui è indicato come notaio pubblico e segretario. «Si<br />

propone finalmente, che si commettono dalli molti danni dell’animali neri<br />

nelli campi di granturco, e nelli ristretti, e in specie nell’uva, olive ed altri<br />

generi, nonostante pene statutarie che vi sono, che per evitare questi gran<br />

danni, si stima bene metter la pena di potergli ammazzare trovandoli a<br />

danneggiare come sopra, e com’anche altre volte è stato risoluto, e siccome<br />

in questo provvedimento s’è trovato l’ostacolo sempre degl’ecclesiastici<br />

però si stima bene far approvare tal pena dalla Sacra Congregazione del<br />

Buon Governo ad oggetto, che restino soggetti alla medesima pena tanto li<br />

secolari, che gl’ecclesiastici, e anche da Sua Eccellenza».<br />

26<br />

Ibidem. «[…] onde chi vuole, ponga il voto bianco inclusivo, e chi no il<br />

nero esclusivo; quali distribuiti, e raccolti, sono stati rinvenuti tutti bianchi<br />

con il voto decisivo delli stessi deputati ecclesiastici e rimane accettata».<br />

27<br />

Gli articoli sono i seguenti:<br />

«IV: Rapporto poi ai danni dati casuali, cioè quelli che provengono dal


124<br />

Rossana Fiorini<br />

del 4 Novembre 1801. Gli articoli erano tutti relativi alla maniera di<br />

giudicare i danni dati, e riguardavano i procedimenti e le modalità<br />

attraverso cui i casi venivano disciplinati. Nel motu proprio si<br />

richiedeva alla Congregazione Economica di formulare una nuova<br />

legge atta a regolare al meglio il danno dato in tutti i territori dello<br />

Stato Pontificio; le nuove norme dovevano essere utili a prevenire<br />

i danni, soprattutto in quei territori in cui le disposizioni vigenti<br />

erano inefficaci. Un documento inviato al Buon Governo porta a<br />

naturale ferino degl’animali, e dalla incuria de loro contadi, e che sono certamente<br />

i più frequenti, e quelli per conseguenza che più degli altri vanno<br />

prevenuti, incarichiamo la Congregazione Economica, affinché […] voglia<br />

immaginare […] una nuova legge esecutiva più adattata all’importante oggetto<br />

di prevenire tali danni, e la quale togliendo la prattica stata sempre in<br />

signe di attendere in tali giudicati le disposizioni dai rispettivi Statuti Municipali,<br />

fra i quali ve ne sono parecchi che impongono pene troppo miti e<br />

per conseguenza inefficaci, ostenda anche in questa parte detta legislazione<br />

economica dello stato ecclesiastico quella perfetta informità de’ principi, e<br />

che vogliamo che alligni in tutte le diramazioni della legislazione stessa».<br />

«V: Desiderando noi però porre sin da ora, e per quanto è possibile un argine<br />

alla troppa frequenza dei predetti danni dati casuali vogliamo che siano<br />

dalla pubblicazione della presente nostra cedola di motu proprio in tutta la<br />

estensione dello Stato Ecclesiastico, niun luogo eccettato, si osservino rapporto<br />

agli stessi danni dati casuali li seguenti regolamenti, nonostante che<br />

potesse trovarsi disposto diversamente dai rispettivi Statuti Municipali».<br />

«VI: E primieramente siccome a prevenire i delitti influisce non tanto la<br />

gravità della pena quanto la prontezza di essa, e a questo giova moltissimo<br />

la speditezza della processura, così vogliamo che in tutta la causa dei suddetti<br />

danni dati casuali non si osservino le solennità solite a praticarsi nei<br />

Giudici ordinari, e formarli, ma che debbano esse trattarsi sommariamente,<br />

e senza recapito; e figura di giudizio».<br />

«VII: E parimenti precisiamo, che il giuramento del dannificato unito ad<br />

un sol testimone degno di fede, o avvalorato da qualche ammennicolo sia<br />

sufficiente per concludere la prova del dato».<br />

«VIII: E prescriviamo inoltre, che dette cause di danni dati casuali […]<br />

restino ultimate nello spazio di venti giorni, passati i quali la causa resterà<br />

devoluta al Giudice superiore, e senza che da questi si possa appellare<br />

sennonché in devolutivo, come pure che tutte le spese di giudiziali, che<br />

stragiudiziali debbano sempre rifarsi dalla parte soccombente».


Ceccano: danno dato, conferma di uno statuto<br />

125<br />

conoscenza dell’opinione dell’uditore di Ceccano, il quale asserisce<br />

che quanto disposto dai capitoli debba essere osservato soltanto<br />

quando la Congregazione Economica incaricata avrà effettivamente<br />

emanato le nuove disposizioni, e che la modalità dell’«antico diritto<br />

di rivedere le cause subalterne dei danni dati» debba continuare ad<br />

avere efficacia fino ad allora. Tale metodologia veniva comunque<br />

«reputata abusiva ed irregolare» dallo stesso, «diversamente opposta<br />

alla riforma ora stabilita» 28 . La risposta della Sacra Congregazione 29<br />

(spedita insieme a una copia del suddetto motu proprio) farà<br />

però ancora riferimento alla Bolla benedettina sul danno dato,<br />

confermando la prima istanza di competenza del giudice locale. Per<br />

questo la Sacra Congregazione non poteva intervenire nella disputa,<br />

28<br />

BG, b. 942. La supplica è scritta per intercedere fra Ceccano e Ripi.<br />

Riporta una data del Buon Governo del 26 giugno 1802. «Crede in primo<br />

luogo Ceccano, che il disposto in que(sti) capitoli non s’intenda osservabile<br />

adesso, ma dopo soltanto che sarà fatta la legge incaricata […] alla Sacra<br />

Congregazione Economica. E crede poi, in vista di tale supporto, che quel<br />

che lui […] persister possa nell’antico diritto di rivedere le cause subalterne<br />

de danni dati nella maniera costante finora. Questo metodo (che l’Oratore<br />

ha sempre però riputato abusivo) è stato […] di non solo chiamare a sé,<br />

a semplice supplica dei ricorrenti, atti, copie, ed altro gratis, ma ben anche<br />

di ordinare la soppressione delle molestie, e voler esser informato, e quindi<br />

giudicare economicamente come ha ceduto senza attender prima i giudicati<br />

de partibus. L’Oratore dice che all’incontro rapporto al primo punto, che<br />

quei capitoli fanno, e far doveano di osservare per tutti i tribunali fine della<br />

data di detto motu proprio, e non mai dopo la legge, che dovrà stabilirsi. E<br />

rispetto al secondo, che Ceccano non può, non deve più volere quell’antico<br />

suo metodo, sì perché è diversamente opposto alla riforma ora stabilita<br />

segnatamente dalli § quinto, ed ottavo, ed altresì perché quello stile non si<br />

uniforma nemmeno alla equità, e ragione, e buone regole. È direttamente<br />

opposto al § quinto, ed ottavo, perché il primo, abolisce ogni diritto anche<br />

municipale per non doversi creder più fermo uno stile abusivo, ed il secondo,<br />

ossia l’ottavo, non dà agl’accusati nemmeno l’appellazione in sospensivo,<br />

e così non può non segnarli, che lasci aperta una via economica<br />

cagione di non pochi disordini, ed abusi».<br />

29<br />

Ivi. Il documento intitolato «Ceccano e Ripi. Controversie giurisdizionali<br />

sul danno dato» riporta la data del Buon Governo del 3 luglio 1802.


126<br />

Rossana Fiorini<br />

da decidersi invero dalla Segnatura o dalla Consulta (sia per i danni<br />

criminosi che per quelli studiosi).


Marco Di Cosmo<br />

Ceprano: il danno dato nello statuto<br />

Introduzione<br />

A Ceprano è noto che manchi l’antico statuto comunale.<br />

L’Archivio Storico del comune di Ceprano contiene principalmente<br />

materiale post-unitario 1 ; tuttavia, la ricerca condotta consultando il<br />

fondo della Congregazione del Buon Governo presso l’Archivio di<br />

Stato di Roma, ha portato alla luce alcuni interessanti riferimenti<br />

all’antico Statuto della comunità cepranese.<br />

Dapprima un riferimento esplicito all’antico Statuto in materia di<br />

danno dato per irregolare transito del «bestiame nelli cerqueti», e,<br />

in un momento storico successivo, una lacuna statutaria in materia<br />

di danno dato relativamente al taglio della legna nella macchia di<br />

Ceprano.<br />

Da questa duplice menzione, di seguito trattata in dettaglio, si<br />

evince quindi l’esistenza dello Statuto di Ceprano, pur non avendone<br />

oggi traccia documentaria.<br />

I casi di danno dato<br />

Il danno dato è argomento centrale nelle documentazioni<br />

statutarie, essendo una delle materie più rilevanti all’interno delle<br />

esperienze giuridiche locali.<br />

Con il termine di danno dato si identificavano tutti i reati relativi<br />

ai danneggiamenti delle terre provocati da persone, o più spesso<br />

animali.<br />

Tali danneggiamenti, come vedremo, si rivelavano particolarmente<br />

critici per un’economia locale, a Ceprano come in altri paesi,<br />

fortemente legata all’agricoltura.<br />

La materia che regolava questo tipo di controversie è dunque la<br />

1<br />

A. M. Ferraioli, Le fonti conservate nell’Archivio Storico del <strong>Comune</strong> di<br />

Ceprano, Ceprano 2004.


128<br />

Marco Di Cosmo<br />

parte preponderante, sia degli Statuti, che delle testimonianze qui<br />

analizzate.<br />

Uno dei casi esaminati relativi al danno dato riguarda l’irregolare<br />

transito del bestiame, nella fattispecie la causa tra Giovanni Rotondo<br />

e il comune di Ceprano, per il passaggio degli animali nei querceti.<br />

Il Rotondo scrive alla Sacra Congregazione del Buongoverno<br />

come, contro la forma dell’Antico Statuto, «l’affittuario del danno<br />

dato, fatta la commemorazione di tutti i Santi, ne deve pretendere<br />

le pene del danno nelle ghiande fatto con bestiame nelli cerqueti di<br />

queste parti etiam nelle riserve» 2 .<br />

Il caso più recente, risalente al 1776, e relativo al danno dato,<br />

riporta invece l’istanza presentata dal popolo di Ceprano contro<br />

«Prospero de Camilly, Crescenzo Guglielmi e Francesco Trani,<br />

per ottenere riparo al danno considerabile che li loro domestici<br />

cagionavano alla macchia communitativa col continuo taglio della<br />

legna, senza riguardo agli alberi fruttiferi» 3 .<br />

Il taglio indiscriminato della legna nei territori di Ceprano, infatti,<br />

colpiva enormemente l’agricoltura locale, andando a danneggiare gli<br />

alberi, potenziale fonte di approvvigionamento della comunità.<br />

Si legge nel memoriale del Buongoverno come il podestà locale,<br />

verificando la sussistenza di tale danno, suggerì l’emanazione di un<br />

editto che proibisse il taglio indiscriminato della legna 4 .<br />

2<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buongoverno,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 961. Deposizione di Giovanni Rotondo,<br />

deposizione contenuta in fascicolo sub data 21 febbraio 1629.<br />

3<br />

Ivi, b. 963. Istanza presentata dalla Comunità di Ceprano alla Sacra Congregazione<br />

del Buon Governo, 31 maggio 1776.<br />

4<br />

Ivi: «in tal ricorso rimesso al Governatore di Campagna, ed in seguito<br />

con lettera del 5 successivo maggio, tramite l’informazione di quel Podestà<br />

locale, in cui verificando questi la sussistenza del danno, suggerì il provvedimento<br />

della pubblicazione di un Editto proibitivo di tagliare la legna<br />

in detta Selva sotto pene vigorose Intanto però la Sagra Congregazione<br />

prima di prendere alcuna provvidenza […] determinò di scrivere sotto li 4<br />

maggio di dett’anno allo stesso Governatore di Campagna per sapere se li<br />

Particolari di Ceprano abbino il diritto di legnare in tutta l’estensione della<br />

Macchia, se la facoltà sia ristretta al taglio della legna morta, o di quella in


Ceprano: il danno dato nello statuto<br />

129<br />

A sostegno dell’accusa si legge come numerosi testimoni abbiano<br />

visto più volte tagliare la legna in quei luoghi 5 .<br />

Mancata applicabilità dello Statuto e richiesta di redazione<br />

In riferimento al primo caso, riguardo il danno dato nei cerqueti,<br />

emerge da un lato la testimonianza dell’esistenza di un antico Statuto<br />

che regolava la comunità locale; dall’altro il manifestarsi di una<br />

lacuna normativa.<br />

Si legge infatti, nella lettera del Buongoverno, datata febbraio<br />

1649, che: «dopo haver sentito le parti sopra lo che si espone da<br />

Giovanni Rotondo nel congiunto memoriale, devo riferire all’E.V.<br />

conforme all’ordine […] che nello Statuto di Ceprano non si contiene<br />

in conto alcuno la materia esposta, come si suppone, praticandosi in<br />

quel luogo» 6 .<br />

Il secondo caso è invece decisamente più complesso.<br />

In merito al danno dato «negl’Alberi della Comunità», si specifica<br />

che è possibile applicare due azioni: una di tipo civile e una di tipo<br />

penale, ossia «un’emenda e un’altra criminale per la pena». In merito<br />

all’azione civile, si legge sempre nel memoriale, non c’è dubbio<br />

che questa possa essere applicata ai «dannificanti», ma a tale scopo<br />

bisogna dimostrare sia che questi cittadini non avessero diritto di<br />

tagliare la legna, sia che abbiano tagliato legna da frutto, il che non<br />

piedi infruttifera e se sia luogo, ad assegnare una porzione di Macchia per<br />

uso di legna da foco, per preservar l’altre fruttifere, che sogliono vendersi<br />

dalla Communità».<br />

5<br />

Ivi: «testimoni depongono di avere veduto più volte tagliare nell’anni<br />

passati legna di quercia verde, e fruttifera, e trasportarla per farne foco,<br />

da Giustiniano Merolli, Bernardo Guglielmi, Arduino Carboni, Garzoni di<br />

Giuseppe Maria Vitiliani e Prospero de Camilly, di Crescenzo Gemma,<br />

Garzone del Medico Trani, da Domenico Cipriani Garzone di Gio. Pietro<br />

Astolfi e dalli Garzoni non individuati di D. Pasquale Cipolla e di Francesco<br />

Cipolla».<br />

6<br />

Ivi, b. 961. Da una lettera inviata alla Sacra Congregazione del Buon<br />

Governo, in data 21 febbraio 1629.


130<br />

Marco Di Cosmo<br />

è provata da alcuna perizia 7 .<br />

L’azione penale invece, «non può esercitarsi, se non vi è Statuto,<br />

o diritto proibitivo di legnare, e questi non essendovi, come motiva<br />

il Potestà di Ceprano» 8 , per riparare al danno si propone allora di<br />

emanare un editto penale ad hoc.<br />

In questo caso emerge l’esigenza di colmare una lacuna normativa,<br />

riguardante un provvedimento da applicare ai trasgressori.<br />

Per questo, il Podestà locale, verificando la sussistenza del danno,<br />

suggerisce la pubblicazione di un Editto che proibisse di tagliare<br />

la legna nei luoghi specificati. «Convien dunque riparare al danno<br />

con un Editto penale, di ciò fare convien di nuovo premere presso il<br />

Governatore di Campagna, per aver la risposta categorica sull’obietti<br />

fatti dalla Sagra Congregazione nella lettera dei 4 Maggio 1776» 9 .<br />

Tuttavia, il riferimento all’antico Statuto nei casi qui presi in esame<br />

altro non è che una conferma dell’esistenza di quest’ultimo, nonché<br />

testimonianza del suo utilizzo per la risoluzione delle controversie<br />

in materia di danno dato nella Comunità di Ceprano in Campagna.<br />

7<br />

Ivi, b. 963. Istanza presentata dalla Comunità di Ceprano alla Sacra Congregazione<br />

del Buon Governo, 31 maggio 1776: «non vi è dubbio che dalla<br />

Comunità possa sperimentarsi contro i dannificanti, ma convien che costi,<br />

che questi non avessero diritto di legnare nella macchia, e che li nominati<br />

garzoni abbiano tagliato la legna fruttifera, il che non li prova dalla Perizia».<br />

8<br />

Ivi.<br />

9<br />

Ivi.


Marco Di Cosmo<br />

Dispute sulla legittimità del pascolo<br />

nelle terre di Ferentino<br />

Introduzione<br />

Lo Statuto Comunale di Ferentino, sopravvissuto in duplice copia,<br />

è di incerta datazione, sebbene ormai collocabile intorno alla<br />

metà del XV secolo 1 .<br />

In questa sede ci occuperemo dell’utilizzo di questo strumento<br />

normativo nelle pratiche cittadine, soprattutto come fonte e testimonianza<br />

di usi, costumi e consuetudini per la società e per l’economia<br />

ferentinese.<br />

Lo Statuto di Ferentino<br />

La disamina dei carteggi tra la comunità di Ferentino e la Congregazione<br />

del Buon governo, custoditi presso l’Archivio di Stato<br />

di Roma, ha portato alla luce numerose occorrenze statutarie. Nella<br />

fattispecie della ricerca appena condotta, vi è spesso rimando agli<br />

Statuti medievali del <strong>Comune</strong> di Ferentino: si citano per scambio di<br />

informazioni di natura personale, professionale o patrimoniale.<br />

In particolare, nel Fondo del Buon Governo - sia nelle missive<br />

ricevute a Roma, sia nelle minute delle lettere spedite dal territorio<br />

della Città di Ferentino - le testimonianze statutarie hanno condotto<br />

la ricerca verso un tema preciso: la legittimità del pascolo nelle terre<br />

di confine e il caso di richiesta della cittadinanza per il pascolo, sempre<br />

in virtù dello Statuto ferentinese. Questo a dimostrare la centrali-<br />

1<br />

Statuta Civitatis Ferentini. Edizione critica del ms 89 della Biblioteca del<br />

Senato della Repubblica, a cura di M. Vendittelli, Roma 1988 (Miscellanea<br />

della Società romana di storia patria, 28), pp. XII-XXIII; M. Vendittelli,<br />

Gli Statuti di Ferentino, in Statuti e ricerca storica, Atti del convegno,<br />

Ferentino, 11-13 marzo 1988, Ferentino 1991, pp.77-85; C. Bianchi,<br />

Statutum Civitatis Ferentini, Roma 1984.


132<br />

Marco Di Cosmo<br />

tà degli Statuti come fonte dell’esercizio di diritti o doveri quotidiani<br />

del Popolo di Ferentino di Campagna.<br />

Dispute sulla legittimità del pascolo nelle terre di Ferentino<br />

Partendo dalla legittimità del pascolo, parleremo di alcuni casi in<br />

relazione alla normativa che regolava questa attività nel territorio di<br />

Ferentino. I casi, oltre a richiamare l’esistenza di cause relative alla<br />

legittimità del pascolo in questo comune, forniscono una diretta testimonianza<br />

dell’utilizzo dello Statuto come riferimento normativo,<br />

sebbene non unico, in questo tipo di controversie. Il caso preso in<br />

esame si pone all’interno di un secolare conflitto tra la comunità di<br />

Ferentino e i Padri Certosini di Trisulti, che liberamente conducevano<br />

le proprie bestie al pascolo, in terreni spesso vietati dalle norme<br />

statutarie locali. Il 23 agosto 1636 la Comunità di Ferentino scrive al<br />

Cardinale Barberino presentando un’istanza «perché li Padri Certosini<br />

in Trisulti non possino far pascere li loro bestiami in luoghi e in<br />

tempi proibiti, ammesso che il loro privilegio concesso da Martino V<br />

non contenga tal facoltà» 2 . Il fatto si scontra con le disposizioni statutarie<br />

che, secondo la Comunità, impediva invece ai Padri Certosini<br />

«di mandare li loro bestiami a pascere in quel territorio e in luoghi<br />

proibiti […] secondo il Statuto di detta città, confirmato dal Sommo<br />

Pontefice, et in particolare da Martino V» 3 . In questo caso le norme<br />

confliggevano, poiché se da un lato il Papa aveva concesso maggiori<br />

libertà ai Certosini, d’altro canto, spiegano ancora i Magistrati di<br />

Ferentino, le norme contenute nello Statuto, e approvate dallo stesso<br />

Martino V, contengono elementi che limitano tale libertà. Il riferimento,<br />

anche se indiretto, è al Libro Quarto dello Statuto concernente<br />

il danno dato, in particolare le Rubriche VII e IX 4 . Si legge ancora<br />

2<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 1562. Lettera della Comunità di<br />

Ferentino al Cardinale Barberino, in data 23 agosto 1636.<br />

3<br />

Ivi.<br />

4<br />

Statuta Civitatis Ferentini. Qui riprese negli aspetti più generali.<br />

«Liber Quartus, Rubrica VII. Quod bestiae grossae non intrent vineas


Dispute sulla legittimità del pascolo nelle terre di Ferentino<br />

133<br />

nella documentazione inviata dalla comunità di Ferentino alla Saneque<br />

hortos temporibus infrascriptis. Item statuimus, et ordinamus, quod<br />

si Bos, Bacca, Bubalus, Equus iumentum, mulus, seu asinus vel alia Animalia<br />

Grossa fuerint inventa in Vineis a Kalendis Martii, usque ad Festum<br />

Omnium Sanctorum, D.nus ipsarum bestiarum solvat vice qualibet pro<br />

qualibet bestia Sollidos II. Si vero a Festo Omnium Sanctorum, usque ad<br />

Kalendas Martii dicta Animalia inventa fuerint in dictis Vineis, vel damnum<br />

dederint in eis, solvat pro qualibet Bestia sol.II […] Et idem intelligatur<br />

in quolibet alio damno dato per quascumque bestias; Videlicet quod<br />

solvat Pastor pro persona sua sol.V ultra poenam bestiarum, si inventus<br />

fuerit esse praesens cum dictis bestiis tempore damni dati, et semper teneatur<br />

ad emendam damni in quolibet casuum praedictorum».<br />

«Liber Quartus. Rubrica IX. De bestiis grossis et minutis intrantibus in<br />

olivetis alienis. Item quod Bestiae grossae, et minutae non intrent aliquo<br />

tempore in olivetis alienis ad poenam II sollidorum pro qualibet bestia<br />

grossa; Et pro qualibet minuta Sollidum unum. Adijcimus, quod praedictae<br />

bestiae tempore Olivarum in dictis Olivetis intrare, vel morari non possint,<br />

nec debeant ad poenam praedictam. Si vero Pastor dictas Bestias studiose<br />

immiserit tempore quo sint ibi fructus olivarum maturarum, seu plantae<br />

olivarum, solvat poenam XX sol.ultra poenam bestiarum, et in omnibus<br />

praedictis casibus damnum emendet».<br />

Statuto di Ferentino, Libro IV, Rubrica VII, cfr. Gli Statuti medievali del<br />

<strong>Comune</strong> di Ferentino. Traduzione del testo del Codice 89 della Biblioteca<br />

del Senato della Repubblica, a cura della Sintesi Informazione, Roma<br />

1988, pp. 172-173. «Rubrica VII. Che le bestie di grosso taglio non entrino<br />

nelle vigne e negli orti nei periodi sotto indicati.<br />

Stabiliamo inoltre ed ordiniamo che, se un bue, una vacca, un bufalo, un<br />

cavallo, un giumento, un mulo, un asino o un altro animale di grosso taglio<br />

saranno trovati all’interno di vigne dall’inizio del mese di marzo fino<br />

alla festa di Ognissanti, il padrone delle stesse bestie paghi due soldi per<br />

ciascuna di esse, etc. […] E lo stesso si intenda in qualsiasi altro danno provocato<br />

da qualsiasi bestia, ossia che qualora il pastore fosse trovato con le<br />

dette bestie al momento del danno, oltre alla pena per gli animali paghi cinque<br />

soldi per la propria persona, e sia sempre tenuto a risarcire il danno».<br />

«Rubrica IX. Delle bestie di grosso e piccolo taglio che entrano negli oliveti<br />

altrui. Stabiliamo inoltre che le bestie di grosso e piccolo taglio non<br />

entrino mai negli oliveti altrui, pena il pagamento di due soldi per ciascun<br />

bestia di grosso taglio e di un soldo per ognuna di piccolo taglio. Ed aggiungiamo<br />

che le suddette bestie non possano né debbano mai entrare o so-


134<br />

Marco Di Cosmo<br />

cra Congregazione del Buongoverno che «Li Padri Certosini di S.<br />

Bartolomeo in Trisulti, ottennero Breve da Martino V, nel quale si<br />

li concede facoltà di poter fare pascolare in tutti li territori di città, e<br />

luoghi di campagna, con li loro Bestiami, et in particolare nelli luoghi<br />

selvatici, [...] senza pagamento alcuno» 5 . I padri certosini, forti<br />

del Breve emanato dal pontefice, hanno dunque «fatto pascere nel<br />

territorio di Ferentino, tanto nel selvatico, come nell’erbatico senza<br />

pagare cosa nessuna» 6 .<br />

La comunità di Ferentino, da un lato nega il fatto che il Breve<br />

possa consentire ai Padri Certosini di agire in tal senso, dall’altro sostiene<br />

che lo stesso Martino V, in altro Breve, approvando lo Statuto,<br />

imponesse anche ai monaci il rispetto delle norme, negando dunque<br />

la possibilità anche per essi di pascolare i propri animali nei terreni<br />

vietati dallo Statuto. Leggiamo infatti che, secondo la comunità di<br />

Ferentino, il Breve non contiene la possibilità che<br />

«detti Padri possino far pascere in luoghi proibiti, et in<br />

tempi proibiti, così si desidera, si fa istanza e supplica di non<br />

permettere che detti Padri faccino pascere nel detto territorio<br />

per l’avvenire come hanno fatto per il passato; ma nel modo e<br />

forma che è lecito alli cittadini, et ecclesiastici [...] come per la<br />

disposizione di quel statuto, per le seguenti ragioni» 7 .<br />

La Comunità di Ferentino si mobilita, dunque, affinché lo Statuto<br />

venga osservato anche dagli ecclesiastici, enumerando puntualmente<br />

le motivazioni. Il testo, oltre a richiedere l’osservanza delle norme<br />

statutarie anche da parte degli ecclesiastici, pone alcune questioni di<br />

‘civile convivenza’ all’interno della comunità, la cui economia sarebbe<br />

oltremodo gravata dalle concessioni di libero pascolo ai Padri<br />

stare nei detti oliveti, sotto la predetta pena. Qualora poi colui che conduce<br />

al pascolo le dette bestie ve le introdurrà volutamente nel periodo in cui vi<br />

sono le olive mature, paghi una pena di dieci soldi oltre a quanto dovuto<br />

per le bestie, ed in tutti i casi risarcisca il danno provocato».<br />

5<br />

BG, b. 1562. Lettera della Comunità di Ferentino al Cardinale Barberino,<br />

in data 23 agosto 1636.<br />

6<br />

Ivi.<br />

7<br />

Ivi.


Dispute sulla legittimità del pascolo nelle terre di Ferentino<br />

135<br />

Certosini. Si aggiungono ulteriore particolari: alcuni terreni agricoli<br />

erano tutelati non solo come proprietà di privati contadini, ma anche<br />

come terreni demaniali, all’interno dei quali i più bisognosi potevano<br />

approvvigionassi dei frutti dell’agricoltura, distrutti in questo<br />

caso dal pascolo degli animali. Infine, concludono i Magistrati di<br />

Ferentino, la concessione fatta ai Certosini nasceva dalla povertà di<br />

quest’ordine, che invece nel tempo, sostengono sempre i communisti,<br />

ha acquisito ricchezze e proprietà che superano i centomila<br />

scudi 8 .<br />

8<br />

Ivi. «Prima per essere stato di Statuto confirmato dalla Santa Sede Apostolica,<br />

e conceduto anco un Breve dallo istesso Martino V alla medesima<br />

Comunità (del quale se ne dà copia) per l’osservanza di detto statuto quale<br />

è stato sempre osservato come s’osserva tanto dalli detti cittadini quanto<br />

dalli ecclesiastici oltre che dalla S. Congregazione de bono regimini è stato<br />

dichiarato, che detti ecclesiastici faccino pascere, come fanno li Cittadini,<br />

il che devono ancor essi padri, come ecclesiastici osservare.<br />

2° che quando eglino non saranno sottoposti alle dette leggi municipali,<br />

così confirmati, ne seguiranno grandi absurdi [...] si li detti luoghi prohibiti<br />

detti padri faranno pascere con porci, et altri bestiami, la comunità<br />

non potrà fare ritratti dell’entrate suddette, nemmeno li cittadini, far rugni,<br />

piantar oliviti, et altro, mentre li garzoni delli stessi padri senza pena, e senza<br />

emenda scorrono tutto il territorio, cosa che non è conceduta all’istessi<br />

cittadini, ne ecclesiastici suddetti.<br />

3° è solito antico della detta comunità di riserbar un quarto del territorio<br />

sotto nome di Staffolo, affinchè nel tempo della spica le povere vedove,<br />

et altre persone mendichi possino andar ivi a ricoglierla nel quale quarto<br />

è prohibito di non poterci pascere, sotto pena di baiocchi 3 per morra di<br />

animali, e come si è sempre osservato, et osserva, ma non dai detti padri,<br />

ciò non ostante, mandarono i loro garzoni con truppa di animali porcini,<br />

et altri, e devastano ivi […] quella spica riserbata per povere, e miserabili<br />

persone, in evidentissimo danno di esse.<br />

4° e ultimo che sebene quella […]. li condusse a fare detta Concessione alli<br />

detti Padri sotto titolo e espressioni di povertà, cessata nondimeno d’oggi<br />

detta pretensa povertà, et facendo due castilli divenuti confinanti con il<br />

Territorio di essa Città oltre altri beni stabili, in diversi luoghi, si stima il<br />

loro havere ascendere sopra centomila scudi».


136<br />

Marco Di Cosmo<br />

Richiesta dell’annullamento di cittadinanza in virtù dello Statuto<br />

Del tutto particolare è una causa dibattuta presso la comunità di<br />

Ferentino, relativa al caso di un tale Benedetto Ciarapica, la cui richiesta<br />

di cittadinanza viene annullata proprio a seguito delle disposizioni<br />

statutarie. Nell’agosto 1635 la comunità di Ferentino scrive<br />

alla Sacra Congregazione del Buon Governo esponendo i fatti e<br />

presentando tale richiesta di annullamento. Il consiglio comunale,<br />

infatti, aveva in precedenza ammesso alla cittadinanza<br />

«Benedetto Ciarapica d’Alatri pecoraro, il quale non possiede<br />

cosa alcuna stabile nel territorio della Città di Ferentino:<br />

e tutto quello che ha lo possiede in Alatri, dove anco stabilisce<br />

li suoi affitti in non pagare la Colletta, che pagano li forestieri,<br />

che ritengono gli animali in detto territorio. Pretende la cittadinanza<br />

in vigore di un Consiglio nullamente fatto» 9 .<br />

La richiesta del Ciarapica, a quanto sembra, era del tutto pretestuosa,<br />

al fine di evitare la tassazione per il pascolo a cui erano sottoposti<br />

i forestieri, e non i cittadini di Ferentino.<br />

«Ma lo statuto di detta Città», si legge ancora nel fascicolo, dispone<br />

che<br />

«se alcuno vorrà giurare la cittadinanza, debbano il Podestà,<br />

et officiali vedere prima se ciò si fatti in fraude per non<br />

pagare le Collette, e in caso non sia da loro approvata non sia<br />

ammesso, ne liberato da pagamento alcuno. Onde non si puole<br />

negare, che il caso del Ciarapica è questo dello statuto, come<br />

apparisce dalle cose narrate, non havendo lui affetto alcuno,<br />

ma solo in fraudare il pagamento dei pascoli, e però vien giustamente<br />

reproverato dal podestà, et Officiali» 10 .<br />

Lo Statuto, infatti, chiarisce, nella Rubrica XXII, che il Podestà<br />

e gli ufficiali debbano valutare la possibilità di questo tipo di frodi<br />

e dunque riconoscere la cittadinanza solo dopo regolare delibera del<br />

consiglio. La comunità di Ferentino esprime anche perplessità sul<br />

9<br />

Ivi. La Comunità di Ferentino scrive al Buon Governo, in data 8 agosto<br />

1635.<br />

10<br />

Ivi.


Dispute sulla legittimità del pascolo nelle terre di Ferentino<br />

137<br />

regolare svolgimento di tale consiglio 11 . Tale irregolarità viene confermata<br />

in seconda battuta anche dal Governatore di Campagna, il<br />

quale dichiara nulla sia la delibera che la relativa richiesta di cittadinanza<br />

12 .<br />

La questione, come anticipato, richiama in maniera esplicita la<br />

rubrica XXII del libro primo dello Statuto di Ferentino, che abbiamo<br />

menzionato nei precedenti passaggi 13 .<br />

11<br />

Ivi: «Ne osta il preteso consiglio si perché non al consiglio ma al podestà,<br />

et officiali spetta tale accettazione, si anco perché è stato nullamente<br />

fatto per non essere preceduti li bandimenti e il sonar la campana al solito,<br />

e fu radunato casualmente.<br />

2° il Capo priore che lo convocò era il Cavalier Bagallai soccio maggiore<br />

di detto Ciarapica e però interessato, e suspetto […]<br />

3° Il Cons […] annullo questo Cons.o malamente fatto, et escluse Ciarapica<br />

dalla Cittadinanza […] e ciò il Cons.o lo poteva fare particolarmente<br />

che ancora res erat integra, poiché l’ Ad.o non ha mai giurato, ne è stato<br />

approvato d.o Potestà, et off.li […]».<br />

12<br />

Ivi: «Et tale resolutione fu poi confirmata anco da Mons. Gov. di Campagna<br />

che dichiarò nullo d. preteso cons. et ordinò che il Ciarapica pagasse<br />

come forastieri, […] alli quali decreti il d. Ciarapica si è aquietato, havendo<br />

di poi come forastiero affidato li suoi animali».<br />

13<br />

M. Vendittelli, Statuta Civitatis Ferentini, cit., pp. 26-27: «De Eo Qui<br />

Voluerit Iurare Citadinantiam In Civitate Ferentini. Rubrica XXII. Item<br />

statuimus ed ordinamus quod quicunque voluerit esse civis Ferentinas et in<br />

eadem civitate iura citadinantiam in pleno consilio iuramentum prestet sub<br />

his verbis expressum: . Qui,<br />

si stare et habitare voluerit in Ferentino, iurata citadinantia ut dictum est,<br />

sit liber, immunis et exemptus V annis immediate sequentibus a die prestiti<br />

iuramenti ab omnibus datis et collectis communis dicte civitatis impositis


138<br />

Marco Di Cosmo<br />

et imponendis, et, si a dicta civitate Ferentini recesserit, animo non redeundi,<br />

incidat in penam XXV librarum ipso facto communi applicandam. Et quia<br />

multi sunt qui causa non solvendi collectas iurant hanc citadinantiam ad<br />

tempus, volumus quod potestas et officiales in capite respiciant et videant<br />

atque considerent talem personam et causam que movet istum iurare<br />

citadinantiam collectarum, sit exemptus, aliter non. Et de tali exemptione<br />

et iure semper constet ex actis curie manu notarii causarum civilium dicti<br />

communis».<br />

Statuta civitatis Ferentini, cit., pp. 18-19. Statuto di Ferentino, Libro I,<br />

Rubrica XXII. «Di chi vorrà giurare la cittadinanza nella città di Ferentino.<br />

Stabiliamo inoltre ed ordiniamo che, chiunque vorrà diventare cittadino<br />

di Ferentino e giurare la cittadinanza, presti in pieno consiglio il seguente<br />

giuramento: .<br />

E se costui avrà voluto risiedere in Ferentino, una volta prestato tale giuramento,<br />

sia libero ed esente per i cinque anni successivi da tutte le tasse e<br />

le gabelle imposte ed imponibili dal comune; e, se si allontanerà dalla città<br />

con l’intenzione di non farvi più ritorno, incorra nella pena di venticinque<br />

libbre da corrispondere immediatamente al comune. E poiché sono molti<br />

quelli che prestano il giuramento della cittadinanza al fine di non pagare le<br />

imposte per un certo periodo di tempo, vogliamo che il podestà e gli ufficiali<br />

maggiori esaminino con attenzione colui che chiede la cittadinanza ed<br />

i motivi che lo spingono a tale giuramento, e solo se essi lo avranno esentato<br />

dal pagamento delle imposte, questi possa considerarsi effettivamente<br />

esente. E tale diritto di esenzione venga registrato agli atti della curia dal<br />

notaio addetto alle cause civili del comune».


Matteo Maccioni<br />

Lex locale e contenziosi ad Anticoli<br />

nel XVIII sec.<br />

I documenti selezionati per il comune di Anticoli di Campagna<br />

appartengono a una pratica conservata nell’Archivio di Stato di<br />

Roma, fondo della Congregazione del Buon Governo 1 . Nella lettera<br />

di Giovan Battista Filipponi Tenderini, vescovo di Anagni, racchiusa<br />

nel plico del 9 agosto 1770 - contenente anche un memoriale e altre<br />

lettere risalenti al 17 marzo 1770 - si discute dell’eccessivo numero di<br />

capi di bestiame presente sul territorio di Anticoli. Questo territorio<br />

ha subito numerosi e continui danni. Una parte della discussione<br />

verte sul rimedio escogitato dal Gran Conestabile Colonna, a cui<br />

spettano i proventi del danno dato: l’inasprimento delle pene, così da<br />

obbligare i vassalli a ridurre il numero degli animali e a tenerli fuori<br />

dal territorio. L’altra parte verte su un contenzioso tra la comunità di<br />

Anticoli e la famiglia Filetici 2 .<br />

Stando a quanto sostenuto dal vescovo di Anagni nell’epistola<br />

suddetta, l’accrescimento del numero degli animali ha comportato<br />

l’incremento della superficie di terreno sfruttato dall’agricoltura, la<br />

1<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 206.<br />

2<br />

I contenziosi familiari e personali rappresentano la realtà politica del<br />

tempo. Le frequenti e molteplici controversie che nascono all’interno del<br />

paese, che conta poco più di un migliaio di abitanti, caratterizzano la vita<br />

politica dello stesso. Per quanto concerne la famiglia Filetici sappiamo<br />

che questa ricopre incarichi importanti presso i Colonna e in Anticoli di<br />

Campagna, ricoprendo le cariche pubbliche non politiche e non “elettive”<br />

(luogotenente, sindaco, sindacatore, subaffittuario generale, grasciere) e<br />

influenzando le decisioni del consiglio ristretto. Sulla vita politica di Anticoli<br />

di Campagna nel XVIII secolo cfr. G. Giammaria, Società e <strong>Comune</strong><br />

in Anticoli tra 1740 e 1780, in Anticoli di Campagna (Fiuggi) alla metà del<br />

Settecento. La fondazione delle Maestre Pie, Atti del Convegno – Fiuggi,<br />

7-8 maggio 1988, Anagni 1989 (Biblioteca di Latium, 9), pp. 109-129.


140<br />

Matteo Maccioni<br />

quale ormai, all’interno dei limiti territoriali, è praticata ovunque ve ne<br />

sia la possibilità 3 . Che l’attività preminente all’interno del comune di<br />

Anticoli di Campagna fosse l’agricoltura è un dato desumibile anche<br />

dallo Statuto locale, nel quale mancano norme relative all’attività<br />

artigianale, mentre sono sanzionate quelle riguardanti i danni causati<br />

dal bestiame, a protezione dell’attività agricola 4 .<br />

Come è possibile notare nella copia manoscritta presente nella<br />

Biblioteca del Senato 5 , all’interno dello Statuto sono numerose le<br />

rubriche riguardanti i divieti di portare a pascolare gli animali in<br />

luoghi e periodi dell’anno prestabiliti. Il Liber primus si apre, dopo la<br />

tabula mercedis, con una serie di articoli non numerati anteposti alle<br />

rubriche che di norma lo compongono. Nell’indice del primo libro,<br />

posto alla carta 1r del codice, si ha una descrizione dei titoli delle<br />

rubriche, in cui sono elencate tutte quelle non numerate - non distinte<br />

in alcun modo l’una dall’altra all’interno del testo. Tra queste ve ne<br />

sono tre per noi particolarmente interessanti: a) Quod nullo tempore<br />

bestiae minutae possint pascere in Monte Com(munita)tis; b) Quod<br />

Bestiae Armenti non possint pascere in d(ict)o Monte à Kal(endis)<br />

Aprilis, usq(ue) ad Kal(endas) Novembris; c) Quod Bestiae Porcinae<br />

non possint demorari in Tenimento Anticoli per menses quinq(ue).<br />

Alle carte 10v-11r del codice si legge:<br />

«Statuimus, et ordinamus, quod in Monte Communis nullo<br />

tempore bestiae minutae possint in d(ict)o Monte pascere ad<br />

poenam decem solidorum per Truncum.<br />

Item statuimus, et ordinamus, quod in dicto monte à<br />

Kalendis Aprilis, usque ad Kalendas Novembris bestiae<br />

3<br />

BG, b. 206, memoriale del Vescovo Filipponi Tenderini al Buon Governo,<br />

9 agosto 1770: «e tanto più facile sono ad avvenire i danni, quanto che<br />

all’aumento degli Animali è succeduto l’accrescimento della Lavorazione<br />

in quel Territorio, di cui però rimane incolta quella sola parte, che veramente<br />

è per natura sua sterile ed infruttifera».<br />

4<br />

Cfr. G. Floridi, <strong>Storia</strong> di Fiuggi (Anticoli di Campagna): con documenti<br />

inediti e notizie sugli statuti anticolani, Guarcino 1979, pp. 387-388 e 422.<br />

5<br />

Roma, Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”, Collezione Statuti,<br />

segn. Statuti Mss 742, Liber Statutorum Terrae Anticoli.


Lex locale e contenziosi ad Anticoli nel XVIII sec.<br />

141<br />

armentitiae non possint pascere ad poenam duorum sollorum<br />

pro qualibet bestia. Placet Petrus Pevezze.<br />

Item statuimus, quod tenimento Castri Anticoli per menses<br />

quinque videlicet per mensem Maij, Iunij, Julij, Augusti, et<br />

Septembris bestiae porcinae non possint demorari, nec ab alijs<br />

detineri per supradictos menses ad poenam decem librarum<br />

denariorum per truncum vicequalibet fuerit accusatum, et<br />

similiter bestiae pecudinae non possint detineri, nec demorari, per<br />

menses sex, videlicet à Kalendis novembris, usque ad Kalendas<br />

Maij ad poenam praedictam. Placet Petrus Pevezze Gubernator<br />

Generalis Abbazia e Sublaci, et Anticoli in Campanea» 6 .<br />

Lo Statuto proibiva il pascolo delle bestie minute sul monte della<br />

comunità, pena 10 soldi per tronco, e allo stesso modo vietava il<br />

pascolo delle bestie armentizie su detto monte da aprile a novembre,<br />

pena due soldi per bestia. Ciò che più colpisce però è il divieto di<br />

“dimora” e/o “detenzione”, all’interno del territorio del castello di<br />

Anticoli, di maiali e pecore per un periodo di 5 mesi (da maggio a<br />

settembre) per motivi sanitari, a causa del caldo, per i primi e di 6<br />

mesi (da novembre a maggio) per le ultime, pena 10 libbre di denari<br />

per tronco, sempre per motivi sanitari.<br />

La materia del danno dato viene trattata nel secondo libro dello<br />

Statuto. Ivi sono circa una cinquantina le rubriche - e una trentina le<br />

carte - riguardanti i danni causati dagli animali 7 ai coltivi e le limitazioni<br />

delle aree dedicate al pascolo. Conformemente a quanto previsto dal<br />

sistema legale longobardo, imperniato, come quelli germanici, sulla<br />

composizione pecuniaria dei reati commessi, onde evitare faide e<br />

fatti sanguinosi, per il danno dato il diritto statutario non prevede mai<br />

l’arresto del colpevole, ma esclusivamente il risarcimento del danno<br />

e il pagamento in denaro di una multa. Essa varia a seconda della<br />

circostanza in cui il danno è stato arrecato: se con bestie “grosse”<br />

6<br />

Liber Statutorum Terrae Anticoli, cc. 10v-11r.<br />

7<br />

I danni arrecati da buoi, maiali, asini, cavalli e pecore sono trattati separatamente<br />

in rubriche dedicate appositamente ad ognuna di queste bestie.<br />

Ciò però non ha escluso, all’interno del secondo libro, la presenza di altre<br />

norme riguardanti le bestie minute in generale.


142<br />

Matteo Maccioni<br />

o “minute”, se a vigna o campo “pieno”. Per ognuna di queste pene<br />

vale il principio del raddoppiamento dell’ammenda nel caso in cui il<br />

reato viene commesso durante la notte.<br />

La pena non è assegnata esclusivamente in base alla quantità<br />

dei frutti rubati, o al deterioramento del bene causato dall’azione<br />

dannosa, ma anche per l’atto in se stesso, commesso dal fraudolento<br />

che ha cercato di appropriarsi o ha danneggiato, più o meno<br />

volontariamente, quel che egli non aveva faticato a produrre. Bisogna<br />

tenere a mente quello che è un principio proprio di tutte le comunità,<br />

e particolarmente di quelle a prevalente economia contadina: la<br />

proprietà è inviolabile, e qualsiasi prodotto appartiene al proprietario<br />

che lavora o fa lavorare la terra che è sua. La gravità di tali azioni<br />

dunque non è valutata tanto in rapporto al danno arrecato, quanto<br />

piuttosto al fatto di aver immesso bestiame a pascolare in un territorio<br />

o terreno privato, recintato, nel quale vi fosse un orto o una vigna.<br />

La casistica presente nel Liber Secundus riguardante i danni causati<br />

dai maiali è estremamente minuziosa e vasta. Fermando l’attenzione<br />

solamente su 2 rubriche ricaviamo questi dati sull’ammontare delle<br />

pene previste a fronte di danni:20 soldi per tronco (40 nel caso in cui<br />

siano maiali forestieri) nel caso in cui i maiali entrino e/o arrechino<br />

danni nei castagneti; 5 soldi se entrano “in vineam plenam”, ovvero<br />

in vigneti i cui tralci sono ricolmi di uva; 1 soldo se si tratta di orti<br />

o altri luoghi coltivati o seminati; 4 soldi se pascolano sul “Monte<br />

Anticoli” e oltre il medesimo monte, in luoghi coltivati; 5 soldi se<br />

entrano in campi “in Zaffrana tempore florum”, che si riducono a 2<br />

negli altri periodi. La pena per un tronco di maiali che arreca danno<br />

nei semenzai (vivai) o nei campi di frumento, fino alle calende di<br />

marzo, è di 10 soldi - mentre nei periodi immediatamente precedenti<br />

è di 24 soldi; 40 se il danno è causato scientemente; 20 per tronco<br />

se si danneggia un campo di grano e 10 nel caso in cui si danneggi<br />

un prato 8 .<br />

8<br />

Liber Statutorum Terrae Anticoli, cc. 54v-55rv: «De Porcis intrantibus<br />

per Castagneta, et Cerreta R(ubri)ca XXXV. Itèm Statuimus quod bestiae<br />

porcinae non intrent, nec damnum inferant in Castagnetis, seù Cerretis<br />

per Citis ubiq(ue) sinè licentia Domini ad poenam viginti sollidor(um)<br />

denarior(um) per trunchum, à truncho, verò infrà, in duobus sollidis prò


Lex locale e contenziosi ad Anticoli nel XVIII sec.<br />

143<br />

Tornando al problema dell’accrescimento del numero di animali<br />

nel territorio di Anticoli, il Gran Conestabile Colonna, barone del<br />

luogo e beneficiario dei proventi del danno dato, per porre rimedio<br />

alla situazione decide di pubblicare un editto che inasprisce le pene<br />

previste dallo Statuto, nel tentativo di portare i vassalli alla decisione<br />

di ridimensionare i propri armenti oppure di tenerli al di fuori del<br />

territorio. Questa risoluzione scatena le proteste dei cittadini, i quali<br />

muovono lite al Colonna e lo accusano di agire in favore del proprio<br />

tornaconto 9 .<br />

qualibet bestia puniatur. Si verò bestiae forenses intraverint in praedictis<br />

locis puniant(ur) per Trunchu(m) in sollis quatraginta. Si studiosè factum<br />

fuerit prò qualibet bestia in sollidis duo bus puniat(ur); tàm terrigena, quam<br />

forensis re. De eisdem R(ubri)ca XXXVI. Itèm statuimus quod Porci domestici,<br />

vel Campestris non intrent vineam plenam alienam, nec in eas<br />

inferant damnu(m) ad poenam quinq(ue) solidor(um) prò qualibet bestia,<br />

de aliis temporibus solidum unu(m)prò qualibet puniat(ur). Si verò fraginale;<br />

hortum, vel Cannepinam intraverint in sollu(m) unum prò qualibet<br />

puniat(ur). Si verò in aliis locis cultis, et seminatis intraverint in sollu(m)<br />

unum puniatur. Si in Monte Anticoli, et extrà ipsu(m) monte(m) in locis<br />

cultis in denarios quatuòr. Si verò in Zaffrana tempore flor(um) in solidos<br />

quinque puniat(ur). In aliis verò temporibus in sollidis duobus. Si verò<br />

Truncum in terris seminatis, èt segetibus damnu(m) dederint usq(ue) ad<br />

Xal(endas) Marzii in decèm sollidis puniat(ur) a dictis temporibus antea in<br />

viginti quatuor sollorum puniatur. Sed si studiosè factum fuerit in quatraginta<br />

sollidis puniat(ur), et damnu(m) emendet in quolibet casu, à Trunco<br />

verò infrà in sollidum mediu(m) pu(n)iat(ur) prò qualibet bestia. Si verò<br />

damnum dederit in Arcellis, et pignonibus, aut gregnis grani in viginti sollidis<br />

puniat(ur) per trunchum, à truncho infrà in sollid(us) unum puniat(ur)<br />

prò quolibet porco, et in quolibet casu damnu(m) emendet. Si verò in Prato<br />

damnu(m) dederint per trunchu(m) in decèm sollidis puniat(ur), à truncho<br />

infrà in solli(dum) unu(m) prò qualibet bestia».<br />

9<br />

BG, b. 206, memoriale del Vescovo Filipponi Tenderini al Buon Governo,<br />

9 agosto 1770: «Di che opportuno rimedio estimò poter essere il Barone del<br />

luogo Sig(no)r Contestabil Colonna, al quale privativamente spetta il Provento<br />

del danno dato, l’accrescerne, come fece, le pene, per così obbligare i<br />

vassalli o a diminuire il numero degli animali, o a tenerne porzione fuori di<br />

Territorio: Ma gravandosi di questo medesimo gli Anticolani, ne promosse-


144<br />

Matteo Maccioni<br />

Provvedimenti atti a ridurre il numero degli animali, in particolar<br />

modo degli “animali immondi” – i quali arrecavano «notabili danni<br />

alle Vigne, Seminati, Orti, et altri Beni di quel Terr(ito)rio» 10 , nel<br />

territorio di Anticoli di Campagna risalgono già all’inizio del XVIII<br />

secolo. La Sacra Congregazione del Buon Governo, ad esempio,<br />

ordinò al Vescovo di Anagni Giovanni Battista Bassi «di pubblicare<br />

un’Editto per l’espulsione degl’Animali immondi del Territorio<br />

della Com(uni)tà d’Anticoli, colla sola permissione di tenerne tre per<br />

casa, per uso proprio, sotto la pena stabilita dal Conseglio». L’editto<br />

doveva preoccuparsi di «provvede(re) alle pene, secondo la qualità<br />

dei danni» 11 , «d’imporre le pene per rimediare à tanti danni».<br />

Le lettere accluse al memoriale in cui viene presentato il<br />

contenzioso con la famiglia Filetici sono due, una non datata e<br />

l’altra risalente al 2 giugno 1770. In queste assistiamo a una serie di<br />

accuse rivolte alla famiglia Filetici, in particolar modo nei confronti<br />

di Francesco, luogotenente del feudo, il quale abuserebbe dei poteri<br />

derivanti dalla carica che ricopre, comportandosi come se fosse al di<br />

sopra della legge.<br />

Nella lettera del 2 giugno una delle accuse più pesanti che<br />

la comunità rivolge al Filetici e alla sua famiglia – tra le altre, e<br />

molte, che gli vengono rivolte ve ne è anche una riguardante i suoi<br />

garzoni, accusati di tagliare gli alberi posti nei confini del territorio<br />

causando dispendiose liti 12 - è quella di mantenere vigenti gli aggravi<br />

ro lite al d(ett)o Barone, quasi avesse ciò fatto a intendimento di avantaggiare<br />

il suo interesse, onde le pene si tornarono all’usate già per l’innanzi».<br />

10<br />

BG, b. 204, copia dell’«Editto sopra gl’Animali immondi» del vescovo<br />

di Anagni Giovanni Battista Bassi, 24 febbraio 1729.<br />

11<br />

Ivi, lettera del Vescovo Giovanni Battista Bassi al Buon Governo, 22<br />

marzo 1729.<br />

12<br />

BG, b. 206, supplica del Popolo della terra di Anticoli di Campagna al<br />

Buon Governo, 2 giugno 1770: «Non minori danni riceve quel Pubb(li)<br />

co ne corpi di Selve, e macchie, che vende per i pesi camerali, quali perche<br />

ritiene il Filetici in Affitto, i Garzoni di esso si fanno lecito incidere<br />

in quantità arbori fruttiferi impunemente, e quello sormonta ogni credere,<br />

tagliano arbori posti ne confini dell Territorio, dal che ne possono accadere<br />

stipendiose liti tra le Comunità. Non prezza avvisi, ne fa conto de Ricorsi,


Lex locale e contenziosi ad Anticoli nel XVIII sec.<br />

145<br />

delle pene previsti dall’editto emanato dal Colonna; nonostante vi<br />

sia un ordine proveniente direttamente dalla Sacra Congregazione<br />

del Buon Governo, la quale invita ad osservare le pene statutarie,<br />

il luogotenente Filetici viene accusato di continuare ad applicare<br />

arbitrariamente quanto stabilito dall’editto che invece, in quanto<br />

tale, ha valore temporaneo. Questo, infatti, era stato promulgato per<br />

porre un freno agli eccessivi danni che si verificavano nel territorio<br />

comunale 13 .<br />

L’accusa di tenere un comportamento al di sopra della legge, di<br />

poter spadroneggiare e restare impunito a causa dei suoi legami e<br />

delle sue manovre, non è nuova per il Filetici, come si può desumere<br />

da questa “lagnanza”:<br />

«Li Zelanti della Terra d’Anticoli O(rato)ri u(milissi)<br />

mi, e vassalli fedelissimi dell’E(ccellenza) V(ostra) con il<br />

dovuto ossequio le rappresentano, come fin da dieci anni in<br />

circa anno sempre rappresentato all’E(ccellenza).V(ostra).;<br />

che Fran(ce)sco Filetici si divorava q(ue)sta povera Com(uni)<br />

tà, e si succhiava il sangue de poveri, e de Benestanti, ma<br />

l’E(ccellenza) V(ostra) non ha potuto toccarlo mai con mani,<br />

perche gl’Uditori passati, e Gov(ernato)ri, à quali mandava<br />

per i quali, perche sa commettersene informazione a ministri del Principe,<br />

benche non gli riesca ingannar questo, pur troppo inganna quelli con regali,<br />

impegni, e trattamenti, essendogli riuscito far mutare l’Informazione e<br />

celare sue reità». L’accusa di compromettere la delimitazione dei confini<br />

territoriali con i comuni limitrofi è particolarmente grave. Il comune di Anticoli<br />

di Campagna è infatti stato impegnato in cause legate ai confini per<br />

lunghi anni nella prima metà del XVIII secolo, in particolar modo con la<br />

comunità di Trevi nel Lazio e con quella di Guarcino. La documentazione<br />

relativa a queste liti è conservata in BG, b. 205.<br />

13<br />

Ivi: «Guai per i Poveri se incorrono nel minimo danno, e particolarmente<br />

nei beni della Casa Filetici, benchè siasi ordine della Sagra Congregazione<br />

osservasi il solito delle pene statutarie, non si stima tal ordine, mà si osservano<br />

le pene comminate in un editto del Governatore, che ebbe incombenza<br />

raffrenare gli eccessivi danni, che si facevano dall’altri prima indotti dal<br />

mal esempio de Garzoni suddetti, ed ora sfacciatamente si fanno solamente<br />

da questi».


146<br />

Matteo Maccioni<br />

per Informazione tali ricorsi venivano lautam(ent)e trattati, e<br />

regalati dal d(ett)o Filetici affatto decotto, le rappresentavano<br />

tutto il contrario, e l’istesso accade ora col presente Gov(ernato)<br />

re, ed Uditore, li quali quantunque abbiano auto ord(in)e<br />

dall’E(ccellenza).V(ostra). che si eseguisse il m(anda)to contro<br />

il Filetici della somma di scudi mille, e più, non anno mai data<br />

esecuz(ion)e alcuna à tal’ordine, anzi per favorire il d(ett)o<br />

Filetici anno fatto comparire negl’atti di q(ue)sta Curia esser<br />

stato eseguito il m(anda)to contro del med(esim)o Filetici sopra<br />

trecento quaranta animali pecurini, e caprini, ed essere stati presi<br />

in deposito poi da un suo parente da Felettino anche persona<br />

quasi decotta, e fin’ora non è stato mai fatto alcun’altro atto; si<br />

dice dagl’o(rato)ri per favorire il Filetici in far tal’esecuzione<br />

sopra trecento quaranta animali percurini, e caprini, accio non<br />

possono gl’altri creditori farci l’esecuzione, che sono molti,<br />

sapendo di certo, che la Com(uni)tà burla, e non fa da vero, anzi<br />

se il nuovo Sindaco si moverà il Filetici come Luogotenente,<br />

e Consigliere gli ne farrà pentire per essere … ignorante, e<br />

persona timida; si che, se l’E(ccellenza) V(ostra) non rimoverà<br />

il Filetici da Luogotenente, e Consigliere si finirà divorare la<br />

povera Com(uni)tà ed allora non vi sarrà più rimedio, mentre<br />

tutti li suoi beni sono … da Censi, e da altri debiti anteriori.<br />

Tutto ciò si rappresenta all’E(ccellenza) V(ostra) accio si voglia<br />

degnare di porger rimedio à tanti danni, che si apportano dal<br />

Filetici à q(ue)sta Com(uni)tà ritrovandosi ora tutto il Popolo<br />

per Causa del med(esim)o soggetto à rappresaglie, con ordinare<br />

di nuovo à Gov(ernato)ri, ed Uditori, che faccino prestam(ent)e<br />

reintegrare la povera Com(uni)tà» 14 .<br />

La lagnanza non riporta la data, ma sappiamo che è stata ricevuta<br />

dal Governatore Bastari in data 18 novembre 1772. Come vi si<br />

legge, è da dieci anni, ovvero dal momento della sua nomina a<br />

14<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio<br />

Colonna (in seguito si citerà solo Colonna e la posizione), Affari di Anticoli<br />

di Campagna III A, Corrispondenza (1751-1780). Lagnanza delli Zelanti<br />

della terra di Anticoli di Campagna al Gran Contestabile Lorenzo Colonna,<br />

novembre 1772.


Lex locale e contenziosi ad Anticoli nel XVIII sec.<br />

147<br />

luogotenente, che la Comunità di Anticoli si lamenta degli abusi<br />

perpetrati dal Filetici in ambito e con appoggio politico, e di quelli<br />

in ambito civile 15 .<br />

15<br />

Faccio riferimento in particolare alla “querela criminale” presentata da<br />

Antonio Falconi l’11 ottobre 1757, in Colonna, Anticoli di Campagna III<br />

A, Corrispondenza (1731-1779), in cui si accusa il Filetici di aver attentato<br />

alla vita del querelante e di sua moglie: «Ieri doppo il pranzo uscij<br />

da Casa mia per andare à parlare ad un certo Capo Porcaro del Sig(no)r<br />

Paggi d’Anagni, quale trovai in Piazza nella bottegha d’un certo … Martino<br />

Calzolaro, fui, appena entrato, assaltato da Fran(ces)co Filetici con<br />

dirmi prima, se quando volevo ricoprire una mia stanza, à quali parole<br />

risposi, che quando ricopriva egli la sua, averei anche io ricoperta la mia,<br />

immediatam(ent)e mi s’avventò alla Vita con dirmi prima faccia di Cazzo,<br />

e poi senza alcuna dimore mi tirò due schiaffi alla faccia, e poi diede<br />

di mano ad un ferro di Calzolaro per levarmi la Vita, ma per grazia di<br />

Dio parò il d(ett)o … Martino, e poi corse altra gente che non li riuscì<br />

d’ammazzarmi, e corse anche mia moglie al fràcasso, il q(ua)le si fece<br />

lecito maltrattarla da puttana in publica Piazza, finito ciò assieme con mia<br />

moglie ritornandomi in Casa nell’atto, che volevo aprire la Casa mia mi<br />

sopraggiunse, e mi lanciò due colpi di Sassi ma per grazia di Dio uno solo<br />

mi ferì la testa senza essermi pericolo alcuno di vita, e fece cascare mia<br />

Moglie gravida grossa con una mia ragazzina, che si è fatto un po di male<br />

ad una guancia. Il fatto è appensato, mentre un mese fa in circa si milantò<br />

con Gio(vanni) Bat(tist)a Frate d’Anticoli volermi ..., e v’era p(rese)<br />

nte Dom(eni)co Raparelli, ed altre persone; Mesi prima con altre persone<br />

si è milantato levarmi la vita. Il Filetici è ripieno di delitti, pubblico bestemmiatore,<br />

e scandaloso. Il fatto è publico. La Casa Filetici da me altro<br />

non ha ricevuto, che servitù conforme farrò provare, altro dispiacere non<br />

puole avere auto, che nella fine di Giugno del corrente anno facendosi il<br />

conseglio li vantaggi della Casa Filetici, su q(ue)sto solo suppongo aver li<br />

med(esim)i con me qualche livore senza fondam(ent)o, c(om)e si spiegò<br />

due, o tre giorni doppo, con mia moglie, che trovò alla Cantina mia alla<br />

p(rese)nza di Ermigio Agnoli, Ant(oni)o Pitocco, ed altre persone, cioe<br />

due, o tre giorni doppo fatto il Conseglio, e mi minacciò. Dunque sopra un<br />

tal fatto appensato espongo avanti V(ostra) S(ignoria)Ill(ustrissi)ma querela<br />

criminale tanto à nome mio, che di mia moglie contro Fran(ces)co<br />

Filetici, che cerca levarmi la vita, ed onore, conf(orm)e ha tentato, ma per<br />

haiuto di Dio, e delle bone persone non gl’è riuscito, e che il med(esim)


148<br />

Matteo Maccioni<br />

È d’uopo precisare che il Filetici, insieme ad altri membri di<br />

potenti famiglie che ricoprono incarichi politici nella seconda metà<br />

del XVIII secolo, viene presentato in maniera più che positiva dai<br />

cittadini occupanti incarichi politicidi medio-alto profilo:<br />

«Richiedendomi V(ostra) E(ccellenza) un esatta<br />

Informazione, sull’abilità, e costumi delli Sogetti estratti per<br />

Officiali dell’Anno venturo, Fran[ces]co Filetici, Remigio<br />

Agnoli, e Dom(eni)co Attilli: m’accade riferirle, che tutti<br />

trè questi Sogetti sono lontani dà ogni eccezzione, giacché<br />

Francesco Filetici non solo è Notaro, mà anche Luocotenente<br />

di V(ostra) E(ccellenza), uno delle prime Fameglie, Civile, e<br />

benestante» 16 .<br />

La lettera non datata 17 , a cui segue l’informativa dell’Andretti del<br />

17 marzo 1770, ci mostra la popolazione di Anticoli far richiesta<br />

alla Sacra Congregazione del Buon Governo di annullare la vendita,<br />

fatta in favore di Francesco Filetici, di molti alberi di castagno caduti<br />

a causa del forte vento. Stando a quanto affermano gli appellanti,<br />

seguendo le norme statutarie questi alberi sarebbero spettati alla<br />

comunità, ma i consiglieri hanno provveduto alla vendita diretta<br />

al Filetici senza aver affisso gli editti di vendita e senza indire la<br />

consueta asta 18 . Tutto ciò consente alla comunità di richiedere<br />

l’annullamento della vendita e l’attuazione della pratica statutaria<br />

o non vengha assoluto senza mio consenso, e di mia moglie. Ora mi conviene<br />

starmene ritirato in casa mia per paura, e tralasciare i mei interessi,<br />

perchè essendo il med(esim)o Fra(nces)co Filetici persona discola, e senza<br />

timor di Dio che non m’abbia à levar la vita, però ricorro all’aiuto della<br />

giustizia, c(om)e spero V(ostra). S(ignoria). Ill(ustrissi)ma sia per amministrarmi,<br />

come sorta di raggione, e con farle u(milissi)ma riverenza mi<br />

dico U(milissi)mo, ed Obblig(atissi)mo Ser(vito)re Vero».<br />

16<br />

Colonna, Anticoli di Campagna III A, Corrispondenza (1751-1780), lettera<br />

del Governatore Arduino Antonio Fabrizii, 17 novembre 1762.<br />

17<br />

BG, b. 206. Supplica del Popolo della terra di Anticoli di Campagna al<br />

Buon Governo, senza data.<br />

18<br />

Ivi: «e quei Consiglieri senza far affiggere l’Editti di vendita, e in Anticoli,<br />

e ne luoghi convicini, e senza accendere la Candela per venderli al<br />

maggior Oblatore, gl’hanno venduti al Sig(no)r Francesco Filetici».


Lex locale e contenziosi ad Anticoli nel XVIII sec.<br />

149<br />

regolare per il procedimento di vendita.<br />

La risposta dell’Andretti al ricorso promosso dalla popolazione di<br />

Anticoli non si fa attendere e controbatte punto su punto le accuse.<br />

Il ricorso viene definito inconsistente in quanto Francesco Filetici e<br />

Baldassarre Alfonsi sono in possesso di un contratto di affitto «ad<br />

Novennium, fatto da quella Comm(unit)à con il placet di d(ett)a S.<br />

Cong(regazio)ne». L’Andretti scrive:<br />

«[…] frà gli altri patti apposti nei Capitoli, si legge, ed ha<br />

letto d(ett)o Gov(ernato)re nel Cap(itol)o 9, che volendo la<br />

d(ett)a Comm(uni)tà vendere, e far tagliare Alberi in quella<br />

Selva Communitativa, per accomodamento della med(esim)a,<br />

perché ogn’anno costuma, di far lo Spurgo, e si deputano<br />

dalla Comm(uni)tà sud(dett)a due Periti, ad effetto di stimarli,<br />

dandogli quel marco Communitativo, e prima d’effettuare la<br />

vendità ad Altri, è in obbligo di ricercare l’Aff(ittua)rio, se<br />

vole essere proferito à seconda del d(ett)o Capitolo convenuto,<br />

al prezzo stimato da d(ett)i Periti» 19 .<br />

Il contratto dunque prevede che, nel caso in cui la comunità decida<br />

di far tagliare o vendere gli alberi, questa ha il dovere di deputare<br />

due periti per determinarne il valore economico. Nell’eventualità<br />

in cui i cittadini abbiano bisogno del legname, l’affittuario, che<br />

ha diritto di prelazione sul legname caduto, deve venderglielo al<br />

prezzo fissato dai periti, «senza farci alcun mercimonio». L’Andretti<br />

afferma inoltre che, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso<br />

presentato dal popolo di Anticoli, la vendita di questi alberi non è<br />

mai stata sottoposta «ad accensione di Candela». Stando a quanto<br />

sostenuto da Andretti, il procedimento seguito nella vendita degli<br />

alberi di castagno alla famiglia Filetici è esattamente quello previsto<br />

nel contratto di affitto ad Novennium di cui beneficia Filetici 20 .<br />

19<br />

Ivi, informativa di Bartolomeo Andretti al Buon Governo, 17 marzo<br />

1770.<br />

20<br />

Ivi, informativa di Bartolomeo Andretti al Buon Governo, 17 marzo 1770:<br />

«[…] convocato quel Consiglio, fù ricercato il sud(dett)o aff(ittua)rio Filetici,<br />

prima di venderli ad altri, se voleva esser proferito, et il med(esim)o<br />

acconsentì, e li pagò il denaro, e s’obbligò, come si vede registrato in detto<br />

Consiglio, che in caso bisognassero Alberi à Paesani per loro usi, dovesse


150<br />

Matteo Maccioni<br />

dargli li al prezzo stimato da d(ett)i Periti, senza farci alcun mercimonio, e<br />

non s’è mai pratticato, come s’è raccolto da quei libri Com(unitati)vi, che<br />

la vendita di detti Alberi siasi posta ad accensione di Candela, sicchè stante<br />

le cose sudd(ett)e si conosca, che il sud(dett)o Ricorso è insossistente».


Sandro Notari<br />

Note introduttive allo studio degli statuti<br />

comunali di Anticoli in Campanea,<br />

odierna Fiuggi, del 1410<br />

Gli statuti del castello di Anticoli, odierna Fiuggi, non hanno<br />

conosciuto una grande fortuna storiografica. Ne segnalò l’esistenza<br />

nel 1880 Giovanni Battista De Rossi. Recatosi ad Anticoli «per<br />

giovarsi delle notissime acque salutari del fonte di Fiugi», il celebre<br />

archeologo della Roma cristiana rinvenne nell’archivio comunale<br />

due esemplari manoscritti degli statuti, dei quali non era stata fino ad<br />

allora «divulgata alcuna notizia». Dall’esame compiuto lo studioso<br />

trasse un breve saggio, comparso l’anno successivo nella rivista<br />

ufficiale dell’Accademia di conferenze storico-giuridiche 1 .<br />

Il De Rossi non è uno specialista di storia giuridica e non si prefigge<br />

di svolgere uno studio approfondito sugli statuti anticolani. Il suo<br />

intento è di richiamare sul loro contenuto l’attenzione degli «studiosi<br />

di siffatta classe di documenti giuridici» 2 . A suscitare il suo interesse<br />

1<br />

G.B. De Rossi, Gli statuti del <strong>Comune</strong> di Anticoli in Campagna con un<br />

atto inedito di Stefano Porcari, in Studi e documenti di storia e diritto, 2<br />

(1881), pp. 71-103, p. 71. Per sottolineare la rilevanza del ritrovamento<br />

l’Autore evidenzia l’assenza di riferimenti allo statuto anticolano nella recente<br />

Bibliografia degli statuti dei municipii italiani del Manzoni, pubblicata<br />

nel 1876. Per il profilo biografico e intellettuale del De Rossi mi limito<br />

a rinviare alla voce P. Vian, Giovanni Battista De Rossi, in Enciclopedia<br />

italiana di scienze, lettere e arti. Il contributo italiano alla storia del pensiero.<br />

Ottava appendice. <strong>Storia</strong> e politica, dir. scient. G. Galasso, Roma<br />

2013, pp. 437-442, e alla bibliografia ivi citata.<br />

2<br />

Il De Rossi fa esplicito riferimento al contributo dato allo studio degli<br />

statuti comunali nei «volumi della nostra società» da Camillo Re, editore<br />

degli statuti trecenteschi di Roma (p. 75). Re e De Rossi erano figure di<br />

spicco dell’Accademia di conferenze storico-giuridiche, l’istituto universitario<br />

pontificio di studi giuridici, fondato nel 1878, con sede a Roma in<br />

Palazzo Spada. Per gli indirizzi culturali, antipandettistici, di questo isti-


152<br />

Sandro Notari<br />

è soprattutto la scoperta di un «documento notabilissimo», ossia<br />

l’atto con cui Stefano Porcari approva nel 1448 alcune riforme allo<br />

statuto, nella veste di rettore generale della provincia di Campagna<br />

e Marittima 3 .<br />

La sommaria descrizione che egli fornisce dei due codici è ancóra<br />

oggi imprescindibile per ricostruire la tradizione manoscritta degli<br />

statuti anticolani. Se ne comprenderà a breve la ragione.<br />

Lo studioso romano descrive il primo e più antico dei due codici<br />

come un manoscritto membranaceo, in forma di quarto piccolo,<br />

acefalo delle prime nove carte e mutilo in fine, con perdita di testo.<br />

Vi è trascritta una copia degli statuti in lingua latina del castello di<br />

Anticoli nella redazione del 1410, con successive approvazioni e<br />

riforme. Egli data il manoscritto «di mano degli inizii in circa del<br />

secolo XVI» 4 .<br />

Il secondo esemplare è descritto come un manoscritto cartaceo,<br />

in forma di ottavo piccolo, «di mano del secolo XVII o della fine<br />

del XVI», che il De Rossi riconosce come una copia «scorretta»<br />

dell’altro esemplare, eseguita quando questo era integro. Il codice<br />

non ha subìto perdita di carte e il testo procede «di pari passo» con<br />

l’antigrafo, fino al punto in cui questo si interrompe 5 .<br />

tuto C. Fantappiè, Chiesa romana e modernità giuridica, I, L’edificazione<br />

del sistema canonistico (1563-1903), Milano 2008, pp. 233-245, 863-867.<br />

Sull’interesse dell’Accademia per la statutaria medievale romana, mi permetto<br />

di rinviare a S. Notari, Manoscritti statutari sulle due sponde del<br />

Tevere. Il <strong>Comune</strong> di popolo e gli statuta Urbis del Trecento tra storia e<br />

storiografia, in corso di stampa nella rivista Le carte e la <strong>Storia</strong>. Rivista di<br />

storia delle istituzioni.<br />

3<br />

Dell’incarico rettorale ricoperto nel 1448 dal Porcari, non si aveva fino ad<br />

allora notizia, a parte un accenno nel De Porcaria coniuratione, dove Leon<br />

Battista Alberti riferisce che papa Niccolò V inviò Stefano «in Hernicos…<br />

propraetorem habitusque in magistratu». Su questa vicenda, i cui profili<br />

istituzionali non sono ancóra del tutto chiari, e per tutti i riferimenti letterari<br />

e bibliografici, A. Modigliani, I Porcari: storie di una famiglia romana<br />

tra Medioevo e Rinascimento, Roma 1994, p. 61.<br />

4<br />

G. B. de Rossi, Gli statuti del <strong>Comune</strong> di Anticoli, cit., p. 71.<br />

5<br />

Ivi, p. 73.


Note introduttive allo studio degli statuti comunali di Anticoli in Campanea<br />

153<br />

I codici esaminati dal De Rossi contengono dunque due copie<br />

del XVI e XVII secolo degli statuti di Anticoli riformati nel 1410 6 .<br />

Essi sono gli unici testimoni conosciuti dell’età di vigenza, uno<br />

dipendente dall’altro, portatori del testo normativo del castrum<br />

ernico, il cui originale già allora era andato disperso 7 .<br />

I due esemplari sono analizzati alcuni anni dopo dall’ingegnere<br />

Augusto Statuti, membro della Società geologica italiana, accademico<br />

dei Nuovi Lincei pontifici. Lo Statuti in un ampio saggio del 1897,<br />

dedicato alle proprietà dell’acqua anticolana, pubblica il capitolo De<br />

fonte frugi, che contiene disposizioni riguardanti la protezione e la<br />

tutela del celebre fonte. Lo studioso riferisce inoltre dell’esistenza,<br />

presso l’Accademia romana di conferenze storico-giuridiche, di<br />

un’altra copia degli statuti di Anticoli, fatta eseguire per finalità<br />

erudita dal De Rossi 8 .<br />

6<br />

Per la fondamentale distinzione, non solo per finalità editoriali, tra testimoni<br />

di statuti dell’età di vigenza e semplici apografi, questi ultimi intesi<br />

quali «copie d’età o finalità erudita, mai quelle coeve al vigore dello statuto»,<br />

S. Caprioli, Per una convenzione sugli statuti, in Gli statuti cittadini.<br />

Criteri di edizione - Elaborazione informatica, Atti delle giornate di studio<br />

Ferentino, 20-21 maggio 1989, Centro di Studi internazionale “Giuseppe<br />

Ermini”, Ferentino 1991, pp. 117-124, p. 124 (apparso, corredato di note,<br />

anche in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio<br />

muratoriano, 95 (1989), pp. 311-322).<br />

7<br />

Il De Rossi congettura che il più antico dei due codici sia stato condotto<br />

sull’originale del 1410 («l’antico esemplare degli statuti era malconcio,<br />

quando ne fu ordinata la copia in pergamena circa un secolo dopo la loro<br />

promulgazione», Gli statuti del <strong>Comune</strong> di Anticoli, cit., p. 72). Alcuni studiosi<br />

che si sono in séguito occupati del tema hanno collegato la scomparsa<br />

di questo originale con la generali combustione del castello, alla quale accenna<br />

nel 1421 Martino V nel confermare agli homines di Anticoli le immunità<br />

fiscali riconosciute dal suo predecessore (A. Theiner, Codex diplomaticus<br />

dominii temporalis S. Sedis, Roma 1862, 3, pp. 271b-272b, n. 203<br />

[1421, giugno 6]). Tale ricostruzione confligge tuttavia con l’ipotesi del De<br />

Rossi appena illustrata, ipotesi assai plausibile, ancorché non verificabile.<br />

8<br />

Cfr. A. Statuti, Sull’acqua antilitiaca denominata di Fiuggi. Ulteriori<br />

notizie, rilievi e documenti storici, in Memorie della Pontificia Accademia<br />

dei Nuovi Lincei, 13 (1897), pp. 1-145. La descrizione dei due codici


154<br />

Sandro Notari<br />

I due codici anticolani furono consultati nel secondo decennio del<br />

nuovo secolo anche dal più noto studioso Oreste Tommasini, storico<br />

romano, senatore del Regno, al quale «riuscì di averli a studio» 9 .<br />

Nel corso del Novecento si perde traccia di entrambi gli esemplari<br />

dell’archivio comunale di Fiuggi. Giuliano Floridi, autore nel 1979<br />

del volume <strong>Storia</strong> di Fiuggi, ne lamenta la scomparsa. Questo Autore<br />

riferisce peraltro di aver preso visione di una copia seicentesca degli<br />

statuti, donata nel 1967 da certi proprietari privati all’allora Archivio<br />

storico comunale di Guarcino, località non distante da Fiuggi, copia<br />

andata anch’essa dispersa in breve giro di anni. È molto probabile<br />

che si trattasse del secondo codice, quello cartaceo, segnalato dal De<br />

Rossi 10 .<br />

anticolani è in parte debitrice di quella del De Rossi, ma l’accurata trascrizione<br />

del cap. XIV, De fonte frugi, del libro III, non lascia dubbi sulla loro<br />

diretta visione (ivi, pp. 25-31). L’ingegnere, che profeticamente consiglia<br />

«il <strong>Comune</strong> di Anticoli di tenersi ben caro l’originale», consultò la citata<br />

copia ottocentesca degli statuti anticolani, all’epoca conservata presso la<br />

«Società di Studj e documenti di <strong>Storia</strong> e Diritto» (ossia la citata Accademia<br />

pontificia), eseguita nel 1880 «per cura e sotto la direzione del … fu<br />

Comm. Gio. Batt. De Rossi che anche in paleografia era maestro» (ivi, p.<br />

31, e n. 2). Il rinvenimento di questo tardo apografo gioverebbe ad un’edizione<br />

critica degli statuta, se – come è lecito supporre – esso fu condotto<br />

sul codice statutario più antico, ora andato perduto (su ciò, ampiamente<br />

infra). Nel saggio del 1909 Sopra un codice Vaticano Latino contenente<br />

una illustrazione inedita del secolo sull’acqua di Anticoli-Campagna denominata<br />

di Fiuggi, apparso nella stessa collana di memorie accademiche<br />

(n. 27, pp. 375-441), lo Statuti tornò a occuparsi degli statuti anticolani,<br />

confermando l’esistenza dei due codici (lo statuto, afferma, «si conserva<br />

ancora in doppio esemplare l’uno in pergamena e l’altro cartaceo, nell’Archivio<br />

Comunale di Anticoli)» e trascrivendo un altro capitolo (p. 422).<br />

9<br />

O. Tommasini, Stefano Porcari rettore di Campagna e Marittima, in Rendiconti<br />

della Reale Accademia dei Lincei. Classe di scienze sociali, storiche<br />

e filologiche, serie V, 27 (1918), pp. 390-391. Lo studioso ottenne i<br />

codici grazie all’intercessione del collega senatore Giacomo Balestra, già<br />

deputato di Anagni. La sua Memoria appare ingiustificatamente demolitoria<br />

del saggio del De Rossi.<br />

10<br />

Il Floridi riferisce che dopo il rinvenimento, di cui si ascrive il merito, e


Note introduttive allo studio degli statuti comunali di Anticoli in Campanea<br />

155<br />

Il Floridi dedica un’ampia sezione del suo libro all’analisi degli<br />

statuti, affidandosi ad appunti presi sul codice avuto per qualche<br />

tempo a disposizione e a un rubricario ottocentesco, conservato<br />

nell’archivio guarcinate 11 . Non era agevole ricostruire, in assenza del<br />

testo, il contenuto dei capitoli statutari. L’Autore cercò di sopperire<br />

attraverso confronti con statuti di comunità limitrofe, ma lo studio<br />

presenta, come è inevitabile, diverse mende, alcune delle quali<br />

alterano il profilo istituzionale del comune anticolano delineato dagli<br />

statuti 12 .<br />

la donazione all’Archivio, «allo stato attuale, sembra che anche il codice<br />

cartaceo debba ritenersi smarrito»: G. Floridi, <strong>Storia</strong> di Fiuggi (Anticoli di<br />

Campagna). Con documenti inediti e notizie sugli statuti anticolani, Guarcino<br />

1979, pp. 374-375 e 413. Della sparizione l’Autore aveva già riferito<br />

in un convegno del 1973, ponendo in risalto l’importanza del manoscritto<br />

disperso, «accresciuta dal fatto che di esso non si conoscono altre copie,<br />

nonostante ampie ricerche presso l’Archivio di Stato di Roma e la Biblioteca<br />

del Senato» (Gli statuti di Anticoli di Campagna, in Luoghi e personaggi<br />

di Cioceria, t. II, Atti del IV Convegno del Centro di Studi Storici<br />

Ciociari, Guarcino 13 novembre 1973, Frosinone 1974, p. 56).<br />

11<br />

Il manoscritto, col rubricario del sec. XIX, è conservato a Guarcino, nella<br />

Sezione di Archivio di Stato, collezione statuti, n. 6. Reca il titolo Statutorum<br />

terrae Anticoli in Campanea apud Hernicos rubricarum compendium<br />

et poenarum reformationes de damno dato. Il Floridi si avvale anche degli<br />

appunti presi sui due manoscritti anticolani da Henry (Enrico) Stevenson<br />

junior, allievo del De Rossi, e dal noto studioso anagnino Raffaele Ambrosi<br />

de Magistris.<br />

12<br />

Ad esempio, il Floridi non riconosce l’ampiezza delle prerogative di autogoverno<br />

e giurisdizionali conservate dall’universitas castellana, che al<br />

momento dell’approvazione dello statuto, nel 1410, era soggetta al dominio<br />

diretto della Camera Apostolica e non ancóra insignorita dalla famiglia<br />

Colonna. Ritiene l’Autore che «le più importanti peculiarità dello Statuto<br />

Anticolano scaturiscono dalla circostanza che è proprio di una terra concessa<br />

spesso dalla Camera Apostolica a titolo vicariale, enfiteutico e feudale<br />

al pari di Vico, comunità anch’essa soggetta ai Colonna ed a differenza<br />

di Alatri, Anagni Guarcino, Ferentino, Veroli e Trevi che, invece, furono<br />

liberi comuni, cioè godettero di maggiori autonomie» (<strong>Storia</strong> di Fiuggi,<br />

cit., p. 384; nello stesso senso, con lievi variazioni, già in Gli statuti di An-


156<br />

Sandro Notari<br />

Nel frattempo, all’insaputa del Floridi, un manoscritto cartaceo<br />

degli statuti faceva ingresso nella collezione del Senato della<br />

Repubblica 13 . La visione diretta di questo manoscritto conferma<br />

l’ipotesi della perfetta corrispondenza con quello descritto dal De<br />

Rossi, ipotesi formulata nel 1993 dagli autori del repertorio degli<br />

statuti laziali, pubblicato a cura del Gruppo di ricerca “Guido<br />

Cervati”, dell’Università LUISS di Roma 14 .<br />

Da questo manoscritto, che reca la data di ingresso nella collezione<br />

del 28 gennaio 1972, inspiegabilmente trascurato fino ad oggi dalla<br />

storiografia statutaria, è opportuno ripartire per riprendere – per molti<br />

aspetti intraprendere ex novo – lo studio degli statuti di Anticoli, che<br />

presentano aspetti di sicuro interesse storico-giuridico e caratteri di<br />

originalità, rimasti sino ad oggi oscuri 15 .<br />

ticoli di Campagna, cit., p. 58). Riprendono questa vulgata anche recenti<br />

pubblicazioni locali, dedicate alla storia di Anticoli.<br />

13<br />

Biblioteca del Senato, Liber statutorum terrae Anticoli, statuti mss, 742<br />

(sed, seguendo la denominazione dell’incipit del libro primo, BS, Statuta<br />

terrae Anticuli in Campanea). La forma Anticulum/i, ampiamente attestata<br />

nella documentazione medievale, si fa preferire a quella Anticoli, della<br />

copia del XVII secolo. Il vocalismo di ŭ in o è forse da ascrivere all’incerta<br />

mano del copista seicentesco, autore dell’unico testimone attualmente<br />

reperibile.<br />

14<br />

Cfr. la scheda dedicata al ms. 742 della Biblioteca del Senato in Statuti<br />

cittadini, rurali e castrensi del Lazio. Repertorio (secoli XII-XIX), ricerca<br />

diretta da Paolo Ungari, Roma 1993, ed. provv., pp. 24-25 (Pubblicazioni<br />

del Gruppo di ricerca sugli usi civici e gli statuti del Lazio ‘Guido Cervati’-<br />

LUISS, Roma, 2). Chi scrive segnalò la presenza del ms. nella collezione<br />

della biblioteca del Senato anche in S. Notari, Per una geografia<br />

statutaria del Lazio: il rubricario degli statuti comunali della provincia<br />

di Campagna, in Le comunità rurali e i loro statuti (secoli XII-XV), Atti<br />

dell’VIII convegno del Comitato Italiano per gli studi e le edizioni delle<br />

fonti normative, Viterbo, 30 maggio-1 giugno 2002, in Rivista storica del<br />

Lazio, 13-14 (2005-2006), 21-22, a cura di A. Cortonesi e F. Viola: II,<br />

pp. 25-92: p. 53, nt. 57; nel censimento cronologico degli Statuti ed altri<br />

testi normativi della provincia storica di Campagna: lo statuto anticolano<br />

è quarto per antichità tra quelli databili (ivi, Appendice 2, p. 82).<br />

15<br />

Appare a questo proposito quanto mai opportuna l’iniziativa che l’ammi-


Note introduttive allo studio degli statuti comunali di Anticoli in Campanea<br />

157<br />

nistrazione comunale di Fiuggi intende promuovere, di un’edizione degli<br />

statuti del 1410 da affidare alla supervisione scientifica dell’Istituto di storia<br />

e di arte del Lazio meridionale di Anagni. Ciò consentirebbe di offrire a<br />

un pubblico più vasto l’opportunità di studiare la legislazione statutaria del<br />

castrum Anticuli, rimasta troppo a lungo celata alla comunità scientifica e<br />

a tutti gli interessati.


Marco Di Cosmo<br />

Il prezzo della carne a Giuliano<br />

e l’antico statuto<br />

Introduzione<br />

Di grande interesse per l’ambito della ricerca è il caso di<br />

Giuliano di Roma. La ricostruzione della vicenda è particolarmente<br />

interessante sia perché è testimonianza sociale del fermento del<br />

comune giulianese nelle questioni che coinvolgevano la comunità<br />

in maniera diretta, ma soprattutto perché ci rende inequivocabili<br />

attestazioni dell’antico Statuto comunale, oggi scomparso, che è qui<br />

richiamato con insistenza come riferimento normativo.<br />

La disputa, infatti, coinvolge la comunità locale e l’affittuario del<br />

macello, richiamando a dirimere la controversia l’eccellentissimo<br />

Principe Colonna, e manifestando, in caso di mancato intervento, la<br />

determinazione della comunità giulianese a ricorrere anche ad altri<br />

tribunali.<br />

Mancando una copia conservata dell’antico Statuto giulianese, il<br />

materiale più interessante preso in esame per questa ricerca appartiene<br />

al fondo Colonna dell’omonimo archivio, presso la Biblioteca del<br />

monumento nazionale di S. Scolastica, a Subiaco.<br />

La causa sul prezzo della carne in Giuliano<br />

La vicenda, come anticipato, riguarda nel dettaglio la causa<br />

tra il comune di Giuliano e l’affittuario del macello, Virginio<br />

Bompiani. Il ruolo dell’affittuario, all’interno dell’ordinamento<br />

cittadino, prevedeva la concessione del macello da parte del<br />

comune ad un privato, che poteva mettere in vendita gli animali<br />

macellati ai prezzi concordati con le singole amministrazioni.<br />

I problemi più frequenti, se non in caso di mancati rifornimenti,<br />

riguardavano allora proprio i prezzi di vendita, che non potevano


160<br />

Marco Di Cosmo<br />

essere modificati senza una procedura amministrativa differenziata<br />

all’interno dei singoli comuni.<br />

Nel 1793 la comunità di Giuliano è quindi in agitazione per gli<br />

aumenti sul prezzo della carne operati dall’affittuario Bompiani.<br />

Per questo motivo si rivolge in prima battuta al Principe Colonna,<br />

poiché mai, come si legge nel memoriale allegato al caso, la casata<br />

Colonna ha avuto «motivo in tanti secoli di dolersi di cosa alcuna<br />

sulle operazioni del popolo di Giuliano» 1 .<br />

Invece, in quei giorni, la popolazione è particolarmente turbata<br />

dall’aumento del prezzo operato dal Bompiani, affittuario, al tempo,<br />

del macello comunale. La carne, ricorda ancora il memoriale, è stata<br />

sempre regolata, nel comune di Giuliano, con il medesimo prezzo,<br />

e si specifica che, secondo l’antico statuto, «il castrato, l’agnello,<br />

la vitella e il porco venivano venduti a 11 quatrini la libbra. Le<br />

carni meno pregiate invece, a 8 quatrini, compresa anche la carne di<br />

vaccina» 2 . Ciò che più conta è che mai, per la comunità di Giuliano,<br />

sia stato variato questo prezzo da parte degli affittuari.<br />

Il riferimento storico e normativo di tale certezza deriva allora<br />

proprio dallo Statuto, che viene esplicitamente chiamato in causa nel<br />

memoriale, per chiarire che il prezzo «sempre tale sia stato […] dallo<br />

statuto formato nel 1537 e pienamente approvato dall’Eccellentissima<br />

Principessa Aragona Colonna, sulla data di Civita Lavinia» 3 .<br />

Lo statuto disponeva dunque che nel macello «si debbano vendere<br />

carni buone e recipienti al prezzo convenuto dalla comunità e per<br />

essa dai superstiti siano rappresentati come dalla copia autentica che<br />

si umilia in lettera A» 4 .<br />

Le carni recipienti, letteralmente “accettabili”, potevano essere<br />

messere in vendita ai prezzi stabiliti dallo Statuto comunale, e<br />

dunque convenuti con la comunità tramite i superstiti, ovvero gli<br />

1<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio<br />

Colonna, Affari di Giuliano III B, Protocolli Legali. Memoriale del<br />

Servo e vassallo Rotilio Canonico Felici, anno 1793.<br />

2<br />

Ivi.<br />

3<br />

Ivi.<br />

4<br />

Ivi.


Il prezzo della carne a Giuliano e l’antico statuto<br />

161<br />

apprezzatori, coloro che letteralmente mettevano i prezzi sulla carne,<br />

valutando anche i danni dati, arrecati da persone o animali.<br />

Il passaggio è di grande importanza poiché testimonia in maniera<br />

esplicita l’esistenza di uno Statuto per il <strong>Comune</strong> di Giuliano, il suo<br />

utilizzo più o meno regolare nelle pratiche quotidiane, e l’esistenza di<br />

organi specifici che stabilivano i prezzi delle merci, come accadeva<br />

in tutti i Comuni.<br />

Purtroppo, come detto, non conserviamo copia di questo Statuto,<br />

ma l’allegato della causa alla lettera “A” ci fornisce un estratto del<br />

capitolo relativo al prezzo della carne, trascritto nell’occasione dalla<br />

copia autentica del 1537.<br />

Il caso è ad ogni modo interessante per la ricostruzione storica e<br />

sociale del paese, e dei rapporti locali con il principato dei Colonna 5 .<br />

La Comunità di Giuliano è decisamente determinata nel difendere i<br />

propri interessi e, dichiarando che il prezzo della carne in Giuliano<br />

non viene modificato da tre secoli, ricostruisce in maniera precisa<br />

le ultime disposizioni in materia, tenendo sempre a mente le<br />

disposizioni statutarie.<br />

I precedenti su un aumento della carne, infatti, sono pochi e<br />

circoscritti a circostanze particolari. Se già nel 1745 il prezzo<br />

dell’agnello fu aumentato per la stagione della Pasqua, ciò che più<br />

è importante è ricordare che soltanto il pubblico consiglio, dietro<br />

pubblica decisione, poteva prendere questo provvedimento, e proprio<br />

in osservanza allo Statuto locale 6 . In anni successivi altri aumenti si<br />

verificarono, con particolari riserve, e sempre attraverso la decisione<br />

del pubblico consiglio. In ultimo si ricorda che, se nel 1766 un altro<br />

affittuario fece il medesimo tentativo di accrescere il prezzo della<br />

carne, egli non ricorse ai Colonna, ma presentò tale proposta al<br />

5<br />

Ivi. In questo senso una lettera della comunità di Giuliano, che risale<br />

al 1793, al Principe Colonna, in cui esplicita che l’accordo ha sempre riguardato<br />

la famiglia e il popolo di Giuliano, più volte «è stato frastornato<br />

dall’insaziabile avidità dei temporanei affittuari. Le innovazioni dei medesimi<br />

hanno sempre partorito profitto a se stessi [...] e danno al popolo<br />

vassallo».<br />

6<br />

Ivi, Allegato B. Copia di memoriale del Pubblico Consiglio di Giuliano,<br />

datato 2 maggio 1745.


162<br />

Marco Di Cosmo<br />

pubblico consiglio che deliberò tale aumento come ingiustificato 7 .<br />

Né il Principe dunque, né soprattutto l’affittuario hanno mai<br />

modificato il prezzo della carne in Giuliano, per cui l’aumento, in<br />

casi del tutto eccezionali, si è verificato soltanto attraverso il pubblico<br />

consiglio «che ne dimostra il libero, e pieno possesso dell’inveterata<br />

consuetudine, e libertà» 8 .<br />

In ultimo, lo Statuto di Giuliano viene citato nel memoriale in<br />

opposizione ad altri paesi, quali Ripi, Pofi e Ceccano, nei quali il<br />

codice prevede diversa normativa, e per cui un aumento si rendeva<br />

invece applicabile.<br />

Per quanto riguarda la carne in Giuliano viene pregato<br />

l’Eccellentissimo Principe Colonna che essa debba vendersi non<br />

più all’antico prezzo di 11 quattrini, ma a 12, cercando così un<br />

compromesso che possa soddisfare le richieste dei cittadini e allo<br />

stesso tempo «reprimere l’orgoglio e avidità somma degli affittuari,<br />

che mai si contentano dell’onesto» 9 .<br />

Nella copia contenuta all’interno del fascicolo è riportato il solo<br />

Capitolo VIII dello Statuto nella lingua latina, che qui trascriviamo.<br />

Cap. VIII dello Statuto.<br />

«Fidem facio per praesentes Ego infrascriptus Notarius et<br />

Secretarius Comunitatis Terrae Iuliani, Ferentinae Diocesis<br />

7<br />

Ivi, Allegato F. Copia del memoriale del Pubblico Consiglio del 30 aprile<br />

1766 , «non alla Casa Eccellentissima Colonna, che dà l’affitto modum<br />

unius, ma bensì alla sua comunità, o sia pubblico consiglio il quale credette<br />

ben di non accordargli l’accrescimento richiesto, ed in sequela fu egli<br />

costretto di venderla al solito antico prezzo».<br />

8<br />

Ivi.<br />

9<br />

Ivi, Allegato K. Copia di memoriale del Pubblico Consiglio, data presumibile<br />

1793, in cui si specifica che l’affittuario Bompiani aveva fissato il<br />

prezzo della carne a 15 quattrini la libbra, e non più a 12 come da consuetudine<br />

e dopo le modifiche dei riferimenti statutari del 1537. Ancora, che la<br />

carne vada venduta «da oggi in appresso non all’antico prezzo di quatrini<br />

11 la libbra, ma bensì a 12 e un tale ordine servirà a ricomporre gli animi<br />

degli afflitti vassalli, per la pace e concordia verso il loro principe e per<br />

reprimere l’orgoglio e avidità somma degli affittuari, che mai si contentano<br />

dell’onesto».


Il prezzo della carne a Giuliano e l’antico statuto<br />

163<br />

in Campanea qualiter inter alias Constitutiones Statutarias,<br />

que vim Legis Municipalis habent in praedicta Terra Iuliani,<br />

confectas, et approbatas per Illustrissimam et Excellentissimam<br />

Dominam Johannam Aragoniam Columna sub datum Castri<br />

Civitas Laviniae die 17 mensis Martii 1537 adest ut sequitur,<br />

videlicet».<br />

«De Macello et Carnibus vendendis».<br />

CAP VIII<br />

«Statuimus et ordinamus, quod Macellarius, qui acceperit<br />

macellum in Terra Iuliani, debeat macellare carnes recipientes,<br />

et non infectas, nec Lupatitias, et illas vendere illo proetio,<br />

quod Conventum fuerit cum Communitate, vel quod fuerit<br />

impositum per Superstites, nec debeat vendere unam Carnem<br />

pro alia, et unicuique debeat dare justum pondus, et qui<br />

contrafecerit puniatur in soldis quadraginta».<br />

«Sequitur approbatio»<br />

«Capitula statutorum huius quarti libri placent; ideo ea<br />

concedimus, approbamus, ac confirmamus, in usu esse et<br />

observari volumus, et mandamus: Datum in Castro nostro<br />

Civitae Laviniae 17 Martij 1537<br />

Johanna Aragonia Columna manu propria» 10 .<br />

In merito alla controversia di cui si è trattato, così dunque recita<br />

lo statuto a proposito dei regolamenti sulle carni:<br />

CAP. VIII<br />

«Stabiliamo e ordiniamo, che l’affittuario del macello in<br />

Giuliano debba macellare carni recipienti e non infette, né<br />

lupatizie, e venderle a quel prezzo che fu convenuto con la<br />

comunità o che fu lasciato ai posteri, né si debba vendere una<br />

carne per l’altra, e si debba dare il giusto peso e chi contravviene<br />

sia punito con soldi quaranta».<br />

L’estratto dallo statuto, oltre a darci delle indicazioni di carattere<br />

storico, come la datazione dello stesso al 1537 per mano di Giovanna<br />

d’Aragona, fornisce ulteriori dettagli in merito alla causa sul prezzo<br />

delle carni. Lo statuto proibisce infatti la vendita, come si legge<br />

10<br />

Ivi, Allegato A.


164<br />

Marco Di Cosmo<br />

nell’estratto, delle carni infette e lupatizie, letteralmente carni morse<br />

dai lupi e dunque non commerciabili. Ancor più importante, nello<br />

stabilire le modalità di vendita e macellazione, lo statuto disponeva<br />

che il prezzo della carne doveva essere «concordato» con la comunità,<br />

per cui ogni affittuario, come ricordato dalla comunità giulianese,<br />

doveva effettivamente adeguarsi ai prezzi convenuti attraverso i<br />

pubblici consigli.


Matteo Maccioni<br />

“Minorare il numero troppo eccedente de Consiglierj”:<br />

la riforma dell’adunanza consiliare a Morolo<br />

I documenti presi in esame per il comune di Morolo provengono<br />

dal fondo dell’Archivio Colonna – sito in Subiaco nella Biblioteca<br />

del Monastero di Santa Scolastica – e appartengono alle carte<br />

riguardanti gli affari dei feudi della famiglia Colonna, nello specifico<br />

al settore della Corrispondenza 1 . Lo scambio epistolare tra il sindaco<br />

e gli ufficiali della comunità di Morolo, da una parte, e il luogotenente<br />

del feudo e il Gran Conestabile Filippo Colonna, dall’altra, riguarda<br />

la richiesta di proibizione e abolizione del Consiglio popolare della<br />

comunità di Morolo e la convocazione, la formazione e composizione<br />

che deve assumere il nuovo Consiglio, ristretto a trenta persone.<br />

L’arco temporale coperto da questi documenti è di quattro mesi,<br />

ovvero da gennaio a aprile 1783.<br />

Con la lettera firmata da Filippo Colonna, e datata 21 febbraio<br />

1783, si decreta la proibizione e l’abolizione dell’antica composizione<br />

del Consiglio popolare, all’interno del quale le risoluzioni<br />

consiliari venivano prese «più per forza di partito che per zelo della<br />

Communità» 2 , e si tracciano le linee guida per la formazione di un<br />

nuovo Consiglio di trenta persone «di qualche abilità» 3 , capaci e utili<br />

alla comunità, suddiviso in due classi: quella dei “Sindeci”, composta<br />

da dieci persone, e quella degli “Ufficiali”, di 20 persone. A queste<br />

due classi se ne aggiunge una terza, chiamata degli “Spicciolati”,<br />

formata esclusivamente da contadini. Compito del nuovo consiglio<br />

è regolare e riformare gli interessi e gli affari della Comunità. Il<br />

1<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio<br />

Colonna (in seguito si citerà solo Colonna e la posizione), Morolo III LB,<br />

Corrispondenza (1778-1795).<br />

2<br />

Colonna, Morolo III LB, Corrispondenza (1778-1795), risoluzione di Filippo<br />

Colonna al Governatore, 21 febbraio 1783.<br />

3<br />

Ivi.


166<br />

Matteo Maccioni<br />

primo novembre di ogni anno vengono estratte a sorte tre persone,<br />

una appartenente alla classe dei “sindeci” e due alla classe degli<br />

“ufficiali”: gli estratti, nel caso in cui ottengano l’approvazione<br />

del Governatore e del Gran Conestabile, ricopriranno la carica di<br />

magistrato nell’anno successivo. Ciò non avverrà automaticamente<br />

ma le persone sono soggette all’approvazione del principe 4<br />

All’interno della copia dello Statuto di Morolo da me presa in<br />

esame, datata 1610, non vi sono norme riguardanti la composizione<br />

del Consiglio. Solamente in due articoli del primo libro dello<br />

Statuto si fa riferimento al Consiglio: nel VII, in cui viene intimato<br />

ai membri della Giunta di recarsi al Consiglio entro il termine di<br />

un’ora, e nell’ LXXXVII, dove viene stabilito che nelle riunioni<br />

del Consiglio bisogna rispettare il silenzio, il quale può essere rotto<br />

esclusivamente nel momento del voto 5 . In merito all’osservanza<br />

del silenzio è possibile notare che se ne richiede il rispetto nel<br />

documento, probabilmente un verbale del Consiglio dei trenta, del<br />

6 marzo 1783, ove è scritto: «In p(ri)mo Luogo si propone la dovuta<br />

osservanza sopra il silenzio da tenersi ne Consegli». Non meraviglia<br />

4<br />

Ivi: «E per che devesi ogn’anno stabilire li pubblici Rappresentanti, che<br />

presiedino ne Consigli ordiniamo, che nel giorno primo di Novembre di<br />

ciascun anno si estragga a sorte nel Consiglio dalla Classe de Sindeci un<br />

sogetto, e dalla Classe d’Ufficiali due sogetti, de quali, il primo come Sindaco,<br />

e li due come Ufficiali formaranno il Magistrato dell’anno consecutivo,<br />

qualora verranno da Noi approvati». Negli ordinamenti del passato<br />

il termine magistrato viene utilizzato per designare il titolare di un ufficio<br />

pubblico, per lo più di durata limitata nel tempo e di carica estrattiva e/o<br />

elettiva.<br />

5<br />

E. Canali, Cenni storici della Terra di Morolo (con l’edizione dello Statuto<br />

del 1610), a cura di G. Giammaria, Anagni 1990 (Biblioteca di Latium,<br />

12), p. 40: «Capo 7. Della Gionta e Consigno. Statuimo, ed ordiniamo, che<br />

gli uomini della Gionta debbano venire al Consiglio in termine di un’ora,<br />

quando veranno ricercati dagli officiali, e citati personalmente dal mandatario<br />

alla pena di soldi cinque»; ivi, p. 59: «Capo 87. Del silenzio del Consiglio.<br />

Statuimo, et ordiniamo, che negli Consigli, et Congregazioni, che<br />

si faranno per le occorrenze della Comunità, nessuno debba far tumulto,<br />

nemmeno per parlare finché non sia domandato del Voto, et parer suo sotto<br />

pena di cinque soldi per volta».


Minorare i consiglieri a Morolo<br />

167<br />

particolarmente, però, l’assenza, all’interno dello Statuto, di queste<br />

norme o di interventi che andavano a modificarle. Sebbene non si<br />

tratti dello stesso periodo storico, nel tardo medioevo queste decisioni<br />

possedevano una fisionomia propria e dunque una esistenza separata<br />

rispetto allo Statuto:<br />

«Cambiamenti anche radicali negli uffici, nella composizione<br />

dei consigli, nel ruolo e nelle modalità di nomina dei magistrati<br />

vennero stabiliti da commissari pontifici, rettori provinciali,<br />

governatori, luogotenenti e, ancora più spesso, dagli stessi<br />

comuni, in modo autonomo o su pressione del papato. Né si<br />

esitava, in queste riforme, a sancire e regolare i nuovi rapporti<br />

di soggezione alla Chiesa.<br />

La casistica è amplissima, e diversa da città in città.<br />

Di particolare interesse sono le deliberazioni prese dalle<br />

commissioni incaricate di procedere all’imborsazione 6 . Oltre<br />

ad indicare i nominativi dei futuri consiglieri e degli ufficiali del<br />

comune, spesso questi gruppi di cittadini preminenti emanavano<br />

una dettagliata normativa sul numero, le competenze e gli<br />

obblighi delle cariche imborsate, e sui margini di intervento<br />

attribuiti ai rettori e agli altri rappresentanti pontifici. “Capitoli<br />

del bussolo”, “reformationes” dei “cives bruxularii”, “capitoli<br />

del reggimento”, “imbuxulatu” e analoghe deliberazioni si<br />

distaccavano talora con ampiezza dal dettato degli statuti.<br />

[…] E tuttavia questi interventi, di norma, non venivano<br />

recepiti dagli statuti. Restavano confinati nei registri delle<br />

riformagioni, oppure, anche quando ne uscivano, avevano<br />

spesso una fisionomia a sé, di singolo quaderno o pergamena<br />

destinati a una conservazione separata. Solo in una minoranza<br />

di casi si provvedeva alla trascrizione in appendice al volume<br />

degli statuti, e solo in via del tutto eccezionale si sentiva la<br />

necessità di una loro integrazione organica» 7 .<br />

6<br />

L’imborsazione è la funzione del ‘mettere in borsa’, o ‘nell’urna’, le schede<br />

contenenti i nomi dei candidati ai vari uffici, scritti a uno a uno in altrettanti<br />

biglietti, tramite i quali poi si procedeva all’estrazione a sorte di un<br />

numero uguale alle cariche da coprire.<br />

7<br />

S. Carocci, Regimi signorili, statuti cittadini e governo papale nello Sta-


168<br />

Matteo Maccioni<br />

La scelta di abolire il Consiglio popolare per privilegiare<br />

la formazione di un Consiglio ristretto di trenta persone, i cui<br />

partecipanti sono selezionati sulla base delle abilità e del censo,<br />

è tesa a garantire un maggior grado di competenza, affidabilità,<br />

concretezza e chiarezza a questo organo. Già nella copia delle<br />

rimostranze fatte dagli “zelanti” di Morolo, datata 7 gennaio 1783, si<br />

richiede espressamente la proibizione dei Consigli popolari in favore<br />

della formazione di un Consiglio ristretto di trenta persone. L’autore<br />

della missiva, rivolgendosi al Governatore, scrive che, poiché è<br />

sempre più difficile riuscire a convocare il Consiglio popolare e farlo<br />

svolgere in modo regolare e utile alla comunità locale, è divenuto<br />

indispensabile procedere alla creazione di un Consiglio di trenta<br />

persone formato da persone qualificate e da lui approvate 8 .<br />

In realtà, già in precedenti documenti, datati 1780-1782, sono<br />

to della Chiesa (XIV e XV secolo), in Signori, regimi signorili e statuti<br />

nel tardo medioevo. VII Convegno del Comitato italiano per gli studi e le<br />

edizioni delle fonti normative, Ferrara 5-7 ottobre 2000, Bologna 2003,<br />

pp. 245-269, distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”, pp. 17-18.<br />

Come già segnalato, questo esempio riguarda il periodo medievale mentre<br />

il nostro caso è relativo all’età moderna. Spesso le consuetudini si sono<br />

iterate nel tempo; del resto il nostro caso morolano dimostra che a decidere<br />

del “governo” locale è il principe e non gli abitanti di Morolo.<br />

8<br />

Colonna, Morolo III LB, Corrispondenza (1778-1795), rimostranze degli<br />

zelanti della Comunità di Morolo al Governatore, 7 gennaio 1783: «Di più<br />

la supplicano, che voglia anche proibire li Consegli popolari perché per<br />

convocarli bisogna procedere con gravatorj, e violenza de Birri; dovendo<br />

per tal difficoltà più volte trasferire negozj più rimarchevoli, donde poi ne<br />

sono provenuti grandi pregiudizij. Quando poi è adunata tal fatta di Consiglieri<br />

tutti rozzi, e dall’infima Plebe non ne nasce che confusione per motivo<br />

primario, che si deve adunare il Consiglio in giorno di festa nell’ora<br />

tarda doppo pranzo per commodo de Medesimi, quando che tutti sono<br />

fori di senno per il vino. Sperando dunque dall’innata bontà di V(ostra)<br />

E(ccellenza) che voglia ordinare, che si venga a stabilire il Conseglio almeno<br />

di Trenta persone le più qualificate, e Probbe, quali non mancano in<br />

Tal Paese, se bene La magior parte di questi siano Chierici pure attenderebbero<br />

di bona voglia al pubblico vantaggio qualora non fossero riprovati<br />

dall’E(ccellenza) V(ostra)».


Minorare i consiglieri a Morolo<br />

169<br />

presenti richieste di «minorare il numero troppo eccedente de<br />

Consiglierj» 9 motivate dalla difficoltà di convocazione dell’adunanza<br />

e dalla incapacità di adottare risoluzioni efficaci poiché queste<br />

«dipendono dai voti de villani, che costituiscono poco meno che<br />

l’intiero Consiglio» 10 . Dalla lettera dell’Uditore Torelli apprendiamo<br />

che la composizione del Consiglio di Morolo nel 1780 è popolare, ma<br />

già in quell’anno se ne propone la riforma, in un primo momento per<br />

la formazione di un Consiglio di quaranta persone, come si evince<br />

dal memoriale del 6 febbraio 1780 accluso alla lettera dell’Uditore<br />

Torelli, e in seguito di trenta persone. La supplica della Comunità di<br />

Morolo del 1782 ci informa che all’epoca il Consiglio è diventato di<br />

sessanta persone, ma si rende in ogni caso necessaria una ulteriore<br />

restrizione del Consiglio, proponendo il numero di trenta consiglieri,<br />

poiché non si riesce a raggiungere il numero necessario che renda<br />

legali i provvedimenti adottati dall’adunanza 11 .<br />

La decisione di trasformare il Consiglio popolare in un<br />

Consiglio di trenta persone ha, in primis, motivazioni pratiche: la<br />

convocazione di un ristretto numero di persone comporta minori<br />

difficoltà organizzative e di pianificazione, in quanto può avvenire<br />

con maggior frequenza e con un preavviso minimo. Questa nuova<br />

configurazione mira ad ottenere una maggiore efficienza e incisività<br />

nella vita della comunità, per mezzo della selezione dei cittadini<br />

che andranno a comporre il nuovo organo politico. Questi, come<br />

già detto in precedenza, vanno a formare tre diverse “classi”: un<br />

cittadino verrà estratto da quella dei “sindeci” e due dalla classe degli<br />

9<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 2896. Supplica della Comunità di<br />

Morolo alla Sagra Congregazione del Buon Governo, 13 luglio 1782.<br />

10<br />

Ivi. Lettera dell’Uditore Gaspare Torelli al Buon Governo, 7 marzo 1780.<br />

11<br />

Ivi. Supplica della Comunità di Morolo alla Sagra Congregazione del<br />

Buon Governo, 13 luglio 1782: «sempre manca il numero necessario à render<br />

valida la Risoluzione. In tale stato adunque di cosa per ovviare alli tanti<br />

dissordinj, che tutto il giorno per tale motivo succedono, supplica l’Or(atri)ce<br />

La somma clemenza dell’E(ccellenze) V(ostre) à volersi degnare di minorare<br />

il numero troppo eccedente de Consiglierj, e ridurlo al num(er)o dì<br />

trenta, che potrà più facilm(ent)e radunarsi per risolvere li publici affarj».


170<br />

Matteo Maccioni<br />

“ufficiali”, mentre la classe degli “spicciolati” rappresenta una sorta<br />

di riserva cui attingere in caso di necessità 12 . La compilazione della<br />

lista di persone che afferiscono alle varie classi è affidata al Gran<br />

Conestabile Filippo Colonna, il quale la invia al Governatore con<br />

l’ordine di farla applicare e renderla operativa nel più breve tempo<br />

possibile 13 .<br />

Ciò che si evince da questo scambio epistolare è la possibilità che<br />

viene data al sindaco e agli ufficiali della comunità di “contestare”<br />

le scelte del Gran Conestabile e di suggerire le modifiche che si<br />

vorrebbero apportare. Questi si rivolgono al luogotenente per<br />

chiedere la sostituzione delle persone ritenute rozze, ignoranti e in età<br />

avanzata con persone “civili”, “pulite”, “da bene” e “possidenti”. Si<br />

lamentano, infatti, dei danni causati al bene comune dall’imperizia,<br />

dalla viltà e dalla rozzezza degli ufficiali “idioti”, ovvero illetterati,<br />

vili e poveri, da «persone sempre avide d’ingrandirsi con i publici<br />

proventi» 14 . Più volte nelle rimostranze si pone l’accento sulla<br />

12<br />

Colonna, Morolo III LB, Corrispondenza (1778-1795), informativa<br />

del Governatore sulla compilazione delle classi, 10 febbraio 1783: «Colle<br />

sudette Classi Sarebbe bene formare il Consiglio di trenta persone, e<br />

togliere il Popolare, solito a tenersi in questo Luogo, da cui ne nascono<br />

confusioni, e sconcerti, costituendo esso Consiglio di dieci Soggetti della<br />

Classe de Sindici, e venti della Classe degl’Ufficiali, quali per turno venissero<br />

in ogn’Anno estratti, uno dalla prima Classe, e due dalla Seconda,<br />

per l’amministrazione di questa Communità. Dalla Classe de Sindici, ne<br />

sopravanzarebbero sei, quali non sembrando conveniente fargli degradare<br />

con ponergli in quella degl’ufficiali, potrebboro collocarsi per Spicciolati<br />

di detta classe, acciò di Sorrogargli alli dieci in caso di bisogno, benché<br />

per altro devo raguagliare l’Ecce(lle)nza V(ost)ra, che gli Spicciolati nella<br />

Classe medesima, mai in questo bussolo si sono costumati, bensì in quella<br />

dell’Ufficiali, per la quale detratti gli venti, che si degnerà prescegliere,<br />

gl’altri, che non rigetterà, possono collocarsi in quella de Spicciolati».<br />

13<br />

Ivi, risoluzione di Filippo Colonna al Governatore, 21 febbraio 1783:<br />

«Ordiniamo in seguito di ciò al Governatore che dia piena esecuzione alla<br />

nostra presente volontà, e faccia che li sogetti di sopra descritti prendino il<br />

possesso nelle solite forme».<br />

14<br />

Ivi, rimostranze degli zelanti della Comunità di Morolo al Governatore,<br />

7 gennaio 1783.


Minorare i consiglieri a Morolo<br />

171<br />

necessità di proporre persone “colte” e “possidenti”, provenienti<br />

da famiglie “civili”, ovvero famiglie benestanti, possidenti, la<br />

cui attività non prevede mansioni umili, come l’agricoltura o la<br />

pastorizia. Queste caratteristiche dovrebbero assicurare competenza,<br />

serietà e un più alto grado di resistenza alla corruzione, alla ruberia<br />

e all’accaparramento di beni, al fine di risollevare la comunità e la<br />

credibilità, ormai perduta, di quest’organo politico.<br />

Una notizia interessante che si ricava dall’analisi di questi<br />

documenti è la temporanea interdizione allo svolgimento attivo<br />

della politica a cui vengono sottoposti i cittadini aventi procedimenti<br />

legali in corso, come è possibile verificare nel caso di Gaudioso Lolli,<br />

del quale si dice: «potrebbe anche egli ottenere il posto sud(dett)o,<br />

concorrendo in lui le med(esim)e qualità degli sopraccennati, ma<br />

è debitore di q(ue)sta Com(uni)tà di somma considerabile, ed al<br />

p(rese)nte se ne agita costì la causa» 15 . Se ne arguisce che, una volta<br />

conclusasi la causa, si potrà iscrivere nella classe per cui è stato<br />

proposto, con la conseguenza di poter essere estratto e dunque eletto.<br />

Questi documenti forniscono anche un’informazione relativa a<br />

una delle prerogative del Gran Conestabile: la facoltà di sospendere<br />

i cittadini dagli incarichi pubblici, come si riscontra nel caso di<br />

Filippo Franchi 16 .<br />

Non è possibile stabilire il motivo di tale sospensione e<br />

interdizione, poiché non se ne fa menzione.<br />

15<br />

Ivi, lista dei componenti delle classi del Luogotenente Michelangiolo<br />

Renzoni al Governatore, 24 marzo 1783.<br />

16<br />

Ibidem: «anche egli è possidente, ma nei libri de consegli sotto li sedici<br />

Giugno del 1730 vi è una proibizione al di Lui Padre Francesco quale è Per<br />

ordine dell’E(ccellenza) V(ostra) D(ominum) Fabrizio Colonna. Il Governatore<br />

che faccia levare il Franchi dal n(umero) de Priori, con suspenderlo<br />

dagl’esercizj dell’ufficio, e faccia estrarre uno degl’altri Imbussolati in suo<br />

Luogo. Fabrizio Colonna.<br />

Oltre a questa ve n’è un altra contro il sud(dett)o Felippo Franchi fig(li)o di<br />

Fran(ces)co med(ico), (secondo mi vien detto da Persone Savie) ma non è<br />

stata potuta ritrovare quale anche proibisce al sud(dett)o Filippo il servire<br />

in tali ufficj».


Matteo Maccioni<br />

Divisione del territorio, pene e divieti statutari<br />

a Paliano<br />

Il documento preso in esame per il comune di Paliano fa parte<br />

di una pratica conservata nell’Archivio di Stato di Roma, fondo<br />

della Congregazione del Buon Governo 1 . Nella lettera indirizzata al<br />

Colonna, Duca Principe di Paliano 2 , datata 20 settembre 1674, due<br />

agricoltori e possidenti terrieri richiedono l’applicazione dei divieti e<br />

delle pene statutarie, così come di quelle previste dai bandi emanati<br />

dal Colonna, in merito al pascolo dei maiali in determinate aree del<br />

territorio della comunità palianese.<br />

La pratica a cui appartiene la lettera oggetto di studio, indirizzata<br />

dalla Comunità di Paliano alla Sacra Congregazione del Buon<br />

1<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (di seguito solo BG), b. 3306.<br />

2<br />

Il Ducato di Paliano, costituitosi nel 1556 ad opera di papa Paolo IV<br />

in seguito alla confisca dei feudi della famiglia Colonna nella divisione<br />

amministrativa di Campagna e Marittima, e riottenuto da questi nel 1559<br />

per mezzo del trattato di Cave, che pose fine alla “guerra di Campagna”<br />

tra lo Stato Pontificio e la Spagna, venne elevato a dignità principesca nel<br />

1569 e fu organizzato militarmente e amministrativamente dai successori<br />

di Marcantonio II Colonna, il quale confermò e fece applicare lo Statuto<br />

approvato dal padre Ascanio nel 1533. Il Principato venne diviso in due<br />

stati amministrativi, i cui capoluoghi furono Genazzano – da cui dipendevano<br />

Paliano, Genazzano, Cave, Serrone, Rocca di Cave, Marino, Piglio,<br />

Anticoli di Campagna, Trivigliano, Vico nel Lazio, Collepardo e Rocca di<br />

Papa - e Pofi (poi sostituito da Ceccano) – da cui dipendevano Ceccano,<br />

Ripi, Arnara, Falvaterra, Castro, Vallecorsa, San Lorenzo, Santo Stefano,<br />

Giuliano, Patrica, Supino, Morolo, Sgurgola e Sonnino. Nei capoluoghi<br />

risiedeva il Governatore o viceconte, mentre a Paliano aveva la sua dimora<br />

il Principe e il Viceduca. Per maggiori informazioni sulla storia di Paliano<br />

e la formazione del Ducato di Paliano cfr. L. Pacitti, <strong>Storia</strong> della terra di<br />

Paliano, Cave 1983.


174<br />

Matteo Maccioni<br />

Governo, e datata 3 settembre 1712, ricorda come la proibizione del<br />

pascolo dei maiali, «dannosis(sim)i à tutto il territorio» 3 , fosse già<br />

stata sancita, in tempo antico, dai consigli popolari del 1619, 1620 e<br />

1698, e da editti e bandi promulgati da Lorenzo Colonna nel 1674,<br />

1676 e 1690 4 . Decisioni consiliari, editti e bandi pubblicati si rifanno<br />

a quanto è stato sancito nel consiglio popolare del primo ottobre<br />

1619 5 , ovvero «che si cavino li porci dal p(rim)o di Maggio per<br />

ciaschedun anno è non possano entrare per tutto il mese di Settembre<br />

è che duri in perpetuo è che li porci forastieri di d(ett)o tempo non<br />

ci possano entrare in nesun modo eccetto che in tempo di ghianda» 6 .<br />

Nei primi anni del XVIII secolo viene meno l’esecuzione<br />

delle norme previste da questi consigli ed editti, sancendo di fatto<br />

l’impoverimento e il disboscamento della macchia circostante e dei<br />

terreni di proprietà della comunità palianese, i quali in passato erano<br />

stati divisi in “quarti” e, a rotazione, venivano coltivati a grano,<br />

granturco, legumi o coltivazioni varie, uno lasciato a prato invernale<br />

e un altro destinato al pascolo per il bestiame 7 .<br />

3<br />

BG, b. 3306, lettera della Comunità di Paliano alla Sacra Congregazione<br />

del Buon Governo, 6 agosto 1712.<br />

4<br />

Ivi.<br />

5<br />

Un esempio è quanto viene scritto nella risoluzione consiliare del 20 maggio<br />

1712: «Si replica di novo la resolutione fatta dall’anno 1619 come fu<br />

proposto se si dovevano cacciare li porci dal Territ(ori)o passato il Mese di<br />

Ap(ri)le è à che sempre potessero rientrare è questo s’intenda per ciaschedun<br />

anno per l’avvenire intendendosi da porci armentitij con l’esclusiva de<br />

porci forastieri che in nesun modo ne in qualsivoglia tempo possano venire<br />

in Territ(ori)o».<br />

6<br />

BG, b. 3306, copia dell’estratto dal Libro dei Consigli, f. 69, Lettera A.<br />

7<br />

«I contadini di Paliano già dal 1705 reclamavano dal Principe e dagli<br />

altri proprietari la divisione di tutti i terreni in “quarti” da distribuire agli<br />

aratori, vangatori e zappatori con una certa giustizia; più tardi reclamavano<br />

contro l’operato del Viceduca che non applicava quanto era stato concordato.<br />

Tutte le terre di Paliano furono divise in quattro parti e cioè: il Quarto di<br />

Collerampo, il Quarto di Cervinara, il Quarto di Massa e il Quarto di San<br />

Luca, i quali, a rotazione, venivano così usati: uno era coltivato a grano,<br />

l’altro a granturco, a legumi o altre coltivazioni varie; il terzo lasciato a


Divisione del territorio, pene e divieti statutari a Paliano<br />

175<br />

Nella testimonianza acclusa alla lettera del 6 agosto 1712 viene<br />

riportata l’informazione che l’ultimo quarto, sfruttato per la vendita<br />

dell’erba a beneficio della comunità locale, produce un consistente<br />

ricavo economico: l’introito, infatti, consente di ripianare i debiti<br />

della comunità 8 .<br />

Nella medesima lettera, cinque uomini di più di 50 anni<br />

testimoniano lo stato di decadimento e di contrazione della superficie<br />

della Selva e del territorio di Paliano, imputabile all’eccessivo<br />

numero e pascolo di maiali, così come alla ormai onnipervasiva<br />

presenza della coltivazione, raffrontandolo con la situazione di 40<br />

anni prima 9 .<br />

prato invernale; l’ultimo riservato a prato per il pascolo del bestiame di<br />

tutti i cittadini; restavano ancora i terreni collinari, raccolti tutti col nome<br />

di terreni del Monte, che erano coltivati liberamente dai loro proprietari<br />

senza vincoli di coltura. Ogni anno i cittadini ricevevano il loro pezzo di<br />

terra da coltivare a grano, versavano una certa somma per “l’entratura” e<br />

infine, al raccolto, consegnavano al padrone del terreno il quarto del prodotto<br />

ricavato», cfr. L. Pacitti, <strong>Storia</strong> della terra di Paliano, cit., p. 128.<br />

8<br />

BG, b. 3306, lettera della Comunità di Paliano alla Sacra Congregazione<br />

del Buon Governo, 6 agosto 1712. In una testimonianza acclusa alla lettera<br />

e datata 5 agosto 1712 si dice espressamente che «l’altro (quarto) la<br />

Com(muni)tà lo vende à tutta erba per pagare li debiti della Com(muni)tà».<br />

9<br />

Ivi, lettera della Comunità di Paliano alla Sacra Congregazione del Buon<br />

Governo, 6 agosto 1712: «Noi… Prep(osit)o è Can(onic)i della Chiesa Collegiata<br />

di S. Andrea di Palliano facciamo la p(rese)nte chiara et indubitata<br />

fede à chiunque la p(rese)nte vedrà et attestiamo come nel tempo che da<br />

questa Communita furono stabiliti li quarti essendo questo nostro Capitolo<br />

stato ricercato per dare il nostro consenso à d(ett)a resolutione in riguardo<br />

di molti è gran quantità di terreni spettanti alla medesima Chiesa di rubbia<br />

seicento in c(irc)a fù risoluto capitolarm(ent)e che si dasse il nostro consenso<br />

ogni qual volta andassero via dal d(ett)o territ(ori)o l’animali porcini<br />

per sfuggire li gran danni che apportano li med(esim)i universalm(en)te a<br />

tutto il territ(ori)o è l’istesso fù da noi confermato nell’ultimo conseglio<br />

g(enera)le, come anche attestiamo che d(ett)o Territ(ori)o era 40 anni fa in<br />

parte macchioso è presentemente è stato tutto smacchiato è ridotto tutto à<br />

coltura è questo lo sappiamo per esser noi la magior parte di età di sop(r)a 60<br />

è più anni. Che per esser la verità habbiamo scritta è sottoscritta la p(rese)nte


176<br />

Matteo Maccioni<br />

Il danno che questi animali possono arrecare ai terreni è immane:<br />

poiché il territorio della comunità di Paliano è «pieno di Vigne,<br />

oliveti, Castagneti, prati, e Terreni da seminare» 10 , questi sono messi<br />

tutti in pericolo dall’abitudine del maiale di scavare con il grifo sotto<br />

la terra, causando danni al seminato, divellendo cespugli e rovinando<br />

i prati e i terreni; possono inoltre, poiché sono “animali immondi”,<br />

intorbidare le acque, le quali scarseggiano nel territorio, causando un<br />

danno incalcolabile tanto al popolo quanto agli altri animali. Stando<br />

a quanto afferma Pacitti, una soluzione alternativa all’espulsione di<br />

detti animali venne trovata e adottata nel 1724 tramite un accordo che<br />

prevedeva l’affidamento per la lavorazione delle terre ai contadini,<br />

permettendo ai maiali, e alle altre bestie, di pascolare nei boschi o in<br />

aree riservate 11 .<br />

Nella lettera di S. Carenza indirizzata al Colonna, e datata 20<br />

settembre 1674, due vassalli espongono la situazione del territorio,<br />

devastato dai danni causati dai maiali «nel tempo della spica» 12 , un<br />

arco temporale in cui, stando a un editto emanato dal Colonna, è<br />

proibito il mantenimento di detti animali nel territorio, pena una multa<br />

di cinquanta baiocchi e la perdita degli animali. Almeno in questo<br />

documento non si fa riferimento alla modalità della privazione:<br />

potrebbe consistere nell’uccisione oppure nel sequestro e forse<br />

successiva vendita dei maiali da parte delle autorità governative<br />

di n(ost)re proprie mani è sigillata con il nostro solito sigillo, Palliano dalla<br />

nostra Sagristia hoggi 6 Agosto 1712».<br />

10<br />

Ivi, lettera della Comunità di Paliano alla Sacra Congregazione del Buon<br />

Governo, 6 agosto 1712.<br />

11<br />

«Finalmente la questione fu risolta nel 1724 e si arrivò al definitivo accordo,<br />

così le terre, divise per quarti, vennero affidate per la lavorazione ai<br />

contadini, pur restando molte divergenze per le semine e per i pascoli. Ai<br />

maiali fu riservato di pascolare dentro i boschi, in particolar modo quelli<br />

ricchi di ghiande e così pure gli ovini, i caprini e i vaccini avevano pascoli<br />

particolari e riservati»: L. Pacitti, <strong>Storia</strong> della terra di Paliano, cit., p. 129.<br />

12<br />

BG, b. 3306, lettera di S. Carenza indirizzata a Colonna, 20 settembre<br />

1674. Nella copia dell’estratto dal Libro dei Consigli, f. 79, Lettera B, si<br />

precisa che «d(ett)a spica si paschi conforme il solito da S. Angelo di Maggio<br />

sino à S. Angelo di Settembre».


Divisione del territorio, pene e divieti statutari a Paliano<br />

177<br />

locali.<br />

I vassalli si rivolgono al Barone affinché questo proibisca il<br />

pascolo e il ritorno degli “animali neri” nel territorio e faccia<br />

applicare le pene stabilite nei precedenti bandi, oppure adotti un<br />

regolamento mirante a proteggere i territori coltivati, il Monte e le<br />

campagne dai danni provocati dai maiali, come d’altronde è sancito<br />

nello Statuto locale:<br />

«Liber Tertius, De poena Porcorum. Cap. 23. Statuimus, et<br />

ordinamus quod si Porci damnum dederint in frumento, et in<br />

leguminibus, seù in Pratis, et in aliis Locis in quibus damnum<br />

committerent, solvat dominus Porcoru(m) Solidum unu(m)<br />

prò quolibet Porco usquè ad decem, a decem verò supra<br />

solvat prò qualibet turba solidos viginti; in Pratis verò nullo<br />

tempore possint pascere, né devastantur, in fontibus, hortis,<br />

vineis plenis, in Pignonibus ac Aris plenis possint unus Porcus<br />

interfici de tota turba, et in casu, quo interficiatur, dividetur<br />

hoc modo videlicet una pars sit curiae, alia mittatur domino<br />

Porcorum, et dua(e) alia(e) partes sint interfectoris: Porci<br />

autem domoestici qui tenentur domi non possint interfici et<br />

quotiescumque damnum dederint solvat dominus Porci prò<br />

qualibet vice solidos quinque» 13 ;<br />

«Liber Tertius, Quod Bestiae Armentitiae, Porcinae,<br />

13<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio<br />

Colonna (in seguito si citerà solo Colonna e la posizione), Paliano III MC<br />

2, n. 18, c.46rv. La traduzione degli articoli è stata presa dal testo Statuto<br />

comunale di Paliano, a cura dell’Amministrazione Comunale, Subiaco<br />

1992, p. 112:«Libro III, Capitolo XXIII. Della pena per i porci. Stabiliamo<br />

e ordiniamo che se i maiali fanno danni al frumento, ai legumi, nei prati<br />

o in altri luoghi commettono danni, il padrone dei maiali paghi un soldo<br />

per ogni porco fino a dieci; da sopra a dieci invece paghi per ogni branco<br />

venti soldi. Nei prati in nessun periodo può pascere né devastare: nelle<br />

fonti, orti, vigne può essere ucciso un maiale, di tutto il branco e nel caso<br />

che venga ucciso sia diviso in questo modo: una parte sia della Curia, una<br />

parte del padrone del maiale, le due altre parti dell’uccisore del maiale: I<br />

maiali domestici che vengono tenuti in casa non possono essere uccisi, ma<br />

tutte le volte che procurino danni paghi il padrone del maiale per ogni volta<br />

cinque soldi».


178<br />

Matteo Maccioni<br />

Caprinae, et pecudinae non possint pascere in monte, nequé<br />

in defensis. Cap. 30. Statuimus, et ordinamus quod Bestiae<br />

Armentitiae, neque Porci, nec Caprae nec Pecudes possint<br />

nullo tempore in Monte Paliani, nequè in defensis pascere sub<br />

poena quadraginta solidorum; Boves verò et Bubali aratorii<br />

possint in dictis locis pascere dum arantur, sed tamen non<br />

pernoctare» 14 ;<br />

«Liber Tertius, De Poena Porcellorum. Cap. 46. Statuimus,<br />

et ordinamus quod Porcelli prò allevis faciendo possint<br />

pascere in monte Paliani, ed in defensis, dum(m)odo damnum<br />

non dederint, si verò damnu(m) dederint dominus ipsorum prò<br />

qualibet vice a decem suprà solvat pro poena ultra damnu(m)<br />

solidos decem, a decem verò infra solvat prò qualibet solidum<br />

unum» 15 .<br />

Stando a quanto si asserisce in questa lettera, una delle motivazioni<br />

per cui non è consentito il pascolo di questi animali nelle zone adibite<br />

alla coltivazione ha uno sfondo sociale, e riguarda il sostentamento<br />

degli indigenti, ai quali viene data la possibilità di raccogliere le<br />

castagne e le olive cadute a terra, senza doverle pagare: «ò almeno<br />

che d(ett)i Animali non possano pascolare ne ritenersi nel Monte,<br />

è difese dove sono le campagne è olive ne i quali luoghi è anco<br />

14<br />

Colonna, Paliano III MC 2, n. 18, c. 47v. Traduzione da Statuto comunale<br />

di Paliano, cit., p. 113:«Libro III, Capitolo XXX. Che le bestie<br />

armentine, porcine, e caprine ed i greggi di pecore non possano pascere nel<br />

Monte né sulla Rocca. Stabiliamo e ordiniamo che le bestie armentine, né<br />

porcine, né caprine, né pecorine possono in alcun modo pascere nel monte<br />

di Paliano né in prossimità della Rocca sotto pena di quaranta soldi; i buoi<br />

ed i bufali aratori possono pascere in detti luoghi mentre arano, ma tuttavia<br />

non pernottare».<br />

15<br />

Colonna, Paliano III MC 2, n. 18, c. 50rv. Traduzione da Statuto comunale<br />

di Paliano, cit., p. 116: «Libro III, Capitolo XLVI. Della pena per i<br />

maiali. Stabiliamo e ordiniamo che i maiali da allevamento possono pascere<br />

nel monte di Paliano e attorno alla rocca, finché non arrecano danno: se,<br />

invece, arrecano danno il loro padrone sia tenuto a pagare da sopra a dieci<br />

oltre il danno dieci soldi, da sotto dieci paghi per pena un soldo per ogni<br />

volta».


Divisione del territorio, pene e divieti statutari a Paliano<br />

179<br />

prohibito dal Statuto il pascolare acciò i poveri possano ricoglersi<br />

le castagne ed olive, e non habbiano à trovare mangiate e pasciute.<br />

Che il tutto lo riceveranno à gratia singolaris(sim)a di V(ostra).<br />

E(ccellenza).» 16 .<br />

Le indicazioni fornite dalla pratica nel suo complesso, e dalla<br />

lettera di Carenza in particolare, sono molteplici. Il territorio del<br />

comune di Paliano è suddiviso in quattro quarti adibiti a specifici<br />

usi; esistono luoghi e periodi dell’anno in cui non è consentito far<br />

pascolare determinate specie di animali, le quali risultano pericolose<br />

per l’equilibrio economico-produttivo della comunità. La presenza<br />

di una norma che proibisca il pascolo in determinati luoghi e periodi<br />

dell’anno rende manifesta la preminenza dell’attività agricola<br />

all’interno dell’economia palianese. Questa comunità, per tutelare<br />

gli interessi degli agricoltori dall’incuria e negligenza dei pastori,<br />

deve correre ai ripari rivolgendosi agli ufficiali e al Barone del luogo,<br />

i quali, come da prassi, stabiliscono pene pecuniarie che, col passare<br />

del tempo, si trovano costretti ad inasprire a motivo dell’inosservanza<br />

delle leggi. Inoltre, come è stato fatto notare poco sopra, lo<br />

Statuto prevede norme di carattere etico-sociale tese a garantire il<br />

sostentamento di tutti i cittadini della comunità, facendo in modo che<br />

si vada incontro alle necessità della popolazione. Questa attenzione<br />

agli indigenti dimostra il buono stato di salute dell’economia della<br />

comunità palianese, la quale non ha una stringente necessità di<br />

commercio della propria produzione ma può permettersi di donare<br />

gratuitamente ai meno abbienti piccole porzioni del proprio raccolto.<br />

16<br />

BG, b. 3306, lettera di S. Carenza indirizzata a Colonna, 20 settembre<br />

1674.


Marco Di Cosmo<br />

Patrica:<br />

statuto e danni dei pastori<br />

Introduzione<br />

Lo Statuto di Patrica è stato oggetto di edizione e studi 1 che ne<br />

attestano la prima datazione al 1696 2 e l’esistenza di numerose copie<br />

successive, redatte fino al XIX Secolo.<br />

Gli studi di Giammaria e Notari, ripercorrendo la storia dello<br />

Statuto della comunità patricana, hanno affrontato la questione<br />

riguardante le edizioni e la copia dei vari codici. In questa sede,<br />

partendo dai lavori precedenti, illustreremo l’utilizzo dello statuto<br />

nelle pratiche locali e il ricorso della comunità patricana a questo<br />

strumento normativo.<br />

Lo Statuto di Patrica, come dicevo, è stato tramandato attraverso<br />

almeno cinque manoscritti, a testimonianza della necessità di copie<br />

diverse per usi quotidiani. In questa sede proveremo a ricostruirne<br />

l’utilizzo nelle pratiche cittadine.<br />

I danni dati relativi a capre e maiali neri<br />

L’utilizzo e la presenza dello statuto nelle carte di archivio è<br />

riscontrabile fino alla seconda metà del diciannovesimo secolo. Il<br />

tema più comune riguardante le controversie che venivano regolate<br />

1<br />

G. Giammaria, Le liberanze o Statuto di Patrica del 1696. Edizione e<br />

studio storico, in Latium, 15 (1998), pp. 5-66.<br />

2<br />

Sui codici statutari di Patrica, oltre allo studio citato di G. Giammaria,<br />

cfr. S. Notari, Rubricario degli statuti comunali di Alatri e Patrica (XVI-<br />

XVIII). Per un rubricario degli statuti della provincia storica di Campagna,<br />

in Latium, 14 (1997), pp. 141-222. Soltanto nel 1703 Patrica rientra<br />

nella piena giurisdizione del Buon Governo, come fa notare Giammaria in<br />

G. Giammaria, Patrica, in S. Antonio Abate: culto, riti e tradizioni popolari<br />

in Ciociaria, Anagni 1995 (Etnostorica, 3), pp. 67-76.


182<br />

Marco Di Cosmo<br />

attraverso lo statuto è anche qui quello del danno dato, ossia i reati<br />

relativi ai danneggiamenti delle terre, alle coltivazioni, provocati da<br />

persone, o più spesso da animali.<br />

Il danno dato è argomento di disputa piuttosto ricorrente nella<br />

comunità, soprattutto in relazione ai danneggiamenti di capre e<br />

maiali detti “neri”. Di questo problema scrive nel 1841 Pietro<br />

D’Ambrosi, Priore di Patrica, alla Delegazione Apostolica di<br />

Frosinone, lamentando gli enormi disagi procurati da questi animali<br />

all’agricoltura locale. Il Priore cosi scrive: «Accludo all’Eccellenza<br />

Vostra Reverendissima una particola dello Statuto, che esiste in questo<br />

<strong>Comune</strong>, relativa alle Capre e Neri, che si proibiscono di ritenerli, e<br />

farli vagare per le Vigne, e Alboreti, o sia pei terreni ristretti, colla<br />

penale, facendo danno, di baiocchi cinquanta per ciascheduna Bestia<br />

e di scudi cinque, essendo tronco, dichiarandole non esservi per le<br />

Capre altra Disposizione». Il Priore, confrontando le penali attribuite<br />

ad altri animali, dichiara al Delegato Apostolico che la penale delle<br />

capre è il doppio di quella che si paga per altre bestie. Inoltre scrive<br />

ancora: «[…] mi credo in dovere di far conoscere […] che tanto<br />

le Capre quanto i Neri da Razza fanno qui in Patrica veramente<br />

piangere l’Agricoltura per cui la supplico, anche a nome di tutti gli<br />

agricoltori di emanare forti disposizioni per reprimere tanti danni e<br />

reprimere insieme l’audacia e l’orgoglio dei Respettivi Pastori» 3 .<br />

L’argomento è piuttosto ampio ed esistono numerose cause e<br />

frequenti ricorsi riguardanti i danni provocati da questi animali ai<br />

terreni coltivati. Per questo caso, come negli altri, si richiamano<br />

esplicitamente nel fascicolo gli articoli dello Statuto, riguardanti le<br />

“Bestie minute in Vigneti e Alboreti” e i “Porci in Vettovaglie”, che<br />

riportiamo dalle carte di Archivio.<br />

«Porci in Vettovaglie. Item se alcuna Bestia Porcina,<br />

purché non sia mandarina dasse danno ai Seminati non nati<br />

di qualsivoglia sorta di Vettovaglie sia lecito al Padrone del<br />

Seminato di ammazzarne uno, con dare il solito quarto alla<br />

Corte, e che si possa seguitare tre passi distante dal terreno,<br />

3<br />

Archivio di Stato di Frosinone, Fondo Delegazione Apostolica (in seguito<br />

solo DA), b. 819, fsc. 2038. Lettera di Pietro D’Ambrosi, Priore di Patrica,<br />

alla Delegazione Apostolica di Frosinone. Patrica, 26 luglio 1841.


Patrica: statuto e danni dei pastori<br />

183<br />

dove farà danno, e restando morta fuori dei tre passi la bestia<br />

uccisa sia quella del Padrone; come pure nelle Guadagne<br />

piene di qualsivoglia sorta, come sarebbe Vigne, e albereti,<br />

trovandolo però a dar danni come sopra, eccettuato sempre<br />

il Verre, e non sia lecito al Padrone di stare appostatamente<br />

aspettando dette Bestie per ammazzarla, giacché in tale caso gli<br />

sia solamente permesso ricondurle all’Osteria, o di accusarle,<br />

e facendo diversamente sia tenuto di pagarla a stima de Periti,<br />

ed essendo trovate a dar danno come sopra dal Balivo, incorra<br />

il Padrone di detti Animali nella pena di bajocchi due e mezzo<br />

per Bestia, ed essendo Tronco di bajocchi trenta e con esser<br />

tenuto al pagamento del danno a stima come sopra» 4 .<br />

La copia riportata dalle carte di archivio richiama esplicitamente<br />

l’Art. LXIIII dello Statuto di Patrica del 1696, qui riportato<br />

integralmente, che in realtà risulta molto più sintetico poiché privo<br />

di alcuni dettagli di cui parleremo più avanti:<br />

«Porci in Vettovaglie. Item se alcuna Bestia Porcina,<br />

purché non sia mandarile, darà danno nelli Sementati non nati<br />

di qualsivoglia sorta di Vettovaglie sia lecito al Padrone del<br />

Seminato di ammazzare un Porco, con dare il solito quarto<br />

alla Corte, come nelle Guadagne piene di qualsivoglia Sorta,<br />

trovandolo à dar’ danno, come sopra, e si possono seguitare<br />

tre Possessioni distante dà dove farà danno, et essendo trovati<br />

dal Balio, incorri il Padrone nella pena di mezzo grosso per<br />

porco, et altrettanto d’emenda, et essendo Tronco, nella pena<br />

di giulij trè, e d’emenda un’ tombolo, e non arrivando il danno<br />

à trè bocali, caschi nella pena di bajocchi quindici, se non sarà<br />

tronco, nella pena di mezzo bajocco per bestia» 5 .<br />

L’articolo contiene molte espressioni gergali, ed è in generale<br />

una testimonianza sociale importante, sia per conoscere l’economia<br />

locale, sia per comprendere la pericolosità di questi animali, in<br />

questo caso maiali e capre, e della frequenza dei «danni che vengono<br />

fatti in questo territorio dai fattori specialmente dai caprai, i quali<br />

4<br />

Ivi.<br />

5<br />

G. Giammaria, Le liberanze, cit., p. 56.


184<br />

Marco Di Cosmo<br />

impunemente mettono a pascolare le capre negli attigui albereti,<br />

castagneti di fresco tagliati, negli oliveti senza riguardo alle olive<br />

che vanno cadendo per maturità» 6 .<br />

Lo statuto tutelava l’agricoltura locale, limitando l’ingresso degli<br />

animali nei terreni coltivati, per evitare che le bestie danneggiassero i<br />

piantoni o mangiassero le piante novelle. Per questo motivo il padrone<br />

dei terreni era legittimato ad ammazzare il maiale che si trovasse<br />

all’interno delle sue proprietà. Nel testo vengono menzionate Le<br />

Guadagne, terreni recintati appunto, «piene di qualsivoglia sorta»,<br />

ovvero delle diverse coltivazioni; nei documenti si fa menzione di<br />

vigne e alberi da frutto.<br />

La porzione dello statuto contenuta nelle carte di archivio non<br />

contiene differenze sostanziali rispetto all’edizione dello Statuto del<br />

1696, ma ci sono alcuni elementi particolarmente interessanti da<br />

tenere in considerazione.<br />

Innanzitutto le restrizioni riguardanti la possibilità di uccidere<br />

il maiale: la porzione di Statuto che emerge dalle carte di archivio<br />

impediva di inseguire il maiale e dunque di uccidere la bestia oltre<br />

i tre passi fuori dal proprio terreno, laddove la copia dello Statuto<br />

riportata in edizione limita la possibilità a tre possessioni.<br />

La fattispecie del danno dato poi, e dunque l’applicazione delle<br />

ammende, era esclusa per il Verre, l’animale maschio destinato alla<br />

riproduzione, e dunque maggiormente “tutelato”. Infine, il padrone<br />

del terreno non poteva appostarsi in maniera premeditata per cogliere<br />

il momento di ingresso delle bestie e ammazzarle. In questo caso il<br />

padrone del terreno poteva soltanto ricondurre le bestie all’osteria,<br />

luogo deputato al deposito degli animali. La pena per il padrone<br />

degli animali, invece, era in questo caso di due baiocchi e mezzo per<br />

bestia, e nel caso di tronco di baiocchi trenta.<br />

Necessità di riformare lo Statuto<br />

L’importanza e soprattutto la frequenza di questi casi per una<br />

6<br />

DA, b. 819, fasc. 2038. Lettera del Priore Monti Colombani al Signor<br />

Manardi, Segretario Generale della Delegazione Apostolica del 10 Gennaio<br />

1856.


Patrica: statuto e danni dei pastori<br />

185<br />

piccola comunità impongono che lo Statuto sia riformato, tenendo<br />

conto del cambiamento dei tempi.<br />

A questo proposito scrive allora il Tribunale di Frosinone alla<br />

Delegazione Apostolica, esternando le proprie posizioni riguardo le<br />

proposte di riforma avanzate dal Consiglio Comunale di Patrica, il<br />

6 novembre del 1841. Il tribunale esprime parere positivo avendo<br />

letto le carte con cui si chiede, da parte della Comunità di Patrica,<br />

di stabilire una penale sugli animali trovati a danneggiare i terreni<br />

comunali. Per questo si ritiene necessario adattare le leggi ai tempi<br />

e ai luoghi, e dunque riformare le leggi statutarie locali. Ancora, si<br />

legge nelle carte, la facoltà di queste riforme non può che spettare ai<br />

«communisti», poiché nessuno meglio di loro conosce quanto giovi<br />

all’agricoltura la prosperità del suolo, e quanto dannoso sia il libero<br />

vagare degli animali 7 .<br />

Vedremo, attraverso un caso pratico, come le modifiche allo Statuto<br />

e le riforme invocate incideranno in maniera diretta sull’economia e<br />

7<br />

DA, b. 819, fsc. 2038. Lettera del Tribunale di Frosinone alla Delegazione<br />

Apostolica in data 23 Dicembre 1841: «con cui si domanda il parere per<br />

stabilire una penale sugli animali che si trovassero a danneggiare i terreni<br />

ristretti seminativi nel terzo di Patrica. Letta la copia dell’atto consigliare<br />

del 18 ottobre anno corrente fatto dal Pubblico Consiglio circa il modo di<br />

stabilire dette penali.<br />

Uniformandogli a quanto gli prescrive il regolamento legale e giudiziario<br />

ha emesso il seguente parere. È principio costante e saggio che le leggi penali<br />

debbano adattarsi ai tempi ed a luoghi e che perciò vadano soggette a<br />

cambiamento. Su questa massima generale è appunto fondata la previdentissima<br />

disposizione del sovrano regnante pontefice che riservò ai comuni<br />

nel citato regolamento la facoltà di proporre la riforma delle leggi statutarie<br />

locali, poiché niuno meglio dei communisti è al capo di conoscere quanto<br />

può giovare alla agricola prosperità del proprio suolo. e poiché è tutti noto<br />

quanto dannoso sia il libero e sfrenato vagare degli animali, ed in specie<br />

dei neri da razza nei terreni colti da quali l’uomo suda giornalmente per ritrarre<br />

il proprio sostentamento perciò utile sembra la determinazione presa<br />

dai communisti di Patrica che ne confermano il divieto già statuito nelle<br />

loro antiche leggi municipali coll’aumento di una pena ai contravventori<br />

più conveniente ai tempi in cui viviamo di molto allontanati dall’antica<br />

semplicità, ed obbedienza alle leggi».


186<br />

Marco Di Cosmo<br />

sull’attività quotidiana della Comunità.<br />

Il caso di Ercole Spezza<br />

In date successive non saranno meno frequenti i casi legati al<br />

danno dato e al libero pascolo degli animali. Uno dei più interessanti<br />

è quello che coinvolge Ercole Spezza e il <strong>Comune</strong> di Patrica, sempre<br />

per i danni provocati dalle bestie in un terreno che, a detta del<br />

<strong>Comune</strong>, era proibito al pascolo e all’attraversamento degli animali.<br />

Il <strong>Comune</strong> di Patrica aveva dunque aperto una vertenza per la<br />

riconduzione di bestiame caprino contro lo Spezza, che in sua difesa<br />

scrive il 7 febbraio 1855 alla Delegazione Apostolica, professandosi<br />

innocente in base agli articoli dello Statuto e alle successive<br />

risoluzioni consiliari.<br />

Il <strong>Comune</strong> di Patrica, nella persona del Priore, risponde alla<br />

Delegazione, in data 6 maggio 1855, affermando che lo Spezza si<br />

ostina a pascolare i propri animali in terreni proibiti 8 . Per questo<br />

motivo, scrive il <strong>Comune</strong>, le disposizioni statutarie, allegate nel<br />

fascicolo, dovrebbero punire il comportamento dello Spezza e<br />

«fiaccare una volta il suo insensato orgoglio» 9 .<br />

L’allegato di cui si parla è il capitolo XVI dello Statuto,<br />

riguardante le «Bestie minute in vigne ed alboreti», che qui si<br />

8<br />

Ivi. Lettera del Priore di Patrica alla Delegazione Apostolica di Frosinone,<br />

in data 6 Maggio 1855 in cui si legge che lo Spezza «si ostina a far<br />

dimorare le sue capre lungi dall’essere prossimo alla Macchia Piana, ne è<br />

anzi discosto un ben rimarchevole tratto destinato alla coltura di tanti alberi<br />

con viti, spettanti a ben diciotto proprietari di questo luogo avrò rettificato<br />

i fatti in guisa da dover convincere l’Eccellenza Vostra e codesta Eccelsa<br />

Congregazione Governativa che lo Spezza abbia fatto suo di un ben meschino<br />

ripiego per indur l’uno l’altra in errore di fatto».<br />

9<br />

Ivi. Le circostanze rendono quindi «applicabilissimo al caso le disposizioni<br />

statutarie e provinciali Allegato 3 e 4, voglia fiaccare una volta l’insensato<br />

orgoglio dello Spezza, che per reintegro dei danni delle riconduzioni<br />

è giunto financo alla temerità di dar corso, quantunque anziano, ad<br />

una istanza giudiziaria contro il comune».


Patrica: statuto e danni dei pastori<br />

187<br />

riporta integralmente 10 :<br />

«Art. 16 – “Bestie minute in vigne ed alboreti”. Item se<br />

alcuna bestia minuta, cioè pecore, cani daranno danno come<br />

sopra, caschi nella pena di baj due e mezzo per bestia di<br />

giorno e del doppio di notte ed essendo tronco incorra nella<br />

pena di baj 25 quanti volte pero il danno non oltrepassi baj<br />

dieci, diversamente dovranno dette pene raddoppiarsi a<br />

norma come sopra, e sia permesso far incorrere la stima nella<br />

maniera a forma del capitolo precedente. in ordine poi alle<br />

capre, e neri vogliamo che questi siano affatto proibiti in detti<br />

luoghi, e trovandosi a dar danno incorra nella pena di baj 50<br />

per ciascuna bestia, di giorno e il doppio di notte, ed essendo<br />

tronco caschi nella pena di scudi 5 e non dovrà aver luogo<br />

la presente legge quante volte dette bestie andranno per la<br />

strada che da un pascolo conduce all’altra, che puol dirsi<br />

transito, ed in tal caso facendo danno sarà tenuto il padrone<br />

al pagamento di esso, senza pena alcuna».<br />

L’articolo qui menzionato, pur non avendo un preciso corrispettivo<br />

nell’edizione statutaria, trova alcune corrispondenze nell’Articolo<br />

75: “Bestie Minute come sopra”:<br />

«Item essendo trovata alcuna sorta di Bestie minute nelle<br />

Difese delle Vigne in tempi proibiti, caschi nella pena Il<br />

Padrone di giulij trè per Tronco, et altrettanto d’emenda, e non<br />

essendo Tronco d’un’ bajocco per bestia, quale emenda vada<br />

alla Comunità come sopra, con l’obbligo alli Signori Ufficiali<br />

conforme al Capitolo di tutte le Difese» 11 .<br />

Le deliberazioni dell’allegato contenuto nelle carte di archivio<br />

contengono in realtà disposizioni molto più precise. Da un lato<br />

identificano le bestie minute come cani, pecore e capre per le quali<br />

si prevede pene differenti rispetto ai maiali. Soprattutto, per quanto<br />

riguarda le capre, la pena severa di 50 baiocchi per bestia che si<br />

trovasse a far danno, veniva annullata nel caso in cui gli animali<br />

10<br />

Ivi. Allegato n. 3, datato 1855.<br />

11<br />

G. Giammaria, Le liberanze, cit., p. 59.


188<br />

Marco Di Cosmo<br />

si trovassero a percorrere il transito consentito per tornare ai loro<br />

accasamenti.<br />

Questo particolare è di grande importanza poiché nel caso in<br />

esame la controversia non riguarda tanto i danni prodotti da tali<br />

bestie, ma proprio quest’ultima parte delle risoluzioni consiliari,<br />

ovvero il fatto che le bestie potessero circolare nei luoghi vicini alla<br />

Mandra, luogo destinato al loro accasamento, e dunque libere nel<br />

transito “naturale” del ritorno a casa.<br />

Il Governatore di Ceccano, richiamandosi alle disposizioni<br />

consiliari contenute proprio nell’articolo “Bestie Minute in vigne<br />

ed alberi”, replica infatti al Priore Magni in data 12 febbraio<br />

1855, prendendo le parti dello Spezza, proprio in virtù di queste<br />

disposizioni, mal interpretate dal Priore 12 .<br />

Scrive infatti il Governatore che lo statuto di Patrica proibisce<br />

certamente il pascolo indiscriminato del bestiame, per i danni che<br />

tale pascolo provoca ai terreni coltivati. Tali disposizioni, però,<br />

non potevano essere applicate in tutti i luoghi, ma erano aperte alle<br />

modifiche ritenute opportune dalle singole località.<br />

A Patrica, le modifiche allo statuto operate nel corso degli<br />

anni avevano consentito ai pastori di ricondurre le bestie ai loro<br />

“accasamenti”, attraversando, in alcuni casi, anche parte dei terreni<br />

coltivati 13 .<br />

12<br />

DA, b. 819, fasc. 2038. Lettera del 12 febbraio 1855: «[…] parrebbe<br />

che il sig. priore fosse in errore e che ingiustamente esigesse di volvolo<br />

rimosso e infatti che possa essere in errore lo dimostra chiaro lo stesso<br />

suo discorso: si dichiara in esso di essere egli venuto... in forza di legge<br />

statutaria».<br />

13<br />

Ivi. «Lo Statuto Comunale di Patrica come tutti gli altri delle Comunità<br />

di questa Provincia bandisce il Bestiame Caprino, e suino dai terreni<br />

Vignati, ed Arboreti. Ad onta per di siffatto divieto come in Patrica, così<br />

in tutti gli altri Comuni tale specie di Bestiame fu proseguito a ritenersi<br />

sempre dovunque. Derivando da ciò gravissimi danni all’Agricoltura,<br />

si elevarono da ogni parte forti lamenti, e si provocarono delle analoghe<br />

provvidenze. Penetrata codesta Apostolica Delegazione della giustizia, e<br />

ragionevolezza di tali lamenti, e di richieste con Circolare del 24 Feb 1840<br />

n.1805, proibiva espressamente la ritenzione del surriferito Bestiame non


Patrica: statuto e danni dei pastori<br />

189<br />

Le riforme del 1840, infatti, avevano consentito di ricondurre<br />

il bestiame, attraversando non solo i terreni in cui vi era diritto di<br />

pascolo, ma anche alcune strade pubbliche attigue.<br />

È questo il caso dello Spezza, che nel ricondurre le proprie<br />

bestie verso i terreni di sua proprietà, percorreva alcuni terreni che<br />

il <strong>Comune</strong> di Patrica giudicava, richiamandosi allo statuto, come<br />

interdetti al pascolo, ma che invece le riforme del 1840 avevano<br />

identificato come strade percorribili per i pastori che, nel ricondurre i<br />

propri animali, non erano soggetti al pagamento di alcuna sanzione 14 .<br />

solo nei sopracitati fondi, ma in qualunque altro e lo confinava in quelli<br />

montuosi e stepposi. Ma riflettendo, che tale disposizione non sarebbe stata<br />

adattabile in tutti i luoghi in generale, prescrisse, che i Consigli Comunali<br />

l’avessero presa a disamina, e ... suggerite avessero quelle misure, e modificazioni,<br />

che reputate avessero opportune e conciliabili alle rispettive<br />

località, e all’industria dei Particolari».<br />

14<br />

Ivi. «Nell’aprile di detto anno 1840 si convocarono a Consiglio, e nel<br />

convenute colla sublocata disposizione, quanto di confinare il predetto Bestiame<br />

nei terreni montuosi, e cespugliosi, permisero di poterlo rimettere<br />

la notte nelle Mandre, in terreni ristretti prossimi ai suddetti terreni montuosi,<br />

e alle Macchie dell’Eccellentissima casa Colonna, nelle quali quella<br />

Popolazione ha il diritto di pascolo, e di potervelo condurre, assegnando<br />

all’uopo alcune strade pubbliche per transitarvi. Con questa modificazione<br />

pertanto fu mandata ad effetto la preavvertita disposizione. Quindi in processo<br />

di tempo incomincia ad essere a quando a quanto trasgredita, e termini<br />

col non essere più da nessuno affatto osservata. Prescelto a Priore nello<br />

scorso anno 1854 il chiarissimo Sig. Gioacchino Magni, piacque a questo<br />

di richiamarla alla più stretta osservanza. Tutti, come asserisce nell’accluso<br />

suo foglio il suddetto Sig. Priore, obbedirono comprensivamente al reclamante<br />

Sig. Ercole Spezza, rimuovendo dai fondi coltivati siffatto bestiame,<br />

e conducendolo nelle Montagne.<br />

Dopo ciò il suddetto Sig. Spezza nel giungere della presente stagione invernale,<br />

valendosi della summenzionata facoltà accordata dal pubblico<br />

Consiglio, ed approvata, siccome vengo fatto certo, dalla Superiorità, ha<br />

fatto costantemente in ogni notte rimettere il suo bestiame Caprino in una<br />

Mandra, posta in un suo terreno ristretto in Contrada Varracani, e prossima<br />

alla Macchia piana, alla quale lo fa giornalmente condurre, per depascervi,<br />

percorrendo, conforme rilevasi dal foglio di quel Sig. Segretario Comuna-


190<br />

Marco Di Cosmo<br />

le, che qui completato rassegno, la strada così detta della Fontana, che appunto<br />

è una delle assegnate al transito. Giunto ciò a saputa del lodato Sig.<br />

Priore, si è questi stimato in diritto di obbligare lo Spezza a rimuoverlo, e il<br />

perché non ha ciò eseguito, lo ha fatto più volte ricondurre in quella pubblica<br />

Depositaria, costringendo in pari tempo il più volte nominato Spezza a<br />

pagare le riconduzioni ai Guardiani. Ma sussistendo, siccome deve appieno<br />

sussistere, poiché con tutta certezza ne lo assicura l’indicato Segretario<br />

Comunale, accludendo in prova la relativa Mappa, che la Mandra in cui<br />

viene il bestiame in discorso rimesso la notte, stia dentro il terreno ristretto<br />

di proprietà dello Spezza, che questo sia vicino alla Macchia piana, e che<br />

sia il ridetto bestiame in quella il giorno per la strada denominata Fontana<br />

condotto al Pascolo, parrebbe che il Sig. Priore fosse in errore e che ingiustamente<br />

volesse di volerlo rimosso. E in fatti che possa essere in errore,<br />

lo dimostra chiaro lo stesso suo discarico: si dichiara in esso di essere Egli<br />

venuto tali passi in forza di Legge Statutaria, e della ridetta Circostanza<br />

far menzione alcuna della surripetuta Consiliare liberazione, che corregge<br />

l’una e l’altra».


Rossana Fiorini<br />

La tutela e la salvaguardia della Selva di Pofi<br />

negli Statuta Terrae Popharum<br />

Introduzione<br />

La vicenda storiografica della normativa statutaria di Pofi è stata<br />

oggetto di studi 1 che hanno attestato le diverse datazioni dello Statuto,<br />

oggi conservato presso l’Archivio di Stato di Roma 2 . Gli studi<br />

precedenti fissano le proprie fondamenta intorno all’analisi critica<br />

dello statuto e intorno a notizie di carattere storico, consentendoci<br />

così di poter comprendere più a fondo le usanze, i costumi e le<br />

consuetudini dell’antica comunità pofana.<br />

In questa sede, muovendoci anche a partire da tali studi,<br />

analizzeremo – grazie alla disamina dei documenti reperiti presso<br />

l’Archivio di Stato di Roma nel fondo della Sacra Congregazione<br />

del Buon Governo e presso l’Archivio Colonna nella Biblioteca del<br />

Monumento Nazionale di Santa Scolastica di Subiaco – l’uso dello<br />

Statuto nelle pratiche comunitarie degli abitanti di Pofi.<br />

1<br />

F. M. Campoli, Pofi. Dalle origini all’inizio del secolo XX, Roma 1982; V.<br />

Celletti, Pofi, terra della campagna di Roma. Mille anni di feudalesimo,<br />

Roma 1957. Lo statuto di Pofi, Statuta Terrae Popharum, venne concesso<br />

da Marco Antonio II Colonna il 10 febbraio 1569, sotto il pontificato di Pio<br />

V. Lo statuto aveva però dei precedenti: il primo del 1195, riconfermato<br />

sotto Innocenzo III, poi sotto Papa Nicola IV; poi sotto la dominazione dei<br />

Caetani, quando nel 1491 si fa esplicito riferimento ad antiche consuetudini<br />

e ad “antiqui Capitoli e Statuti” concessi alla Comunità di Pofi. Anche<br />

se le notizie sono scarse, sostiene il Campoli, stanno tuttavia ad indicare<br />

che lo Statuto di Pofi dovette essere una rielaborazione dei precedenti, con<br />

aggiunta di nuove e/o modificate disposizioni.<br />

2<br />

Archivio di Stato di Roma, Biblioteca, Collezione Statuti, 0831, Statuta<br />

Terrae Popharum. Il Campoli ritiene che vi siano grafie che appartengono<br />

a periodi diversi e che una copia dello statuto fu inviata alla Sacra Congregazione<br />

della Consulta, così come era stato richiesto da quest’ultima; i<br />

tentativi per rintracciarla però non hanno ancora sortito esiti positivi.


192<br />

Rossana Fiorini<br />

La posizione e la conformazione del territorio, incastellato<br />

entro le grosse mura di cinta del castrum, fanno di Pofi una piccola<br />

fortezza militare, soprattutto di avvistamento. La comunità che vi<br />

abitava comunque conduceva una vita rurale, dedita alle attività<br />

agricole come l’allevamento e le coltivazioni. Massima importanza<br />

rivestivano i boschi e le selve, la cosiddetta “Macchia di Pofi” (ma<br />

ce ne erano altre, ad esempio “le Sterpette” o ancora la “Macchia<br />

del Signore”) – dove era garantito il pascolo libero al popolo in<br />

determinati periodi dell’anno. Dalle carte consultate gli elementi più<br />

appariscenti risultano essere la tutela e la sorveglianza che lo Statuto<br />

sanciva nelle sue rubriche nei confronti del bosco, certamente<br />

perché il rivestimento boschivo assolve a molte funzioni e svolge<br />

azioni uniche e preziose sugli aspetti economici, sociali e fisici di<br />

un territorio. È anzitutto fornitore principale di legname, grazie agli<br />

arbusti e agli alberi bassi a foglia persistente che lo costituiscono,<br />

previene il dissesto idrogeologico, può essere moderatore dei fattori<br />

del clima (quando raggiunge sufficiente estensione e continuità),<br />

dà sostentamento agli animali che vi pascolano e alle persone che<br />

possono raccogliervi frutti e piante commestibili.<br />

Taglio abusivo nei boschi della Comunità di Pofi<br />

Le presenze dello Statuto nelle carte d’Archivio sono accertabili<br />

già a partire dal XVII secolo 3 , fino alla seconda metà del XIX.<br />

L’argomento che emerge maggiormente è inerente il danno dato,<br />

soprattutto quello arrecato alla Macchia da persone, manualiter o<br />

studioso, e peggio ancora da animali incustoditi. Si inserisce qui<br />

il problema dei tagli boschivi praticati abusivamente. Ai fini della<br />

salvaguardia dei boschi della Comunità e dei privati, lo Statuto<br />

prevedeva delle sanzioni importanti per coloro che avessero tagliato<br />

alberi senza la licenza del balivo. Dalla Corrispondenza dell’Archivio<br />

Colonna, diversi documenti del 1733 riportano la vicenda di alcuni<br />

3<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio<br />

Colonna (in seguito si citerà solo Colonna e la posizione), Pofi III NC,<br />

Corrispondenza 1618. Si tratta di attestazioni che riguardano una questione<br />

di giurisdizione esclusiva dei tribunali giudiziari e la lotta fra laici e clero.


Pofi: Statuto e patrimonio boschivo<br />

193<br />

ragazzi che, con l’intenzione di avvicinarsi ad alcuni nidi di uccelli,<br />

«non trovando modo di salirvi si fecero lecito tagliare una farinola<br />

fruttifera della grossezza di un palmo ..., a fine di servirsene di<br />

scala» 4 . I periti si erano naturalmente espressi sul danno e avevano<br />

stimato che, malgrado si trattasse di «arbore vecchio, era ancor atto<br />

a portar frutto» 5 . Lo Statuto comminava pene più salate contro chi<br />

avesse tagliato o danneggiato alberi da frutto, come in questo caso.<br />

Il governatore riferì il fatto e rilevò il processo, che dunque pendeva<br />

nei confronti dei ragazzi per trentacinque baiocchi – così era stato<br />

stabilito dai periti. Tale documento risulta essere di supporto alla<br />

comprensione di quella che poteva essere l’applicazione della pena<br />

in base alle norme statutarie 6 . Il risarcimento del danno infatti era<br />

sempre dovuto, indipendentemente dal pagamento della pena<br />

pecuniaria.<br />

Dal fondo del Buon Governo si sono reperiti documenti inerenti<br />

casi specifici di taglio abusivo di legna nel bosco. È la Comunità<br />

a scrivere al Buon Governo, a firma di Bartolomeo Andretti 7 ; si<br />

invia un memoriale in cui la Comunità, tramite i propri Pubblici<br />

4<br />

Ivi, 1733. La lettera è indirizzata al Principe Colonna, è datata 24 ottobre<br />

1733. La firma in calce è del governatore Francesco Antonio Missorj.<br />

5<br />

Ibidem.<br />

6<br />

Lo statuto si occupava dei danni abusivi fatti nella selva al capitolo XXIII<br />

del libro del danno dato. Per poter tagliare la legna era necessaria la licenza<br />

del comestabile. Il capitolo recitava «[…] chiunque avrà tagliato […] un<br />

[…] albero […] per ciascun albero tagliato sia punito di carlini 2, come è<br />

stato definito nel cap. precedente”. Da qui si può notare che la pena pecuniaria<br />

era mutata. Vi era un particolare caso: “[…] quando qualcuno al<br />

fine di fare trave, tavole […] vorrà tagliare […] detti alberi, che sia tenuto<br />

a chiedere la licenza deli stessi comestabili, i quali, se avranno constatato<br />

che chi chiede la licenza ha bisogno di tale legname per adattare la sua dimora,<br />

siano tenuti a far la concessione”. Si occupava delle sanzioni per gli<br />

alberi da frutto il cap. XIV. Dei tagli abusivi si occupava anche il cap. LIV<br />

del libro IV. Cfr. F. M. Campoli, Pofi, cit., pp. 115-160.<br />

7<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 3592. La supplica indirizzata al Buon<br />

Governo è datata in 25 maggio 1773.


194<br />

Rossana Fiorini<br />

Rappresentanti, espone un fatto accaduto. Due “forestieri” – non<br />

residenti a Pofi quindi – si erano introdotti loscamente nella selva,<br />

portando via due alberi di cerro, dopo averli recisi (per utilizzarli in<br />

seguito per la costruzione di navi).<br />

Presi in flagrante, i due erano stati condannati a pagare una pena di<br />

venticinque scudi 8 . Il resoconto ci informa del fatto che la sanzione<br />

pecuniaria era stata altre volte approvata dalla Sacra Congregazione<br />

del Buon Governo 9 . La supplica quindi richiedeva che, ancora una<br />

volta, il Buon Governo ordinasse che il danno patito dalla Comunità<br />

fosse completamente risarcito con quanto contenuto nel bando<br />

relativo ai tagli eseguiti dai forestieri. Siamo altresì informati, da un<br />

altro memoriale, che il danno venne completamente saldato dopo la<br />

perizia giudiziale 10 .<br />

Col tempo, a Pofi, come è stato possibile sincerare grazie alla<br />

8<br />

Ivi, b. 3591. Da una risoluzione consiliare, datata 13 aprile 1757, sappiamo<br />

che chiunque fosse stato trovare a raccogliere legna nella Macchia di<br />

Pofi, sia esso abitante di Pofi o “forastiero”, sarebbe incorso in una sanzione<br />

pecuniaria di 25 scudi. La delibera specificava anche le modalità e<br />

la suddivisione della pena nei confronti degli ufficiali, della Corte e della<br />

Comunità. Cfr. inoltre F. M. Campoli, Pofi, cit., p. 213.<br />

9<br />

BG, b. 3592. Dalla succitata supplica dell’Andretti si sa che il giorno18<br />

Giugno 1757 il Buon Governo aveva disposto la pubblicazione di un editto<br />

indirizzato a reprimere gli abusi denunciati dalla Comunità.<br />

10<br />

Ivi. La lettera è datata 19 giugno 1773; è firmata da Bartolomeo Andretti<br />

indicato qui come ufficiale della Comunità. «In ordine a quanto s’espone<br />

nel qui compiegato memoriale avanzato in Sacra Congregazione dai Pubblici<br />

Rappresentanti della Terra di Pofi, mi dice quel Governatore, ed ho<br />

l’onore di riferire alle Eminenze Vostre che il taglio fatto in quella selva<br />

communitativa, per ordine del giudice Ciacelli affittuario della medesima,<br />

consiste in due alberi di cerro, quali dalli dannificanti sono stati pagati […]<br />

a forma della perizia giudiziale alla Comunità». Giuseppe Ciacelli di Pofi<br />

aveva affittato la Macchia per 160 scudi annui superando l’offerta di Filippo<br />

Maria Spani di Veroli. L’affitto valeva un novennio, a partire dal 1769,<br />

previa approvazione del Consiglio che deliberò unanimemente favorevole<br />

il 24 novembre 1768. Il governatore dichiarò al Buon Governo che la deliberazione<br />

adottata era stata quanto mai vantaggiosa. Cfr. F. M. Campoli,<br />

Pofi, cit., p. 224.


Pofi: Statuto e patrimonio boschivo<br />

195<br />

documentazione esaminata, numerosi furono i casi o i processi<br />

che interessarono le boscaglie selvatiche, anche di altre macchie<br />

del territorio. Un esempio è infatti il processo riguardo i danni alla<br />

“Macchia delle Sterpette” 11 . Le testimonianze prese in indagine in<br />

questo nuovo episodio abbracciano un arco temporale compreso<br />

fra il maggio e il settembre 1789 12 ; si tratta di un carteggio tra la<br />

Sacra Congregazione del Buon Governo e l’Uditore di Ceccano 13 .<br />

Con una lettera del 30 maggio 1789 il Buon Governo autorizzava<br />

a procedere nei confronti dei «dannificanti nel terreno macchioso<br />

delle Sterpette spettante alla comunità di Pofi» 14 . È bene ricordare<br />

che, l’anno precedente, la Macchia era stata ceduta in enfiteusi 15 a<br />

11<br />

Cfr. Ivi, p. 211. Nel 1757, è noto dalle carte, si concesse in enfiteusi il<br />

terreno della “Macchia delle Sterpette”, cosicché la Comunità avrebbe potuto<br />

ricavare circa 30 scudi. La concessione in affitto delle selve boschive,<br />

sia per il pascolo degli animali che si cibano di ghianda che per il taglio<br />

della legna, costituiva entrata fiscale per le casse della Comunità. Questo<br />

rendeva la tutela delle selve boschive un’attività importante per tutta la<br />

Comunità.<br />

12<br />

BG, b. 3593.<br />

13<br />

L’uditore nel 1734 venne spostato da Pofi a Ceccano. Cfr. F. M. Campoli,<br />

Pofi, cit., pp. 166-170.<br />

14<br />

BG, b. 3593. L’uditore di Ceccano De Nobili scrive una lettera alla<br />

Sacra Congregazione in data 15 agosto 1789. Ulteriore conferma si legge<br />

ancora in un’altra lettera di Giacomo Antonio Rizzardi, del 6 agosto 1789:<br />

«L’uditore di Ceccano dà conto alla Sacra Congregazione della esecuzione<br />

degli ordini avuti, fatto il dì 30 maggio prossimo passato sulli devastazioni<br />

di quella macchia di Pofi data in enfiteusi a Folco Colantonj, e che si<br />

chiama della Sterpette. Presento a Vostra Signoria […] la lettera di detto<br />

uditore con la causa di dette devastazioni della ulteriore esecuzione li detti<br />

devastazioni».<br />

15<br />

Ivi. Vi era stato un editto disposto dall’uditore De Nobili, datato 17<br />

maggio 1789, che riportava il seguente titolo: «Giovanni Maria de Nobili<br />

dell’una, e l’altra legge Dottore per Sua Eccellenza il Signor Gran Contestabile<br />

D. Filippo Colonna Uditore Generale dello Stato, e Giudice esecutoriale<br />

della Sacra Congregazione del Buon Governo». L’editto stabiliva<br />

vincoli, limiti e disposizioni normative e cautelava i rapporti giuridici fra il<br />

Signor Colantonj e la Comunità di Pofi. Il documento infatti, nei confronti


196<br />

Rossana Fiorini<br />

Folco Colantonj dell’Arnara, miglior offerente dell’asta pubblica<br />

con un canone del valore di 15 scudi annui (divenuti in seguito 24)<br />

il quale si obbligava a ridurre a oliveto la selva boschiva, in virtù<br />

del motu proprio di Papa Pio VI, che offriva un “paolo” per ogni<br />

pianta d’olivo messa a dimora. I pofani però rivendicarono il diritto<br />

di pascolare gli animali e di far legna all’interno della stessa 16 .<br />

Formatesi le perizie giudiziali, erano state “incise” più di mille<br />

piante, si stabilì l’ammontare del danno a 102 scudi e 50 baiocchi.<br />

Così, si procedette in termini di giustizia nei confronti dei devastatori,<br />

alcuni dei quali però furono assolti per decreto con l’obbligo di pagare<br />

la rata del danno a favore della comunità, domandando peraltro<br />

la riduzione della causa criminale al giudizio civile e rimettendo<br />

la causa alla Sacra Congregazione. A tal proposito interpellarono<br />

l’Uditore per impugnare la copia del processo che pendeva contro<br />

di loro. Questi, previa autorizzazione del Buon Governo, consegnò<br />

detta copia 17 . Nonostante l’esito del processo il Colantonj, durante<br />

dei cittadini di Pofi, recita: «di non ardire di inquietare, turbare e molestare<br />

il […] Colantonj nell’utile dominio di detta Macchia e terreno nella<br />

estirpazione di essa […] sotto la pena di scudi 100 d’oro, d’applicarsi in<br />

beneficio della stessa Comunità e di altre pene corporali […] secondo […]<br />

circostanze […] ed arbitrio» del Buon Governo.<br />

16<br />

Ivi. All’interno della busta vi sono numerosi fogli che testimoniano<br />

l’episodio. Uno fra tutti, riportato anche dal Campoli, riguarda una lettera<br />

del governatore di Pofi. – nell’informare il Contestabile Filippo Colonna,<br />

in data 22 agosto 1789 – asseriva: «[…] il popolo di Pofi s è trovato dello<br />

jus di legnare che dapprima goduto avea, di pascolare i loro bestiami nella<br />

Selva ridetta, fino di farvi i poverelli i funghi […]». Egli parla di “lagnanze”<br />

contro il Colantonj e non di minacce come invece si legge in altri documenti.<br />

Sono citati anche gli abitanti dell’Arnara, che nella Macchia erano<br />

soliti raccogliere «la legna infruttifera».<br />

17<br />

Ivi. Da una missiva titolata: «Pofi. Sulla Consegna della copia del processo<br />

a dannificanti nella Macchia delle Sterpette». La data apposta dalla<br />

Sacra Congregazione sul documento è del 19 settembre 1789, firmato da<br />

Monsignor Bussi.«La consegna della copia del processo non può negarsi,<br />

pretendendo li sudetti dannificanti di rimettere la causa alla Sacra Congregazione<br />

in civilibus. E trattandosi di delitto, nel quale non ha luogo né la<br />

galera, né altra pena corporis afflittiva, ma la sola pena pecuniaria colla


Pofi: Statuto e patrimonio boschivo<br />

197<br />

l’estate del 1790, con una missiva indirizzata al Buon Governo 18 ,<br />

chiese di cedere la “Macchia delle Sterpette” a colonia perpetua; tale<br />

operazione si rendeva evidentemente indispensabile per via dei costi<br />

che lo stesso aveva dovuto sostenere per il protrarsi della causa.<br />

Dispute sul pascolo nei boschi liberi della Comunità di Pofi<br />

Una disposizione molto particolare nella Comunità di Pofi era<br />

contenuta nel capitolo XXVIII dello Statuto. In determinati periodi<br />

dell’anno, previa la licenza dei comestabili, era consentito – sia<br />

nella Macchia della Comunità che nei boschi privati – il pascolo<br />

libero delle bestie. Non era invece consentito in altri periodi, ovvero<br />

quando gli alberi avevano ancora il frutto (castagne, ghiande, ecc.),<br />

a partire cioè dal giorno della festa di San Michele Arcangelo (29<br />

settembre) fino al giorno della festa di Sant’Andrea (30 novembre):<br />

la sanzione era applicata in base alle volte in cui le bestie venivano<br />

introdotte nei terreni o in base al danno arrecato. Dopo la festa di<br />

Sant’Andrea però era lecito pascolare nei boschi della Comunità con<br />

la licenza dei comestabili.<br />

«È stato sempre solito, che doppo la festività di S. Andrea<br />

ciascheduno del popolo ha potuto pascere per tutte le selve non<br />

solo gl’animali neri, ma ciaschedun’altra specie de’ bestiami, e<br />

questo immemorabile uso è stato fondato sopra la statutaria, il<br />

capitolo della quale ho creduto bene trasmetterlo alle Eminenze<br />

Vostre, nella presente informazione» 19 .<br />

rifezione del danno al Colantonj enfiteuta. […] Può dunque rescriversi:<br />

mandet tradi peritam copiam Processus, et Actorum, soluta mercede juxta<br />

taxam localem». Il giorno seguente una lettera dell’uditore Rizzardi di<br />

Ceccano comunicava inoltre al Buon Governo: «Il Signor Gran Contestabile<br />

si rimette nel caso della intestazione della selva delle Sterpette in Pofi,<br />

data in enfiteusi a Folco Colantonj al giudizio della Sacra Congregazione<br />

rispetto alla comunicazione del processo».<br />

18<br />

Ivi. Il Buon Governo, con un documento che risale al 17 luglio 1790,<br />

accordò al Colantonj la possibilità di stipulare con la popolazione atti di<br />

colonia perpetua.<br />

19<br />

Ivi, b. 3591. Il Governatore di Pofi, Giulio de Nobili scrive al Buon


198<br />

Rossana Fiorini<br />

La lettera, firmata dal Governatore di Pofi, fornisce utili ed<br />

importanti nozioni sul cosiddetto “diritto di ricadenza” che aveva<br />

larga incidenza nell’economia locale, soprattutto per la parte più<br />

povera della popolazione. Alla Sacra Congregazione, oltre al capitolo<br />

che disciplinava il caso, si inviava la supplica insieme alla risoluzione<br />

consiliare adottata per difendere il diritto della popolazione 20 .<br />

Nell’istanza si specifica che non si tratta di uno jus pascendi<br />

circoscritto ai soli animali neri (suini) ma che le disposizioni<br />

riguardavano tutti i tipi di bestiame. Senza tale diritto sarebbe stato<br />

necessario provvedere al pascolo del bestiame a proprie spese. È<br />

bene anche ricordare, riguardo gli animali neri, che in passato per<br />

essi vi era stata maggiore tolleranza 21 , ma ora le sanzioni stabilite<br />

Governo. Il documento è datato 25 settembre 1746. «[…] contro alcuni<br />

principali particolari padroni di molte selve, i quali da un anno in qua pretendono<br />

di privare tutto il popolo di quest’uso immemorabile, e necessario,<br />

non portarebbe alla Comunità suddetta utile alcuno […] non avendo la<br />

detta Comunità più questo jus di ricadenza il popolo soffrirebbe un danno<br />

inestimabile, primieramente perché quasi tutto tiene qualche animale nero,<br />

qualche particella di capre, o altro bestiame, col quale industriandosi per lo<br />

più tira avanti la famiglia, e non avendo la ricadenza sudetta non potrebbe<br />

per tanti mesi sostentare le dette bestie, e in conseguenza per non poterle<br />

tenere verrebbe in maggior miseria di quello sia presentemente». Insieme<br />

alla missiva viene spedito al Buon Governo copia del capitolo statutario<br />

XXVIII.<br />

20<br />

Ivi.<br />

21<br />

Cfr. F. M. Campoli, Pofi, cit., p. 136. Il libro del danno dato, nei capitoli<br />

che vanno dal XXX al XL, regolava le procedure di accertamento dei<br />

danni arrecati dalle bestie in genere. A tal proposito cfr. Colonna, Pofi III<br />

NC, Corrispondenza, 1738. Nel 1738 le sanzioni però non sembravano più<br />

poter contenere i numerosi danni che gli animali commettevano sia di giorno<br />

che di notte alle vettovaglie delle “altrui possessioni”. I riferimenti allo<br />

Statuto che spuntano dalla Corrispondenza Colonna del medesimo anno ci<br />

dicono che le disposizioni degli Statuti Municipali non sono più in grado di<br />

contenere i danni anche per via dell’accrescimento e della moltiplicazione<br />

del popolo. Le pene statutarie si risolvevano in «pochi quattrinucci per<br />

ogni animale danneggiante» e pare che «invece d’incuter timore agli uomini»<br />

cagionavano «in essi poca ultima derisione». Si provò dunque a far


Pofi: Statuto e patrimonio boschivo<br />

199<br />

risultavano essere comunque molto restrittive, rigide e severe 22 .<br />

Prima dell’emanazione dello Statuto infatti (così sembra evincersi dal<br />

Capitolo) l’allevamento dei suini era ammesso anche dentro le Mura<br />

del <strong>Comune</strong> di Pofi: tuttavia gli inconvenienti che ne erano derivati,<br />

avevano suggerito di adottare qualche limitazione al libero vagare<br />

degli stessi. Inoltre l’incremento demografico e il restringimento dei<br />

terreni adibiti a coltivazione erano stati ulteriore causa dei continui<br />

aumentare «le pene contro gli animali bovini, specialmente quando sotto<br />

gli occhi dei loro padroni danneggiassero, le biave, e grani altrui». Ovviamente<br />

si intendeva rimetter «lo statuto alla qualità, e condizione de’ tempi,<br />

e non li tempi alle determinazioni dello statuto; […] molte leggi, che<br />

utili erano alla venerabile antichità, disutili affatto col rivolgimento degli<br />

anni, e cangiamento de costumi divennero, e perciò furono da legislatori<br />

o rinnuovate in parte, o del tutto abolite, o sostituite in luogo loro alcune<br />

leggi più confacevoli, e precise. Si aggiunge poi che i danni studiosamente<br />

commessi, partecipando molto del criminale, devono purgarsi con una<br />

pena più grave, e per conseguenza raddoppiandosi rispetto a medesimi».<br />

Sono eloquenti le parole di Notari in proposito: «L’inasprimento delle pene<br />

o, comunque, la generalizzata ricerca di una maggiore efficacia sanzionatoria,<br />

parrebbe in certi casi conseguire anche all’introduzione di colture<br />

erbacee destinate al bestiame e alla correlata sottrazione di varie tipologie<br />

di fondi, ‘banditi’ – anche temporaneamente – al pascolo collettivo». Cfr.<br />

S. Notari, Per una geografia statutaria del Lazio: il rubricario degli statuti<br />

comunali della provincia storica di Campagna, in Rivista Storica del<br />

Lazio, 13-14 (2005-2006), 22, Le comunità rurali e i loro statuti (secolo<br />

XII-XV), Atti dell’VIII Convegno del Comitato italiano per gli studi e le<br />

edizione delle fonti normative, Viterbo 30 maggio – 1 giugno 2002, a cura<br />

di A. Cortonesi e F. Viola, pp. 46-47, 53-55, 83.<br />

22<br />

Si occupavano di disciplinare le azioni delle bestie suine il cap. LIII del<br />

Libro II Damnorum Datorum, aggiunta posteriore e di difficile lettura, e<br />

il cap. LXII del Libro IV Extraordinarium, che si riesce a leggere solo in<br />

alcune parti. Le parti leggibili recitano: «[…] se vengano trovati dei porci<br />

a far danno in qualunque luogo del territorio di Pofi, tanto i detti porci del<br />

Castello di Pofi che dei forestieri […] a tutti i padroni o padrone sia lecito<br />

ammazzare un solo porco alla volta […] soltanto riportando un quarto di<br />

detto porco alla Corte di detto luogo e in giornata, sia lecito al padrone che<br />

ha subito il danno […]». Cfr. F. M. Campoli, Pofi, cit., pp. 130-141, 151-<br />

152.


200<br />

Rossana Fiorini<br />

danneggiamenti. Il territorio di Pofi oltre ad essere piuttosto ridotto,<br />

è ricco di macchie e boscaglie, per cui risultava difficoltoso tenere gli<br />

animali alla larga da tali zone per molto tempo, e proprio su questo il<br />

peso della normativa statutaria, così come ricordava il Governatore<br />

nella suddetta missiva: «onde si vede che saviamente ha provveduto<br />

lo statuto con dar facoltà di pascolare tutte le selve doppo detta<br />

festività, et anche nella propria selva communitativa, con la licenza<br />

però de contestabili» 23 .<br />

Il problema legato agli animali non è relativo solamente al pascolo,<br />

ma anche al semplice transito degli stessi, e si ricollega anche alle<br />

pratiche della semina. Per poter seminare bisogna attraversare i<br />

boschi ed è noto che il popolo potesse adempiere a tale attività a<br />

partire dal giorno di S. Andrea. Senza diritto di pascolo, non sussiste<br />

neanche quello di passaggio, risulta difficile dunque raggiungere i<br />

campi e si deve far ricorso alla discrezione dei padroni delle selve.<br />

Inoltre si incorrerebbe nella segnalazione da parte dei guardiani,<br />

come già accadeva quando si attraversavano strade maestre. Se poi<br />

si considera che la Macchia è a disposizione dei padroni fino alla<br />

data del Carnevale, il popolo ha anche il contingente danno di veder<br />

terminare il periodo della semina. Non bisogna dimenticare che, tra<br />

le varie attività economiche cui l’uomo si può dedicare, l’agricoltura<br />

è l’unica che non permette l’esasperazione dei ritmi produttivi,<br />

poiché è necessariamente vincolata da precise leggi biologiche.<br />

Per tali ragioni la Comunità prosegue la lite «intentatagli contro da<br />

detti particolari padroni della selva» 24 richiedendo che il pascolo nel<br />

bosco, che aveva sempre rappresentato uno jus Commune, torni ad<br />

essere libero e alieno dal diritto della proprietà privata 25 .<br />

23<br />

BG, b. 3591. Dalla missiva del governatore De Nobili datata 25 settembre<br />

1746.<br />

24<br />

Ibidem.<br />

25<br />

Ivi. Da un ulteriore documento (annesso alla detta lettera del governatore<br />

De Nobili e datato 10 settembre 1746, firmato “li zelanti della Terra di<br />

Pofi”) apprendiamo i che vassalli si rivolgono al Buon Governo affinché<br />

si proibisca di utilizzare «il denaro del pubblico nella lite, che si sostiene<br />

a nome della Communità contro la Chiesa, ed altri possessori delle selve


Pofi: Statuto e patrimonio boschivo<br />

201<br />

Si torna a parlare dello jus pascendi qualche tempo dopo rispetto<br />

ai fatti appena descritti.<br />

Il Marchese Francesco Maria Campanari di Veroli aveva<br />

acquistato, per decreto della Sacra Congregazione Economica, la<br />

Macchia di Pofi, per il ragguardevole prezzo di circa 7000 scudi,<br />

gravata della servitù del pascolo a favore dei cittadini di Pofi con<br />

la clausola «riservatis favore Populi omnibus iuribus, si quae super<br />

praevio legitime existunt» 26 , a riserva soltanto dal primo ottobre<br />

fino all’ultimo giorno di Carnevale di ogni anno, come espresso nel<br />

pubblico “istrumento” del 6 febbraio 1805.<br />

È noto dai fascicoli rintracciati che i pofani, “soffrendo” l’alienazione<br />

della macchia, inviarono un monitorio «avanti l’Auditore<br />

di Camera super manutenzione in propensione jurispascendi» 27 ,<br />

attraverso il quale tentarono di render vana la compravendita. Pare<br />

in ordine al potersi pascolare in essa da cittadini colli loro animali fuori<br />

di un certo determinato tempo ancorché non sia terminata la raccolta, a<br />

pascolo della ghiande, mentre questa lite non ridonda in alcuni utile della<br />

detta Communità particolari, che primi di tali selve fanno negozio d’animali<br />

negri, e perciò deve di ragione sostenersi a loro proprie spese, che ne<br />

sperano il profitto particolare, e non della Communità, a cui non può recar<br />

la vittoria alcun profitto».<br />

26<br />

Ivi, b. 3596. Il Marchese Francesco Maria Campanari di Veroli ricorre<br />

a Papa Pio VII per l’acquisto della Macchia di Pofi con decreto della Sacra<br />

Congregazione Economica, a mezzo del procuratore Nicola Benedetti,<br />

facendo presente le condizioni stabilite e vincolanti per la popolazione di<br />

Pofi per la servitù del pascolo. Dallo stesso documento apprendiamo che<br />

il Marchese aveva precedentemente interpellato la Sacra Congregazione:<br />

«Ricorse il compratore alla Sacra Congregazione Economica, acciò gli<br />

mantenesse la vendita dell’instromento stipulata in forza del suo decreto.<br />

Essa rimise l’istanza alla Sacra Congregazione del Buon Governo che ritiene<br />

in amministrazione i beni a comunità: onde questa lungi dal sostenere<br />

l’alienazione a macchia di Pofi, sotto il dì 29 marzo (1806) ha rescritto<br />

partes utantur iuribus suis». Il documento dovrebbe risalire al novembre<br />

del 1806.<br />

27<br />

Ibidem. Il Campanari comunque terminava la sua missiva dicendosi vittima<br />

di un vero e proprio spoglio e richiedendo di esser risarcito del danno<br />

subito.


202<br />

Rossana Fiorini<br />

che la Comunità introducesse molti animali a pascolare la ghianda<br />

all’interno della macchia, in un momento che doveva esser riservato<br />

al Campanari. C’è un po’ di confusione sull’accaduto: sia sulle date<br />

in cui detti animali furono introdotti, sia sul periodo stesso in cui<br />

essi rimasero nella selva 28 . Più volte nelle pratiche analizzate si pone<br />

l’accento sulla consumazione della ghianda da parte degli animali;<br />

tant’è vero che la Comunità – sostenendo di aver fatto entrare il<br />

bestiame dopo il 9 di dicembre – affermava di aver trovato una<br />

situazione in cui la ghianda era totalmente consunta o prossima<br />

alla consumazione, e che quindi era stata interamente utilizzata dai<br />

Signori Campanari.<br />

La stessa situazione, che ci palesa la totale consumazione dei frutti<br />

del bosco da parte degli animali – e per questo ci fornisce ancora una<br />

volta la funzione essenziale e indiscutibile del patrimonio naturale<br />

delle selve per gli abitanti di Pofi – affiora dalle dichiarazioni giurate<br />

di due periti (l’una identica all’altra), accorsi a testimoniare e rilevare<br />

alcuni danni fra le terre confinanti di Pofi, Ripi e Arnara. Si torna<br />

inoltre a parlare degli aspetti più tardi dello jus pascendi quando gli<br />

esperti, Luca Rinaldi e Giuseppe Carrante, che affermano di essere<br />

residenti rispettivamente ad Arnara e a Ripi, dichiarano di conoscere<br />

molto bene il territorio e con il loro giuramento 29 essi dichiarano che<br />

28<br />

Ivi, b. 3597. Da un documento intitolato: «Memoriale con Sommario e<br />

scritte annesse per l’udienza dei 3 settembre 1818». Si riferisce che tale<br />

episodio non fu isolato, ma si ripeté anche durante gli anni successivi: ciò<br />

si può leggere nel memoriale che porta il titolo «Memoriale Replicationij<br />

cum novo summario auditi», qui si dice che la Famiglia Campanari «fraudata<br />

venit ab igluvie Pophanorum in fruitione dicta silva per biennium, annis<br />

scilicet 1805 in 1806, et 1806 in 1807». Altre carte invece smentirono<br />

quanto appena detto e chiarirono che il Marchese poté sfruttare la macchia<br />

dal 1 ottobre al 9 novembre. Al Marchese Campanari furono accordati 200<br />

scudi di risarcimento.<br />

29<br />

Ivi, b. 3597. La testimonianza risale al 25 agosto 1818. «[…] essendo noi<br />

molto pratici del territorio di Pofi […] possiamo con verità riferire, che in<br />

tutte le macchie, […] il popolo vi ha il diritto di pascolare nei suoi debiti<br />

tempi, e tal dritto si estendeva anche alla macchia della Comunità quando<br />

da quella si possedeva. […] all’epoca del giorno di S. Andrea il cibo, o


Pofi: Statuto e patrimonio boschivo<br />

203<br />

il popolo aveva il diritto di pascolo in determinati periodi dell’anno e<br />

che questo diritto si estendeva in passato anche alla Macchia di Pofi.<br />

La materia che si estrapola dalla ricerca d’archivio condotta ci<br />

dà la misura di una civiltà rurale che si reggeva autonomamente<br />

grazie anche all’utilizzo dello Statuto, che forniva le modalità utili a<br />

regolare le dispute e le controversie che si verificavano, la maggior<br />

parte delle quali – come si è potuto constatare – riguardava la difesa<br />

del patrimonio boschivo e il controllo delle risorse naturali. Tutto<br />

ciò grazie ad un sistema di vigilanza e di verifica che scaturiva<br />

proprio dalla fonte statutaria e dalla scrupolosa attività dei custodi<br />

del territorio.<br />

sia la ghianda di dette macchie è totalmente consumata dagl’animali, che<br />

l’hanno pascolata, o è prossima alla consumazione, ed è solito, quando il<br />

cibo non è consunto, di domandare la proroga dai padronali delle macchie<br />

alla Comunità nel detto giorno di S. Andrea. Possiamo infine riferire, che<br />

quando i neri escono dalle Macchie dove hanno pascolato vi rimangono in<br />

terra molti frantumi di ghianda da noi chiamati minuzzi, quali si sogliono<br />

poscia pascolare dai magroni, e porcelli, che vi s’introducano dal Popolo,<br />

intimamente all’erba di cui a quell’epoca sogliono le Macchie ricadere».


Rossana Fiorini<br />

Ripi: alcuni casi di danno dato<br />

negli statuti comunitativi<br />

Introduzione<br />

Il lavoro di ricerca 1 legato allo Statuto del comune di Ripi prende<br />

il via dalla disamina delle carte conservate presso gli archivi statali<br />

di Roma e di Frosinone, proseguendo poi presso l’Archivio Colonna<br />

del Monumento Nazionale del Monastero di Santa Scolastica<br />

in Subiaco, focalizzandosi su quei documenti che mostrano un<br />

riferimento alle norme statutarie 2 del <strong>Comune</strong> di Ripi.<br />

Lo statuto, scritto su una lunga pergamena, si presenta come una<br />

1<br />

Lo Statuto di Ripi è stato oggetto di studio e di edizione da parte di F.<br />

Tomassetti, Statuto di Ripi, in Statuti della Provincia Romana: Vicovaro,<br />

Cave, Roccantica, Ripi, Genazzano, Tivoli, Castel Fiorentino, a cura di<br />

F. Tomassetti, V. Federici, P. Egidi, Roma 1910 (Fonti per la storia d’Italia,<br />

48), pp. 115-134; D. Collepardi, Ripi e il suo statuto. Dalle origini<br />

all’avvento dei Colonna, Frosinone 2005. Fra le pubblicazioni intercorrono<br />

numerosi anni di distanza, entrambe si pregiano di aver dato alla ricerca<br />

storica una solida base per lo studio approfondito della fonte statutaria del<br />

<strong>Comune</strong> di Ripi, risalente al 1331 (così come risulta dalla datazione apposta<br />

dallo stesso notaio rogante) e attualmente custodita presso Subiaco,<br />

monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio Colonna (in seguito si citerà<br />

solo Colonna e la posizione), perg. XVLI, n. 125.<br />

2<br />

Dalla lettura dello statuto si può desumere che precedentemente esistesse<br />

una carta signorile, una cosiddetta Charta Libertatum (non necessariamente<br />

scritta) elargita dai signori feudatari del posto, che rappresentava la<br />

metodologia per disciplinare l’ordinamento societario. In seguito, probabilmente,<br />

per la nascita dell’ Universitas civium castri Riparum, e dopo un<br />

periodo di scontri, si sancì – proprio attraverso lo statuto – l’accordo fra la<br />

popolazione e i domini.<br />

Va comunque ricordato che il castello di Ripi fu sottoposto a partire dal<br />

secolo XIII alla signoria del Vescovo di Veroli, cfr. Introduzione a F. Tomassetti,<br />

Statuto, cit., pp. 111-121, in particolare p. 113.


206<br />

Rossana Fiorini<br />

raccolta eterogenea di norme 3 .<br />

È interessante sottolineare come il testo normativo di Ripi<br />

rappresenti uno dei primi esempi di statuti nel più vasto panorama<br />

legislativo dei Comuni della Provincia di Campagna e Marittima 4 .<br />

Le fonti statutarie<br />

La fonte statutaria di Ripi del 1331 appare – a rigor dei<br />

fatti – debitrice del testo normativo di una civitas dominante 5 .<br />

3<br />

Il suo testo non è articolato in libri, come accade in aree giuridicamente<br />

più evolute in cui l’esperimento dello statuto è consolidato ormai da tempo.<br />

In esso, distintamente, sussistono un primo modello di ordinamento<br />

istituzionale con la definizione del vicario-rettore e dei boni homines, un<br />

abbozzo di normativa penale (soprattutto limitativa e non prescrittiva), indicazioni<br />

sugli obblighi sociali (ad esempio sulla guardia) e comportamentali.<br />

Cfr. G. Giammaria, Introduzione a D. Collepardi, Ripi, cit., pp. 9-11.<br />

4<br />

Redatto in piena autonomia – prima ancora cioè che nel 1362 il cardinale<br />

d’Albornoz promulgasse le cosiddette Costituzioni Egidiane, con le quali<br />

si poneva un freno alle autonomie comunali e si rafforzavano i poteri pontificali,<br />

lo statuto si compone di 63 articoli, ognuno dei quali, a parte i primi<br />

due, viene introdotto con la formula iterativa item. All’interno di un quadro<br />

in cui si assiste alla redazione scritta di consuetudines castri, il fenomeno<br />

– in termini numerici di scritture normative pervenuteci entro il XV secolo<br />

– e non sempre, peraltro, assimilabile a statuti – risulta limitato. Tant’è<br />

vero che tra le pochissime statuizioni si devono includere quelle vere perle<br />

medioevali che – anche per la loro rarità – furono oggetto dell’attenzione<br />

editoriale dell’Istituto Storico Italiano, e vennero pubblicate nella collana<br />

delle fonti per la storia d’Italia. Degli statuti castrensi, compresi nei due<br />

volumi, appartengono in senso stretto alla Provincia di Campagna solamente<br />

gli statuti di Ripi del 1331. A tal proposito cfr. S. Notari, Per una<br />

geografia statutaria del Lazio: il rubricario degli statuti comunali della<br />

provincia storica di Campagna, in Rivista Storica del Lazio, 13-14 (2005-<br />

2006), 22, Le comunità rurali e i loro statuti (secolo XII-XV), Atti dell’VIII<br />

Convegno del Comitato italiano per gli studi e le edizione delle fonti normative,<br />

Viterbo 30 maggio – 1 giugno 2002, a cura di A. Cortonesi e F.<br />

Viola, pp. 48-49.<br />

5<br />

Tale civitas non riuscì a registrare quel processo di status politico-giuridi-


Ripi: alcuni casi di danno dato negli statuti comunitativi<br />

207<br />

Sfortunatamente la documentazione in nostro possesso non ci<br />

consente di stabilire quale fosse, al momento della redazione, il<br />

soggetto esercitante il dominium 6 . In ogni modo, gli assetti istituzionali<br />

– soprattutto il peso degli organismi comunitari – del castrum<br />

Riparum nel lungo arco di tempo (secc. XII-XIV) che precedettero<br />

la sottomissione al dominio baronale Colonna, sembrarono sempre<br />

in grado di sostenere una dialettica istituzionale con la consorteria<br />

nobiliare al vertice del castello 7 .<br />

Il processo di modificazione e di integrazione delle norme con<br />

una legislazione maggiormente rispondente alle esigenze della<br />

società trovò nuova stampa negli statuti e variazioni introdotte<br />

essenzialmente intorno al danno dato; anche dopo che, passato il<br />

1816, i Colonna rinunciarono ai diritti feudali, abbandonando<br />

la signoria. Comprese fra i secoli XVI e XIX risultano essere le<br />

variazioni alle Leggi Municipali inerenti i capitoli sul danno dato 8 .<br />

co spettante agli abitanti del territorio soggetto alla città dominante, caratteristico<br />

delle potenti città-Stato dell’Italia centro-settentrionale (anche per<br />

il sopraggiungere delle disposizioni pontificali), né tantomeno a piegare la<br />

località soggetta all’adozione dello statuto dominante. Cfr. A. Lanconelli,<br />

Autonomie comunali e potere centrale nel Lazio dei secoli XIII-XIV, in La<br />

libertà di decidere. Realtà e parvenze di autonomia nella normativa locale<br />

del medioevo, Atti del Convegno nazionale di studi, Cento 6-7 maggio<br />

1993, a cura di R. Dondarini, Ferrara 1995, pp. 83-101.<br />

6<br />

Ibidem. Le sole riflessioni che si possono fare rappresentano mere congetture.<br />

Nuove ipotesi si leggono in M. T. Caciorgna, Statuti dei secoli<br />

XIV e XV nello Stato della chiesa: città e castelli del Lazio, in Signori,<br />

regimi signorili e statuti nel tardo medioevo, VII convegno del Comitato<br />

Italiano per gli Studi e le Edizioni delle Fonti Normative, Ferrara, 5-7 ottobre<br />

2000, a cura di R. Dondarini, G. M. Varanini, M. Venticelli, Ferrara<br />

2000, p. 282.<br />

7<br />

Cfr. S. Notari, Per una geografia, cit., p. 34; S. Carocci, Baroni di Roma.<br />

Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e nel primo<br />

Trecento, Roma 1993 (Nuovi studi storici, 23), pp. 290-291.<br />

8<br />

Archivio di Stato di Roma, Collezione Statuti, 805/09, Statuta Urbium et<br />

Oppid., PA-RO, Ripi, Capitoli del danno dato, dal sec. XVI, manoscritto<br />

sec. XIX,. Copia redatta nel 1856 dall’originale. In due colonne parallele


208<br />

Rossana Fiorini<br />

Alcuni casi di danno dato negli statuti di Ripi<br />

La nostra ricerca ha esaminato documentazione in seno soprattutto<br />

alla materia del danno dato, ovvero i danneggiamenti che persone o<br />

animali potevano arrecare ai terreni e alle piantagioni 9 . Oltre a ciò, è<br />

stato inoltre reperito un documento dal quale si desumono importanti<br />

vengono riportate sulla sinistra “leggi primitive” e sulla destra le successive<br />

“modificazioni”. Sono in totale 10 capitoli. Ai primi capitoli si specificano<br />

pene commisurate ai danni con “bestie caprine” (cap. 1); con “bestie<br />

somarine o muline” (cap. 2); con “bestie vaccine” (cap. 3); con “bestie<br />

cavalline” (cap .4); con “bestie porcine” (cap. 5). Altri capitoli si occupano<br />

di altre argomentazioni: vengono disciplinate le accuse (cap. 6); si stabiliscono<br />

regolamenti particolari sul pascolo a seconda del periodo dell’anno<br />

(cap. 7); vengono regolamentati i divieti per i “gallinacci” (cap. 8); i danni<br />

procurati dalle persone (cap. 9) e le eccezioni del pascolo (cap. 10) sono<br />

riportati solo nelle “leggi primitive”, non nelle “modificazioni”.<br />

9<br />

Gli articoli dello Statuto del 1331, come precedentemente affermato, non<br />

sono suddivisi in libri. Sono stati trascritti già in F. Tomassetti, Statuto,<br />

cit., pp. 111-121. Nello statuto si disciplinano i danni procurati tagliando<br />

castagni, querce o pioppi senza la necessaria licenza da parte della Curia<br />

(artt. XX e XXV); i danni arrecati con bestie grosse alle proprietà altrui,<br />

nelle stoppie o nelle cataste dei prodotti (art. XXI); il dolo notturno dell’atto<br />

di tagliare volontariamente vigne o pergole, era sanzionato con il risarcimento<br />

del danno e con una multa raddoppiata (art. XXVIII); il divieto di<br />

tracciare sentieri nei campi messi a coltivazione, per non rovinare le medesime<br />

(art. XXII); si disciplinano inoltre l’ordine e l’igiene delle fontane<br />

contro chiunque vada ad abbeverare bestie o maiali (art. XXIII). Vi erano<br />

dettate disposizioni di cautela nell’uso del fuoco, per evitare che da una<br />

proprietà divampasse e si estendesse in quelle attigue; una pena maggiore<br />

vi era poi nell’intenzionalità di dar fuoco nottetempo a fasci o mannelli di<br />

covoni (danno studioso; artt. XXVI e XXVIII). La casistica maggiormente<br />

penalizzata riguardava i danni legati ai suini (animali neri; art. LIV). Era<br />

consentito uccidere un animale nero se si fosse trovato a far danno nelle<br />

proprie coltivazioni, insieme ad almeno altri cinque suini, consegnando la<br />

metà dello stesso al proprietario dei maiali. Qui (a dire la verità anche in<br />

altre norme che disciplinavano i reati penali) vi era la netta diversificazione<br />

fra la sanzione applicata alle persone del popolo e quella applicata ai nobili:<br />

quest’ultimi infatti, in questo caso, non sarebbero stati tenuti a nessun<br />

tipo di risarcimento, né verso la Curia né verso il danneggiato.


Ripi: alcuni casi di danno dato negli statuti comunitativi<br />

209<br />

nozioni circa la molitura. Al tempo del vetusto statuto del 1331<br />

alcune disposizioni favoriscono il passaggio di coloro che rientrano<br />

nottetempo dai mulini, senza che essi rispettino peraltro l’ultimo<br />

suono della “scarana”. Si denota però un vuoto normativo perché<br />

non esistono delle regole che disciplinino la materia, né tanto meno<br />

si indica in quale mola sia consentita la molitura stessa. Il nostro<br />

documento, redatto nell’agosto 1635 dal governatore di Ripi, fa<br />

riferimento alle istanze che l’affittuario della Mola di Ripi e l’erario<br />

Conti avevano avanzato durante il mese precedente. Apprendiamo<br />

dalla lettura 10 che lo stesso governatore aveva inviato cancelliere<br />

e mandatario per riconoscere i trasgressori Gregorio Bucciarelli e<br />

Francesco Costantini, colti in flagrante mentre «erano andati di notte<br />

e tornavano di nascosto con doi some di farina, che […] avevano<br />

macinato alla Mola di Frosinone» 11 . I due, dopo la loro confessione,<br />

risultarono condannati alla pena della perdita della farina e delle bestie<br />

trainanti (che furono vendute); e in più una multa di cinquanta scudi<br />

ciascuno. Tale testimonianza palesa un netto e chiaro cambiamento<br />

sopraggiunto all’interno della normativa 12 .<br />

10<br />

Colonna, Ripi III EA, Corrispondenza 1635. Il Governatore di Ripi scrive<br />

al Principe Colonna, la lettera è datata 20 agosto 1635. «[…] mandai il<br />

cancelliere e mandatario, per riconoscere quelli, che andavano a macinare<br />

il grano alle mole fuori del Stato, con fraude et interesse grande de esso<br />

affittuario».<br />

11<br />

Ibidem.<br />

12<br />

Ibidem. «[…] ricondotti nella corte et havutane prima la loro confessione<br />

furono condannati nella pena della perdita della farina et bestie che le<br />

portavano et scudi 50 ciascuno, contenuta nel banno pubblicato a istanza<br />

dello stesso affittuario in tempo dell’auditore Pietra […] et ora confirmato<br />

per banno […] dall’auditore Zeferini, quale ha dichiarato esser compreso<br />

nella confirmatione predetta». Gli art. VIII e XXVII dello Statuto citavano<br />

il mulino, ma non specificavano affatto però quale dovesse essere la Mola<br />

in cui recarsi per l’attività della macinatura. Il primo riguardava il “coprifuoco”<br />

ed esentava coloro che ritornavano di notte dal mulino. Il secondo<br />

imponeva di aprire le porte a coloro che ritornavano dalla molitura anche<br />

dopo la mezzanotte. Non vi erano altre specifiche o delle prescrizioni che<br />

indicassero il divieto di andare in altri mulini.


210<br />

Rossana Fiorini<br />

Dai documenti reperiti – inerenti espressamente il danno dato<br />

– apprendiamo che con un bando, pubblicato a partire dal 1747,<br />

vi era stato un inasprimento delle pene dello stesso 13 . Infatti dalla<br />

Corrispondenza Colonna un documento 14 riferisce che per i danni<br />

arrecati alla Macchia detta Colle Marte la normativa comminava la<br />

carcerazione. Il capitano Giovanni Galloni ragguaglia il Governatore<br />

Masi di Pofi circa la carcerazione di Felice Di Stefano, Raimondo Di<br />

Stefano e Paolino Battaglini, colti a tagliare tre alberi di cerro nella<br />

detta macchia, «luogo in cui non è permesso da Vostra Eccellenza<br />

di potervi recidere neppure un arboscello» 15 . A parere del Galloni il<br />

danno risultava ingente. Altro caso verificatosi di danno alla macchia<br />

fu poi quello della selva di Colle Lisi, per cui sempre il capitano<br />

Galloni – previa informativa al Governatore di Pofi – otteneva il<br />

pagamento di «otto bollettini» relativi al «dovuto emolumento» 16 .<br />

Si può certamente denotare dunque un irrigidimento normativo per i<br />

13<br />

Ivi, Corrispondenza 1748-1765. Da un documento indirizzato al Principe<br />

Colonna da un suo vassallo (il cui nominativo non è stato possibile reperire)<br />

apprendiamo infatti che il Governatore di Ripi aveva trasmesso la copia<br />

di una risoluzione consiliare e di un bando «fatto pubblicare sino dall’anno<br />

1747 dove si accrescono le pene contro i dannificanti, quale augumento<br />

[…] ma supplico […] di avvertire che in detto bando la distribuzione delle<br />

pene per un terzo si applica al padrone del terreno, dove siegue il danno, et<br />

in questo io non convengo». Lo stesso dunque riteneva che al “dannificato”<br />

poteva «bastare […] di esser risarcito del pregiudizio patito con la refettione<br />

del danno, e non deve essere in lucro di partecipare anche del terzo della<br />

pena»; nella sua dichiarazione egli proseguiva dicendo che il terzo della<br />

pena disposto nel bando di nuova pubblicazione si dovesse «applicare alla<br />

camera baronale». E dunque invitava alla discussione dell’argomento durante<br />

il successivo Consiglio Pubblico.<br />

14<br />

Ivi, Corrispondenza 1777. Il foglio è indirizzato al Principe Colonna,<br />

datato 16 dicembre 1777 a firma del Luogotenente Giovanni Gallone. In<br />

alto a sinistra riporta la seguente dicitura: «Il capitano Galloni riferisce la<br />

carcerazione di certi trovati a danneggiare in quella macchia».<br />

15<br />

Ibidem.<br />

16<br />

Colonna, Ripi III EA, Corrispondenza 1778. Il Luogotenente Giovanni<br />

Gallone al Principe Colonna. Agosto 1778.


Ripi: alcuni casi di danno dato negli statuti comunitativi<br />

211<br />

casi di taglio abusivo di alberi 17 .<br />

Nuove disposizioni circa il cosiddetto «danno dato fida e spica»<br />

emergono da un foglio rinvenuto nella Corrispondenza Colonna,<br />

datato «Ripi, 14 settembre 1801» 18 , del sindaco della comunità<br />

Vincenzo Galloni, emesso alla presenza del governatore locale<br />

Vincenzo Maria Tagliaferri e del Sopratenente Domenico Gizzi. Il<br />

foglio è inserito in un piccolo fascicolo inviato al Principe Colonna<br />

17<br />

Nel vetusto Statuto del 1331 l’art. XX disciplinava il danno dato per<br />

taglio abusivo ai castagni, delle querce e dei pioppi. La pena prevedeva di<br />

riparare il danno e una contravvenzione pecuniaria. Dall’articolo risulta<br />

che il taglio doveva essere concesso dalla Curia.<br />

18<br />

Colonna, Ripi III EA, Corrispondenza 1801. Il testo del documento è il<br />

seguente:<br />

«Danno dato fida e spica.<br />

Il balio di Sua Eccellenza ha il diritto di fidare i Bestiami forestieri nel<br />

terreno di Ripi, eccettuate, che negli affari.<br />

Per gli Bestiami dei cittadini esige una tassa fissa di quatrini, nove per<br />

ogni pecora per la fida e così anche baiocchi due per ogni porco per spica.<br />

Per le pene poi del danno dato ha il diritto di accusare negli affari suddetti<br />

ossia nel circondato del paese sotto i confini stabiliti nello Statuto e<br />

cioè se si tratta di danno di bestiami, quanto dei danni manuali.<br />

Fuori degli affari poi non può accusare negli arboreti ristretti senza<br />

l’espressa licenza del Governatore di essi per i danni del bestiame.<br />

Affinché fuori degli affari puod’accusare per i danni manuali, etiam<br />

nelle macchie, e così anche per i danni de’ forastieri.<br />

Come anche prendere la terza parte della pena, quando fa le riconduzioni<br />

dei bestiami secondo le liberanze.<br />

Come anche ciò maggiormente procede per il territorio del Carpine e<br />

per li quarti liberi di Sua Eccellenza Reverendissima in esso territorio.<br />

Tutto ciò non è stato turbato e pregiudicato a Sua Eccellenza Illustrissima,<br />

o suo affittuario, o balio.<br />

Ripi 14 settembre 1801.<br />

Così è stato amichevolmente deliberato e dichiarato dagl’infrascritti signori:<br />

Sindaco della Comunità e Soprintendente di Sua Eccellenza ... alla<br />

presenza del Signor Governatore Locale pei qui parimenti sottoscrittore.<br />

Io Vincenzo Capitano Galloni Sindaco affermo che questo discorso è<br />

espresso così per consuetudine Domenico Nicola Gizzi Sopratenente.<br />

Vincenzo Maria Tagliaferri Governatore».


212<br />

Rossana Fiorini<br />

insieme ad una lettera del governatore Tagliaferri.<br />

Le nuove disposizioni riguardano soprattutto i diritti del balio e in<br />

generale i procedimenti da seguire per la sorveglianza e per la custodia<br />

delle coltivazioni, con riferimento anche ai cosiddetti distretti degli<br />

affari 19 . Rilevante è la lettera del Tagliaferri al Colonna 20 , dove egli<br />

sostiene che il nuovo procedimento potrebbe essere svantaggioso<br />

per le proprietà di casa Colonna.<br />

Le ultime disposizione sul danno dato saranno contenute nella<br />

copia dei Capitoli del danno dato conservata presso l’Archivio di<br />

Stato di Roma 21 , che si fa risalire al periodo compreso fra il 1816 e il<br />

1856, e che di seguito si riporta.<br />

19<br />

È probabile che si faccia riferimento ad aree di difesa del territorio che<br />

altrove, per esempio a Patrica, erano denominate “staffari”. Si trattava probabilmente<br />

di zone riservate a un determinato tipo di allevamento. Cfr.<br />

G. Giammaria, Le liberanze o Statuto di Patrica del 1696, in Latium, 15<br />

(1998), pp. 28-29.<br />

20<br />

Colonna, Ripi III EA, Corrispondenza 1801. Il governatore sul danno<br />

dato. La lettera è datata 16 settembre 1801.<br />

21<br />

Archivio di Stato di Roma, Collezione Statuti, 805/09.


Ripi: alcuni casi di danno dato negli statuti comunitativi<br />

213<br />

Ripi. Capitoli del danno dato<br />

Leggi Primitive<br />

1. Chi intrometterà dentro il<br />

distretto degli affari bestie caprine in<br />

qualsivoglia tempo incorre in pene,<br />

se di giorno di baj 10 per qualsivoglia<br />

capra, dalle dieci in giù, e dalle dieci<br />

in su per tronco o sia […] di scudi<br />

due, e di notte raddoppia, e sia non<br />

solamente lecito alla Cancelleria<br />

potervi procedere non tanto all’accusa<br />

della parte, ma anche per inquisizione.<br />

Come anche sia lecito all’affittuario<br />

dello sfidato di Sua Eccellenza<br />

Pienissima, guardiano della Comunità,<br />

Mandatario e Birro poter quelle così<br />

intromesse ricondurre nell’Osteria,<br />

e la suddetta pena debba applicarsi<br />

per un terzo da essa Cancelleria, per<br />

un terzo all’Accusatore, e a chi le<br />

ricondurrà, e per un altro terzo al<br />

Padrone dell’albereto, dove saranno<br />

accusate e ritrovate.<br />

2. Chi intrometterà in esso distretto<br />

di affari bestie somarine o muline in<br />

qualsivoglia tempo incorre nella pena<br />

di scudo uno per qualsivoglia somaro<br />

o mulo di giorno, e di notte raddoppia,<br />

da applicarsi come sopra e potersi<br />

procedere come sopra. Ma se della<br />

sorta di bestie saranno ritrovate in<br />

qualche albereto degl’affari confinante<br />

coll’albereto in esse bestie, allora la<br />

Cancelleria non […] possa procedere<br />

se non ad accusa della Parte.<br />

Modificazioni<br />

1. Siccome lì così delli affari non<br />

furono dichiarati tali all’epoca della<br />

formazione delle Leggi Municipali che<br />

in grazia delle piantagioni fruttifere<br />

che eransi in essi già verificate; e<br />

siccome queste piantagioni al presente<br />

hanno luogo anche al di fuori di tal<br />

distretto in quasi tutti gli altri terreni<br />

del territorio, perciò militando per<br />

questi le medesime ragioni che<br />

escludevano le capre dall’enunciato<br />

distretto degli affari affari, devono le<br />

medesime restare escluse da tutti gli<br />

altri terreni del territorio.<br />

2. Si stima necessario diminuir la<br />

pena inquantoché per essersi di molto<br />

abitato l’intiero territorio […] che non<br />

era all’epoca della formazione delle<br />

Leggi Municipali, una tal circostanza<br />

facilita molto la trasgressione<br />

contemplata in tal articolo, e per lo<br />

più sempre dolo della Parte, ossia<br />

del proprietario del Bestiame, per<br />

ciò si crede portare la pena a soli baj<br />

trenta per bestia, tanto più una tal<br />

modificazione non ferisce Legge, ma<br />

dettata dalla circostanza ne diminuisce<br />

solo la pena.


214<br />

Rossana Fiorini<br />

3. Chi intrometterà in essi affari in<br />

qualsivoglia tempo bestie vaccine sì<br />

domite che indomite incorri nella pena<br />

e procedura comminate nel secondo<br />

capitolato. Possa e sia lecito però a<br />

qualsivoglia bifolco tanto in tempo di<br />

far maggese, e seminati intromettere<br />

in qualsivoglia albereto dove anderà,<br />

i suoi bovi per l’effetto suddetto e<br />

non altrimenti, e se portasse qualche<br />

vacca o giovenco dovrà ritenerli legati<br />

in esso albereto ed in caso di transito<br />

per qualsivoglia terreno vicino a<br />

quello dove porta ad arare, e non<br />

avesse strada vicinale, allora colle<br />

dovute cautele gli sia lecito passarvi<br />

senza incorso di pena veruna, e mai<br />

inappostatamente vi portasse danno,<br />

sia soltanto tenuto all’emenda, e<br />

non alla pena, così ancora debba<br />

considerarsi se qualche bove saltasse<br />

quando va per la strada per l’effetto<br />

suddetto in qualche albereto, e così<br />

ancora debba intendersi in tempo di<br />

tresca, mentre in mancanza di cavalle,<br />

questi cittadini si servono delle<br />

suddette bestie vaccine.<br />

4. Che le bestie cavalline dalli<br />

quindici agosto per fino alla totale<br />

vendemmia, non possino essere<br />

intromesse nelli medesimi affari e chi<br />

contravverrà incorri nella pena come<br />

nel secondo capitolato.<br />

3. Per le stesse ragioni di sopra<br />

espresse si crede diminuir alla stessa<br />

pena di bestie domite, ferma restando<br />

la pena in esso articolo stabilita per le<br />

bestie indomite.<br />

4. La pena prescritta per le bestie<br />

cavalline deve anche estendersi alle<br />

muline, somarine e bovine, perché li<br />

medesimi danni che possono causarsi<br />

dalle prime all’epoca […] possono<br />

anche essere causate dalle seconde.


Ripi: alcuni casi di danno dato negli statuti comunitativi<br />

215<br />

5. Dalli quindici di marzo per<br />

fino alla totale vendemmia li porci<br />

mandarini che saranno trovati in essi<br />

terreni albereti degl’affari, incorrano<br />

i padroni di essi alla pena di giulj tre<br />

per porco, e sia lecito alli padroni<br />

degl’arboreti dove saranno ritrovati<br />

poterli impunemente ammazzare,<br />

in quanto poi alli porci di morra,<br />

intendendosi la morra dai dieci in su<br />

questi in verun tempo possino avere<br />

l’ardito in essi, e chi ve li intrometterà,<br />

incorri di giorno alla pena di giulj<br />

due per porco e di notte raddoppia,<br />

eccetto però nel tempo del pascolo<br />

delle iande, poiché se qualcuno avrà<br />

qualche partita di iande entro i suddetti<br />

affari, allora sia lecito al padrone farle<br />

pascolare o da suoi o da altri porci<br />

senza incorso di pena veruna.<br />

6. In quanto poi agli albereti fuori<br />

degl’affari non vi si possa procedere,<br />

se non ad accusa della Parte, quando<br />

però dalla medesima si porti la<br />

relazione di baiocchi invece di danno.<br />

5. Si crede doversi abolire<br />

l’uccisione che vi è permessa<br />

de’ maiali, perché contraria alle<br />

disposizioni di diritto, e sorgente fatale,<br />

come l’esperienza l’ha dimostrato, di<br />

gravi delitti, come anche diminuirsi la<br />

pena a baj quindici a capo da dieci in<br />

giù, e dalli dieci in su a baiocchi dieci.<br />

6. In quanto poi alle capre<br />

proveduto con l’art. 1, ed in quanto<br />

a tutte le altre specie di bestiame,<br />

necessario credersi di stabilire che<br />

possino restare accusate d’officio,<br />

o sia dal guardiano del danno dato<br />

tutte le volte che si stiano accusando<br />

danni, ancorché questi siano della<br />

più piccola entità, e ciò perché gli<br />

albereti sonosi così aumentati fuori<br />

dal distretto degli affari, che non è<br />

facile a proprietari il sorvegliarne la<br />

non dannificazione, come lo era nei<br />

tempi in cui fu stabilita la legge, nel<br />

quale per essere per questi […] più<br />

ristretti per estensione e per numero,<br />

ne era più facile la sorveglianza.


216<br />

Rossana Fiorini<br />

7. Le bestie vaccine e cavalline<br />

dagli dieci di marzo per fino che li<br />

prati non saranno falciati non possino<br />

essere intromessi nel pascolo di essi,<br />

e chi contraverterà incorri nella pena<br />

detta nel secondo capitolato. Li porci<br />

però non possino essere intromessi<br />

in verun tempo, e chi contraverrà<br />

incorra nella pena detta nel capitolato<br />

quinto, ed essendosi trovati grumando<br />

ossia cavagliando possino essere<br />

impunemente ammazzati. In quanto<br />

alle rimesse che uno ha fatto per suo<br />

comodo, e ristrette di fratte o cavatone<br />

d’ogni intorno anco non sia lecito<br />

intromettervi bestie di sorta alcuna, e<br />

chi contraverrà incorra nella pena del<br />

secondo, quinto e settimo articolo e<br />

l’istesso s’intenda di que’ luoghi dove<br />

saranno piantoni d’olivi ed albereti<br />

nuovi<br />

8. Li gallinacci dai dodici in sui<br />

delli 15 di agosto fino alla totale<br />

vendemmia non possino essere<br />

introdotti in verun albereto, e chi<br />

contraverrà incorri nella pena di baj<br />

due e mezzo per gallinaccio.<br />

7. Si crede di estendere<br />

l’inibizione di poter introdurre dai<br />

quindici gennaio invece dei dieci di<br />

marzo, e ciò perché per esperienza si<br />

conosce che vengano prodotti e quali<br />

danni col pascolo all’epoca indicata<br />

dei quindici gennaio, come ne’ dieci<br />

di marzo. Si crede inibire l’uccisione<br />

de’ porci per le ragioni sviluppate<br />

nell’articolo 5 e ridurre le penali alle<br />

minorazioni previste nelle antecedenti<br />

modificazioni.<br />

8. Si crede dover estendere per<br />

qualunque numero di gallinacci.<br />

Firmato<br />

Rocco Valenti Gonfaloniere<br />

Rocco Cortina Anziano<br />

Nicola Parisi Anziano<br />

Giovan Battista Ferrante<br />

Segretario Comunale


Ripi: alcuni casi di danno dato negli statuti comunitativi<br />

217<br />

9. Chi darà danno manualmente<br />

ne frutti di qualsivoglia sorte, incorra<br />

nella pena di baj settantacinque,<br />

e quelli che dagli sette anni in su<br />

spareranno di fratte negli albereti,<br />

mandano giù alberi secchi incorrino<br />

nella pena di scudo uno e baj cinquanta,<br />

e così ancora i giocatori di ruzzica<br />

che spareranno, taglieranno fratte per<br />

raccogliere la ruzzica, riempiranno<br />

corsi di acqua per le strade per tirar<br />

comodo incorrino anco nella pena di<br />

scudi uno, e baj cinquanta.<br />

10. Ma perché ognuno è arbitro<br />

della robba sua, se qualcuno sarà<br />

ritrovato a pascolare con qualsivoglia<br />

sorte di bestiame eccetto però le<br />

caprine in qualche albereto, prato o<br />

rimessa detti sopra, possa ricondurle<br />

l’affittuario dello sfidato, Mandataio o<br />

Birro, e se ai medesimi sarà mostrato<br />

qualche biglietto facoltativo scritto<br />

e fatto scrivere dal padrone di essi,<br />

il custode delle bestie non possa<br />

incorrere in veruna pena, e così ancora<br />

trovandosi il padrone presente o<br />

qualcuno di sua famiglia. In quanto poi<br />

alle bestie pecorine dagli quindici di<br />

marzo per fino alla totale vendemmia<br />

non possono essere intromesse in<br />

dett’affari e chi contraverrà incorrerà<br />

nella pena di baj due e mezzo, per<br />

pecora da dieci in giù, e da dieci in su<br />

baiocchi trenta per tronco.<br />

Per copia conforme all’originale<br />

Ripi, dalla Segreteria Comunale li 10 Luglio 1856<br />

Il Priore<br />

Gio. Battista Valenti


Matteo Maccioni<br />

Serrone:<br />

la riforma dell’articolo 22<br />

Il materiale studiato per il comune di Serrone è conservato<br />

nell’Archivio di Stato di Frosinone, fondo della Delegazione<br />

Apostolica di Frosinone 1 . La pratica esaminata riguarda il progetto di<br />

riforma dell’articolo 22, presentato nell’agosto del 1861 e riguardante<br />

la «Penale per quelli che comprano oggetti da persone illegittime»,<br />

dello Statuto della Comunità di Serrone, compilato con sanzione<br />

sovrana nel 1854 2 . Lo scambio epistolare è tra il Delegato apostolico<br />

di Frosinone e il Ministro dell’Interno, in cui sono riportati una copia<br />

del verbale del Consiglio comunale del 10 settembre 1861 e gli atti<br />

del Tribunale Civile di Frosinone.<br />

L’interesse per questi documenti riguardanti lo Statuto di Serrone<br />

è dettato dal fatto che la sua datazione lo colloca in prossimità del<br />

limite temporale della loro permanenza in vigore. Lo Statuto non<br />

1<br />

Archivio di Stato di Frosinone, Fondo Delegazione Apostolica (in seguito<br />

solo DA), Affari generali, Protocollo riservato, titolo II Agricoltura (1812<br />

– 1870), busta 1175.<br />

2<br />

Possediamo quattro copie dello Statuto di Serrone, 3 manoscritte e 1 a<br />

stampa: due copie sono conservate nell’Archivio di Stato di Roma (ASRm,<br />

Collezione statuti, stat. 0449/03); le restanti due copie sono conservate<br />

nell’Archivio di Stato di Frosinone (ASFr, DA, b. 1175, fascicolo Sulle<br />

penali pel Taglio degli Elcini). Per quanto concerne le copie tenute nell’Archivio<br />

di Stato di Roma sappiamo che la prima, Copia dello Statuto Antico<br />

della Comunità del Serrone, è un manoscritto non datato del XIX secolo<br />

riportante il testo statutario del XVII secolo; la seconda invece è una copia<br />

redatta dall’originale dello Statuto di Serrone «fatto nell’anno 1855». Passando<br />

alle copie dell’Archivio di Stato di Frosinone, la prima copia, manoscritta,<br />

è redatta «a forma del N. o 19 dell’Editto di Segreteria di Stato del<br />

24 9bre 1850» ed è datata 19 novembre 1854; la seconda copia, a stampa, è<br />

stata approvata il 17 settembre 1855. In questo testo ogni rimando al testo<br />

dello Statuto, ove non specificato, farà riferimento alla copia a stampa.


220<br />

Matteo Maccioni<br />

è diviso in cinque libri, come di consueto, ma consta solamente di<br />

26 articoli i quali non riguardano norme di diritto penale e civile,<br />

o norme interessanti l’ordinamento istituzionale: tutto ciò che vi è<br />

prescritto riguarda il danno dato, ovvero le norme di polizia rurale 3 .<br />

Il confronto tra le varie copie dello Statuto che è stato possibile<br />

analizzare porta alla luce la lenta, ma inesorabile, riduzione del<br />

numero delle norme componenti l’antica lex locale. Ad esempio,<br />

la copia non datata conservata nell’Archivio di Stato di Roma, che<br />

sappiamo essere del XIX secolo perché riportante la firma del Priore<br />

Alessandro Rocchi, firmatario anche della copia manoscritta tenuta<br />

presso l’Archivio di Stato di Frosinone, datata 1854, e riportante il<br />

testo statutario del XVII secolo ha un corpo normativo di 44 articoli.<br />

La copia manoscritta conservata nell’Archivio di Stato di Frosinone,<br />

invece, riporta 34 articoli.<br />

Dallo studio di questo carteggio e dello Statuto emerge la<br />

importanza della coltivazione e del commercio di uva e granturco<br />

in età moderna per la Comunità di Serrone. Dalla struttura e dal<br />

contenuto degli articoli dello Statuto si evince che la quasi totalità<br />

degli abitanti del territorio di Serrone è composta da agricoltori e<br />

pastori. All’infuori dell’articolo 22, oggetto della proposta di riforma<br />

che vado ad illustrare, in altri due articoli si fa riferimento esplicito<br />

a questi due prodotti 4 . La presenza di questi tre articoli statutari e del<br />

3<br />

L’abolizione degli antichi statuti comunali viene sancita nel paragrafo<br />

102 del Motu proprio di Pio VII, che recita: «Titolo IV. Disposizioni Legislative.<br />

Art. 102. Tutte le Leggi municipali, statuti, ordinanze, riforme,<br />

sotto qualunque titolo, o per mezzo di qualunque Autorità emanate in qualsivoglia<br />

luogo dello Stato, comprese ancora quelle pubblicate per una intera<br />

Provincia, o per un particolare Distretto, rispettivamente sono abolite,<br />

a riserva di quelle, che contengono provvedimenti relativi alla coltura del<br />

territorio, al corso delle acque, ai pascoli, ai danni dati nei terreni, e ad altri<br />

simili oggetti rurali», Motu proprio della santità di nostro Signore Papa<br />

Pio VII in data del 6 luglio 1816 sulla organizzazione dell’amministrazione<br />

pubblica, Milano 1816, p. 44.<br />

4<br />

ASFr, DA, b. 1175, Statuto della Comunità di Serrone compilato con<br />

sanzione sovrana nell’anno 1854, p. 11: «Art. 12. Penali per li Padroni<br />

di Cani di Pecore e Capre. Che tutti li Cani dei Pastori debbano in tempo


Serrone: la riforma dell’articolo 22<br />

221<br />

problema della vendita clandestina di uva, che porta alla richiesta di<br />

riforma dell’articolo 22 dello Statuto, rendono manifesta la rilevanza<br />

di queste derrate, particolarmente dell’uva, su cui evidentemente si<br />

basava la vita economica del paese.<br />

Trascorsi appena sette anni dalla compilazione con sanzione<br />

sovrana dello Statuto della Comunità di Serrone, avvenuta nel 1854,<br />

sei dalla pubblicazione dell’opuscolo nel settembre 1855, si pone la<br />

necessità di apportare delle modifiche ad alcuni articoli dello stesso.<br />

Uno di questi, il numero 22, deve essere riformato per contrastare<br />

le numerose evasioni dell’assegna, tassa spettante alla magistratura,<br />

commesse dai forestieri sui carichi di uva. L’articolo 22 recita:<br />

«Art. 22. Penale per quelli che comprano oggetti da persone<br />

illegittime. Restano assoggettati alla multa di scudi cinque<br />

per ogni volta, oltre alla perdita degli oggetti, tutti quelli<br />

che compreranno uve, olive, grano, granturco, ed altre cose<br />

simili, come anche piantoni di olive, di morigelsi e di altri<br />

alberi fruttiferi da persone sospette, e massimamente se non<br />

possiedono simili generi, o dai servi o dai figli di famiglia, e nel<br />

caso comprassero la suddetta roba da persone legittime saranno<br />

obbligati li compratori di darne l’assegna alla Magistratura<br />

nel termine di ore ventiquattro, onde possa verificarlo in caso<br />

di bisogno, e mancando saranno assoggettati alla sud(detta)<br />

penale da applicarsi come sopra, cioè a favore del pubblico<br />

erario».<br />

Dalle varie copie dello Statuto di Serrone che ho consultato ho<br />

di uve e di granturco portar l’uncino al Collo, sotto pena di uno scudo<br />

d’applicarsi a favore della Comunità, e li Padroni saranno obbligati pagare<br />

tanto il danno che la pena in quelle contrade, dove saranno trovati, e dove<br />

li pastori saranno più vicini col loro procojo»; ivi, p. 13; «Art. 16. Penale<br />

per quelli che tagliano nelle altrui proprietà alberi fruttiferi, ed utili per<br />

l’agricoltura. Chiunque taglierà nelle altrui proprietà alberi fruttiferi, o di<br />

qualunque sorta utili per l’agricoltura, e particolarmente quelli che sostengono<br />

le Viti delle Uve tanto del tronco come delli rami, oltre l’emenda dei<br />

danni a forma di legge, sarà condannata alla penale di scudi cinque, e per<br />

quelli impotenti alla carcerazione, d’applicarsi detta penale a favore del<br />

pubblico Erario».


222<br />

Matteo Maccioni<br />

potuto constatare che il testo di questo articolo aveva già riportato<br />

diverse modifiche nel corso del tempo, più o meno significative. Ad<br />

esempio, l’articolo presente nella copia non datata dell’Archivio di<br />

Stato di Roma, ovvero il più antico, recita:<br />

«44 o . Restano assoggettati alla multa di scudi cinque tutti<br />

quelli che compreranno uve, olive, ed altro dai figli di famiglia,<br />

da Garzoni, ed altre persone sospette, ed in caso di compra<br />

legittima siano obbligati li compratori di darne l’assegna agli<br />

officiali nel termine di ore ventiquattro» 5 .<br />

Il testo manoscritto conservato nell’Archivio di Stato di Frosinone<br />

entra maggiormente nel dettaglio in alcuni punti, come per i prodotti<br />

dell’agricoltura, e fa riferimento a una multa di tre scudi, non presente<br />

nel testo a stampa del 1855, per chi non paga l’assegna nel termine<br />

stabilito delle ventiquattro ore:<br />

«Num. 27 Penale per quelli che comprano oggetti da<br />

persone illeggittime. Restano assoggettati alla multa di scudi<br />

cinque per ogni volta, oltre la perdita dell’oggetto tutti quelli,<br />

che compreranno uve, olive, grano, granturco, legumi, ed<br />

altre cose simili da persone sospette, e massimamente, se non<br />

possiedono simili generi, o dai servi, o dai figli di famiglia, e nel<br />

caso comprassero simili generi da persone legittime saranno<br />

obbligati li compratori di darne l’assegna alla magistratura nel<br />

termine di ore ventiquattro, onde possa verificarlo in caso di<br />

bisogno, e mancando siano multati di scudi tre per ogni volta» 6 .<br />

La seconda copia conservata presso l’Archivio di Stato di Roma<br />

si discosta di poco dall’enunciato precedente:<br />

«Art[icol]o 22 o . Penale per quelli che comprano oggetti<br />

da persone illeggittime. Restano assoggettati alla multa di<br />

scudi cinque per ogni volta, oltre alla perdita degli oggetti,<br />

tutti quelli, che compreranno uva, olive, grano, granturco, ed<br />

altre cose simili da persone sospette, e massimamente se non<br />

5<br />

ASRm, Collezione statuti, stat. 0449/03, Copia dello Statuto Antico della<br />

Comunità del Serrone.<br />

6<br />

ASFr, DA, b. 1175, Statuto della Comunità del Serrone. Redatto a forma<br />

del N. o 19 dell’Editto di Segreteria di Stato del 24 9bre 1850.


Serrone: la riforma dell’articolo 22<br />

223<br />

possiedono simili generi, o dai Servi, o dai figli di famiglia, e<br />

nel caso comprassero simili generi da persone legittime saranno<br />

obbligati li compratori di darne l’assegna alla magistratura nel<br />

termine di ore ventiquattro, onde possa verificarlo in caso di<br />

bisogno, e mancando siano multati di scudi tre». 7<br />

Le principali dissonanze che intercorrono tra le varie copie del<br />

testo legislativo locale sono due.<br />

La prima riguarda l’elencazione delle piante e dei prodotti<br />

agricoli coltivati e commercializzati. In questo caso vediamo che<br />

inizialmente, nella copia recante il testo più antico dello Statuto, si<br />

fa riferimento ad un generico «uve, olive, ed altro», per passare -<br />

nella copia avente il testo redatto nel 1850 - ad «uve, olive, grano,<br />

granturco, legumi, ed altre cose simili» e giungere, infine, a «uve,<br />

olive, grano, granturco, ed altre cose simili, come anche piantoni<br />

di olive, di morigelsi e di altri alberi fruttiferi». Queste modifiche<br />

dovrebbero segnalare un allargamento della coltivazione e del<br />

commercio dei prodotti agricoli locali, evidentemente diversificatisi<br />

nel corso degli anni, i quali dovrebbero aver portato a un incremento<br />

del volume delle merci sul mercato limitrofo.<br />

La seconda differenza significativa riguarda la pena pecuniaria<br />

per chi trasgredisce l’obbligo di “dare l’assegna” entro il termine<br />

di ventiquattro ore dalla compravendita del prodotto. Inizialmente<br />

infatti, nella copia non datata, non si fa riferimento ad una pena<br />

specifica: vi è esclusivamente l’obbligo per i compratori «di darne<br />

l’assegna agli officiali nel termine di ore ventiquattro». Nelle<br />

successive redazioni del testo statutario quest’obbligo rimane, ma è<br />

affiancato da una multa di tre scudi per i suoi trasgressori che nel testo<br />

a stampa del 1855 sale a 5 scudi. Evidentemente si è reso necessario<br />

un inasprimento della penale dovuto al dilagare dell’evasione di<br />

questa tassa e del commercio clandestino dei prodotti - fattori che<br />

danneggiano l’erario e l’economia locale.<br />

Torniamo alla necessità della Comunità del Serrone di modificare<br />

l’articolo 22 dello Statuto locale. Il Priore Giuseppe Graziosi, nella<br />

7<br />

ASRm, Collezione statuti, stat. 0449/03, Statuto della Comunità del Serrone<br />

fatto nell’anno 1855.


224<br />

Matteo Maccioni<br />

sua comunicazione alla Delegazione Apostolica di Frosinone, datata<br />

22 agosto 1861, afferma che nell’anno passato molti forestieri si sono<br />

recati a Serrone per comprare grandi quantitativi di uve, «da persone<br />

legittime ed Illegittime», decimando i raccolti degli agricoltori<br />

locali. Successivamente i forestieri, avvalendosi del termine di<br />

ventiquattro ore previsto nell’articolo statutario, hanno portato via<br />

i carichi senza provvedere al pagamento della tassa dell’assegna,<br />

dedicandosi dunque alla vendita clandestina dell’uva. Per porre<br />

rimedio a questa situazione, divenuta evidentemente la prassi per<br />

il forestiero, il Priore si rivolge alla Delegazione Apostolica al fine<br />

di sapere se è in suo potere proibire il trasporto delle merci al di<br />

fuori del territorio della Comunità, quando il forestiero non abbia<br />

ancora provveduto al pagamento dell’assegna. Nel caso in cui ciò<br />

non fosse possibile richiede l’emissione di un “Avviso” che imponga<br />

al compratore forestiero, intenzionato a portare fuori dal territorio la<br />

merce, il pagamento immediato della tassa 8 .<br />

Nella seduta del Consiglio comunale 9 tenutasi il 10 settembre<br />

1861, di cui possediamo il verbale, si discute e si mette ai voti il<br />

8<br />

ASFr, DA, b. 1175, lettera del Priore Giuseppe Graziosi alla Delegazione<br />

Apostolica di Frosinone, 22 agosto 1861: «Nello scorso anno molti forastieri<br />

venuti qui a comprare quantità forti di uva da persone legittime ed<br />

illegittime fecero si che tutti li Proprietarj di vigne dovettero deplorare, a<br />

vedere decimati li loro raccolti. Questi forastieri con il pretesto, che avevan<br />

tempo a dare l’assegna entro le ore ventiquattro, se ne partivano portando<br />

via le uve prese nella maggior parte dalli ladri, e più non comparivano. Ad<br />

eliminare questo inconveniente, dopo avere intesa questa Magistratura, mi<br />

rivolgo all’Eccel(len)za V(ostr)a R(everendissi)ma onde conoscere se possa<br />

io inibire al forastiere, che compra le uve, di asportarle fuori di territorio<br />

pria, che non abbia data la debita assegna. Oppure emettere al Pubblico<br />

un Avviso, che il forastiere, il quale compra le Uve per asportarle fuori di<br />

territorio debba immediatamente, e pria di caricarle darne la debita assegna<br />

al Magistrato, ed in caso contrario venga assoggettato alla pena stabilita<br />

all’Art. 22 dallo Statuto sudetto».<br />

9<br />

Questo verbale ci mostra la composizione del Consiglio comunale di Serrone,<br />

formato all’epoca da 18 consiglieri, di cui conosciamo l’identità poiché<br />

sono elencati in questo documento. In questa specifica riunione sono<br />

presenti 11 consiglieri.


Serrone: la riforma dell’articolo 22<br />

225<br />

progetto di modifica dell’articolo 22 dello Statuto. Promotore<br />

e portavoce del progetto di modifica è il consigliere Giovanni<br />

Battista Sambucini, il quale nella sua arringa propone di espungere<br />

dall’enunciato dell’articolo il termine delle ventiquattro ore per<br />

soddisfare il pagamento dell’assegna, e inoltre di inserirvi l’obbligo<br />

di possesso di un permesso scritto (rilasciato dalla Magistratura) per<br />

la vendita all’interno del territorio. È vieppiù richiesto al compratore<br />

recantesi al di fuori dei confini territoriali di Serrone di versare<br />

l’assegna alla Magistratura prima di varcare i suddetti confini 10 .<br />

La proposta del Sambucini ottiene il pieno appoggio del consigliere<br />

Futti e di tutti gli altri consiglieri presenti all’adunanza, tanto che<br />

viene accettata e approvata all’unanimità dal Consiglio comunale 11 .<br />

10<br />

ASFr, DA, b. 1175. Verbale del Consiglio comunale, 10 settembre 1861:<br />

«Dico ciò in special modo per quelli Compratori forastieri che asportando<br />

via fuori dal territorio le Uve con il pretesto di aver tempo a darne l’assegna<br />

entro le ore ventiquattro più non compariscono a sodisfare il loro dovere.<br />

E perciò che a raggiungere possibilmente lo scopo sarei io di parere<br />

doversi in parte modificare il di sopra indicato Art(icol)o 22 formulandolo<br />

nelli seguenti termini:<br />

‘Restano assoggettati alla multa di Scudi Cinque per ogni volta, oltre alla<br />

perdita delli oggetti tutti quelli che compreranno uve olive, grano, granturco,<br />

ed altre cose simili, come anche piantoni di Olivi, di morigelsi, e di altri<br />

alberi fruttiferi da persone sospette, e massimamente se non possiedono<br />

simili generi o dalli servi o dalli figli di famiglia. Li sopradetti oggetti poi<br />

a niuna persona abbenchè Leggittima sarà lecito asportarli fuori di territorio,<br />

oppurre effettuarne la vendita entro il territorio stesso senza averne<br />

in antecedenza riportato dalla Magistratura permesso in scritto, che verrà<br />

accordato dopo verificata la libera proprietà del genere. Sarà poi in obbligo<br />

anche del Compratore di darne immediatamente l’assegna alla Magistratura,<br />

e prima di asportare via il genere. Contravvenendo a quanto sopra<br />

sarà tenuto solidalmente tanto il Compratore, che il Venditore alla penale<br />

sumentovata’».<br />

11<br />

ASFr, DA, b. 1175, Verbale del Consiglio comunale, 10 settembre 1861:<br />

«Il Sig(no)r Priore allora ordinò che venisse ballottato l’Arringo Sambucini,<br />

che formulò la modificazione dell’’Art(icol)o 22 dello Statuto locale<br />

con espressa dichiarazione che chi vuole accettarlo debba porre il voto<br />

bianco, chi nò il nero. Passato e riscosso il bussolo si ebbero Voti bianchi


226<br />

Matteo Maccioni<br />

tutti in numero di Undici, Nero Nessuno. Resta perciò ad unanimità di voti<br />

accettato l’Arringo Sambucini in cui modificò l’Art(icol)o 22 dello Statuto<br />

locale».


Matteo Maccioni<br />

Sgurgola: la “pesca” e le norme del commercio ittico<br />

I documenti presi in esame per il comune di Sgurgola sono<br />

conservati nell’Archivio di Stato di Roma, fondo della Congregazione<br />

del Buon Governo 1 . La pratica studiata è formata da alcune lettere<br />

e da un memoriale riguardante l’adunanza del Pubblico Consiglio<br />

del 6 agosto 1797, tenutosi per cercare di trovare una soluzione al<br />

problema de “La Pesca” e della vendita del pesce nel territorio di<br />

Sgurgola. Questi documenti, inviati dai Pubblici Rappresentanti<br />

di Sgurgola alla Sacra Congregazione del Buon Governo e dal<br />

soprintendente dello Stato di Ceccano al Governatore, coprono<br />

l’arco temporale che va da agosto a dicembre 1797.<br />

Le missive esaminate riguardano la questione de “La Pesca” nel<br />

fiume Sacco. Non possediamo molte informazioni in merito a questo<br />

fenomeno: all’infuori dei documenti presi qui in esame, non mi è<br />

stato possibile rintracciarne altri che vi facessero riferimento. Tutto<br />

ciò che sappiamo è che la comunità della Sgurgola ha abitualmente<br />

affittato, a fronte di una «tenuissima somma» 2 , determinate porzioni<br />

del fiume per il periodo dell’anno che si protrae da marzo fino al<br />

23 giugno. Si tratta, per l’esattezza, di quattro zone – di cui non<br />

conosciamo l’ubicazione – chiamate “Vadi” dagli abitanti.<br />

Nel resoconto del Pubblico Consiglio del 6 agosto 1797 si mettono<br />

in chiaro delle situazioni che, evidentemente, all’epoca non erano<br />

ancora ben delineate: si sostiene che la comunità della Sgurgola non<br />

ha mai affittato “La Pesca” nel fiume per il periodo che va «dalla<br />

natività di S. Gio(vann)i Batt(ist)a 24 Giug(n)o, per fino al mese di<br />

marzo, giacché da Marzo al 23 di Giug(n)o di ciascun’anno affitta<br />

1<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 4547.<br />

2<br />

Ivi, missiva di Gizzi, soprintendente dello Stato di Ceccano, al Governatore,<br />

25 novembre 1797.


228<br />

Matteo Maccioni<br />

al solito certi dati siti, e non più, lasciando a benefizio di commune<br />

pescagione il restante del Fiume, eccettuata quella porzione riservata<br />

per pescarsi nel mese di Agosto, cioè dall’antivigilia dell’Assunta di<br />

Maria S(antissi)ma fino al 3° giorno» 3 .<br />

Data la mancanza di documentazione in proposito, non ci è dato<br />

conoscere l’iter che conduceva all’affitto di questi “Vadi”, né se<br />

l’affitto prevedeva un canone fisso o se si procedeva tramite asta. Non<br />

possiamo stabilire se i “Vadi” venivano messi in affitto tutti nello stesso<br />

tempo oppure uno dopo l’altro, o ancora se questi venivano affittati<br />

tutti e quattro in un’unica soluzione da una sola persona oppure se<br />

venivano dati a persone diverse; oppure se esistevano delle norme che<br />

proibivano ad un unico individuo di affittarli contemporaneamente e<br />

di dar così vita ad una sorta di piccolo monopolio. In base a quanto<br />

riportato nel resoconto del Pubblico Consiglio del 6 agosto sappiamo<br />

che era comunque lecito pescare nelle restanti parti del fiume<br />

Sacco: ciò per non danneggiare materialmente ed economicamente<br />

la comunità cittadina, consentendole così di incamerare viveri da<br />

consumare e da immettere sul mercato locale e limitrofo. A questo<br />

punto sorge spontanea una domanda: perché affittare quattro siti per<br />

la pesca e lasciare comunque che questa si effettui liberamente nel<br />

resto del fiume? La risposta più immediata è che, con ogni evidenza,<br />

i quattro siti posti in affitto fossero i più pescosi e/o contenessero i<br />

pesci più pregiati e prelibati.<br />

Altro tasto dolente della questione è il prezzo di vendita del pesce.<br />

Nel resoconto è sostenuto che l’affitto della pescagione è stato deciso<br />

«per esiggere da Pescatori il Pesce al solito prezzo antichissimo di baj<br />

trè per libra, come lo statuto al Cap. 81 carta 27 dispone, che il pesce<br />

debba stimarsi da Grascieri 4 , e contro i trasgressori baj 40, e libre<br />

3<br />

Ivi, copia dell’estratto dal Libro dei Consigli, 8 agosto 1797.<br />

4<br />

Il Grasciere è l’ufficiale che si occupa della grascia, termine indicante le<br />

vettovaglie, la fornitura di viveri. A questi ufficiali era affidata la sovrintendenza<br />

sui rifornimenti, con l’incarico anche di vigilare sui mercati, sui<br />

prezzi al minuto, sui pesi e misure, ecc. A proposito del compito del grasciere,<br />

l’articolo X dello Statuto comunale di Sgurgola dice: “Cap. X. Che<br />

gl’Officiali debbano ponere li prezzi alle Grascie. Statuimo, et ordiniamo,<br />

che li Sopradetti Officiali debbano a’ tempi debbiti, et ordinarij poner li


Sgurgola: la “pesca” e le norme del commercio ittico<br />

229<br />

cinque di pesce di pena» 5 . Il Consiglio, lamentandosi dell’aumento<br />

del prezzo del pesce arbitrariamente deciso da alcuni pescatori,<br />

stabilisce dei limiti alla libertà di commercio e nuove pene. Mentre<br />

si concede a tutti la libertà di andare a pescare nel fiume, si proibisce<br />

la vendita del pesce ai forestieri, così come viene sancito il divieto di<br />

portarlo al di fuori del territorio e venderlo a 3 baiocchi la libbra. La<br />

pena prevista per chi contravviene a queste disposizioni è una multa<br />

di uno scudo e cinquanta baiocchi:lo scudo spetta al giudice, mentre<br />

i 50 baiocchi vanno alla comunità 6 .<br />

L’inserimento di nuove pene nel codice statutario e l’accrescimento<br />

di quelle ivi già esistenti è previsto dalla struttura stessa dei codici<br />

prezzi alli grani, et altri Lavori, e mosti”, Subiaco, Biblioteca del monumento<br />

nazionale di S. Scolastica, Archivio Colonna (in seguito si citerà<br />

solo Colonna e la posizione), Affari di Scurgola III RB I, Miscellanea,<br />

Statuto di q(ue)sta Comm(uni)tà Mag(nifi)ca della Scurgola, pagg. 6-7.<br />

5<br />

BG, b. 4547, copia dell’estratto dal Libro dei Consigli, 8 agosto 1797.<br />

6<br />

Alcune delle risoluzioni adottate dal Consiglio, come quella della limitazione<br />

del commercio e della proibizione della vendita del pesce ai forestieri,<br />

stridono con le norme applicate nelle copie dello Statuto di Sgurgola che<br />

sono a nostra disposizione (cfr. nota 9). Il capitolo XII del primo libro dello<br />

Statuto recita: “Cap. XII Dell’Officio delli Soprastanti. Statuimo, et ordiniamo,<br />

che li due Soprastanti deputati dagl’Officiali siano almeno d’età di<br />

venticinque anni di buona qualità, et abbiano il giuram(en)to del Cap(itan)o<br />

avanti, che pigliano L’officio, q(ua)le è di vedere tutti Li pesi, e misure<br />

della Terra, e quelle Segnarle con il Segno della Comm(uni)tà, per Servigio<br />

de Cittadini, e Forastieri, e rivederli ogni volta che sarà di bisogno, e<br />

debbano accusare al Cap(itan)o tutti quelli, che venderanno à pesi falzi, e<br />

misure ingiuste, quali siano tenuti alla pena Legale, e delle Sagre Costituzioni,<br />

e mancando detti Soprastanti in alcuna cosa di detto Loro Offizio,<br />

siano obbligati alla pena di Scudi dieci per ciascheduno d’applicarsi alla<br />

Corte. Inoltre, che detti Soprastanti debbano apprezzare tutte le cose solite<br />

à vendersi à pezzo, così à peso, come à misura tanto à Cittadini, come a<br />

Forastieri et al prezzo, che s’imporranno debbano o vendere sotto la pena<br />

di Scudi due per Persona, che contra facesse d’applicarsi alla Corte, e perdita<br />

delle Robbe, senza però preggiud(izi)o alcuno degl’affitti della Corte”,<br />

Colonna, Scurgola III RB I, Miscellanea, Statuto di q(ue)sta Comm(uni)tà<br />

Mag(nifi)ca della Scurgola, pp. 8-9.


230<br />

Matteo Maccioni<br />

statutari e dalle loro norme interne. In particolar modo, l’articolo<br />

VIII del primo libro dello Statuto di Sgurgola recita:<br />

«Cap. VIII. Dell’Accrescim(en)to delle Pene. Statuimo,<br />

et ordiniamo, che detti Officiali siano obbligati ogn’Anno à<br />

tempi debbiti, e soliti far’ le Liberanze, et accrescere le pene<br />

insieme con il Camerlengo, e Massari, come à loro piacerà<br />

facendole però passare dal Sig(no)r Uditore, che ci sarà prò<br />

tempore, e che s’applicano le pene ad arbitrio di esso Sig(no)r<br />

Uditore secondo il solito» 7 .<br />

Il riferimento del Consiglio popolare, così preciso e puntuale, al<br />

capitolo e alla pagina dello Statuto locale ci porta a pensare che, in<br />

effetti, fosse presente al suo interno una norma che stabilisse il prezzo<br />

del pesce e che regolasse “La Pesca”. Risulta sorprendente – forse una<br />

vera e propria mistificazione? - l’affermazione del Soprintendente<br />

Gizzi il quale, nel dire di rilevare le informazioni relative a “La Pesca”<br />

«dallo Statuto, e dai Libri Com(unitati)vi», sostiene che «dallo Statuto<br />

però niente apparisce» 8 . Non ci è possibile, in effetti, rintracciare<br />

tali norme all’interno delle copie dello Statuto di Sgurgola in nostro<br />

possesso 9 . L’unico riferimento ivi presente alla pesca e alla vendita<br />

dei pesci si trova nell’articolo 80 del libro secondo”:<br />

«Cap. 80. Delli Pescivendoli. Statuimo, et ordiniamo, che<br />

li Portatori di Pesci à vendere così di fiume, come di mare e<br />

di laghi non possino vendere senza apprezzo delli Soprastanti<br />

sotto la pena di quaranta soldi d’applicarsi alla Corte, e così li<br />

7<br />

Colonna, Scurgola III RB I, Miscellanea, Statuto di q(ue)sta Comm(uni)<br />

tà Mag(nifi)ca della Scurgola, pp. 5-6.<br />

8<br />

BG, b. 4547, missiva di Gizzi, soprintendente dello Stato di Ceccano, al<br />

Governatore, 25 novembre 1797.<br />

9<br />

Le copie dello Statuto di Sgurgola giunte sino a noi sono conservate presso<br />

Colonna, Scurgola III RB I, Miscellanea. Si tratta di due copie: la prima,<br />

scritta su un codicetto e datata 1642, si presenta consunta, di difficile lettura<br />

a causa dello stato di conservazione e con le pagine iniziali mancanti;<br />

la seconda, scritta su un codice con copertina rigida, è conservata in ottimo<br />

stato, è completa e scritta in modo estremamente chiaro. In questa seconda<br />

copia non è riportata la data, ma è molto probabilmente una ricompilazione<br />

della precedente, posteriore dunque al 1642.


Sgurgola: la “pesca” e le norme del commercio ittico<br />

231<br />

Cittadini, oltre cinque libre di Pesci». 10<br />

Questo articolo sancisce che il prezzo di vendita dei pesci deve<br />

essere quello stabilito dai Grascieri, ma non si fa menzione di un<br />

prezzo fisso o già fissato in precedenza, così come non vi è traccia di<br />

una tabella riportante i prezzi di vendita dei beni alimentari.<br />

Tutto ciò non è dirimente per noi: le copie giunteci appartengono<br />

alla metà del XVII secolo (1642), mentre i documenti analizzati<br />

sono datati 1797. Non è dunque lecito escludere la possibilità di una<br />

successiva sanzione di tali norme nel corso di un secolo e mezzo.<br />

Poiché lo Statuto è lo specchio della situazione socio-economica e<br />

politica della comunità a cui fa riferimento, non meraviglia affatto<br />

che questo venga sottoposto ad aggiornamenti: è necessario infatti<br />

che, con l’irrompere di nuove circostanze, si provveda alla modifica<br />

dello Statuto tramite aggiunte di norme sanzionate dagli organi<br />

competenti.<br />

Il Soprintendente dello Stato di Ceccano reputa irragionevole la<br />

pena prevista dalla risoluzione consiliare per chi vende il pesce a<br />

più di tre baiocchi per libbra, «a contemplazione, che da qualche<br />

anno La Com(uni)tà non ha affittato, e forse non ha trovato ad<br />

affittare Li quattro Vadi come sop(r)a» 11 . Lo Statuto, stando a quanto<br />

sostenuto dal Gizzi, dà la facoltà ai Grascieri di stabilire i prezzi<br />

per le vettovaglie destinate ai forestieri e non interferisce nelle<br />

operazioni di vendita tra privati cittadini, i quali hanno in ogni caso<br />

l’obbligo di applicare un prezzo ragionevole basato sulla qualità del<br />

prodotto e le circostanze dei tempi. Come forma di protezione degli<br />

interessi della comunità locale, il soprintendente ritiene opportuno<br />

che nella vendita, sempre sulla base di questo prezzo ragionevole,<br />

debba essere preferito il cittadino a dispetto del forestiero.<br />

Sebbene il commercio con l’esterno necessiti dell’autorizzazione<br />

degli ufficiali e delle autorità locali, il solo fatto che vi sia una<br />

10<br />

Colonna, Scurgola III RB I, Miscellanea, Statuto di q(ue)sta Comm(uni)<br />

tà Mag(nifi)ca della Scurgola, pp. 67-68.<br />

11<br />

BG, b. 4547, missiva di Gizzi, soprintendente dello Stato di Ceccano, al<br />

Governatore, 25 novembre 1797.


232<br />

Matteo Maccioni<br />

possibilità di apertura verso un commercio più ampio sta a significare<br />

che, all’interno della comunità sgurgolana, vi fossero merci presenti<br />

in quantità tale da sopperire adeguatamente ai fabbisogni interni. La<br />

realizzazione di una rete commerciale avrebbe consentito l’afflusso<br />

di nuova valuta nel territorio, generando a sua volta un incremento<br />

della ricchezza.


Marco Di Cosmo<br />

Il danno dato studioso e lo Statuto di Supino<br />

Introduzione<br />

A Supino la storiografia locale ci conferma l’esistenza di uno<br />

Statuto, sopravvissuto in duplice copia e di incerta datazione,<br />

sebbene l’ultima di queste due copie sia ascrivibile alla seconda<br />

metà del XVIII Secolo 1 .<br />

Argomento di questa ricerca, che per Supino ha interessato<br />

le carte di archivio, partendo dalle testimonianze comunali, la<br />

Delegazione Apostolica presso l’Archivio di Stato di Frosinone, il<br />

fondo del Buon Governo, presso l’Archivio di Stato di Roma e infine<br />

l’Archivio Colonna presso la Biblioteca del monumento nazionale<br />

di S. Scolastica a Subiaco, è l’uso pratico, e per quanto possibile<br />

quotidiano, del codice statutario.<br />

Tale utilizzo è relativo, come nella maggior parte dei comuni<br />

interessati dalla ricerca, soprattutto ai casi di danno dato, fattispecie che<br />

per questo <strong>Comune</strong> si è voluto analizzare nell’ottica dell’importanza<br />

dello strumento statutario come riferimento normativo delle controversie<br />

locali. Soprattutto, dunque, come testimonianza viva d’uso,<br />

e, nei casi che vedremo, riguardo l’importanza per la comunità<br />

supinese di avere una copia autentica e leggibile, di pratico utilizzo<br />

nella risoluzione dei diversi tipi di controversie.<br />

Il danno dato studioso e lo Statuto di Supino<br />

Nello Statuto di Supino, come in quelli degli altri comuni limitrofi,<br />

la normativa che regolava l’agricoltura era preponderante rispetto agli<br />

altri settori, laddove dunque il danno dato e la relativa protezione dei<br />

terreni diviene testimonianza di una economia fortemente agricola e<br />

legata al mondo contadino.<br />

1<br />

G. Giammaria, Lo Statuto di Supino, Anagni 1986 (Biblioteca di Latium,<br />

1); C. Bianchi, Statuta castri et universitatis Supini, Roma 1986.


234<br />

Marco Di Cosmo<br />

Anche questo Statuto, in relazione al danno dato, presenta una<br />

casistica minuziosa e soprattutto ci permette di introdurre una<br />

fattispecie particolare, quella del “danno dato studioso”, termine con<br />

cui si indicavano le cause per danni provocati intenzionalmente dai<br />

proprietari degli animali.<br />

Il caso preso in esame, oltre a richiamare l’occorrenza delle cause<br />

relative al danno dato in questo comune, ci fornisce una diretta<br />

testimonianza dell’utilizzo dello Statuto come riferimento normativo,<br />

sebbene non unico, in questo tipo di controversie. Ad introdurre la<br />

causa è l’Uditore Egidio Pozzi che, «dalla nostra residenza di Supino»<br />

ribadisce la validità dell’applicazione del danno dato studioso<br />

all’interno della comunità supinese. Su questo tema, si legge, il<br />

Tribunale aveva chiamato a riferire il Balivo, ovvero il funzionario<br />

comunale, preposto alla sorveglianza del territorio, in opposizione<br />

ad alcuni cittadini che giudicavano tale fattispecie come oppressione<br />

dei diritti statutari. Il danno dato, e con esso la fattispecie del danno<br />

dato studioso, è invece previsto dagli «stabilimenti statutari» per<br />

«amore del bene pubblico».<br />

Se il tribunale ha dunque chiamato il balivo a riferire su tale<br />

fattispecie, non ha fatto altro che seguire le disposizioni statutarie,<br />

non contrastando così la consuetudine vigente sino ad allora 2 .<br />

2<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio<br />

Colonna (in seguito si citerà solo Colonna e la posizione), Affari di Supino<br />

III SA, Miscellanea (1531-1870). Notificazione dell’Uditore Egidio Pozzi,<br />

20 maggio 1804. «Se da questo tribunale si è coartato il Balio de danni dati<br />

a riferire al medesimo le accuse di danno dato studioso, e manuale, non si<br />

è inteso, ciò facendo, che eseguire quanto la legge mille volte ha prescritto,<br />

e a dir meglio quanto si è dalle Pontificie Costituzioni dichiarato. Non è<br />

questa una novità, conforme alcuni sediziosi, ed inimici dei beni pubblici<br />

vanno spacciando: non è un’opposizione, che s’intende fare all’uso, che<br />

vigeva in questa terra dettata da spirito d’interesse: non è opposizione ai<br />

diritti del Balio: non è conculcazione dei stabilimenti statutari, e bensì un<br />

espediente provvedimento dettato dall’amore del Pubblico, e dall’obbligo<br />

del nostro officio, e che è conforme le leggi le più sacrosante, e che serve<br />

al buon ordine, ad assicurare le altrui sostanza con renderle immuni dai<br />

danni, e riparare alle collusioni, che continuamente in pregiudizio e della<br />

giustizia, e de particolari commetteva dal precitato Balio».


Il danno dato studioso e lo Statuto di Supino<br />

235<br />

L’Uditore, pur premurandosi di non scavalcare le leggi statutarie,<br />

compie poi un’interessante distinzione tra le tipologie del danno<br />

dato, e i diversi riferimenti normativi per l’applicazione delle pene<br />

o delle ammende.<br />

Il danno dato studioso ha una vera e propria caratteristica di furto,<br />

per cui era materia trattata dalla “giustizia criminale”, dunque non<br />

più danno, per dirla con terminologia moderna, cioè materia civile,<br />

ma reato, e dunque materia da codice penale. Non trattabile dal Balio<br />

dunque, e non risolvibile nell’applicazione delle mere disposizioni<br />

statutarie 3 . L’Uditore si preoccupa infine di lasciare inalterate le<br />

competenze, e dunque di trattare la materia in maniera diversa: ciò<br />

che riguarda il danno dato semplice e il transito, ovvero il passaggio<br />

degli animali in terreni coltivati, ma diretti alle proprie “Mandre”,<br />

seguiranno sempre, infatti, la materia prevista dalle disposizioni<br />

dello Statuto cittadino, e dunque supervisionate dal Balio 4 .<br />

3<br />

Ivi: «è chiara la Bolla della Gloriosa Memoria di Benedetto XIV, nella<br />

quale si enuncia che il danno dato studioso impropriamente chiamasi danno<br />

dato, ha che la vera caratteristica è di furto, e per conseguenza tali cause<br />

prescrive, che debbano proporsi, agitarsi, e definirsi in giudizio criminale.<br />

Sarà forse il Balio il giudice criminale?<br />

Chiara è la susseguente Engiclica dell’alto Pontefice di glori(osa) memoria:<br />

Clemente XIV, nella quale contro il Dannificante studioso dopo la terza<br />

accusa si commina la pena dell’opera pubblica, che equivale alla Galera. Il<br />

Balio sarà quello che ne eseguirà la condanna?<br />

Chiaro è il recente Motu proprio del Regnante Sommo Pontefice su tal<br />

oggetto».<br />

4<br />

Ivi. «Niun alterazione intende poi farsi alle accuse di semplice transito,<br />

e alle altre, che sono di danno dato semplice, e casuale: queste<br />

come in addietro, e conforma prescrive lo Statuto, resteranno al Balio.<br />

Tra poco si avvedrà ciascuno del vantaggio che risulterà dall’adottato sistema.<br />

Se prima quei Particolari, ai quali per la malvagità del Balio veniva<br />

inferto danno, non potevano averne l’ammenda, sebbene fosse il primario<br />

oggetto, vedranno in seguito, che non solo cesseranno li danni ma di più,<br />

che se per accidente accaderanno, ne otterranno sul momento la reintegrazione».


236<br />

Marco Di Cosmo<br />

Trasmissione dell’Antico Statuto<br />

La quotidianità di utilizzo dello Statuto è confermata<br />

dall’importanza che la comunità di Supino riservava nella<br />

trasmissione e nella leggibilità dell’antico codice. Se numerose sono<br />

le testimonianze della copiatura dei decreti e dei libri dei consigli<br />

municipali 5 , o dei successivi casi riguardanti le risoluzioni consiliari 6 ,<br />

è addirittura esemplare, in questo senso, il caso della riscrittura<br />

integrale dello Statuto, ultima testimonianza archivistica riguardante<br />

lo Statuto di Supino, nella quale emerge attraverso un’esperienza<br />

diretta della comunità quale sia l’importanza e «quanto sia di<br />

bisogno di far copiare lo Statuto Locale 7 ». Il 31 ottobre 1789 il<br />

locale Governatore, Pasquale Bellincampi, inoltra al Buon Governo<br />

una copia della risoluzione consiliare in cui il <strong>Comune</strong> di Supino<br />

decideva di procedere alla copiatura dello statuto locale, ridotto in<br />

pessimo stato 8 . La necessità di tale copiatura, si legge nelle carte,<br />

5<br />

Colonna, Supino III SA, Miscellanea (1531-1870). «Decreta ed ordini<br />

lasciati alla <strong>Comune</strong> di Supino, fatti copiare sotto il Breve, registrato nel<br />

Libro del Consiglio. 3 Giugno 1704 in cui si trova che la Comunità di<br />

Supino, nel gettarsi la Colletta de Pesi Camerali […] non lo faceva interamente<br />

sopra i stabili e bestiami, ma supplivano colle entrate comuni, il<br />

che non essendo giusto si ordina, che di qui avanti si spartisca interamente<br />

sopra questi due corpi, non tanto le tasse fisse, che si pagano in camera,<br />

quanto proporzionalmente la ricognizione del Barone, esporto de danari<br />

all’Erario, e che dovrà cavarli sopra i Beni, e Bestiami del Barone, Laici<br />

et eccellentissimi, avvertendo solamente, che le chiese, cappelle, o altri<br />

benefici non devono essere soggetti ai beni».<br />

6<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 4771: il 6 giugno 1789, il Governatore<br />

locale «umilia all’Eccellenza Vostra la copia autentica della risoluzione<br />

consolare riguardante gli assegnamenti proibiti per l’imposizione del censo<br />

per la ... via Appia, unitamente alla copia della lettera dell’Eccellenza<br />

Vostra per l’imposizione di detto censo». Lettera del Governatore Pasquale<br />

Bellincampi al Buon Governo, in data 6 giugno 1789.<br />

7<br />

Ivi. Lettera del Governatore Pasquale Bellincampi al Buon Governo, in<br />

data 31 ottobre 1789.<br />

8<br />

Ivi: «Copia di risoluzione consiliare, con supplica annessa, all’Ecc. Vo-


Il danno dato studioso e lo Statuto di Supino<br />

237<br />

deriva dal fatto che lo Statuto di Supino si trovava in pessimo stato<br />

e si rendeva impossibile così sia la semplice lettura 9 , sia la relativa<br />

applicazione, come nei casi sopracitati.<br />

Si domanda dunque, come nella supplica alla Sacra Congregazione<br />

del Buon Governo, il permesso di «fare la spesa per far copiare lo<br />

statuto di questa terra di Supino che si rende affatto impossibile di<br />

poterlo più leggere» 10 .<br />

Il consiglio comunale riunito si espresse a favore di questo<br />

provvedimento, quasi all’unanimità. Si legge infatti nel documento<br />

che la copia e la relativa spesa di 10 scudi per la riscrittura dello<br />

Statuto fu messa a votazione per cui «chi vuole dia il voto bianco<br />

inclusivo, e chi no lo vuole il nero esclusivo, e dunque, distribuiti li<br />

voti a quelli raccolti si sono trovati bianchi inclusivi n. ventidue, e<br />

neri esclusivi n. uno» 11 .<br />

La votazione favorevole testimonia l’effettivo successo di tale<br />

operazione e dunque l’importanza per la comunità di possedere<br />

una copia leggibile e direttamente applicabile, risultante poi, molto<br />

probabilmente, nella copia conservata nell’Archivio Comunale di<br />

Supino.<br />

stra, che si degnerà di far presentare in Sagra Congregazione del Buon<br />

Governo. Non prima di oggi, aggiunge, mi è stata consegnata da questo<br />

segretario essa risoluzione, in cui apparisce che questo consiglio ha risoluto<br />

di far ricopiare questo statuto locale ridotto in pessima forma, per la<br />

somma di scudi dieci, qualora piaccia a detta sagra congregazione, ed altro<br />

su ciò non dovendo dire, pieno d’immortale e infinito rispetto profondamente<br />

m’inchino».<br />

9<br />

Ivi: «trovasi lo Statuto di Supino in pessimo stato, ed or ora si rende affatto<br />

impossibile il poterlo più leggere, onde quella comunità supplica all’<br />

Eccellenza Vostra volerle concedere il benigno permesso di far la spesa<br />

della copia del medesimo e l’originale lasciarlo conservato».<br />

10<br />

Ivi: «come è stata avanzata supplica alla sagra congregazione del buon<br />

governo, il permesso di fare la spesa, per far copiare lo statuto di questa<br />

terra di Supino, che si rende affatto impossibile di poterlo più leggere, questa<br />

supplica dalla detta sagra congregazione è stata rimessa a questo Vostro<br />

Illustrissimo Signor Governatore».<br />

11<br />

Ivi.


Rossana Fiorini<br />

Vallecorsa: oliveti<br />

e normativa statutaria<br />

Al fine di studiare la fonte statutaria del <strong>Comune</strong> di Vallecorsa 1 ,<br />

1<br />

Vallecorsa fu assoggettata ai Caetani di Fondi (famiglia nobiliare di Bonifacio<br />

VIII), ottenendo con essi solidità e stabilità. In quegli anni un particolare<br />

processo di affrancazione dalla tutela centrale portò alla concessione<br />

degli Statuti alle varie comunità locali – che comunque si limitavano a<br />

definire le competenze dei vari organi e disciplinavano i rapporti di convivenza<br />

tra i cittadini. Il primo Statuto di cui si ha memoria a Vallecorsa<br />

è del 1327, concesso proprio dai Caetani e rimasto in vigore, con qualche<br />

necessario aggiustamento, finanche sotto la Signoria dei Colonna. La copia<br />

in nostro possesso corrisponde ad una stesura del 1531, approvata nel 1545<br />

– di cui si conserva oggi, presso la Biblioteca dell’Archivio di Stato di<br />

Roma e presso l’Archivio Storico Comunale di Vallecorsa, una riproduzione<br />

fotostatica. Tale fonte normativa è stata oggetto di edizione e studio da<br />

parte di Arcangelo Sacchetti (cfr. A. Sacchetti, Vallecorsa nella signoria<br />

di casa Colonna, Vallecorsa 1990, pp. 265-317 e Id, Vallecorsa nella signoria<br />

baronale dai Caetani ai Colonna: organi e vicende della Comunità<br />

nel distretto feudale del Regno di Napoli e dello Stato Pontificio, Vallecorsa<br />

2005, pp. 265-338). L’Archivio di Stato di Roma custodisce anche una<br />

copia del 1856 che riporta però soltanto proemio ed indice, mentre non si<br />

sono mai rintracciate né l’originale né altra copia presso l’archivio storico<br />

del <strong>Comune</strong>, malgrado il Sacchetti riferisca comunque di aver lavorato su<br />

una «copia fotostatica autentica» di proprietà dell’Amministrazione comunale.<br />

Le notizie sulla conservazione delle carte sono incerte e non meglio<br />

precisabili, ma è indiscutibile che lo Statuto studiato dal Sacchetti debba<br />

essere quello «scritto da Antonello Mancino nel 1531» nel quale era assai<br />

probabilmente confluita la redazione statutaria precedente, risalente al<br />

1327, di cui si perde completamente traccia nella seconda metà del XVIII<br />

secolo.<br />

Lo Statuto vedrà il suo progressivo spegnimento per via degli improvvisi<br />

ribaltamenti istituzionali, che, iniziati nel 1798, porteranno alla definitiva<br />

soppressione dei diritti feudali nel 1816, quando Filippo III Colonna “rinunciò”<br />

ad essi a seguito delle condizioni “vessatorie” fissate con il motu


240<br />

Rossana Fiorini<br />

si sono presi in esame documenti che provengono dal fondo della<br />

Congregazione del Buon Governo presso l’Archivio di Stato di Roma<br />

e dalla Corrispondenza degli Affari dei Feudi dell’Archivio Colonna<br />

della Biblioteca del Monumento Nazionale di Santa Scolastica di<br />

Subiaco.<br />

Le pratiche studiate comprendono missive, memoriali e resoconti<br />

riguardanti la particolare tutela che la Comunità, anche attraverso la<br />

normativa statutaria, riservava agli oliveti 2 e agli albereti. I documenti<br />

incontrati affrontano inoltre le dispute verificatesi fra agricoltori<br />

e pastori, soprattutto durante i Consigli Pubblici. All’origine del<br />

conflitto fra agricoltori e pastori concorsero importanti fattori,<br />

fra i quali deve essere annoverato ovviamente l’incremento della<br />

popolazione e la recinzione dei coltivi come pure la nuova rotazione<br />

che nel complesso escludevano i pastori dall’uso dei terreni soggetti<br />

ad una più intensa coltivazione.<br />

Tale documentazione risale alla metà del XVIII secolo.<br />

Il <strong>Comune</strong> di Vallecorsa è ricco di uliveti coltivati in tipici<br />

terrazzamenti costruiti su muri a secco, denominati “macére”,<br />

un’opera molto particolare che si distribuisce lungo tutta la<br />

superficie collinare che circonda l’abitato. La conformazione fisica<br />

del territorio, impervio e arido, così come l’esposizione, l’altitudine<br />

e il posizionamento dei terreni, in cui non ristagna l’umidità, fanno<br />

di Vallecorsa posto principe per l’olivo – che non richiedendo molta<br />

terra si può coltivare anche in terreni pietrosi e di scarso spessore –<br />

ma ostacolano la coltivazione di altre piantagioni.<br />

proprio di Pio VII.<br />

2<br />

Alcuni tipi di coltivazione, come quella dell’ulivo, hanno richiamato l’attenzione<br />

degli storici. L’uso di queste piante offre spesso un’interessante<br />

documentazione circa i sistemi di vita delle popolazioni del tempo e le<br />

condizioni climatiche delle aree prese in considerazione. Pagine significative<br />

sulla coltivazione e sull’impiego dell’olio l’oliva – dall’uso alimentare<br />

e medico a quello sacro – sono state scritte da Giovanni Cherubini. L’olio<br />

d’oliva era fonte plurifunzionale, utilizzato anche per l’illuminazione, specialmente<br />

di ambienti sacri e di luoghi pubblici, per la lavorazione dei<br />

tessuti, per la confezione del sapone, per la medicina e la farmacopea. Cfr.<br />

G. Cherubini, L’Italia rurale del basso Medioevo, Bari-Roma 1985.


Vallecorsa: oliveti e normativa statutaria<br />

241<br />

Da questi fattori fisici scaturiscono particolari orientamenti<br />

societari, che si palesano anche negli elementi che costituiscono la<br />

normativa statutaria, atta a regolare i rapporti giuridici civili e penali<br />

della vita di tutti i giorni, oltreché le attività e le pratiche agricole –<br />

trattandosi segnatamente di una comunità rurale. Questa premessa è<br />

imprescindibile per introdurre l’analisi che in questa sede si presenta,<br />

in cui il contesto normativo deve necessariamente tenere conto<br />

degli elementi naturali che del territorio e di un particolare retaggio<br />

agreste della società. Quanto appena affermato può ravvisarsi ad<br />

esempio nelle disposizioni imperative e categoriche riservate alla<br />

difesa dei pozzi di fondovalle, cisterne d’acqua a cielo aperto, unico<br />

approvvigionamento per Vallecorsa che risulta ancora oggi esser<br />

povera di sorgenti e acque correnti, quindi l’unico mezzo per frenare<br />

la sete e per mantenere l’igiene pubblica 3 .<br />

La matrice sociale statutaria sembra inizialmente tenere<br />

maggiormente in considerazione gli interessi degli agricoltori,<br />

rispetto a quelli degli allevatori. Tant’è vero che nella documentazione<br />

consultata le dispute fra “possessori del bestiame” e “possessori<br />

degli oliveti” si fanno aspre e denotano rapporti incrinati e difficili.<br />

Quando la situazione dei continui danni ai terreni si fece<br />

insostenibile, il Pubblico Consiglio tentò di far leva su una vecchia<br />

norma statutaria e quindi di ripristinarla. Si voleva regolare il<br />

contenzioso sul danno dato prevedendo, in certi casi, l’uccisione<br />

di una bestia, come era stato fino al 1682, anno dell’ultima notizia<br />

dell’applicazione della disposizione. La Sacra Congregazione del<br />

Buon Governo però non approvò la risoluzione conciliare. Sotto<br />

il profilo della tutela, le volontà degli allevatori e degli agricoltori<br />

non potevano chiaramente coincidere: gli uni interessati ai capi di<br />

bestiami e gli altri invece portati a prendersi cura delle piantagioni.<br />

Risalgono al 1790 le suppliche della Comunità di Vallecorsa alla<br />

Sacra Congregazione del Buon Governo per ottenere la possibilità<br />

di aumentare le pene inerenti i danni arrecati agli oliveti e agli<br />

3<br />

Nel corso dell’indagine documentaria d’archivio si sono potute appurare<br />

numerose testimonianze in cui si ribadivano ordinarie norme di igiene personale<br />

e collettiva, con precisa funzione di prevenzione.


242<br />

Rossana Fiorini<br />

albereti, sia da uomini che da bestie 4 . Una problematica importante,<br />

pertinente a quei casi in cui le coltivazioni distrutte non si potevano<br />

risanare, tenendo sempre presente che la chioma conicoglobosa<br />

dell’olivo, costituita da più branche variamente ramificate e da<br />

rametti penduli, era bersaglio facile per gli animali. Dalla lettura del<br />

memoriale apprendiamo che i pastori, nottetempo, si prendevano la<br />

briga di «rompere i ripari delle possessioni ed introdurvi ogni specie<br />

di bestiami».<br />

Con la supplica si voleva ovviare ai danni che si arrecavano a<br />

tutti i terreni della Comunità, specialmente oliveti e vigneti, causati<br />

in larga parte dalle bestie che nel territorio erano presenti in gran<br />

numero. Ancora una volta è la configurazione naturale di Vallecorsa 5<br />

(contraddistinta da una tipica ristrettezza di pascoli, in cui le zone<br />

destinate a questa attività erano difficili da raggiungere) a intervenire<br />

nella redazione legislativa.<br />

La natura stessa della richiesta conduce ovviamente a pene più<br />

severe, affiancate da relative esecuzioni sbrigative. Certamente la<br />

parte lesa è sempre la proprietà agricola e proprio per questo un<br />

aumento delle sanzioni sul danno dato alle piantagioni andrebbe a<br />

favorire i padroni dei campi e degli uliveti. Allo stesso tempo però<br />

4<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 5291.<br />

5<br />

Cfr. Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio<br />

Colonna (in seguito si citerà solo Colonna e la posizione), Vallecorsa,<br />

II, Corrispondenza (1742-1775). In una lettera del governatore Marcantonio<br />

Gorda, datata 8 ottobre 1759, indirizzata al Principe Colonna,<br />

si legge: «detta terra è situata in luogo angusto, e ristretto, con strade, e<br />

vicoli pavimentati angusti, scoscesi, e poco praticabili, e all’incontro abitato<br />

da numeroso popolo; il suo territorio è ugualmente angusto, ristrette e<br />

circondato da valli e monti e quasi tutto coltivato, cioè seminato, olivato,<br />

ed arborato con viti ed altri arbori fruttiferi». Le controversie comunque<br />

riguardavano anche gli spazi liberi da destinare a uso collettivo o al pascolo.<br />

Quest’ultimo nello Statuto era disciplinato ai capp. XXXV e XXXVI<br />

(rispettivamente De amoventibus guiffam e De damnum dantibus in herba,<br />

cfr. A. Sacchetti, Vallecorsa nella signoria di casa Colonna, cit., pp. 271-<br />

309.


Vallecorsa: oliveti e normativa statutaria<br />

243<br />

si riconosce nel carteggio che «disconviene di gravare i dannificanti<br />

di pene così eccessive». Si dichiara inoltre che l’intero importo della<br />

pena spettava alla Comunità, in quanto era stata rigettata la divisione<br />

“in terzo”. Qui si fa un riferimento inequivocabile alla figura<br />

dell’affittuario del danno dato, che doveva procurare sollecitamente<br />

l’affitto e quindi pensare alla sorveglianza delle coltivazioni 6 .<br />

La replica contro gli allevatori non si fece attendere; i padroni degli<br />

oliveti rimarcarono «esser troppo necessario l’aumento delle pene» 7 ,<br />

malgrado l’istanza fosse stata rigettata dal Pubblico Consiglio,<br />

convocato peraltro anche con l’intervento degli ecclesiastici 8 . I<br />

contadini dunque giustificarono il rifiuto spiegando che il Consiglio<br />

era composto per la maggior parte da «possidenti di bestiami ed<br />

anche pastori che vorrebbero continuare a dar danni impunemente<br />

nelli detti arboreti, ed oliveti, non potendo sostentarli né pagarli».<br />

Anche il governatore tentò di dimostrare che il nuovo progetto<br />

normativo non aveva avuto approvazione per via di una cospicua<br />

presenza di pastori nel Consiglio. Tale rimostranza poteva comunque<br />

trarre origine dal particolare interesse «dello stesso governatore a cui<br />

si vorrebbe applicare la terza parte delle pene». Così l’uditore del<br />

barone propose di lasciare le fonti intatte, tali e quali come erano:<br />

«non si sa per quale ragione con suo biglietto assicurò (l’uditore) la<br />

6<br />

BG, b. 5291. Si propone quanto segue: «Si potrebbe perciò rescrivere:<br />

Mandet reformari novam Taxam Damnorum datorum in Olivetis, et Arboretis<br />

in medietate tantum, addita declaratione, quod Omnes poenae spectent<br />

ad Communitatem ad formam Constitutionis Benedictinae, et pro hujusmodi<br />

effectu praevia affixione Edictorum accendatur Candela pro illarum<br />

affictu ad Triennium Servata forma Edicti 1729». La “balliva” apparteneva<br />

al Barone, la Comunità la gestisce in affitto (mettendola all’asta) grazie alla<br />

figura del “ballivo”, che svolge anche la funzione di sorveglianza. Questi<br />

risponde direttamente alla Corte. Poteva anche capitare che l’asta andasse<br />

deserta, come si apprende da un documento datato 14 ottobre 1727 (Cfr.<br />

Colonna, Vallecorsa II, Corrispondenza 1685-1730) Il fattore di Vallecorsa<br />

dà informazioni nell’agosto 1721, per l’affittuario del danno dato Martino<br />

Migliore da Vallecorsa.<br />

7<br />

BG, b. 5291.<br />

8<br />

Ivi.


244<br />

Rossana Fiorini<br />

Sacra Congregazione esser falso l’esposto ed il richiesto aumento<br />

di pene fosse un ritrovato del governatore per impinguare la sua<br />

borsa». Per smentire tale testimonianza al Buon Governo si fece<br />

nuovo ricorso, inviando due «attestati giurati, uno dei religiosi […]<br />

e altro firmato di proprio carattere da trenta cittadini» per giungere<br />

alla verità e all’implementazione delle sanzioni.<br />

A favore dell’accrescimento della contravvenzione si proponevano<br />

anche ragioni di carattere ambientale e conservativo degli olivi<br />

stessi, che durante l’inverno del medesimo anno avevano subito dei<br />

danneggiamenti dalla neve e dalle gelate. Questo tipo di pianta, come<br />

è noto, è in grado di attraversare anche inverni molto rigidi purché<br />

l’abbassamento delle temperature sia graduale, i raffreddamenti<br />

improvvisi invece – come appunto le gelate – rischiano di far<br />

“bruciare” i germogli e quindi mandare in rovina la futura raccolta<br />

delle olive. Non bisogna dimenticare infatti che la produzione e<br />

il commercio dell’olio rappresentavano l’unica sussistenza dei<br />

“terrazzani” di Vallecorsa.<br />

Gli agricoltori inoltre si appellarono all’osservanza della<br />

costituzione benedettina e alla difficoltà nell’approvazione della<br />

nuova tassa la quale avrebbe comportato perdite assai vistose 9 .<br />

Ancora si legge:<br />

«ma propostasi l’istanza in consiglio come che composto<br />

dalla maggior parte dei villani possessori, o custodi di tali<br />

bestie avidi perciò di continuare la dannificazione: niente da<br />

esso consiglio si poté ottenere e sebbene l’informazione del<br />

governatore ed il voto degli ecclesiastici fosse favorevole<br />

comprovando la quantità da anni insoffribili».<br />

Qui si sottolinea il potere di contrasto che i possidenti di<br />

bestiame avevano raggiunto perché, se un tempo la parte sociale<br />

predominante nello Statuto era stata rappresentata dagli agricoltori,<br />

ora le circostanze si erano mutate e rovesciate.<br />

È anche vero che tra il 1757 e il 1759 – come dimostra la<br />

corrispondenza rinvenuta presso l’Archivio Colonna – per ovviare<br />

9<br />

Ivi. Il foglio si conclude on la frase «Sarà perciò necessario di rescrivere:<br />

Transmittat sollicite copiam Taxae hactenus observatae pro poenis Damnorum<br />

Datorum, et providebitur».


Vallecorsa: oliveti e normativa statutaria<br />

245<br />

ai danni che i suini (chiamati semplicemente neri 10 ) continuamente<br />

provocavano alle piante si fece leva su alcuni articoli dello Statuto.<br />

I componenti del Consiglio Comunale si schieravano su posizioni<br />

diverse: alcune drasticamente negative (richiamando il cap. 76,<br />

che non permetteva di tenere detti animali), altre più possibiliste<br />

(richiamando il cap. 77, che permetteva il possesso delle bestie<br />

soltanto se confinate entro rimesse) 11 .<br />

I rapporti fra agricoltori e allevatori non erano certo facili, laddove<br />

si legge che, non solo gli animali andavano vagando liberamente nelle<br />

terre senza nessun attenzione, ma che i loro padroni «per alimentarli e<br />

ingrassarli» avrebbero volutamente derubato «castagni ed altri frutti<br />

nei terreni altrui esistenti, non solo in questo territorio, ma anche nei<br />

territori convicini, il che poteva e può cagionare continue risse e la<br />

morte di più di uno» 12 .<br />

10<br />

Cfr. Colonna, Vallecorsa II, Corrispondenza 1742-1775. Documento<br />

dell’8 ottobre 1759. «[…] simili animali fossero rigorosamente banditi<br />

dal luogo abitato, perché avrebbero certamente recato infezione all’aria,<br />

e generato morbi perniciosi agli abitanti, tanto più, che il territorio, come<br />

dissi, è parimenti ristretto, e circondato da valli, e monti, privo perciò della<br />

ventilazione dei venti, e segregazioni rispettivamente dell’esalazioni;<br />

e che di più andato liberi per l’abitato avrebbero potuto recare disturbi e<br />

specialmente in occasioni di processioni di delazione del Ss.mo viatico agli<br />

infermi, e di altre funzioni sacre, che quivi si fanno».<br />

11<br />

Ivi. Comunque la situazione espressa nella lettera è lunga e animosa.<br />

Vengono riproposti alcuni episodi ai quali la Comunità si appella. Si fa<br />

l’esempio di quanto accaduto nel 1746, quando si tentò di introdurre gli<br />

animali nell’abitato (il cap. 76 in questo caso era servito all’espulsione<br />

delle bestie); si fa poi menzione di un altro avvenimento, dell’anno successivo<br />

1747, quando – per ottenere il permesso di introdurre gli animali – si<br />

scrisse alla Sacra Consulta che, dopo aver esaminato gli Statuti, aveva ripetuto<br />

l’ordine di espulsione. Il contesto non era stabile: quando i terrazzani<br />

riuscivano ad ottenere il permesso (appellandosi evidentemente al cap. 77),<br />

lo stesso veniva – talvolta con editto – revocato.<br />

12<br />

Ivi, dossier allegato al documento del giorno 8 ottobre 1759.<br />

Quindi si rese nota «la relazione della affissione» dell’«Editto nei luoghi<br />

soliti fatta dal censore in pubblica forma. Item quod nullus possit bestias<br />

porcinas facere seu retinere in castro Vallicursae sive eius territorio ultra


246<br />

Rossana Fiorini<br />

Tali dispute, a carattere comune, nascevano per via dei conflitti<br />

di forze sociali diverse, che contrassegnavano i distinti piani<br />

istituzionali, andandosi a sommare con intricate sovrapposizioni dei<br />

domini territoriali. La struttura stessa della società così come veniva<br />

organizzata poneva gli uni contro gli altri, grazie anche ad un senso<br />

di appartenenza legittimo.<br />

tres dies, nisi voluerit ipsas macellare aut vendere in ipso castro et contrafaciens<br />

solvat Vicario Augustale unum et nihilominus teneatur ipsos porcos<br />

macellare aut vendere cuicumque volenti emere ad poenam praedictam<br />

et accusator habeat tertiam partem poenae et patronus ipsorum non possit<br />

abbeverare in aliquo puteo, nisi aquam hauriret ad manus ad poenam medij<br />

Augustalis. Necnon si bestiae convinciorum porcinae intrarent in termino<br />

Valliscursae, mori debeat una de communibus pro qualibet societate et pastor<br />

pro persona sua solvat Baiulo et Vicario inter ambos Augustale unum<br />

et si recusaret dare dictam poenam puniatur duplici poena, et bestia. (Ancora,<br />

nessuno può fare o tenere bestie porcine nel territorio di Vallecorsa<br />

e nel suo territorio per più di tre giorni, a meno che non voglia macellarle<br />

o venderle nello stesso castello; chi contravviene paghi al Vicario un augustale<br />

e nondimeno è tenuto a macellare gli stessi porci o a venderli a<br />

chiunque vorrà comprarli, sotto la pena predetta; e l’accusatore abbia 1/3<br />

della pena. Il padrone degli stessi non può abbeverare in nessun pozzo,<br />

se non prendendo l’acqua a mano, sotto pena di mezzo augustale. E se le<br />

bestie porcine dei vicini entrano nel territorio di Vallecorsa, ne muoia una<br />

di quelle in comune per soccida e il pastore di persona sua paghi al Ballio e<br />

al Vicario, tra entrambi, 1 augustale; e se si rifiuta di pagare detta pena, sia<br />

punito a dare pena doppia, più la bestia)».


Marco Di Cosmo<br />

Lo Ius Pascendi nello Statuto di Veroli<br />

Introduzione<br />

Veroli ha la fortuna di conservare, nell’Archivio della Biblioteca<br />

Giovardiana, una copia manoscritta dell’antico statuto cittadino,<br />

datata 1540. Da tale copia, e dalla successiva edizione latina, sono<br />

stati condotti alcuni studi storici e critici che hanno permesso di<br />

ricostruire e tradurre interamente un codice, che è testimonianza<br />

viva dell’economia e delle principali consuetudini del diritto locale.<br />

In questa sede ci occuperemo di un particolare argomento legato<br />

allo Statuto: quello dello Ius Pascendi, o pascolatico, che stabiliva<br />

le modalità del pascolo e della fida per i pastori della città di Veroli.<br />

Attraverso lo studio dei documenti di archivio rinvenuti presso<br />

la Sacra Congregazione del Buon Governo, infatti, è stato possibile<br />

ricostruire un interessante caso in cui tale diritto veniva diversamente<br />

rivendicato, da differenti parti della comunità, proprio in forza dello<br />

Statuto Comunale.<br />

Lo Ius Pascendi e l’antico Statuto di Veroli<br />

Una lettera dei consiglieri della città di Veroli, in cui si richiede la<br />

revisione della decisione di approvazione di un editto del tribunale<br />

di Frosinone, ci permette di ricostruire una vicenda importante per<br />

capire la normativa legata allo Ius Pascendi e soprattutto all’utilizzo<br />

dello Statuto nell’economia e nelle consuetudini locali.<br />

I Consiglieri e il Magistrato della città di Veroli scrivono alla<br />

Sacra Congregazione del Buon Governo, prima dell’Aprile 1744,<br />

opponendosi ad alcune modifiche circa lo ius pascendi, previste<br />

dall’editto del 1741 emanato dal Tribunale di Frosinone 1 .<br />

1<br />

Archivio di Stato di Roma, Fondo Sacra Congregazione del Buon Governo,<br />

Serie II (in seguito solo BG), b. 5370, lettera dei Consiglieri e Magi-


248<br />

Marco Di Cosmo<br />

Tale diritto, simile al diritto di fida, era il permesso che i cittadini<br />

della comunità ottenevano per la servitù di pascolo in determinati<br />

territori. Nell’ambito di un’economia di sussistenza, l’utilizzo<br />

del pascolatico da parte della comunità si identificava come uso<br />

civico, simile, come abbiamo visto per altri comuni, al legnatico e<br />

all’erbatico.<br />

A Veroli, come vedremo in maniera dettagliata più avanti, tale<br />

fattispecie era regolata dalle norme Statutarie, salvo occasionali<br />

modificazioni che avvenivano sia tramite i consigli comunali, che<br />

per intervento della Presidenza di Frosinone 2 .<br />

strato della città di Veroli alla Sacra Congregazione del Buon Governo, con<br />

decisione datata 18 aprile 1744. «Essendosi rimessa dalla Sagra Consulta<br />

a codesta Sagra Congregazione la decisione della differenza che verte […]<br />

circa l’approvazione d’alcuni capitoli sottoscritti dal Magistrato, e Consiglieri<br />

[…] d’un editto emanato il di 29 gennaio 1741 dal Tribunale di<br />

Frosinone per ordine della Sagra Consulta sopra il Ius Pascendi nello territorio<br />

di essa Città, quali sono acclusi nella Posizione data da detta Sagra<br />

Consulta, ed esistente in mano di Mons. Ponente, e dipendendo da tale approvazione<br />

la quiete di essa Città poiché pretendendo devastare li pastori le<br />

macchie […] anche ab antiquo tempore ristrette ed anche vestite con alberi<br />

fruttiferi contro ogni disposizione statutaria, e communale, ne sono per<br />

nascendi de grandi, e poi irrimediabili inconvenienti, per evitare li quali<br />

supplicano gl’oratori. la retta giustizia dell’EE.VV. a voler benignamente<br />

riscrivere per l’approvazione dei detti capitoli».<br />

2<br />

Sempre in riferimento allo ius pascendi e al diritto di fida, nella Città di<br />

Veroli, altri casi che coinvolgono i pastori e proprietari terrieri locali. Il<br />

caso di Gregorio Pellegrini che esige dai pastori la fida per il pascipascolo<br />

dei terreni non ristretti. Scrive il Pellegrini alla Sacra Congregazione<br />

del Buon Governo, il 26 settembre 1741: «Gregorio Pellegrini dalla Città<br />

di Veroli umilmente espone all’EE.VV. che nella consulta del 22 maggio<br />

1740 fu esposto da parte delli Zelanti, e Pastori di detta città, che tanto<br />

l’oratore, quanto altri cittadini avevano ristretto li terreni in grande pregiudizio<br />

degl’esponenti in la mancanza del pascolo, e le EE.VV. si degnarono<br />

imporre a Monsig. Preside che provvedesse all’indennità deli Oratori in<br />

quanto agli predii ristretti in sequela di che fece constatare l’oratore avanti<br />

l’uditore di detto Preside, che […] lui spettante non cadeva sotto la configura<br />

del ricorso e d’esser da tempo memorabile stato circondato di macerie


Lo Jus pascendi nello Statuto di Veroli<br />

249<br />

Nel caso preso in esame, l’editto del Tribunale di Frosinone<br />

prevedeva alcune libertà di pascolo, per i pastori locali, che i<br />

consiglieri comunali giudicavano eccessive, e soprattutto dannose<br />

nella misura in cui tali pascoli avrebbero rovinato i terreni, in special<br />

modo quelli adibiti a varie coltivazioni, e soprattutto in opposizione<br />

alle norme dello Statuto verolano, che espressamente vietava il<br />

pascolo in alcuni territori.<br />

Per questo motivo i consiglieri comunali scrivono al Buon Governo<br />

chiedendo di rivedere la loro decisione riguardo l’approvazione<br />

dell’editto in questione. Nella documentazione allegata dai consiglieri<br />

si leggono con maggior precisione le motivazioni addotte.<br />

Premessa importante è il riconoscimento dell’autorità del<br />

Buon Governo quale unico organo adatto a risolvere tale tipo di<br />

controversie 3 .<br />

Più avanti si prendono in esame le obiezioni poste dai pastori,<br />

che lamentano l’impossibilità di poter condurre il proprio bestiame<br />

all’interno dei terreni «aperti, e non ristretti» 4 .<br />

fratte, che detto uditore decretò non esser compreso nel predio del ricorso<br />

fatto.<br />

Nuovamente li supposti zelanti con nuovi ricorsi avanti del Tribunale di<br />

Frosinone procurano inquietare l’oratore sopra il Ius Pascendi e rendono<br />

in tutto il territorio contro una sentenza emanata avanti la Sacra Congregazione<br />

del Buon Governo sino dall’anno 1707 fra la comunità e li possessori<br />

di Bestiami, e quantunque l’oratore ha fatto una promessa che fu sentita<br />

la comunità in quest’istanza, e che li Zelanti compariscano smascherati in<br />

questo giudizio […]».<br />

3<br />

BG, b. 5370, lettera dei Consiglieri e Magistrato della città di Veroli alla<br />

Sacra Congregazione del Buon Governo, prima del 18 aprile 1744: «la cognizione<br />

di questa Causa spetti alla Sagra Congregazione del B. Governo<br />

non si impugna in conto alcuno, anzi il Magistrato e Consiglieri di essa Città<br />

ne sperano una più spedita giustizia per l’approvazione de noti Capitoli,<br />

come non più giudiziali».<br />

4<br />

Ivi, «Nel ricorso già fatto in Consulta dalli pastori, o siano zelanti sin<br />

dall’anno 1740 conoscendo essi la verità del fatto si dice solamente che<br />

gli viene impedito il pascolo ne terreni aperti, e non ristretti, come dunque<br />

ultra patita si puol stendere il Pascolo ne luoghi ab antiquo ristretti al com-


250<br />

Marco Di Cosmo<br />

I «ristretti» erano quei terreni recintati, e dunque destinati alle<br />

coltivazioni agricole, che l’ingresso e il pascolo degli animali<br />

avrebbero danneggiato. In questo contesto le controversie più<br />

ricorrenti riguardavano la fattispecie del danno dato, che regolava i<br />

reati relativi a questo tipo di danneggiamenti.<br />

Qui la casistica del danno dato, sempre contenuta all’interno<br />

delle norme statutarie, è citata solo in parte, e analizzata soltanto per<br />

determinare eventuali pene da comminare agli invasori dei terreni. I<br />

pastori, dunque, lamentavano la limitata libertà del loro ius pascendi,<br />

non solo nei terreni coltivati, come da statuto, ma anche nei terreni<br />

non ristretti. I consiglieri, sostenendo la tesi contraria, spostavano<br />

la controversia riguardo la possibilità di determinare quali terreni<br />

fossero coinvolti da tali interferenze 5 . La difesa dei consiglieri<br />

cita espressamente il Cap. 59, Libro Quinto dello Statuto, in cui si<br />

stabilisce che il bestiame non possa circolare in alcuni luoghi del<br />

territorio verolano, citando le fattispecie di esempio del danno dato 6 .<br />

modo proprio de Particolari cittadini».<br />

5<br />

Ivi. «sicché ne viene per necessaria conseguenza di dover distinguere<br />

quali e quanti siano questi terreni e non dal particolare venire, al Generale<br />

Prescindendo sin dalle particolari istanze fatte, esse non fanno al caso<br />

nostro, e passando all’esame del Capitolo Quinto del nostro foglio dove<br />

si stabilisce che non sia lecito a nessun Cittadino in qualsiasi tempo introdurre<br />

Bestiame di sorte alcuna nelle possessioni ristrette, e vestite dispone<br />

come si pretende a prima vista contrario allo Statuto stante che nel medesimo<br />

st. vedono stabilite le pene in certi determinati tempi, e non più altri».<br />

6<br />

«Statutum, seu leges municipales communis ciuitatis Verularum. Impressa<br />

impensis eiusdem communis ex resolutione, & decreto publici consilii<br />

initi die 15. Aprilis anni 1657, Liber Quintus, R. 59 - De defensis cesarum<br />

plane pastine et buzanilli.<br />

Nullum genus bestiarum grossarum, armenticiarum minutarum, aliquo<br />

tempore anni pascua recipiat infra defensas cesarum videlicet a fonte Sancti<br />

Cesarii a domo Bartholomaei Ioannis Nicolai, a domo domini lacobi a<br />

troculare Simoli Turris Andree contis, domo Andree Antinerii, domo Andree<br />

domini Iacobi, Ponte Nicolai perronis. Fonte vadi Leti, nec non infra<br />

defensas plani, bestie pecudine, caprine, velo porcine de mense Iunii. Iulii,<br />

Augusti & Septembris non ambulent, ac pascua recipiant, videlicet, a Fonte<br />

S. Caesarii […]


Lo Jus pascendi nello Statuto di Veroli<br />

251<br />

Continua poi aggiungendo che la combinazione di pene contenuta<br />

negli articoli dello statuto ha come obiettivo quello di tutelare i terreni<br />

coltivati, affinché non venissero distrutti col pascolo “universale”,<br />

cioè indiscriminato, senza regolazione alcuna 7 .<br />

Insuper nulla bestia pecudina, caprina, porcina, bubalina, vaccina, intret<br />

infra defensas pastine, videlicet, a Fonte Syluetre, exeundo per viam qua<br />

itur recte ad vineam Sancti Andree, exeundo ad fontem Ioanni Bovis […]<br />

qui contrafecerit ad eum supra solvat dominus, feu pastor ipsarum communi<br />

Verulano sollos decem, a decem vero, infra pro unaquaque denarios<br />

duodecim, & in omnibus casibus predictus solvat tantundem domino loci,<br />

& damnum emendet, de nocte vero, poena duplicentur, liceat tamen unicuique<br />

Verulano, in domo sua, vel quam laborat intra confines praedictos<br />

impune bestias retinere ...».<br />

Dall’edizione dello statuto edito e tradotto da D. Zinanni, Statuti di Veroli,<br />

Roma 1983, pp. 342-343: Art.59 - Confini per il pascolo - «De defensis<br />

cesarum plane pastine et buzanilli»<br />

«Nessuna bestia di alcun genere può pascolare in nessun periodo dell’anno<br />

entro le terre delle cese e cioè dalla fonte di s. cesareo alla casa di Bartolomeo<br />

Giovanni Nicola, di là alla casa di Giacomo, al frantoio Simoli […]<br />

Inoltre le pecore, le capre e i porci, nei mesi di luglio, agosto e settembre<br />

non possono pascolare entro i confini dalla pianura e cioè dalla fonte di S.<br />

Cesareo andando in linea retta fino all’inizio delle terre di Giovanni Normanno<br />

[…] Per di più; le pecore, le capre, i porci, i bufali e le vaccine, non<br />

vadano entro i confini dei vigneti e cioè dalla fontana dei Silvestri, attraverso<br />

la via che conduce al vigneto di S. Andrea, alla fontana di Giovanni<br />

Bove [...]<br />

Il padrone del bestiame che contravviene paga 12 denari fino a 10 capi e<br />

per un numero maggiore 10 solli oltre il risarcimento del danno ed una<br />

somma uguale alla multa pagata deve al padrone del luogo. Di notte tutte<br />

le penali sono doppie. È tuttavia permesso ad ogni verolano tenere in casa<br />

sua impunemente le proprie bestie».<br />

7<br />

BG, b. 5370, lettera dei Consiglieri e Magistrato della città di Veroli alla<br />

Sacra Congregazione del Buon Governo, in data 18 aprile 1744. «Questa<br />

combinazione di pene temporanea non può ridursi ad altro fine, che il voler<br />

vedere il territorio totalmente vestito, e ben coltivato, non mai per dar campo<br />

a cittadini di distruggerlo col pascolo universale a seconda del desiderio<br />

di taluni pochi, ma non già che Consiglieri, quali benché possiedino de<br />

molti stabili nel territorio li medesimi sono anco Proni del Bestiame, e li


252<br />

Marco Di Cosmo<br />

Sembra davvero difficile, in questa sede, valutare con esattezza le<br />

ragioni dell’una e dell’altra parte. Entrambe le parti, infatti, miravano<br />

a mantenere le proprie priorità, l’una richiedendo maggiore libertà<br />

di pascolo, l’altra restringendo queste libertà fino a modalità che,<br />

partendo dallo Statuto, allargavano in maniera eccessive le loro<br />

prerogative.<br />

L’ultima parte della difesa dei consiglieri menziona espressamente<br />

un altro articolo dello Statuto, chiamato in causa poiché tale articolo<br />

sarebbe stato in contraddizione con un’altra disposizione dello<br />

Statuto stesso, in cui si legge che chiunque può disporre liberamente<br />

dei propri beni 8 .<br />

È un chiaro riferimento alla Rubrica 9, Libro 4 dello Statuto di<br />

Veroli, che qui riportiamo nella versione latina originale, e nella<br />

traduzione italiana:<br />

«Rub. IX – Quilibet possit dare licentiam de rebus suis.<br />

Quilibet verulanus possit unicuique dare licentia colligendi<br />

fructis et poma sua ubicumque existentia, aut domino<br />

bestiarum pascendi in quibuscumque bonis et rebus suis et<br />

nullus habita licentia huiusmodi ad aliquam poenam statutariam<br />

tenatur, dummodo de ipsa licentia ante collectionem<br />

hiuiusmodi pomorum, et fructuum vel pabulo bestiarum, ex<br />

actis communis constiterit».<br />

«Art.9 – Chiunque può disporre delle sue cose<br />

Ogni verolano può dare a chi vuole il permesso di raccogliere<br />

i frutti dei suoi possessi e di farvi pascere le bestie.<br />

Nessuno, dopo aver avuto il permesso, incorre in penalità,<br />

purché sia stato registrato negli atti del <strong>Comune</strong>».<br />

La parte di Statuto chiamata in causa riguarda in realtà una<br />

preme mandenerse si li terreni, che li propri bestiami».<br />

8<br />

Ivi: «pure questa medesima determinazione statutaria di pene temporanee<br />

fa a calci con altra disposizione di esso medesimo Statuto al Lib 4, Rub 9,<br />

chiaramente si legge: Quilibet verulanus possit unicumque dare licentia<br />

colligendi fructis et poma sua ubicumque existentia, aut bestias pascendi<br />

in quibuscumque bonis, sicchè la facoltà di pascere illibe stat penis del<br />

Padrone, e non della Communità quale rubrica può vedersi nel medesimo<br />

Statuto».


Lo Jus pascendi nello Statuto di Veroli<br />

253<br />

fattispecie diversa da quella in oggetto, e serve alla difesa dei<br />

consiglieri soltanto per esporre, dal loro punto di vista, che la facoltà<br />

di pascolare nei terreni è una concessione del Padrone, e non diritto<br />

della Comunità.<br />

In realtà le ragioni dei Consiglieri non saranno ascoltate, perché<br />

il caso analizzato riguarda ben altro argomento, e cioè la facoltà per<br />

i pastori di pascolare nelle terre aperte e l’illegalità di restringere<br />

i terreni in maniera autonoma. Per chiarire meglio la vicenda ci<br />

viene in aiuto la corrispondenza tra la Delegazione Apostolica di<br />

Frosinone e la Sacra Congregazione del Buon Governo. Scrive<br />

infatti il Governatore provinciale che:<br />

«All’istanza avanzata a codesta Sagra Consulta per parte<br />

de zelanti, e poveri pastori della città di Veroli, con cui si<br />

dolevano dell’introdotto abuso da molti di quei cittadini di<br />

render riserbati i propri terreni, e Possessioni, in guisa che<br />

restavano essi Pastori interdetti a poter condurre il proprio<br />

bestiame, se non con incorso di pene, e del pagamento de<br />

Pascoli a commodo de privati cittadini, quantunque essi Pastori<br />

pagassero il solito dazio a quella Communità, si compiacque<br />

benignamente codesta Sagra Consulta ingiungermi dopo […]<br />

la mia informazione, che mi diedi l’onore spedire in codesta<br />

Sagra Consulta fin fatto li 15 Maggio dell’anno scaduto 1740 9 ».<br />

La vicenda appare più chiara. Si capisce, infatti, come l’editto<br />

emanato dall’ufficio di Frosinone fosse un intervento atto a<br />

correggere e punire un abuso perpetrato da alcuni proprietari, i quali<br />

rendevano riservati terreni che non lo erano, in maniera del tutto<br />

“autonoma”, non limitandosi dunque a imporre il divieto soltanto a<br />

quelli “ristretti”. Tale comportamento, quindi, limitava notevolmente<br />

l’attività dei pastori, che si trovavano «interdetti a poter condurre il<br />

proprio bestiame», se non incorrendo in multe o pagando illegalmente<br />

un’ulteriore “tassa” ai privati cittadini, nonostante già pagassero il<br />

dazio per il pascolo alla comunità. Il Governatore afferma di aver<br />

trovato valide le ragioni dei pastori, e facendo in modo che non<br />

9<br />

BG, b. 5370. Lettera del Governatore Ravizza alla Sacra Congregazione<br />

del Buongoverno in data 9 ottobre 1741.


254<br />

Marco Di Cosmo<br />

venisse limitato il diritto previsto dallo Ius Pascendi 10 . A supporto<br />

delle loro ragioni, si legge nelle parole del Governatore, i pastori<br />

presentarono le copie dello statuto verolano in cui si delinea la pena<br />

del danno dato soltanto nei tempi e nei luoghi previsti dallo statuto 11 .<br />

Gli articoli chiamati in causa appartengono al Libro Quarto<br />

dello Statuto di Veroli, Rubrica I-LXV, e prevedono una casistica<br />

dettagliata sul danno dato all’interno dei terreni coltivati (uliveti,<br />

frutteti, etc.), nonché l’impossibilità per i custodi dei terreni di<br />

concedere permessi di pascolo 12 .<br />

10<br />

Ivi: «all’indennità de zelanti, e pastori di detta Città di Veroli, ad effetto<br />

non venisse loro ritardato la libertà del Ius pascendi, tanto piu che essi<br />

pastori pagavano l’annual riparo de propri bestiami, come dalla copia di<br />

lettera di codesta S. C. in data del primo di detto mese di maggio».<br />

11<br />

Ivi: «mi vennero per parte de zelanti, e pastori esibite le copie in autentica<br />

forma di diversi capitoli dello Statuto di Veroli, mediante i quali viene<br />

stabilita la pena contro i dannificanti, su qualunque sorta di terreno tanto<br />

olivato, che arborato, vignato, cerquato […] ne tempi solamente dallo Statuto<br />

prescritti e senza detrimento de frutti pendenti, ed altresì, che da quella<br />

Comunità […] altre volte venduto il Pascolo de Beni d’ogni sorte di quel<br />

territorio a Persone forastiere, giacché conosceva si, che restava il Pascolo<br />

a sufficienza per il Bestiame de Verolani».<br />

12<br />

Statutum, seu leges municipales communis ciuitatis Verularum, cit.,<br />

Liber Quartus.<br />

R. 1 - De modo procedendi in damnis datis.<br />

Statuimus & ordinamus quod cum fu per aliquo dano dato contra aliqq, vel<br />

aliquam Verulanum de filiquo manuali damno, vel cum beltiis illato in quibuscumque<br />

fegetibus, & aliis rebus alienis contra formam praesentium statutorum<br />

aliqua fuerit per aliquem Verulanum accusatio instituta, vel aliter<br />

per viam inquisitionis desuper formate culpabilis de damno illato aliquis,<br />

vel aliqua invenctus fuerit. Notarius communis ad huiusmodi damna data<br />

deputatus per mandatarium communis huius modi accula os, vel inquisitos,<br />

fiue accusatas, vel inquisitas citari faciat eisque, & eorum cuiuslibet lecta<br />

huiusmodi accusatione, vel denunciatione, ac inquisitione, si fuerint praesentes,<br />

vel ipsis absentibus terminum quinque dierum, ad se excusandum<br />

praefigat, qui vel, qua si in dicto termino legitimas exceptiones opposuerint,<br />

& eas probauerint legitime ab huiusmodi accusatione, inquisitione,<br />

feu denunciatione paenitus absoluantur [...].


Lo Jus pascendi nello Statuto di Veroli<br />

255<br />

I danni provocati dal pascolo indiscriminato erano quindi già<br />

previsti dalle pene dello Statuto, e non richiedevano altre restrizioni.<br />

In più, aggiungono i pastori, i proprietari terrieri avrebbero venduto<br />

il diritto di pascolo a persone forestiere, ad ulteriore testimonianza<br />

che il pascolo era consentito in quei territori. I pastori menzionano<br />

poi una fattispecie illegale: l’utilizzo di una recinzione di fortuna,<br />

costruita in maniera autonoma e illegittima, attraverso la quale si<br />

R. 12 - Quos custodes non possint dare licentiam alicui.<br />

Nullus Custos Verulanus possit dare licentiam alicui intrandi in aliquo loco<br />

prohibito per statutum, qui contra fecerit, solvat vicequalibet communi<br />

Verulano follos decem & recipiens dictam licentiam in poenam quinque<br />

follorum eidem communi folueandm incurrat, & credatur iuramento cuiuslibet<br />

accusatoris, & habeat tertiam partem poene.<br />

R. 18 - Pastores bestiarum non ambulent prope vineas.<br />

Nullus pastor bestiarum cuiuscumque generis a tempore quo exiterint fructus<br />

in vineis, & in eis dicti fructus resederint cum bestiis quibuscumque<br />

generis cuiuslibet possit ambulare, vel demorari prope vineas alienas a<br />

duodecim passibus infra ad poenam viginti follorum communi Verulano<br />

applicandorum de quo quilibet bonae famae possit accusare, & credatur<br />

cum iuramento, & habeat tertiam partem poenae. Liceat tamen eisdem pastoribus<br />

iuxta dictas vineas cum eisdem bestiis ambulare, prout in statuto<br />

superiori de damnum dantibus in vineis continetur» .<br />

Statuto di Veroli, Libro Quarto, Art. 1 da D. Zinanni, Statuti di Veroli, cit.,<br />

p. 283. Art.1. Procedura per danni arrecati. Se c’è un’accusa o denuncia<br />

contro chiunque arreca danno con le mani o con le bestie ai beni altrui<br />

contravvenendo alle norme dello Statuto, il Notaio del <strong>Comune</strong>, a ciò deputato,<br />

è tenuto a citare l’accusato per mezzo del Mandatario e, se quello si<br />

presenta, a leggergli la denuncia».<br />

Ivi, p. 287. «Art.12 – I Custodi non possono dare permessi.<br />

I custodi non possono dare permessi di entrare nei luoghi proibiti dallo<br />

Statuto. Chi contravviene paga 10 solli di multa. E chi accetta il permesso<br />

è multato di 5 solli».<br />

Ivi, p. 289-290. «Art. 18 – Divieto ai pastori<br />

Nessun pastore, dal tempo in cui ci sono le uve nei vigneti fino a quando vi<br />

rimangono, può passeggiare e fermarsi con le sue bestie a meno di 12 passi<br />

dalle piante di uva, sotto pena di 20 solli di multa. Si creda.».<br />

È lecito tuttavia pastori girovagare lungo i vigneti, secondo le norme statutarie.


256<br />

Marco Di Cosmo<br />

impediva ai pastori di pascolare in terreni non proibiti. I terreni<br />

venivano così cinti con delle sterpaglie o dei sassi per stabilire che<br />

nessuno poteva portare al pascolo o lì il proprio bestiame, se non<br />

pagando una tassa ulteriore ai padroni del terreno 13 . Tale abuso, si<br />

legge, era già stato rilevato e punito dal pubblico consiglio del Primo<br />

Gennaio 1656 14 .<br />

Il Governatore, dunque, dopo aver preso in considerazione la<br />

documentazione fornita da entrambe le parti giudica «come non fusse<br />

lecito a nessuno il ristringere i propri beni, ma in tutto si osservasse<br />

la disposizione statutaria, ed il Risoluto ne Consigli per non togliere<br />

il Ius Pascendi ai Pastori, nè deteriorare il Ius del dazio» 15 .<br />

Appare chiaro come tale decisione venga presa soprattutto in<br />

forza delle disposizioni statutarie, che non permettevano a nessuno<br />

di restringere i propri confini, e, allo stesso tempo, con l’obiettivo di<br />

13<br />

BG, b. 5370. Lettera del Governatore Ravizza alla Sacra Congregazione<br />

del Buongoverno in data 9 ottobre 1741. «Da molti anni addietro si incominciò<br />

da taluno di quella città a far riserva del pascolo de propri beni in<br />

detrimento de Pastori, ... o cingevano di fratte, e macere di sassi, o con<br />

qualche altro segno d’apposizione di canne, e simili, e con ciò intendevano,<br />

che niuno poteva ivi condurre i Bestiami a pascere, se non con pagare<br />

il Pascolo a quei Particolari, da quali li ricevevano per la custodia de beni<br />

anche i Guardiani, ma dedottosi ciò in un pubblico Consiglio celebrato il<br />

Primo Gennaio 1656 si stabilì in esso non doversi tollerare tale abuso, tanto<br />

più, che derivava ciò in detrimento del dazio».<br />

14<br />

Ivi. Si riporta, come nell’Allegato D del presente fascicolo, copia della<br />

risoluzione del 1656 del <strong>Comune</strong> di Veroli: «Die 16 Januari 1656: […] si<br />

dogliono molti cittadini, che gli viene impedito il Pascipascolo del nostro<br />

territorio per bande, e bande riserbe, che si fanno per servizio de Porci,<br />

quali sono proibiti in genere in questo territorio stante la disposizione dello<br />

Statuto, chi quali sono stati assignati li Stafferi, e non vuole, che in nessuna<br />

maniera abbiano a trasgredire li suddetti Stafferi […] fu risoluto circa<br />

la terza proposta delli Porci, e riserbe, che si osservi lo Statuto, ed il Sig.<br />

Governatore si compiaccia invigilarci, e procedere contro i trasgressori».<br />

15<br />

BG, b. 5370. Lettera del Governatore Ravizza alla Sacra Congregazione<br />

del Buongoverno in data 9 ottobre 1741.


Lo Jus pascendi nello Statuto di Veroli<br />

257<br />

garantire il diritto di pascolo ai pastori della comunità 16 .<br />

Possiamo trovare altre corrispondenze tra le disposizioni<br />

statutarie cui si fa riferimento e alcuni articoli del Libro Quinto (casi<br />

straordinari) dello Statuto. In particolare gli Articoli 30 e 53 in cui<br />

si garantisce il pascolo libero nei boschi del <strong>Comune</strong> e si punisce la<br />

pratica illegale delle ‘cese’ 17 . Con il termine cese si identificavano<br />

16<br />

Ivi: «anche da zelanti e da pastori si pretende appunto non poter farsi simil<br />

ristretta de beni, anche a seconda delle suddette Risoluzioni Consiliari,<br />

ma che solo debba operarsi la disposizione statutaria prefissata in ciascheduna<br />

sorta de danni in qualunque genere de beni».<br />

17<br />

Statutum, seu leges municipales communis ciuitatis Verularum, cit..<br />

R. 30 - Quod Pascua Sylvarum vendantur.<br />

Pascua Sylvarum communis Verulanis, vendantur unicuique emere volenti<br />

per praepositos, qui Potestatem habent ipsa vendere, & concedere plus<br />

offerenti cautionem prius habita, & primo pecunia recepta ab illis personis<br />

que dicta pascua emere volet, tam desolutionem totius pretii, quod promittunt,<br />

quam etiam defoluendis poenis, & bannis, quas, & quem incurrerent<br />

siue cum eorum bestiis sive et sine occasione damnorum datorum, vel dandorum<br />

in rebus communis praedicti, vel specialium personarum ipsius, &<br />

teneantur foluere poenam, sicut soluunt Verulanus, si contra formam Statutorum<br />

per ipsos, vel bestias eorum factum […] bestiae hominum civitatis<br />

Verulane possint pascua recipere in Sylvis praedictis, & Potestas teneatur<br />

hoc facere bannire per civitatem Verulanam, qui vero praepositi teneantur<br />

dictas sylvas, & pascua ter in anno, videlicet, femel de Mense Maii, Iunii,<br />

& Iulli, & si non ipsis Sylvis inuenerint aliquas bestias teneantur proposito<br />

iuramento accusare» […].<br />

Statuto di Veroli, Libro Quinto, Art. 30 da D. Zinanni, Statuti di Veroli,<br />

cit., p. 30. «Art. 30 – Sui pascoli boschivi. I pascoli dei boschi del <strong>Comune</strong><br />

devono essere venduti a chiunque li chiede. Gli appositi incaricati hanno<br />

il potere di assegnarli al maggiore offerente, dopo che costui ha versato la<br />

cauzione in denaro, sia per il pagamento totale del prezzo convenuto, sia<br />

per i danni che le sue bestie possono arrecare ai beni del <strong>Comune</strong> o di privati<br />

cittadini, a norma degli articoli che trattano delle bestie che arrecano<br />

danno. Tuttavia le bestie dei verolani possono pascolare liberamente nei<br />

boschi del comune e a tal fine il Podestà è tenuto a far gettare il bando per<br />

la città. Gli incaricati sono tenuti ad ispezionare i boschi tre volte l’anno,<br />

a maggio, giugno e luglio e se trovano delle irregolarità debbono farne<br />

denuncia secondo il giuramento prestato».


258<br />

Marco Di Cosmo<br />

i terreni boschivi ridotti a coltura in maniera “autonoma” dai<br />

proprietari terrieri, pratica in questo caso espressamente vietata dallo<br />

Statuto negli articoli citati, e dunque richiamata dalle parti come<br />

pratica illegale e punibile.<br />

Oltre alle motivazioni di natura “legale” e consuetudinaria<br />

contenute nello Statuto, il Governatore aggiunge, di seguito, altri<br />

motivi per cui tali comportamenti costituirebbero un danno per<br />

l’economia e per la comunità verolana.<br />

Tale controversia infatti, si pone in un momento storico molto<br />

particolare. A metà del ‘700 Veroli, come altri comuni limitrofi,<br />

assisteva a una grande crescita demografica, e a un conseguente<br />

accrescimento dei fabbisogni della popolazione. Per questo motivo<br />

venivano ‘vestiti’ e ristretti anche terreni posti in collina e montagna,<br />

che le disposizioni statutarie non prevedevano come riservati alla<br />

coltivazione. Se da un lato queste misure ‘autonome’ erano una<br />

risposta alle crescenti esigenze della popolazione, d’altro canto<br />

tali operazioni si scontravano con gli interessi dei pastori, poiché<br />

andavano a limitare le prerogative del libero pascolo.<br />

In questo senso, seguendo le ragioni dei pastori, il Governatore<br />

aggiunge che, permettendo tale autonoma «ristretta dei beni», si<br />

assisterebbe ad una eccessiva limitazione del pascolo, e dunque ad<br />

una conseguente diminuzione del numero di animali.<br />

Il Governatore inoltra alla Consulta le proprie osservazioni,<br />

giudicando illegale la pratica dei cittadini verolani, poiché «a nessuno<br />

possa competere di restringere autonomamente i propri beni, ma che<br />

in tutto debba rispettarsi le disposizioni statutarie» 18 .<br />

Ivi, p.339. «Art. 53 – Le cese presso i boschi comunali<br />

Chiunque ha dei possessi presso i boschi del <strong>Comune</strong>, non può fare delle<br />

“cese” in alcun modo. Chi contravviene incorre in una penale di 10 libbre<br />

di multa. Si creda.».<br />

18<br />

BG, b. 5370. Lettera del Governatore Ravizza alla Sacra Congregazione<br />

del Buongoverno in data 9 ottobre 1741: «imperòcchè se venisse permessa<br />

la ristretta de Beni, oltre il rendersi angusto il Pascolo, per cui ne deriverebbe<br />

la diminuzione del numero degli animali, ed in conseguenza anche del<br />

dazio […] che nell’anno esige questa Comunità, soggiacerebbero inoltre<br />

essi Pastori alla spesa della compra de Pascoli da Particolari, e alle pene a


Lo Jus pascendi nello Statuto di Veroli<br />

259<br />

A conclusione della vicenda la Sacra Congregazione del Buon<br />

Governo conferma le decisioni del Governatore, legittimando le<br />

motivazioni dei pastori e obbligando il pascolo a forma del rispetto<br />

dello Statuto cittadino 19 .<br />

commodo de medesimi, quando che dal Ius è libero di quella Communità.<br />

Prima dunque di venire all’ultimazione di tal pendenza ho stimato mio<br />

preciso debito, anche a seconda del prescrittomi da codesta Sagra Consulta<br />

[…] implorarne da V. E., e dalla medesima Sagra Consulta […] se debba io<br />

dichiarare, che a niuno competa il restringere i propri beni, ma che in tutto<br />

si osservi la disposizione statutaria, e la risoluzione di suddetti consigli,<br />

ad oggetto, che quella Communità continui non solo la libera esigenza da<br />

Bestiami, che colà li ritrovano, […] e li zelanti e li pastori non soggiacciano<br />

al pedaggio indoveroso di dover pagare il Pascolo a Particolari, oltre la<br />

Colletta Communitativa, maggiormente che ogniuno può apporre qualche<br />

legno ne propri Beni, ed in questo caso ne deriverebbe l’allontanamento<br />

de Pastori co’ loro Bestiami, colla distruzione in coerenza del Provento<br />

suddetto a danno della prefatta Communità e mentre starò attendendo ciò<br />

che farà per comandarmi codesta Sagra Congregazione, resto all’E.V. profondamente<br />

inchinandomi. Frosinone, 9 ottobre 1741. Ravizza».<br />

19<br />

BG, b. 5370. Lettera della Sacra Congregazione del Buon Governo al<br />

Cardinale Prefetto, in data 18 dicembre 1743. «Propostasi nuovamente in<br />

S. Consulta l’istanza dei Consiglieri e Magistrato della Città di Veroli, sopra<br />

la Controversia pendente dell’Ius Pascendi che liberamente si pretende<br />

dai padronali dei bestiami in quel territorio, et anco nei luoghi ristretti, la<br />

medesima e stata di senso di recedere dalla risoluzione, e rispettiva approvazione<br />

di alcuni Capitoli fatti nel di 24 del mese di Giugno dai Consiglieri,<br />

e cittadini dell’istessa Città di Veroli, ordinando, che le parti deduchino<br />

su di ciò le loro ragioni in Sacra Congregazione del Buon Governo e che<br />

fra tanto Monsignor Governatore di Frosinone faccia eseguire l’Editto da<br />

lui pubblicato di Novembre dell’Anno 1741, sopra la libertà del pascolo a<br />

forma di quello Statuto».


Paolo Scaccia Scarafoni<br />

Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

A distanza di oltre venti anni dalla discussione della tesi di laurea<br />

in argomento 1 , ne riferisco qui per sommi capi e limitatamente al<br />

riguardo degli statuti, aggiornandone però i risultati con i frutti delle<br />

successive ricerche.<br />

Il Trecento e il Quattrocento sono considerati un’epoca di<br />

progressiva decadenza del fenomeno comunale nel Lazio meridionale<br />

come altrove, ma è pure il periodo cui Giorgio Falco assegna per<br />

intuizione le più significative vestigia normative dei maggiori<br />

comuni della zona, cioè gli statuti 2 . Invero uno dei principali motivi<br />

d’interesse per la storia tardo-medievale del comune di Veroli mi<br />

derivava dalla constatazione di quanto poco si sapesse intorno al<br />

corpo statutario, pervenutoci attraverso una copia del 1540 e, almeno<br />

apparentemente, privo di sicuri riferimenti cronologici 3 .<br />

1<br />

Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo, tesi di laurea presso l’Università<br />

La Sapienza di Roma, Facoltà di Giurisprudenza, a. acc. 1995-96, relatore<br />

il Prof. Mario Caravale.<br />

2<br />

Naturalmente mi riferisco al fondamentale saggio G. Falco, I comuni<br />

della Campagna e della Marittima nel Medio Evo, edito originariamente<br />

in più parti in Archivio della Società romana di storia patria, 42 (1919),<br />

47 (1924), 48 (1925), 49 (1926), e ripubblicato in Id., Studi sulla storia<br />

del Lazio nel Medioevo, Roma 1988 (Miscellanea della Società romana di<br />

storia patria, 24), pp. 419-690 (in questa edizione, a p. 680-681, nota 1278,<br />

il giudizio circa gli statuti di Alatri, Anagni, Ferentino, Piperno, Sezze e<br />

Veroli, che, «per quanto in parte di data più recente», risultano utili per<br />

conoscere le istituzioni comunali del Trecento).<br />

3<br />

Non intendo infierire sulla storiografia locale d’un tempo, benemerita<br />

oltremodo sotto altri aspetti, ma basterà dire che vi si potrebbero trovare<br />

contemporaneamente affermazioni stupefacenti e contraddittorie, come<br />

l’identificazione del testo statutario con le norme del municipium di epoca<br />

romano-repubblicana, l’approvazione delle medesime da parte di Bonifacio<br />

VIII e l’aggiornamento in occasione della stesura del manoscritto del 1540.


262<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

Al fine di dare una ragionata collocazione storica all’impianto<br />

statutario trasmessoci, ho seguito due direzioni d’indagine: in primis<br />

la ricerca – nelle fonti edite e inedite – dei diversi nomi di persone<br />

menzionate dal testo statutario; poi la ricostruzione delle vicende<br />

del comune di Veroli, attraverso la raccolta della documentazione<br />

superstite, cioè della diplomatica comunale, intesa peraltro nel senso<br />

più ampio possibile, in maniera da non trascurare alcuna circostanza<br />

storica che possa aver lasciato tracce negli statuti. In pratica, si è<br />

trattato di un massiccio spoglio di documenti, che sto continuando<br />

ancor’oggi (attualmente esaminando in fotoriproduzione le<br />

pergamene dell’Archivio di Trisulti).<br />

Ovviamente, sono consapevole del fatto che gli statuti comunali<br />

siano stati spesso elaborati avvalendosi per così dire di “materiali<br />

di spoglio”, ricalcando cioè disposizioni statutarie più risalenti o<br />

testi normativi di àmbito superiore, a cominciare dalla codificazione<br />

giustinianea e dalle decretali. Altresì, non c’è dubbio che alcune<br />

norme statutarie siano andate soggette a ricorrenti aggiornamenti,<br />

come pure che intere rubriche siano state aggiunte secondo il mutare<br />

delle esigenze pratiche nel corso del tempo; in genere e per un<br />

meccanismo operativo facilmente intuibile, le norme aggiunte si<br />

trovano alla fine di ogni libro 4 .<br />

Tuttavia, ritengo che vi siano porzioni dei testi statutari che –<br />

nel periodo di accentuata decadenza delle autonomie comunali – si<br />

siano facilmente cristallizzate, ancorché venissero applicate sempre<br />

più difficoltosamente o non lo fossero più affatto, invero mantenute<br />

nel testo più per puntiglio dei comuni che per scopi pratici. A mio<br />

avviso, le norme statutarie che più facilmente possono aver avuto<br />

questa sorte, dovrebbero essere quelle che attengono all’autonomia<br />

politica e giudiziaria, al diritto criminale sostanziale e processuale.<br />

I nominativi di persone nel testo statutario di Veroli<br />

Il corpo statutario pervenutoci è organizzato in cinque libri,<br />

4<br />

Cfr. ad es. le considerazioni espresse da Statuta civitatis Ferentini, a cura<br />

di M. Vendittelli, Roma 1988, pp. LV-LVIII.


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

263<br />

secondo uno schema diffusosi nel corso del Trecento nelle città<br />

del Lazio meridionale 5 . Il primo libro è ripartito in quarantaquattro<br />

rubriche e riguarda principalmente gli organi comunali, il metodo<br />

della loro elezione e i loro còmpiti; nel manoscritto del 1540 mancano<br />

però le rubriche 45-49 alla fine del libro, che sono segnalate nella<br />

Tabula del manoscritto stesso e testualmente presenti nella successiva<br />

edizione a stampa del 1657 6 . Il secondo, in ventuno rubriche, attiene al<br />

diritto processuale civile. Nel terzo libro, ottantuno rubriche regolano<br />

la materia penale, sia sotto il profilo processuale che sostanziale,<br />

investendo anche crimini maggiori, quali l’omicidio, lo stupro e il<br />

tradimento politico. Il quarto libro contiene sessantacinque rubriche<br />

sui damna data, cioè i casi di danneggiamento delle coltivazioni.<br />

Infine, il quinto, suddiviso in ottantanove rubriche, comprende<br />

norme che disciplinano il commercio, la pubblica igiene, l’edilizia,<br />

la viabilità, l’utilizzazione delle acque, lo sfruttamento delle terre<br />

pubbliche, varie attività produttive e i rapporti di lavoro.<br />

Veniamo ai riscontri prosopografici.<br />

Nel primo libro, la rubrica 16, De mandatario, recita: «[...] pręcon<br />

debeat preconizare [...] ante domum Bucii Pauli, [...] ante domum<br />

Iacobi Claranelli, [...] supra hortum Nicolai Orlandi, ante domum<br />

Andree Petri Leonardi». Ebbene, tre di questi quattro personaggi<br />

sono registrati nei documenti d’archivio: Bucius Pauli è attestato<br />

negli anni 1382-1405 7 ; Iacobus Claranelli negli anni 1373-1391 8 ;<br />

mentre Andreas Petri Leonardi risulta ancora vivente nel 1426 9 .<br />

5<br />

Per i caratteri generali degli statuti della zona e la loro partizione in libri,<br />

cfr. G. Falco, I comuni, cit., pp. 679-690.<br />

6<br />

Cfr. C. Bilancioni, Statutum seu leges municipales communis civitatis<br />

Verularum, Velitris 1657, pp. 27-29.<br />

7<br />

Archivio Storico Comunale di Veroli (in seguito solo VASC), Fondo<br />

dell’Ospedale della Passione, reg. 1; Biblioteca Apostolica Vaticana (in seguito<br />

solo BAV), Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XXIII, perg. 2.<br />

8<br />

Archivio di Trisulti (in seguito solo Trisulti), perg. 7595; BAV, Fondo di<br />

S. Erasmo di Veroli, fasc. III, perg. 14; ivi, fasc. XIII b, perg. 12; ivi, fasc.<br />

XVIII b, perg. 11.<br />

9<br />

Archivio Scaccia Scarafoni in Veroli, perg. in data 1426 lug. 6.


264<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

Nel quinto libro, sono cinque le rubriche che recano nomi di<br />

persone, indicate come viventi o come defunti:<br />

• la rubrica 7, Nullus faciat turpitudinem in viis et locis<br />

infrascriptis, tra altri luoghi, nomina il «palearium quondam<br />

Ioannis Amatonis» e l’«hortum quondam Ioannis Loterii»;<br />

nei documenti d’archivio, Ioannes Amatonis è attestato<br />

ancora vivente negli anni 1366-1381 10 e Ioannes Loterii lo è<br />

nel 1397 11 ;<br />

• la rubrica 17, Quilibet possit ire iuxta fossatum Balnei,<br />

autorizza chiunque a camminare lungo il corso d’acqua del<br />

Bagno «a molendino Petri Nigri usque ad terram heredum<br />

Petri Celani»; il mulino di Pietro Niger compare in un atto<br />

notarile del 1381 12 ; mentre del secondo personaggio si<br />

rinviene il figlio, il notaio Antonius Petri Celani che roga nel<br />

1385 13 ;<br />

• la rubrica 19, Nullus devastet gurgos dum canapis iacet,<br />

dichiara che «licitum tamen sit unicuique Verulano facere<br />

gurgos pro stuppa sua [...] a molendino de Cacciantibus et<br />

infra»; tale mulino è menzionato in un documento del 1407 14 ;<br />

• la rubrica 59, De defensis Cesarum, Plane, Pastine et<br />

Buzanilli, riporta ben 29 nomi di persone o famiglie 15 ; tra<br />

10<br />

VASC, perg. IX; ivi, Fondo dell’Ospedale della Passione, reg. 1, c. 43r;<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XIX, perg. 13; ivi, fasc. XXII,<br />

perg. 19; Biblioteca Giovardiana in Veroli (in seguito solo Biblioteca Giovardiana),<br />

perg. P. XIV.<br />

11<br />

Archivio Capitolare di S. Andrea in Veroli (in seguito solo Capitolare di<br />

S. Andrea), perg. 452.<br />

12<br />

Biblioteca Giovardiana, perg. P. XV.<br />

13<br />

Trisulti, unità 7677, perg.<br />

14<br />

Capitolare di S. Andrea, perg. 247.<br />

15<br />

«Nullus genus bestiarum [...] aliquo tempore anni pascua recipiat infra<br />

defensas Cesarum, videlicet [...] a domo Bartholomei Ioannis Nicolai, a<br />

domo domini Iacobi, a torculare Simoli, turri Andreę Contis, domo Andree<br />

Antinerii, domo Andree domini Iacobi, ponte Nicolai Perronis, fonte vadi<br />

Leti; nec non infra defensas Plani bestie pecudine, caprine vel porcine [...]


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

265<br />

questi Bucius Brachalis è attestato negli anni 1374-1378 16 ,<br />

Bucius Nicolai lo è negli anni 1383-1393 17 , Gentilis de<br />

Gavitiis negli anni 1381-1382 18 , Iacobus Mattei - menzionato<br />

come defunto nel testo statutario - è documentato ancora<br />

come vivente nel 1396 19 , Ioannes Casconis si riscontra nel<br />

1376 20 , Ioannes Leporis negli anni 1371-1384 21 , Ioannes<br />

Normandi nel 1384 22 , Nicolaus Perronis nel periodo 1377-<br />

non ambulent ac pascua recipiant, videlicet a fonte Sancti Cesarii exeundo<br />

per directum a capite terrarum Ioannis Normandi de Preturo per directum<br />

ad domos Bucii Brachalis, exeundo per directum a capite terrarum Andree<br />

Ioannis per directum ad domos Blasii Todini, exinde per directum ad domum<br />

Sancti Nicolatii, de inde exeundo per directum ad domum quondam<br />

Petri Capriolis, [...] ex inde per directum ad domum Ioannis Casconis, ex<br />

inde per directum ad terras domini Iacobi, per directum ad vadum Sancti<br />

Erasmi et per ipsum fossatum ad domum Mei Infantocchi, exeundo per<br />

stratam seu ad turrim domini Pauli domine Imperatisse, ex inde exeundo a<br />

pede terrarum Nicolai Cercie que fuerunt Alexandri, exeundo ad domum<br />

Butii Nicolai [...], exinde per directum ad turrim heredum Iacobi Mattei<br />

[...], deinde ad domum delli Leccagliossi, deinde ad domum quondam domini<br />

Iacobi Bartolomei Boccaniri, de inde ad domum Sactilis, per directum<br />

ad turrim Mei Petri [...]. Insuper nulla bestia [...] intret inter sive infra<br />

defensas Pastine, videlicet [...] ad fontem Ioannis Bovis [...], exeundo per<br />

directum vineę Rogeroni [...], exeundo ad canapinam quondam Leonardi<br />

Martellacii, per directum ad domum Ioannis Leporis, per directum ad domum<br />

Gentilis de Gavitiis [...]».<br />

16<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XXI, perg. 13; ivi, fasc. XXIV,<br />

perg. 12.<br />

17<br />

Archivio Campanari depositato nella Biblioteca Giovardiana (in seguito<br />

solo A. Campanari), perg. 17; Capitolare di S. Andrea, perg. 152; BAV,<br />

Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XVIII b, perg. 5.<br />

18<br />

Biblioteca Giovardiana, pergg. P. XIV, P. XVI, P. XVII.<br />

19<br />

Capitolare di S. Andrea, perg. 86.<br />

20<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XVIII a, perg. 11.<br />

21<br />

Ivi, fasc. XII b, perg. 13; ivi, fasc. XIII b, perg. 9; ivi, fasc. XXII, perg. 14.<br />

22<br />

VASC, Fondo dell’Ospedale della Passione, reg. 1, c. 48r.


266<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

1397 23 , Sanctus Nicolatii è vivente nel 1382 ma defunto<br />

prima dell’8 settembre 1401 24 ; Simolus è attestato nel 1377 25 ;<br />

• la rubrica 71, Quod reparetur murus rupis S. Angeli,<br />

prescrive che la riparazione sia fatta «incipiendo ab ecclesia<br />

predicta usque ad domum quondam Petri Mactei»; Petrus<br />

Mathei è attestato ancora vivente nel 1348-1356 e ormai<br />

morto nel 1365 26 .<br />

Le indicazioni cronologiche raccolte per ognuna delle suindicate<br />

sei rubriche appaiono compatibili fra loro e, considerandole tutte<br />

simultaneamente e – tenendo conto che, negli statuti, taluni personaggi<br />

risultano viventi e altri quondam, cioè defunti – si ottengono due<br />

estremi cronologici piuttosto vicini fra loro: il 1397 e il 1401.<br />

Ovviamente, l’attribuzione del corpo statutario a questo periodo<br />

è un’ipotesi di lavoro che va convalidata con altri elementi, perché<br />

altrimenti sarebbe facile obiettare che siano queste rubriche - e non<br />

l’impianto statutario - a risalire all’epoca tra la fine del Trecento e<br />

l’inizio del Quattrocento. In effetti, sotto questo profilo d’idee, c’è<br />

da rilevare che esiste un’ulteriore rubrica statutaria recante nomi di<br />

persone e che le indicazioni cronologiche che se ne possono trarre,<br />

indirizzano ad epoca nettamente più tarda: è la quart’ultima del libro<br />

IV, la 62, Quibus locis et temporibus porci teneri possint in territorio<br />

Verulano, che, tra altri, reca il nome di Andreas Spana («ad domos<br />

Andree Spane»), personaggio ben documentato nel periodo 1491-<br />

1527 27 . Ma è la stessa posizione della rubrica alla fine del libro IV<br />

a farne intuire l’aggiunta in un momento successivo alla redazione<br />

23<br />

Capitolare di S. Andrea, perg. 452; A. Campanari, fondo cartaceo, unità<br />

389, Traduzzione di alcuni istrumenti antichi scritti in pergamena (...).<br />

24<br />

VASC, Fondo dell’Ospedale della Passione, reg. 1, c. 28v; Capitolare di<br />

S. Andrea, perg. 674.<br />

25<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XVIII a, perg. 12.<br />

26<br />

Trisulti, perg. 7649; BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. III, perg. 8.<br />

27<br />

Biblioteca Giovardiana in Veroli, pergg. P. XXXXIII, P. XXXXIV, P.<br />

XXXXVI, P. LII, P. LIII, P. LIV.


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

267<br />

del corpo statutario, secondo l’accennato costume d’introdurre le<br />

riforme alla fine dei libri. Del resto, per una delle cinque rubriche<br />

mancanti nel manoscritto statutario alla fine del primo libro, la 47,<br />

Modus distribuendi salem, si ha la sicurezza che si tratti di una<br />

riforma del 1465, perché se ne rinviene la cedula (uso la terminologia<br />

della rubrica 31 del libro I, De electione statutariorum), sia pur in<br />

una trascrizione erudita del secolo XVIII 28 .<br />

Gli statuti pervenuti e la diplomatica comunale del secolo XIV<br />

La storia del comune di Veroli è considerata da Giorgio Falco come<br />

esemplare per il periodo consolare nel Lazio meridionale: la prima<br />

menzione dei consoli si ha nel 1134 ed è la più antica di Campagna<br />

e Marittima; a cominciare dal 1147 si manifestano le attribuzioni<br />

giurisdizionali dei consoli; e dal 1152 emerge il loro collegamento<br />

col notariato cittadino, forse anche la potestà di creare i notai 29 .<br />

Peraltro, è indubbio che – come in quasi tutto il Lazio meridionale<br />

– a Veroli l’accesso al consolato rimanga un’esclusiva della nobiltà<br />

28<br />

A. Campanari, fondo cartaceo, unità 389, «Memorie antiche e buone».<br />

Una cedula originale è conservata nella Biblioteca Giovardiana, perg. P.<br />

LI (già 922 dell’Archivio Spani Molella in Veroli): [1516, Veroli]-1517<br />

gen. 3, Frosinone, riforme statutarie concernenti divieto di possedere più<br />

di due maiali a persona e obbligo di eleggere podestà unicamente dottori in<br />

legge; reca approvazione con firma autografa del luogotenente della provincia,<br />

Zaccaria vescovo eletto di Assisi. Si noti che, di questa riforma del<br />

1516-17, non c’è traccia nel testo statutario pervenutoci tanto attraverso la<br />

trascrizione del 1540, quanto attraverso l’edizione a stampa Statutum seu<br />

leges, cit.<br />

29<br />

Cfr. G. Falco, I comuni, cit., pp. 448, 450; P. Toubert, Les structures du<br />

Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IX au XIII siècle,<br />

Rome 1974, p. 116; J. C. Maire Vigueur, Comuni e signorie in Umbria,<br />

Marche e Lazio, in Comuni e signorie nell’Italia nordorientale e centrale:<br />

Lazio, Umbria e Marche, Lucca, Torino 1987, pp. 321-582: 383; C. Carbonetti<br />

Vendittelli, Per un contributo alla storia del documento comunale<br />

nel Lazio dei secoli XII e XIII. I comuni delle provincie di Campagna e<br />

Marittima, in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Age, 101<br />

(1989), 1, pp. 95-132: 117s.


268<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

urbana, cioè quel ceto di proprietari fondiari e giurisperiti per<br />

tradizione familiare (notai, procuratori, giudici), che costituiscono<br />

l’asse portante delle autonomie civiche già dalla seconda metà del<br />

secolo XI – come ben evidenzia il Falco – e ancora nel comune<br />

consolare del Duecento svolgono un ruolo insostituibile grazie<br />

alla competenza nei pubblici affari e alla prestazione dell’oneroso<br />

servizio armato a cavallo, vera forza d’urto delle truppe cittadine 30 .<br />

A differenza da altre città, questa situazione non risulta innescare<br />

contrasti civili.<br />

Inizialmente il collegio consolare verolano risulta composto da tre<br />

membri, poi in sintonia con una generale tendenza alla diminuzione<br />

del numero durante la seconda metà del secolo 31 , i consoli sono in<br />

due negli atti fra il 1166 e il 1181. Viceversa, poi, sono quattro nel<br />

1217 e sei nel 1228. La cifra di sei è l’ultima che sia attestata e,<br />

in argomento, pare opportuno richiamare il diffuso orientamento<br />

dell’epoca a far coincidere il numero dei consoli con quello dei<br />

rioni cittadini o con un suo multiplo, uso rimasto lungamente<br />

costante nei comuni laziali, giacché risponde alla doppia esigenza<br />

di assicurare un’adeguata rappresentatività dei magistrati attraverso<br />

la loro estrazione da tutte le zone urbane e di realizzare, «grazie a<br />

una ripartizione molto equilibrata della popolazione tra i differenti<br />

quartieri», la partecipazione alla scelta dei consoli 32 . Per Veroli, sono<br />

del 1195 le memorie più antiche della partizione della città in rioni,<br />

che sono chiamati scripte, nome che si ritrova negli statuti pervenutici<br />

e che sembra derivare da elenchi di popolazione redatti a scopi<br />

amministrativi e probabilmente militari 33 . Peraltro, non si conosce il<br />

30<br />

Sul ruolo della nobiltà cittadina nelle istituzioni comunali del Lazio meridionale,<br />

cfr. G. Falco, I comuni, cit., pp 437-441, 445s, 491-550 passim;<br />

J. C. Maire Vigueur, Comuni e signorie, cit., pp 365-368, 397-418 passim;<br />

Id., Nobiltà e popolo nei comuni del Lazio meridionale, in Il Lazio<br />

meridionale tra Papato e Impero al tempo di Enrico VI, Roma 1991, pp<br />

203-213 passim.<br />

31<br />

Cfr. J. C. Maire Vigueur, Comuni e signorie, cit., p. 416.<br />

32<br />

Cfr. ibidem.<br />

33<br />

Capitolare di S. Andrea, pergg. 167, 181 (pubblicate in C. Scaccia Sca-


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

269<br />

numero totale delle scripte del 1195 e il silenzio delle fonti è totale<br />

fino al testo statutario, in cui saranno dieci. Tuttavia il numero dei<br />

consoli del 1228 trova corrispondenza nella prima documentazione di<br />

una successiva magistratura comunale: i comestabiles peditum, che,<br />

per l’appunto, nel 1323 sono sei, di estrazione popolare e capitanati<br />

da un comestabilis militum, di estrazione nobiliare 34 . Poi, nel corso<br />

del Trecento, la situazione cambia, perché una deliberazione del<br />

5 gennaio 1393 mostra che il collegio dei comestabiles popolari è<br />

ormai formato da dieci membri 35 , lo stesso numero testimoniato dagli<br />

rafoni, Le carte dell’Archivio capitolare della cattedrale di Veroli, Roma<br />

1960, pp. 254-256) e frammento 13, inedito. In argomento cfr. G. Falco, I<br />

comuni, cit., p. 454s.<br />

34<br />

Capitolare di S. Andrea, perg. 179: 1323 nov. 11, Torrice, «Coram nobilibus<br />

viris Petro Lea de Piperno, potestate, et do(mi)no Andrea quondam<br />

do(mi)ni Iacobi, conestabili militum, ac discretis viris Phylippo Egidii,<br />

Riçardo Calzolario, Bonohomine de Turri, Iohanne Caldarario, Egidio Blasii<br />

Donadei et Nicolao Mazarante de Verulis, conestabilibus peditum civitatis<br />

Verulane», il canonico Matteo quondam domini Nicolai, procuratore<br />

del vescovo Tomaso e del capitolo cattedrale, presenta il rescritto con cui<br />

Geraldo de Valle, rettore della provincia, comanda al podestà, al consiglio<br />

e ai conestabili di Veroli d’indurre il suddetto procuratore nel possesso<br />

delle terre di Valle S. Giovanni e di Colle Longo presso Torrice, a seguito<br />

di una vertenza fra i signori di questo castello e la Chiesa di Veroli; infine,<br />

«presente populo Verulano ad hoc specialiter congregato», gli officiali del<br />

comune immettono nel possesso «per glebas terrarum» il procuratore.<br />

35<br />

A. Campanari, perg. 17: 1393 gen. 5, Veroli, «[...] congregato et choadunato<br />

consilio et supraconsilio nobilium et prudentium virorum infrascriptorum<br />

de civitate Verularum, videlicet viri nobilis et prudentis Butii Nicolai<br />

dompni Iacobi, capitanei predicte civitatis Verularum per excellentissimum<br />

et reverendum dominum Honoratum Gaytanum, Dei gratia Fundorum,<br />

Campanie et Maritime comitem, ac etiam nichilhominus in dicta civitate<br />

comestabilis militum, et infrascriptorum aliorum officialium comestabilium<br />

dicte civitatis, videlicet Belli Iohannis Bartholomei nichilhominus<br />

scyndici dicti communis Verulani, Antonii Iohannis Loterii, Bartholomei<br />

Iacobi Bartholomei, Butii Pascalis, Nardi Pauli Cellarari, Gorii Marulli,<br />

Belli Berardi, Buczarelli Sgravatoris, Cole Bartholomei, Buczarelli Iacobi<br />

Macthei, et infrascriptorum consiliariorum, videlicet Pauli Calandre, Nardi


270<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

statuti (libro I, rubr. 16) e collegato al numero delle scripte, essendo<br />

eletti «unus videlicet pro qualibet scripta». Con queste notizie, pare<br />

probabile che il numero delle scripte tra 1228 e 1323 fosse di sei e<br />

che nel corso dei settanta anni successivi sia arrivato a dieci, numero<br />

cristallizzatosi fino all’età moderna.<br />

Nel frattempo, la fase podestarile di Veroli ha inizi piuttosto incerti,<br />

perché il podestariato fa la sua prima comparsa nella documentazione<br />

nel 1239 36 ed è stato certamente eletto dalla città secondo la<br />

consuetudine vigente in tutti i centri maggiori della Campagna già<br />

prima del 1229 37 , ma poi la scarsa diplomatica comunale dei successivi<br />

decenni del Duecento lascia percepire come, a Veroli, la transizione<br />

dal regime consolare a quello podestarile si compia attraverso un<br />

percorso tutt’altro che lineare, in un susseguirsi di situazioni diverse,<br />

nelle quali si alternano - e forse, talvolta, convivono - elementi<br />

propri del consolato e del podestariato, secondo un fenomeno ben<br />

documentato altrove 38 . Così, nel 1244, la città appare governata<br />

nuovamente da consoli e, nel 1258, da rectores 39 . Solamente dal<br />

Girardi, Butii Cole, Pauli Froscie, Antonii magistri Blaxii, Petri Leonardi,<br />

Petrelle, Tutii Butii, Andree Leporicchio, Amatutii, Dominici Iohannis<br />

Gregorii, Dominici Girardi, Buczarelli Gualgani, Tutii Honufrii, Stephani<br />

Mei Iohannis, Antonii Petri Albasie, Nardi Iacobi Leonardi, Iohannis<br />

Sancti Nicolacti, Nardi de Sire et Cole Lei consiliariorum et officialium<br />

dicte civitatis, cum adosa multorum aliorum bonorum virorum de civitate<br />

predicta ad hoc consilium specialiter vocatorum, in palatio communis dicte<br />

civitatis, de mandato nobilis viri Nicolai Iohannis de Roma de Anagnia,<br />

potestatis dicte civitatis per excellentissimum comitem supradictum, ad<br />

sonum campane vocemque preconis, more solito [...]».<br />

36<br />

Si tratta del podestà dominus Luca, forse di Vico giacché si serve del<br />

giudice Giovanni de Vico per le funzioni giurisdizionali. Cfr. C. Scaccia<br />

Scarafoni, Regesti delle carte dell’Archivio capitolare della Cattedrale<br />

di Veroli (sec. XIII), Veroli 1985, p. 59s; G. Falco, I comuni, cit., p. 559n.<br />

37<br />

Cfr. G. H. Pertz, Epistolae saeculi XIII e regestis pontificum Romanorum<br />

selectae, Berolini 1883, 1, n. 388.<br />

38<br />

Cfr. J. C. Maire Vigueur, Comuni e signorie, cit., p. 418s.<br />

39<br />

Per i consoli del 1244, cfr. C. Scaccia Scarafoni, Regesti, cit., p. 64s;<br />

G. Falco, I comuni, cit., p. 488. Per i rectores del 1258, il documento è in


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

271<br />

1277, si evidenzia il prevalere del regime podestarile, anche con<br />

l’evoluzione degli uffici comunali verso forme più complesse: al<br />

podestà è affiancato un giudice che è suo vicario anche al di fuori<br />

della funzione giurisdizionale; tuttavia costoro - pur essendo l’apice<br />

funzionale del comune - non hanno potere di rappresentanza esterna,<br />

che viceversa spetta ad un procuratore nominato di volta in volta,<br />

congiuntamente dal parlamento cittadino e dal podestà stesso; al<br />

contempo, si assiste all’affermazione del notariatus communis, cioè<br />

dalla nascita di uno stabile ufficio che, organico al comune stesso,<br />

provvede a documentarne l’attività con pubblica fede 40 .<br />

Con gli anni ‘90 del Duecento, il podestariato si stabilizza<br />

definitivamente, anche grazie all’elezione in questa carica del<br />

cardinale Benedetto Caetani nel 1294, che ritroviamo ancora podestà<br />

nel 1296, quando è ormai è assurto al pontificato 41 . È ben nota la sua<br />

politica di aperto favore per le libertà comunali e per l’evoluzione<br />

dei comuni in senso popolare, in contrapposizione allo strapotere<br />

feudale 42 , cosicché si può ritenere che questa stessa azione svolga<br />

anche e proprio in Veroli da podestà, sia pur attraverso i vicari<br />

dai quali si fa rappresentare 43 . Insomma, è da credere che allora il<br />

regime podestarile venga a coincidere con l’ordinamento popolare<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XXXII, perg. 8; riferimenti in G.<br />

Falco, I comuni, cit., p. 513n.<br />

40<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XXVI, perg. 27; ivi fasc. XVI-<br />

Ib, perg. 10; VASC, perg. II (lacera e mutila, ma trascritta ancora integra<br />

in A. Campanari, fondo cartaceo, unità 389, «Memorie antiche e buone»).<br />

Riferimenti in G. Falco, I comuni, cit., pp. 514n, 562; C. Carbonetti Vendittelli,<br />

Per un contributo alla storia del documento comunale, cit., pp.<br />

121, 123, 128n.<br />

41<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XXVI, pergg. 32 e 36. Riferimenti<br />

in G. Falco, I comuni, cit., p. 514n.<br />

42<br />

Cfr. G. Falco, I comuni, cit., pp 472-475; E. Dupré Theseider, Bonifacio<br />

VIII, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma 1970, 12, pp 146-170:<br />

166; D. Waley, Lo stato papale, cit., p. 270s; J. C. Maire Vigueur, Comuni<br />

e signorie, cit., p. 565.<br />

43<br />

Si tratta di due anagnini: il magister Nicola Gualterii e lo scriniarius<br />

Pietro. Cfr. nota 41.


272<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

del comune, o comunque con una sensibile apertura delle istituzioni<br />

comunali ai ceti che non si erano identificati col consolato.<br />

In questo quadro va vista la costituzione “Romana mater” del 28<br />

settembre 1295, con cui Bonifacio VIII conferma - a tutti i comuni<br />

di Campagna che ne siano in effettivo possesso per privilegio o<br />

consuetudine - la giurisdizione civile e criminale di prima istanza,<br />

con i relativi proventi, e stabilisce il principio della prevenzione fra<br />

i giudici comunali e quelli della curia provinciale, proibendo quelle<br />

prevaricazioni fino allora ricorrenti da parte del rettore e dei suoi<br />

officiali, come denuncia lo stesso Bonifacio VIII in un passo di<br />

questa costituzione 44 . La “Romana mater” assume particolare rilievo<br />

per Veroli, che, priva di specifici privilegi, aveva dovuto sostenere<br />

una dura controversia giudiziaria contro il rettore della provincia agli<br />

inizi degli anni ‘80, per veder riconosciuta la propria giurisdizione<br />

criminale su basi meramente consuetudinarie 45 .<br />

44<br />

Cfr. G. Falco, I comuni, cit., p. 551s; P. Colliva, Il cardinale Albornoz,<br />

lo Stato della Chiesa, le «Constitutiones Aegidianae» (1353-1357), Bologna<br />

1977, p. 283ss; G. Floridi, La “Romana mater” di Bonifacio VIII e le<br />

libertà comunali nel basso Lazio, Guarcino 1985, pp 3-31.<br />

45<br />

Dal ferimento - instrumentis ferreis - di Pietro Eremita di Bauco, ad<br />

opera di Nicola Scottus di Veroli, presso le mura dell’abbazia di Casamari,<br />

scaturisce una vertenza fra Veroli e Giffredo, rettore provinciale, intorno<br />

alla giurisdizione criminale del comune; il reo viene messo in ceppi dal<br />

magistrato di Veroli, ma il rettore della provincia avoca il giudizio e - visto<br />

il diniego da parte del comune, che rivendica la sua antica giurisdizione<br />

- lancia la scomunica; a seguito di questa, la città si appella alla Sede<br />

apostolica, allegando che i suoi consoli e podestà hanno esercitato da tempo<br />

immemorabile la giustizia criminale «quandoque suspendio, quandoque<br />

erutione oculorum, quandoque fustigatione, quandoque combustione,<br />

quandoque pecunialiter, prout delicti qualitas exigebat», e ciò anche nei<br />

confronti dei forestieri, per delitti commessi nel suo territorio; in data 1282<br />

agosto 4, investito del giudizio, Bernardo Iohannini, uditore di Camera,<br />

delega Crescenzo, vescovo di Alatri, per l’esame delle testimonianze; il<br />

vescovo suddelega questo compito a Stefano, canonico alatrino e cappellano<br />

del card. di S. Giorgio al Velabro; al termine, a nome dell’uditore di<br />

Camera, la sentenza definitiva viene pronunziata dal magister Giovanni<br />

de Papa, che decide a favore del comune di Veroli. Almeno fino al sec.


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

273<br />

La situazione politica di Veroli, come di tutta la provincia, muta<br />

radicalmente dopo la morte di Bonifacio VIII e con la residenza<br />

del papato ad Avignone. In questa sede non è possibile ripercorrere<br />

tutte le vicende del periodo, che sono molto burrascose, sanguinose<br />

e complesse, perché il Trecento si caratterizza in questa zona con<br />

episodi di difficile interpretazione, mentre la documentazione offre<br />

una terminologia fuorviante, giacché le stesse parole sono usate per<br />

indicare situazioni politiche ed istituzionali completamente diverse,<br />

come accade «quando una fase di reazione segue un periodo di<br />

grandi conquiste popolari» 46 . Una massima che può valere anche per<br />

i testi statutari.<br />

Invero, gli statuti verolani hanno una peculiarità unica nel<br />

Lazio meridionale, che è stata messa in debito rilievo da Giorgio<br />

Falco: sono gli unici statuti che prevedano l’elezione del consiglio<br />

attraverso votazioni dei cittadini, peraltro da tenersi scripta per<br />

scripta separatamente 47 . Questo dato storico è di grande rilievo, ma<br />

c’è anche un altro elemento di unicità negli statuti di Veroli, anche se<br />

finora non rilevato: la rubrica De electione potestatis (libro I, rubr. 2)<br />

autorizza implicitamente ad eleggere podestà un cittadino, giacché i<br />

mediani deputati all’elezione dal consiglio hanno come unico divieto<br />

XVIII, di questa vertenza si conservava documentazione nell’Archivio del<br />

comune di Veroli e segnatamente due atti: uno del 1281, esteso dallo scriniario<br />

Bartolomeo de Iohanne di Veroli, e l’altro del 1282, stilato dallo<br />

scriniario Andrea Maniarante di Veroli. Oggi nessuno di questi documenti<br />

è più presente nell’Archivio storico del comune, né se ne è reperita copia<br />

nell’Archivio Campanari, fra le carte erudite di Vittorio Giovardi, che<br />

pure dovette esaminarli quanto meno in parte, come si legge in Biblioteca<br />

Comunale di Veroli, V. Giovardi, Historia Verularum, ms. del 1780 circa,<br />

cc.[186-188]. Notizie in V. Caperna, <strong>Storia</strong> di Veroli, Veroli 1907, pp. 257,<br />

324s; F. Mellonj, Prospetto istorico della città di Veroli, Veroli 1995, p.<br />

119s.<br />

46<br />

Cfr. J. C. Maire Vigueur, Comuni e signorie, cit., p. 527.<br />

47<br />

La norma statutaria è nel libro I, rubr. 1. Al riguardo cfr. G. Falco, I comuni,<br />

cit., p. 683, dove descrive anche il sistema di nomina seguito negli<br />

altri comuni: «per estrazione a sorte su liste preparate da imbussolatores o<br />

mediani eletti dagli ufficiali in carica».


274<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

di votare per sé stessi o per un proprio consanguineo. Né è sufficiente<br />

ricordare che la regola del podestà forestiero è già da tempo un<br />

principio d’ordine pubblico nei comuni, cosicché non sia necessario<br />

richiamarla. Anzi, la mancanza di questa norma negli statuti verolani<br />

è sconcertante ove si consideri che, viceversa, la stessa rubrica De<br />

electione potestatis prevede che i medesimi mediani eleggano un<br />

notaio obbligatoriamente forestiero, a servizio del podestà.<br />

L’idea che ci possano essere stati podestà indigeni ha spinto chi<br />

scrive a ricercare e ordinare cronologicamente tutti i nomi di coloro<br />

che hanno ricoperto questo ufficio fra Trecento e buona parte del<br />

Quattrocento.<br />

Per il secolo XIV, tutti i podestà rinvenuti nella documentazione<br />

superstite sono forestieri, ma l’indagine ha fornito qualche dato<br />

interessante circa la provenienza di questi officiali comunali. Su<br />

poco più di una ventina di podestà identificati (ma in un secolo<br />

ce ne dovrebbero essere stati circa duecento, considerata la durata<br />

semestrale testimoniata dagli statuti), nove provengono da Piperno<br />

(l’attuale Priverno) e due rispettivamente da Bologna, da Ferentino,<br />

da Roma e da Velletri; invece ne viene uno solamente da Anagni,<br />

Capua, Faenza, Frosinone, Piglio e Parma.<br />

Invero la provenienza degli officiali comunali forestieri non è un<br />

elemento di secondaria importanza nella vita dei comuni 48 , perché<br />

essa è il veicolo di diffusione della cultura giuridica e politica,<br />

specie quando questi officiali (fra cui dovremmo ricomprendere<br />

anche i vicari-giudici e i notai del podestà) vengono da zone dove<br />

maggiormente fioriscono gli studi di diritto.<br />

Inoltre, se in genere comuni di Campagna «non hanno, pare, i<br />

mezzi politici e finanziari per reclutare i loro podestà al di là di un<br />

raggio abbastanza limitato» 49 , vale la pena di notare che, almeno in<br />

parte, per Veroli si può ricondurre la presenza di podestà d’illustre<br />

48<br />

Le molteplici argomentazioni cui si presta la provenienza di questo personale<br />

a servizio dei comuni sono esaminate in I podestà dell’Italia comunale.<br />

Parte I. Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII<br />

sec.-metà XIV sec.), a cura di J. C. Maire Vigueur, Roma 2000.<br />

49<br />

Cfr. J. C. Maire Vigueur, Comuni e signorie, cit., p. 423.


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

275<br />

provenienza alle necessità connesse a momenti cruciali della<br />

vita comunale, quando cioè si deve provvedere a riorganizzare<br />

le istituzioni civiche e, con ogni probabilità, a rigenerare il corpo<br />

statutario. In particolare, mi riferisco a Riccardo de Sabinianis di<br />

Bologna, che da podestà esercita la giurisdizione criminale a Veroli<br />

nel dicembre 1376 50 , e di Federico Dellalata di Parma, che celebra<br />

un processo fra ottobre 1399 e febbraio 1400 51 .<br />

Infatti, il bolognese Riccardo de Sabinianis è il primo podestà<br />

che entri nell’ufficio dopo l’attenuazione del regime punitivo nei<br />

confronti di Veroli, come anche degli altri comuni che si erano ribellati<br />

al rettore della provincia nel 1366, ovvero si erano battuti contro la<br />

pretesa di estendere alla Campagna le Constitutiones sanctae matris<br />

Ecclesiae, dettate dal cardinale Albornoz per la Marca anconetana,<br />

e di soppiantare con ciò il tradizionale carattere regionale della<br />

legislazione dello Stato della Chiesa, comprese la costituzione<br />

bonifaciana “Romana mater” e le stesse libertà comunali 52 . Ma, nel<br />

50<br />

Capitolare di S. Andrea, perg. 338: 1376 dic. 11 e 12, Veroli, Riccardo<br />

de Sabinianis di Bologna, giurisperito e podestà di Veroli, previa citazione,<br />

«secundum formam statutorum communis dicte civitatis» e procedendo<br />

«per viam et modum inquisitionis ex officio», assolve Giovanni Blasii Simeonis<br />

dall’accusa di essere penetrato in casa di Bella Iohanne e di sua<br />

figlia Maria, e di avervi rubato una conca di rame, del valore di oltre un<br />

fiorino; redige la scrittura degli atti processuali «Iohannes Iacobi Maximi<br />

de Piperno, publ. imp. auct. notarius et nunc notarius et officialis communis<br />

dicte civitatis Verularum ad maleficia deputatus».<br />

51<br />

Ivi, perg. 339: 1399 ott. 7 - 1400 feb. 16 (Bonifacio IX, a. 11°), Veroli,<br />

Federico Dellalata di Parma, podestà di Veroli, condanna Giacomo Tutii<br />

notarii Belli alle spese legali, per aver accusato calunniosamente Letizia<br />

Benedicti e Giovanni Antoni dompne Perne di aver introdotto abusivamente<br />

due maiali a pascere nell’orto che lo stesso Giacomo pretendeva essere<br />

suo, ma che Maria de Caczantibus ha viceversa dimostrato appartenerle<br />

per successione di Pietro de Caczantibus, cosicché - «vigore statuti Verulani»<br />

- la medesima Maria era legittimata a dar il permesso all’introduzione<br />

delle bestie nell’orto; redige la scrittura degli atti processuali «Iacobus<br />

Angeli Bave de Frusinone, publ. inp. auct. notarius et nunc notarius et<br />

officialis curie communis civitatis Verularum».<br />

52<br />

Sulla ribellione cfr. G. Falco, I comuni, cit., pp. 641-644. Per la deri-


276<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

giro di un anno, la sollevazione si era esaurita e i comuni ribelli<br />

avevano chiesto e, nel 1368, ottenuto da Urbano V il perdono, che<br />

però era costato loro la perdita dell’elezione del podestà e di qualsiasi<br />

giurisdizione 53 . Poi, nel marzo 1376 la necessità di assicurarsi la<br />

fedeltà dei comuni di Campagna induce Gregorio XI a concedere<br />

un parziale ripristino del regime stabilito dalla “Romana mater”: in<br />

pratica, la nomina dei podestà rimane alla Chiesa ma nell’àmbito<br />

dei candidati proposti dai comuni; la giurisdizione criminale e i<br />

proventi della giustizia sono nuovamente riconosciuti ai comuni;<br />

viene ripristinata la libera elezione dei sindaci e la validità delle<br />

delibere consiliari, purché approvate dal rettore provinciale 54 . Per<br />

questo riassetto delle istituzioni comunali, Veroli deve aver avuto la<br />

necessità di disporre di un podestà di formazione giuridica più ampia<br />

di quanto non potesse offrirle la regione circostante.<br />

Il caso del podestà parmigiano Federico Dellalata è ancora più<br />

chiaro, perché giunge in un momento che è particolarissimo sotto<br />

il profilo politico-istituzionale e sul quale conviene spendere più di<br />

qualche parola.<br />

Nel 1378, con l’elezione di Clemente VII a Fondi, ha inizio lo<br />

Scisma d’Occidente. Fin dall’inizio, grande sostenitore dell’antipapa<br />

(ha il singolarissimo privilegio d’incoronarlo) e dell’obbedienza<br />

avignonese è Onorato Caetani (1336 circa-20 aprile 1400), conte<br />

di Fondi e ardimentoso uomo d’armi, già rettore di Campagna e<br />

Marittima durante il pontificato di Gregorio XI, privato di tale carica<br />

da Urbano VI 55 . Tra i primi atti dell’antipapa c’è la restituzione, ad<br />

vazione delle Egidiane dalla sola legislazione marchigiana e per la totale<br />

estraneità ad esse di qualsiasi influsso delle precedenti costituzioni di<br />

Campagna e soprattutto della Romana mater, cfr. P. Colliva, Il cardinale<br />

Albornoz, cit., pp. 170-172, 283-286, 298-318, 356.<br />

53<br />

Per le condizioni del perdono, cfr. G. Falco, I comuni, cit., p. 646ss,<br />

678s, ove illustra lo stato giuridico dei comuni al termine della rivolta, con<br />

la perdita dell’elezione del podestà e di qualsiasi giurisdizione.<br />

54<br />

Cfr. G. Mollat, Lettres secrètes et curiales du pape Gregoire XI, Roma<br />

1965, n. 3705; G. Falco, I comuni, cit., p. 654s.<br />

55<br />

Per notizie e bibliografia su Onorato Caetani cfr. Dizionario biografico


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

277<br />

Onorato, del governo di questa provincia, elevata però in contea<br />

e trasmissibile per successione. Negli anni immediatamente<br />

susseguenti, attraverso un’abilissima tattica politica e militare, il<br />

conte di Fondi riesce a conseguire l’effettivo dominio di gran parte<br />

del Lazio meridionale: tutta la zona costiera e, nell’entroterra,<br />

Anagni, Ceccano, Frosinone, Fumone e altri castelli. Fino agli inizi<br />

del 1383, dando però segni di grave insofferenza nei confronti del<br />

rettore provinciale inviato da Urbano VI, restano all’obbedienza<br />

romana le città di Alatri, Ferentino e Veroli. Poi, tra marzo e aprile<br />

1383 56 , dopo la morte del vescovo “romano” Giovanni de Prato,<br />

Veroli passa dalla parte di Onorato Caetani, cui rimane fedele sino<br />

al 1399, aderendo pertanto alla cosiddetta obbedienza avignonese<br />

(l’antipapa Clemente VII è andato a risiedere ad Avignone), sia pur<br />

con le ricorrenti doppiezze politiche coltivate dallo stesso conte di<br />

Campagna 57 . Non è qui possibile ripercorrere la travagliata storia<br />

politica della provincia in quegli anni, occorre solo dire che, tanto<br />

parteggiando per l’una come per l’altra obbedienza, i comuni vedono<br />

fortemente compresse le loro autonomie, in favore di comandanti<br />

militari di nomina papale o comitale 58 . Inoltre, sono anni di particolare<br />

crisi economica ed alimentare, l’una e l’altra determinate dalla<br />

guerra senza sosta e dalle continue spese militari – specie per truppe<br />

degli Italiani, Roma 1973, 16, sub voce a cura di E. R. Labande; M. T.<br />

Caciorgna, La contea di Fondi nel XIV secolo, in Gli ebrei a Fondi e nel<br />

suo territorio. Atti del convegno. Fondi 10 maggio 2012, a cura di G. Lacerenza,<br />

Napoli 2014, pp. 49-88. Per l’azione politica inerente i comuni<br />

di Campagna e Marittima, cfr. G. Falco, I comuni, cit., pp. 659-676; A.<br />

Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1969, ad indicem; M. T.<br />

Caciorgna, La contea, cit., pp. 63-72.<br />

56<br />

La datazione pontificale della documentazione notarile cambia da quella<br />

di Urbano VI a quella di Clemente VII tra il 5 marzo (Trisulti, perg. 7639)<br />

e il 19 aprile 1383 (Biblioteca Giovardiana, perg. P. XVIII).<br />

57<br />

Per la doppiezza di Onorato Caetani, che nel febbraio 1397 stipula un<br />

accordo segreto con Bonifacio IX per cambiare obbedienza, cfr. Dizionario<br />

biografico, cit., Roma 1970, 12, sub voce a cura di A. Esch, p. 175.<br />

58<br />

In argomento cfr. G. Falco, I comuni, cit., p. 675s; J. C. Maire Vigueur,<br />

Comuni e signorie, cit., p. 511.


278<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

mercenarie – che gravano sulla popolazione 59 , mentre si assiste al<br />

tristissimo fenomeno dei fuoriusciti, privati di ogni loro sostanza 60 .<br />

Tuttavia, l’adesione di Veroli all’obbedienza avignonese ha<br />

termine ai primi di marzo 1399, quando, probabilmente a séguito<br />

di «segrete intese con gli abitanti» 61 , il cardinale Ludovico Fieschi,<br />

vicario di Bonifacio IX per la Campagna e Marittima, è accolto in<br />

città, «in domibus nobilis viri Cole Cercie» 62 , e contemporaneamente<br />

Lippo Caracciolo è investito del feudo della torre di Massimo, posto<br />

nelle vicinanze 63 .<br />

In realtà la cittadinanza deve aver trattato preventivamente le<br />

condizioni del cambiamento di campo, raggiungendo col cardinale<br />

un accordo vantaggiosissimo, successivamente consacrato nelle<br />

59<br />

Ad esempio, già nel 1381 apr. 5, la nobile vedova Masa Nicolai Piscis<br />

giustifica la vendita di una casa, posta in Veroli ed appartente ai suoi figli<br />

minori, con i debiti accumulati, «ac etiam pro vita et nutrimento […] presente<br />

tempore carastie et brige generalis» (Biblioteca Giovardiana, perg.<br />

P. XV). Per le spese militari sostenute dal comune di Veroli imponendo<br />

collette straordinarie che impoveriscono ulteriormente la popolazione, cfr.<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XII b, perg. 12 (1383 mag. 26);<br />

ivi fasc. XV, perg. 3 (1383 giu. 21); ivi fasc. XXV, perg. 9 (1396 mar. 7);<br />

A. Campanari, perg. 17 (1393 gen. 5).<br />

60<br />

Per Veroli, cfr. ad esempio il testamento del «nobilis vir Iacobus, filius<br />

quondam Caczantis, de civitate Verulana», che - riparato a Bauco, presso<br />

il vescovo “romano”, in casa di un concittadino anch’egli fuoriuscito - nel<br />

1397 nov. 26 differisce l’esecuzione dei lasciti pii al momento «quando<br />

bona sua de Verulis suis heredibus fuerint restituta» (Capitolare di S. Andrea,<br />

perg. 539).<br />

61<br />

Cfr. G. Falco, I comuni, cit., p. 674.<br />

62<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XXXIX, perg. 5, rescritto in<br />

data 1399 mar. 7, Veroli, con cui il cardinale Ludovico Fieschi destituisce<br />

Filippo de Mastro dall’officio di governatore del locale ospedale di S. Maria<br />

Maddalena, a causa della sua adesione all’obbedienza avignonese e al<br />

conte di Fondi.<br />

63<br />

La concessione papale porta la data del 3 marzo, cfr. G. Silvestrelli, Città,<br />

castelli e terre della regione romana, Roma 1940, 1, p. 64; A. Cutolo,<br />

Re Ladislao d’Angiò Durazzo, Napoli 1969, p. 230s.


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

279<br />

lettere apostoliche “Romanus pontifex” del 1° agosto 1399 64 ,<br />

d’importanza fondamentale per la giurisdizione comunale: in base<br />

alla supplica ricevuta, Bonifacio IX assolve il comune e i cittadini<br />

di Veroli da tutte le pene spirituali e temporali nelle quali sono<br />

incorsi per i crimini commessi durante l’adesione all’obbedienza<br />

avignonese ed annulla tutti i processi conclusi o ancora aperti per<br />

gli stessi fatti, per i quali statuisce che nessun giudice potrà iniziare<br />

nuovi procedimenti, tranne un legato papale che risieda in Veroli;<br />

conferma i privilegi della città e le posizioni giuridiche acquisite dai<br />

singoli, tanto laici, quanto ecclesiastici; convalida gli atti pubblici<br />

stilati da notai scismatici; infine riconosce giurisdizione esclusiva<br />

al vescovo di Veroli sui chierici e al comune sui laici in ogni causa<br />

criminale e civile del foro secolare 65 .<br />

Poco dopo il riconoscimento di questa giurisdizione così piena<br />

ed esclusiva, di cui Veroli non aveva goduto neppure nella completa<br />

vigenza della “Romana mater” (che regolava con la preventio i rapporti<br />

fra le giurisdizioni concorrenti dei comuni e del rettore provinciale),<br />

con tutte le implicazioni connesse a questa nuova situazione,<br />

troviamo come podestà il già menzionato Federico Dellalata di<br />

Parma. Non credo che sia troppo azzardato pensare che, tra i suoi<br />

64<br />

A. Campanari, fondo cartaceo, unità 389, «Memorie antiche e buone»,<br />

fasc. Memoriae ex Archivio communitatis Verularum, trascrizione del sec.<br />

XVIII, lacunosa. Riferimenti generici in V. Caperna, <strong>Storia</strong> di Veroli, cit.,<br />

p. 360s; A. Esch, Bonifaz IX., cit., p. 297, da Archivio Segreto Vaticano,<br />

Regestum Vaticanum 316, cc. 221v-224v.<br />

65<br />

«[...] Volumus etiam et eadem auctoritate statuimus quod populus, commune<br />

civitatis Verularum in aliena curia criminali vel civili, super excessibus<br />

vel delictis patratis per eos vel aliquem eorundem, [...] trahi non possint<br />

nisi dumtaxat coram legato pro tempore existente Sedis eiusdem in eadem<br />

civitate Verulana [...]; et illis absentibus ab huiusmodi civitate Verulana,<br />

clerici coram episcopo Verulano pro tempore existente, ac laici cives et<br />

persone, habitatores et incole huiusmodi, in illis casibus qui forum seculare<br />

concernunt, etiam in quibuscumque causis civilibus et criminalibus antedictis,<br />

et super illis coram eidem communi pro tempore debeant conveniri,<br />

et per ipsum commune in eisdem causis civilibus et criminalibus quibuscumque,<br />

eundem forum concernentibus, debeat iustitia ministrari [...]» .


280<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

primi còmpiti, abbia dovuto prestare la sua consulenza nell’opera di<br />

rigenerazione degli statuti della città, che certamente allora si svolge,<br />

forse nell’àmbito di un’apposita magistratura collegiale, gli statutari<br />

di cui rimane regolamentazione proprio negli statuti pervenutici<br />

(libro I, rubr. 31). Si noti che l’attribuzione di questo corpo statutario<br />

alla fine del secolo XIV collima perfettamente con i calcoli fatti in<br />

base ai dati prosopografici dei personaggi menzionati nel testo.<br />

L’idea che il corpo statutario tramandatoci sia da attribuire ad una<br />

riforma del 1399-1400 soddisfa pure sotto altri profili. Anzitutto per<br />

la libera elezione del podestà stabilita dalla rubrica 2 del libro I, in<br />

cui l’elezione si presenta per così dire “secca”, non essendo prevista<br />

la scelta di una rosa di nomi da proporre all’amministrazione papale<br />

per la conferma come avveniva tra il 1376 e l’adesione allo scisma.<br />

Si tenga anche conto che il 12 giugno 1400 intervengono le litterae<br />

gratiosae “Humilibus et honestis”, con cui Bonifacio IX concede<br />

ai comuni di Campagna e Marittima l’incondizionato ripristino<br />

della costituzione provinciale “Romana mater” di Bonifacio VIII 66 ,<br />

compresa dunque la libera elezione dei podestà.<br />

Un altro motivo per ritenere il testo statutario della fine del secolo<br />

XIV sta nelle disposizioni in materia criminale, perché da una parte<br />

vi sono compresi i crimini maggiori, circostanza incompatibile col<br />

regime punitivo successivo alla ribellione del 1366, dall’altra perché<br />

la rubrica De modo procedendi super maleficiis (libro III, rubr. 1)<br />

confligge coll’omonima egidiana (libro IV, rubr. 1) riguardo alla<br />

procedura per inquisizione, che gli statuti verolani ammettono per tutti<br />

i reati, ad esclusione dell’ingiuria (libro III, rubr. 3), mentre le Egidiane<br />

ne restringono l’uso ai crimini più gravi (libro IV, rubr. 2).<br />

D’altra parte, nell’articolazione delle fattispecie e nella<br />

terminologia, la normativa criminale verolana è senz’altro posteriore<br />

alle Egidiane, perché spesso ne segue la lettera, come è dato constatare<br />

in particolare per alcune rubriche, che si propongono ad esempio.<br />

66<br />

Ed. in C. Cocquelines, Bullarum, privilegiorum ac diplomatum Romanorum<br />

pontificum amplissima collectio, cit., 3/2, p. 395ss. Riferimenti in<br />

V. Caperna, <strong>Storia</strong> di Veroli, cit., p. 361; G. Falco, I comuni, cit., p. 676;<br />

A. Esch, Bonifaz IX., cit., p. 487.


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

281<br />

Stat. III 17 Aeg. IV 41<br />

De raptu mulierum, adul terio,<br />

incestu et stupro<br />

De raptu mulierum, adul terio,<br />

strupo et fornicatione<br />

Si quis mulierem nuptam,<br />

virginem vel viduam aut monialem<br />

violenter rapuerit seu per vim<br />

carnaliter cognoverit, aut stuprum<br />

Mulierem nuptam vel virginem<br />

aut viduam bone fame si<br />

quis violenter rapuerit seu per vim<br />

carnaliter cognoverit, aut stuprum<br />

cum puero si quis com miserit, cum puero quis commiserit<br />

aut in peccatum sub domiticum<br />

inciderit, existens maior decimo<br />

octavo anno, legalibus poenis se<br />

noverit subiacere [...].<br />

sive in peccatum sodomitichum<br />

inciderit, exi stens maior decem<br />

et octo an nis, legalibus penis se<br />

nove rit subia cere [...].<br />

Stat. III 30 Aeg. IV 30<br />

De percussionibus cum ar mis<br />

vel sine<br />

De pena percutientium cum<br />

armis<br />

Siquis vel siqua percusserit vel Si quis autem aliquem<br />

vulneraverit ali quem vel aliquam<br />

cum quibu scumque armis ferreis<br />

vel fer ratis, bastone vel lapide, intus<br />

vel extra civitatem Veru lanam,<br />

in capite cum fractura cranei<br />

et carnis, et in collo. et a collo<br />

supra cum sanguinis efusione, in<br />

quinquaginta li bris vicequalibet<br />

puniatur; si autem vulneraverit in<br />

facie vel gula ex quo vulnere cicatrix<br />

sit perpetuo remansura, pena<br />

percuserit et vulneraverit cum<br />

armis ferreis vel ferratis, bastone<br />

vel lapide in capite, cum fractura<br />

cranei et sangui nis effusione,<br />

puniatur in .C. florenis auri; si<br />

vero cum sanguine et non cum<br />

fractura cranei, in quinquaginta<br />

flore nis auri. Si vero cum armis<br />

aliquis vulneraverit in facie vel<br />

gula cum effusione sangui nis, ex<br />

quo vulnere sit cyca trix enormis<br />

duplicetur. Si vero sine sanguine, perpetuo reman sura, in .IIc.<br />

in capite, in collo et a collo supra, florenis auri puniatur; [...].<br />

cum dictis armis vulneraverit,<br />

in viginti quinque vicequalibet<br />

puniatur.


282<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

Stat. III 75 Aeg. IV 33<br />

De ponentibus ad domum<br />

alicuius rem iniuriosam<br />

De ponentibus ad domum<br />

alicuius habitationis cornus<br />

vel aliam rem iniuriosam et<br />

diffamatoriam<br />

Si quis de nocte posuerit ad<br />

domum vel hostium domus,<br />

sive ante domum alicuius,<br />

cornu vel cornua bestiarum,<br />

fetens vel fetida vel aliquid<br />

valde turpe, aut scripturam sive<br />

cedulam continentem ali quod<br />

diffamatorium vel obro briosum<br />

domino vel habitatori domus, in<br />

viginti libris vice qualibet puniatur<br />

et tantundem iniurato, pro<br />

satisfactione iniuriae; de quibus<br />

quilibet possit accusare et habeat<br />

ter tiam partem poenae. Si vero de<br />

die praedicta commissa fue rint, in<br />

medietate penae dic tae puniatur.<br />

Si quis de nocte studiose<br />

posuerit ad domum vel ostium<br />

alicuius sive ante domum ali cuius<br />

cornum sive cornua bestiarum,<br />

feces fetidas vel aliquod valde<br />

turpe aut scrip turam sive<br />

cedulam continentem aliquod<br />

diffamatorium vel obbrobriosum<br />

domino vel habi tatori domus, in<br />

viginti florenis auri puniatur; et,<br />

si de die, in decem florenis auri<br />

puniatur.


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

283<br />

Stat. III 76 Aeg. IV 37<br />

De privato carcere<br />

De privato carcere<br />

Carcere privato detinens<br />

aliquem ultra tres dies, le gali<br />

poena puniatur; minus vero<br />

detinens siquidem per unam diem<br />

vel infra, in libris quinquaginta; si<br />

vero ultra unam diem , in duplo<br />

puniatur, quam poenam si non<br />

solverit infra octo dies, a die<br />

condemnationis computandos,<br />

publice fustigetur per civita tem<br />

a porta Sancti Lucii ad portam<br />

Sancte Crucis. Et si per metum<br />

carceris aliquid a carcerato<br />

exigerit ultra poe nam carceris,<br />

pro illo punia tur ac si violenter<br />

disrobas set eundem, similiter<br />

punia tur; et si metu carceris ad<br />

aliquod falsum instrumentum<br />

vel falsam scripturam vel aliud<br />

illicitum detemptum in duxerit,<br />

tamquam principalis sceleris<br />

auctor teneatur; et si eidem<br />

carcerato aliquam iniuriam<br />

intulerit, pro illa in duplum quam<br />

intulisset al teri puniatur.<br />

Carcere privato detinens<br />

aliquem ultra tres dies, le gali pena<br />

puniatur; minus vero detinens, si<br />

quidem tenuerit per unum diem<br />

vel infra, in .CXXV. florenis auri;<br />

si vero ultra unum diem in duplo:<br />

quam penam si non solverit, in<br />

quo cumque dictorum casuum,<br />

infra terminum in sententia<br />

statuen dum, legali pena puniatur.<br />

Et si propter metum talis carceris<br />

aliquod a carcerato exigit ultra<br />

penam carceris, pro illo puniatur<br />

ac si violenter dero baret. Et si per<br />

eundem carce ratum ad aliquid<br />

quietandum seu remittendum<br />

coerceretur terrore dicti carceris,<br />

ac si tantundem eidem derobasset<br />

si militer puniatur; et si metu<br />

carceris ad aliquod falsum<br />

instrumentum vel testimonium vel<br />

falsam scripturam vel aliud illicite<br />

detentum in duxerit, tamquam<br />

principalis auctor sceleris teneatur<br />

et pro illa in duplum quam si intulisset<br />

alteri puniatur.


284<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

Stat. III 80 Aeg. IV 4<br />

De abolitione<br />

De abolitione concedenda<br />

Quia multi quandoque et saepe Quia multi et quandoque<br />

per iracundiam et quan doque per et sepe per iracundiam, et<br />

errorem ad accusan dum prosiliunt, quandoque per errorem ad accusandum<br />

statuimus quod accusanti in<br />

prosiliunt, statuimus<br />

criminalibus tan tum et petenti [...] accusanti et abolicionem<br />

accusam abo leri, abolitio ipsa petenti et licenciam desistendi<br />

omnino concedatur, solutis tamen<br />

ab accusato communi Verulano<br />

sol lis quinque, et, ipsa aboli tione<br />

petita, super dicta ac cusatione<br />

amplius procedi non possit ac<br />

si instituta non fuisset, exceptis<br />

ab accusatione per eum<br />

facta, abolicio ipsa per iudi ces<br />

conceditur et, ipsa abo litione<br />

petita super ipsam ac cusationem,<br />

ulterius procedi non possit [...],<br />

dummodo pe tens solveret Camere<br />

tamen in criminibus heresi, Romane Ecclesie .V. solidos [...],<br />

sodomia, latrocinio, incestu, exceptis heresi, sodomia, incestu,<br />

homici dio, raptu virginum,<br />

homicidio, raptu virgi num<br />

monia lium, falsitate, incendio doloso,<br />

et monialium, falsitate, in cendio<br />

sacrilegio furto et de lictis doloso, latrocinio, sacrilegiis,<br />

commissis in personam officialium<br />

et curialium, et in criminibus<br />

et vulneribus atrocibus, in quibus<br />

abolitio nullatenus concedatur.<br />

furto et delictis commissis in<br />

personis officia lium provincie et<br />

vulneribus atrocibus, in quibus<br />

aboli cio nullatenus admittatur.


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

285<br />

Stat. III 81 Aeg. IV 40<br />

De veneficiis<br />

De veneficiis<br />

Veneno aliquem necans (quod Veneno aliquem necans,<br />

est plus quam gladio pe rimere)<br />

eadem poenae puniatur, quae ex<br />

forma statuti de homicidio est<br />

imposita; et si venenum malum<br />

quis vendiderit vel aliquo modo<br />

concesserit dolose, ex quo aliquis<br />

sit mortuus, simili poena puniatur;<br />

et si ignoranter vendide rit vel<br />

concesserit et inde aliquis necatus<br />

fuerit, poena homicidii non dolosi<br />

quod est plus quam gladio perimere,<br />

pena eadem puniatur,<br />

que in constitutione loquente<br />

de homicidio continetur. Et si<br />

venenum malum vendiderit quis,<br />

vel alio modo concesserit do lose,<br />

ex quo aliquis sit neca tus, pena<br />

simili puniatur; et si ignoranter<br />

vendiderit vel concesserit et inde<br />

aliquis necatus fuerit, puniatur<br />

tantum culpabiliter commissi pena homicidii non dolose, tamen<br />

punia tur; et si quis venenum prebuerit<br />

causa necandi, licet mors<br />

secuta non fuerit, legali poena<br />

puniatur.<br />

culpabiliter commissi; et si quis<br />

venenum prebuerit causa necandi,<br />

licet mors subsecuta non fuerit,<br />

legali pena punia tur.


286<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

Stat. III 1 Aeg. IV 1<br />

De modo procedendi super<br />

maleficiis<br />

De modo procedendi super<br />

malleficiis<br />

Statuimus et ordinamus quod<br />

in omnibus et singulis maleficiis,<br />

excessibus, crimi nibus et delictis<br />

De modo procedendi super<br />

malleficiis et excessibus vel quasi,<br />

possit procedi cum accusatione<br />

vel quasi, possit per potestatem vel et denumtiatione publica cuius<br />

iu dicem Verularum procedi ex officio<br />

suo per modum inquisi tionis ex offi cio, [...] quoque istorum<br />

intersit et per modum inquisitionis<br />

nec non accusationis et publice mo dorum insimul et separatim<br />

denuntiationis, cuius intersit simul et<br />

et, incepta una via, possit rediri<br />

separatim, et incepta una via possit redire<br />

ad aliam ne maleficia re maneant<br />

ad aliam, ne malleficia re maneant<br />

impunita, servato iu ris ordine et<br />

impunita, iuris ordine et sollemnitate<br />

solempnitate vel non, iure aliquo<br />

servatis vel non servatis, iure aliquo<br />

non obstante; tamen, cuilibet<br />

non obstante, cuilibet tamen facti<br />

defensione conservata. Pote stas ipse<br />

facta legitima defensione servata,<br />

seu iudex ad indaga tionem veritatis<br />

iudex ad omnem indagationem<br />

teneatur procedere pro ut ei videbitur veritatis teneri volumus, [...] ad<br />

expedire summarie de plano, ac veri tatem investigandam procedre<br />

sine strepitu et figura iudi cii; et possit, sicut ei videbitur ex pedire,<br />

formata inquisitione, accusatione summarie et de plano, sine strepitu<br />

vel denuntiatione, citetur reus, et figura iudi cii. [...] Et formata<br />

inquisitus, que relatus vel denunciatus<br />

uno die pro alio, ad respondendum<br />

inquisi cione, citetur reus, inquisitus<br />

secundum formam constitutionis<br />

super dicta inquisitione seu<br />

de citatione loquentis et, si<br />

accusatione vel denunciatione et,<br />

si non comparuerit, pro contumace<br />

non comparuerit, pona tur in banno<br />

cum certo termino arbitrio iudicis<br />

reputetur et secundo et demum tertio assignando et demum, elapso<br />

citetur ad re spondendum ut supra; termino banni, condempnetur.<br />

qui si in huiusmodi secunda vel<br />

tertia citatione non comparuerit ad<br />

respondendum ut supra et man data<br />

iudicis et potestatis fa ciendum, de<br />

his de quibus pro ceditur habeatur<br />

pro confesso, convicto et testibus<br />

superato et condemnetur secundum<br />

formam statutorum civitatis<br />

Verulanae loquentium super illo<br />

male ficio vel excessu et ex bandiatur<br />

de dicta civitate et eius territorio [...].


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

287<br />

Si noti che un’analoga relazione intercorre fra la rubrica statutaria De<br />

modo procedendi super maleficiis e l’omonima disposizione egidiana, pur<br />

deviando come si è detto nella disciplina del procedimento. Tuttavia, in<br />

questo caso, l’ampia corrispondenza della lettera assume maggior rilievo,<br />

non tanto per il ruolo cardine di questa norma, quanto piuttosto perché<br />

si è in grado di escludere un analogo rapporto formale con la precedente<br />

costituzione provinciale in materia, anteriore al 1342 e pubblicata dal<br />

Falco 67 .<br />

La diplomatica comunale degl’inizi del secolo XV<br />

L’esame dei documenti superstiti dei primi due decenni del<br />

‘400 mostra una rapida evoluzione e svela quanto rimaneva ancora<br />

misterioso riguardo alla carica di podestà e fornisce una chiave di<br />

lettura delle vicende trecentesche del comune.<br />

Il 31 agosto 1409, presso le scale del palazzo comunale, il<br />

parlamento cittadino, «de mandatu et consensu nobilis viri Nicolai<br />

Cerciae, civis et capitanei Verulani», costituisce procuratore il<br />

sapiens vir Pietro Nicolai Cerciae di Veroli, conferendogli mandato<br />

di recarsi a Ferentino per stipulare un accordo di pace con gli<br />

altri centri della Campagna 68 . Dunque a convocare e presiedere il<br />

parlamento cittadino non è il podestà - che invero neppure sappiamo<br />

se esista - ma il nobile cittadino Nicola Cercia, in qualità di capitaneus<br />

Verulanus. Una magistratura eccezionale? Forse, ma i rapidi sviluppi<br />

successivi sono stupefacenti.<br />

Infatti, nel giro di pochi anni la situazione si fa esplicita: il 28<br />

agosto 1412, un documento viene esemplato giudizialmente «coram<br />

nobili viro Nicolao Cercia de Verulis, honorabili potestate civitatis<br />

predicte, pro tribunali sedente ad solitum bancum iuris palatii dicti<br />

communis» 69 .<br />

67<br />

G. Falco, Costituzioni preegidiane per la Tuscia e per la Campagna e<br />

Marittima, in Studi sulla storia del Lazio, cit., pp 691-704: 699s.<br />

68<br />

V. Giovardi, Historia Verularum, ms cit., c. 260ss, trascrizione parziale<br />

e riferimenti al contenuto del doc.; nella data reca l’indicazione del pontificato<br />

di Alessandro V.<br />

69<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XIX, perg. 16; nella data reca<br />

l’indicazione del pontificato di Giovanni XXIII.


288<br />

Paolo Scaccia Scarafoni<br />

Infine, l’ultimo colpo di scena. Nel novembre 1414, Nicola Cercia<br />

è nuovamente podestà di Veroli e in tale veste presenta personalmente<br />

al vicelegato di Giovanni XXIII, l’antipapa dell’obbedienza<br />

“concilare”, le condizioni alle quali la città è disposta ad aderire al<br />

pontefice e ne ottiene il più ampio riconoscimento dei diritti il 10<br />

del mese 70 . L’atto viene stilato proprio «in domibus nobilis viri Cole<br />

Cercia», dove il rappresentante pontificio riceve ospitalità. Come il<br />

lettore di buona memoria ricorderà, già nel marzo 1399 il cardinale<br />

Fieschi, vicario di Bonifacio IX, aveva preso alloggio in questa<br />

stessa abitazione.<br />

Ecco dunque svelato il mistero della mancata prescrizione del<br />

podestà forestiero. Personalmente sono incline a ritenere che tale<br />

norma ci fosse e che sia stata tolta per aprire la strada al podestariato<br />

di Nicola Cercia.<br />

Nicola Cercia signore di Veroli? Si, certamente. Ma occorre dire<br />

che se l’assunzione di questa magistratura è sintomo di signoria, non<br />

ne è l’essenza. Questa consiste piuttosto nello smisurato prestigio,<br />

nelle grandi disponibilità patrimoniali e finanziarie, nelle estese<br />

relazioni con ambienti politici, nelle capacità di condurre gli affari<br />

pubblici.<br />

Ma chi era Nicola Cercia?<br />

La sua famiglia - detta pure Boccacercia e Delacercia - appartiene<br />

all’aristocrazia cittadina dei milites almeno dalla seconda metà del<br />

secolo XIII 71 . Nel 1277, l’antenato Giacomo Buccacerza compera<br />

estese terre dal comune al prezzo di duecentoventidue libbre di denari<br />

del Senato 72 . Nel secolo successivo è in continua ascesa: Leonardo,<br />

Nicola e Pietro Buccacerza sono tra i protagonisti di un assalto al<br />

70<br />

A. Campanari, fondo cartaceo, unità 389, «Memorie antiche e buone»,<br />

trascrizione del sec. XVIII: 1414 nov. 10, Veroli, Cola Cercia, podestà di<br />

Veroli, e gli altri officiali del comune ottengono il riconoscimento di tutti<br />

i diritti della città e dei suoi cittadini, da parte di Giovanni de Caprinis,<br />

luogotenente di Giacomo Isolani, cardinale di S. Eustachio e legato di Giovanni<br />

XXIII<br />

71<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XVII b, perg. 8; SA, perg. 135.<br />

72<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XVIIb, perg. 8.


Il <strong>Comune</strong> di Veroli nel tardo Medioevo<br />

289<br />

palazzo vescovile nel 1329 73 ; Giovanni, canonico della cattedrale,<br />

è reggente in spiritualibus della curia di Campagna e Marittima,<br />

nel 1337 74 ; Nicola senior, avo diretto del nostro podestà, ricopre la<br />

carica di rettore di Guarcino nel 1352 75 , figurando in séguito come<br />

procuratore del comune di Veroli 76 . Suo figlio Leonardo, padre di<br />

Nicola iunior, esercita il notariato in Veroli 77 . Inoltre la famiglia è<br />

pure diramata in Piperno e da lì proviene un altro Nicola, notaio<br />

a servizio della curia rettorale nel 1373 e poi canonico ferentinate,<br />

castellano di Fumone e tesoriere provinciale di osservanza romana<br />

fra il 1391 e il 1402 78 .<br />

Anche Nicola iunior di Veroli è manifestamente legato<br />

all’àmbiente pipernese: molti anni prima di assumere palesemente<br />

la guida della città natale, allorquando nell’aprile 1383 questa passa<br />

all’obbedienza avignonese, egli riceve la tonsura in una solenne<br />

celebrazione in cattedrale, presente l’intero capitolo e l’aristocrazia<br />

verolana, e ad impartirgliela interviene appositamente il clementista<br />

Giovanni Petri de Piperno, vescovo titolare di Avellona (Vlorë in<br />

Albania) e residenziale di Trevico nel Beneventano 79 . Poi, da adulto,<br />

il nostro Nicola si fa scaltro uomo politico: favorisce la surricordata<br />

svolta di Veroli a favore di Bonifacio IX nel 1399 e probabilmente<br />

73<br />

A. Campanari, fondo cartaceo, unità 389, «Memorie antiche e buone»,<br />

trascrizione del sec. XVIII.<br />

74<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, perg. 3. Cfr. anche G. Battelli, Rationes<br />

decimarum Italiae. I. Latium, Città del Vaticano 1946 (Studi e testi,<br />

128), nn 1671, 1804, 1956.<br />

75<br />

A. Campanari, fondo cartaceo, unità 389, «Memorie antiche e buone»,<br />

trascrizione del sec. XVIII.<br />

76<br />

VASC, perg. lacera senza n.; A. Campanari, fondo cartaceo, unità 389,<br />

«Memorie antiche e buone», trascrizione del sec. XVIII.<br />

77<br />

Capitolare di S. Andrea, perg. 573.<br />

78<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XXV, perg. 7; V. Giovardi,<br />

Historia Verularum, ms cit., c. 88s; A. Esch, Bonifaz IX., cit., p. 583.<br />

79<br />

Capitolare di S. Andrea, perg. 152, del 1383 apr. 30 (Clemente VII, anno<br />

5°). Per Giovanni Petri de Piperno cfr. Hierarchia catholica, 1, cit., pp<br />

122, 227, 525.


290<br />

usa l’influenza dell’omonimo cugino pipernese per ottenere le<br />

ottime condizioni dell’assoluzione papale; il 12 ottobre 1411 «tante<br />

opulentiae fuit ut [...] nonnulla feuda emit ex rogito Verulis signato»<br />

e, nello stesso anno, suo cognato, il fumonese Pietro Angelo de<br />

Campania, ha da Giovanni XXIII importanti incarichi nel governo<br />

della provincia 80 .<br />

Se poi riflettiamo sul fatto che la famiglia è insediata anche a<br />

Piperno e sulla circostanza che da lì viene poco meno della metà<br />

dei podestà di Veroli del secolo XIV che si siano rinvenuti, sembra<br />

logico vedere nei podestà pipernesi un effetto della potenza dei<br />

Cercia, che, senza esporsi in prima persona, riescono guidare le<br />

scelte fondamentali della città per mezzo di propri fiduciari.<br />

Ma quando è iniziato questo predominio politico dei Cercia in<br />

Veroli?<br />

Nel 1280, un mandato di papa Nicola III dispone un’inchiesta a<br />

carico del vescovo di Veroli, Gregorio, in quanto accusato dal suo<br />

capitolo cattedrale di simonia, nepotismo, distrazione di rendite e<br />

beni ecclesiastici e corresponsabilità in un omicidio, giacché, in<br />

pubblico e sotto gli occhi del vescovo, un suo borioso nipote aveva<br />

ucciso un cittadino e poi lo zio vescovo non aveva esitato a dare in<br />

pegno preziosi paramenti della cattedrale pur di ottenere l’impunità<br />

del nipote; tra l’altro, questo nipote si era costruito una minacciosa<br />

torre entro Veroli 81 . Sembra un chiaro segnale di aspirazione<br />

all’egemonia politica.<br />

Il nipote del vescovo era un Cercia? Molto probabilmente sì.<br />

Perché una atto del 31 marzo 1262, registrato nel più antico repertorio<br />

notarile di Veroli (opera del notaio Andrea Maniarante), riguarda<br />

l’acquisto di una casa in Piperno da parte di Roberto detto “Zerza”,<br />

marito di Giacoma, che è indicata come sorella del vescovo di Veroli<br />

Gregorio 82 .<br />

Questo è l’attuale stato delle ricerche.<br />

80<br />

Cfr. V. Giovardi, Historia Verularum, ms cit., c. 89.<br />

81<br />

Cfr. Les registres de Nicolas III, a cura di J. Gay, Paris 1898, p. 273s.<br />

82<br />

BAV, Fondo di S. Erasmo di Veroli, fasc. XV-XIX, fasc. XVIII c, perg. 2.


Marco Di Cosmo<br />

Alla ricerca dello Statuto di S. Stefano<br />

Introduzione<br />

Sebbene gli archivi locali nel passato abbiano manifestato<br />

l’assenza di uno Statuto antico per il comune di Santo Stefano (oggi<br />

Villa), è stato possibile rintracciare testimonianze inequivocabili<br />

dell’esistenza di un antico codice statutario, e alcune menzioni,<br />

seppur sporadiche, in cui tale normativa veniva chiamata in causa<br />

all’interno delle controversie quotidiane.<br />

Anche la storiografia locale conferma l’esistenza di uno Statuto,<br />

menzionato ancora nel 1841, in una lettera del Priore di Santo Stefano,<br />

che ne attesta la concessione dell’Eccellentissimo Principe Marco<br />

Antonio Colonna 1 . Altre testimonianze bibliografiche riguardano<br />

i casi del danno dato e soprattutto i Capitoli dello Statuto antico<br />

relativi all’ordinamento istituzionale del paese 2 .<br />

La mia ricerca segue questa linea, approfondendo il tema del<br />

danno dato e dell’utilizzo dello Statuto come codice di risoluzione<br />

delle controversie legate ai danni provocati dagli animali e alle<br />

relative sanzioni. Il materiale più interessante in questo senso è stato<br />

rinvenuto presso l’Archivio di Stato di Frosinone, che conserva le<br />

tracce più vivide dell’esistenza di un antico Statuto e ne fornisce le<br />

tracce più interessanti.<br />

1<br />

«Esiste in questa segreteria comunale in originale lo statuto locale firmato<br />

dall’Eccellentissimo principe Marc’Antonio Colonna... col quale al tempo<br />

della cessata baronia si giudicava tanto relativamente alla commissione (di<br />

atti) criminali e civili quanto nella causa di danno dato... lo scritto è poco<br />

intellegibile stante l’antichità, vi manca la maggior parte della carta. Una<br />

copia peraltro intellegibile ed intera esiste presso questo uditore locale (di<br />

casa Colonna, a Ceccano) servendogli (nel passato) di norma nel giudicare<br />

le cause di danno dato» in A. Iorio, Villa S. Stefano: storia di un paese del<br />

basso Lazio attraverso i secoli, Casamari 1983, p. 69.<br />

2<br />

V. Tranelli, Notizie su frammenti dell’antico Statuto della terra di Santo<br />

Stefano in La voce di Villa (2010), pp. 10-11.


292<br />

Marco di Cosmo<br />

Alla luce di queste ricerche, infatti, possiamo affermare che Villa<br />

Santo Stefano disponeva di uno Statuto atto a regolare le controversie<br />

locali. Di tale Statuto si è trovata copia parziale non originale e<br />

sporadici riferimenti che coinvolgono la Delegazione Apostolica di<br />

Frosinone, il Governatorato di Ceccano, e lo stesso <strong>Comune</strong> di Santo<br />

Stefano.<br />

Il danno dato e lo Statuto di Santo Stefano<br />

I riferimenti allo Statuto esaminati in questa sede sono piuttosto<br />

tardi: ne abbiamo menzione intorno alla metà del diciannovesimo<br />

secolo, e sono quasi sempre relativi ai casi del danno dato, ossia i<br />

reati relativi ai danneggiamenti delle terre provocati da persone, o<br />

più spesso animali.<br />

Per questo ho scelto di seguire una linea comune che, partendo<br />

dalle sporadiche ricorrenze che interessano proprio questo<br />

argomento, segue le controversie all’interno della comunità locale<br />

che chiamavano in causa lo Statuto come fonte del diritto cittadino e<br />

mezzo di risoluzione di questo tipo di controversie.<br />

Riguardo il danno dato, una prima lettera del Governatore di<br />

Ceccano alla Delegazione Apostolica di Frosinone, del 17 agosto<br />

1839, rammentava il divieto di passaggio dei maiali nei terreni<br />

coltivati. Oggetto della missiva è proprio un «Capitolo dello statuto<br />

di Santo Stefano di divieto de maiali da terreni coltivati». Continua<br />

nella lettera, il Governatore aggiungendo che «definitivamente al<br />

citato dispaccio richiesi al Priore di S. Stefano gli articoli, o Capitoli<br />

statuari, con i quali fu stabilito l’allontanamento di maiali e neri da<br />

razza dai terreni coltivati in tutto il territorio» 3 .<br />

Tale carteggio, oltre a costituire un riferimento chiaro per<br />

l’esistenza e l’utilizzo di uno Statuto cittadino, ci permette anche<br />

di ipotizzarne una datazione, quando il priore di Santo Stefano,<br />

scrivendo alla Delegazione Apostolica di Frosinone, dice di allegare<br />

«Copia estratta dallo statuto locale di detta comunità formato<br />

3<br />

Archivio di Stato di Frosinone, Delegazione Apostolica (in seguito solo<br />

DA), b. 1137. Lettera del Governatore di Ceccano alla Delegazione Apostolica<br />

di Frosinone, del 17 agosto 1839.


Alla ricerca dello Statuto di S. Stefano<br />

293<br />

dall’ecc.mo principe Marc’ Antonio Colonna in S. Stefano, lì 6<br />

maggio 1640». La copia è purtroppo mancante, e aggiunge in ogni<br />

caso il Priore, a margine, che le «parole delineate poco si possono<br />

capire nell’originale stante l’antichità» 4 . Quindi a S. Stefano, a metà<br />

ottocento, esisteva una copia del codice statutario.<br />

I pascoli nei luoghi vietati dallo Statuto<br />

L’importanza dello Statuto nelle cause relative al danno dato<br />

emerge negli anni successivi in una controversia tra il Priore di Santo<br />

Stefano e gli abutenti (abusatori) dei pascoli, i pastori e i contadini<br />

locali.<br />

Il 23 gennaio 1844 il Priore di Santo Stefano pone ancora «insolute<br />

questioni sulle leggi statutarie». Scrivendo alla Delegazione<br />

Apostolica il Governatore di Ceccano «rimette una rimostranza del<br />

priore comunale di santo Stefano sul divieto di pascolo in certi luoghi<br />

a forma dello Statuto 5 ». Il Priore comunale, infatti, aveva richiesto<br />

l’intervento della Delegazione per limitare l’ingresso dei pastori nei<br />

luoghi vietati dallo statuto locale. Tale intervento, si legge, era atto<br />

a reprimere i danni provocati dall’ingresso del bestiame nei terreni<br />

coltivati 6 .<br />

È un caso esemplare di danno dato e di utilizzo del codice<br />

statutario nella risoluzione di un contenzioso, che si rifà a quanto<br />

stabilito dal diritto contenuto nell’antico statuto.<br />

Il Governatore di Ceccano, però, chiede alla Delegazione Apostolica<br />

se la richiesta del priore di interdire l’ingresso degli animali da tutti i<br />

terreni coltivati fosse effettivamente una legittima applicazione dello<br />

statuto, dato che lo stesso stabilisce, in un altro articolo, che in materia<br />

4<br />

Ivi.<br />

5<br />

Ivi.<br />

6<br />

Ivi. Lettera del Governatore di Ceccano alla Delegazione Apostolica del 3<br />

febbraio 1844 in cui si fa presente che «il priore comunale di Santo Stefano<br />

mi ha fatto tenere una rimostranza contro gli abutenti dei pascoli nei luoghi<br />

vietati dallo statuto locale, specialmente diretta a reprimere i danni prodotti<br />

dal bestiame caprino, e suino».


294<br />

Marco di Cosmo<br />

agraria «ognuno possa far danno alle cose proprie» 7 .<br />

Per questo conclude che, proprio in virtù di tali disposizioni, la<br />

controversia diviene una diatriba «tutta contenziosa e giudiziaria», e<br />

che lo statuto stesso prevede la facoltà di «far danno», e di introdurre<br />

il bestiame nei terreni riconosciuti come proprietà, senza incappare<br />

in alcuna penale 8 .<br />

Nel contenzioso si richiamano esplicitamente alcuni articoli dello<br />

Statuto (che riproduciamo qui di seguito), e si allega all’interno del<br />

fascicolo, oltre all’esposto del Priore, parte della copia riguardante la<br />

risoluzione di tale controversia e le pene da comminare per il danno<br />

dato a seconda dei casi.<br />

Il frammento frusinate dello Statuto di Santo Stefano<br />

«Capitolo V dello Statuto: che ognuno possa dar licenza nei<br />

suoi beni 9 .<br />

Statuito ed ordinato è, che ogni persona possa dar licenza<br />

della cosa sua nelli danni dati, purché detta licenza appaia<br />

esser stata data per prima allo danno dato».<br />

«CAP XV: Della difesa della cortina: Statuito ed ordinato<br />

è, che di nessun tempo la bestia armenticcia grossa, e minuta<br />

7<br />

Ivi. Il Governatore scrive alla Delegazione Apostolica «in quanto si è<br />

fatto a richiedere il Priore del comune di Santo Stefano col foglio a lui<br />

diretto sotto il 10 scaduto gennaio contro gli abutenti di pascoli nei luoghi<br />

vietati dallo statuto locale, le significo che il dubitare se all’appoggio di<br />

quelle leggi statutarie possa o no pretendersi la rimozione generale di tutte<br />

le porcarecce e caprarecce nella difesa della Cortina, diviene una tesi tutta<br />

contenziosa e giudiziaria, subito che lo statuto stesso in un altro articolo<br />

desume che in materia agraria ognuno può dar licenza di far danno alle<br />

cose proprie. Ciò posto sembra non potersi dar luogo ad alcuna misura generale,<br />

e chiunque si sentisse gravato dalla innovazione per danno ai fondi<br />

adiacenti, ne potrà promuovere l’istanza nelle debite regole, ed allora resta<br />

al giudice di ammetterla, o rigettarla analogamente al prescritto della legge<br />

invocata».<br />

8<br />

Ivi. Ibidem.<br />

9<br />

Ivi.


Alla ricerca dello Statuto di S. Stefano<br />

295<br />

possano entrare dentro la difesa della Cortina, a pascolare in<br />

essa le bestie armenticce da dieci in giù soldo uno per bestia, e<br />

da dieci in su soldi quaranta, e la bestia armenticcia grossa da<br />

dieci in giù soldi venti, da dieci in su soldi quaranta».<br />

«CAP XVII: Della difesa della Olivata: Statuito ed ordinato<br />

è, che le bestie armenticce grosse, e minute, che saranno<br />

trovati a pascolare dentro la difesa dell’olivata da dieci in<br />

giù soldi venti, da dieci in su soldi quaranta, ed in ogni altro<br />

luogo piantonato fuori di detta difesa, purchè siano piantonati<br />

ristretti, e coltivati, siano tenute alla predetta pena, et amenda lo<br />

danno alla prona, e la bestia domata di ogni sorta, che saranno<br />

trovate dentro di detti luoghi piantonati d’ogni sorta de frutti,<br />

purché siano piantonati, e coltivati tanto dentro di detta difesa,<br />

come di fuora siano tenuti li padroni di essa in sc. cinque e la<br />

capra tenendoci accasamento, ovvero mandra dentro di detta<br />

difesa, ci possono stare, a passare per la strada dritta alla loro<br />

accasamenta, ovvero mandra, senza pagare pena».<br />

«CAP XVIII: Della difesa della montagna: Statuito, ed<br />

ordinato è, che nessuna sorta di Bestie armenticcie possono<br />

entrare, e pascolare nella Difesa delle montagne sopra<br />

dell’Oliveta, ... Nel Monte di Pietr’Andrea: nel Monte sopra<br />

dette Olivete dello Serrone petriglio e nel Monte sopra lo<br />

Pagliaro Palombo confinato secondo è stato fatto dalli antichi;<br />

a tutte le sopradette Bestie, che saranno ritrovate a pascolare<br />

dentro di detta difesa siano tenute per ciascheduna volta, e per<br />

Padrone de’ soldi cinque.<br />

Il priore Luigi Olivieri».<br />

Le bestie armenticce (o armentarie) erano tutti quegli animali al<br />

pascolo, e dunque pecore, capre, vacche, etc., ai quali era proibito<br />

l’attraversamento di alcuni terreni. La ragione del divieto era spesso<br />

di natura economica, dato che il passaggio degli animali rovinava le<br />

coltivazioni agricole presenti in questi terreni.<br />

Nel primo caso lo statuto menziona la Difesa della Cortina 10 .<br />

10<br />

La Cortina era probabilmente una zona delle agrarie di Santo Stefano di


296<br />

Marco di Cosmo<br />

Il codice tutelava i terreni posti all’interno di una piccola cinta,<br />

prevedendo come pena il pagamento di una somma a seconda del<br />

tipo di animale trovato all’interno di questo terreno, e dunque, soldi<br />

uno per bestia, se in numero minore di 10, o, al superamento di tale<br />

soglia, soldi 40. L’articolo diciassette dello Statuto tutelava invece<br />

la difesa dei terreni adibiti alla coltivazione dell’olivo, prevedendo<br />

ancora pene pecuniarie per gli animali trovati a pascolare entro<br />

questi confini, eccezion fatta per il passaggio delle capre dirette ai<br />

loro accasamenti. Lo stesso dicasi per la difesa della montagna,<br />

e dei terreni previsti dallo Statuto comunale, all’interno dei quali<br />

era prevista una pena pecuniaria fissa di cinque soldi per il pascolo<br />

abusivo.<br />

È interessante la conclusione di questa vicenda, che, nonostante<br />

tali precise disposizioni, vede prevalere i pastori di Santo Stefano,<br />

sempre in ragione dello Statuto, che pur prevendo tali ammende,<br />

all’articolo V stabilisce che, come si legge nel testo, ogni persona<br />

può «dar licenza dei suoi beni» e che dunque, in materia agraria,<br />

«ognuno possa dar licenza alle cose proprie» 11 .<br />

cui si è persa memoria e non c’è traccia nei documenti.<br />

11<br />

DA, b. 1137. Lettera del Governatore di Ceccano alla Delegazione Apostolica<br />

del 3 febbraio 1844.


Alessandro Dani<br />

Qualche nota comparativa tra lo statuto di Roma del<br />

1469 e quelli di altre città laziali del tempo<br />

Gli statuti in genere non solo si presentano come una stratificazione<br />

di norme di tempi diversi, progressivamente sedimentate in un testo<br />

solo apparentemente omogeneo, che alla fine può rimanere in vigore<br />

anche per secoli, ma i contenuti statutari stessi hanno un diverso grado<br />

di originalità, nel senso che possono essere ispirati dal diritto comune,<br />

da statuti di altri Comuni o magari da norme di autorità sovraordinate.<br />

Si tratta di un fenomeno diffuso, ben noto alla storiografia,<br />

in buona parte dovuto alla partecipazione alla redazione del testo di<br />

giuristi e notai che mettevano a disposizione il proprio bagaglio di<br />

conoscenze, cercando comunque di rispondere, in ultimo, ad esigenze<br />

ed aspettative locali.<br />

Valutare poi quanto, nei contenuti organizzativi, civilistici e<br />

penalistici di uno statuto rappresenti un tratto ricorrente o quasi<br />

generale nella produzione statutaria comunale, e quanto invece<br />

costituisca una singolarità, un aspetto eccezionale dovuto a fattori<br />

particolari, presuppone la conoscenza di molti altri testi e perciò può<br />

risultare un compito, se non proibitivo, certo impegnativo. La via più<br />

facilmente percorribile – e che anche qui sarà percorsa – per offrire<br />

degli spunti di comparazione, è il confronto con realtà normative<br />

riferibili ad un contesto geografico e cronologico omogeneo, tenendo<br />

presente altresì che un raffronto significativo può farsi solo tra statuti<br />

di comunità simili per dimensioni e complessità socio-economica.<br />

Nel Lazio pontificio del Quattrocento si ebbe una produzione di<br />

statuti abbastanza intensa, sia in Comuni urbani, che in comunità minori,<br />

di castello o di villaggio: in tutto ne sono stati censiti una trentina, ma<br />

è probabile che un tempo ve ne fossero ulteriori, poi perduti 1 . Se meno<br />

1<br />

Nel Quattrocento furono redatti gli statuti dei Comuni di Acquapendente,<br />

Anticoli, Carbognano, Castro, Celleno, Civita Castellana, Civitavecchia,<br />

Civitella d’Agliano, Fabrica, Ferentino, Fiano, Forano, Frosinone, Grado-


298<br />

Alessandro Dani<br />

numerosi sono gli statuti superstiti del periodo precedente (secoli XIII-<br />

XIV), anche per la perdita certa di molti esemplari, il panorama si fa<br />

ben più ricco per i secoli XVI-XVIII, comunque prezioso anche per<br />

gli studiosi dell’epoca precedente, perché in molte situazioni gli statuti<br />

di età moderna costituiscono redazioni aggiornate e riviste di testi<br />

medievali, come si può ben supporre dai loro contenuti. Nel contesto<br />

laziale del secondo Quattrocento – primo Cinquecento possiamo qui<br />

proporre qualche breve elemento di confronto tra gli statuti romani e<br />

quelli di altri Comuni urbani come Rieti, Viterbo, Tivoli, Ferentino,<br />

Alatri, Velletri, Castro e Ronciglione 2 .<br />

Lo statuto romano si suddivide sostanzialmente in quattro libri,<br />

più una sorta di appendice con quattro norme suntuarie. Non usuale<br />

(anzi piuttosto raro) è che il libro contenente l’organizzazione<br />

comunale sia il terzo (di 173 capitoli), mentre il primo è dedicato alla<br />

materia civilistica (sostanziale e processuale), ma con disposizioni<br />

anche sulle Arti, la cittadinanza, la pesca e altro. Il secondo è quello<br />

del penale (anche qui sostanziale e processuale), ma con norme<br />

ancora sugli artigiani e sui mercanti, sugli Ebrei, sul controllo del<br />

territorio, per un totale di 265 rubriche. Il quarto libro contiene,<br />

li, Guarcino, Montebuono, Montefiascone, Monte Fortino, Montelibretti,<br />

Montopoli (esteso a vari altri castelli dell’Abbazia di Farfa), Piglio, Poggio<br />

Catino, Pontecorvo, Rieti, Rignano, San Polo de’ Cavalieri, Sant’Angelo,<br />

Sant’Oreste, Subiaco, Sutri, Toscanella, Viterbo. Cfr. Statuti cittadini, rurali<br />

e castrensi del Lazio. Repertorio (sec. XII-XIX), a cura di P. Ungari,<br />

Roma 1993, passim. Si tratta questo di un fondamentale strumento di lavoro,<br />

di cui sarebbe oggi opportuna una nuova edizione aggiornata e magari<br />

consultabile on-line.<br />

2<br />

Per qualche ulteriore considerazione farò riferimento a mie precedenti<br />

ricerche su statuti di Comuni dello Stato della Chiesa e della Toscana: Il<br />

processo per danni dati nello Stato della Chiesa (secoli XVI-XVIII), Bologna<br />

2006; Gli statuti comunali nello Stato della Chiesa di Antico regime.<br />

Qualche annotazione e considerazione, in Historia et ius. Rivista di storia<br />

giuridica dell’età medievale e moderna, 2 (2012), paper VI, pp. 1-14, url:<br />

; Gli statuti dei Comuni della Repubblica di<br />

Siena (secoli XIII-XV). Profilo di una cultura comunitaria, Siena 2015.


Nota comparativa tra statuto di Roma e altri laziali<br />

299<br />

come dicevamo, norme eterogenee (in tutto 82) su vari argomenti:<br />

ancora sui mercanti, varie sui notai, sui compensi degli ufficiali<br />

– accuratamente precisati – nonché riforme diverse aggiunte<br />

posteriormente e qualche bolla papale.<br />

In tutto lo statuto conta 698 capitoli, numero nettamente<br />

superiore a quello di qualsiasi altro statuto di città laziale, di ogni<br />

epoca, a noi pervenuto. Inoltre è da considerare la materia del danno<br />

dato, contenuta in altro testo, che poi diverrà lo statuto dell’Arte<br />

dell’agricoltura 3 .<br />

In quattro libri si presentano gli statuti al tempo in vigore a Rieti 4 e<br />

Viterbo 5 , mentre in cinque sono suddivisi quelli di Tivoli 6 , Ferentino 7 ,<br />

3<br />

Una compilazione risalente ai primi del Quattrocento fu poi più volte<br />

edita tra Cinquecento e Seicento, per poi essere pubblicata in lingua italiana,<br />

con aggiunta di materiali ulteriori nel primo Settecento: cfr. Statuti<br />

dell’Agricoltura con varie osservazioni, bolle, decisioni della S. Ruota e<br />

decreti intorno alla medesima, Roma 1718.<br />

4<br />

Qui il primo è sull’organizzazione comunale, più disposizioni varie anche<br />

nella forma di provvedimenti contingenti, ad esempio sull’urbanistica (161<br />

rubriche); il secondo contiene la materia civilistica (39 rubriche), il terzo<br />

la materia penale (107 rubriche) ed il quarto è dedicato ai danni dati (71<br />

rubriche). In tutto lo statuto di Rieti conta 378 rubriche.<br />

5<br />

Il primo riguarda l’organizzazione comunale (70 rubriche), il secondo<br />

la materia civilistica (103 rubriche), il terzo la normativa penale unita a<br />

quella sul danno dato e su altri aspetti, come le Arti (174 rubriche), la quarta<br />

ha carattere residuale (De extraordinariis) ed ospita norme riguardanti<br />

artigiani e mercanti, urbanistica ed altro. In tutto sono 507 rubriche.<br />

6<br />

Sia quelli del 1305 (cfr. V. Federici, Statuto di Tivoli del MCCCV, in<br />

Statuti della Provincia romana, Roma 1910, pp. 153-261) che quelli del<br />

1522 (Statuta et reformationes circa stilum civitatis Tyburtinae, Romae<br />

1522). In questi ultimi, più ampi dei primi nella parte penale, ma più ridotti<br />

riguardo la struttura comunale, il primo libro sugli uffici del <strong>Comune</strong> è<br />

di 72 rubriche, il secondo sulla materia civilistica di 35, il terzo su quella<br />

penale di 123, il quarto sui danni dati di 51, il quinto sugli ‘straordinari’<br />

(commercio, igiene, urbanistica etc.) di 31.<br />

7<br />

Cfr. Statuta civitatis Ferentini, a cura di M. Vendittelli, Roma 1988.<br />

Il testo, databile intorno al 1465, così è suddiviso: I libro de officiis in 57


300<br />

Alessandro Dani<br />

Montefiascone 8 , Alatri 9 , Velletri 10 , Castro e Ronciglione 11 .<br />

Se la sistematicità è raramente una qualità apprezzabile negli<br />

antichi statuti, quello romano in questione si presenta forse ancor<br />

meno ordinato di altri del tempo. Pur se contiene anche norme non<br />

strettamente civilistiche, colpisce la consistenza del libro «delle<br />

cause civili»: 174 rubriche contro le 28 di Alatri, le 39 di Rieti, le<br />

78 di Ferentino, le 103 di Viterbo, le 35 di Tivoli, le 45 di Velletri.<br />

Più massiccia che in altri Comuni vicini appare anche la presenza<br />

di notai e cospicua è la familia (cioè il gruppo di collaboratori) di<br />

legali (non romani) al servizio del Senatore (III, 1). Tuttavia ciò non<br />

sembra influire negativamente sulla durata del processo civile, che a<br />

capitoli, II de criminalibus in 150 capitoli, III causarum civilium di 78<br />

capitoli, IV damnorum datorum di 49 capitoli, V extraordinariorum di 147<br />

capitoli.<br />

8<br />

Così nella redazione quattrocentesca, poi in quattro libri in quella del<br />

1584: cfr. Archivio di Stato di Roma (in seguito solo ASRm), Statuti, 501<br />

e 517, entrambi in copia autentica del 1856, giunti con il titolo di Statutum<br />

vetus (novi) civitatis Montis Falisci.<br />

9<br />

Il testo, giuntoci in copia dei metà Cinquecento, riprende molto da precedenti<br />

statuti ed è edito in M. D’Alatri, C. Carosi, Gli statuti medioevali di<br />

Alatri, Alatri 1976. Qui il primo libro officiorum et officialium è di 48 rubriche,<br />

il secondo causarum criminalium di 90, il terzo causarum civilium<br />

di 28, il quarto super damnis datis di 38, il quinto extraordinariorum di 93.<br />

10<br />

Cfr. Volumen statutorum et ordinationum tam civilium quam criminalium<br />

inclytae civitatis Velitrarum, Velitris 1752, che ripropone con poche<br />

correzioni il testo già edito in Statuta et ordinationes magnificae civitatis<br />

Velitrarum, Romae 1544. Nella prima delle edizioni citate, il libro iniziale<br />

sull’organizzazione comunale conta 64 rubriche, il secondo sul civile 45,<br />

il terzo sul penale 144, il quarto sui danni dati 79 ed il quinto sugli ‘straordinari’<br />

(con regole sulle Arti, sulle rappresaglie etc.) 136. In tutto lo statuto<br />

veliterno conta 468 rubriche.<br />

11<br />

Cfr. Volumen statutorum in quo continentur decreta, leges et reformationes<br />

utriusque status Castri et Roncilionis, Valentani [1588]: I libro sull’organizzazione<br />

comunale di 46 capitoli, II sulla materia civilistica di 64 capitoli,<br />

III su quella penale di 81 capitoli, IV sul danno dato di 51 e V sugli<br />

straordinari di 56.


Nota comparativa tra statuto di Roma e altri laziali<br />

301<br />

Roma doveva concludersi entro 60 giorni (I, 28), non diversamente<br />

che in varie altre città, ma per esempio più celermente che non a<br />

Viterbo, dove è previsto il doppio di tempo (quattro mesi; II, 23)<br />

e ben entro i tre anni previsti dalla costituzione Properandum del<br />

Codice giustinianeo (3.1.13). Si trovano comunque anche termini<br />

più brevi, come a Ferentino, nello stesso periodo (III, 2), dove lo<br />

statuto impone al Podestà di «terminare omnes questiones civiles»<br />

addirittura entro quindici giorni. Non diversamente dalla generalità<br />

degli statuti dei Comuni italiani, troviamo previsti anche a Roma<br />

procedimenti sommari accanto a quello ordinario (I, 15, 27), nonché<br />

procedure arbitrali volte ad una rapida ed economica composizione<br />

delle controversie.<br />

Parimenti ampio, rispetto ai rispettivi omologhi, è il libro del<br />

penale, tenendo conto che i danneggiamenti campestri sono trattati<br />

a sé. L’inizio del proemio è simile a quello di Rieti, ma più lungo<br />

e, come nel testo reatino, la prima rubrica, pur di tenore diverso, è<br />

dedicata alla tutela della fede cattolica.<br />

Sia gli statuti di Rieti che quelli di Viterbo contengono molti<br />

provvedimenti 12 , mentre quello di Roma sembra abbia superato l’uso,<br />

tipico della prima fase statutaria, ma talora rimasto anche in seguito,<br />

di inserire simili norme strettamente attinenti alla quotidianità: lo<br />

statuto, più maturamente, non è più visto come un’agenda in cui<br />

dettare le cose da fare anno per anno, ma come un testo giuridico<br />

fondamentale e duraturo, pensato per rimanere in vigore a lungo, per<br />

decenni o per secoli. Gli obblighi giurati per il Senatore e gli altri<br />

ufficiali sono esposti in terza persona e non nella forma, più arcaica,<br />

della formula di giuramento del breve (in prima persona: ego ... iuro<br />

...), come talora si riscontra in statuti coevi o anche posteriori: ad<br />

12<br />

Come ha osservato Severino Caprioli, «provvedimento è fattispecie:<br />

produce immediatamente i suoi effetti, costituendo in situazioni attive o<br />

passive soggetti nominati, o modificando situazioni determinate». In ciò<br />

dunque si distingue dalla norma, che è «previsione di una fattispecie, e<br />

disciplina di questa nell’ipotesi che si verifichi – ed appunto richiede la<br />

mediazione del fatto» (S. Caprioli, Una città nello specchio delle sue norme.<br />

Perugia milleduecentosettantanove, in Statuti del <strong>Comune</strong> di Perugia,<br />

Perugia 1996, 2, pp. 304-305).


302<br />

Alessandro Dani<br />

esempio Tivoli (I, 31) e Velletri (I, 7: sia nell’edizione del 1544 che<br />

in quella del 1752).<br />

In molte occasioni gli statutari affermano di seguire e ribadire<br />

antiche consuetudini (ad esempio, I, 10, 15, 31, 56) e già è stato<br />

rilevato come sin dalla redazione statutaria del 1360-1363 si fosse<br />

avuta una recezione di norme consuetudinarie, forse – ma ciò rimane<br />

da chiarire – prima contenute in un testo a sé 13 . Non è improbabile<br />

tuttavia che altre regole consuetudinarie intervenissero talora a<br />

supplire al silenzio statutario nelle materie di più stretta pertinenza<br />

locale. Per il resto, in via generale, lo ius civile commune ha funzione<br />

suppletiva e, in ulteriore istanza sussidiaria, si ricorre al diritto<br />

canonico (III, 5), al quale non sembra dunque venga riconosciuta una<br />

particolare prevalenza. «Et in casibus – si legge nel testo romano – in<br />

quibus statuta aliquid non disponunt, (officiales et iudices debeant)<br />

servare et servari facere iura civilia et, in defectum iurium civilium,<br />

iura canonica» 14 . Diversamente, lo statuto di Viterbo del 1469 (II, 2)<br />

imponeva ai giudici della città che «secundum formam statutorum et<br />

ordinamentorum Communis Viterbii ius faciant, et ubi statutum non<br />

loquitur serventur constitutiones provinciales sancte matris Ecclesie,<br />

demum iura canonica et ultimo civilia». Questo, dunque, e non quello<br />

romano esattamente coevo, sembra confortare l’opinione che voleva<br />

che nelle Terrae ecclesiae si anteponesse, in via suppletiva, il diritto<br />

canonico al diritto civile comune 15 , tesi in realtà tutta da verificare<br />

13<br />

Cfr. S. Notari, Sullo «statuto antico» e le consuetudini scritte del comune<br />

di Roma. Note storico-giuridiche, in Honos alit artes, Studi per il<br />

settantesimo compleanno di Mario Ascheri, Firenze 2014, 2, p. 117.<br />

14<br />

Tale soluzione era già indicata negli statuti romani trecenteschi e fu mantenuta<br />

nelle redazioni cinquecentesche del 1523 e del 1580: cfr. S. Notari,<br />

Manoscritti statutari sulle due sponde del Tevere. Il <strong>Comune</strong> di popolo e<br />

gli statuta Urbis del Trecento tra storia e storiografia, in corso di stampa,<br />

nota 19.<br />

15<br />

Cfr. G. Ermini, Diritto romano comune e diritti particolari nelle terre<br />

della Chiesa, in Ius romanum Medii Aevi, pars V, 2c, Mediolani 1975, pp.<br />

1-67. Sull’argomento, anche per ulteriore bibliografia, sia consentito rinviare<br />

al mio Un’immagine secentesca del diritto comune. La teoria delle<br />

fonti del diritto nel pensiero di Giovanni Battista De Luca, Bologna 2008,


Nota comparativa tra statuto di Roma e altri laziali<br />

303<br />

nella prassi concreta.<br />

Il tema delle fonti suppletive è trattato negli statuti urbani laziali<br />

di epoca rinascimentale con sfumature peculiari, alle quali non<br />

sappiamo dire se poi corrispondessero stylus processuali diversi<br />

presso i rispettivi tribunali. Diversamente da quelli di Roma e<br />

Viterbo, gli statuti di Tivoli (1522; I, 2) prevedevano che «ubi<br />

non loquuntur expresse statuta, procedet de similibus ad similia,<br />

vel secundum consuetudinem dicte civitatis, alias secundum iura<br />

civilia». A Rieti (I, 4), il Podestà giurava di amministrare la giustizia<br />

«secundum formam statutorum Communis Reate, et ubi statutum<br />

deficeret secundum iura communia». A Castro e Ronciglione (1588;<br />

I, 2) il magistrato doveva giudicare «secundum formam praesentium<br />

statutorum, vel secundum constitutiones per nos faciendas et ipsis<br />

deficientibus secundum quod ius commune disponit».<br />

Il dato veramente generale delle previsioni statutarie è dunque<br />

il richiamo all’applicazione in prima istanza dello statuto del<br />

luogo, potendo il resto differire. Situazione eterogenea del tutto<br />

simile ho riscontrato negli statuti comunali del Quattrocento del<br />

vicino territorio senese 16 . Va peraltro considerato che nello Stato<br />

della Chiesa si ponevano, come fonti ulteriori di grado superiore,<br />

le Constitutiones Egidiane del 1357, sulle quali da sempre gravano<br />

dubbi sulla loro generale ed effettiva applicazione 17 , e le norme<br />

pp. 89-91.<br />

16<br />

Cfr. Dani, Gli statuti dei Comuni della Repubblica di Siena, cit., pp.<br />

153-154.<br />

17<br />

Sul tema cfr. A. Marongiu, Il cardinale d’Albornoz e la ricostruzione<br />

dello Stato pontificio, in El Cardenal Albornoz y el Colegio de España,<br />

edición y prólogo de E. Verdera y Tuells, Bolonia 1972, 1, pp. 461-480;<br />

P. Colliva, Il cardinale Albornoz, lo Stato della Chiesa, le «Constitutiones<br />

aegidianae» (1353-1357), con in Appendice il testo volgare delle Costituzioni<br />

di Fano dal ms. Vat. Lat. 3939, Bolonia 1977, in specie pp. 216-226;<br />

G. Ermini, Validità della legislazione albornoziana nelle terre della Chiesa<br />

dal Trecento alla codificazione del secolo XIX, in El Cardenal Albornoz<br />

cit., Bolonia 1979, 4, pp. 81-102; S. Carocci, Vassalli del papa. Potere<br />

pontificio, aristocrazie e città nello Stato della Chiesa (XII-XV sec.), Roma<br />

2010, p. 168.


304<br />

Alessandro Dani<br />

pontificie che intervenivano a disciplinare singoli aspetti e problemi.<br />

Si tratta di aspetti storico-giuridici rilevanti, sui quali però non è<br />

certo possibile qui soffermarsi.<br />

Nel complesso possiamo dire che gli statuti delle altre città laziali<br />

considerati sono diversi per struttura e anche per contenuti, pur nei<br />

limiti di quelle similitudini di forme e soluzioni normative dovute,<br />

oltre che al diritto comune, ad una ormai pluri-secolare circolazione<br />

tanto dei testi quanto di ‘tecnici’ esperti nella redazione statutaria<br />

(doctores legum, ma soprattutto notai). Diverse, pur entro un diffuso<br />

modello organizzativo urbano popolare ispirato a principi comuni,<br />

sono le cariche comunali, talvolta anche nel nome.<br />

Come in molti altri Comuni del Quattrocento vi sono norme<br />

‘anti-magnatizie’, cioè volte a preservare l’istituzione comunale<br />

e gli equilibri sociali di cui essa era espressione dall’ingerenza di<br />

famiglie nobiliari che, con la loro forza economica, le loro clientele e<br />

protezioni, avrebbero potuto acquisire il controllo politico sulla città.<br />

Qui, a Roma, si avverte netta la persistenza di previsioni risalenti al<br />

secondo Trecento, cioè al periodo di stabile governo popolare 18 e<br />

si rimane anzi francamente sorpresi di trovare una normativa antimagnatizia<br />

così netta in un <strong>Comune</strong> in cui da circa 70 anni si ritiene<br />

conclusa l’esperienza del regime popolare 19 .<br />

Lo statuto di Roma vieta ai baroni l’ingresso in Campidoglio<br />

e, qualora fossero lì convenuti in giudizio, dovevano limitarsi ad<br />

inviare i propri avvocati e procuratori (I, 135). Gli esponenti di molte<br />

18<br />

Su tale periodo della storia istituzionale è d’obbligo rinviare ai puntuali<br />

e documentati studi di S. Notari, La Roma del secondo Trecento: un nuovo<br />

interesse nella storiografia, in Clio, 24 (1988), pp. 617-644; Id., Senza<br />

Papa. La città di Roma nel Trecento: economia, società, istituzioni, in<br />

Tradizione e Magistero. Santa Caterina da Siena, Catalogo della Mostra,<br />

Roma 2010, pp. 61-64. Dopo circa un secolo di supremazia baronale, a<br />

metà Trecento vari fattori favorirono l’avvento del regime popolare (1358-<br />

1398): i principali furono la perdurante assenza del Papa, la crisi demografica<br />

dovuta alle epidemie di peste e quella economica.<br />

19<br />

Così A. Esch, Dalla Roma comunale alla Roma papale: la fine del libero<br />

<strong>Comune</strong>, in Archivio della Società romana di storia patria, 130 (2007), pp.<br />

1-16.


Nota comparativa tra statuto di Roma e altri laziali<br />

305<br />

casate nobiliari romane (Orsini, Colonna, Annibaldi, Albertini,<br />

Savelli, Capponi, Caetani e altre) dovevano giurare obbedienza al<br />

popolo romano e soprattutto di non dar rifugio nei propri castelli<br />

a delinquenti e banditi. Fermamente si tutelano le proprietà dei<br />

popolari da prevaricazioni e soprusi da parte di nobili (I, 82, 114).<br />

In materia penale talora la pena è notevolmente inasprita se il reato<br />

è commesso da nobili o baroni: l’adulterio con donna onesta era<br />

punito in 300 lire di pena se a commetterlo fosse un popolano, ma la<br />

pena saliva a 500 lire se cavaliere e a 1.000 lire se barone (II, 257).<br />

Il favoreggiamento in omicidio è punito in 200 lire se popolano, 400<br />

lire se cavaliere, 1.000 lire se barone (II, 10). E molte altre sono<br />

le fattispecie all’insegna di simile disparità sanzionatoria (ad es. II,<br />

12, 23, 38, 41, 91), in cui emerge anche la peculiarità romana di<br />

distinguere tra nobili minori e baroni 20 . Al di fuori di tali specifiche<br />

previsioni poi, in via generale, è previsto per i nobili il raddoppio<br />

della pena (II, 53) e la quadruplicazione della stessa in caso di reati<br />

accertati tramite inquisitio (II, 5). Nessun abitante di Roma o suoi<br />

castelli poteva giurare fedeltà vassallatica a nobili, né apporre alla<br />

propria abitazione stemmi nobiliari (II, 200).<br />

Anche nel coevo statuto di Viterbo si prevede il raddoppio<br />

delle pene per offese commesse da nobili o loro sottoposti ai danni<br />

di popolani (III, 132). È previsto il divieto di vendere immobili a<br />

baroni, sotto pena di ben 500 lire (III, 155), anche per l’acquirente.<br />

Qui inoltre il Podestà e gli altri ufficiali comunali erano tenuti a<br />

difendere i popolari ed i loro possedimenti da indebite occupazioni<br />

da parte di nobili (II, 69), ad ogni popolare era fatto obbligo di<br />

aiutare e soccorrere altri popolari offesi da un nobile (IV, 4) ed i<br />

nobili erano tassativamente esclusi dal Consiglio comunale e dalle<br />

maggiori cariche di governo cittadine (IV, 142) 21 . Ad Alatri (II, 33)<br />

20<br />

Sul tema si veda S. Carocci, Una nobiltà bipartita. Rappresentazioni<br />

sociali e lignaggi preminenti a Roma nel Duecento e nella prima metà<br />

del Trecento, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e<br />

Archivio Muratoriano, 95 (1989), pp. 71-122.<br />

21<br />

Altre norme anti-magnatizie nello statuto viterbese sono III, 147 e 169;<br />

IV 11 e 47.


306<br />

Alessandro Dani<br />

drasticamente si sancisce che «nullus baro intrare possit civitatem<br />

Alatri». Varie norme di chiara e netta impronta anti-nobiliare si<br />

rinvengono anche negli statuti di Velletri (III, 66, 78, 79, 88, 90, 91).<br />

Un ulteriore tratto che accomuna l’ordinamento romano a quelli di<br />

molti altri Comuni popolari del tempo può leggersi nella partizione<br />

in circoscrizioni territoriali interne con varie competenze, anche di<br />

ordine pubblico (III, 4). Un Capo-quartiere coordinava, nel rione di<br />

competenza, le attività di sorveglianza e prevenzione contro i reati, di<br />

intervento nelle varie necessità contingenti, di aiuto a chi costruisse<br />

abitazione e altre. Si deve osservare come tali partizioni interne ai<br />

Comuni mirassero anche a circoscrivere sodalizi di tipo clientelare<br />

o familiare, rafforzando invece l’appartenenza territoriale, che<br />

coinvolgeva tutti a prescindere dalle condizioni personali.<br />

Le Arti o Corporazioni di mestiere, qui come in genere ovunque,<br />

avevano una propria organizzazione, ricalcata su quella comunale, ed<br />

una propria sfera di autonomia normativa 22 . Ma emerge chiaramente<br />

– ed è un tratto parimenti generale – che esse derivavano il proprio<br />

potere dal <strong>Comune</strong> ed i loro statuti dovevano essere approvati<br />

dalle autorità comunali (I, 150-153). Il <strong>Comune</strong> manteneva<br />

quindi una posizione preminente e super partes rispetto alle varie<br />

organizzazioni produttive, ponendosi come difensore del bonum<br />

commune, dell’interesse di tutta la città, con funzioni dunque anche<br />

di mediazione e contemperamento di interessi di categoria.<br />

Da segnalare è la prassi, resa obbligatoria (IV, 82), della lettura<br />

pubblica dello statuto. Al riguardo possiamo chiederci se esistesse,<br />

a tal fine, ma anche ad uso dei molti ufficiali che certamente non<br />

conoscevano il latino, una versione volgarizzata del testo. Sappiamo<br />

che vari Comuni laziali, forse seguendo l’esempio della vicina<br />

Toscana 23 , optarono per la redazione nell’idioma parlato del proprio<br />

22<br />

Indicazione di fonti e bibliografia sulle corporazioni offre D. Bezzina,<br />

Organizzazione corporativa e artigiani nell’Italia medievale, in Reti Medievali<br />

Rivista, 14 (2013), 1, http://rivista.retimedievali.it. Riguardo il nostro<br />

contesto particolare si veda I. Lori Sanfilippo, La Roma dei Romani.<br />

Arti, mestieri e professioni nella Roma del Trecento, Roma 2001.<br />

23<br />

Cfr. F. Bambi, Alle origini del volgare nel diritto. La lingua degli statuti<br />

di Toscana tra XII e XIV secolo, in Mélanges de l’École française de Rome.


Nota comparativa tra statuto di Roma e altri laziali<br />

307<br />

statuto 24 . Ma presso i Comuni urbani laziali qui considerati (Rieti,<br />

Ferentino, Viterbo, Tivoli, Alatri, Velletri, Castro e Ronciglione) 25 ,<br />

come per Roma, tutte le redazioni succedutesi dal XIII-XIV secolo<br />

fino alla fine del Settecento sono costantemente in latino, spesso a<br />

stampa in epoca moderna. Magari si redigono e si stampano testi<br />

statutari minori distinti dal corpus maggiore, come gli statuti della<br />

Dogana di Velletri (1611), o gli statuti dell’Arte dell’agricoltura, a<br />

Palestrina (1681) e a Roma (1718), qui comunque tardi e dopo varie<br />

edizioni latine.<br />

L’organizzazione istituzionale del <strong>Comune</strong> romano presenta tratti<br />

originali, appare come sempre frutto di peculiari dinamiche politiche<br />

locali. Qui è da segnalare però che anche i nomi delle cariche si<br />

discostano talvolta da quelli più frequenti nel mondo comunale<br />

del tardo Medioevo: Senatore, Senato, Conservatori della Camera,<br />

Protonotaro, Marescialli non sono cariche consuete del mondo<br />

comunale. Ma, in realtà, se andiamo a vederne le funzioni, non sono<br />

qualcosa di nuovo. Il Senatore (III, 1) forestiero, in carica per sei<br />

mesi, tenuto ad applicare lo statuto e soggetto al rendiconto finale del<br />

sindacato è omologo alla consueta figura del Podestà di altri Comuni<br />

coevi (ad esempio Viterbo, Ferentino o Rieti) 26 . I Conservatori (III, 3)<br />

Moyen Âge, 126 (2014), 2, http://mefrm.revues.org/2112.<br />

24<br />

Come quelli di Acquapendente (sec. XV), Affile (1701), Ariccia (1610),<br />

Arsoli (1584), Bassanello (1559), Carbognano (1479), Castiglione in Teverina<br />

(1659), Civita Castellana (1535), Civitavecchia (1451), Civitella<br />

d’Agliano (1444), Collepardo (1617), Fabrica (1542), Filettino (XVI sec.),<br />

Frascati (XVI sec.), Guadagnolo (1547), Magliano (1594), Nemi (1514),<br />

Nettuno (1560), Norma (1595), Palestrina (1614), Patrica (1696), Percile<br />

(1596), Saracinesco (1705), Tolfa (1530), Torrice (1558), Valentano<br />

(1557), Vetralla (sec. XVI). Più frequente è poi l’uso del volgare negli<br />

statuti dei danni dati e nelle copie di epoca tarda.<br />

25<br />

Così anche per Corneto/Tarquinia (cfr. M. Ruspantini, Gli statuti della<br />

città di Corneto. MDXLV, Tarquinia 1982), Orte (cfr. Statuti della città di<br />

Orte, trascrizione e traduzione di D. Gioacchini, Orte 1981) e Veroli (cfr.<br />

C. Bilancioni, Statuta seu leges municipales Communis civitatis Verularum,<br />

Velitris 1657).<br />

26<br />

Con il regime popolare un Senatore unico forestiero sostituì i due Sena-


308<br />

Alessandro Dani<br />

appaiono omologhi dei Priori di altre realtà comunali. I Marescialli<br />

sono ciò che altrove è spesso indicato con il termine di birri, sbirri,<br />

berrovieri e simili.<br />

L’aspetto importante della cittadinanza appare, qui come ovunque<br />

nel mondo comunale italiano, modellato sulle esigenze e gli equilibri<br />

socio-economici locali 27 .<br />

Il forestiero diveniva cittadino romano, con tutti i diritti e doveri<br />

connessi, con l’acquisto di un’abitazione in Roma e di una vigna<br />

nella campagna entro tre miglia dalla città, dimorando nell’Urbe<br />

con la sua famiglia almeno tre quarti dell’anno (III, 146). Non si<br />

prevede, come spesso invece accadeva presso altri Comuni, un<br />

periodo di tempo di vari anni prima dell’ammissione. Lo statuto (I,<br />

144) considera come cittadini romani a tutti gli effetti i mercanti<br />

forestieri che possedessero in città la maggior parte dei loro beni<br />

mobili e immobili e risiedessero stabilmente a Roma con la propria<br />

famiglia. La cittadinanza si estendeva anche ai familiari del mercante,<br />

ma non ai suoi eventuali soci. Anche a Viterbo lo statuto al nostro<br />

contemporaneo (II, 51; IV, 51) prevedeva privilegi per gli artigiani<br />

immigrati. Gli Statutari viterbesi addirittura assicurano ai forestieri<br />

«ad operandum seu exercendum artem aliquam seu magisterium<br />

alicuius artis» che non sarebbero potuti essere molestati per debiti<br />

precedentemente altrove contratti con non Viterbesi (II, 51) 28 .<br />

tori baroni nominati dal Papa del periodo precedente e fu sancita anzi una<br />

preclusione per i baroni a ricoprire tale carica.<br />

27<br />

Sulla cittadinanza in generale cfr. P. Costa, Civitas. <strong>Storia</strong> della cittadinanza<br />

in Europa, in Dalla civiltà comunale al Settecento, Roma-Bari 1999,<br />

1, pp. 3-50; certi problemi storiografici non secondari sono segnalati da M.<br />

Ascheri, Nella città medievale italiana: la cittadinanza o le cittadinanze?,<br />

in Initium, 16 (2011), pp. 299-312. Per la dottrina cfr. S. Menzinger, Diritti<br />

di cittadinanza nelle quaestiones giuridiche duecentesche e inizio-trecentesche<br />

– I, in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge, 125<br />

(2013), 2, http://mefrm.revues.org/1468; M. Vallerani, Diritti di cittadinanza<br />

nelle quaestiones giuridiche duecentesche – II: Limiti dell’appartenenza<br />

e forme di esclusione, in ivi, http://mefrm.revues.org/1446.<br />

28<br />

Un’altra norma (IV, 51) riguarda, più specificamente, i vasai forestieri<br />

immigrati in città per esercitare la loro arte: ad essi era garantita l’esenzio-


Nota comparativa tra statuto di Roma e altri laziali<br />

309<br />

Le concessioni agrarie si legano al quadro dei diritti reali del<br />

tempo, con la scomposizione del dominio e di poteri sul bene in capo<br />

a più soggetti. L’enfiteuta e il locatario (forse ad longum tempus,<br />

giacché al primo assimilato) potevano affittare parte del fondo anche<br />

senza il consenso del proprietario-direttario (I, 106).<br />

La materia penale appare in sintonia con la severità punitiva<br />

ovunque riscontrabile nelle città italiane del tempo: «ut maleficia non<br />

remaneant impunita» (II, 2), come si ripeteva con un’espressione di<br />

uso corrente 29 . Le fonti, in certi contesti, hanno consentito agli storici<br />

di intravvedere, a fronte di una fase iniziale riluttante alle esecuzioni<br />

capitali o mutilative, una tendenza all’inasprimento punitivo dal<br />

secondo Duecento (con il crescere di problemi di ordine pubblico) 30 ,<br />

ma non avendo Roma conservato statuti anteriori al Trecento, è qui<br />

difficile cogliere simili tendenze nel tempo.<br />

Nella Città santa la bestemmia, come ovunque, è punita dalle<br />

autorità comunali. Qui (II, 79) è prevista una multa di 10 lire se si<br />

bestemmiano Dio o la Madonna, di 100 soldi per i santi, in caso di<br />

mancato pagamento sono inflitti otto giorni di carcere. Analoga è<br />

la multa prevista a Ferentino (II, 13), a Rieti (III, 28) e Velletri (III,<br />

112) per il bestemmiatore. Ma a Ferentino e Velletri se il reo non<br />

pagava entro 8 giorni veniva condotto e fustigato nudo per le vie<br />

cittadine, a Rieti, invece, se non ottemperava entro dieci giorni era<br />

soggetto, oltre alla fustigazione pubblica, ad un mese di carcere. Ed<br />

il contemporaneo statuto di Viterbo (III, 23) è nettamente più severo:<br />

50 lire di multa per la bestemmia rivolta contro Dio e la Madonna, 10<br />

lire per quella contro santi e il mancato pagamento è qui sanzionato<br />

con il taglio della lingua 31 .<br />

ne «ab angariis et perangariis Communis Viterbii» ed i Rettori di tale Arte<br />

erano tenuti ad accoglierli senza pagamento di alcuna intratura.<br />

29<br />

Forse risalente all’asserzione «Rei publicae interest ne crimina remaneant<br />

impunita» della decretale Inauditum di Innocenzo III del 1199.<br />

30<br />

Sull’argomento cfr. A. Dani, Gli statuti dei Comuni della Repubblica di<br />

Siena, cit., pp. 277-297.<br />

31<br />

Gli statuti di Tivoli (1522; III, 8) prospettano una non usuale puntualizzazione,<br />

distinguendo tra maledizione e bestemmia: la prima, se rivolta a


310<br />

Alessandro Dani<br />

In una linea severamente repressiva nel Quattrocento ormai<br />

attestata ovunque nelle città italiane, l’omicida, dopo essere<br />

trascinato per terra nelle vie cittadine, veniva impiccato (II, 9). Più<br />

usuale nei territori italiani è però la pena di morte per decapitazione<br />

prevista anche a Rieti (III, 16), a Viterbo (III, 39) e a Tivoli (III, 10).<br />

A Velletri sono previste, in alternativa, a discrezione del giudice, sia<br />

la decapitazione che l’impiccagione (III, 26). A Ferentino (II, 47)<br />

non si specifica il tipo di esecuzione capitale, così come ad Alatri (II,<br />

4). Occorre dire comunque che la grande maggioranza degli statuti di<br />

Comuni italiani del tempo riservava la decapitazione per l’omicida e<br />

la forca per il ladrone di strada.<br />

Per lo statuto romano, nel solco di soluzioni ovunque<br />

frequentissime, l’incendio di una casa o castello è punito con il rogo<br />

(II, 29) 32 , così come il ‘vizio sodomitico’ (II, 259) 33 . Il rapinatore<br />

(il ladrone di strada) rischiava, in base alla gravità del fatto, varie<br />

amputazioni o la forca (II, 19-20) 34 .<br />

Dio o alla Madonna, era punita con 10 lire di multa, ai santi con 4 lire; la<br />

semplice bestemmia era sanzionata con 100 soldi. Anche qui la sanzione<br />

corporale scattava in caso di mancato pagamento ed il reo veniva fustigato<br />

per le vie cittadine.<br />

32<br />

A Tivoli (1522; III, 49) l’incendio di casa o mulino era sanzionato in<br />

prima istanza con una pena di 200 lire e la condanna al rogo subentrava in<br />

caso di mancato pagamento. A Rieti (III, 76) l’incendio doloso comportava<br />

una pena pecuniaria da 100 a 200 lire, a seconda se fosse provocato fuori<br />

o dentro la città, ma non è menzionata la condanna al rogo. Si specifica<br />

invece che il reo era inoltre tenuto al risarcimento dei danni provocati.<br />

33<br />

Spesso, negli statuti dei Comuni italiani del tardo Medioevo, il rogo per<br />

i sodomiti era previsto in caso di inottemperanza di forti pene pecuniarie,<br />

o per i recidivi superiori ad una certa età. Ma anche a Viterbo, con un rigore<br />

punitivo analogo, si prevedeva direttamente il rogo per il sodomita<br />

maggiore di 20 anni (III, 51), mentre il minore di tale età era punito ad arbitrium<br />

del Podestà. Si può ipotizzare, in questa materia, un’influenza del<br />

diritto romano: cfr. Cod. Th. 9.7.3; 9.7.6; Cod. Iust. 9.9.30[31]; Coll. VI.5.<br />

34<br />

La graduazione della pena in base alla gravità del fatto è frequente:<br />

la troviamo ad esempio a Rieti (III, 19), ma vi sono anche statuti come<br />

quelli di Velletri (III, 47), o quelli di Castro e Ronciglione (III, 42) più


Nota comparativa tra statuto di Roma e altri laziali<br />

311<br />

La violenza sessuale è forse, tra i delitti maggiori, quello che<br />

trova una maggiore diversificazione di sanzioni. A Roma (II, 261)<br />

osserviamo una disciplina insolitamente complessa, perché viene in<br />

rilievo non solo la condizione della donna, come usuale, ma anche<br />

quella del reo. Nel caso di accordo tra quest’ultimo e la donna<br />

offesa (ed i suoi familiari) era prevista una pena variabile a seconda<br />

della condizione del colpevole: se popolano 50 lire, se nobile 100<br />

lire (se ha beni per oltre 2.000 lire), ma gli appartenenti alle casate<br />

nobiliari, loro fedeli e figli naturali compresi, soggiacevano ad una<br />

pena di 500 lire, dunque dieci volte maggiore di quella prevista per<br />

il cittadino comune. Al di fuori di ‘accordi riparatori’, l’adulterio<br />

con donna onesta (ritenuta tale secondo la fama pubblica), era<br />

sanzionato con pena di 300 lire se popolano, 500 lire se cavaliere,<br />

1.000 lire se barone. Se la donna era di bassa condizione (purché non<br />

prostituta) erano previste di pena 100 lire per il popolano, 200 lire<br />

per il cavaliere, 500 lire per il barone.<br />

A Rieti (III, 17) la pena pecuniaria era graduata in relazione<br />

alla condizione sociale della vittima: 100 lire se donna sposata o<br />

vergine, 60 lire se vedova, purché, in ogni caso, di buona fama. La<br />

vergine doveva ricevere la dote dal violentatore e, se consentiva<br />

al matrimonio con questi, era esclusa la punibilità del fatto. Tale<br />

evenienza era consentita anche nei riguardi della vedova. Più severo<br />

appare il disposto dello statuto di Viterbo (III, 51), dove la pena per<br />

la violenza su donna sposata o vergine è del quintuplo (500 lire), ma<br />

se donna malae famae la somma scende a sole 25 lire. La violenza<br />

sessuale su pupillus o pupilla era punita con la postinazione, cioè la<br />

propagginazione, un supplizio al tempo non frequente, ma ad esempio<br />

presente anche negli statuti quattrocenteschi di Vetralla (III, 17), che<br />

consisteva nel calare il reo a testa in giù in una buca e sotterrarlo vivo,<br />

con conseguente morte per soffocamento 35 . Ma gli statuti di Velletri<br />

decisamente orientati verso la forca.<br />

35<br />

In Toscana questo supplizio nel Quattrocento sembra già desueto: cfr. A.<br />

Zorzi, Rituali e cerimoniali penali nelle città italiane (secc. XIII-XVI), in<br />

Riti e rituali nelle società medievali, a cura di J. Chiffoleau, L. Martines,<br />

A. Paravicini Bagliani, Spoleto 1994, p. 152.


312<br />

Alessandro Dani<br />

(III, 45) prevedevano, più semplicemente, la decapitazione per lo<br />

stupratore e la pena capitis è prevista anche a Ferentino (II, 60).<br />

La procedura per inquisitionem da parte del Senatore o di suoi<br />

giudici poteva essere avviata solo per determinati crimini, come<br />

omicidio, incendio, falsificazione di documenti e monete, furto,<br />

rapina, violenza sessuale, rissa, lesioni gravi, favoreggiamento<br />

in omicidio, per reati commessi in Campidoglio e in certi luoghi<br />

pubblici, nelle chiese o in occasione di certe festività (II, 5). Altri<br />

Comuni coevi, come quello di Rieti (III, 3) consentivano un ben più<br />

largo utilizzo della procedura inquisitoria.<br />

Permane dunque, accanto all’inquisitio, il più risalente iter<br />

dell’accusatio, in cui l’attore doveva farsi carico non solo di iniziare<br />

il processo, ma anche di portare le prove contro l’accusato. La<br />

disciplina rigorosa delle accuse non provate (III, 66-70; 97-98) 36 ,<br />

che comportava di regola per l’attore la condanna a pagare metà<br />

della pena pecuniaria che sarebbe stata applicabile al reo in caso di<br />

condanna, ben illumina sui motivi che concorsero, tra tardo Medioevo<br />

e soprattutto in età moderna, insieme a nuovi propositi repressivi<br />

dei pubblici apparati, all’espansione del modello inquisitorio 37 , al<br />

punto che i giuristi dovettero constatare, come Domenico Zauli nel<br />

commentare gli statuti di Faenza del 1527, «de generali consuetudine<br />

hodie in quibuscumque delictis procedi possit ex officio et sic per<br />

inquisitionem ... maxime quando pars poenae applicanda est fisco» 38 .<br />

La tortura, legata al modello inquisitorio, qui come in genere<br />

ovunque nei Comuni italiani, era riservata a persone malfamate che<br />

già fossero state condannate per gravi delitti come rapina, omicidio,<br />

36<br />

L’accusa non provata è disciplinata anche in vari altri statuti, qui considerati:<br />

cfr. ad es. Viterbo, III, 27.<br />

37<br />

Sul tema cfr. M. Vallerani, La giustizia pubblica medievale, Bologna<br />

2005; G. Diurni, Il Medioevo, in Profilo di storia del diritto penale dal<br />

medioevo alla restaurazione, Lezioni raccolte da M.R. Di Simone, Torino,<br />

2012, pp. 1-30.<br />

38<br />

D. Zauli, Observationes canonicae, civiles, criminales et mixtae non solum<br />

Statutis civitatis Faventiae, sed iuri communi accomodatae, II, Romae<br />

1723 (I ed. Romae 1695), p. 44.


Nota comparativa tra statuto di Roma e altri laziali<br />

313<br />

falsificazione di documenti e monete, incendio, stupro, sodomia,<br />

tradimento, e ciò risultasse dai registri giudiziari comunali (II, 89) 39 .<br />

A Roma, come pressoché ovunque in Italia, in materia penale<br />

l’estensione analogica suppliva alla mancanza di previsione<br />

normativa (II, 126), in una logica che privilegiava la necessità che reati<br />

taciuti dallo statuto non rimanessero impuniti, anziché istanze di tipo<br />

garantista. Altrettanto usuale è la contemplazione, nella commissione<br />

dei reati, di una lunga serie di circostanze di tempo e di luogo, che<br />

implicavano un inasprimento nel doppio della sanzione (II, 131). Tra<br />

queste, da segnalare è quella di aver commesso il reato in occasione<br />

non solo di certe feste, ma anche in occasione dei combattimenti<br />

ludici che si tenevano nel periodo di Carnevale. Troviamo, anche<br />

nella città capitolina del Rinascimento, qualcosa di simile a quelle<br />

pugne o battagliole che appassionavano, ma non senza rischi per<br />

l’incolumità, i cittadini di moltissimi Comuni italiani 40 . A Roma i<br />

39<br />

A Rieti (III, 8), oltre ai delitti citati, si menzionano il taglio di vigne e alberi,<br />

la mutilazione e le ferite al volto tali da lasciare cicatrici. A Ferentino,<br />

oltre ai consueti delitti più gravi, si menzionano il furto con scasso, l’adulterio<br />

e la fornicatio, la distruzione o alterazione di documenti comunali (II,<br />

3). A Tivoli (1522; III, 95) la tortura era riservata solo a soggetti diffamati<br />

per la commissione dei crimini di omicidio, rapina di strada, falsificazioni<br />

e incendio doloso. A Castro e Ronciglione (III, 62) il sospettato poteva<br />

essere sottoposto a tortura solo se pubblico ladrone, cioè rapinatore, «vel<br />

habens malam famam de aliquo maleficio seu delicto» punibile con pena<br />

afflittiva corporale o con multa superiore a 25 fiorini. Limiti alla tortura<br />

erano comunemente indicati anche dai giuristi, ad iniziare da Alberto da<br />

Gandino: cfr. H. Kantorowicz, Albertus Gandinus und das Strafrecht der<br />

Scholastick, II: Die Theorie, Kritische Ausgabe des «Tractatus de Maleficiis»<br />

nebst textkritischer Einleitung, Berlin-Leipzig 1926, p. 82. Più in generale<br />

sull’argomento si vedano P. Fiorelli, La tortura giudiziaria nel diritto<br />

comune, I-II, Milano 1953-1954; M. Sbriccoli, «Tormentum idest torquere<br />

mentem». Processo inquisitorio e interrogatorio per tortura nell’Italia<br />

comunale, in Id., <strong>Storia</strong> del diritto penale e della giustizia. Scritti editi e<br />

inediti (1972-2007), Milano 2009, 1, pp. 111-128.<br />

40<br />

A. A. Settia, La «battaglia»: un gioco violento tra permissività e interdizione,<br />

in Gioco e giustizia nell’Italia di <strong>Comune</strong>, a cura di G. Ortalli,<br />

Treviso-Roma 1993, pp. 121-132; D. Balestracci, La festa in armi. Gio-


314<br />

Alessandro Dani<br />

combattimenti e le altre gare, nel secondo Quattrocento, non erano<br />

proibiti e si imponeva anzi ai designati (retribuiti: III, 75) di non<br />

rifiutare di battersi nei giochi dell’Agone e del Testaccio senza fondato<br />

motivo, pena l’esclusione dalle cariche comunali per cinque anni (II,<br />

54). Dallo statuto (IV, 72-82) emerge una notevole organizzazione<br />

di tali giochi, che dovevano coinvolgere ed appassionare molto i<br />

Romani. Tuttavia i combattimenti simulati fuori del controllo delle<br />

autorità comunali sono duramente sanzionati, specie se organizzati<br />

da nobili e magnati (II, 71), per la loro evidente pericolosità non solo<br />

per l’ordine pubblico ma per la stessa stabilità delle istituzioni e del<br />

governo cittadino.<br />

Anche gli statuti di Viterbo testimoniano la persistente<br />

consuetudine di tali combattimenti (III, 9). Ma qui gli intermezantes<br />

partecipanti alla rixa con bastoni o pietre, anche se ferivano qualcuno<br />

con effusione di sangue, non potevano essere puniti dal Podestà,<br />

sotto la pena consistente di 100 lire. Anche nello statuto di Ferentino<br />

di secondo Quattrocento (II, 53), in quello di Tivoli del 1522 (III, 39-<br />

42) ed in quello cinquecentesco di Velletri (III, 42) fa la sua comparsa<br />

la rixa (bactalia seu rixa è detta nel secondo) e quindi si è indotti a<br />

ritenere che a Roma e presso gli altri Comuni laziali non solo si<br />

apprezzassero molto tali bellicose manifestazioni agonistiche, come<br />

nella vicina Toscana, dove sono attestate da ricca documentazione,<br />

ma qui si fossero conservate ben più a lungo 41 .<br />

Per quanto riguarda le successioni, anche qui si ribadisce la<br />

soluzione – pressoché generale negli statuti – dell’esclusione della<br />

donna già dotata dalla successione ereditaria legittima in concorso<br />

con i fratelli maschi (I, 59, 62) 42 , in deroga al diritto giustinianeo (ed<br />

stre, tornei e giochi del Medioevo, Roma-Bari 2001, pp. 115-128.<br />

41<br />

Mentre in Toscana andarono incontro a drastiche limitazioni e assoluti<br />

divieti già da fine Duecento – inizio Trecento, anche se – è pur vero – con<br />

risultati modesti: cfr A. A. Settia, La «battaglia» cit., pp. 130-131.<br />

42<br />

Cfr. A. Romano, Famiglia, successioni e patrimonio familiare nell’Italia<br />

medievale e moderna, Torino 1994, pp. 42-49; P. Lanaro, G.M. Varanini,<br />

Funzioni economiche della dote nell’Italia centro-settentrionale (tardo<br />

medioevo / inizi età moderna), in La famiglia nell’economia europea.<br />

Secc. XIII-XVIII, a cura di S. Cavaciocchi, Firenze 2009, pp. 81-102.


Nota comparativa tra statuto di Roma e altri laziali<br />

315<br />

in sintonia invece con quello longobardo).<br />

Potrà sorprendere che anche Roma, resistente caposaldo bizantino,<br />

mostri nei suoi statuti tracce precise della cultura giuridica germanica.<br />

La facoltà prevista a favore del danneggiato dall’ingresso di maiali<br />

nelle proprie coltivazioni di uccidere un suino (II, 106) richiama<br />

da vicino una prassi longobarda sancita nell’Editto di Rotari (cap.<br />

349) 43 ed è testimoniata presso vari Comuni laziali ancora in età<br />

rinascimentale e moderna 44 . È il caso di Ferentino (1465 ca; V, 143),<br />

Montopoli di Sabina (1477) 45 , Tivoli (1522; IV, 38) 46 , Palestrina (per<br />

lo statuto cinquecentesco) 47 , Bracciano (in base al coevo statuto) 48 e<br />

Roccamassima (per i Capitoli dei danni dati del 1634) 49 . Si potrebbe<br />

supporre una penetrazione, avvenuta in tempi imprecisabili, di<br />

consuetudini longobarde nei territori pur già inclusi nel Ducato<br />

bizantino di Roma, iscrivibile in quel fenomeno di «infiltrazione<br />

sottile e lenta del diritto barbarico dalle terre circostanti» già noto<br />

43<br />

Monumenta Germaniae Historica, IV: Leges, Hannoverae 1868, p. 80;<br />

cfr. anche il cap. 151 dell’Editto di Liutprando, ibid., pp. 174-175.<br />

44<br />

Ho potuto ciò osservare nella mia ricerca su Il processo per danni dati<br />

cit., pp. 191-194.<br />

45<br />

ASRm, Collezione Statuti, 802.1, III dist., rubr. 11, f. 33r.<br />

46<br />

Qui la possibilità di prendere tre grappoli d’uva nell’altrui vigna (IV, 49)<br />

parimenti sembra potersi ricondurre ad una diffusa consuetudine germanica,<br />

testimoniata, in Italia, dal cap. 296 De ubas dell’Editto di Rotari: «Si<br />

quis super tres uvas de vinea alienam tulerit, conponat solidos sex; nam si<br />

usque tres tulerit, nulla sit illi culpa» (Monumenta Germaniae Historica,<br />

IV, cit., p. 70).<br />

47<br />

ASRm, Collezione Statuti, 818.4, IV dist., rubr. 47, pp. 171-172.<br />

48<br />

Statuta Civitatis Bracchiani, in F.L. Sigismondi, Lo Stato degli Orsini.<br />

Statuti e diritto proprio nel Ducato di Bracciano, con edizione critica del<br />

ms. 162 della Biblioteca del Senato, Roma 2003, p. 276, III dist., rubr. 3.<br />

49<br />

ASRm, Collezione Statuti, 805.16, f. 269v. In questi Comuni, nel caso<br />

che un branco di almeno dieci maiali si fosse introdotto a danneggiare un<br />

fondo, il proprietario leso avrebbe avuto diritto di uccidere un maiale e di<br />

trattenerne metà, lasciando l’altra metà alla locale corte di giustizia.


316<br />

Alessandro Dani<br />

alla storiografia 50 .<br />

Una rubrica del nostro statuto (I, 146) sembra attestare, a<br />

beneficio dei Romani e degli abitanti del distretto, un uso civico di<br />

pesca nel Tevere (ove attraversava il territorio romano) e nel mare<br />

(ovviamente nel tratto prospiciente la costa), con grave multa di 200<br />

lire per i nobili che ostacolassero tale attività (I, 147).<br />

Dettagliata, forse più che altrove, è la normativa riguardante le<br />

paci, miranti ad evitare le vie giudiziarie penali (II, 12-13, 17-18,<br />

25-26). A Roma la pace poteva non solo avvenire, come spesso<br />

accadeva, per atto pubblico, ma anche con certi gesti rituali, come<br />

un bacio sulla bocca o un brindisi tra le parti (II, 25). Lo statuto si<br />

premura di sanzionare in modo durissimo anche il mancato rispetto<br />

delle pacificazioni in queste forme, con la quadruplicazione della<br />

pena che si sarebbe potuta applicare al reo in prima istanza.<br />

In conclusione, lo statuto mostra un <strong>Comune</strong> in tutto espressione<br />

della civiltà comunale italiana medievale, ancora connotato da certi<br />

marcati tratti popolari superstiti, con potestà e prerogative tipiche<br />

delle maggiori realtà urbane. La vicinanza del Sovrano pontefice<br />

non sembra aver compromesso, limitato eccessivamente o snaturato<br />

l’ordinamento comunale, almeno a livello di normativa statutaria.<br />

Del resto, per prevenire indesiderate ingerenze si precisa che nessun<br />

ecclesiastico potesse ricoprire cariche comunali (III, 18). Si noti<br />

anche che Roma aveva un suo districtus, con comunità soggette 51 , in<br />

un quadro di fedeltà non troppo dissimile da quelli delle Repubbliche<br />

cittadine del tempo non soggette al potere temporale del Papa.<br />

Certo occorrerà poi valutare, attraverso le altre fonti superstiti –<br />

per quanto possibile – l’eventuale incidenza di prassi, consuetudini,<br />

desuetudini, normative di altro livello formatesi al di fuori dello<br />

statuto e dunque rilevanti per valutare l’effettiva, integrale,<br />

applicazione di questo. Un problema consistente, che non può qui<br />

che essere lasciato del tutto aperto.<br />

50<br />

F. Calasso, Medioevo del diritto, I: Le fonti, Milano 1954, p. 241.<br />

51<br />

Lo statuto romano (II, 20) prevede anche una forma di ‘responsabilità<br />

oggettiva’ a carico delle comunità del distretto per le rapine commesse nel<br />

loro territorio di pertinenza.


Nota comparativa tra statuto di Roma e altri laziali<br />

317<br />

Per il resto, come abbiamo visto, si può dire che lo statuto di<br />

Roma è più corposo e complesso di quelli delle altre città laziali<br />

esaminati, ma meno ordinato; che con quelli non presenta aspetti<br />

di particolare similitudine, se non nei tratti più generali comuni un<br />

po’ a tutta la produzione statutaria nei territori italiani e nel carattere<br />

politico popolare.<br />

Se la normativa civilistica è più articolata di quelle delle altre città<br />

laziali, probabilmente per la maggiore presenza di tecnici del diritto<br />

(attestata dallo statuto stesso), la materia penale, nella sua durezza, è<br />

in linea con quella degli altri statuti, ma diversa nelle soluzioni, dato<br />

che fa escludere un processo di compiuta uniformazione 52 . Forse<br />

quella romana è leggermente meno aspra di quella di altri Comuni<br />

e vi erano, come abbiamo visto, precisi limiti al procedimento<br />

inquisitorio ed all’uso della tortura.<br />

Non si riscontra, né nei contenuti, né nell’indicazione delle fonti<br />

suppletive, una maggiore influenza del diritto canonico, anche se su<br />

questo aspetto – e non solo su questo – occorrerebbero studi sulle<br />

pronunce giudiziarie del tribunale capitolino.<br />

Questi statuti, ad un sommario confronto con quelli delle realtà<br />

urbane vicine, confermano quindi l’opinione, del resto ormai<br />

pienamente maturata nella storiografia, che Roma non fu affatto<br />

estranea al panorama comunale italiano, come talvolta si è ritenuto<br />

in passato. Essi testimoniano di quel panorama una ennesima,<br />

peculiare, manifestazione, con forme suggerite soprattutto dal<br />

contesto politico romano trecentesco. Forme, come abbiamo visto,<br />

nitidamente popolari, che si preferirà nelle redazioni successive<br />

rispettare, riproducendole, lasciando però tutto aperto il problema<br />

storico del loro – almeno apparente – anacronismo.<br />

52<br />

Nel Quattrocento, come ancora in seguito per tutta l’età moderna, ogni<br />

<strong>Comune</strong> poteva decidere con quali pene punire i reati, come strutturare il<br />

processo, come disciplinare il regime probatorio, pur nel rispetto di certi<br />

princìpi basilari indicati dai giuristi come di diritto naturale o di diritto<br />

divino e delle leggi pontificie che fossero intervenute a regolare questo o<br />

quell’aspetto.


Francesca Pontri<br />

L’ indagine sui manoscritti statutari<br />

«Il libro manoscritto, nella sua materialità<br />

sia come prodotto artigianale che come<br />

prodotto culturale, forse più di ogni<br />

“reperto” archeologico è espressione<br />

complessa, polivalente e completa di una<br />

civiltà 1 ».<br />

Oggetto della mia indagine, nell’ambito del progetto “<strong>Storia</strong><br />

<strong>Comune</strong>”, sono stati i manoscritti degli Statuti storici comunali.<br />

Manoscritti che sono stati appunto studiati sia come manufatti<br />

realizzati in uno specifico contesto, sia come testimonianze della<br />

comunità all’interno della quale vissero. Gli Statuti nacquero<br />

infatti per regolare la vita quotidiana del popolo, di conseguenza<br />

tutti dovevano conoscere il contenuto delle norme. Ancor meglio,<br />

agli stessi cittadini era garantito l’accesso al testo statutario. Ciò<br />

è senz’altro vero nel caso di Alatri, il cui Statuto si apre con una<br />

disposizione che imponeva di realizzare due copie del testo, una<br />

in carta da conservare nella cassaforte del <strong>Comune</strong> e l’altra in<br />

pergamena da lasciare a disposizione di chi volesse consultarla.<br />

Questo assolveva a una doppia funzione: se da un lato si garantiva la<br />

pubblica consultazione delle norme, dall’altro si proteggeva il testo<br />

da manomissioni e frodi, in quanto la copia custodita in cassaforte<br />

avrebbe sciolto ogni dubbio sull’autenticità di quanto in essa<br />

disposto.<br />

La prima fase del lavoro è stata quella di individuare tutti i codici<br />

contenenti il testo statutario per ogni singolo <strong>Comune</strong> aderente al<br />

Sistema bibliotecario e documentario della Valle del Sacco. Uno<br />

strumento fondamentale in questa fase sono stati i repertori di<br />

1<br />

La citazione è tratta da M. L. Agati, Il libro manoscritto: introduzione<br />

alla codicologia, Roma 2003, p. 177.


320<br />

Francesca Pontri<br />

Statuti, primo tra tutti quello compilato nel 1993 a cura del gruppo<br />

“Guido Cervati” dell’Università LUISS di Roma 2 . A più di venti<br />

anni di distanza dalla fine della ricerca, si può peraltro felicemente<br />

constatare che ulteriori passi avanti sono stati fatti nel rintracciare<br />

testimonianze manoscritte, non segnalate nel volume in quanto<br />

frutto di ritrovamenti fortuiti successivi a riordinamenti e ricerche<br />

di studiosi. Il supporto degli storici, locali e non, è stato infatti<br />

fondamentale per integrare le informazioni emerse dalle ricerche<br />

bibliografiche.<br />

Il nucleo di manoscritti statutari più numeroso è stato rintracciato<br />

nella Collezione degli Statuti dell’Archivio di Stato di Roma.<br />

Cominciata nel XVIII secolo, questa raccolta fu inizialmente<br />

conservata presso la Segreteria della Sacra Congregazione del Buon<br />

Governo. Durante il secolo successivo la collezione fu notevolmente<br />

ampliata, in particolar modo grazie all’operato di Teodolfo Mertel,<br />

allora Ministro per gli Affari Interni dello Stato Pontificio. Costui<br />

infatti, nel 1856, scrisse a tutti i Comuni chiedendo l’invio di una copia<br />

dello Statuto storico locale, riuscendo ad ottenere solo in quell’anno<br />

ben 260 esemplari, tra cui manoscritti copiati per l’occasione e<br />

volumi a stampa. Attualmente l’insieme consta di 750 manoscritti, 7<br />

incunaboli e 226 secentine, per un totale di 2029 Statuti.<br />

Altra raccolta di fondamentale importanza è la Collezione degli<br />

Statuti della Biblioteca del Senato, numericamente più ricca di quella<br />

dell’Archivio di Stato, ma meno rappresentativa della circoscrizione<br />

territoriale presa in esame. Avviato nel 1870 con l’acquisto di un<br />

gruppo di 644 Statuti di proprietà dell’avvocato Francesco Ferro,<br />

l’ensemble è cresciuto negli anni grazie agli acquisti fatti sul mercato<br />

librario e dalle collezioni private, fino a raggiungere il totale di 779<br />

manoscritti, 39 incunaboli e 3741 copie a stampa.<br />

In entrambi i casi le raccolte romane si sono rivelate assai preziose,<br />

soprattutto nei casi in cui rappresentano le uniche custodi di testi<br />

altrimenti perduti. Basta qui menzionare il caso di Pofi, il cui unico<br />

testimone esistente dello Statuto si trova attualmente nell’Archivio<br />

2<br />

Statuti cittadini, rurali e castrensi del Lazio: repertorio, sec. XII-XIX,<br />

ricerca diretta da P. Ungari, Roma 1993.


L’indagine sui manoscritti statutari<br />

321<br />

di Stato di Roma. Oppure il caso peculiare di Fiuggi, del cui Statuto<br />

si era persa traccia alla metà del XX secolo, salvo poi ritrovarne una<br />

copia integra presso la Biblioteca del Senato.<br />

Alcuni manoscritti recanti le norme statutarie sono stati reperiti<br />

nell’Archivio di Stato di Frosinone, in modo particolare nella sezione<br />

di Anagni-Guarcino, all’interno di una Collezione degli Statuti<br />

certamente meno ricca di quelle romane, ma nella quale tuttavia si<br />

possono trovare esemplari pregevoli.<br />

Altri istituti presso cui si conservano i manoscritti statutari sono<br />

gli Archivi storici comunali: depauperati nel secolo scorso a causa<br />

delle vicende belliche o di furti mirati, presso alcuni di essi sono<br />

tuttavia ancora custodite le antiche leggi che governarono piccole e<br />

grandi comunità.<br />

Di fondamentale importanza ai fini del censimento dei codici<br />

si sono infine rivelate le raccolte private: il ricchissimo Archivio<br />

Colonna, depositato presso l’Abbazia di Santa Scolastica di Subiaco,<br />

nel quale si conservano numerose compilazioni relative ai feudi da<br />

essi amministrati; parimenti la Biblioteca Molella di Alatri, presso la<br />

quale sono custoditi il maggior numero di esemplari degli Statuti di<br />

Alatri e del piccolo insediamento di Tecchiena a oggi esistenti.<br />

L’analisi codicologica dei manoscritti recanti gli Statuti storici<br />

comunali costituisce un momento fondamentale e necessario prima<br />

di procedere allo studio di quanto in essi contenuto. Questo perché<br />

è indispensabile verificare che il manufatto, in quanto contenitore<br />

di testo, non sia stato interpolato o manomesso nel corso della sua<br />

esistenza. Soltanto verificando l’integrità degli elementi costitutivi<br />

del codice, infatti, si può accertare la completezza del testo,<br />

perlomeno da un punto di vista materiale.<br />

I manoscritti degli Statuti dei Comuni aderenti al progetto si<br />

collocano in un arco temporale che spazia dalla fine del XIII alla<br />

seconda metà del XIX secolo. L’esemplare più antico è un frammento<br />

membranaceo dello Statuto di Anagni, contenente alcune rubriche<br />

del libro sul diritto penale. Di poco posteriore è l’esemplare più<br />

peculiare della raccolta: si tratta di una lunga striscia di pergamena<br />

di circa un metro di lunghezza e 15 cm di larghezza. Il documento,<br />

redatto in forma di atto notarile, è datato 1331 e contiene i 63 capitoli


322<br />

Francesca Pontri<br />

dello Statuto di Ripi. Il manoscritto più recente è invece una copia<br />

tardo-ottocentesca dello Statuto di Alatri, conservata presso la<br />

Biblioteca Molella.<br />

I codici statutari presentano caratteristiche e peculiarità diverse<br />

tra loro. Una prima distinzione formale è costituita dal tipo di<br />

governo del territorio negli anni di vigenza delle norme statutarie.<br />

Si è infatti rilevato che gli Statuti delle libere città, quali Alatri,<br />

Anagni, Ferentino e Veroli, presentano una maggiore articolazione<br />

delle norme di organizzazione amministrativa e una più complessa<br />

casistica dell’ordinamento giudiziario rispetto alle comunità<br />

castrensi. Quanto a queste, in alcuni casi quali gli Statuti di Patrica<br />

e di Serrone, ciò che si conserva sono unicamente le norme relative<br />

al danno dato, forse facenti parte di un corpus più ampio, ma del<br />

quale non si hanno evidenze certe. La partizione canonica all’interno<br />

dei testi, per quanto riguarda la zona di riferimento che come già<br />

enunciato è quella della Valle del Sacco, comprende 4 o 5 Libri.<br />

Essi vertono sull’amministrazione, il diritto e la procedura civile, il<br />

diritto e la procedura penale, il danno dato ossia il danno arrecato<br />

alle coltivazioni da animali o persone, e infine gli extraordinaria,<br />

cioè tutti quei casi che non trovano posto all’interno degli altri gruppi<br />

e contengono solitamente norme sul commercio, il macello delle<br />

carni, gli ebrei, ecc. La maggior parte dei codici esaminati presenta<br />

sostanzialmente queste suddivisioni, sebbene non manchino i casi in<br />

cui le norme sono scritte in maniera continua in una sorta di elenco:<br />

è questo il caso di Acuto, Castro dei Volsci, Ripi, Tecchiena.<br />

Nello studio dei manoscritti un ruolo di rilievo si attribuisce alla<br />

distinzione tra la data del testo – come compilazione normativa – e<br />

la data del manufatto come contenitore, le quali non sempre, e non<br />

necessariamente, coincidono. Lo Statuto è infatti un organismo in<br />

evoluzione, che subisce delle modifiche nel corso della sua storia.<br />

Non è insolito pertanto che un manoscritto ottocentesco contenga<br />

un testo approvato e confermato alcuni secoli prima. Nei casi in cui<br />

il codice non presenta sottoscrizioni e datazioni, è stato necessario<br />

attribuire al codice una datazione in base a elementi paleografici (la<br />

scrittura). Un grande aiuto per datare il testo è stato inoltre fornito dai<br />

proemi presenti nell’incipit di molti esemplari, nei quali sono spesso


L’indagine sui manoscritti statutari<br />

323<br />

riportati accenni alle sorti subite dai manoscritti. Si può citare a puro<br />

titolo di esempio il caso di Paliano: nell’introduzione si narra di un<br />

incendio avvenuto prima del 1531 che avrebbe distrutto lo Statuto<br />

esistente, rendendo necessaria una nuova compilazione scritta dai<br />

Capitani del Popolo su invito di Ascanio Colonna.<br />

Elemento non trascurabile nell’analisi dei vari testimoni è stata la<br />

presenza o meno di conferme e di sottoscrizioni. Queste ultime, in<br />

particolare, garantiscono l’autenticità del testo mediante apposizione<br />

di segni di roborazione quali sigilli o timbri da parte di notai,<br />

governatori e Signori locali. Nei codici analizzati, relativamente agli<br />

Statuti dei Comuni compresi nel feudo Colonna, si sono riscontrate<br />

forti analogie di date e di firme, segnale di un controllo centralizzato<br />

da parte della Eccellentissima Casa. A titolo di esempio si può citare<br />

la norma aggiunta nel 1610 da Marcantonio IV Colonna con la quale<br />

si proibisce di vendere beni ai forestieri. Questa disposizione si<br />

ritrova identica in calce agli Statuti di Castro dei Volsci, Morolo,<br />

Paliano, Pofi e Supino.<br />

In questo lavoro l’opera di catalogazione dei manoscritti è stata<br />

condotta sulla base delle indicazioni contenute nella Guida a una<br />

descrizione uniforme dei manoscritti e al loro censimento, pubblicata<br />

dall’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane<br />

e per le informazioni bibliografiche nel 1990, successivamente<br />

aggiornate nelle Norme per la descrizione uniforme dei manoscritti<br />

in alfabeto latino emanate dallo stesso Istituto nel 2000. Strumenti<br />

di lavoro importanti sono stati l’articolo di Emanuele Casamassima<br />

Note sul metodo della descrizione dei codici, nonché il volume di<br />

Armando Petrucci La descrizione del manoscritto: storia, problemi,<br />

modelli.<br />

L’analisi paleografica e codicologica dei manoscritti è stata<br />

condotta prendendo come riferimento gli insegnamenti contenuti<br />

in Breve storia della scrittura latina di Armando Petrucci e in<br />

Archeologia del manoscritto: metodi, problemi, bibliografia recente<br />

di Marilena Maniaci.<br />

Il lessico adottato nella descrizione è quello proposto in<br />

Terminologia del libro manoscritto di Marilena Maniaci, laddove


324<br />

Francesca Pontri<br />

per foglio si intende l’insieme costituito da due carte solidali 3 .<br />

Nelle singole schede la voce nominata Specchio Rigato riporta<br />

le dimensioni rilevate sui codici secondo lo schema proposto nella<br />

Guida a una descrizione uniforme dei manoscritti già citata 4 .<br />

3<br />

I testi citati nel paragrafo sono: Guida a una descrizione uniforme dei<br />

manoscritti e al loro censimento, a cura di V. Jemolo e M. Morelli, Roma<br />

1990; Norme per la descrizione uniforme dei manoscritti in alfabeto latino,<br />

Roma 2000; E. Casamassima, Note sul metodo della descrizione dei codici,<br />

in Rassegna degli Archivi di Stato, 23 (1963), pp. 181-205; A. Petrucci, La<br />

descrizione del manoscritto: storia, problemi, modelli, Roma 2001 2 ; Id.,<br />

Breve storia della scrittura latina, Roma 1989; M. Maniaci, Archeologia<br />

del manoscritto: metodi, problemi, bibliografia recente, Roma 2002; Ead.,<br />

Terminologia del libro manoscritto, Roma 1996.<br />

4<br />

Cfr. Guida a una descrizione uniforme dei manoscritti e al loro censimento,<br />

cit., pp. 30-32.


STATUTI DI ACUTO<br />

Governato da condòmini per alcuni secoli, nel 1179 il castrum<br />

di Acuto fu acquistato per metà dal capitolo della cattedrale di<br />

Anagni nella persona del vescovo Asraele, mentre l’altra metà era di<br />

proprietà di Loffredo di Vetulo, Guido arciprete e Pietro d’Amato. Il<br />

secolo seguente il castello fu dato in enfiteusi a Ilderico di Giudice,<br />

nobile anagnino, il quale fu però cacciato da Alessandro III per via<br />

del suo dispotismo. Tutto il possedimento fu quindi posto, nel 1258,<br />

sotto il dominio diretto della cattedrale di Anagni. I Conti di Segni<br />

se ne impadronirono nel 1430, ma lo scambiarono pochi anni dopo<br />

con un altro feudo. Da quel momento fu di proprietà del vescovo di<br />

Anagni 1 .<br />

Uno Statuto esisteva già prima del 1532, anno in cui fu accurate<br />

et fideliter trascritto e sottoscritto dal notaio Prospero de Lutiis di<br />

Piglio, come si può leggere in calce al primo gruppo di 189 norme<br />

della compilazione statutaria. Negli anni seguenti furono aggiunti<br />

altri 8 capitoli, mentre nel 1563 si introdussero le Constitutiones,<br />

ossia 4 capitoli sul pascolo delle bestie armentizie. Le sottoscrizioni<br />

seguenti sono relative al 1566 e al 1710, quest’ultima originale<br />

e corredata di sigillo aderente del vescovo di Anagni. Nella<br />

sottoscrizione settecentesca si menziona, tra le altre cose, un<br />

incendio che avrebbe distrutto lo Statuto (combustione originalium<br />

Statutorum) nei primi anni del XVIII secolo, circostanza che avrebbe<br />

portato alla necessità per l’amministrazione di avere un’altra copia<br />

del testo, fedele all’originale e approvata dal vescovo.<br />

In base a documenti da lui rinvenuti presso l’Archivio della Sacra<br />

Congregazione del Buon Governo, lo storico Mario Ticconi ipotizza<br />

che nel 1704 dovessero esserci presso il <strong>Comune</strong> di Acuto due copie<br />

1<br />

Brevi notizie storiche si possono leggere in E. Martinori, Lazio turrito:<br />

repertorio storico ed iconografico di torri, rocche, castelli e luoghi muniti<br />

della provincia di Roma: ricerche di storia medioevale, Roma 1933,<br />

1, pp. 43-44; G. Silvestrelli, Città castelli e terre della regione romana:<br />

ricerche di storia medioevale e moderna sino all’anno 1800, Roma 1993,<br />

1, pp. 90-91.


326<br />

Francesca Pontri<br />

degli Statuti. Una sarebbe stata distrutta dal fuoco, mentre la seconda<br />

sarebbe da identificarsi in quella attualmente conservata presso il<br />

locale Archivio storico comunale. Quest’ultima sarebbe quindi stata<br />

copiata qualche anno prima, e poi solamente approvata dal vescovo<br />

Bassi nel 1710 2 .<br />

Sandro Notari ha avanzato un’altra ipotesi, ritenendo che il<br />

vescovo Giovanbattista Bassi tenesse presso di sé, ad Anagni, una<br />

copia dello Statuto e che da quella siano state copiate le altre 3 .<br />

Dal manoscritto dell’Archivo storico comunale di Acuto sarebbe<br />

stato tratto, nel 1856, l’esemplare conservato presso l’Archivio di<br />

Stato di Roma con la segnatura 793/01. Un indizio della derivazione<br />

si può rintracciare nella sottoscrizione finale, laddove il copista del<br />

codice romano omette di copiare, lasciando spazi bianchi, le stesse<br />

parole che nel codice acutino non erano state “ripassate”. Questa<br />

operazione, come si legge sul verso della carta di guardia anteriore<br />

del manoscritto di Acuto, fu effettuata da Filippo Pompili nel 1821<br />

perché in molti punti la scrittura non era più leggibile.<br />

L’altra copia romana, invece, sarebbe stata esemplata tra gli anni<br />

1758-1766, anni di coincidenza tra il pontificato di Clemente XIII<br />

e il vescovo Domenico Monti i cui stemmi, corredati delle insegne<br />

cittadine, si trovano dipinti in apertura di codice. Al di sotto della<br />

cornice che contiene gli emblemi si legge la data 1762, anno al quale<br />

si può attribuire quantomeno la decorazione. La realizzazione di<br />

questo manoscritto sarebbe stata, secondo Ticconi, sollecitata dalla<br />

Curia vescovile; l’opera tuttavia non sarebbe stata portata a termine<br />

come stabilito, come si rileva dalla presenza di tre mani diverse di<br />

scrittura. La copia si interruppe forse nel 1760, quando il vescovo<br />

Monti che aveva richiesto il codice fu trasferito ad Urbino, per<br />

finire nel dimenticatoio dal quale venne recuperato in un secondo<br />

momento. Ciò avvenne forse proprio nel 1856, in coincidenza con<br />

la richiesta del cardinale Mertel di inviare una copia dello Statuto<br />

2<br />

M. Ticconi, Acuto: la storia, lo “Statuto”, gli usi e il costume, Acuto<br />

2003, pp. 128-130.<br />

3<br />

Ciò è quanto affermato dal prof. Notari nel corso di una conferenza sugli<br />

Statuti storici acutini tenutasi il 16 dicembre 2016 in Acuto.


Statuti di Acuto<br />

327<br />

locale per ogni comunità dello Stato Pontificio. L’esemplare sarebbe<br />

stato portato a termine utilizzando il codice acutino come antigrafo.<br />

Il codice, dalla veste più elegante, sarebbe poi stato inviato a Roma<br />

insieme alla copia realizzata per l’occasione nel 1856 4 .<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Acuto, Archivio<br />

storico comunale, Preunitario, b. 1, reg. 1.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: 3 ottobre 1710 (datazione espressa a c. 39v).<br />

ORIGINE: Acuto.<br />

MATERIA: membranaceo; le guardie sono di reimpiego (resti di<br />

decorazione); cartacee le controguardie.<br />

CARTE: I, 44, II; paginazione a penna, coeva alla scrittura,<br />

nell’angolo superiore esterno di ogni pagina che parte da 1 a c. 1r e<br />

arriva a 86 a c. 43v; la c. 44 e le guardie non sono numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 210 × 163 (c. 9).<br />

FASCICOLAZIONE: I-XI 4 (cc. 1-44); i fascicoli iniziano tutti con il<br />

lato carne, la regola di Gregory è ovunque rispettata.<br />

RIGATURA: a inchiostro, talvolta limitata alle rettrici, in più punti<br />

sbiadita.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 9r) A 12, B 183, C 210, a 17, i 138, l 163<br />

mm.<br />

RIGHE: 30 righe per 30 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 9r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: ovunque presenti sia sul recto che sul verso delle carte<br />

nel margine inferiore destro (tranne le cc. 9r, 38r-41v e 42v-43v).<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

4<br />

M. Ticconi, Acuto: la storia, lo “Statuto”, gli usi e il costume, cit., pp.<br />

132-135.


328<br />

Francesca Pontri<br />

esibisce una scrittura corsiva ad inchiostro marrone; una seconda<br />

mano, posteriore, ha ripassato la scrittura in quanto sbiadita e non<br />

più leggibile, imitando i caratteri sottostanti (operazione effettuata<br />

da Filippo Pompili nel 1821, come si legge sul verso della guardia<br />

anteriore).<br />

DECORAZIONE: resti del disegno acquerellato di uno stemma<br />

cardinalizio (non identificabile) nella parte superiore della coperta di<br />

pergamena; tracce di colore nelle controguardie cartacee; ghirigoro<br />

a penna nel bas-de-page di c. 35r.<br />

SIGILLI E TIMBRI: sigillo aderente coperto con un foglietto di carta<br />

a c. 39v, recante le insegne del vescovo Giovanni Battista Bassi.<br />

LEGATURA: 215 × 170 mm; legatura in pergamena di reimpiego<br />

su assi di cartone, cucitura su 5 nervi di pelle con filo di cotone<br />

chiaro; su entrambi i piatti la scritta “Statuto di Acuto” a inchiostro<br />

marrone; sul dorso i resti di una scritta che potrebbe recitare “Acutinę<br />

Comunitatis Statutum”; resti di scritture e di numeri poco leggibili<br />

sui piatti.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: fori di tarlo e macchie sparse; il<br />

codice è stato rifilato in un momento imprecisato, forse quando la<br />

scrittura è stata ripassata (resti di scritture rifilate a c. 39v); la coperta<br />

rischia il distacco dal corpo del codice.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 39v recita<br />

“Datum Acuti ex Palatio Baronali / hac die 3 Octobris 1710 /<br />

Jo(hanne) Baptista Episcopus Anagnię et Domi(nu)s Acuti”.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: integrazioni marginali di mano del<br />

copista alle c. 22r e 41r; maniculae e ghirigori sparsi nel testo.<br />

VARIA: nel verso della guardia anteriore la menzione “Vetus<br />

Acutinę Com(uni)tatis / Statutum / Presentibus abrogatum legibus /<br />

anno salutis 1821 / mediocriter restitutum / ut grati animi memoria<br />

/ Posteris remaneat / Per opera di Filippo Pompili riassunse / la<br />

scrittura sull’originale / non più legibile”.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Capitula et Statuta<br />

Antiqua reformata et alia / noviter facta”. Il testo dello Statuto è<br />

in latino e le 197 rubriche in esso contenute sono contrassegnate da<br />

numeri romani e arabi contemporaneamente.


Statuti di Acuto<br />

329<br />

Le norme statutarie sono comprese tra le cc. 1r-37v; a c. 38r-v<br />

sono presenti i 4 capitoli delle “Constitutiones de novo editę per /<br />

Universitatem Castri Acuti / super bestiis armenticiis”. Seguono le<br />

approvazioni dei Vescovi di Anagni parte in italiano, parte in latino,<br />

relative agli anni 1563, 1566 e 1710. L’ultima parte del manoscritto è<br />

occupata dalla “Tabula omnium contentorum” alle cc. 40r-43v, nella<br />

quale i capitoli sono contrassegnati da cifre arabe e dall’indicazione<br />

del foglio in cui si trovano nell’antigrafo.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 939.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: seconda metà del XVIII secolo (il vescovo di Anagni<br />

Domenico Monti, il cui stemma è dipinto a c. 1r, mantenne la carica<br />

dal 1750 al 1766).<br />

ORIGINE: probabilmente Acuto.<br />

MATERIA: membranaceo (cartacee le guardie) .<br />

FILIGRANA: presente nelle carte di guardia, giglio inscritto in un<br />

tondo (simile a Briquet 7098).<br />

CARTE: I, 50, II; paginazione a penna coeva alla scrittura nell’angolo<br />

superiore esterno di ogni pagina che parte da 1 a c. 2r e arriva a 71 a<br />

c. 37r; il resto delle carte non è numerato.<br />

DIMENSIONI: mm 273 × 195 (c. 2).<br />

FASCICOLAZIONE: I-V 8 (cc. 1-40), VI 6 (cc. 41-46), VII 4 (cc. 47-<br />

50); il primo fascicolo comincia con il lato carne ma la regola di<br />

Gregory non è rispettata.<br />

RIGATURA: a matita, soltanto le linee di giustificazione; dalla c.<br />

23r si incontra una linea di giustificazione doppia a sinistra; le rettrici<br />

sono tracciate solo sporadicamente.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 21r) A 20, B 250, C 270, a 34, i 175, l 195<br />

mm; (c. 29r) A 15, B 255, C 270, a 15, i 183, l 195 mm.


330<br />

Francesca Pontri<br />

RIGHE: nelle carte che presentano le rettrici le linee di scrittura sono<br />

30 su 30 righe (c. 19r); negli altri casi si arriva fino a 34 linee di<br />

scrittura (c. 29r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: irregolarmente presenti, sia sul recto che sul verso delle<br />

carte.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da tre mani diverse che<br />

esibiscono tutte una corsiva, molto posata la prima (cc. 2r-21v l. 22),<br />

rigida e compatta la seconda (21v l. 22-25), più inclinata e corrente<br />

la terza (cc. 22r-40r); l’inchiostro varia dal marrone al nero.<br />

DECORAZIONE: c. 1r riccamente decorata con gli stemmi a colori<br />

di papa Clemente XIII (più grande), del vescovo di Anagni signore di<br />

Acuto (probabilmente di Domenico Monti) e del <strong>Comune</strong> di Acuto.<br />

LEGATURA: 285 × 210 mm; legatura in piena pergamena su assi<br />

di cartone, cucitura su 4 nervi con filo di cotone chiaro; sul piatto<br />

anteriore “STATUTO / ACUTINO” in lettere capitali e uno svolazzo<br />

a inchiostro nero; resti di scritture poco leggibili sul piatto anteriore<br />

e posteriore.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume non è stato mai restaurato,<br />

in genere discretamente conservato.<br />

VARIA: acclusa al codice una Notificazione a stampa del <strong>Comune</strong> di<br />

Acuto sul pascolo del bestiame caprino del 22 luglio 1860.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 2r è “Liber Statutorum<br />

/ Acuti”. Il testo dello Statuto è in latino, mentre le rubriche non<br />

sono numerate, ad eccezione delle prime tre contrassegnate da<br />

numeri romani. Le norme statutarie occupano le cc. 2r-35v; a c. 36r<br />

cominciano le “Constitutiones de novo editę / per Universitatem<br />

Castri Acuti super / bestiis armenticiis”, 4 capitoli che terminano<br />

alla c. 37r con l’approvazione del vescovo Michele Torelli di Anagni<br />

del 23 agosto 1566. Chiude il manoscritto, alle cc. 38r-40r, l’indice<br />

incompleto delle rubriche (solo 93) contrassegnate da cifre arabe e<br />

dall’indicazione saltuaria del foglio in cui si trovano nell’antigrafo.


Statuti di Acuto<br />

331<br />

CODICE 3<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 793/01.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: lo Statuto di Acuto è legato con<br />

altri manoscritti in un volume composito; delle linguette laterali in<br />

pergamena permettono di individuare i vari testi secondo l’ordine<br />

attribuito nell’indice posto all’inizio del volume.<br />

DATAZIONE: 10 luglio 1856 (datazione espressa a c. 77v).<br />

ORIGINE: probabilmente Acuto.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 77 carte; paginazione a penna coeva alla scrittura nell’angolo<br />

superiore esterno delle cc. 1r-2r; da c. 2v la paginazione prosegue<br />

ma a matita e di mano moderna, che arriva a 154 alla c. 77v.<br />

DIMENSIONI: mm 205 × 140 (c. 7).<br />

FASCICOLAZIONE: I-II 12 (cc. 1-24), III-IV 4 (cc. 25-32), V-VI 6<br />

(cc. 33-44), VII 12 (cc. 45-56), VIII 6 (cc. 57-62), IX 12 (cc. 63-74),<br />

X 4-1 (cc. 75-77, c. 75 senza riscontro); in generale la verifica della<br />

fascicolazione è complessa per la forte presenza di talloni ai quali<br />

sono incollate le carte.<br />

RIGATURA: a matita, molto irregolare, spesso limitata alle sole<br />

linee di giustificazione; in alcune carte la linea di giustificazione è<br />

doppia, senza motivo apparente.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 7r) A 12, B 200, C 205, a 24, i 130, l 140<br />

mm.<br />

RIGHE: nelle carte che presentano le rettrici le linee di scrittura sono<br />

23 su 23 righe (c. 1r); negli altri casi si varia dalle 27 (c. 13r) alle 31<br />

(c. 2r) linee di scrittura.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: ovunque presenti nel margine inferiore interno del<br />

verso di ogni carta di mano del copista (tranne c. 28v dove manca e<br />

c. 45v dove è stato asportato dalla rifilatura).<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro marrone.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro tondo a inchiostro nero del Priore della


332<br />

Francesca Pontri<br />

Communita’ di Acuto contenente la tiara papale e le chiavi decussate<br />

alla c. 77v, apposto accanto alla sottoscrizione del priore Giuseppe<br />

Anagni.<br />

LEGATURA: 235 × 175 mm; legatura in mezza pergamena su assi<br />

di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni dell’arancio, del<br />

rosso e del nero; cantonali in pergamena; cucitura su 6 nervi con filo<br />

di cotone chiaro; il dorso è decorato con uno stemma impresso in<br />

oro di Pio IX e un riquadro di pelle marrone con la scritta STATUTA<br />

/ URBIUM / ET OPPID. in lettere capitali dorate.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume non è stato mai restaurato.<br />

I margini della coperta sono molto consumati; le controguardie sono<br />

a rischio distacco come molti fascicoli all’interno del volume; i bordi<br />

delle carte sono molto sgualciti.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 77v recita<br />

“Finis / Laudes Deo / 10 Luglio 1856 / Per Copia Conforme / al Suo<br />

Originale / Il Priore / Giuseppe Anagni”.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: numerose rasure di porzioni del<br />

testo sulle quali lo stesso copista riscrive la lezione corretta; manicula<br />

a c. 30r.<br />

VARIA: le cifre 20 e 1592 scritte a matita nel margine superiore di<br />

c. 1r.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Acuto / Capitula, et<br />

Statuta Antiqua reforma/ta, et alia noviter facta”. Il testo dello<br />

Statuto, compreso tra le cc. 1r-68r l.16, è in latino e le 197 rubriche<br />

in esso contenute sono contrassegnate da numeri romani. Alla c. 68r<br />

l.17 cominciano le “Constitutiones de novo editę per / Universitatem<br />

Castri Acuti / super bestiis armenticiis”, che terminano alla c. 70r.<br />

Si prosegue con approvazioni e conferme da parte dei vescovi di<br />

Anagni parte in italiano, parte in latino, relative agli anni 1563, 1566<br />

e 1710. L’ultima sezione del manoscritto è occupata dalla “Tabula<br />

omnium contentorum” alle cc. 71v-77v, nella quale i capitoli sono<br />

contrassegnati con cifre arabe e romane (secondo un criterio non<br />

uniforme) e dall’indicazione del foglio in cui si trovano nell’antigrafo.


333<br />

STATUTI DI ALATRI<br />

Sede vescovile almeno dal VI secolo d. C., l’ernica cittadina fu<br />

prevalentemente governata come libero <strong>Comune</strong>. Nel 1245 i suoi<br />

abitanti attaccarono Ferentino, ma ne vennero cacciati; l’aggressione<br />

costò alla città la requisizione del castello di Tecchiena e di Trivigliano<br />

da parte di Innocenzo IV. Nel corso del XIII secolo Alatri visse un<br />

periodo di splendore culturale ed economico, grazie anche alla figura<br />

di Gottifredo di Raynaldo, cardinale diacono di S. Giorgio al Velabro,<br />

al quale la città diede i natali e che egli governò come podestà<br />

dal 1286 al 1287. Nel 1323 Alatri fu conquistata da Francesco di<br />

Ceccano; durante il periodo avignonese rimase fedele al Papato ma<br />

subì le angherie dei Caetani, circostanza che portò alla presa della<br />

città da parte dei Conti di Segni, ai quali fu successivamente tolta<br />

nel 1390 per essere governata direttamente dallo Stato Pontificio<br />

per mezzo di un Vicario. All’inizio del XV secolo la città fu invasa<br />

dalle truppe di Ladislao di Durazzo nella risalita verso Roma; il<br />

secolo successivo vide la dominazione spagnola e l’accentuarsi della<br />

decadenza economica della città 1 .<br />

La prima redazione di uno Statuto di Alatri si potrebbe far risalire,<br />

stando alle evidenze documentarie, al XIII secolo.<br />

Una testimonianza dell’antichità delle norme si può rintracciare<br />

nella seconda rubrica del Libro I, che punisce gli eretici e i patarini<br />

e, in generale, i ribelli alla Chiesa. Il podestà cittadino viene investito<br />

del compito di vigilare affinché questo avvenga, altrimenti sarà<br />

sottoposto “ad penam iuris et X librarum”. Questa disposizione, che<br />

sembra anacronistica per i tempi (il codice più antico che si possiede è<br />

della metà del Cinquecento), in realtà deriva da una lettera inviata da<br />

1<br />

La bibliografia sulla storia di Alatri è molto ampia, a partire dal classico<br />

A. Sacchetti Sassetti, <strong>Storia</strong> di Alatri, Alatri 1967; il breve sunto storico<br />

qui presentato si basa su quanto riportato in G. Silvestrelli, Città castelli<br />

e terre della regione romana: ricerche di storia medioevale e moderna sino<br />

all’anno 1800, Roma 1993, 1, pp. 65-67. Si segnala inoltre il sito www.visitalatri.it,<br />

ricco di informazioni, bibliografia e aggiornamenti sugli eventi<br />

culturali cittadini.


334<br />

Francesca Pontri<br />

Innocenzo III il 23 settembre 1207 ai comuni dello Stato Pontificio.<br />

In essa infatti si legge una forte condanna contro i fautori di eretici<br />

e patarini, sui quali il podestà è chiamato a vigilare; viene inoltre<br />

ingiunto di inserire un’apposita norma negli Statuti, ed è appunto<br />

quanto accade nel caso di Alatri 2 .<br />

Altra testimonianza di un antico codice statutario si ritrova in una<br />

lettera inviata dal <strong>Comune</strong> a Gregorio IX poco dopo la promulgazione<br />

delle Costituzioni Egidiane. Con la missiva si chiedeva al pontefice<br />

di revocare quelle norme che contrastavano con la tradizionale libertà<br />

della città ernica, accompagnando la richiesta con il richiamo alla<br />

bolla Romana Mater del 28 settembre 1295 di Bonifacio VIII, con la<br />

quale si accordavano privilegi ed autonomie. Per ricompensare Alatri<br />

della sua fedeltà alla Chiesa, Gregorio XI nel 1376 concesse allora<br />

alla comunità di servirsi dei propri Statuti, fatta salva l’approvazione<br />

del Rettore 3 .<br />

Il più antico testimone esistente dello Statuto di Alatri è un codice<br />

conservato presso la Biblioteca Molella, copiato nel 1549 da Filippo<br />

di Mastro Cola, il quale ne fu incaricato dal <strong>Comune</strong> e retribuito<br />

con 5 scudi 4 . La copia, che richiese un lavoro di sei mesi, si rese<br />

necessaria in quanto, per via della consunzione dell’esemplare<br />

antico, le pagine non erano più leggibili. Del resto, la possibilità di<br />

consultare il testo era garantita ai cittadini dal disposto della prima<br />

rubrica del Libro I, la quale prescriveva che si dovessero fare due<br />

copie dello Statuto: una da conservarsi nella cassaforte del <strong>Comune</strong><br />

– per garantire l’autenticità del testo – e l’altra messa a disposizione<br />

del popolo.<br />

Il deperimento del codice antico è forse la ragione per cui la rubrica<br />

25 del Libro V, dal titolo “De pena mulieris sequentis cadavera”<br />

2<br />

Il testo integrale della lettera è pubblicato in G. Floridi, La Romana mater<br />

di Bonifacio VIII e le libertà comunali nel Basso Lazio, Guarcino 1985,<br />

pp. 16-17 con le relative note.<br />

3<br />

Si veda ibidem, pp. 59-60; Gli statuti medioevali del <strong>Comune</strong> di Alatri,<br />

a cura di M. D’Alatri e C. Carosi, Alatri 1976, p. 68, con il riferimento<br />

citato in nota a A. Sacchetti Sassetti, <strong>Storia</strong> di Alatri, cit.<br />

4<br />

Cfr. Gli statuti medioevali del <strong>Comune</strong> di Alatri, cit., pp. 7 e 82.


Statuti di Alatri<br />

335<br />

è stata interamente omessa, così come manca in tutti i manoscritti<br />

conservati 5 .<br />

Nel 1585 il <strong>Comune</strong> commissionò una nuova copia dello Statuto,<br />

dal momento che quello esistente risultava vecchio e inservibile.<br />

Probabilmente il codice copiato 36 anni prima era entrato a far parte<br />

della raccolta della famiglia Molella, non era perciò più disponibile. Il<br />

lavoro di copia fu affidato al maestro Angelo di Paolo di Montemilone,<br />

il quale l’anno dopo ultimò l’opera. Il manoscritto deve essere stato<br />

consultato di frequente e molto a lungo, stando a come appariva<br />

prima del restauro 6 . Essendo la copia d’uso ufficiale del <strong>Comune</strong>,<br />

il manoscritto fu integrato con nuove norme e copie di documenti<br />

relativi a questioni statutarie fino ai primi anni del XVIII secolo.<br />

Carosi-D’Alatri, nella loro edizione critica, sostengono che questo<br />

codice fu esemplato dallo stesso antigrafo trecentesco (deperdito)<br />

del codice Molella. Di diversa opinione è Notari, il quale ravvede<br />

invece i segnali di una copia diretta di quella comunale da quella<br />

del 1549 7 . In ogni caso, il volume in questione è stato conservato<br />

presso il <strong>Comune</strong> fino al 1919, quando il sindaco Avv. Giuseppe Di<br />

Fabio decise di depositare lo Statuto e alcune pergamene presso la<br />

biblioteca del locale Liceo Conti-Gentili. La consegna non si svolse<br />

con un atto ufficiale: il primo cittadino si limitò a timbrare e firmare<br />

i pezzi destinati. Il manoscritto è stato riconsegnato al <strong>Comune</strong> in<br />

tempi recenti e al presente è conservato presso il Museo Civico.<br />

Dal volume copiato da Angelo di Montemilone fu tratto<br />

l’esemplare custodito presso la Biblioteca Giovardiana di Veroli.<br />

5<br />

In ibidem gli autori decisero di inserire nel testo latino la norma dall’omonimo<br />

titolo che si trova nello Statuto di Ferentino (rubrica 32 del Libro V),<br />

dov’è ugualmente presente una lacuna, ma limitata ad una o due parole.<br />

6<br />

Un’accurata e dettagliatissima analisi di questo manoscritto, nonché<br />

l’edizione del rubricario, si può leggere in S. Notari, Rubricario degli<br />

statuti comunali di Alatri e Patrica (secoli XVI-XVIII): per un rubricario<br />

degli statuti della provincia storica di Campagna, in Latium. Rivista di<br />

studi storici, 14 (1997), pp. 141-222, in part. le pp. 152-202.<br />

7<br />

Cfr. Gli statuti medioevali del <strong>Comune</strong> di Alatri, cit., pp. 83 e 89, dove si<br />

riporta lo stemma codicum; S. Notari, Rubricario degli statuti comunali di<br />

Alatri e Patrica (secoli XVI-XVIII), cit., pp. 160-162.


336<br />

Francesca Pontri<br />

Il codice fu realizzato nel 1689 da Nicolao Antonio de Victoriis,<br />

il quale si servì, a detta di Carosi-D’Alatri, anche del manoscritto<br />

attualmente conservato presso l’Archivio di Stato di Roma, in virtù<br />

di alcune correzioni fedelmente trascritte 8 . Il volume appartenne a<br />

Tommaso de’ Latini, canonico della chiesa di S. Erasmo di Veroli, il<br />

quale nel 1835 lo donò alla Giovardiana.<br />

Nel XVII fu realizzato anche il suddetto codice dell’Archivio<br />

di Stato di Roma. Il manoscritto fu tuttavia inviato a Roma dopo<br />

l’ingresso della regione nel Regno d’Italia, in quanto da questa copia<br />

deriverebbero alcune delle copie successive, di cui l’ultima esemplata<br />

nel 1866. Il copista avrebbe consultato anche il manoscritto alatrense,<br />

dal quale avrebbe copiato le aggiunte posteriori al 1560. L’esemplare<br />

romano, secondo gli autori dell’edizione critica, deriverebbe dallo<br />

Statuto deperdito del Trecento 9 .<br />

Al XVIII secolo si può ascrivere la copia appartenuta a Giovanni<br />

Francesco Liberati, canonico del Capitolo della Cattedrale di Alatri,<br />

che lo esemplò per uso personale su quello poi inviato a Roma.<br />

Il volume confluì successivamente nella raccolta dei marchesi<br />

Campanari di Veroli, finchè questi si imparentarono con i Molella di<br />

Alatri presso la cui biblioteca si conserva tuttora 10 .<br />

La biblioteca suddetta custodisce un altro esemplare dello Statuto<br />

di Alatri, ritenuto opera di Giovanni Battista Tagnani di Frosinone<br />

che lo avrebbe esemplato nel 1866, come si legge in apertura di<br />

volume. Opinione di chi scrive, tuttavia, è che questo codice sia<br />

opera del nobile alatrense Valerio Molella. Confrontando la scrittura<br />

di questo con un volumetto contenente lo Statuto di Tecchiena, da lui<br />

stesso copiato per uso personale, si può serenamente concludere che<br />

la scrittura è identica, nonostante nel secondo caso si possa cogliere<br />

la minore fermezza della mano dovuta forse all’età avanzata. Ciò<br />

permette di escludere che il manoscritto in questione sia quello di<br />

mano del Tagnani, che tuttavia fu preso come antigrafo.<br />

La copia Tagnani sarebbe invece, secondo la nostra teoria, quella<br />

8<br />

Cfr. Gli statuti medioevali del <strong>Comune</strong> di Alatri, cit., p. 86.<br />

9<br />

Ibidem, pp. 85 e 89.<br />

10<br />

Ibidem, pp. 87-89.


Statuti di Alatri<br />

337<br />

segnalata nell’inventario dell’Archivio storico comunale di Alatri e<br />

ricomparsa dopo un lungo oblìo in seguito al riordinamento delle<br />

carte effettuato negli anni ’80 del XX secolo. Nell’inventario si parla<br />

infatti di “una copia ottocentesca esemplata dallo statuto confermato<br />

nel 1560, ritrovata tra le carte sciolte abbandonate nei solai del<br />

<strong>Comune</strong>. Lo statuto riportato è articolato in 5 libri (Libro I – rubriche<br />

1-48; L.II – rub. 1-90; L. III – rub. 1-28; L.IV – rub. 1-41; L.V – rub.<br />

1-93); ai ff. 146-147 sono riportate le Adductiones ad statuta del<br />

1586; ai ff. 147-157 gli indici. Inoltre, al f. 108 v. è trascritta una<br />

lettera del Governatore Generale alla Comunità del 28 agosto 1742”;<br />

si fa anche menzione di uno “Statuto cartaceo, 315x211, di ff. 157,<br />

esemplato nel sec. XIX” 11 .<br />

Nella sua opera Memorie del pontificato di San Sisto I Papa e<br />

Martire, lo storico alatrense Luigi De Persiis menziona una copia<br />

commissionata dal <strong>Comune</strong> alla metà dell’Ottocento e che, al<br />

momento in cui scrive nel 1884, sarebbe stata irreperibile 12 . Sarebbe<br />

11<br />

L’inventario dell’Archivio storico comunale di Alatri è disponibile online<br />

all’indirizzo:<br />

http://archivicomunali.lazio.beniculturali.it/ProgettoRinasco/inventarionline/html/frosinone/Alatri1e2.html.<br />

Nonostante le difficili condizioni logistiche<br />

nelle quali versa attualmente l’archivio, devo ringraziare il direttore<br />

dott. Antonio Agostini per il fondamentale aiuto nel reperimento del manoscritto.<br />

12<br />

Così si esprime De Persiis: “[…] Da questa copia (quella del 1585-86,<br />

n.d.r.) si cavarono poche altre in tempi a noi vicini. La più antica sembra<br />

quella fatta con molta diligenza nella metà del secolo scorso dal can. Francesco<br />

Liberati, segretario e archivista del Capitolo della cattedrale nostra.<br />

Quella copia, come sopra fu detto, oggi è conservata dal sig. Marchese<br />

Domenico Campanari, erede dei Liberati. Il <strong>Comune</strong>, circa trent’anni or<br />

sono, commise una nuova copia, ma la ottenne piena zeppa di errori: assai<br />

più fedele è quella che tiene il sig, Valerio Molella, sebbene ancor essa in<br />

più luoghi bisognosa di correzione. Ci dissero che un’altra copia si trova<br />

nella biblioteca del Seminario di Veroli, ma noi fin ora non potemmo conoscere<br />

se ciò sia vero […]”, in L. De Persiis, Del pontificato di S. Sisto I<br />

papa e martire, della traslazione delle sue reliquie da Roma in Alatri e del<br />

culto che vi ricevettero dal secolo XII sino a’ giorni nostri: memorie, Alatri<br />

1884, pp. 691-692.


338<br />

Francesca Pontri<br />

proprio questa, in base alla teoria sopra esposta, la copia rinvenuta<br />

nell’Archivio storico comunale. Si deve tuttavia registrare la<br />

mancanza del frontespizio, perduto a causa della cattiva conservazione<br />

del manufatto, e di qualsivoglia sottoscrizione, che avrebbero tolto<br />

ogni dubbio nel merito. Restiamo quindi nel campo delle ipotesi, per<br />

quanto sostenute da valide argomentazioni, nella speranza che presto<br />

o tardi emergano altri dettagli per accertare quanto sostenuto.<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Alatri, Biblioteca<br />

Molella 13 .<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: 1549 (datazione riportata a matita da mano moderna<br />

sulla c. Ir).<br />

ORIGINE: probabilmente Alatri.<br />

MATERIA: membranaceo, cartaceo l’ultimo fascicolo e le guardie.<br />

FILIGRANA: di due tipi, un’àncora a due braccia inscritta in un<br />

tondo simile a Briquet 490 e un uccello su tre colline inscritto in un<br />

tondo sormontato da una stella, simile a Briquet 12251.<br />

CARTE: I-III, 115, IV; numerazione a penna coeva alla scrittura del<br />

codice nell’angolo superiore esterno del recto, comincia da 7 a c. 1r<br />

e arriva a 104 a c. 97r; da c. 98r ricomincia a numerare da 137 per<br />

arrivare a 145 a c. 106r; la c. 23r presenta una doppia numerazione;<br />

le altre carte non sono numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 276 × 207 (c. 21).<br />

FASCICOLAZIONE: I 8 (cc. 1-8), II 12-1 (cc. 9-19, c. 16 senza<br />

riscontro), III 6 (cc. 20-25), IV-V 10 (cc. 26-45), VI 10-1 (cc. 46-54, c. 52<br />

senza riscontro), VII 8-1 (cc. 55-61), VIII 12-2 (cc. 62-71), IX-X 10 (cc.<br />

72-91), XI 2 (cc. 92-93), XII 4 (cc. 94-97), XIII 2 (cc. 98-99), XIV 8-4<br />

13<br />

Sono molto grata alla Signora Flavia Pelloni Molella per avermi permesso,<br />

con grande generosità e disponibilità, di consultare i manoscritti<br />

statutari presenti nella sua Biblioteca.


Statuti di Alatri<br />

339<br />

(cc. 100-103), XV-XVI 6 (cc. 104-115); i fascicoli I e II cominciano<br />

con il lato pelo, da III a XV con il lato carne, il XVI è cartaceo.<br />

RIGATURA: a inchiostro marrone.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 21r) A 26, B. 248, C 276, a 30, i 176, l<br />

207 mm.<br />

RIGHE: 33 righe per 33 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 21r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano<br />

che esibisce una umanistica corsiva per il testo, una semigotica per i<br />

titoli delle rubriche, inchiostro marrone chiaro.<br />

DECORAZIONE: a c. IIr di guardia campeggia uno stemma<br />

composto da vari elementi (toro, serpente, mano, rosa dei venti,<br />

croce greca) di incerta attribuzione, forse un ramo cadetto dei Borgia;<br />

iniziali semplici e filigranate sparse nel testo.<br />

SIGILLI E TIMBRI: sigillo deperdito in cera rossa aderente del<br />

governatore Giovanni Battista Doria a c. 94v; sigillo in cera rossa<br />

aderente del governatore Giovanni Battista Bracellius, quasi<br />

completamente staccato.<br />

LEGATURA: 282 × 210 mm; legatura floscia in pergamena; capitelli<br />

cuciti; cucitura su 5 nervi con filo di cotone chiaro; sul dorso la scritta<br />

“Statu/to” nel 1° scomparto, “Alatrino” nel 2°, uno svolazzo nel 3°,<br />

inchiostro nero.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: le carte iniziali e finali del codice<br />

sono imbrunite dal tempo; sparuti fori di tarlo; condizioni generali<br />

discrete.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: numerose maniculae sparse nel<br />

testo; la scrittura è stata in più punti ripassata a penna da mano<br />

posteriore, laddove risultava illeggibile.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo non è presente nel manoscritto ma sul dorso e recita “Statuto<br />

/ Alatrino”. Le norme sono in latino, mentre i documenti copiati,<br />

le approvazioni e le conferme sono scritte parte in latino, parte in<br />

italiano. Le rubriche non sono numerate, tranne i casi in cui si trova<br />

una cifra araba a penna di mano posteriore. Il testo è così ripartito:


340<br />

Francesca Pontri<br />

- cc. 1r-22v: Officiorum et Officialium 14 , 48 rubriche contenenti<br />

le norme per l’elezione degli amministratori e i loro compiti;<br />

- cc. 23r-47v: De modo procedendi in criminalibus, 90 rubriche<br />

di diritto penale;<br />

- cc. 49r-58v: Causarum civilium, 28 rubriche di diritto civile;<br />

- cc. 59r-69v: Super damnis datis, 38 rubriche sul danno dato;<br />

- cc. 71r-93v: Extraordinariorum, 93 rubriche su materie varie;<br />

- cc. 93v-97v: conferme e approvazioni relative ad anni diversi;<br />

- cc. 99r-104v: Tabula sive Repertorium, cioè l’elenco delle<br />

rubriche con l’indicazione del foglio in cui si trovano nell’antigrafo,<br />

segnalate con cifre arabe;<br />

- cc. 106r-109v: Tabulae taxationum, le tariffe da corrispondere<br />

per le varie prestazioni di podestà, cancelliere, notai civili, cavalieri<br />

e mandatari;<br />

- cc. 111r-115v: conferme e approvazioni relative ad anni<br />

diversi.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Alatri, Museo Civico<br />

(già Biblioteca del Liceo Conti-Gentili di Alatri).<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: 1585-1586 (datazione espressa in cifre romane alle<br />

cc. 1r e 124r).<br />

ORIGINE: probabilmente Alatri.<br />

MATERIA: membranaceo, cartacei l’ultimo fascicolo e le guardie.<br />

FILIGRANA: presente alle cc. 156 e 158 (giglio inscritto in un<br />

doppio tondo, simile a Briquet 7121); alla c. 157 (àncora a due<br />

braccia inscritta in un tondo simile a Briquet 534 ma con la lettera S<br />

aggiunta sotto il tondo); alla c. 159 non è identificabile.<br />

14<br />

La dicitura “Officiorum et Officialium” non è presente nel manoscritto,<br />

ma è stata attribuita dagli autori di Gli statuti medioevali del <strong>Comune</strong> di<br />

Alatri, cit., p. 93. Si è qui deciso di mantenerla in quanto efficace riassunto<br />

del contenuto del libro.


Statuti di Alatri<br />

341<br />

CARTE: I-II, 159, III-IV (cc. I-IV, guardie di restauro del XX<br />

secolo); numerazioni varie a matita di mano moderna e a penna più<br />

antica, che aumentano di una o due unità, si interrompono o saltano<br />

una carta. In tutti i casi le cifre sono arabe e si trovano nell’angolo<br />

superiore esterno delle carte, sempre sul recto, occasionalmente sul<br />

verso; guardie non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 279 × 204 (c. 55).<br />

FASCICOLAZIONE: I 6 (cc. 1-6), II-VII 4 (cc. 7-30), VIII 4-1 (cc. 31-<br />

33, caduta la solidale di c. 32), IX-XIX 4 (cc. 34-77), XX 2 (cc. 78-<br />

79), XXI-XXIV 4 (cc. 80-95), XXV 2 (cc. 96-97), XXVI-XXXII 4 (cc.<br />

98-125), XXXIII 6 (cc. 126-131), XXXIV-XXXV 4 (cc. 132-139),<br />

XXXVI 2 (cc. 140-141), XXXVII-XXXIX 4 (cc. 142-153), XL 2 (cc.<br />

154-155), XLI 4 (cc. 156-159).<br />

RIGATURA: a inchiostro.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 55r) A 27, B 238, C 279, a 21, i 169, l 204<br />

mm.<br />

RIGHE: 24 righe per 24 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 55r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce due scritture, la prima delle quali è un’italica ad inchiostro<br />

bruno utilizzata per copiare il testo, mentre i titoli delle rubriche e le<br />

pagine iniziali dei singoli libri sono in gotica d’imitazione, inchiostro<br />

bruno, rosso e dorato; le aggiunte alla fine dei libri, le approvazioni<br />

e le conferme finali dello Statuto presentano mani e scritture diverse<br />

tra loro, tra cui sicuramente quella del primo copista.<br />

DECORAZIONE: numerose iniziali filigranate in rosso, bruno e<br />

oro; grandi iniziali ornate all’incipit di ogni libro e di molte rubriche,<br />

decorate con cadelle negli stessi colori.<br />

SIGILLI E TIMBRI: sigillo aderente di cera rossa coperto da un<br />

foglietto di carta a c. 130r, simbolo non identificabile.<br />

LEGATURA: 294 × 215 mm; legatura di restauro in piena pelle<br />

marrone su assi di legno; cucitura su 4 nervi con filo di cotone<br />

chiaro; capitelli di restauro cuciti in seta rossa e gialla. Si conserva a<br />

parte anche la precedente legatura (tranne il dorso), costituita da assi<br />

di cartone ricoperte con cuoio marrone; piatti decorati con cornici


342<br />

Francesca Pontri<br />

impresse a secco, molto deteriorati.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il manoscritto è stato restaurato alla<br />

fine degli anni ‘90 del XX secolo; la pergamena è stata risarcita in<br />

più punti, soprattutto nelle carte iniziali e finali del volume; sostituita<br />

la coperta e aggiunte nuove carte di guardia.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: il copista sottoscrive in più punti; a<br />

c. 1r “Exe(m)plata / per me A(n)gelum Pauli de / Mo(n)te Milonis<br />

iussu co/(mun)itatis civitatis sup(radic)tae te(m)po/re regiminis M.D.<br />

Iuliani de / Amatis Sy(n)dici de a(n)no do(mi)ni / MDLXXXV i(n)<br />

ceptae et te(m)pore / regiminis M.D. Pauli Ursini Syn/dici, de a(n)<br />

no MDLXXXVI Po(n)t(ificatu)s / vero Sanctissimi in Cristo P(at)<br />

ris et D(omini) N(ostri) Sixti Divina Pro/videntia Papae / Quinti /<br />

exe(m)plata et absoluta”; a c. 77r “Angelus Pauli de Monte Milonis<br />

/ scribebat”; a c. 124r “Finis quinti libri Angelus Pauli de Monte /<br />

Milonis scribebat M.DLXXXVI”.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: numerose aggiunte, revisioni<br />

e annotazioni, per lo più posteriori, sia in latino che in italiano;<br />

numerosissime maniculae sparse nel testo.<br />

VARIA: il codice si conserva in una cassetta di legno di mm. 335 ×<br />

300 × 110 decorata con lo stemma di Alatri, all’interno della quale si<br />

trova anche, in una busta di cartoncino, la precedente legatura; su un<br />

lato della cassetta di legno è presente la cifra 1786; nel 1919 l’allora<br />

sindaco di Alatri, Avv. Giuseppe Di Fabio, timbrò e firmò il volume<br />

a c. 1r in occasione della consegna alla Biblioteca del locale Liceo<br />

Conti-Gentili.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Constitutiones / Sive<br />

Statuta Civi/tatis Alatri”. Lo Statuto è scritto in latino, mentre i<br />

documenti copiati, le approvazioni e le conferme sono scritte parte<br />

in latino, parte in italiano. Le rubriche non sono numerate.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- cc. 3r-33v: Officiorum et Officialium 15 , 48 rubriche contenenti<br />

le norme per l’elezione degli amministratori e i loro compiti;<br />

- cc. 34r-65v: De modo procedendi in criminalibus, 90 rubriche<br />

15<br />

Vedi nota 14.


Statuti di Alatri<br />

343<br />

di diritto penale;<br />

- cc. 66r-79v: Causarum civilium, 28 rubriche di diritto civile;<br />

- cc. 80r-97v: Super damnis datis, 38 rubriche sul danno dato;<br />

- cc. 98r-124r: Extraordinariorum, 93 rubriche su materie<br />

varie.<br />

A c. 124v cominciano le conferme, a partire da quella di Urbano<br />

Vescovo di Senigallia del 31 ottobre 1560 per proseguire con diverse<br />

approvazioni, additiones e copie di documenti degli anni 1560-1714<br />

di mani differenti fino a c. 141v.<br />

Alle cc. 142r-150r trova posto la Tabula sive Repertorium, cioè<br />

l’elenco delle rubriche, segnalate con cifre arabe, divise per singoli<br />

libri. Chiudono il volume (cc. 151r-154v) le Tabulae taxationum,<br />

cioè le tariffe da corrispondere per le varie prestazioni di podestà,<br />

cancelliere, notai civili, cavalieri e mandatari. Le cc. 155-159 sono<br />

prive di scrittura.<br />

CODICE 3<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Veroli, Biblioteca<br />

Giovardiana, segn. ms 42.2.16.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: 25 marzo 1689 (datazione espressa a c. 152r).<br />

ORIGINE: Alatri (data topica espressa a c. 152r).<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: saltuariamente rilevabile, àncora a due braccia<br />

inscritta in un tondo simile a Briquet 490.<br />

CARTE: I, 200, II; a c. 3r comincia una paginazione a penna coeva<br />

alla scrittura, cifre arabe nell’angolo superiore esterno di ogni pagina,<br />

che arriva a 300 a c. 152v; da c. 153r comincia una numerazione,<br />

della stessa mano, che stavolta conta le carte e va da 301 a 309 alle<br />

cc. 153r-161r; c. 134r presenta una doppia numerazione (263 e 239);<br />

c. 162 è priva di numerazione; la stessa mano ricomincia a numerare<br />

da 1 a 38 alle cc. 163-200.


344<br />

Francesca Pontri<br />

DIMENSIONI: mm 260 × 190 (c. 79).<br />

FASCICOLAZIONE: I-III 12 (cc. 1-36), IV 10 (cc. 37-46), V-VI 12 (cc.<br />

59-70), VII 6 (cc. 71-76), VIII 14 (cc. 77-90), IX 18 (cc. 91-108), X 2 (cc.<br />

109-110), XI 12 (cc. 111-122), XII 10 (cc. 123-132), XIII 16 (cc. 133-<br />

148), XIV 4 (cc. 149-152), XV 10-1 (cc. 153-161, caduta la solidale<br />

di c. 160), XVI 18 (cc. 162-179), XVII 6 (cc. 180-185), XVIII 4 (cc.<br />

186-189), XIX 6 (cc. 190-195), XX 4+1 (196-200, una carta è stata<br />

aggiunta).<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 79r) A 20, B 240, C 260, a 45, i 145, l 190<br />

mm.<br />

RIGHE: 35 linee di scrittura (c. 79r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: ovunque presenti nell’angolo inferiore interno del verso<br />

di ogni carta, occasionalmente presenti anche sul recto.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro marrone.<br />

DECORAZIONE: a c. 1v un’immagine di S. Sisto I patrono di<br />

Alatri. A c. 2r una cornice incollata con angioletti che reggono un<br />

ovale con dentro titolo del volume, data e nome del copista; in cima<br />

all’ovale una Madonna con Bambino benedicente; ai piedi dell’ovale<br />

lo stemma di Alatri.<br />

SIGILLI E TIMBRI: alle cc. 2r, 14r, 107r, 152r, 153r, 170r e 200r<br />

campeggia il timbro a inchiostro rosso della “Bibliotheca / Seminarii<br />

/Vervlani”.<br />

LEGATURA: 270 × 190 mm; legatura in piena pergamena su assi<br />

di legno; cucitura su 4 nervi con filo di cotone chiaro; sul dorso<br />

la scritta “Statu. / Alatrii / m.s.” a inchiostro marrone, in basso il<br />

numero 16 a matita.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: l’acidità dell’inchiostro ha forato la<br />

carta in diversi punti; fori di tarlo; in generale lo stato di conservazione<br />

è discreto.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: a c. 151v “LAUS DEO”; a c. 152r<br />

“[…] In quorum fidem etc. Datum / Alatrii ex nostra solita residentia<br />

hac die 25 / martii 1689. / Nicolaus de Victoriis Syndicus”.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: numerose integrazioni al testo,<br />

correzioni e depennamenti di mano del copista.


Statuti di Alatri<br />

345<br />

VARIA: la copia è stata tratta dall’esemplare vergato negli anni<br />

1585-1586 da Angelo Paoli di Montemilone, conservato presso il<br />

Museo Civico di Alatri.<br />

POSSESSORI E PROVENIENZA: ex dono presente alla c. 2v che<br />

recita “Ex dono Thomę de Latinis can(oni)ci curati Ecclesię / S(ancti)<br />

Erasmi Verularum anno d(omi)ni 1835 / Francesco Can(oni)co<br />

Mazzoli bibli(otheca) custode”.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. 2r è “Statuta / Civitatis<br />

Alatrii”. Lo Statuto è scritto in latino, mentre i documenti copiati, le<br />

approvazioni e le conferme sono scritte parte in latino, parte in italiano.<br />

Le rubriche sono numerate con cifre romane e sono accompagnate<br />

dall’indicazione del foglio in cui si trovano nell’antigrafo.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- cc. 3r-36v: Officiorum et Officialium 16 , 48 rubriche contenenti<br />

le norme per l’elezione degli amministratori e i loro compiti;<br />

- cc. 37r-75v: De modo procedendi in criminalibus, 90 rubriche<br />

di diritto penale;<br />

- cc. 76r-89v: Causarum civilium, 28 rubriche di diritto civile;<br />

- cc. 90r-111v: Super damnis datis, 38 rubriche sul danno dato;<br />

- cc. 112r-150r: Extraordinariorum, 93 rubriche su materie<br />

varie.<br />

Le cc. 150v-152v ospitano le conferme, mentre alle cc. 153r-160v<br />

trova posto la Tabula sive Repertorium, cioè l’indice delle rubriche.<br />

Le cc. 162r-200r sono infine occupate dalle “Constitutiones, et<br />

ordinatio/nes varię, litterę superiorum, decreta, et / bannimenta<br />

etc”, comprensive della propria Tabula.<br />

CODICE 4<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 842.<br />

16<br />

Vedi nota 14.


346<br />

Francesca Pontri<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: XVII secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Alatri.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: saltuariamente rilevabile, àncora a due braccia<br />

inscritta in un tondo simile a Briquet 490.<br />

CARTE: I, 127; paginazione che varia da quella coeva alla scrittura,<br />

a penna, nell’angolo superiore esterno, a una paginazione a matita di<br />

mano moderna, entrambe caratterizzate da frequenza irregolare e da<br />

variazioni nella posizione.<br />

DIMENSIONI: mm 275 × 195 (c. 27).<br />

FASCICOLAZIONE: I 16-1 (cc. I-14, c. 14 è solidale con la<br />

controguardia incollata all’interno del piatto anteriore), II 12 (cc. 15-<br />

26), III 16 (cc. 27-42), IV 20 (cc. 43-62), V 12-2 (cc. 63-72, le solidali<br />

delle cc. 65 e 67 sopravvivono solo in stretti talloni), VI 12 (cc. 73-<br />

84), VII 10 (cc. 85-94), VIII 6 (cc. 95-100), IX 28-1 (cc. 101-127, c.<br />

101 è solidale con la controguardia incollata all’interno del piatto<br />

posteriore).<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 27r) A 20, B 260, C 275, a 45, l 195 mm.<br />

RIGHE: il numero delle linee di scrittura varia dalle 40 di c. 50r alle<br />

46 di c. 116r.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: irregolarmente presenti nel margine inferiore delle<br />

carte, più spesso sul verso, saltuariamente al recto; a c. 30v non<br />

si tratta propriamente di un richiamo ma delle prime parole della<br />

pagina successiva; in tutti i casi il richiamo è scritto in orizzontale ed<br />

è di mano del copista.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva a inchiostro marrone scuro; le aggiunte alla fine<br />

dei libri, le approvazioni e le conferme finali dello Statuto presentano<br />

mani e scritture diverse tra loro.<br />

DECORAZIONE: svolazzi a penna nel bas-de-page delle cc. 24r,<br />

47r, 53v, 120v, 124r e 127v.<br />

LEGATURA: 280 × 200 mm; legatura in piena pergamena su assi<br />

di cartone, cucitura su 5 nervi con filo di cotone chiaro; capitello


Statuti di Alatri<br />

347<br />

inferiore cucito in seta porpora e oro; resti di scritture poco leggibili<br />

sul piatto anteriore.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume non è stato mai restaurato;<br />

la coperta rischia di staccarsi dal corpo del codice; numerosi fori di<br />

tarlo e macchie di varia natura; i bordi delle carte sono consumati<br />

su tutti i lati; l’acidità dell’inchiostro ha forato la carta in più punti.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: parola cancellata a c. 7v; asterischi<br />

all’interno del testo e nel margine, che però non comportano aggiunta<br />

di testo da parte del copista; aggiunte marginali di mano del copista<br />

alle cc. 54v, 63v, 67r, 68r e v, 69r (di mano diversa), 73v, 74r, 75r,<br />

105v e 121r;<br />

alle cc. 22r e 79v il copista tralascia di scrivere rispettivamente la<br />

rubrica 46 del Libro I e la rubrica 25 del Libro V, lasciando al loro<br />

posto solo il lemma Item e una lunga serie di puntini di sospensione;<br />

numerose maniculae lungo tutto il testo.<br />

VARIA: trattini di lapis rosso accanto ad alcune rubriche alle cc.<br />

99r-100r.<br />

POSSESSORI E PROVENIENZA: il manoscritto è stato conservato,<br />

dal 1919 a pochi anni fa, nella Biblioteca del Liceo Ginnasio Conti<br />

Gentili di Alatri.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo non è presente nel manoscritto ma si ricava dal testo. Lo<br />

Statuto è scritto in latino, mentre i documenti copiati, le approvazioni<br />

e le conferme sono scritte parte in latino, parte in italiano. Le rubriche<br />

sono accompagnate dal loro numero e dall’indicazione del foglio in<br />

cui si trovano nell’antigrafo (tranne nel Libro V), il tutto in cifre<br />

arabe.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- cc. 1r-22v: Officiorum et Officialium 17 , 48 rubriche contenenti<br />

le norme per l’elezione degli amministratori e i loro compiti;<br />

- cc. 23r-47v: De modo procedendi in criminalibus, 90 rubriche<br />

di diritto penale;<br />

- cc. 48r-56v: Causarum civilium, 28 rubriche di diritto civile;<br />

- cc. 57r-68v: Super damnis datis, 38 rubriche sul danno dato;<br />

17<br />

Vedi nota 14.


348<br />

Francesca Pontri<br />

- c. 69r, Proibizione dei divertimenti, 28 agosto 1742;<br />

- cc. 69v-72v sono bianche;<br />

- cc. 73r-92v: Extraordinariorum, 93 rubriche su materie varie;<br />

- c. 93r-v: Confirmatio e Additiones;<br />

- cc. 94r-100v: Tabula sive Repertorium, cioè l’elenco delle<br />

rubriche con l’indicazione del foglio in cui si trovano nell’antigrafo,<br />

segnalate con cifre arabe;<br />

- cc. 102r-121r: Approbationes, Confirmationes e copie di<br />

documenti di anni diversi; da segnalare la Constitutio Aldobrandina<br />

alle cc. 118r-119v;<br />

- cc. 122v-125v: Tabulae taxationum, le tariffe da corrispondere<br />

per le varie prestazioni di podestà, cancelliere, notai civili, cavalieri<br />

e mandatari;<br />

- cc. 126r-127v: indice delle approbationes, confirmationes<br />

etc.<br />

CODICE 5<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Alatri, Biblioteca<br />

Molella.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: XVIII secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Alatri.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: un uccello su tre colline inscritto in un tondo<br />

sormontato da una stella, simile a Briquet 12251 ma con lettere<br />

capitali dentro e fuori il tondo.<br />

CARTE: I-III, 134, IV-VI; paginazione a inchiostro coeva alla<br />

scrittura nell’angolo superiore esterno delle carte che comincia da 1<br />

a c. 1r e arriva a 182 a c. 91v; altra paginazione che comincia da 1<br />

a c. 95r e arriva a 47 a c. 118r; ulteriore paginazione che comincia<br />

da 1 a c. 121r e arriva a 27 a c. 134r. Le guardie non sono numerate.


Statuti di Alatri<br />

349<br />

DIMENSIONI: mm 270 × 195 (c. 32).<br />

FASCICOLAZIONE: I-XI 12 (cc. II-130), XII 6 (cc. 131-V).<br />

RIGATURA: a secco, limitata alle linee di giustificazione e alla<br />

rettrice maggiore.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 32r) A 20, B 250, C 270, a 9, i 163, l 195<br />

mm.<br />

RIGHE: 30 righe per 30 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 32r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: ovunque presenti nell’angolo inferiore destro sia sul<br />

recto che sul verso delle carte.<br />

SCRITTURA E MANI: un’unica mano che esibisce una corsiva,<br />

inchiostro marrone fino a c. 118v; da c. 121r la mano è la stessa ma<br />

la punta è più sottile e l’inchiostro è nero fino alla l. 15 di c. 132v,<br />

dove riprende l’inchiostro marrone e la punta precedente e li utilizza<br />

fino alla fine del testo a c. 134r.<br />

LEGATURA: 280 × 200 mm; legatura in cuoio marrone su assi di<br />

legno; cucitura su 5 nervi con filo di seta gialla e verde; sul dorso<br />

gli scomparti sono decorati con impressioni in oro, nel secondo un<br />

riquadro di pelle marrone con impressa la scritta “Statut / Alatrii /<br />

cum / antiqit” in lettere capitali dorate; capitelli cuciti costituiti da<br />

un fascio di fili di seta gialla e verde; taglio decorato in rosso su tutti<br />

i lati.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume non è stato mai restaurato;<br />

buono stato di conservazione.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: correzione a matita di mano<br />

moderna a c. 65r; puntini di sospensione a c. 66r.<br />

VARIA: foglietti di carta con appunti vari sono incollati sulle carte<br />

di guardia iniziali.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. IIr recita “Statuti Alatrini”. Le<br />

norme sono in latino, mentre i documenti copiati, le approvazioni e<br />

le conferme sono scritte parte in latino, parte in italiano. Le rubriche<br />

sono numerate con cifre arabe e sono accompagnate dall’indicazione<br />

del foglio in cui si trovano nell’antigrafo.


350<br />

Francesca Pontri<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- cc. 1r-22r: Officiorum et Officialium 18 , rubriche contenenti le<br />

norme per l’elezione degli amministratori e i loro compiti;<br />

- cc. 22v-44v: De modo procedendi in criminalibus, rubriche<br />

di diritto penale;<br />

- cc. 45r-53r: Causarum civilium, rubriche di diritto civile;<br />

- cc. 53v-64v: Super damnis datis, rubriche sul danno dato;<br />

- c. 65r, Proibizione dei divertimenti, 28 agosto 1742;<br />

- cc. 65v-85r: Extraordinariorum, rubriche su materie varie;<br />

A c. 85v e fino alla l. 3 di c. 86r sono riportatate le additiones, alle<br />

quali segue la Tabula divisa in libri fino a c. 91r, per proseguire con<br />

le Adnotationes seu correctiones in aliquibus locis statutorum a c.<br />

91v. Le cc. 92-94 sono bianche.<br />

Si riprende a c. 95r con le conferme e le copie dei documenti relativi a<br />

diversi anni che proseguono, comprensive delle Tabulae taxationum,<br />

fino a c. 118r. Le cc. 119-120 sono bianche.<br />

Chiude il volume la “Spiegazione di alcuni marmi esistenti nella<br />

Città di Alatri” tra le cc. 121r-134r.<br />

CODICE 6<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Alatri, Biblioteca<br />

Molella, I, 5.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: seconda metà del XIX secolo, dopo il 1866 19 .<br />

ORIGINE: probabilmente Alatri.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: presente solo nella controguardia posteriore, un<br />

18<br />

Vedi nota 14.<br />

19<br />

La data espressa a c. IIIr è da ritenersi, a parere di chi scrive, copiata<br />

dall’antigrafo, nonostante quanto espresso nella ricca bibliografia sugli<br />

Statuti alatrensi.


Statuti di Alatri<br />

351<br />

uccello su tre colline inscritto in un tondo sormontato da una stella,<br />

simile a Briquet 12251.<br />

CARTE: I-IV, 222, V; paginazione a inchiostro coeva alla scrittura<br />

nell’angolo superiore esterno delle carte che comincia da 1 a c. 1r<br />

e arriva a 335 a c. 168r; la paginazione prosegue, a matita di mano<br />

moderna, e arriva a 340 a c. 170r.<br />

DIMENSIONI: mm 270 × 200 (c. 51).<br />

FASCICOLAZIONE: I-VI 12 (cc. 1-72), VII-X 10 (cc. 73-112), XI 14<br />

(cc. 113-126), XII 10 (cc. 127-136), XIII 12 (cc. 137-148), XIV 10 (cc.<br />

149-158), XV 12-1 (cc. 159-169, c. 160 senza riscontro), XVI 10 (cc.<br />

170-179), XVII-XVIII 12 (cc. 180-203), XIX 10 (cc. 204-213), XX 10-1<br />

(cc. 214-222, c. 222 è stata incollata al fascicolo).<br />

RIGATURA: rigato a matita sulle singole pagine, spesso solo le<br />

linee di giustificazione, saltuariamente anche le rettrici.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 51r) A 18, B 255, C 270, a 34, i 184, l 200<br />

mm.<br />

RIGHE: 26 linee di scrittura (c. 51r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano<br />

(probabilmente quella di Valerio Molella 20 ) che esibisce una corsiva,<br />

inchiostro marrone; la c. IIIr contenente il titolo dell’opera è stata<br />

interamente scritta con inchiostro rosso, così come i titoli delle<br />

rubriche; ugualmente in rosso sono segnalati l’inizio e la fine dei<br />

vari libri.<br />

DECORAZIONE: svolazzi a inchiostro rosso alla fine dei libri I (c.<br />

40v), II (c. 84v), IV (c. 126v) e V (c. 166v), nonché a c. 222r.<br />

LEGATURA: 280 × 205 mm; legatura in mezza pelle marrone su<br />

assi di legno ricoperte di carta marmorizzata multicolore; cantonali<br />

in pergamena; cucitura su 6 nervi con filo di cotone chiaro; capitelli<br />

in stoffa; dorso decorato con tralci vegetali impressioni in oro, un<br />

riquadro di pelle marrone con impressa la scritta “Municipii / Alatrini<br />

/ Statutum” in lettere capitali dorate e uno di pelle nera con la scritta<br />

“Circiter / annum / 1400”.<br />

20<br />

Si confronti la scrittura di questo manoscritto con quella del codice di<br />

Tecchiena, conservato nella stessa biblioteca con la segnatura I, 4, e la relativa<br />

scheda all’interno di questo volume.


352<br />

Francesca Pontri<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume non è stato mai restaurato;<br />

buono stato di conservazione nonostante i margini leggermente<br />

consumati.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: annotazioni di mano del copista<br />

sparpagliate lungo tutto il testo, sia a inchiostro che a matita.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. IIIr recita “Statutorum / illustris<br />

ac vetustissimae Civitatis Alatri”. Le norme sono in latino, mentre i<br />

documenti copiati, le approvazioni e le conferme sono scritte parte in<br />

latino, parte in italiano. Le rubriche sono numerate con cifre arabe.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- cc. 1r-40v: Officiorum et Officialium 21 , 48 rubriche contenenti<br />

le norme per l’elezione degli amministratori e i loro compiti;<br />

- cc. 41r-84v: De modo procedendi in criminalibus, 90 rubriche<br />

di diritto penale;<br />

- cc. 85r-102r: Causarum civilium, 28 rubriche di diritto civile;<br />

- cc. 103r-126v: Super damnis datis, 41 rubriche sul danno<br />

dato;<br />

- c. 127r, Proibizione dei divertimenti, 28 agosto 1742;<br />

- cc. 128r-166v: Extraordinariorum, 93 rubriche su materie<br />

varie;<br />

Alle cc. 167r-168r sono riportatate le additiones, alle quali segue<br />

la Tabula divisa in libri che occupa le cc. 169r-177r. Si prosegue<br />

con le conferme e le copie dei documenti relativi a diversi anni che<br />

si trovano tra le cc. 178r-218r, mentre gli indici sono presenti alle<br />

cc. 219r-222r.<br />

CODICE 7<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Alatri, Archivio<br />

storico comunale.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

21<br />

Vedi nota 14.


Statuti di Alatri<br />

353<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: seconda metà del XIX secolo, probabilmente 1866<br />

ORIGINE: probabilmente Alatri.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: I-II, 159, II-IV (guardie di restauro del XX secolo);<br />

numerazione a matita di mano moderna nell’angolo superiore<br />

esterno del recto delle carte, apposta forse in occasione del restauro;<br />

la c. 142 viene segnata 141bis, sfalsando di una unità la numerazione<br />

corretta; guardie non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 317 × 213 (c. 13).<br />

FASCICOLAZIONE: I-XIII 12 (cc. 1-156), XIV 3 (cc. 157-159, le tre<br />

carte sono incollate al corpo del codice); tallone senza riscontro tra<br />

le cc. 144-145.<br />

SEGNATURA DEI FASCICOLI: i fascicoli sono stati segnati in<br />

occasione del restauro, a matita, nell’angolo inferiore interno, sia<br />

sull’ultima carta di quello precedente che sulla prima di quello<br />

successivo, due cifre arabe indicano il numero del fascicolo che<br />

termina e quello del fascicolo che comincia; segnatura 1 di mano<br />

coeva nell’angolo inferiore interno di c. 1r; segnatura 3 di mano<br />

diversa nell’angolo superiore interno di c. 25r e 4 nella stessa<br />

posizione a c. 37r.<br />

RIGATURA: rigato a matita carta per carta, soltanto la linea di<br />

giustificazione sinistra; nella Tabula finale rigatura irregolare ma<br />

la linea di giustificazione è tracciata sempre solo a sinistra; doppia<br />

rigatura orizzontale a inchiostro per marcare la fine di un Libro e<br />

l’inizio del successivo.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 13r) A 23, B 306, C 317, a 50, l 213 mm.<br />

RIGHE: 31 linee di scrittura, molto regolari (c. 13r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: ovunque presenti nell’angolo inferiore interno del verso<br />

di tutte le carte, tranne alla c. 148v.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano<br />

(probabilmente quella di Giovanni Battista Tagnani di Frosinone)<br />

che esibisce una corsiva elegante e calligrafica dal ductus molto<br />

posato, inchiostro marrone scuro.<br />

LEGATURA: 330 × 225 mm; legatura in pelle marrone su assi di


354<br />

Francesca Pontri<br />

legno; cucitura su 5 nervi con filo di cotone chiaro; capitelli cuciti<br />

(di restauro); il manoscritto si conserva in una custodia di cartone<br />

ricoperta di pelle marrone, senza scritte né decorazione come i piatti.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il manoscritto è stato restaurato<br />

negli anni ’80 del XX secolo; l’intervento ha comportato la<br />

sotituzione della coperta, l’aggiunta di nuove carte di guardia e di<br />

capitelli, una leggera rifilatura del volume e il risarcimento di alcune<br />

carte danneggiate.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: vistosa correzione di mano<br />

posteriore alla l. 5 di c. 132r (praepositus su quę positus).<br />

VARIA: c. 1r è imbrunita; le cc. 3v-4r sono sporche; macchia nel basde-page<br />

di c. 18r; segno eseguito con lapis blu a c. 147r; numerose<br />

lacune segnalate con puntini di sospensione dove il copista non<br />

riusciva a leggere l’antigrafo; il lavoro è stato eseguito dalla stessa<br />

mano a più riprese perché il colore dell’inchiostro varia dal marrone<br />

scuro al nero.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo non è presente nel manoscritto, probabilmente esisteva un<br />

frontespizio che non si è conservato. Le norme sono in latino, mentre<br />

i documenti copiati, le approvazioni e le conferme sono scritte parte<br />

in latino, parte in italiano. Le rubriche sono numerate con cifre arabe<br />

e, fino a c. 108r, sono accompagnate dall’indicazione del foglio dove<br />

si trovano nell’antigrafo.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- cc. 1r-34r: Officiorum et Officialium 22 , 48 rubriche contenenti<br />

le norme per l’elezione degli amministratori e i loro compiti;<br />

- cc. 35r-72v: De modo procedendi in criminalibus, 90 rubriche<br />

di diritto penale;<br />

- cc. 73r-87r: Causarum civilium, 28 rubriche di diritto civile;<br />

- cc. 88r-108r: Super damnis datis, 41 rubriche sul danno dato;<br />

- c. 108v, Proibizione dei divertimenti, 28 agosto 1742;<br />

- cc. 109r-146v: Extraordinariorum, 93 rubriche su materie<br />

varie;<br />

In calce al testo è presente solamente la Confirmatio Statutorum<br />

22<br />

Vedi nota 14.


Statuti di Alatri<br />

355<br />

del 1560.<br />

Alle cc. 147r-148r sono riportatate le Additiones del 1586, alle<br />

quali segue la Tabula sive Repertorium divisa in libri che occupa le<br />

cc. 148r-157r. Alle cc. 157v-158r sono infine copiate le Adnotationes<br />

seu correctiones.


356<br />

STATUTI DI ANAGNI<br />

Di fondazione ernica, durante le lotte tra Papato e Impero la città<br />

di Anagni divenne una delle maggiori roccaforti papaline, nonché<br />

la base di partenza per combattere le illustri famiglie ribelli della<br />

Campagna. Nel novembre 1176 vi si incontrarono Alessandro<br />

III e gli inviati di Federico il Barbarossa per le trattative di pace<br />

seguite alla disfatta imperiale subita a Legnano, in attesa della firma<br />

definitiva della cosiddetta Pace di Costanza del 1183. Anagni diede<br />

i natali a quattro Papi, l’ultimo di quali fu Benedetto Caetani, salito<br />

al soglio come Bonifacio VIII. È del 1303 il celeberrimo oltraggio<br />

a quest’ultimo da parte degli uomini inviati da Filippo il Bello re di<br />

Francia, guidati da Guillaume de Nogaret, Sciarra Colonna e Rinaldo<br />

di Supino. Dal 1358 Anagni fu data in feudo ai Caetani, ai quali fu<br />

infine tolta nel 1399. Si governò da allora come libero <strong>Comune</strong> 1 .<br />

Secondo lo studioso anagnino Raffaele Ambrosi De Magistris,<br />

la comparsa di uno Statuto ad Anagni si può far risalire a prima del<br />

1164, anno in cui esisteva già in città un potestas, un concilium e un<br />

populus anagninus 2 .<br />

Il testimone più antico che si conserva della compilazione statutaria<br />

di Anagni è costituito da un foglio membranaceo conservato presso<br />

l’Archivio di Stato di Roma. Si tratta di un frammento datato tra la<br />

fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, costituito da due carte solidali,<br />

contenente norme di diritto penale estratte da quello che doveva<br />

essere il secondo libro “De maleficiis”. Il manufatto, che fu ritrovato<br />

tra le carte della Reverenda Camera Apostolica, era stato utilizzato<br />

nel XV secolo dal canonico Alfonso Garcia di Toledo come coperta<br />

1<br />

Per una sintesi storica, oltre alle numerose pubblicazioni di storia anagnina,<br />

si veda G. Silvestrelli, Città castelli e terre della regione romana:<br />

ricerche di storia medioevale e moderna sino all’anno 1800, Roma 1993,<br />

1, pp. 82-90.<br />

2<br />

Si veda R. Ambrosi De Magistris, Lo statuto di Anagni, Roma 1979, pp.<br />

7-10 e le relative note che segnalano i documenti portati a sostegno della<br />

sua tesi.


Statuti di Anagni<br />

357<br />

di un libro di conti relativi agli anni 1418-1426 3 .<br />

Un altro frammento dello Statuto si conservava, a detta di<br />

Ambrosi De Magistris, nell’Archivio storico comunale di Anagni.<br />

Esso si limitava al frontespizio miniato di un codice datato 1312,<br />

visto l’ultima volta dallo storico anagnino nel 1867, ma nel 1880 non<br />

più reperibile 4 .<br />

Nello stesso luogo, a detta dello stesso studioso, si conservava<br />

un terzo “meschino frammento” della fine del XV – inizio del XVI<br />

secolo 5 . Si trattava di un’unica carta membranacea di reimpiego,<br />

contenente stralci del 3° e 4° capitolo del Libro IV sul danno dato,<br />

con il titolo corrente del libro al centro del margine superiore del<br />

foglio e iniziali rubricate. Misurava circa mm 295 × 210 e si trovava<br />

in cattivo stato di conservazione, presentando rasure, correzioni,<br />

scritte varie e danni causati dall’acidità dell’inchiostro. Prima del<br />

1985 il manufatto fu consultato dal notaio Giuliano Floridi, ma<br />

nonostante le ricerche effettuate nell’Archivio anagnino, anche di<br />

questo attualmente non v’è traccia 6 .<br />

Altro esemplare recentemente scomparso è costituito dal primo<br />

3<br />

Il frammento è edito in Statuti della Provincia romana: S. Andrea in<br />

Selci, Subiaco, Viterbo, Roviano, Anagni, Saccomuro, Aspra Sabina, editi<br />

da R. Morghen et alii, a cura di V. Federici, Roma 1930, pp. 337-350 (con<br />

riproduzione facsimilare). Notizie sul manufatto si leggono anche in: R.<br />

Ambrosi De Magistris, Lo statuto di Anagni, cit., pp. 19-20; G. Floridi,<br />

La Romana mater di Bonifacio VIII e le libertà comunali nel Basso Lazio,<br />

Guarcino 1985, p. 79; S. Notari, Per una geografia statutaria del Lazio:<br />

il rubricario degli statuti comunali della provincia storica di Campagna,<br />

in Rivista Storica del Lazio, 13-14 (2005-2006), 22, Le comunità rurali e i<br />

loro statuti (secolo XII-XV), Atti dell’VIII Convegno del Comitato italiano<br />

per gli studi e le edizione delle fonti normative, Viterbo 30 maggio – 1<br />

giugno 2002, a cura di A. Cortonesi e F. Viola, pp. 79-80.<br />

4<br />

Cfr. R. Ambrosi De Magistris, Lo statuto di Anagni, cit., p. 10 e nota.<br />

5<br />

Ibidem e pp. 17-18.<br />

6<br />

Lo studioso Sandro Notari ha lungamente cercato di rintracciare il manoscritto<br />

ma senza successo, come scrive in Per una geografia statutaria<br />

del Lazio: il rubricario degli statuti comunali della provincia storica di<br />

Campagna, cit., p. 79.


358<br />

Francesca Pontri<br />

testimone completo che fosse giunto fino ai nostri giorni. Si trattava<br />

di un codice membranaceo di circa mm 320 × 230, conservato<br />

presso l’Archivio storico comunale di Anagni e copiato nel 1517 su<br />

richiesta di Orazio Clelio, commissario del governatore di Anagni<br />

Bernardino di Carvajal. Il manoscritto presentava un frontespizio<br />

riccamente miniato con gli stemmi di Monsignor Vincenzo Portici,<br />

governatore di Campagna e Marittima in quell’anno, di papa Sisto<br />

V e del <strong>Comune</strong> di Anagni; la legatura era in piena pelle marrone su<br />

assi di legno, decorata con cantonali in ottone e fermagli metallici.<br />

Riferisce Ambrosi De Magistris che la legatura e il frontespizio furono<br />

aggiunti nel 1587, data che peraltro compare proprio su quest’ultimo.<br />

Seguivano otto carte non numerate contenenti l’indice dei cinque<br />

Libri vergati a inchiostro rosso, mentre sul verso dell’ottava carta<br />

era presente un proemio vertente su motivi, modalità e tempi della<br />

copia 7 .<br />

Il 25 giugno 1545 fu tratto un excerptum dallo Statuto, frammento<br />

che si conserva attualmente presso l’Archivio di Stato di Roma. Le<br />

norme, consistenti nei capitoli 43 e 50 del Libro I e i capitoli 61 e<br />

83 del V, furono copiate dal notaio Candidoro Parisio da Arpino su<br />

richiesta del Commissario Apostolico Roberto de Paulis.<br />

Un esemplare completo dello Statuto, datato 20 agosto 1663,<br />

è stato recentemente rintracciato presso l’Archivio Capitolare di<br />

Anagni, dove si conserva. Il codice, non segnalato in nessuna delle<br />

opere citate finora, fu probabilmente copiato da quello deperdito<br />

dell’Archivio comunale anagnino. Sul frontespizio compare il nome<br />

del copista, il canonico Carlo Magno de Anzellotti, mentre alle cc.<br />

110v-111r c’è la sottoscrizione del notaio Sebastiano Contestabile di<br />

Anagni.<br />

Altra copia completa è quella che si conserva presso la Biblioteca<br />

del Senato di Roma, databile al XVII secolo. Una delle particolarità<br />

di questo manoscritto è la presenza, prima del testo statutario vero<br />

e proprio che si apre con la propria Tabula, di un Indice in volgare<br />

italiano che elenca le norme in ordine alfabetico. Autore di questo<br />

7<br />

Una ricca descrizione dello Statuto deperdito, il testo integrale del proemio<br />

e l’edizione del rubricario si possono leggere in R. Ambrosi De Magistris,<br />

Lo statuto di Anagni, cit., pp. 10-53.


Statuti di Anagni<br />

359<br />

sommario è Marco Gigli, che si firma a c. 1r, dichiarando altresì di<br />

aver fatto legare il codice nel 1710, mentre l’Indice è stato composto<br />

nel 1703. L’antigrafo di questo manoscritto è da individuarsi nella<br />

copia del 1517.<br />

Dallo stesso esemplare, o da altro a lui vicino, fu tratto lo Statuto,<br />

anch’esso completo, datato 1783 e sottoscritto dal notaio anagnino<br />

Andrea Gisci, nonché dai Conservatori della città. Rispetto alla<br />

precedente, questa copia presenta la Tabula alla fine del testo e fa<br />

parte della collezione dell’Archivio di Stato di Roma.<br />

Nello stesso luogo si conserva l’ultimo esemplare conosciuto,<br />

stilato alla metà del XIX secolo. Si tratta di un codice incompleto,<br />

non sottoscritto né datato, che potrebbe essere stato parte di un più<br />

ampio progetto di copiatura dell’intero codice, ma che si fermò poco<br />

dopo l’inizio. L’estratto contiene infatti solamente il rubricario, il<br />

proemio e i primi sei capitoli del Libro I. L’aspetto decorativo del<br />

frontespizio, nonché i contenuti, confermano che la copia fu tratta<br />

dall’esemplare deperdito dell’Archivio storico comunale di Anagni.<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 444.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: frammento di due carte.<br />

DATAZIONE: fine XIII-XIV secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Anagni.<br />

MATERIA: membranaceo.<br />

CARTE: 2 carte solidali, parti di un unico foglio di pergamena con il<br />

lato carne all’esterno e il lato pelo all’interno.<br />

DIMENSIONI: mm 295 × 220 (c. 1).<br />

RIGATURA: rigato a inchiostro soltanto sul lato carne.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 1r) A 28, B 290, C 295, a 30, d 110, f 125,<br />

i 200, l 220 mm.<br />

RIGHE: 46 righe per 45 linee di scrittura, che comincia sotto la<br />

prima riga (c. 1r).


360<br />

Francesca Pontri<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su due colonne.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una gotica, inchiostro nero molto sbiadito per il testo, rosso<br />

per i titoli delle rubriche.<br />

DECORAZIONE: grandi iniziali calligrafiche a inchiostro rosso<br />

all’incipit di ogni rubrica; lettres rehaussées sparse nel testo; titolo<br />

corrente al centro del margine superiore di ogni pagina.<br />

LEGATURA: il frammento è cucito dentro una legatura moderna di<br />

310 × 235 mm; coperta di carta decorata su assi di cartone con due<br />

guardie cartacee moderne da ogni lato.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: la pergamena è macchiata e<br />

imbrunita in più punti, il che unito allo sbiadimento dell’inchiostro<br />

rende difficoltosa la lettura; i margini delle pagine sono consumati e<br />

ci sono delle fenditure nella c. 2.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: integrazioni fuori testo di mano del<br />

copista accanto alla rubrica 77 di c. 1r; resti di altre scritture di mani<br />

posteriori alla c. 1r nel margine superiore e 1v nel margine inferiore;<br />

maniculae a c. 2v che indicano le rubriche 87, 93 e 96.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Nel frammento sono riportate le rubriche 76-97 (la prima e l’ultima<br />

incomplete) del secondo libro dello Statuto di Anagni, contenente<br />

norme di diritto penale. Il testo è in latino e le rubriche sono<br />

contrassegnate da numeri romani.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 172/12.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: frammento.<br />

DATAZIONE: 25 giugno 1545 (datazione espressa a c. 2r).<br />

ORIGINE: Anagni (sigillo con lo stemma della città a c. 2r).<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: presente ma non identificabile a c. 1; giglio inscritto<br />

in un tondo simile a Briquet 7121 a c. II.


Statuti di Anagni<br />

361<br />

CARTE: I, 2, II; assenza di numerazione delle carte.<br />

DIMENSIONI: mm 280 × 210 (c. 1).<br />

FASCICOLAZIONE: I 2 (cc. 1-2).<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 1r) A 20, B 240, C 280, a 50, l 210 mm.<br />

RIGHE: le linee di scrittura variano dalle 25 di c. 1r alle 27 di c. 1v.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna, col margine sinistro<br />

che ospita il numero della rubrica.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro marrone.<br />

SIGILLI E TIMBRI: signum tabellionis del notaio Candidoro Parisio<br />

e sigillo aderente coperto da un foglietto di carta con lo stemma della<br />

città di Anagni, entrambi a c. 2r.<br />

LEGATURA: 285 × 215 mm; coperta in carta viola decorata con<br />

fiorellini in rilievo su assi di cartone; sul piatto anteriore è stata<br />

incollata una losanga di carta verde contenente la segnatura e la<br />

scritta “Statuti / del <strong>Comune</strong> di / Anagni / Quattro rubriche copiate<br />

in / forma autentica nel / 1545”; il fascicolo è cucito alla coperta con<br />

filo di cotone nero.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il frammento è stato restaurato,<br />

probabilmente nel XIX secolo; le carte sono state parzialmente<br />

risarcite, inoltre sono state aggiunte le carte di guardia e la coperta;<br />

numerosi fori dovuti all’acidità dell’inchiostro, i bordi sono molto<br />

consumati, tanto che gli angoli sono caduti.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 2r recita<br />

“Et ego notarius Candidoro Parisio de arpino puplicus nota[rius]<br />

/ et ad presens cancellarius Communis Anagniae de comissione<br />

Mag[nificorum] / officialium eiusdem Communis dictam copiam<br />

extraxi, et copiavi de / verbo ad berbum ex suo vero, et proprio<br />

originali nil addendo […] / minuendo nisi forsan silabam licteram<br />

vel … et calamj di[…] / su non quod versum substantie mutet<br />

sub anno domini 1545 Pontifi-/ catus sanctissimi in Cristo patris<br />

et Domini Nostri Domini Pauli divine providen[tie] / Pape tertij<br />

anno eius XI° indictione tertia mensis junii die vero XXV. / Et ad<br />

fidem robbur et testimonium premissorum per me ut premi[…] /<br />

descriptorum signum nomenque meum hic apposui consuetj, et pro<br />

/ maiorj cautela ac firmitatj Commissorum omnium et […] / fini hic


362<br />

Francesca Pontri<br />

appositum et inpressum de Comissione predictorum / officialium.<br />

sigillum eiusdem Civitatis Anagnie”.<br />

VARIA: le carte di guardia presentano righe verticali variamente<br />

disposte; nell’angolo superiore esterno della guardia Ir è presente la<br />

cifra 343 a matita, di mano moderna.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il frammento contiene unicamente i capitoli 43 e 50 del Libro I e i<br />

capitoli 61 e 83 del V, contrassegnati con cifre arabe; testo in latino.<br />

CODICE 3<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Anagni, Archivio<br />

Capitolare.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: 20 agosto 1663 (datazione espressa a c. 110v).<br />

ORIGINE: probabilmente Anagni.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: presente ma non identificabile.<br />

CARTE: 111 carte; numerazione a penna, coeva alla scrittura,<br />

nell’angolo superiore esterno del recto, comincia da 9 a c. 1r e arriva<br />

a 102 a c. 110r.<br />

DIMENSIONI: mm 257 × 185 (c. 18).<br />

FASCICOLAZIONE: I 6 (cc. 1-6), II 20 (cc. 7-26), III 22 (cc. 27-48),<br />

IV 24 (cc. 49-72), V 22 (cc. 73-94), VI 18-1 (cc. 95-111, la solidale di c.<br />

96 sopravvive in uno stretto tallone con tracce di scrittura).<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 18r) A 22, B 235, C 257, a 30, i 170, l 185<br />

mm.<br />

RIGHE: 45 linee di scrittura (c. 18r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: irregolarmente presenti nell’angolo inferiore destro del<br />

recto o del verso delle carte, di mano del copista.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro marrone.


Statuti di Anagni<br />

363<br />

DECORAZIONE: grande iniziale decorata a inchiostro marrone a<br />

c. 1r e all’incipit dei vari libri; titolo corrente al centro del margine<br />

superiore di ogni pagina.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro a inchiostro marrone del notaio<br />

Sebastiano Contestabile di Anagni che sottoscrive la copia alla c.<br />

110v.<br />

LEGATURA: 263 × 190 mm; legatura in pergamena su assi di<br />

cartoncino; capitelli parzialmente staccati; cucitura su 5 nervi con<br />

filo di cotone chiaro.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: i fascicoli che compongono il<br />

codice sono parzialmente staccati; la legatura è in generale molto<br />

danneggiata; l’acidità dell’inchiostro ha forato la carta in più punti;<br />

fori di tarlo e macchie di varia natura sparse lungo tutto il manoscritto.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 110r-v recita<br />

“Quas copias Statutorum Anagniae et aliorum ordinationum, et<br />

decretorum in pede… / existens ex propriis originalibus aliena<br />

manu mihi fidata ex/tracta Ego Sebastianus Contestabilis Anagninus<br />

publicus Dei gratia et Apostolica Auctoritate / notarius in Archivum<br />

Romanae Curiae … … … dictae civitatis Anagniae / Archivista fatta<br />

collatione de Verbo ad Verbum … facet concordare / [c. 110v] inveni<br />

salva semper etc. Id est hic me subscripsi / et publicavi solitoque<br />

meo signo signavi requisitus / hac die 20 mense Augusti 1663.”<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: numerose sottolineature e segni di<br />

richiamo; aggiunte fuori testo di mano del copista; maniculae alle<br />

cc. 4v, 5v, 6r, 22v, 45r, 74v, 78r, 87v, 109r.<br />

VARIA: resti di cifre arabe a c. 78v.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. 1r è “Magnificę Civitatis<br />

Anagnię statutorum Volumen”. Lo Statuto è scritto in latino, mentre<br />

i documenti copiati, le approvazioni e le conferme sono scritte parte<br />

in latino, parte in italiano. I capitoli sono contrassegnati con cifre<br />

arabe.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- cc. 2r-7v: Tabula dei capitoli contenuti nel volume;<br />

- c. 8r-v: Proemio;<br />

- cc. 9r-29v Libro I, 51 capitoli contenenti le norme per


364<br />

Francesca Pontri<br />

l’elezione degli amministratori e i loro compiti;<br />

- cc. 30r-40v: Libro II, 46 capitoli di diritto penale;<br />

- cc. 40v-73v: Libro III, 122 capitoli di diritto civile;<br />

- cc. 74r-81v: Libro IV, 31 capitoli sul danno dato;<br />

- cc. 82r-106v: Libro V, 102 capitoli su materie varie;<br />

- cc. 107r-110v: aggiunte e copie di documenti vari.<br />

CODICE 4<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Biblioteca del<br />

Senato “Giovanni Spadolini”, Collezione Statuti, segn. statuti mss<br />

169.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: XVII secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Anagni.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: saltuariamente rilevabile, di diversi tipi: 1) sole a<br />

sei raggi inscritto in un tondo sormontato da una croce, vagamente<br />

somigliante a Briquet 13926; 2) un’àncora a due braccia inscritta<br />

in un tondo sormontato da una croce, simile a Briquet 490; 3) un<br />

uccello su tre colline inscritto in un tondo sormontato da una stella,<br />

simile a Briquet 12251.<br />

CARTE: I, 193, II (guardie cartacee di restauro); tra le cc. 1-193<br />

sono presenti due numerazioni concordanti, di cui una nel margine<br />

superiore centrale, a matita di mano moderna, e l’altra nel margine<br />

inferiore esterno a inchiostro nero eseguita con numeratore<br />

meccanico; ad esse si affiancano altre numerazioni e paginazioni<br />

spesso erronee.<br />

DIMENSIONI: mm 267 × 192 (c. 82).<br />

FASCICOLAZIONE: I 2 (cc. 1-2), II 8+(8+14)+8 (cc. 3-40), III 16 (cc. 41-<br />

56), IV 10-1 (cc. 57-65, c. 65 senza riscontro), V-VII 24 (cc. 66-137),<br />

VIII 22 (cc. 138-159), IX 24-1 (cc. 160-182), X 12-1 (cc. 183-193, c. 183<br />

senza riscontro).


Statuti di Anagni<br />

365<br />

SPECCHIO RIGATO: (prima mano, c. 82r) A 30, B 245, C 267, a<br />

16, i 167, l 192 mm; (seconda mano, c. 139r) A 30, B 245, C 267, a<br />

45, l 192 mm.<br />

RIGHE: la prima mano varia dalle 26 linee di scrittura di c. 71r<br />

alle 29 di c. 95r; la seconda mano si discosta poco dalle 37 linee di<br />

scrittura di c. 128r.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su due colonne tra le cc. 2r-57v,<br />

182r-189v e 191r-193r; su una colonna per tutto il resto del codice.<br />

RICHIAMI: presenti nel margine inferiore destro di ogni pagina tra<br />

le cc. 66v-119v, poi solo sul verso delle carte fino a c. 180v; omesso<br />

dal copista a c. 152v.<br />

SCRITTURA E MANI: due mani, delle quali la prima fino a c. 119r<br />

e di nuovo da c. 181v alla fine, comprese le aggiunte fuori testo<br />

(tranne alle cc. 158r, 159v e 168r) e il numero che accompagna ogni<br />

rubrica, la seconda tra le cc. 119v-181v; entrambe corsive, inchiostro<br />

marrone.<br />

LEGATURA: 282 × 200 mm; legatura di restauro in piena pergamena<br />

su assi di legno; cucitura su 4 nervi con filo di cotone chiaro; capitelli<br />

di restauro incollati in seta rossa e gialla; sul dorso, nel 2° scomparto<br />

la dicitura “Statuti / di / Anagni” a inchiostro nero.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il manoscritto è stato restaurato dal<br />

Gabinetto di Restauri bibliografici della Badia Monumentale di S.<br />

Maria di Grottaferrata, ma non ne è indicata l’epoca; su molte carte<br />

è stata incollata della carta di riso per rinforzarle, operazione che ha<br />

però reso poco agevole la lettura dello scritto sottostante; l’acidità<br />

dell’inchiostro a forato la carta in più punti; macchie di vari colori<br />

sparpagliate lungo il testo.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: maniculae alle cc. 90v, 95r, 99r e<br />

178r.<br />

VARIA: una crocetta nel margine esterno di c. 90v.<br />

POSSESSORI E PROVENIENZA: la nota di possesso a c. 1r recita:<br />

“Fatto ligare li 26 Ap(ril)e 1710 / coll’Indice volgare fattoli / da<br />

me l’an(no) 1703, con molti de[…] / nel fine. / M(arco) Gigli, che<br />

principalm(ent)e / risolvo di non darlo fuori della mia / abitaz(ion)e,<br />

e così ordino a’ miei successori”.


366<br />

Francesca Pontri<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. 2r è “Statuto di Anagni”. Lo<br />

Statuto è scritto in latino, mentre i documenti copiati, le approvazioni<br />

e le conferme sono scritte parte in latino, parte in italiano. I capitoli<br />

sono contrassegnati con cifre romane.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- cc. 2r-57r: Indice delle parole, e Materie dello Statuto di<br />

Anagni, un elenco alfabetico per argomento contenente<br />

l’indicazione del libro e del capitolo in cui si trova;<br />

- cc. 58r-65v: Repertorium seu Tabbula dei capitoli in sequenza<br />

progressiva divisi per libri;<br />

- cc. 66r-88r: Libro I, norme per l’elezione degli amministratori<br />

e i loro compiti;<br />

- cc. 88r-101r: Libro II, diritto penale;<br />

- cc. 101v-140r: Libro III, diritto civile;<br />

- cc. 140v-149v: Libro IV, danno dato;<br />

- cc. 149v-177v: Libro V, materie varie;<br />

- cc. 177v-193v: aggiunte e copie di documenti vari dal 1519<br />

(erratamente 1517) al 1726.<br />

CODICE 5<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 640.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: 8 aprile 1783 (datazione espressa alla c. 190v).<br />

ORIGINE: Anagni (data topica espressa alla c. 190v).<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: un uccello su tre colline inscritto in un tondo<br />

sormontato da una corona, simile a Briquet 12250.<br />

CARTE: I-II, 193, III-IV (guardie cartacee di restauro). Le carte 1r e<br />

2r sono erroneamente numerate I e II; da c. 3r inizia una paginazione<br />

coeva alla scrittura in cifre arabe nell’angolo superiore esterno di ogni


Statuti di Anagni<br />

367<br />

pagina, che comincia da 1 a c. 3r e arriva a 350 a c. 177v; a c. 178r<br />

comincia una numerazione a matita di mano moderna nell’angolo<br />

superiore esterno di ogni carta, che segna 350 a c. 178r e arriva a 364<br />

a c. 191r; le carte 192, 193 e le guardie non sono numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 270 × 190 (c. 120).<br />

FASCICOLAZIONE: I 2 (cc. 1-2), II-III 24 (cc. 3-50), IV 22 (cc. 51-72),<br />

V-VII 24 (cc. 73-144), VIII 24-1 (cc. 145-167, c. 155 senza riscontro),<br />

IX 12 (cc. 168-179), X 2 (cc. 180-181), XI 12 (cc. 182-193).<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 120r) A 30, B 250, C 270, a 20, i 160, l<br />

190 mm.<br />

RIGHE: il numero delle linee di scrittura varia dalle 24 di c. 130r<br />

alle 26 di c. 148r.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: irregolarmente presenti nell’angolo inferiore interno<br />

del verso delle carte.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano<br />

che esibisce una corsiva, mano diversa da quella del notaio che<br />

sottoscrive la copia; inchiostro marrone.<br />

DECORAZIONE: svolazzi a penna alle cc. 2v, 37v, 50v, 97v, 113v,<br />

121r, 151v, 166v, 175v, 176v, 179v; titolo corrente al centro del<br />

margine superiore di ogni pagina.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro a inchiostro nero del notaio Andrea<br />

Gisci a c. 190r; sigillo aderente in cera coperto con un foglietto di<br />

carta a c. 190v, non riconoscibile.<br />

LEGATURA: 275 × 205 mm; legatura di restauro in piena pergamena<br />

su assi di cartone; cucitura su 8 nervi con filo di cotone chiaro;<br />

capitelli di restauro incollati in seta verde e gialla; il taglio è decorato<br />

in rosso su tutti i lati.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il manoscritto è stato restaurato nel<br />

1972 dal laboratorio Lombardi; la legatura e le guardie sono state<br />

sostituite, i fascicoli sono stati ricuciti, nuovi capitelli sono stati<br />

attaccati, alcune carte sono state rinforzate. Sono ancora visibili fori<br />

di tarlo nelle carte più vicine ai piatti; l’acidità dell’inchiostro ha<br />

forato la carta in più punti.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 190r-v recita<br />

“Fidem facimus verboque veritatis testamur suprascri-/ptum D.


368<br />

Francesca Pontri<br />

Andream Gisci de pręmissis rogatum esse / Notarium publicum,<br />

Ill(ustrissi)ma Communitatis Anagnię / Secretarium, et Archivistam,<br />

Legalem, Authenticum, / ac fide dignum scripturisque suis tam<br />

publicis, / quam similibus in judicio, et extra semper adhibitam /<br />

[c. 190v] fuisse, et de pręsenti quoque plenam adhiberi / fidem. In<br />

quorum etc. Datum Anagnię ex N(ost)ra / Residentia Conserv(atora)<br />

li hac die 8 Mensis Ap(ri)lis / Anni 1783. Indictione I Sedente Pio<br />

Papa / VI anno ejus Nono. / Antonius Colacicchi … Conservator<br />

/ Carolus Magni Secundus Conservator / Vincentius Ambrosetti<br />

Tertius Conservator / Vincentius Ciccotti Quartus Conservator”.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: numerose sottolineature, correzioni<br />

e aggiunte interlineari di mano del copista.<br />

VARIA: estesa macchia d’inchiostro a c. 52r.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. 1r è “S[t]atutum inclytae, ac<br />

pervetustae Civitatis / Anagniae”. Lo Statuto è scritto in latino,<br />

mentre i documenti copiati, le approvazioni e le conferme sono<br />

scritte parte in latino, parte in italiano. I capitoli sono contrassegnati<br />

con cifre romane.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- c. 2r-v: Proemio;<br />

- cc. 3r-29r: Libro I, 51 capitoli contenenti le norme per<br />

l’elezione degli amministratori e i loro compiti;<br />

- cc. 29r-44v: Libro II, 46 capitoli di diritto penale;<br />

- cc. 45r-97v: Libro III, 122 capitoli di diritto civile;<br />

- cc. 98r-113v: Libro IV, 31 capitoli sul danno dato;<br />

- cc. 114r-167r: Libro V, 102 capitoli su materie varie;<br />

- cc. 168r-177r: aggiunte e copie di documenti vari dal 1519<br />

al 1707;<br />

- cc. 177v-179v: carte bianche;<br />

- cc. 180r-189v: Repertorium, seu Tabula rubricarum diviso<br />

per libri.<br />

Alla c. 190r-v sono presenti le sottoscrizioni del notaio Gisci e dei<br />

Conservatori di Anagni, mentre le cc. 191-193 sono bianche.


Statuti di Anagni<br />

369<br />

CODICE 6<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 816/12.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: lo Statuto di Anagni è legato con<br />

altri manoscritti in un volume composito; delle linguette laterali in<br />

pergamena permettono di individuare i vari testi secondo l’ordine<br />

attribuito nell’Indice posto all’inizio del volume.<br />

DATAZIONE: probabilmente 1856 (1853 secondo Ambrosi De<br />

Magistris 8 ).<br />

ORIGINE: probabilmente Anagni.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: I, 15, II-III; le carte non sono numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 305 × 205 (c. 15).<br />

FASCICOLAZIONE: I 2 (cc. I-1), II 10 (cc. 2-11), III 6 (cc. 12-III).<br />

RIGATURA: rigato a matita carta per carta; un’unica linea di<br />

giustificazione a sinistra, mentre la rettrice è raddoppiata nei titoli<br />

delle rubriche per contenere il corpo delle lettere.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 15r) A 12, B 292, C 305, a 15, l 205 mm.<br />

RIGHE: 29 righe per 29 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 15r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna, che occupa però<br />

quasi l’intera pagina, eccettuato uno stretto corridoio a sinistra.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

DECORAZIONE: il frontespizio di c. 1r è decorato con una cornice<br />

a conchiglie, realizzata con inchiostro nero sbiadito.<br />

LEGATURA: 340 × 230 mm; legatura in mezza pergamena su assi<br />

di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni dell’arancio, del<br />

rosso e del nero; cantonali in pergamena; cucitura su 6 nervi con filo<br />

di cotone chiaro; il dorso è decorato con due stemmi impressi in oro<br />

di Pio IX e un riquadro di pelle marrone con la scritta STATUTA /<br />

URBIUM / ET OPPID. in lettere capitali dorate. Sul piatto anteriore,<br />

nel margine superiore destro, si legge la cifra 1° scritta a inchiostro<br />

8<br />

Cfr R. Ambrosi De Magistris, Lo statuto di Anagni, cit., pp. 11-12 in nota.


370<br />

Francesca Pontri<br />

marrone.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume non è stato mai restaurato.<br />

Il dorso ed il piatto anteriore sono staccati dal volume, così come il<br />

primo fascicolo; i margini sono in generale molto consumati.<br />

VARIA: nell’angolo superiore esterno della carta 1r è presente la<br />

cifra 343 a matita, di mano moderna; trattini orizzontali a matita,<br />

posti in corrispondenza di alcuni capitoli, a c. 6r.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il manoscritto contiene unicamente l’indice dei capitoli contenuti<br />

nei cinque libri con l’indicazione del foglio in cui si trovano<br />

nell’antigrafo, segnalati con cifre arabe; seguono un proemio e i<br />

primi sei capitoli del I libro. Lo Statuto è scritto in latino, i capitoli<br />

non sono numerati.


371<br />

STATUTI DI BOVILLE ERNICA<br />

La comunità di Bauco, attualmente Boville Ernica, fu retta da<br />

condòmini a partire dal XII secolo. In seguito al respingimento di<br />

un attacco da parte di milizie sorane, in virtù del valore dimostrato,<br />

nel 1204 Innocenzo III concesse uno Statuto. Il paese fu coinvolto<br />

nelle guerre tra il Papato e i Colonna nel XV e XVI secolo; dopo una<br />

brevissima parentesi repubblicana, nel 1582 tornò sotto il dominio<br />

diretto del Pontefice 1 .<br />

Le sole tracce esistenti di uno Statuto di Bauco riguardano<br />

unicamente le norme sul danno dato. Si tratta di un corpus di 16<br />

capitoli vertenti sulla protezione dei campi coltivati e degli alberi,<br />

con particolare attenzione agli ulivi. Ciò non stupisce, se si considera<br />

che l’olivicoltura è stata per secoli una delle maggiori fonti di<br />

sostentamento di un territorio, come quello di Boville Ernica, a forte<br />

vocazione agricola. La salvaguardia dai danni causati da uomini e<br />

animali, nonché la lotta alle frodi e ai furti, occupa pertanto uno<br />

spazio considerevole all’interno della normativa locale. Tanto che<br />

ben 11 capitoli vertono su olivi e oliveti, mentre il 13esimo riguarda<br />

la protezione degli alberi di gelso, in ragione dell’implementazione<br />

dell’industria della seta nella zona.<br />

Un esemplare delle norme statutarie di Bauco è costituito da un<br />

chirografo di Pio VI conservato in due copie nella collezione Statuti<br />

dell’Archivio di Stato di Roma. La prima di queste riporta un testo<br />

stampato dalla tipografia della Reverenda Camera Apostolica, datato<br />

1875, che contiene però i capitoli proposti dal Consiglio pubblico<br />

di Bauco il 2 novembre 1781 e approvati dal Pontefice il 26 marzo<br />

1783 2 . La seconda è una copia manoscritta dello stesso chirografo,<br />

1<br />

Per una sintesi storica si vedano E. Martinori, Lazio turrito: repertorio<br />

storico ed iconografico di torri, rocche, castelli e luoghi muniti della provincia<br />

di Roma: ricerche di storia medioevale, Roma 1933, 1, p. 84; G.<br />

Silvestrelli, Città castelli e terre della regione romana: ricerche di storia<br />

medioevale e moderna sino all’anno 1800, Roma 1993, 1, pp. 57-59.<br />

2<br />

Il testo del chirografo è pubblicato in G. Floridi, La Romana mater di


372<br />

Francesca Pontri<br />

realizzata per essere spedita a Roma nel 1856 in seguito alla richiesta<br />

del cardinale Mertel già citata.<br />

Un altro esemplare, o meglio più d’uno, se ne conserva ugualmente<br />

nell’Archivio di Stato di Roma, nel fondo Camerale III. Diverse<br />

copie dei capitoli statutari di Bauco sono state allegate ad una pratica<br />

vertente sulle modifiche alle norme intervenute tra 1781 e 1782 3 .<br />

Non esistono attualmente resti di un libro completo dello Statuto.<br />

Quello che però si legge nel fascicolo suddetto farebbe ritenere che,<br />

in ogni caso, nel 1781 non era applicato oppure se ne era persa la<br />

memoria. Nella pratica si trova infatti una dichiarazione autentica<br />

che recita:<br />

“Depongo io infrascritto publico Segretario di questa<br />

Comunità per la pura verità richiesto non esser’in questa<br />

nostra Patria verun Statuto di sorte alcuna. In fede di che<br />

ne ho munita la presente col solito segno Comunitativo.<br />

Bauco 16 Luglio 1781. Rocco de Paulis Segretario”.<br />

L’assenza di una normativa di riferimento può essere stata la<br />

molla che ha fatto scattare il bisogno di redigere uno Statuto per<br />

disciplinare il danno dato.<br />

Confrontando i due testi conservati, si possono notare leggere<br />

differenze tra la redazione del novembre 1781 e quanto viene<br />

approvato da Pio VI nel 1783. È probabile che ci siano state in<br />

quell’arco di tempo diverse proposte, in quanto all’interno della<br />

già citata pratica si possono leggere alcuni capitoli respinti dal<br />

Luogotenente con le relative motivazioni.<br />

N.B.: nella pratica del Camerale III sono presenti diversi fascicoli<br />

sciolti con il testo dello Statuto. Si è qui deciso di procedere<br />

unicamente alla schedatura codicologica di quella con meno<br />

interventi di revisione, quasi la “bella copia”.<br />

Bonifacio VIII e le libertà comunali nel Basso Lazio, Guarcino 1985, pp.<br />

126-129.<br />

3<br />

Sulla coperta del fascicolo è scritto “1782 / Bauco / Statuto comunale”.


Statuti di Boville Ernica<br />

373<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Camerale III, Bauco, b. 349.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: fascicolo sciolto.<br />

DATAZIONE: 1782 (la datazione è espressa sulla copertina della<br />

pratica).<br />

ORIGINE: probabilmente Bauco.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: un uccello su tre colline inscritto in un tondo<br />

sormontato dalla lettera F, simile a Briquet 12251.<br />

CARTE: 6 carte, non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 270 × 200 (c. 4).<br />

FASCICOLAZIONE: I 6 (cc. 1-6).<br />

RIGATURA: non rigato ma piegato a metà in senso verticale per<br />

ottenere due colonne simmetriche.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 4r) A 20, B 250, C 270, a 100, l 200 mm.<br />

RIGHE: 24 linee di scrittura (c. 4r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: ovunque presenti nell’angolo inferiore interno del verso<br />

di ogni carta.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro marrone.<br />

LEGATURA: il fascicolo non possiede una legatura; le carte sono<br />

legate tra loro con filo di cotone chiaro.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: le carte rischiano di separarsi a<br />

causa dello scioglimento del filo che lega il fascicolo; l’acidità<br />

dell’inchiostro ha forato la carta in più punti.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: il copista ha eraso e riscritto in più<br />

punti, in altri ha cancellato delle porzioni di testo.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel fascicolo è “Capitoli nuovamente / Riformati”,<br />

mentre a c. 6v si riporta “Statuti di Bauco”. Le 16 norme sono scritte<br />

in italiano e sono contraddistinte da cifre arabe.


374<br />

STATUTI DI CASTRO DEI VOLSCI<br />

Il Castrum Castri, odierna Castro dei Volsci 1 , fu per secoli sotto il<br />

dominio diretto della Santa Sede. Nel 1216 fu distrutta da Ruggero<br />

dell’Aquila, ma i vicini conti de’ Ceccano lo ricacciarono indietro.<br />

Nel XIII e XIV secolo fu affidata in castellania a diverse famiglie,<br />

finchè nel 1410 il feudo di Castro e Ripi fu concesso a Lorenzo e<br />

Giordano Colonna in condominio. Ai Colonna fu tolto e riassegnato<br />

a più riprese, finchè nel 1562 ne ebbero il possesso definitivo 2 .<br />

L’esemplare più antico dello Statuto di Castro dei Volsci risale<br />

al XVI secolo, ma la genesi del testo che in esso si contiene si<br />

può anticipare sulla scorta delle considerazioni espresse da Paolo<br />

Scaccia Scarafoni nell’edizione critica della compilazione castrense.<br />

Egli infatti sottolinea come, all’interno del testo, si faccia chiaro<br />

riferimento ai Domini Columnenses: la forchetta temporale è posta<br />

quindi tra l’inizio della signoria colonnese e l’aggiunta dei Capitoli<br />

novi approvati nel 1510. Di più, leggendo l’inizio dello Statuto si<br />

coglie come le relazioni tra la comunità e i feudatari fossero ormai<br />

salde, osservazione che sposterebbe la data di redazione del testo<br />

fino al 1420 circa. D’altro canto, le norme aggiunte nel 1510,<br />

riguardanti sostanzialmente il danno dato, potrebbero far concludere<br />

che i capitoli su questa materia possano avere avuto una vigenza di<br />

qualche decina d’anni, prima di essere modificate, spostando il limite<br />

al 1490 circa. Si può ulteriormente stringere il campo considerando<br />

che il riferimento ai signori colonnesi è sempre a una pluralità di<br />

persone, pertanto si può ritenere che il testo risalga a un momento<br />

di condominio di due Signori. Questo si verificò in due momenti,<br />

il primo dei quali è tra l’inizio della dominazione e il 1427, anno<br />

1<br />

La città di origine volsca prese l’odierno nome dopo l’Unità d’Italia.<br />

2<br />

Cfr. E. Martinori, Lazio turrito: repertorio storico ed iconografico di<br />

torri, rocche, castelli e luoghi muniti della provincia di Roma: ricerche di<br />

storia medioevale, Roma 1933, 1, p. 161; G. Silvestrelli, Città castelli e<br />

terre della regione romana: ricerche di storia medioevale e moderna sino<br />

all’anno 1800, Roma 1993, 1, pp. 135-136.


Statuti di Castro dei Volsci<br />

375<br />

d’inizio di un “dominio singolo”, quindi il periodo di probabilità<br />

cadrebbe tra il 1420 e il 1427. Il secondo momento si verificò nel<br />

1464 circa, quando il feudo venne assegnato a Fabrizio Colonna e<br />

ai suoi fratelli, restringendo così il campo al periodo tra il 1464 e il<br />

1490 circa 3 .<br />

La datazione della copia conservata presso l’Archivio storico<br />

comunale di Castro dei Volsci, invece, viene assegnata da Scaccia<br />

Scarafoni al 1589. Il 18 febbraio di quell’anno, infatti, Felice Colonna<br />

Orsini sottoscrive manu propria il manoscritto, approvandone<br />

i capitoli. Dal momento che la stessa mano scrive tutto il testo<br />

statutario, i Capitoli novi del 1510 e la sottoscrizione di Marcantonio<br />

II Colonna del 23 febbraio 1561, arrestandosi soltando prima della<br />

firma della “sconsolatissima”, è plausibile ritenere che il copista,<br />

un collaboratore fidato, abbia eseguito il lavoro poco prima che<br />

quest’ultima apponesse la sua sottoscrizione. Una lettera allegata<br />

al manoscritto – nella scheda codicologica indicata come Unità 3<br />

– parla chiaramente di una approvazione richiesta a Felice Colonna<br />

Orsini, la quale avrebbe ricevuto anche la copia dello Statuto con<br />

la sottoscrizione originale di Marcantonio II. È in questo momento<br />

che la Signora avrebbe fatto realizzare la copia che si conserva<br />

attualmente a Castro, e che firmò di suo pugno prima di rinviare alla<br />

comunità castrense 4 .<br />

La sottoscrizione di Marcantonio IV Colonna è anch’essa<br />

originale, sebbene il sigillo sia deperdito. La data della firma è stata<br />

abrasa, tuttavia la si può assegnare senza problemi al 1610, anno<br />

in cui fu inserita negli altri Statuti dei castra colonnesi la norma<br />

sul divieto di vendere ai forestieri che nel manoscritto si presenta<br />

identica a quella degli altri paesi 5 .<br />

Il testo presenta delle lacune, dovute forse alla scarsa intelligibilità<br />

dell’antigrafo. Lacune riportate, con altri errori anche grossolani, nel<br />

3<br />

Cfr. P. Scaccia Scarafoni, Gli statuti di Castro (oggi Castro dei Volsci),<br />

Anagni 1989 (Biblioteca di Latium, 8), pp. 25-27.<br />

4<br />

Cfr. ivi, pp. 23-24.<br />

5<br />

Si possono citare, a puro titolo di esempio, gli Statuti di Morolo, Pofi,<br />

Paliano, Supino; cfr. infra ai paragrafi relativi.


376<br />

Francesca Pontri<br />

codice ottocentesco conservato presso l’Archivio di Stato di Roma.<br />

I capitoli sul danno dato hanno avuto vigore fino al 1795, quando<br />

sono stati separati dal resto dello Statuto e riformati. Le norme sono<br />

state trascritte e inviate a Roma, probabilmente in seguito alla già<br />

citata richiesta del cardinale Mertel del 1856.<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Castro dei Volsci,<br />

Archivio storico comunale.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto composito organizzato,<br />

costituito da fascicoli legati con aggiunta di carte sciolte<br />

ripiegate e cucite al resto del codice.<br />

LEGATURA: 200 × 150 mm; legatura in pergamena floscia<br />

marroncina del XVII secolo; cucitura su 4 nervi con filo di cotone<br />

chiaro; capitello superiore cucito, parzialmente scucito quello<br />

inferiore; sul piatto anteriore la scritta “Statuto / Castro” a inchiostro<br />

nero; il codice è stato rifilato.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: la coperta è danneggiata agli<br />

angoli; le carte di guardia, nonché alcune carte all’interno del codice,<br />

rischiano il distacco; macchie varie e fori di tarlo sparpagliati nel<br />

testo; taglio nella pergamena alla c. VIII; l’inchiostro è spesso<br />

sbiadito e illeggibile.<br />

UNITÀ 1<br />

DATAZIONE: XVI secolo.<br />

ORIGINE: Castro dei Volsci oppure, più probabilmente, Roma.<br />

MATERIA: membranaceo, guardie membranacee e cartacee.<br />

FILIGRANA: presente nei documenti cartacei cuciti al centro del<br />

codice, giglio inscritto in un tondo somigliante a Briquet 7106.<br />

CARTE: I-II (guardie cartacee), III-VII (guardie membranacee),<br />

37, VIII (guardia cartacea), IX-X (guardie cartacee); numerazione<br />

a penna, coeva alla scrittura, nell’angolo superiore esterno del recto<br />

di ogni carta: la c. 1r è numerata 7, pertanto la numerazione effettiva


Statuti di Castro dei Volsci<br />

377<br />

risulta di 6 unità in meno di quella presente nel codice; le guardie<br />

III-VII sono numerate 2-6, la guardia VIII è numerata 44, le guardie<br />

IX-X non sono numerate. Tra le cc. II-III [2], nonché tra le cc. 22-<br />

23 [28-29], sono state inserite lettere piegate e cucite al corpo del<br />

codice.<br />

DIMENSIONI: mm 200 × 150 (c. 10).<br />

FASCICOLAZIONE: I 4-1 (cc. III-V), II 4 (cc. VI-2), III-X 4 (cc.<br />

3-VIII); i fascicoli iniziano tutti con il lato carne, la regola di Gregory<br />

è ovunque rispettata.<br />

RIGATURA: a inchiostro, molto sottile.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 12r) A 15, B 175, C 200, a 11, i 128, l 150<br />

mm.<br />

RIGHE: 25 righe per 25 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 12r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: a piena pagina.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una scrittura italica, inchiostro bruno; i titoli delle rubriche,<br />

vergati in semigotica, e i capilettera sono scritti con inchiostro rosso.<br />

In più punti la scrittura è stata ripassata con inchiostro blu in quanto<br />

sbiadita e non più leggibile.<br />

DECORAZIONE: piccoli decori floreali realizzati con un timbro a<br />

inchiostro rosso accanto ai titoli di alcune rubriche; in diversi punti<br />

si rilevano dei riempilinea costituiti da tralci vegetali a inchiostro<br />

marrone.<br />

SIGILLI E TIMBRI: sigillo aderente in cera rossa, deperdito,<br />

accanto alla sottoscrizione della “sconsolatissima” Felice Colonna<br />

Orsini a c. 22 [28]r; idem sul verso della stessa carta, dove tale sorte<br />

spetta alla sottoscrizione di Marcantonio IV Colonna. A c. 23 [29]r<br />

sigillo aderente ricoperto da un foglietto di carta recante le insegne<br />

Colonna.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: numerose integrazioni al testo di<br />

mani posteriori, anche nella Tabula finale; maniculae sparse nel<br />

codice.<br />

VARIA: prove di penna tra le cc. 2r-3v, nonché nella guardia VIII.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto sul piatto anteriore della coperta è


378<br />

Francesca Pontri<br />

“Statuto / Castro”. Lo Statuto è scritto in latino, mentre i documenti<br />

copiati, le approvazioni e le conferme sono scritte parte in latino,<br />

parte in italiano. Le centotrentanove rubriche non sono numerate e<br />

il testo non è suddiviso in libri come negli Statuti di molti paesi<br />

limitrofi. Nonostante ciò, si può notare che le norme sono raggruppate<br />

per quattro grandi gruppi di materie all’interno del testo, e cioè<br />

l’amministrazione e il diritto civile, il diritto penale, il danno dato e<br />

le materie varie 6 .<br />

Il testo si apre con un proemio a c. 1r, seguito sul verso della carta<br />

dall’inizio del testo statutario vero e proprio. A c. 21 [27]r si trova<br />

la “Copia di capitoli noui sopra danni dati, et sopra li guardiani /<br />

mandati scritti in una patente confirmata dall’Illustrissima Signora” 7 ,<br />

alla quale seguono approvazioni e conferme da parte di esponenti di<br />

casa Colonna fino a c. 23 [29]r. Le cc. 23 [29]v-33 [39]v sono rigate<br />

ma prive di scrittura. Il testo si chiude con la Tabula, cioè l’elenco<br />

delle rubriche secondo l’ordine alfabetico accompagnate dal numero<br />

della pagina dove si trovano, che occupa le cc. 34 [40]r- 37 [43]r.<br />

La lettera cucita tra le cc. II-III [2], datata 24 marzo 1671, contiene<br />

la richiesta della comunità di Castro al Principe Filippo Colonna di<br />

poter andare a macinare le olive presso il frantoio di Vallecorsa, nei<br />

periodi in cui quello locale non poteva soddisfare le ingenti richieste.<br />

Il Principe approva e appone la sua firma. Con la lettera cucita tra<br />

le cc. 22-23 [28-29], datata 7 settembre 1639, la comunità di Castro<br />

chiede invece che il Principe Colonna comandi agli auditori e<br />

governatori di rispettare lo Statuto, “senza cavillationi e sotterfugi”.<br />

Anche in questo caso la richiesta viene accolta e il Cardinale<br />

Girolamo Colonna approva e sottoscrive.<br />

6<br />

Questa partizione sostanziale, messa a paragone con altri Statuti della<br />

provincia, induce Paolo Scaccia Scarafoni a ritenere che nell’antigrafo del<br />

manoscritto, o in altro precedente, la divisione in quattro libri fosse presente<br />

ma che non venne ricopiata: cfr. Gli statuti di Castro oggi Castro dei<br />

Volsci, cit., pp. 27-28.<br />

7<br />

L’approvazione che si trova alla carta seguente è di Agnese da Montefeltro,<br />

moglie di Fabrizio I Colonna.


Statuti di Castro dei Volsci<br />

379<br />

UNITÀ 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

DATAZIONE: 27 novembre 1586.<br />

ORIGINE: Genazzano.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: àncora a due braccia inscritta in un ovale, non illustrata<br />

nei repertori.<br />

CARTE: 6 carte; numerazione coeva alla scrittura nell’angolo<br />

superiore esterno del recto delle carte.<br />

DIMENSIONI: mm 280 × 210 (c. 1).<br />

FASCICOLAZIONE: I 6 (cc. 1-6).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: a piena pagina, con specchio di<br />

scrittura e numero delle linee variabile.<br />

SCRITTURA E MANI: scritto da un’unica mano che esibisce una<br />

corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il documento contiene un elenco di “ordinationi et capitoli” che<br />

gli amministratori di Castro sono tenuti ad osservare, sottoposti<br />

all’approvazione del luogotenente dei Colonna, Giovanni Iacopo<br />

Capotio, il quale appone firma e sigillo (deperdito).<br />

UNITÀ 3<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

DATAZIONE: 17 febbraio 1589.<br />

ORIGINE: Roma.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 4 carte non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 270 × 200 (c. 1).<br />

FASCICOLAZIONE: I 4 (cc. 1-4).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: a piena pagina, con specchio di<br />

scrittura e numero delle linee variabile.<br />

SCRITTURA E MANI: scritto da un’unica mano che esibisce una<br />

corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il documento è costituito da una lettera che Sindaco e amministratori<br />

di Castro dei Volsci inviano a Felice Orsini Colonna per sollecitare


380<br />

Francesca Pontri<br />

conferma di alcune norme già osservate ai tempi del suo defunto<br />

marito. La Signora approva e sottoscrive di suo pugno, in aggiunta<br />

al sigillo (deperdito).<br />

UNITÀ 4<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

DATAZIONE: 18 ottobre 1703.<br />

ORIGINE: Roma.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: àncora a due braccia inscritta in un tondo sormontato<br />

da una stella, simile a Briquet 490.<br />

CARTE: 2 carte non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 275 × 192 (c. 1).<br />

FASCICOLAZIONE: I 2 (cc. 1-2).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: a piena pagina, con specchio di<br />

scrittura e numero delle linee variabile.<br />

SCRITTURA E MANI: scritto da un’unica mano che esibisce una<br />

corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il documento contiene una lettera della comunità di Castro con<br />

la quale si chiede di poter prendere provvedimenti contro i danni<br />

causati dai maiali e dai loro proprietari. Il Principe Filippo Colonna<br />

concede e sottoscrive.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 502/08.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: XIX secolo, dopo il 1870 8 .<br />

8<br />

Il timbro apposto a c. 27v e la sottoscrizione del Segretario comunale<br />

recano la dicitura “Castro dei Volsci”, nome che il <strong>Comune</strong> acquisce dopo<br />

l’unità d’Italia: il manoscritto è quindi stato copiato dopo quella data. Una


Statuti di Castro dei Volsci<br />

381<br />

ORIGINE: probabilmente Castro dei Volsci.<br />

MATERIA: cartaceo (fogli protocollo).<br />

CARTE: I, 30, II; numerazione a matita di mano moderna nell’angolo<br />

superiore esterno del recto di ogni carta, guardie non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 297 × 204 (c. 2).<br />

FASCICOLAZIONE: I 12 (cc. 1-12), II 8 (cc. 13-20), III 10 (cc. 21-30).<br />

RIGATURA: standard dei fogli protocollo.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 2r) A 26, B 261, C 297, a 26, i 157, l 204<br />

mm.<br />

RIGHE: 25 righe per 25 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 12r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una scrittura corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro a inchiostro azzurro della Segreteria del<br />

Municipio di Castro dei Volsci a c. 27v.<br />

LEGATURA: 310 × 215 mm; il manoscritto è coperto da una cartellina<br />

in carta azzurra che reca sul piatto anteriore la segnatura attuale, lo<br />

stemma del <strong>Comune</strong> e la dicitura “<strong>Comune</strong> / di / Castro dei Volsci /<br />

Oggetto” a stampa, “Antico Statuto / Comunale” manoscritta, il tutto<br />

racchiuso in una cornice dagli elementi geometrici e floreali; il corpo<br />

del codice è legato alla coperta con filo di cotone chiaro.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: apparentemente mai restaurato; la<br />

coperta è sgualcita agli angoli, le carte sono ingiallite dal tempo.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 27v recita<br />

“Per copia conforme all’originale e-/sistente nell’ufficio Comunale<br />

di Castro dei Volsci / rilasciata per uso amministrativo. / Il Segretario<br />

/ Eugenio Martini”.<br />

VARIA: cifre arabe a matita in vari punti: 30/21 a c. IIv, 949.1 a c.<br />

Ir, entrambe situate nell’angolo superiore esterno delle carte ma di<br />

mani diverse.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto sul piatto anteriore della coperta<br />

datazione al 1875 è proposta in Statuti cittadini, rurali e castrensi del Lazio:<br />

repertorio secoli XI-XIX, ricerca diretta da P. Ungari, Roma 1993, pp.<br />

56-57.


382<br />

Francesca Pontri<br />

è “Antico Statuto / Comunale”, mentre sulla c. Ir si legge “Castro<br />

dei Volsci / Statuta / Terrae Castris”. Lo Statuto è scritto in latino,<br />

mentre le approvazioni sono scritte parte in latino, parte in italiano. Le<br />

centotrentuno rubriche non sono numerate e il testo non è suddiviso<br />

in libri. A c. 1r-v il testo comincia con un proemio, seguito dalle<br />

rubriche fino a c. 26v. Nella stessa carta alla l. 3 si trova la “Copia di<br />

capitoli nuovi sopra danni dati e sopra i / guardiani mandati scritti<br />

in una patente confermata / dall’Illustrissima Comunità” 9 . Chiude il<br />

manoscritto la Tabula contenente le rubriche in ordine alfabetico di<br />

argomento, ma senza l’indicazione della pagina corrispondente, che<br />

occupa le cc. 28r-30v.<br />

CODICE 3<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 815/07.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: lo Statuto agrario di Castro dei<br />

Volsci è legato con altri manoscritti in un volume composito; delle<br />

linguette laterali in pergamena permettono di individuare i vari testi<br />

secondo l’ordine attribuito nell’Indice posto all’inizio del volume.<br />

DATAZIONE: probabilmente 1856 (a c. 10v la data 1796 è corretta<br />

su quella sottostante 1856), comunque prima del 1870 in quanto il<br />

timbro di c. 10v reca le insegne pontificie.<br />

ORIGINE: probabilmente Castro dei Volsci.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 12 carte non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 310 × 214 (c. 3).<br />

FASCICOLAZIONE: I 12 (cc. 1-12).<br />

RIGATURA: le carte sono state piegate in 4 in verticale al fine di<br />

creare una colonna laterale a sinistra per ospitare il numero e il titolo<br />

delle rubriche.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 3r) A 15, B 300, C 310, a 54, l 214 mm.<br />

9<br />

Signora in luogo di Comunità nel manoscritto castrense.


Statuti di Castro dei Volsci<br />

383<br />

RIGHE: 30 linee di scrittura (c. 3r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: l’ultima parola di c. 8v è ripetuta all’inizio di c. 9r, così<br />

come accade tra le cc. 9v e 10r.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una scrittura corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro ovale a inchiostro marrone della<br />

Magistratura di Castro contenente la tiara papale e le chiavi decussate<br />

alla c. 10v, apposto accanto alla sottoscrizione del Priore Carlo<br />

Palatta.<br />

LEGATURA: 340 × 230 mm; legatura in mezza pergamena su assi<br />

di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni dell’arancio, del<br />

rosso e del nero; cantonali in pergamena; cucitura su 6 nervi con filo<br />

di cotone chiaro; il dorso è decorato con due stemmi impressi in oro<br />

di Pio IX (quello più in basso parzialmente coperto dall’etichetta con<br />

la segnatura) e un riquadro di pelle marrone con la scritta STATUTA<br />

/ URBIUM / ET OPPID. in lettere capitali dorate, più in basso le<br />

lettere C-C ugualmente dorate e tracce di scrittura a inchiostro rosso.<br />

Sul piatto anteriore, nel margine superiore destro, si legge la cifra 6°<br />

scritta a inchiostro marrone.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume non è stato mai restaurato.<br />

Il dorso è quasi completamente staccato dal volume; le controguardie<br />

si sono staccate dall’interno dei piatti; il cantonale inferiore del piatto<br />

anteriore è caduto; i margini delle assi sono slabbrati e sdruciti; la<br />

carta che ricopre le assi è sbiadita i più punti.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 10v recita<br />

“Per Copia Conforme / Il Priore / Carlo Palatta”.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: correzioni di mano del copista<br />

sparse nel testo; a c. 7r l. 15 l’intera riga è stata da quest’ultimo erasa<br />

per riscriverci sopra prima di proseguire con la copia.<br />

VARIA: cifre arabe a matita in vari punti: 1753 a c. 1r, 3121/ a c.<br />

12v, entrambe situate nell’angolo superiore esterno delle carte ma di<br />

mani diverse; “Copia” nell’angolo superiore interno di c. 2r.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. 1r recita “Castro / Copia /<br />

dello statuto agrario del <strong>Comune</strong> / di / Castro / nella / Delegazione


384<br />

Francesca Pontri<br />

Apostolica / di / Frosinone”. Il testo è in italiano; le rubriche sono<br />

numerate con cifre arabe poste accanto ai titoli. Le norme sono divise<br />

in due parti: “Danni dati con Bestie”, 20 capitoli compresi tra le cc.<br />

2r-5r 10 , e “Danni manuali”, 29 capitoli compresi tra le cc. 5v-10v.<br />

Chiudono il testo le sottoscrizioni degli amministratori (copia di atto<br />

notarile del 1796) e quella del Priore.<br />

CODICE 4<br />

Presso l’Archivio storico comunale si conservava un altro manoscritto<br />

contenente lo Statuto agrario di Castro dei Volsci, il quale è risultato<br />

però irreperibile al momento di questa indagine.<br />

Dalle descrizioni reperite nelle fonti bibliografiche consultate<br />

apprendiamo che si trattava di un piccolo codice di 10 carte, di<br />

circa 310 × 210 mm, non datato ma sottoscritto dal Segretario<br />

comunale Eugenio Martini, lo stesso peraltro che firma l’esemplare<br />

completo dello Statuto conservato presso l’Archivio di Stato di<br />

Roma 11 . Valgono pertanto le considerazioni già esposte a proposito<br />

della datazione, che si può assegnare a dopo il 1870 in virtù della<br />

presenza, nello Statuto agrario castrense, di un timbro con le insegne<br />

sabaude 12 .<br />

10<br />

In calce all’ultimo capitolo la menzione “Castro questo dì 14. Decembre<br />

1795”.<br />

11<br />

Si veda la descrizione relativa sotto il titolo Codice 2.<br />

12<br />

La descrizione di questo manoscritto è in Gli statuti di Castro oggi Castro<br />

dei Volsci, cit., p. 32; minime informazioni anche in Statuti cittadini,<br />

rurali e castrensi del Lazio: repertorio secoli XI-XIX, cit., p. 57.


385<br />

STATUTO DI FERENTINO<br />

Governata come libero <strong>Comune</strong>, sede vescovile almeno dal V<br />

secolo d.C., dal XIII Ferentino fu anche la residenza del Rettore<br />

di Campagna e Marittima. Nel 1245 la città fu assalita da soldati<br />

alatrensi, i quali furono puniti con la sottrazione del castello di<br />

Tecchiena. Il 19 maggio 1296, morto in Fumone Celestino V,<br />

Bonifacio VIII ordinò che le spoglie fossero inumate nella chiesa di<br />

S. Antonio dei celestini, luogo dal quale furono in seguito rimosse<br />

per essere trasferite definitivamente all’Aquila. Nel 1341 Benedetto<br />

Caetani occupò il paese, venendone poi punito con l’obbligo della<br />

riconsegna da Benedetto XII. Sotto il dominio di Ladislao di Durazzo<br />

la cittadina ernica visse una relativa stabilità, poiché questi confermò<br />

i privilegi accordati in precedenza. Con l’occupazione spagnola del<br />

Duca d’Alba, invece, la popolazione soffrì per le angherie delle<br />

truppe 1 .<br />

Certamente uno Statuto a Ferentino doveva esistere prima del<br />

1425, anno in cui Martino V approvò e confermò la compilazione<br />

esistente.<br />

La più antica copia esistente dello Statuto è custodita presso la<br />

Biblioteca del Senato. Intorno ad essa si è molto dibattuto, soprattutto<br />

per quanto riguarda la datazione delle norme contenute. Le varie<br />

teorie sono state efficacemente riassunte da Marco Vendittelli,<br />

autore dell’edizione critica del testo, nell’introduzione della stessa.<br />

Diversamente dai suoi colleghi, Vendittelli basa la sua ipotesi<br />

sulle testimonianze reperite presso l’Archivio storico comunale<br />

di Ferentino, più precisamente nei Libri camerariatus. Essi infatti<br />

registravano entrate ed uscite della comunità, ivi comprese quelle<br />

relative al salario degli amministratori, dei quali si indicava la durata<br />

del mandato in base a quanto disposto dallo Statuto. I registri relativi<br />

1<br />

Sono molte le pubblicazioni che trattano di storia ferentinate; il breve<br />

sunto qui presentato è stato tratto dal più generale G. Silvestrelli, Città<br />

castelli e terre della regione romana: ricerche di storia medioevale e moderna<br />

sino all’anno 1800, Roma 1993, 1, pp. 80-82.


386<br />

Francesca Pontri<br />

agli anni 1464-1466 si rivelano a questo proposito particolarmente<br />

interessanti, poiché permettono di stabilire che proprio in quella<br />

forchetta temporale si colloca il passaggio da quattro a otto ufficiali,<br />

come correttamente previsto dalla relativa norma statutaria nella<br />

redazione conservata. Il campo si può ulteriormente restringere al<br />

1465 in base ad una conferma dei capitoli operata da Paolo II il 10<br />

febbraio di quell’anno. Tutti gli elementi farebbero quindi convergere<br />

la datazione del testo verso un periodo compreso tra il febbraio 1465<br />

e il maggio 1466 2 . Nel caso del manoscritto in oggetto, e sulla base<br />

di valutazioni codicologiche, Vendittelli ritiene si possa per di più far<br />

coincidere la data del testo con quella della copia 3 .<br />

Nel corso degli anni il codice fu più volte sottoposto ad approvazioni<br />

e conferme, le quali sono testimoniate dalle sottoscrizioni autografe<br />

in fondo al volume. In particolare, nel 1791 il manoscritto fu inviato a<br />

Roma al cardinale Carandini, prefetto della Sacra Congregazione del<br />

Buon Governo, il quale lo rispedì indietro corredato del suo sigillo<br />

sul recto di tutte le carte. L’invio dello Statuto si era reso necessario<br />

per dirimere una questione legale presso il Tribunale della Sacra Rota<br />

che riguardava alcuni personaggi originari di Ferentino 4 . L’esemplare<br />

fu custodito a Ferentino fino agli anni ’30 del XX secolo, quando fu<br />

concesso in prestito ad un’allieva del senatore Pietro Fedele che non<br />

lo restituì, bensì lo donò alla raccolta del Senato.<br />

Nel 1782 era arrivato all’amministrazione l’invito del Buon<br />

Governo a consegnare una copia dello Statuto cittadino, circostanza<br />

che portò alla formazione del primo nucleo, notevolmente ampliato<br />

alla metà del secolo successivo grazie all’impegno in tal senso<br />

del cardinale Mertel, della Collezione degli Statuti dell’Archivio<br />

di Stato di Roma. Il desiderio espresso da Roma si concretizzò<br />

nell’invio della copia che attualmente vi si conserva, realizzata dal<br />

notaio Marco Cavalli sulla base di quella quattrocentesca, ma non<br />

2<br />

Cfr. Statuta civitatis Ferentini: edizione critica dal ms. 89 della Biblioteca<br />

del Senato della Repubblica, a cura di M. Vendittelli, Roma 1988, pp.<br />

XII-XXIII.<br />

3<br />

Ivi, pp. XXXII-XXXIII.<br />

4<br />

Ivi, pp. XLIII-XLV.


Statuti di Ferentino<br />

387<br />

si conosce l’anno della spedizione. Già a quell’epoca, in ogni caso,<br />

il codice antico doveva essere in cattivo stato di conservazione, se<br />

il copista non riuscì a leggere la scrittura in molti punti e saltò delle<br />

rubriche mancanti a causa della caduta di alcune carte.<br />

Il <strong>Comune</strong> di Ferentino provò a recuperare il codice consegnato<br />

al Buon Governo nel 1875, chiedendo al Sottoprefetto di Frosinone<br />

di intercedere presso il Ministero dell’Interno allegando un’istanza<br />

in proposito. La minuta della lettera si conserva presso l’Archivio<br />

storico comunale di Ferentino, purtroppo non corredata della risposta<br />

degli interpellati. Accanto ad essa si conserva però la missiva<br />

originale del 30 marzo 1856 con la quale il cardinale Mertel aveva<br />

richiesto l’invio di una copia dello Statuto cittadino 5 .<br />

Com’è noto, gli Statuti storici comunali furono aboliti nel 1816<br />

con Motu proprio di Pio VII, il quale aveva lasciato in vigore<br />

soltanto le norme relative al danno dato. Di queste compilazioni<br />

se ne conservano tre esemplari, di cui uno conservato nell’archivio<br />

ferentinate, uno presso la sezione di Guarcino dell’Archivio di Stato<br />

di Frosinone e l’altro presso l’Archivio di Stato di Roma.<br />

La copia del <strong>Comune</strong> fu probabilmente esemplata poco dopo il 1°<br />

febbraio 1672, data del decreto con cui i Capitoli furono riformati.<br />

Negli anni seguenti le disposizioni furono ulteriormente riformate,<br />

dando luogo a modifiche ed integrazioni che si rispecchiano negli<br />

5<br />

Ferentino, Archivio storico comunale, Postunitario, b. 188 fasc. 333.<br />

La pratica si conserva in una cartella con la dicitura Statuto della città di<br />

Ferentino; la minuta della lettera del Sindaco recita “Ferentino 27 marzo<br />

1875. Dietro l’Ordine circolare dei 30 marzo 1856 emanato da Sua Eminenza<br />

Monsignor Mertel il mio <strong>Comune</strong> consegnò alla pontificia Segreteria<br />

per gli affari interni l’unica copia del suo Statuto municipale, legato in<br />

pelle rossa, dorato, ed avente l’intestazione Statutum Civitatis Ferentini in<br />

Ernicis. Ora siccome questo Statuto è indispensabile al mio <strong>Comune</strong> tanto<br />

per conservarne le sue preziose memorie, quanto per risolvere la questione<br />

promossa dalla Regia Sottoprefettura sul diritto di pascolo, perciò io vivamente<br />

prego l’Eccellenza Vostra a volerne ordinare la restituzione. Io spero<br />

che l’Eccellenza Vostra si degnerà condiscendere alla mia dimanda; molto<br />

più perché credo fermamente, che quello Statuto non sia ora più necessario<br />

per lo scopo, che nel 1856 erasi prefisso il sunnominato Monsignor Mertel”.


388<br />

Francesca Pontri<br />

altri due testimoni.<br />

La copia romana contiene il testo così come riformato nel<br />

1725, mentre quella guarcinate riporta le disposizioni contenute<br />

nell’esemplare ferentinate con la registrazione delle ulteriori<br />

modifiche, il tutto convalidato dalla sottoscrizione apposta dal notaio<br />

Alessandro Ciafroni nel 1729 6 .<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Biblioteca del<br />

Senato “Giovanni Spadolini”, Collezione Statuti, segn. statuti mss<br />

89.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: probabilmente tra il febbraio 1465 e il maggio 1466.<br />

ORIGINE: probabilmente Ferentino.<br />

MATERIA: membranacee le cc. 1-52, cartacee le guardie e le cc.<br />

53-57.<br />

FILIGRANA: di due tipi, un’àncora a due braccia inscritta in un tondo<br />

simile a Briquet 466 (guardie) e un uccello su tre colline inscritto in<br />

un tondo sormontato da una stella, simile a Briquet 12251 (c. 54).<br />

CARTE: I, 57, II; numerazione a matita di mano moderna nell’angolo<br />

superiore esterno del recto di ogni carta che segue la sequenza<br />

corretta; diverse altre numerazioni a penna più antiche che si<br />

discostano di una o due unità rispetto alla cifra corretta; nell’angolo<br />

superiore esterno della guardia Ir la lettera B, nella guardia IIr la<br />

lettera C, a matita, di mano moderna.<br />

DIMENSIONI: mm 318 × 238 (c. 11).<br />

FASCICOLAZIONE: I 1 (c. 1, metà di un foglio), II 10-3 (cc. 2-8,<br />

6<br />

Sui manoscritti contenenti le norme del danno dato di Ferentino si confronti<br />

G. Floridi, La Romana mater di Bonifacio VIII e le libertà comunali<br />

nel Basso Lazio, Guarcino 1985, pp. 169-170; Id., Il notariato negli statuti<br />

del basso Lazio: profilo del notaio comunitario figure di alcuni notai e<br />

cronotassi (secc. IX-XXI), Frosinone 2005, p. 124.


Statuti di Ferentino<br />

389<br />

deperditi la prima carta e il foglio centrale), III-IV 10 (cc. 9-28), V 10-<br />

2<br />

(cc. 29-36, caduto il foglio esterno del fascicolo), VI 10-2 (cc. 37-<br />

44, cadute le solidali delle cc. 37 e 38), VII 4-1 (cc. 45-47, caduta la<br />

solidale di c. 45), VIII 4 (cc. 48-51), IX 1 (c. 52, l’altra metà di c. 1);<br />

le cc. 53-57 sono state incollate singolarmente in fondo al volume; i<br />

fascicoli iniziano con il lato carne, tranne il IV e l’VIII che iniziano<br />

col lato pelo.<br />

RIGATURA: a mina di piombo, apparentemente realizzata sulle<br />

singole carte, dove talvolta si limita alle rettrici.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 11r) A 25, B 278, C 318, a 29, d 100, f<br />

123, i 195, l 238 mm.<br />

RIGHE: 64 righe per 63 linee di scrittura, che comincia sotto la<br />

prima riga (c. 11r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su due colonne.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una semigotica, inchiostro marrone chiaro, mentre i titoli<br />

delle rubriche e i titoli correnti presenti nel margine superiore di ogni<br />

carta sono in rosso.<br />

DECORAZIONE: numerose iniziali rubricate; abbondante presenza<br />

di segni di paragrafo in rosso.<br />

SIGILLI E TIMBRI: sigillo aderente in cera, coperto con un foglietto<br />

di carta, nel bas-de-page del recto di ogni carta, riportante le insegne<br />

del cardinale Carandini, prefetto della Sacra Congregazione del<br />

Buon Governo, apposto nel 1791 7 ; orma di un sigillo aderente in<br />

cera rossa a c. 46r; sigillo aderente in cera ricoperto con foglietto<br />

a c. 49v; orma di un sigillo aderente in cera rossa a c. 51v; sigillo<br />

aderente in cera rossa a c. 53r.<br />

LEGATURA: 355 × 250 mm; legatura in piena pergamena su assi<br />

di cartone che formano una sorta di scatola, avendo i bordi rialzati;<br />

cucitura con filo di cotone, inaccertabile il numero dei nervi; taglio<br />

decorato con puntini e ghirigori in rosso su tutti i lati.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: nonostante il codice sia stato<br />

restaurato in epoca non troppo recente, lo stato di conservazione non<br />

7<br />

È quanto si legge in Statuta civitatis Ferentini: edizione critica dal ms. 89<br />

della Biblioteca del Senato della Repubblica, cit., p. XXX.


390<br />

Francesca Pontri<br />

è buono; le pagine sono state risarcite con pergamena; la scrittura<br />

non è più leggibile in numerose carte; fori di tarlo sparsi; la legatura<br />

è consumata in più punti.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: numerose maniculae e integrazioni<br />

marginali di mani diverse lungo tutto il testo.<br />

VARIA: le cc. 1 e 52 erano originariamente unite a formare un solo<br />

foglio contenente le riforme approvate dal governatore di Campagna<br />

e Marittima Panfilo Strassoldo il 27 settembre 1518; la c. 2r-v<br />

presenta una pluralità di disegni e scritte varie; disegno geometrico<br />

a c. 37v; in fondo al volume è stato aggiunto un frammento di carta<br />

dall’incerta attribuzione; l’angolo inferiore esterno delle carte è<br />

molto consumato, testimonianza del prolungato utilizzo del codice.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo non è presente nel manoscritto ma si evince dal testo, lacunoso<br />

per via della perdita di diverse carte. Le norme sono in latino, mentre<br />

i documenti copiati, le approvazioni e le conferme sono scritte parte<br />

in latino, parte in italiano. Le rubriche sono numerate a lato con cifre<br />

romane in rosso.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- c. 1r-v: riforme del testo approvate il 27 settembre 1518 da<br />

Panfilo Strassoldo, di cui la seconda metà si trova a c. 52,<br />

essendo le due carte originariamente unite in un unico foglio;<br />

- c. 3r l. 44 col. a: Proemio;<br />

- cc. 3r l. 45 col. a-9r: Libro I, De officiis, 57 rubriche contenenti<br />

le norme per l’elezione degli amministratori e i loro compiti;<br />

- cc. 9v-26r: Libro II, De criminalibus et maleficiis, 150<br />

rubriche di diritto penale precedute dall’indice;<br />

- cc. 26v-34v: Libro III Causarum Civilium, 78 rubriche di<br />

diritto civile precedute dall’indice;<br />

- cc. 35v-37r: Libro IV Damnorum Datorum, 49 rubriche sul<br />

danno dato precedute dall’indice;<br />

- cc. 38r-45v: Libro V Extraordinariorum, 147 rubriche su<br />

materie disparate;<br />

- cc. 46r-51v: copie di documenti e conferme varie;<br />

- c. 52: la seconda metà di c. 1.<br />

Sulla c. 53r è stato incollato un foglio di carta contenente descrizione


Statuti di Ferentino<br />

391<br />

e datazione del codice effettuate dal canonico Pierluigi Galletti nel<br />

1763, mentre le cc. 54-57 contengono documenti riguardanti la<br />

consegna dello Statuto al Buon Governo nel 1791 e le norme sul<br />

danno dato.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 532.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: 22 ottobre 1782 (datazione espressa a c. 3r e a c.<br />

138r).<br />

ORIGINE: Ferentino (data topica espressa a c. 3r).<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: presente nelle guardie, rappresenta lo stemma di<br />

Carlo III di Borbone.<br />

CARTE: I, 140, II; numerazione mista a matita di mano moderna<br />

nell’angolo inferiore esterno che parte da 1 a c. 1r fino a 7 a c. 3r,<br />

poi 8 a c. 5r, 9 a c. 6r e avanti fino a 32 a c. 17v; a c. 18r comincia<br />

una paginazione a penna, coeva alla scrittura, nell’angolo superiore<br />

esterno delle carte che parte da 1 a c. 18r e arriva a 241 a c. 138r; le<br />

carte 139-140, nonché la guardia II, non sono numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 368 × 240 (c. 28).<br />

FASCICOLAZIONE: I 10-5 (cc. 1-5, le carte sono state incollate<br />

all’inizio del volume dopo la guardia anteriore), II 22 (cc. 6-27), III 26<br />

(cc. 28-53), IV 22 (cc. 54-75), V 26 (cc. 76-101), VI 18-1 (cc. 102-118,<br />

c. 102 senza riscontro), VII 24-2 (cc. 119-140, cc. 119 e 120 senza<br />

riscontro).<br />

RIGATURA: a matita, tracciata la rettrice maggiore e le linee di<br />

giustificazione che sono raddoppiate.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 28r) A 22, B 352, C 368, a 17, i 211, l 240<br />

mm.<br />

RIGHE: il numero delle linee di scrittura varia dalle 30 di c. 8r alle


392<br />

Francesca Pontri<br />

35 di c. 28r.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: ovunque presenti nell’angolo inferiore interno del recto<br />

delle carte.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una minuscola leggermente inclinata a destra, inchiostro<br />

marrone scuro.<br />

DECORAZIONE: numerose iniziali rubricate e decorate con svolazzi<br />

e cadelle a inchiostro marrone e rosso; a c. 1r scrittura distintiva<br />

in marrone e rosso, corredata dallo stemma del cardinale Antonio<br />

Casali di Ferentino negli stessi colori; a c. 5r una cornice racchiude<br />

lo stemma della città di Ferentino con le chiavi decussate, sormontato<br />

da una corona, a inchiostro marrone; grande svolazzo alle cc. 33v e<br />

110v; vaso con fiore a c. 102v; grande giglio di Ferentino a c. 138v;<br />

svolazzi a inchiostro marrone sparsi lungo tutto il testo.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro a inchiostro nero del notaio Marco<br />

Cavalli alle cc. 3r e 138r.<br />

LEGATURA: 380 × 245 mm; legatura in pelle marrone su assi<br />

di legno; cucitura su 5 nervi con filo di cotone chiaro; capitello<br />

superiore cucito; piatti decorati con cornice floreale impressa in oro,<br />

contenente lo stemma del cardinale Antonio Casali ugualmente in<br />

oro; sul dorso un riquadro di pelle marrone con impressa la scritta<br />

“Statutum / civitatis / Ferentini / in / Hernicis” in lettere capitali<br />

dorate nel 2° scomparto, tralci vegetali impressi in oro negli altri<br />

scomparti; il taglio è decorato di rosso su tutti i lati.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: la coperta è molto consumata e<br />

rischia il distacco dal corpo del codice; la cuffia inferiore è molto<br />

danneggiata.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: il colophon recita: “In Dei Nomine<br />

Amen / Presenti publico exemplationis, seu transumptationis,<br />

et extractionis / Instrumento Cunctis ubique pateat evidenter,<br />

notumque sit, qualiter Anno / Incarnationis Dominicę Millesimo<br />

Septingentesimo, Octogesimo / Secundo, Sedente Sanctissimo in<br />

Cristo Patre, et Domino Nostro Domino Divina Providentia Papa Pio<br />

/ VI Anno sui Pontificatus VIII, Indictione Romana XV, Die vero<br />

22 Mensis / Octobris. Ego Notarius Publicus Infrascriptus Presentem


Statuti di Ferentino<br />

393<br />

Statutariarum San-/ctionum Copiam Paginarum biscentum<br />

quadraginta unius, omniaque / et singula a principio ad finem in ea<br />

contenta, et expressa, de ordine, / et Mandato Illustrissimi Domini<br />

Bernardi Advocati de Angelis Delegati Apostolici / fideliter, ac<br />

de verbo ad verbum extraxi, copiavi, et exemplavi, prout / jaceat,<br />

ex originali Statuto Civitatis Ferentini in Hernicis, bene com-/<br />

pacto, colligato, et carthulato, cartaque Pergamena cooperto, et in<br />

Conserva-/toriali Secretaria asservato, mihi etc. per Illustrissimos<br />

Dominos Conservatores accommo-/dato, ad effectum exemplandi,<br />

transumptandi, et extraendi, et proinde / transmittendi ad Sacram<br />

Congregationem Boni Regiminis, nullo penes me relicto / transumpto,<br />

seu exemplari, nil addito, vel diminuto etc., quod facti sub-/stantiam<br />

quodammodo variare possit, et valeat, quin imo facta cum dictum /<br />

originali diligenti collatione, concordare inveni, salvo semper etc. / In<br />

quorum fidem etc., hic me scripsi, subscripsi, et publicavi, signumque<br />

/ mei Tabellionatus, quo in similibus utor, apposui requisitus, atque<br />

roga-/tus etc., salvo semper etc. / Ita est Marcus Cavalli Publicus<br />

Dei Gratia, et Apostolica au-/ctoritate Ferentini Notarius in Archivio<br />

Romane Curie de-/scriptus, et matriculatus, et ad hunc effectum<br />

specialiter as-/sumptus, et deputatus, salvo semper etc.”<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: piccole correzioni a matita<br />

sparpagliate lungo il testo.<br />

VARIA: la cifra 1023 a matita nel margine superiore di c. 1r;<br />

numerosissimi puntini di sospensione dove il copista non riesce a<br />

leggere l’antigrafo.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. 1r è “Statutum civitatis Fe-/<br />

rentini in Hernicis”. Le norme sono in latino, mentre i documenti<br />

copiati, le approvazioni e le conferme sono scritte parte in latino,<br />

parte in italiano. Le rubriche sono numerate con cifre arabe.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- c. 1r: primo frontespizio;<br />

- cc. 2r-3r: proemio con la sottoscrizione del notaio Marco<br />

Cavalli;<br />

- c. 5r: secondo frontespizio;<br />

- cc. 6r-16v: Tabula dei capitoli contenuti nel volume suddivisi


394<br />

Francesca Pontri<br />

per Libri;<br />

- cc. 16v-17v: brevi e lettere apostoliche;<br />

- cc. 17v-18r l. 15: introduzione;<br />

- cc. 18r l. 16-33v: Libro I De Officiis, 57 capitoli contenenti<br />

le norme per l’elezione degli amministratori e i loro compiti;<br />

- cc. 34r-79v: Libro II De Criminalibus et Maleficiis, 150<br />

capitoli di diritto penale;<br />

- cc. 80r-102r: Libro III Causarum Civilium, 78 capitoli di<br />

diritto civile;<br />

- cc. 103r-110v: Libro IV Damnorum Datorum, 49 capitoli sul<br />

danno dato;<br />

- cc. 111r-134r: Libro V Extraordinariorum, 147 capitoli su<br />

materie disparate;<br />

- cc. 134r-137v: copie di documenti e conferme varie;<br />

- c. 138r: sottoscrizione del notaio Marco Cavalli.<br />

CODICE 3<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Ferentino, Archivio<br />

storico comunale, Preunitario, b. 139 f. 378.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: composito organizzato, assemblato<br />

e fatto restaurare dal notaio Giuliano Floridi nella seconda metà del<br />

XX secolo, come espresso nel secondo frontespizio del volume,<br />

corredato dallo stemma di casa Floridi. Il primo frontespizio contiene<br />

invece il titolo dell’opera e lo stemma della Città di Ferentino.<br />

LEGATURA: 280 × 205 mm; legatura moderna di restauro in pelle<br />

marrone su assi di legno; cucitura su 5 nervi con filo di cotone chiaro.<br />

Sul piatto anteriore una cornice impressa a secco e la scritta “Statuto<br />

di Ferentino / libro / dei danni dati” in lettere capitali dorate, sul<br />

piatto posteriore solo la cornice; sul dorso “Statuto / di / Ferentino”<br />

in lettere capitali dorate nel 2° scomparto, fregi impressi a secco e in<br />

oro negli altri scomparti.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume è stato restaurato nella<br />

seconda metà del XX secolo; le carte sono state risarcite e rilegate;<br />

aggiunte 5 carte iniziali e 2 di guardia finali; le carte nella seconda


Statuti di Ferentino<br />

395<br />

unità del codice sono state rifilate.<br />

UNITÀ 1<br />

DATAZIONE: tra il 1672 e il 1717.<br />

ORIGINE: probabilmente Ferentino.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: àncora a due braccia inscritta in un tondo simile a<br />

Briquet 466.<br />

CARTE: I, 66, II; numerazione irregolare a penna, coeva alla<br />

scrittura, nell’angolo superiore esterno del recto delle carte; una<br />

seconda numerazione a penna, di mano posteriore, supplisce alla<br />

mancanza della prima, talvolta coesistendo con essa.<br />

DIMENSIONI: mm 267 × 193 (c. 16).<br />

FASCICOLAZIONE: I 26-2 (cc. I-23, cc. I e 1 senza riscontro), II-III 22<br />

(cc. 24-II).<br />

RIGATURA: a secco, talvolta limitata alla linea di giustificazione<br />

sinistra; occasionalmente tratteggiata a inchiostro.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 16r) A 13, B 250, C 267, a 22, l 193 mm.<br />

RIGHE: il numero delle linee di scrittura varia dalle 20 di c. 16r alle<br />

18 di c. 39r.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: ovunque presenti nell’angolo inferiore interno del recto<br />

delle carte.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva (cc. 1r-64r l. 4), i documenti copiati in sequenza<br />

sono di mani diverse, scrittura corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: numerose maniculae e segni di<br />

richiamo lungo tutto il testo; integrazioni di mano del copista.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. 1r è “Ferentino / Danno<br />

dato”. Il testo e i documenti copiati sono in italiano, le norme sono<br />

variamente numerate con cifre arabe. Le disposizioni occupano le<br />

cc. 1r-64r; segue l’Indice alle cc. 64v-65r. Le cc. 65v-66r ospitano<br />

le modifiche introdotte dopo il 1718, mentre a c. 66v trova posto la<br />

copia del documento datato 1° febbraio 1672 con cui si approvano i<br />

Capitoli della Comunità di Ferentino.


396<br />

Francesca Pontri<br />

UNITÀ 2<br />

DATAZIONE: XVIII secolo (i documenti vanno dal 1717 al 1791).<br />

ORIGINE: probabilmente Ferentino.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: leone rampante coronato tipo Briquet 10571; sole a<br />

sei raggi inscritto in un tondo sormontato da una croce latina, tipo<br />

Briquet 13928 ma con la croce in luogo della lettera; uccello su<br />

tre colline inscritto in un tondo sormontato da una stella, simile a<br />

Briquet 12251; àncora a due braccia inscritta in un tondo simile a<br />

Briquet 490.<br />

CARTE: I, 18, II; numerazione irregolare a penna di mano posteriore<br />

nell’angolo superiore esterno del recto delle carte, dove manca<br />

supplisce una numerazione a matita di mano moderna.<br />

DIMENSIONI: mm 270 × 200 (c. 5).<br />

FASCICOLAZIONE: inaccertabile, le carte sono variamente inserite<br />

una nell’altra.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 5r) A 15, B 260, C 270, a 50, l 200 mm.<br />

RIGHE: il numero delle linee di scrittura è variabile.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: per lo più su una colonna.<br />

RICHIAMI: saltuariamente presenti nell’angolo inferiore interno<br />

del verso delle carte.<br />

SCRITTURA E MANI: mani diverse, scrittura corsiva, inchiostro<br />

marrone scuro.<br />

DECORAZIONE: svolazzo a inchiostro marrone a c. 10v.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: numerosissime maniculae, di cui<br />

una in rosso (inchiostro ossidato) a c. 9r.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

L’unità è composta da numerosi documenti relativi al Danno dato<br />

che vanno dal 1717 al 1792, i quali permettono di ricostruire<br />

l’evoluzione delle norme.<br />

CODICE 4<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 385.


Statuti di Ferentino<br />

397<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: 1725 o poco prima (cfr. c. 57v).<br />

ORIGINE: probabilmente Ferentino.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: a c. I giglio inscritto in un tondo, sormontato da una<br />

corona, con la lettera B sottostante, tipo Briquet 7112; nel resto del<br />

codice sole a sei raggi inscritto in un tondo sormontato da una croce<br />

latina, tipo Briquet 13928 ma con la croce in luogo della lettera.<br />

CARTE: I-III, 59, IV-V; numerazione a penna, coeva alla scrittura,<br />

nell’angolo superiore esterno del recto delle carte, che presenta<br />

irregolarità in quanto a c. 21r ricomincia da 30, senza lacune evidenti<br />

nel testo, per finire a c. 56r con il numero 65; le cc. 57-59 e le guardie<br />

non sono numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 265 × 198 (c. 10).<br />

FASCICOLAZIONE: I 46 (cc. II-44), II 18-2 (cc. 45-IV, cc. 45 e 46<br />

senza riscontro).<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 10r) A 20, B 248, C 265, a 33, l 198 mm.<br />

RIGHE: il numero delle linee di scrittura varia dalle 24 di c. 33r alle<br />

17 di c. 22r.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: ovunque presenti nell’angolo inferiore interno del verso<br />

delle carte, tranne a c. 52v dove manca; a c. 10r è presente anche sul<br />

recto.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano<br />

che esibisce una corsiva (cc. 1r-56v); l’Indice e i documenti copiati<br />

in sequenza sono di una mano diversa, scrittura corsiva, inchiostro<br />

marrone scuro.<br />

DECORAZIONE: iniziali filigranate all’incipit dei capitoli.<br />

LEGATURA: 280 × 205 mm; legatura in piena pergamena su assi<br />

di cartoncino; cucitura su 6 nervi con filo di cotone chiaro; sul piatto<br />

anteriore “385 Statuti” a penna di mano moderna.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il manoscritto non sembra essere<br />

stato mai restaurato; fori di tarlo ovunque; la coperta rischia il<br />

distacco dal corpo del codice.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: integrazioni di mano del copista.


398<br />

Francesca Pontri<br />

VARIA: sulla c. IIIv la scritta “obbligo di fare reg. XX”; la cifra<br />

26/19/ a matita nell’angolo superiore esterno di c. Vv.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. 1r è “Capitoli della Communità<br />

della Città di Ferentino / Danno dato”. Il testo e i documenti copiati<br />

sono in italiano, le norme sono variamente numerate con cifre arabe.<br />

Le disposizioni occupano le cc. 1r-56v; segue l’Indice alla c. 57r-v,<br />

in fondo al quale è copiata l’approvazione delle norme da parte del<br />

Buon Governo del 1725. Le cc. 58r-59r, infine, ospitano le modifiche<br />

introdotte dopo il 1718.<br />

CODICE 5<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Frosinone, Archivio<br />

di Stato, sezione di Anagni-Guarcino, Collezione Statuti n. 12.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: 21 febbraio 1729 (datazione espressa a c. 69r).<br />

ORIGINE: Ferentino (data topica espressa a c. 69r).<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: di due tipi, sole a sei raggi inscritto in un tondo<br />

sormontato da una croce latina, tipo Briquet 13928 ma con la croce<br />

in luogo della lettera, e àncora a due braccia inscritta in un tondo<br />

simile a Briquet 490.<br />

CARTE: I-III, 69, IV-XVI (guardie III e IV-XIV originali, guardie<br />

I-II e XV-XVI di restauro del XX secolo); una mano moderna numera<br />

a matita le cc. IIIr, 2r, 3r, 4r, 5r e 6r rispettivamente con 1, 4, 5, 7, 8<br />

e 9, il tutto nell’angolo superiore esterno; una numerazione a penna,<br />

coeva alla scrittura, comincia a numerare da 1 a c. 7r e arriva a 63 a<br />

c. 69r, nell’angolo superiore esterno delle carte; le guardie, tranne c.<br />

III, non sono numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 245 × 172 (c. 31).<br />

FASCICOLAZIONE: I 6 (cc. III-5), II 14 (cc. 6-19), III 10 (cc. 20-29),<br />

IV 14 (cc. 30-43), V 8 (cc. 44-51), VI 18 (cc. 52-69), VII 12-1 (cc. IV-XIV,<br />

c. IV senza riscontro).


Statuti di Ferentino<br />

399<br />

RIGATURA: a matita, soltanto tra le cc. 1-3.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 31r) A 35, B 200, C 245, a 22, i 118, l 172<br />

mm.<br />

RIGHE: 28 linee di scrittura, molto regolari nonostante l’assenza di<br />

rigatura.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: ovunque presenti nell’angolo inferiore interno del verso<br />

delle carte.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano<br />

che esibisce una corsiva, l’inchiostro varia dal marrone scuro al nero<br />

sbiadito.<br />

DECORAZIONE: 2 dei 3 frontespizi che precedono il testo sono<br />

decorati rispettivamente con lo stemma della Città di Ferentino a<br />

inchiostro marrone (c. 1r) e con lo stemma della famiglia Floridi<br />

con il leone rampante, l’albero e i tre monti, ugualmente a inchiostro<br />

marrone (c. 2r); numerosi svolazzi a penna; ondine decorative a mo’<br />

di riempilinea lungo tutto il testo; scrittura a “pie’ di lampada” alle<br />

cc. 25r, 26v, 36r, 40v e 63r.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro a inchiostro nero del notaio Alessandro<br />

Ciafroni a c. 69r.<br />

LEGATURA: 265 × 190 mm; legatura moderna di restauro in pelle<br />

verde scuro su assi di legno; capitelli cuciti di restauro; cucitura su<br />

5 nervi con filo di cotone chiaro. Piatti decorati con tralci vegetali<br />

impressi in oro; sul piatto anteriore “Statuto di Ferentino / Libro<br />

/ dei danni dati” in lettere capitali dorate; sul dorso “Statuto / di<br />

/ Ferentino” in lettere capitali dorate; tagli decorati con spruzzi<br />

d’inchiostro rosso.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il codice è stato restaurato nella<br />

seconda metà del XX secolo su iniziativa del notaio Giuliano Floridi;<br />

aggiunta una nuova coperta e nuove carte di guardia.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: il colophon di c. 69r recita “Presens<br />

supradicta copia descripta et adnotata in presenti / Libro folii 63<br />

extracta, et exemplata fuit per me / infrascriptum notarium ex capitulis<br />

originalibus existentis / in Secreteria Prioralis civitatis Ferentini licet<br />

/ aliena manu mihi fide digna, facta dili-/ genti collatione cum suis<br />

originalibus con-/ cordare inveni, salva semper etc. et in premissis /


400<br />

Francesca Pontri<br />

fidem hic me subscripsi, signavi, et publicavi / hac die 21 Februarii<br />

1729 / Ita est Alexander Antonius Ciafronus Notarius Publicus /<br />

Ferentini rogatus.”<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: numerose maniculae e segni di<br />

richiamo lungo tutto il testo; integrazioni fuori testo a matita, di<br />

mano moderna, alle cc. 28r, 58r e v.<br />

VARIA: la scritta “Ferentino” a matita, di mano moderna, a c. 1r;<br />

CODEX a c. 4r; a c. 6v resti di cifre arabe a penna e a matita; trattini<br />

di lapis blu a c. 69v.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. 1r è “Statuto di Ferentino /<br />

Libro / dei danni dati / 1729”. Il testo e i documenti copiati sono<br />

in italiano, le norme sono variamente numerate con cifre arabe. Le<br />

disposizioni occupano le cc. 7r-68r, alle quali segue la sottoscrizione<br />

del notaio. L’Indice occupa invece la c. 69v, contenente l’elenco<br />

delle norme con la pagina di riferimento.


401<br />

STATUTI DI FIUGGI<br />

Il comune di Anticoli di Campagna, denominato Fiuggi nel 1911,<br />

nel corso della sua storia vide una sostanziale alternanza tra periodi<br />

di autonomia, sotto la dipendenza diretta dallo Stato Pontificio per<br />

mezzo di un Vicario, a periodi di sottomissione a diversi feudatari.<br />

Tra il 1478 e il 1483 la cittadina fu concessa in feudo al cardinale<br />

d’Estouteville, mentre tra il 1492 e il 1503, e poi ancora nel 1505, fu<br />

sotto il dominio della famiglia Sforza. Nel 1517 Prospero Colonna<br />

acquistò il castello, che si riteneva in enfiteusi dal Papa; negli anni<br />

seguenti si susseguirono confische e restituzioni, finchè nel 1562 i<br />

Colonna ebbero Anticoli in feudo in modo permanente 1 .<br />

Il manoscritto conservato presso la Biblioteca del Senato in<br />

Roma si può identificare in quello cartaceo menzionato dal notaio<br />

Giuliano Floridi in diverse sue opere e purtroppo, al momento della<br />

sua indagine, irreperibile 2 . Floridi, citando le ricerche di De Rossi,<br />

Ambrosi De Magistris e Stevenson 3 , parla di due copie manoscritte<br />

della compilazione statutaria, di cui una membranacea (attualmente<br />

deperdita) e una cartacea, risalenti al periodo tra la fine del XVI secolo<br />

e la metà del XVII e conservate nell’Archivio storico comunale. La<br />

presenza delle due copie nell’archivio anticolano almeno fino al<br />

1955 è confermata anche da Chelazzi 4 , ma viene respinta da Floridi<br />

1<br />

Cfr. G. Silvestrelli, Città castelli e terre della regione romana: ricerche<br />

di storia medioevale e moderna sino all’anno 1800, Roma 1993, 1, pp.<br />

75-76.<br />

2<br />

Cfr. G. Floridi, <strong>Storia</strong> di Fiuggi (Anticoli di Campagna): con documenti<br />

inediti e notizie sugli statuti anticolani, Guarcino 1979, pp. 374-376; Id.,<br />

La Romana mater di Bonifacio VIII e le libertà comunali nel Basso Lazio,<br />

Guarcino 1985, pp. 89-95 con le relative note e la ricca bibliografia citata.<br />

3<br />

Ibidem.<br />

4<br />

La notizia è contenuta in Catalogo della raccolta di statuti: consuetudini,<br />

leggi, decreti, ordini e privilegi dei comuni, delle associazioni e degli enti<br />

locali italiani dal Medioevo alla fine del secolo XVIII, a cura di C. Chelazzi,<br />

Roma 1955, 2, p. 170.


402<br />

Francesca Pontri<br />

in virtù della sua personale esperienza.<br />

Il codice membranaceo, dalla redazione di poco antecedente a<br />

quello cartaceo, viene descritto come mutilo in principio, mancante<br />

cioè di tutto il I Libro contenuto in 9 carte, ed in fine. Il testo, suddiviso<br />

nella canonica partizione in cinque libri, comprendeva però soltanto<br />

tre conferme degli Statuti, ossia quella di Giovanni de Pierdeboni da<br />

Montepulciano del 1410, di Stefano Nardini del 1454 e di Stefano<br />

Porcari, del quale non si riporta la data in ragione della caduta delle<br />

ultime carte del codice. Esse contenevano probabilmente le ulteriori<br />

sottoscrizioni che si trovano invece nell’esemplare cartaceo, al quale<br />

il testo corrispondeva per il tutto il resto dell’esemplare.<br />

Il secondo manoscritto, cioè quello cartaceo, era stato rinvenuto<br />

da Floridi nella biblioteca privata dei signori Verghetti di Guarcino, i<br />

quali nel 1967 ne avevano fatto dono all’archivio storico comunale;<br />

purtroppo il codice, a causa di alterne vicende, è stato in seguito<br />

smarrito. Un’ipotesi più che probabile è che questa copia sia<br />

confluita, seguendo percorsi sconosciuti, nella Collezione Statuti<br />

della Biblioteca del Senato dove tuttora si conserva 5 . A sostegno<br />

di questa tesi vi è innanzitutto la corrispondenza tra le descrizioni<br />

del manoscritto eseguite dagli studiosi sopra menzionati e l’analisi<br />

del volume come oggi si presenta: il formato, il numero delle<br />

carte, la scrittura, la lingua e l’epoca dei manufatti coincidono.<br />

Corrispondenza piena si ritrova anche nella sottoscrizione di Felice<br />

Orsini Colonna, apposta a conferma della Tabula mercedis premessa<br />

al I Libro, così come indicato da Ambrosi de Magistris 6 . Si tratta<br />

inoltre, in entrambi i casi, di una copia semplice, priva cioè degli<br />

elementi di roborazione classici degli Statuti, quali la sottoscrizione<br />

autografa del notaio o del Signore locale accompagnata dal relativo<br />

sigillo o timbro.<br />

I due manoscritti, quello membranaceo e quello cartaceo,<br />

5<br />

La data di ingresso del manoscritto nella Biblioteca del Senato potrebbe<br />

essere il 26 gennaio 1972, data apposta sul verso della carta di guardia<br />

finale del codice.<br />

6<br />

Si veda G. Floridi, La Romana mater di Bonifacio VIII e le libertà comunali<br />

nel Basso Lazio, cit., pp. 93-94 n. 32.


Statuti di Fiuggi<br />

403<br />

sarebbero copia di altro esemplare del 1410, il quale sarebbe<br />

sopravvissuto all’incendio che nel XV secolo distrusse gran parte<br />

dei documenti dell’archivio storico anticolano. Tale Statuto fu<br />

confermato il 12 giugno 1419 da papa Martino V, il quale indirizzò<br />

la missiva direttamente alla comunità di Anticoli evidenziandone<br />

la non sudditanza, in quel momento, ad altri Signori. Nella stessa<br />

lettera si riconobbe inoltre agli anticolani la facoltà di proporre<br />

due candidati alla carica di vicario, suprema magistratura di quel<br />

<strong>Comune</strong>, tra i quali il rettore di Campagna e Marittima avrebbe poi<br />

scelto il più idoneo 7 . Importanti concessioni ci furono anche sotto il<br />

pontificato di Giulio II, che nel 1505 confermò gli Statuti e concesse<br />

la libera elezione del vicario; il suo successore, Leone X, nel 1513<br />

confermò anch’egli il testo statutario.<br />

Se lo Statuto del 1410 è a sua volta una copia di compilazioni<br />

precedenti, il primo nucleo delle quali fu probabilmente raccolto nella<br />

seconda metà del XIII secolo e rinnovato più volte, le ricognizioni<br />

e conferme contenute nell’ultima parte del manoscritto cartaceo del<br />

XVI secolo permettono invece di ricostruirne l’evoluzione attraverso<br />

la ratifica dei vari rettori fino a quella di Felice Orsini Colonna del<br />

1564.<br />

La seconda copia esistente dello Statuto di Anticoli di Campagna<br />

si conserva presso la Sezione di Archivio di Stato di Guarcino,<br />

Collezione Statuti. Il codice, copiato probabilmente nel XIX secolo e<br />

legato con altri quattro documenti riguardanti il danno dato, presenta<br />

unicamente i titoli delle rubriche i quali, peraltro, non coincidono con<br />

quelli del manoscritto del Senato. Il rubricario è stato ricostruito e<br />

pubblicato da Floridi, il quale si è reso anche promotore del restauro<br />

del volumetto nel 1975 8 .<br />

7<br />

Il testo della lettera, sia in originale che in traduzione, è riportato in ibidem,<br />

p. 96-97 e note relative.<br />

8<br />

Cfr. G. Floridi, <strong>Storia</strong> di Fiuggi (Anticoli di Campagna): con documenti<br />

inediti e notizie sugli statuti anticolani, cit., pp. 418-440.


404<br />

Francesca Pontri<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Biblioteca del<br />

Senato “Giovanni Spadolini”, Collezione Statuti, segn. statuti mss<br />

742.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: XVII secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Fiuggi.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: saltuariamente rilevabile, costituita da un uccello su<br />

tre colline inscritto in un tondo, simile a Briquet 12251.<br />

CARTE: I-II, 207, III; è presente una numerazione coeva a penna,<br />

con cifre arabe, nell’angolo superiore esterno del recto di ogni carta,<br />

che comincia da 1 a c.2r e arriva a 206 a c. 207r; le guardie iniziali I<br />

e II sono numerate [1] e [2], la c. 1r è numerata [3], mentre la guardia<br />

finale III è numerata 207, queste ultime quattro cifre a penna di mano<br />

moderna.<br />

DIMENSIONI: mm 190 × 130 (c. 114).<br />

FASCICOLAZIONE: I-XVII 12 (cc. II-203), XVIII 4 (cc. 204-207).<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 114r) A 20, B 180, C 190, a 20, i 112, l<br />

130 mm.<br />

RIGHE: perlopiù 20 linee di scrittura, con minime variazioni.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: ovunque presenti nell’angolo inferiore interno del verso<br />

dell’ultima carta di ogni fascicolo; irregolarmente presenti nel resto<br />

del manoscritto.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro di colore variabile dal marrone al<br />

nero.<br />

LEGATURA: 190 × 130 mm; legatura in pergamena floscia; cucitura<br />

su 5 nervi con filo di cotone chiaro, capitelli cuciti al codice; sul dorso<br />

la scritta a inchiostro nero “Liber Statutor(um) Terrae Ant[icoli]”,<br />

con le ultime lettere coperte dall’etichetta con la segnatura; resti di<br />

cifre arabe, poco leggibili, su entrambi i piatti.


Statuti di Fiuggi<br />

405<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il codice non sembra essere mai<br />

stato restaurato; il fascicolo X è prossimo al distacco dal corpo del<br />

codice, altri fascicoli corrono lo stesso rischio; l’angolo inferiore<br />

esterno dei primi fascicoli del manoscritto è molto consumato, tanto<br />

che gli angoli sono caduti in moltissime carte; abbondante presenza<br />

di fori di tarlo e macchie varie.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: nella prima metà del manoscritto<br />

si rilevano numerose integrazioni, sia nei margini che in interlinea,<br />

nonché piccole correzioni all’interno del testo, tutte della stessa mano<br />

di epoca posteriore alla scrittura, che utilizza inchiostro nero e punta<br />

sottile; a c. 78r punti di sospensione in luogo delle parole; a c. 82r<br />

la scritta “Delle Taverne” di mano moderna; a c. 161v integrazione<br />

marginale di due righe a matita, poste perpendicolarmente al testo,<br />

mano moderna.<br />

VARIA: scarabocchio a inchiostro blu di mano moderna nel basde-page<br />

di c. 19r; scarabocchio a inchiostro rosso a c. 67r; alla c.<br />

8r e alle cc. 206v-207r alcune frecce disegnate a matita di mano<br />

moderna; a c. 207v nel bas-de-page è presente il numero 311926; a<br />

c. IIIr è stata stampigliata la data “26 gennaio 1972”.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. Ir è “Liber Statutorum / Terrae<br />

Anticoli”. Lo Statuto è scritto in latino, così come le approvazioni e<br />

le conferme. Le rubriche sono numerate con cifre romane.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- cc. 1r-33r: Libro I, 29 rubriche contenenti le norme per<br />

l’elezione degli amministratori e i loro compiti, precedute<br />

dalla Rubrica Primi Libri e dalla Tabula mercedis approvata<br />

da Felice Orsini Colonna;<br />

- cc. 33v-79r:Libro II, 87 rubriche sul danno dato precedute<br />

dalla Rubrica;<br />

- cc. 80r-115v: Libro III, 61 rubriche su materie varie precedute<br />

dalla Rubrica ;<br />

- cc. 116r-173r: Libro IV, 68 rubriche di diritto penale<br />

precedute dalla Rubrica Quarti libri Criminalium;<br />

- cc. 174r-193r l. 4: Libro V, 19 rubriche di diritto civile<br />

precedute dalla Rubrica Quinti libri Causarum Civilium.


406<br />

Francesca Pontri<br />

A c. 193r alla l. 5 cominciano le conferme da parte di vari personaggi<br />

civili ed ecclesiastici che occupano le ultime carte del codice. La<br />

prima è di Giovanni de Pierdeboni da Montepulciano del 1410,<br />

mentre l’ultima è di Lorenzo de Tallianiis del 1466.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Frosinone, Archivio<br />

di Stato, sezione di Anagni-Guarcino, Collezione Statuti n. 6.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto composito organizzato,<br />

costituito da un fascicolo e documenti allegati, riuniti<br />

probabilmente dal notaio Giuliano Floridi.<br />

LEGATURA: 280 × 220 mm; legatura moderna di restauro in pelle<br />

blu scuro su assi di cartone; capitelli cuciti di restauro, costituiti<br />

da fili di seta rossi e bianchi; cucitura su 5 nervi con filo di cotone<br />

chiaro. Sul piatto anteriore “Anticoli di Campagna / Rubriche dello<br />

Statuto / con documenti sul libro / dei danni dati” in lettere capitali<br />

dorate; sul dorso “Rubriche / Statuti / Anticoli” in lettere capitali<br />

dorate nel 2° scomparto, fregi impressi in oro negli altri 5.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il manoscritto è stato restaurato<br />

nel 1975 su iniziativa del notaio Giuliano Floridi, come si legge sul<br />

frontespizio di c. 2r.<br />

UNITÁ 1<br />

DATAZIONE: XIX secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Fiuggi.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: difficilmente identificabile quando situata nella<br />

piega; sole a sei raggi inscritto in un tondo sormontato da una croce,<br />

vagamente somigliante a Briquet 13926.<br />

CARTE: I, 14; paginazione a matita di mano moderna nell’angolo<br />

superiore esterno che comincia da 1 a c. 3r e arriva a 15 a c. 10r.<br />

DIMENSIONI: mm 270 × 210 (c. 4).<br />

FASCICOLAZIONE: I 2 (cc. 1-2), II 12 (cc. 3-14).<br />

RIGATURA: moderna, a matita, tra le cc. 4r-13r.


Statuti di Fiuggi<br />

407<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 4r) A 35, B 237, C 270, a 36, b 54, i 176,<br />

l 210 mm; (c. 11r) A 30, B 239, C 270, a 25, b 43, i 179, l 210 mm.<br />

RIGHE: il numero delle linee di scrittura varia dalle 31 di c. 4r alle<br />

25 di c. 11r; la scrittura inizia sopra la prima riga.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna, con il numero della<br />

rubrica segnato a sinistra.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

DECORAZIONE: il primo frontespizio (c. 1r) è decorato con gli<br />

stemmi coronati del <strong>Comune</strong> di Fiuggi e della famiglia Colonna,<br />

racchiusi in una cornice contenente tralci vegetali, tutto a inchiostro<br />

marrone, mentre il testo presenta iniziali semplici a inchiostro rosso;<br />

il secondo frontespizio (c. 2r) presenta lo stemma coronato della<br />

famiglia Floridi di Guarcino, inchiostro marrone; iniziali filigranate<br />

all’incipit di ogni libro.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. 1r è “Statutorum Terrae<br />

Anticoli / in Campanea apud Hernicos / rubricarum compendium<br />

et / poenarum reformationes / de damno dato”. Le rubriche dello<br />

Statuto sono scritte in italiano e contrassegnate con numeri romani.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- cc. 3r-4v: Libro I, contenente le norme sulla nomina e le<br />

funzioni del vicario e degli amministratori;<br />

- cc. 5r-6r: Libro II, contenente le rubriche sui custodi e sul<br />

danno dato;<br />

- cc. 6v-8v: Libro III, rubriche sul commercio e varie;<br />

- cc. 9r-11r: Libro IV, norme su malefici e delitti;<br />

- cc. 11v-13r: Libro V, sulle cause civili.<br />

UNITÁ 2<br />

DATAZIONE: 24 marzo 1777.<br />

ORIGINE: Anticoli di Campagna.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: difficilmente identificabile quando situata nella<br />

piega; sole a sei raggi inscritto in un tondo sormontato da una croce,<br />

vagamente somigliante a Briquet 13926.


408<br />

Francesca Pontri<br />

CARTE: 6 carte; numerazione a matita di mano moderna nell’angolo<br />

superiore esterno alle cc. 1r e 2r.<br />

DIMENSIONI: mm 268 × 195 (c. 3).<br />

FASCICOLAZIONE: I 6 (cc. 1-6).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: a piena pagina, con specchio di<br />

scrittura e numero delle linee variabile.<br />

SCRITTURA E MANI: scritto da un’unica mano che esibisce una<br />

corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro a inchiostro nero del notaio Biagio<br />

Ambrosi a c. 4v, raffigurante tre fiori a cinque petali con una freccia<br />

che punta verso l’alto e un cartiglio dal contenuto illeggibile.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente a c. 1r è “Delibera Comunale con la quale i possidenti<br />

dei / terreni avanzano lamentele al Governo Centrale / per i continui<br />

danni subiti dai proprietari / di bestiame per nulla intimoriti dalle<br />

tenui / pene previste nel Libro dei / Danni dati del Locale Statuto”.<br />

UNITÁ 3<br />

DATAZIONE: 24 marzo 1777.<br />

ORIGINE: Anticoli di Campagna.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: difficilmente identificabile quando situata nella<br />

piega; sole a sei raggi inscritto in un tondo sormontato da una croce,<br />

vagamente somigliante a Briquet 13926.<br />

CARTE: 2 carte non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 268 × 195 (c. 2).<br />

FASCICOLAZIONE: I 2 (cc. 1-2).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: a piena pagina, con specchio di<br />

scrittura e numero delle linee variabile.<br />

SCRITTURA E MANI: scritto da un’unica mano che esibisce una<br />

corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente a c. 1r è “Richiesta al Buongoverno in seguito alla<br />

/ adottata delibera in pari data di maggior / difesa degli interessi<br />

dei Possidenti di terreni / “dannificati” dai Proprietari di bestiame<br />

/ Si richiede anche una modifica delle / norme statutarie, libro dei


Statuti di Fiuggi<br />

409<br />

“Danni dati” / comportanti maggiori pene a carico dei / proprietari<br />

di bestiame”.<br />

UNITÁ 4<br />

DATAZIONE: 17 aprile 1777.<br />

ORIGINE: Anticoli di Campagna.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 4 carte non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 268 × 195 (c. 2).<br />

FASCICOLAZIONE: I 4 (cc. 1-4).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: a piena pagina, con specchio di<br />

scrittura e numero delle linee variabile.<br />

SCRITTURA E MANI: scritto da un’unica mano che esibisce una<br />

corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente a c. 1r è “Al Governo Colonnese di Genazzano /<br />

Angiolo Antonio Trovalli Governatore / dei Colonna in Anticoli a<br />

seguito della / avanzata richiesta chiede facoltà di / modificare le<br />

norme Statutarie au-/mentando le pene previste nel libro / dei “Danni<br />

Dati” a carico dei proprie-/tari di bestiame che danneggiano i / terreni<br />

arativi e seminativi”.<br />

UNITÁ 5<br />

DATAZIONE: 13 maggio 1789.<br />

ORIGINE: Anticoli di Campagna.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: presente ma non identificabile.<br />

CARTE: 6 carte; numerazione a matita di mano moderna nell’angolo<br />

superiore esterno a c. 1r.<br />

DIMENSIONI: mm 266 × 186 (c. 1).<br />

FASCICOLAZIONE: I 6 (cc. 1-6), seguono 8 carte bianche di<br />

restauro.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: a piena pagina, con specchio di<br />

scrittura e numero delle linee variabile.<br />

SCRITTURA E MANI: scritto da un’unica mano che esibisce una<br />

corsiva, inchiostro marrone scuro.


410<br />

Francesca Pontri<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro a inchiostro nero del notaio Michelangelo<br />

Verghetti a c. 6v, raffigurante un uccello in volo con le ali spiegate<br />

ammirato da un gruppo di uccelli a terra, un cartiglio in alto che<br />

recita “In suis non fallitur”.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente a c. 1r è “Capitolato / composto di XX articoli per<br />

l’affitto delle / Selve Comunali”.


411<br />

STATUTI DI MOROLO<br />

La storia del <strong>Comune</strong> di Morolo è ricca di colpi di scena e<br />

passaggi di proprietà. Bruciata nel 1216 da Giovanni dei conti de<br />

Ceccano, tornò ai signori di Supino, precedenti proprietari, durante<br />

il pontificato di Gregorio IX. Nel 1385 la cittadina passò per ragioni<br />

dotali sotto il dominio di Fabrizio Colonna. Durante tutto il secolo<br />

XV e metà del XVI Morolo fu alternativamente sottratta e riassegnata<br />

alla famiglia Colonna, la quale ne acquisì il possesso definitivo solo<br />

nel 1562 1 .<br />

Il codice statutario di Morolo che si conserva nell’Archivio di<br />

Stato di Roma fu probabilmente copiato nel 1856. Ciò a seguito<br />

della richiesta avanzata nel maggio di quell’anno da parte del<br />

Ministro per gli Affari Interni dello Stato Pontificio, il porporato<br />

Teodolfo Mertel, di inviare a Roma una copia dello Statuto cittadino.<br />

La raccolta del cardinale, primo nucleo di quella che diventerà la<br />

Collezione degli Statuti, riveste un’importanza indiscutibile in<br />

quanto, in alcuni casi, vi si possono trovare le uniche copie superstiti<br />

delle compilazioni normative di una comunità. È questo il caso del<br />

<strong>Comune</strong> di Morolo, presso il cui Archivio storico si conservava<br />

probabilmente un manoscritto statutario attualmente deperdito, e<br />

che malauguratamente, nonostante le speranze espresse dal prof.<br />

Gioacchino Giammaria, non è riemerso nel corso dell’ordinamento<br />

dell’Archivio suddetto 2 . Tale manoscritto, prima della sparizione,<br />

nel 1892 fu tuttavia consultato dall’arciprete Don Eusebio Canali,<br />

il quale lo trascrisse integralmente corredandolo di altri documenti<br />

e informazioni storiche tratte da numerosi archivi e pubblicazioni.<br />

Grazie a questa trascrizione si possono avanzare delle ipotesi e<br />

1<br />

Le notizie storiche sono tratte da G. Silvestrelli, Città castelli e terre<br />

della regione romana: ricerche di storia medioevale e moderna sino<br />

all’anno 1800, Roma 1993, 1, pp. 154-155.<br />

2<br />

Cfr. E. Canali, Cenni storici della Terra di Morolo (con l’edizione dello<br />

Statuto del 1610), a cura di G. Giammaria, Anagni 1990 (Biblioteca di Latium,<br />

12), pp. 17-18, n. 17.


412<br />

Francesca Pontri<br />

fare delle considerazioni sull’antico Statuto di Morolo, sebbene<br />

limitatamente alle uniche due copie la cui esistenza è provata.<br />

Entrambi i manoscritti contengono il testo statutario così come<br />

venne confermato e approvato da Marcantonio IV Colonna il 19<br />

maggio 1610, approvazione che si trova nel codice romano alla c.<br />

21v. I due manoscritti differiscono solo per alcune varianti grafiche,<br />

senza alterazione del senso generale dei contenuti 3 . Confrontando<br />

il manoscritto romano con la trascrizione del Canali si può inoltre<br />

rilevare che l’uso delle maiuscole è diverso nelle due versioni, anche<br />

in questo caso senza inficiare la comprensione del testo.<br />

Una ulteriore differenza tra il manoscritto romano e quello<br />

deperdito è costituita dal fatto che nel primo caso i capitoli arrivano<br />

al numero 205, mentre nel secondo al 206. Come rileva Giammaria,<br />

non vi sono differenze nel testo e la difformità è dovuta unicamente<br />

al fatto che il copista del primo esemplare omette di numerare il<br />

capitolo 141, creando così la discrepanza sul numero finale delle<br />

rubriche. 4<br />

Proseguendo l’indagine sul contenuto dei due codici, e mettendo<br />

a confronto il testo della Memoria presente nel manoscritto romano<br />

con la trascrizione dell’arciprete, si può notare che il primo menziona<br />

le pagine esatte in cui si trovano le disposizioni che non devono<br />

più essere osservate, mentre nel secondo non ve n’è traccia. Per di<br />

più nella trascrizione si legge, sempre nella Memoria, che “detta<br />

S. Ecc. non è più tenuta all’osservanza delli due Capitoli descritti<br />

nel libro quarto dello Statuto […]”, mentre nella copia romana<br />

figura “detta Sua Eccellenza non è più tenuta all’osservanza delli<br />

Due Capitoli descritti nel Libro 4: del presente Statuto […]” 5 . Ed<br />

è proprio il lemma presente che permette di avanzare l’ipotesi che<br />

l’antigrafo del codice romano sia quello che conteneva il rogito<br />

originale del notaio Michele Tranquilli, il quale probabilmente lo<br />

scrisse di suo pugno – immaginiamo con tanto di signum tabellionis<br />

3<br />

Ibidem.<br />

4<br />

Ibidem.<br />

5<br />

Cfr. ivi, pp. 88-89; nel manoscritto dell’ASRm la Memoria si trova alle<br />

cc. 21v-22r .


Statuti di Morolo<br />

413<br />

– su un altro esemplare conservato nella Segreteria del Priorato di<br />

Morolo. Il codice conservato presso l’Archivio di Stato di Roma<br />

non sarebbe stato quindi copiato dal manoscritto trascritto da Canali,<br />

con il quale però avrebbe in comune l’antigrafo. Una spia di questo<br />

comune esemplare si può rintracciare anche in un errore contenuto<br />

nel capitolo 170 (169 secondo la numerazione del manoscritto di<br />

Roma), laddove la particella “ad” viene erroneamente trascritta, in<br />

entrambi i testimoni, in luogo del corretto “da” 6 .<br />

Non disponiamo di una descrizione del manoscritto utilizzato<br />

dall’arciprete e conservato probabilmente, come sopra affermato,<br />

nell’Archivio storico comunale. Per questo motivo non possiamo<br />

attribuire le variazioni grafiche o l’utilizzo differente delle maiuscole<br />

ad una difficoltà di interpretazione della scrittura da parte di<br />

quest’ultimo, sempre postulando l’assoluta fedeltà della trascrizione<br />

al modello.<br />

Ciò che si può invece ipotizzare è che l’antigrafo dal quale fu<br />

copiato il manoscritto romano nel 1856 fosse un codice di circa 40-<br />

45 carte, probabilmente di piccolo formato, dal momento che, come<br />

si evince dalla Memoria di cui sopra, i capitoli 191 e 192 si trovavano<br />

alla pag. 87 (equivalente alla c. 44 circa), mentre nell’esemplare<br />

romano si trovano alla c. 20r, laddove il testo termina alla c. 22r.<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 802/06.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: lo Statuto di Morolo è legato con<br />

altri manoscritti in un volume composito; delle linguette laterali in<br />

pergamena permettono di individuare i vari testi secondo l’ordine<br />

attribuito nell’Indice posto all’inizio del volume.<br />

DATAZIONE: probabilmente 1856.<br />

ORIGINE: Morolo.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

6<br />

“Statuimo, et ordinamo, che chi averà Capre ad dodici in su etc.”: lo stesso<br />

errore è stato trascritto individualmente dai due copisti.


414<br />

Francesca Pontri<br />

CARTE: 24 carte; numerazione moderna a matita nell’angolo<br />

superiore esterno del recto di ogni carta che segue la numerazione<br />

complessiva del volume (lo Statuto di Morolo si trova alle cc.<br />

436r-459v).<br />

DIMENSIONI: mm 317 × 220 (c. 4).<br />

FASCICOLAZIONE: I 24 (cc. 1-24).<br />

RIGATURA: a matita, realizzata pagina per pagina.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 4r) A 15, B 304, C 317, a 25, i 200, l 220<br />

mm.<br />

RIGHE: 35 righe per 35 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 4r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro marrone.<br />

DECORAZIONE: la c. 1r è decorata con lo stemma della famiglia<br />

Colonna, sormontato da una sirena che sorregge una grande corona,<br />

realizzato con inchiostro nero.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro tondo a inchiostro marrone della<br />

Segreteria Comunale di Morolo contenente la tiara papale e le chiavi<br />

decussate alla c. 22r, apposto accanto alla sottoscrizione del Priore<br />

Enrico Tranquilli.<br />

LEGATURA: 330 × 225 mm; legatura in mezza pergamena su assi<br />

di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni dell’arancio, del<br />

rosso e del nero; cantonali in pergamena; cucitura su 6 nervi con<br />

filo di cotone chiaro; il dorso è decorato con due stemmi impressi in<br />

oro di Pio IX e un riquadro di pelle marrone con la scritta STATUTA<br />

/ URBIUM / ET OPPID. in lettere capitali dorate, più in basso le<br />

lettere M-M ugualmente dorate. Sul piatto anteriore, nel margine<br />

superiore destro, si legge la cifra 12° scritta a inchiostro marrone.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume non è stato mai restaurato.<br />

Il dorso ed il piatto anteriore sono staccati dal volume, così come il<br />

fascicolo relativo allo Statuto di Morolo; i cantonali in pergamena<br />

del piatto posteriore sono staccati e gli angoli sono in generale molto<br />

consumati.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 22r recita “Per<br />

Copia Conforme / Il Priore / Enrico Tranquilli”.


Statuti di Morolo<br />

415<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Statuta / Terrae Moroli<br />

extracta / ab originali existen(ti) in / Priorali Sec(rete)ria dictae<br />

Terrae”, accompagnato dallo stemma di casa Colonna 7 e dalla<br />

menzione “Marcus Antonius Columna / 1513” 8 . Il testo dello Statuto<br />

è in volgare italiano e i capitoli sono contraddistinti da numeri<br />

romani.<br />

Il testo è suddiviso in quattro libri, così ripartiti:<br />

- cc. 2r-11v, Libro I, capitoli 1-94 contenente norme variegate<br />

di diritto amministrativo, procedura penale, tasse, pascolo;<br />

- cc. 11v-15r, Libro II, capitoli 95-138 sul danno dato;<br />

- cc. 15r-18r, Libro III, capitoli 139-167 sul diritto penale;<br />

- cc. 18r-21v, Libro IV, capitoli 168-205, norme varie su<br />

argomenti diversi.<br />

Alla fine del capitolo 205, a c. 21v, si legge la conferma e<br />

approvazione degli Statuti da parte di Marcantonio IV Colonna del<br />

19 maggio 1610. Alle cc. 21v-22r è presente inoltre la Memoria<br />

della Concordia, cioè la trascrizione di un compromesso, rogato il<br />

30 luglio 1739 dal notaio Michele Tranquilli, tra il Principe Fabrizio<br />

Colonna e la popolazione di Morolo con il quale si riconoscono<br />

deroghe allo Statuto da ambo le parti.<br />

7<br />

Le insegne della famiglia Colonna fanno parte delle cosiddette “armi parlanti”,<br />

poiché contengono elementi relativi al nome della casata. Lo stemma<br />

della casata è di rosso, alla colonna d’argento col capitello e la base<br />

d’oro, coronata all’antica dello stesso; il motto è “Mole sua stat” (Eneide,<br />

X, v. 770).<br />

8<br />

La data del 1513 fa probabilmente riferimento a qualche approvazione<br />

dello Statuto; della notizia però non si conosce la fonte poiché la data non<br />

è presente nel manoscritto.


416<br />

STATUTI DI PALIANO<br />

Dopo alcuni secoli di comproprietà tra diversi castellani, nel<br />

1232-1233 Gregorio IX entrò in possesso di Paliano. La cittadina<br />

venne in seguito concessa in feudo a varie famiglie tra cui i duchi<br />

di Borbone, i Conti e i Colonna, che la governarono a più riprese.<br />

Nel 1556 Paolo IV confiscò vari possedimenti, tra cui Paliano, ai<br />

Colonna e istituì l’omonimo Ducato, concesso dal Pontefice al nipote<br />

Giovanni Carafa. Seguirono anni di lotte sanguinose che videro la<br />

finale riconquista da parte della famiglia Colonna, nonché l’erezione<br />

del Ducato a Principato da parte di Pio V nel 1569 1 .<br />

La prima redazione dello Statuto di Paliano si può far risalire a<br />

prima del 20 dicembre 1531, data in cui se ne sottoscrive una nuova<br />

copia dopo che quella esistente era andata distrutta in un incendio.<br />

Stando a quanto dichiarato nel proemio, sarebbero stati gli stessi<br />

Capitani del Popolo, tali Nicolao Colę Acciach e Ioanni Antonij<br />

Marci, a riscrivere il testo, invitati dal duca Ascanio Colonna, per<br />

ovviare alla mancanza delle norme statutarie. Questo è infatti quanto<br />

si legge, nel manoscritto di Subiaco, alla c. 4r-v:<br />

«[...] At nunc cum vestro consilio, ac spectabili viri Petri<br />

Antonij Abbatis de Nursia in presentiam vestri Capitanei<br />

industria (post pene extremum huius Terre Paliani<br />

excidium) Statutis, juribusque Municipalibus voraci igne<br />

absortis nobis inconsultis in resarciendis, suscitandisque<br />

illis nostri scientia, ac solertia in tante molis onere nimium<br />

confisi [...] Cum legum potius, ac jurium municipalium<br />

vigili jugo colla supponere velle, quam propria voluntate<br />

1<br />

Sulle vicende storiche di Paliano si confronti E. Martinori, Lazio turrito:<br />

repertorio storico ed iconografico di torri, rocche, castelli e luoghi muniti<br />

della provincia di Roma: ricerche di storia medioevale, Roma 1933, 2,<br />

pp. 127-130; G. Silvestrelli, Città castelli e terre della regione romana:<br />

ricerche di storia medioevale e moderna sino all’anno 1800, Roma 1993,<br />

1, pp. 91-97.


Statuti di Paliano<br />

417<br />

libenter, vel minus juste vitam agere. Ea igitur, qua<br />

potuimus solertia, et ingenij facultate, Statuta hec (non<br />

extero, non Palianensi Vulcano et cetera absumpta) sed<br />

nostris vigilijs in pristinum redacta, Divi Principis Ascanij<br />

Columne auspicio, ac vestrorum immortali industria fide,<br />

et opere absolvimus [...]».<br />

Il testo ricevette negli anni seguenti numerose conferme da parte<br />

di esponenti vari di casa Colonna, tra cui quella di Marcantonio IV<br />

che nel 1610 si diede a una revisione degli Statuti di molte cittadine<br />

del suo feudo 2 .<br />

Nel 1569 lo Statuto di Paliano, poche settimane prima<br />

dell’erezione a Principato, fu dato alle stampe per i tipi dei Fratelli<br />

Baldi, Stampatori Camerali. L’originale a stampa non è conservato,<br />

mentre da quell’esemplare sono state tratte due copie manoscritte<br />

che si possono riconoscere nel codice conservato a Subiaco presso<br />

l’Archivio Colonna e in quello dell’Archivio storico comunale<br />

palianese 3 .<br />

In generale si può affermare che i tre manoscritti dello Statuto<br />

di Paliano sembrano appartenere a due rami diversi. Confrontando<br />

i testi si può infatti notare che i brani aggiunti alla fine delle norme<br />

statutarie sono differenti. Il frammento dell’Archivio comunale,<br />

seppure limitato a poche carte, contiene una Tavola che nell’esemplare<br />

romano non compare. Compare invece nel testimone sublacense,<br />

insieme alla copia della sottoscrizione di c. 88r che suggerisce che i<br />

codici conservati a Paliano e a Subiaco siano stati copiati, come già<br />

detto, dall’esemplare a stampa del 1569.<br />

Una copia dello Statuto si conservava fino agli anni della seconda<br />

guerra mondiale nell’Archivio storico comunale di Paliano, dal<br />

quale improvvisamente scomparve. Si trattava di un esemplare<br />

2<br />

Si confrontino ad esempio gli Statuti di Castro dei Volsci, Morolo, Pofi,<br />

Supino.<br />

3<br />

Quest’ultima copia, acefala e molto deteriorata, è stata recuperata nel<br />

corso di un’operazione della Guardia di Finanza e restituita al <strong>Comune</strong> di<br />

Paliano in tempi recenti.


418<br />

Francesca Pontri<br />

membranaceo, con legatura in pergamena arricchita da borchie<br />

metalliche, decorato con miniature e stemma di casa Colonna. Ad<br />

arricchire ulteriormente il manufatto era la sottoscrizione originale<br />

di Marcantonio IV Colonna, della quale però non si conosce la data 4 .<br />

Da questa copia deperdita è stato tratto nel 1856 l’esemplare<br />

conservato dall’Archivio di Stato di Roma. Il manoscritto non<br />

contiene le Istruzioni per Paliano confermate da Filippo (I) Colonna;<br />

non è riportata inoltre la Tavola contenuta negli altri due codici<br />

né la dichiarazione di stampa. La copia romana comprende però,<br />

diversamente dagli altri, una serie di Notificazioni relative agli anni<br />

1829 e 1847, trascrizioni di manifesti a stampa affissi ai muri della<br />

città e contenenti norme sul danno dato.<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Subiaco, Biblioteca<br />

del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio Colonna,<br />

Paliano, III MC 2, n. 18.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: XVIII secolo (in ogni caso prima dell’8 aprile 1820,<br />

data del timbro dell’Ufficio del Bollo e Registro di Roma alla c. 4v).<br />

ORIGINE: probabilmente Paliano.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: rilevabile ogni 2 carte, al centro della pagina (un sole<br />

a sei raggi inscritto in un tondo, sormontato dall’emblema pontificio<br />

con la tiara e le chiavi decussate, al di sotto del tondo la scritta<br />

SUBIACO); presente anche in un foglio allegato (un uccello su tre<br />

colline inscritto in un tondo con le lettere M e S all’interno, la lettera<br />

F all’esterno, simile a Briquet 12250).<br />

4<br />

Una descrizione del manoscritto, corredata dalla fotografia dell’incipit<br />

del I Libro, si può leggere in G. Tucci Savo e A. Giovannoni, Paliano dalle<br />

origini ai nostri giorni, Tivoli 1933, pp. 174-182. Gli autori hanno anche<br />

tradotto una parte dei capitoli dello Statuto.


Statuti di Paliano<br />

419<br />

CARTE: 89 carte non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 270 × 190 (c. 7).<br />

FASCICOLAZIONE: I 12+2 (cc. 1-14, le cc. 2 e 3 sono state cucite<br />

all’interno del fascicolo tra le cc. 1 e 4), II 14 (cc. 15-28), III 14-1 (cc.<br />

29-41, la c. 36 è costituita da 2 cc. incollate insieme), IV-V 12 (cc. 42-<br />

65), VI 16 (cc. 66-81), VII 8 (cc. 82-89).<br />

SEGNATURA DEI FASCICOLI: i fascicoli II, III e IV sono segnati<br />

a inchiostro con cifre arabe nell’angolo superiore interno del recto<br />

della prima carta, stessa mano del copista.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 7r) A 20, B 255, C 270, a 20, i 180, l 190<br />

mm.<br />

RIGHE: 22 linee di scrittura (c. 7r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: ovunque presenti nel testo, posizionati nell’angolo<br />

inferiore interno del verso delle carte; saltuariamente presenti negli<br />

indici e nei testi aggiunti.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva corrente, che si fa più grande e posata nei titoli<br />

delle rubriche e negli indici, inchiostro nero; di altre mani sono la<br />

nota di c. 4v dell’Ufficio del Registro e il foglio allegato all’inizio<br />

del volume.<br />

DECORAZIONE: svolazzi a inchiostro alle cc. 52v e 88r.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro ovale a inchiostro nero dell’Ufficio del<br />

Bollo e Registro di Roma - Atti Privati, apposto alle cc. 4v e 53v<br />

accanto alla sottoscrizione del funzionario Pagnalini; risulta però<br />

diversa la data, essendo la prima 8 aprile 1820, la seconda 10 aprile<br />

1820.<br />

LEGATURA: 280 × 210 mm; copertina di cartoncino grigio, al quale<br />

è cucito il corpo del codice con filo di seta arancione, intervento<br />

probabilmente posteriore; i fascicoli sono cuciti tra loro con filo<br />

di cotone chiaro; sul piatto anteriore la dicitura “III MC 2 / n. 18<br />

/ Statuto / di Paliano / 1569”; sul piatto posteriore è presente una<br />

vistosa cucitura nell’angolo inferiore esterno.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il codice presenta fori di tarlo e<br />

macchie sparse; la coperta è stata sostituita in un momento imprecisato,<br />

dal momento che i fori di tarlo che consumano abbondantemente il


420<br />

Francesca Pontri<br />

margine inferiore di c.1r non trovano corrispondenza nella coperta<br />

attuale.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: varie correzioni e un’aggiunta<br />

interlineare a c. 12r, tutto di mano del copista.<br />

VARIA: a c. 84v è presente una sottoscrizione di mano tarda che<br />

recita “Guido Corti / 27-XII-1940”. Il manoscritto è avvolto in un<br />

foglio di carta per proteggerlo, sul quale campeggiano la segnatura<br />

e le diciture “Statuto locale della Comunità / di Paliano”; allegati<br />

al volume foglietti di carta con la segnatura e un documento datato<br />

7 novembre 1791.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Copia dei Capitoli del<br />

Statuto ch’ / esiste in questa Cancellaria Ducale / di Paliano”. Il<br />

testo dello Statuto è in latino e i capitoli sono contrassegnati da cifre<br />

arabe. Negli indici, invece, i capitoli presentano cifre arabe e romane<br />

in maniera disomogenea.<br />

Alla c. 1r c’è la copia di una sottoscrizione notarile, la quale però<br />

non presenta firma e sigillo; le cc. 2-3 contengono unicamente il<br />

titolo del manoscritto, mentre a c. 4r-v è presente un Proemio.<br />

Le norme statutarie sono suddivise in quattro libri, così ripartiti:<br />

- cc. 5r-20r: Libro I, 56 capitoli contenenti disposizioni<br />

variegate in materia di diritto amministrativo e civile,<br />

precedute da un indice;<br />

- cc. 20v-39r: Libro II, 74 capitoli sul diritto penale<br />

(Maleficiorum) preceduti dall’indice;<br />

- cc. 39v-50v: Libro III, 46 capitoli sul danno dato (De damnis<br />

datis) preceduti dall’indice;<br />

- cc. 51r-60v: Libro IV, 33 capitoli su materie varie<br />

(Extraordinariorum) preceduti dall’indice.<br />

Le cc. 60v-62r contengono le conferme di Ascanio Colonna (1533),<br />

del Governatore Pallacius (1546), di Marcantonio II Colonna (1563),<br />

di Marcantonio IV Colonna (1610).<br />

- cc. 62v-64r: De confinibus Territorij Paliani;<br />

- cc. 64v-70v: Istruzioni per Paliano, 16 capitoli aggiunti da<br />

Filippo Colonna;<br />

- cc. 71r-73r: De pęnis Damnorum Datorum;


Statuti di Paliano<br />

421<br />

- cc. 73v-84r: Tavola da osservarsi nella Generale Audienza<br />

dell’Ill(ustrissi)mo, et Ecc(ellentissi)mo Signor Don<br />

Marcantonio Colonna etc.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Paliano, Archivio<br />

storico comunale, Preunitario, b. 1 reg. 1.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: frammento.<br />

DATAZIONE: XVIII secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Paliano.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: I, 6; numerazione irregolare.<br />

DIMENSIONI: mm 265 × 204 (c. 2).<br />

FASCICOLAZIONE: I 8-1 (cc. I-6, c. 6 senza riscontro).<br />

RIGATURA: a secco.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 2r) A 30, B 226, C 265, a 20, i 163, l 204<br />

mm.<br />

RIGHE: 30 righe per 30 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 2r); l’ultima riga ospita soltanto il richiamo.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: presenti in tutte le carte sia sul recto che sul verso.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva corrente, che si fa più grande e posata nei titoli<br />

delle rubriche, inchiostro marrone scuro.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro a inchiostro blu della Città di Paliano<br />

apposto sulla coperta e sulle cc. Ir e 1r.<br />

LEGATURA: 340 × 240 mm; coperta in carta di reimpiego su asse di<br />

cartone; sul piatto resti di decorazione stampata sulla carta con sole e<br />

personificazione dei venti, sotto la scritta “Antonio Maria Morari in<br />

Cremona”; cucitura con filo di cotone.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: dell’intero volume sopravvive<br />

soltanto il piatto anteriore della coperta, la cui asse in cartone, ricoperta<br />

da un foglio di carta di reimpiego, si sbriciola; la controguardia è


422<br />

Francesca Pontri<br />

quasi completamente staccata dall’asse; le carte sono attaccate tra<br />

loro mediante talloni (numerazione irregolare ma precedente alla<br />

scrittura); massiccia presenza di fori di tarlo e di macchie di varia<br />

natura.<br />

VARIA: scarabocchi e disegni di vario genere sulla controguardia<br />

anteriore e sulla c. Ir, tra le quali un sole, una mano e una luna;<br />

manicula alla c. 6v.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Le cc. 1r-6v sono occupate dalla “Tavola da osservarsi nella<br />

Generale Audienza / dell’Ill(ustrissi)mo et Ecc(ellentissi)mo Sig.<br />

Don Marc’Antonio Colonna / Duca di Paliano, / et Gran Conte<br />

Stabile del Regno di Napoli / Nelli Stati del Latio, et Campagna di<br />

Roma”.<br />

CODICE 3<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 805/06.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: lo Statuto di Paliano è legato con<br />

altri manoscritti in un volume composito; delle linguette laterali in<br />

pergamena permettono di individuare i vari testi secondo l’ordine<br />

attribuito nell’Indice posto all’inizio del volume.<br />

DATAZIONE: 20 dicembre 1856 (datazione espressa alla c. 44r).<br />

ORIGINE: Paliano.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: in filigrana la scritta “Fabriano”.<br />

CARTE: I, 44, II-IV; numerazione a matita di mano moderna<br />

nell’angolo superiore esterno del recto di ogni carta , che numera però<br />

le carte dell’intero codice, del quale lo Statuto di Paliano occupa le<br />

cc. 57-104. Altre numerazioni: 339 parzialmente cancellata a matita<br />

di mano moderna, a c. Ir, nell’angolo superiore esterno; 1643 nella<br />

stessa posizione, a matita di mano diversa, a c. 1r; 1546 nella stessa<br />

posizione, a inchiostro nero, a c. 2r; 3221 nella stessa posizione, a<br />

matita di mano moderna, a c. IVr.


Statuti di Paliano<br />

423<br />

DIMENSIONI: mm 320 × 220 (c. 5).<br />

FASCICOLAZIONE: I-IV 10 (cc. I-39), V 8 (cc. 40-IV).<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 5r) A 23, B 303, C 320, a 18, i 205, l 220<br />

mm.<br />

RIGHE: le linee di scrittura variano dalle 27 di c. 5r alle 33 di c. 23r.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano<br />

che esibisce una corsiva; alla l. 21 di c. 12r cambia il modulo della<br />

scrittura, probabilmente in ragione di un cambio dello strumento<br />

scrittorio, più sottile nella seconda parte; l’inchiostro varia tra il<br />

marrone chiaro e il nero.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro ovale a inchiostro nero del <strong>Comune</strong> di<br />

Paliano contenente il profilo della città in silhouette, apposto alla c.<br />

44r accanto alla sottoscrizione del Priore Giuseppe Lucioli.<br />

LEGATURA: 340 × 240 mm; legatura moderna in mezza pergamena<br />

su assi di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni del verde<br />

e del nero; cantonali in pergamena; cucitura su 8 nervi con filo di<br />

cotone chiaro; capitello inferiore cucito e ricoperto di pergamena; sul<br />

dorso è presente un riquadro di pelle marrone con la scritta STATUTA<br />

/ URBIUM / ET OPPID. in lettere capitali dorate, più in basso le<br />

lettere PA-RO.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: volume restaurato presumibilmente<br />

nella seconda metà degli anni ’90 del XX secolo della ditta “Fabi<br />

e Fabi” di Roma, come testimonia l’etichetta incollata nell’angolo<br />

inferiore esterno della controguardia posteriore del libro. L’intervento<br />

ha comportato la sostituzione della coperta, che precedentemente<br />

presentava due stemmi di Pio IX impressi in oro sul dorso; il volume<br />

è stato slegato e sono state incollate strisce di carta nella piega dei<br />

fogli per rinforzarle.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 44r recita<br />

“Visto per Copia conforme agli Originali / Paliano, 20 Dicembre<br />

1856 / Il Priore / Giuseppe Lucioli”.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: alla l. 2 di c. 7v una parola è stata<br />

corretta su un’altra, così come alla l. 23 di c. 19v, l. 10 di c. 29r e l.<br />

26 di c. 32v.<br />

VARIA: una macchia di inchiostro azzurro nel bas-de-page di c. Ir;


424<br />

Francesca Pontri<br />

piccole croci a matita di mano moderna poste alla c. 17r, accanto<br />

all’indicazione dei capitoli LVI, LVIII e LIX; due righe sottolineate<br />

alla c. 18v; una freccetta è stata posta accanto alla l. 2 di c. 27r, in<br />

corrispondenza del capitolo XXXII.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Statuta Terrae Palliani”.<br />

Il testo dello Statuto è in latino e i capitoli sono contraddistinti da<br />

numeri romani.<br />

Le norme statutarie sono suddivise in quattro libri, così ripartiti:<br />

- c. 2r-v: Proemio;<br />

- cc. 3r-15v: Libro I, 56 capitoli contenenti disposizioni<br />

variegate in materia di diritto amministrativo e civile,<br />

precedute da un indice;<br />

- cc. 16r-26r: Libro II, 74 capitoli sul diritto penale (maleficiis)<br />

preceduti dall’indice;<br />

- cc. 26v-32r: Libro III, 46 capitoli sul danno dato (damnis<br />

datis) preceduti dall’indice;<br />

- cc. 32v-37r: Libro IV, 33 capitoli su materie varie<br />

(extraordinarijs), preceduti dall’indice.<br />

A c. 37r comincia una serie di conferme e approvazioni di Ascanio<br />

Colonna (1533), del Governatore Pallacius (1546), di Marcantonio<br />

IV Colonna (1610); seguono De confinibus Territorij Paliani alla<br />

c. 38r-v, e De pęnis Damnorum Datorum alle cc. 39r-40r. Le cc.<br />

40v-44r contengono infine le Notificazioni, aggiornamenti allo<br />

Statuto redatti in italiano e contenenti norme sul danno dato emanate<br />

dalla Presidenza della Comarca di Roma il 22 dicembre 1829 e dal<br />

Governatore di Paliano il 26 ottobre 1847.


425<br />

STATUTI DI PATRICA<br />

Per lungo tempo feudo dei conti de’ Ceccano, durante il periodo<br />

dello Scisma d’Occidente Patrica passò alla famiglia Conti, mentre<br />

la formalizzazione definitiva ci fu con l’investitura a Ildebrandino<br />

Conti nel 1425 da parte di Martino V. Nel 1495 il castrum fu<br />

distrutto dalle truppe di Carlo VIII. Nel 1599 Patrica fu venduta<br />

ai Santacroce; pochi anni dopo, nel 1625, Francesco Santacroce la<br />

rivendette a Filippo Colonna. Il palazzo baronale e alcuni terreni<br />

furono concessi in enfiteusi agli Spezza nel Settecento, i quali ne<br />

divennero in seguito proprietari 1 .<br />

Come si legge nelle sottoscrizioni finali, nessuna delle quali<br />

autografa, uno Statuto esisteva già prima del 1696, anno in cui si<br />

dichiara di esemplarne un’altra copia perché quella esistente era<br />

rovinata. Non si conserva né la copia sottoscritta da Fabrizio Colonna<br />

nel 1696, né quella precedente da cui fu tratto l’esemplare approvato<br />

dal Marchese.<br />

Dei cinque manoscritti che tramandano lo Statuto di Patrica, le<br />

copie più antiche sono i due esemplari settecenteschi conservati tra<br />

le carte della Sacra Congregazione del Buon Governo dell’Archivio<br />

di Stato di Roma. Essi sono custoditi all’interno di una pratica<br />

riguardante le sanzioni per il risarcimento dei danni arrecati alle<br />

coltivazioni dagli animali più dannificanti quali pecore, capre e,<br />

soprattutto, i maiali cosiddetti “neri” 2 .<br />

1<br />

Brevi informazioni di carattere storico si possono leggere in E. Martinori,<br />

Lazio turrito: repertorio storico ed iconografico di torri, rocche,<br />

castelli e luoghi muniti della provincia di Roma: ricerche di storia medioevale,<br />

Roma 1933, 2, p. 147; G. Silvestrelli, Città castelli e terre della<br />

regione romana: ricerche di storia medioevale e moderna sino all’anno<br />

1800, Roma 1993, 1, pp. 146-147.<br />

2<br />

Si confronti S. Notari, Rubricario degli statuti comunali di Alatri e Patrica<br />

(secoli XVI-XVIII): per un rubricario degli statuti della provincia<br />

storica di Campagna, in Latium, 14 (1997), pp. 141-222; in particolare le<br />

pp. 203-222 contengono accurate descrizioni codicologiche dei due esemplari<br />

più antichi dello Statuto di Patrica, nonché della copia presente nella


426<br />

Francesca Pontri<br />

La terza copia in ordine di tempo è quella del 1823 conservata<br />

presso l’Archivio storico comunale di Patrica, rinvenuta da Tommaso<br />

Cecilia nel corso di un riordinamento. Secondo Gioacchino<br />

Giammaria, autore dell’edizione critica, l’esemplare è stato tratto da<br />

una copia conservata presso un archivio privato, a sua volta copiata da<br />

una delle due copie settecentesche del Buon Governo 3 . Questo dato<br />

è confermato dall’incipit del manoscritto, nel quale si legge “[…]<br />

Estratta per mancanza dell’originale bruciato / nella Rivoluzione<br />

Repubblicana da altra Copia fatta estrar-/re nella Segretaria della<br />

Sagra Congregazione del Buon / Governo dall’Illustrissimo Signor<br />

Francesco Antonio Spezza presso / del quale esiste […]”.<br />

La quarta copia, datata 1856, si trova nella Collezione Statuti<br />

dell’Archivio di Stato di Roma e fu probabilmente realizzata in<br />

seguito alla richiesta formulata dal cardinale Mertel già richiamata.<br />

Il quinto testimone, non datato ma attribuibile al XIX secolo, è<br />

custodito presso la Biblioteca del Senato. Questi due manoscritti<br />

farebbero parte di un altro ramo della tradizione, essendo stati<br />

probabilmente tratti da un’altra copia esistente presso il <strong>Comune</strong>.<br />

Oltre ai cinque esemplari conservati, Giammaria postula<br />

l’esistenza di altre tre copie. La prima sarebbe quella, da lui chiamata<br />

“copia Spezza”, dal quale fu copiato il codice patricano, non più<br />

rintracciabile, secondo lo studioso, già alla metà dell’Ottocento 4 .<br />

Una seconda copia viene citata in un Libro dei Consigli conservato<br />

nell’Archivio storico comunale di Patrica: nel 1805 si parlerebbe di<br />

una copia letta in Consiglio ma dal destino ignoto. Di una terza copia<br />

si trovano infine delle tracce tra le carte della Delegazione Apostolica<br />

dell’Archivio di Stato di Frosinone. Si tratterebbe qui di capitoli dal<br />

contenuto leggermente diverso rispetto al testo edito.<br />

Collezione Statuti dell’Archivio di Stato di Roma. Le informazioni sono<br />

corredate dall’edizione del Rubricario.<br />

3<br />

G. Giammaria, Le Liberanze o Statuto di Patrica del 1696: edizione e<br />

studio storico, in Latium, 15 (1998), pp. 5-66.<br />

4<br />

Ivi, p. 17.


Statuti di Patrica<br />

427<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, S. Congregazione del Buon Governo, II, b. 3347 (1775-1785).<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: fascicolo sciolto posto all’interno<br />

di una pratica in faldone con altre.<br />

DATAZIONE: XVIII secolo (pochi anni prima del 1781, secondo<br />

Sandro Notari 5 ).<br />

ORIGINE: probabilmente Patrica.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: saltuariamente rilevabile, costituita da un uccello su<br />

tre colline inscritto in un cerchio sormontato da una stella, simile<br />

(ma non identica) a Briquet 12251.<br />

CARTE: 25 carte; è presente una numerazione coeva a penna, con<br />

cifre arabe, nell’angolo superiore esterno del recto di ogni carta, che<br />

comincia da 2 a c.1r e arriva a 23 a c. 22r.<br />

DIMENSIONI: mm 264 × 190 (c. 2).<br />

FASCICOLAZIONE: I 30-5 (cc. 1-25, cadute le prime cinque carte del<br />

fascicolo).<br />

RIGATURA: le carte sono state piegate in 4 in verticale al fine di<br />

creare una colonna laterale a sinistra per ospitare il numero e il titolo<br />

delle rubriche.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 3r) A 15, B 250, C 264, a 45, l 190 mm.<br />

RIGHE: le linee di scrittura variano dalle 22 di c. 3r alle 18 di c. 11r.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna, col margine sinistro<br />

che ospita il titolo e il numero del capitolo.<br />

RICHIAMI: presenti alle cc. 5 e 6 sul verso, a c. 7 sul recto, da c. 8<br />

a c. 20 (tranne 16) sul verso, a c. 21 sul recto; si trovano sempre nel<br />

margine inferiore sinistro, in orizzontale, stessa mano e inchiostro<br />

del testo.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

5<br />

Si confronti S. Notari, Rubricario degli statuti comunali di Alatri e Patrica<br />

(secoli XVI-XVIII), cit., p. 207.


428<br />

Francesca Pontri<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il manoscritto è in pessime<br />

condizioni: mancano le prime 5 carte, altre sono strappate;<br />

l’inchiostro troppo acido ha forato la carta in più punti; le cc. 19-23<br />

sono completamente staccate dal corpo, le cc. 24-25 sono a rischio<br />

di distacco; la carta è scurita; macchie varie e fori di tarlo ovunque;<br />

i margini delle carte sono molto consumati.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: in più punti ci sono delle aggiunte<br />

interlineari di mano del copista, segno che ha revisionato il testo<br />

dopo la scrittura.<br />

VARIA: l’indice dei capitoli a c. 23r si apre con l’invocazione, solo<br />

parzialmente leggibile, J.M.J; a c. 3r due piccole strisce di carta sono<br />

state incollate sulle parole sottostanti, probabilmente per correggere;<br />

alla c. 9 è presente uno svolazzo dalla difficile attribuzione sia sul<br />

recto che sul verso, nel margine sinistro; la c. 25v è un tripudio<br />

di scarabocchi, probationes calami, numeri e scritte più o meno<br />

comprensibili.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo non è presente nel manoscritto, a causa probilmente della<br />

perdita delle prime carte. Le norme sono scritte in italiano, mentre i<br />

capitoli sono numerati con cifre romane. Il testo contiene unicamente<br />

disposizioni riguardanti il danno dato, a cominciare dal capitolo V a<br />

c. 1r per finire al capitolo CI a c. 22r. I capitoli in realtà sono 102, il<br />

copista omette il titolo del 99° pertanto si crea uno sfalsamento che<br />

nel testo non c’è.<br />

Alla c. 22r è stata copiata la conferma dello Statuto fatta da Fabrizio<br />

Colonna il 15 giugno 1696, nella quale si evince che il rinnovo si<br />

rese recessario per le cattive condizioni materiali della copia di<br />

riferimento.<br />

Le carte 23r-24v sono infine occupate dall’indice dei capitoli,<br />

stavolta identificati con cifre arabe.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di


Statuti di Patrica<br />

429<br />

Stato, S. Congregazione del Buon Governo, II, b. 3347 (1775-1785).<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: fascicolo sciolto posto all’interno<br />

di una pratica in faldone con altre.<br />

DATAZIONE: 17 luglio 1781 (datazione espressa a c. 11v).<br />

ORIGINE: Patrica (data topica espressa a c. 12r).<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: presente in ogni foglio, nelle singole carte si trova al<br />

centro della pagina; è costituita da un uccello su tre colline inscritto<br />

in un cerchio sormontato da un cuore, simile a Briquet 12251 (ma<br />

con il cuore al posto della stella).<br />

CARTE: 20 carte, non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 274 × 200 (c. 1).<br />

FASCICOLAZIONE: I 20 (cc. 1-20).<br />

RIGATURA: le carte sono state piegate in 4 in verticale al fine<br />

di creare una colonna laterale a sinistra per ospitare il titolo delle<br />

rubriche.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 3r) A 10, B 265, C 274, a 50, l 200 mm.<br />

RIGHE: le linee di scrittura variano dalle 33 di c. 3r alle 43 di c. 8r<br />

in virtù del cambio di mano.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna, col margine sinistro<br />

che ospita il titolo del capitolo.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da due mani diverse che<br />

esibiscono entrambe una corsiva, molto inclinata la prima (cc. 1r-5v<br />

l.17), più piccola e posata la seconda (cc. 5v l.18-11v); inchiostro<br />

marrone.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro a inchiostro nero del notaio Lauretus<br />

Montini di Patrica, che alle cc. 11v-12r sottoscrive la copia.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il manoscritto è in buono stato di<br />

conservazione, apparentemente mai restaurato.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione presente alle cc.<br />

11v-12r recita “In Dei No(min)e A(me)n. Anno D(omi)ni 1781 die<br />

17 Julii / Prae(sen)s suprad(ict)a copia, licet aliena manu, / mihi<br />

tamen fede digna, per me etc. extracta, / et copiata fuit e suo originali<br />

testali-/ter prout iacet, nisi etc., quod etc., nisi forsan etc. / [c. 12r]<br />

Imo facta collatione concordare inve-/ni. In quorum fide ne hic me<br />

subscri-/psi, et signum meum, quo in publici / utor apposui requisitus


430<br />

Francesca Pontri<br />

etc. / Ita est Lauretus Montini Patricae notarius publicus rogatus etc”.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: una mano moderna appone a matita<br />

una cifra romana in corrispondenza di alcuni capitoli.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo non è presente nel manoscritto, trattandosi di un documento<br />

allegato ad altra pratica. Le norme sono scritte in italiano, i capitoli<br />

non sono numerati che saltuariamente, con cifre romane, da mano<br />

moderna a matita. Il testo contiene 102 disposizioni riguardanti il<br />

danno dato alle cc. 1r-11v, seguite a 11v dalla conferma dello Statuto<br />

fatta da Fabrizio Colonna il 15 giugno 1696. Assenza di indice dei<br />

capitoli.<br />

CODICE 3<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Patrica, Archivio<br />

storico comunale, Preunitario, b. 1, reg. 1.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: 12 luglio 1823 (datazione espressa a c. 14v).<br />

ORIGINE: plausibilmente Patrica.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: presente a centro pagina in ogni carta, costituita dal<br />

baldacchino di San Pietro con le chiavi decussate.<br />

CARTE: I, 14, II, carte e guardie non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 320 × 230 (c. 8).<br />

FASCICOLAZIONE: I 14 (cc. 1-14).<br />

RIGATURA: le carte sono state piegate in 4 in verticale al fine<br />

di creare una colonna laterale a sinistra per ospitare il titolo delle<br />

rubriche.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 8r) A 10, B 310, C 320, a 55, l 230 mm.<br />

RIGHE: le linee di scrittura variano dalle 30 di c. 4r alle 33 di c. 7r.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna, col margine sinistro<br />

che ospita il titolo del capitolo.<br />

RICHIAMI: presenti in tutte le carte (tranne c. 2v e 13v) al verso nel


Statuti di Patrica<br />

431<br />

margine inferiore interno, posti in orizzontale, della stessa mano e<br />

inchiostro della scrittura.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro marrone.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro con la tiara pontificia e le chiavi<br />

decussate a inchiostro nero del Gonfaloniere di Patrica Filippo Persi,<br />

che a c. 14v sottoscrive la copia.<br />

LEGATURA: 320 × 245 mm; copertina in cartoncino azzurro; sul<br />

piatto anteriore “<strong>Comune</strong> di Patrica / CARTE DELL’ARCHIVIO<br />

/ Categoria XVI / OGGETTO / Liberanze o Statuto Comunale”,<br />

inchiostro nero; cucitura semplice senza nervi con filo di cotone<br />

chiaro.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: la coperta è danneggiata, soprattutto<br />

nella parte posteriore; numerosi fori di tarlo; macchie di umidità ne<br />

pregiudicano ulteriormente la conservazione.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 14v recita<br />

“Ne’ Nome di Dio / Per copia intera conforme, di cui sopra, estratta<br />

questo dì / 12 luglio 1823. In fede etc. / Filippo Persi Gonf(alonier)<br />

e / Fran(cesc)o Ant(oni)o Abb(at)e Spezza / Giuseppe Valenti scrissi<br />

di Com(mission)e”.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: a c. 14v, nel bas-de-page e in<br />

senso inverso rispetto alla scrittura, una mano più tarda scrive<br />

“Copia dell’antico statuto di Patrica / 15 Giugno 1696”; sul<br />

recto di ogni carta, nel margine interno e in verticale, è presente la<br />

sottoscrizione “Filippo Persi Gonf(alonier)e”, che firma anche la c.<br />

2v dichiarandola bianca.<br />

VARIA: a c. 13v un segno verticale eseguito con lapis rosso è posto<br />

in corrispondenza del capitolo 101.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. Ir è “Liberanze o Statuto<br />

Comunale”. Le norme sono scritte in italiano, i capitoli non sono<br />

numerati. Il testo contiene le 102 disposizioni riguardanti il danno<br />

dato alle cc. 1r-13v, seguite dalle varie conferme dello Statuto. La<br />

prima (c. 13v) è quella fatta da Fabrizio Colonna il 15 giugno 1696;<br />

la seconda, alla stessa carta, è quella del Notaio Lauretus Montini<br />

di cui sopra; la terza (c. 14r) è la conferma di Lorenzo Colonna del


432<br />

Francesca Pontri<br />

5 luglio 1777; seguono (cc. 14r-v) stralci di corrispondenza tra il<br />

cardinale Casali e la Sacra Congregazione del Buon Governo del<br />

1780. Assenza di indice dei capitoli.<br />

CODICE 4<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 822/12.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: lo Statuto di Patrica è legato con<br />

altri manoscritti in un volume composito; delle linguette laterali in<br />

pergamena permettono di individuare i vari testi secondo l’ordine<br />

attribuito nell’Indice posto all’inizio del volume.<br />

DATAZIONE: 29 luglio 1856 (datazione espressa a c. 10v).<br />

ORIGINE: probabilmente Patrica.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: I, 10, II, carte non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 318 × 225 (c. 3).<br />

FASCICOLAZIONE: I 12 (cc. I-II, con le dieci carte del testo tra le<br />

due guardie).<br />

RIGATURA: a matita, eseguita per singole pagine.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 3r) A 20, B 303, C 318, a 48, i 215, l 225<br />

mm.<br />

RIGHE: 34 righe per 34 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 3r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna, col margine sinistro<br />

che ospita il titolo e il numero del capitolo.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro blu.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro ovale a inchiostro marrone della<br />

“Segreteria / Communale / di / Patrica” posto a c. 10v accanto alla<br />

sottoscrizione del Priore.<br />

LEGATURA: 345 × 230 mm; legatura in mezza pergamena su assi<br />

di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni dell’arancio, del<br />

rosso e del nero; cantonali in pergamena; cucitura su 6 nervi con filo


Statuti di Patrica<br />

433<br />

di cotone chiaro; il dorso è decorato con due stemmi impressi in oro<br />

di Pio IX e un riquadro di pelle marrone con la scritta STATUTA /<br />

URBIUM / ET OPPID. in lettere capitali dorate, più in basso le lettere<br />

P-P ugualmente dorate. Sul piatto anteriore, nel margine superiore<br />

destro, si legge la cifra 17° scritta a inchiostro marrone.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: L’intera coperta è staccata dal<br />

corpo del codice, così come il primo e l’ultimo fascicolo; le cuffie, i<br />

margini delle assi, nonché quelli delle carte, sono slabbrati e sdruciti;<br />

il dorso è assai consumato, specialmente nella parte inferiore.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 10r-v recita<br />

“Copia simile è stata da me sott(oscritt)o Priore, da altra copia [c.<br />

10v] esistente in questa Segreteria Co(mu)nale, e collazionata si è<br />

trova/ta perfettamente conforme / Dalla Residenza Co(mu)nale di<br />

Patrica li 29 luglio 1856. Il Priore / Esuperanzio Monti Colombani”.<br />

VARIA: il testo si apre con l’invocazione J.M.J.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. Ir è “Statuti della Comunità<br />

/ di Patrica”. Le norme sono scritte in italiano, mentre i capitoli<br />

sono numerati con cifre arabe. Il testo contiene 103 disposizioni<br />

riguardanti il danno dato alle cc. 1r-10r, seguite dalla trascrizione<br />

della conferma dello Statuto da parte di Fabrizio Colonna il 15<br />

giugno 1696.<br />

CODICE 5<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Biblioteca del<br />

Senato “Giovanni Spadolini”, Collezione Statuti, segn. statuti mss<br />

418.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: XIX secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Patrica.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: I, 14, II-III; le cc. 2r-14r sono numerate a matita da mano


434<br />

Francesca Pontri<br />

moderna nell’angolo superiore esterno del recto di ogni carta;<br />

guardie non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 270 × 195 (c. 3).<br />

FASCICOLAZIONE: I 14 (cc. 1-14).<br />

RIGATURA: a matita, solo sul verso delle carte da 3v a 11v, in<br />

cui compare una doppia linea di giustificazione a sinistra; a c. 2v è<br />

presente un’unica linea di giustificazione; le carte sono state piegate<br />

a metà in senso verticale.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 3r) A 10, B 265, C 270, a 45, l 195 mm.<br />

RIGHE: le linee di scrittura, che comincia sempre sopra la prima<br />

riga, variano dalle 32 di c. 3r alle 31 di c. 6r.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna, col margine sinistro<br />

che ospita il titolo e il numero del capitolo.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva fortemente inclinata a destra, inchiostro nero.<br />

LEGATURA: 280 × 210 mm; legatura in mezza pergamena su assi<br />

di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni del verde oliva<br />

e del beige; cantonali in pergamena; cucitura su 2 nervi con filo di<br />

cotone chiaro; sul dorso la scritta PATRICA.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il manoscritto non sembra essere<br />

stato mai restaurato; lo stato di conservazione è buono.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 13v recita<br />

“Visto per Copia Conforme / Il Segretario”, ma la firma non è stata<br />

apposta.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: integrazioni al testo di mano del<br />

copista alle cc. 5r (segnalata da una crocetta) e 9v.<br />

VARIA: il testo si apre con l’invocazione J.M.J; trattini eseguiti<br />

con lapis viola alle cc. 6v, 8v, 11r e 13v; numero d’ingresso del<br />

manoscritto (51215), eseguito con timbro a inchiostro nero, nel basde-page<br />

di c. 13v;<br />

ANTICHE SEGNATURE: presente alla c. 1r e nella controguardia<br />

posteriore, in entrambi i casi è 93.VI.243.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “<strong>Comune</strong> di Patrica<br />

/ Statuti locali antichi”. Le norme sono scritte in italiano, mentre<br />

i capitoli sono numerati con cifre arabe. Il testo contiene 103


Statuti di Patrica<br />

435<br />

disposizioni riguardanti il danno dato alle cc. 2r-13v, seguite dalla<br />

conferma dello Statuto fatta da Fabrizio Colonna il 15 giugno 1696.


436<br />

STATUTI DI POFI<br />

Fino a tutto il secolo XIII la città di Pofi fu governata da vari<br />

Signori del circondario, finché nel 1379 il feudo fu concesso ai<br />

Caetani. Alcuni anni dopo il possedimento fu assegnato ai conti di<br />

Fondi, i quali lo detennero con relativa continuità per quasi tutto il<br />

‘400. Nel 1523 i Colonna occuparono il castrum, dando il via ad una<br />

serie di schermaglie con il Papato che si concluse con la definitiva<br />

assegnazione alla “Eccellentissima Casa” da parte di Pio IV nel<br />

1562 1 . Fu capitale dello Stato di Pofi fino al 1758, quando l’uditore<br />

generale fu trasferito a Ceccano.<br />

Stando a quanto ricostruisce il Campoli, lo Statuto nella forma<br />

che oggi si conserva presso l’Archivio di Stato di Roma sarebbe stato<br />

concesso alla comunità di Pofi il 10 febbraio 1569 da Marcantonio II<br />

Colonna 2 . Questa data si legge nel proemio, laddove effettivamente<br />

Marcantonio II Colonna viene indicato semplicemente come<br />

“Illustrissimi et eccellentissimi Domini […] Ducis Tagliacozij et<br />

Paliani”, dal momento che è soltanto il 30 marzo 1569 che il Ducato<br />

di Paliano viene eretto a Principato. Ciò nonostante, sembra piuttosto<br />

potersi ritenere che a quella data si debba attribuire la conferma del<br />

testo da parte di Marcantonio, non l’epoca del manoscritto. Il quale<br />

riporta, come prima sottoscrizione ufficiale, quella di Gian Giacomo<br />

Capozio, luogotenente di Marcantonio II, datata 18 febbraio 1579.<br />

Si potrebbe quindi ascrivere la copia del manoscritto a quest’ultima<br />

data, avendo preso come antigrafo un codice approvato il 10 febbraio<br />

1569.<br />

Il testo dello Statuto di Pofi, così come si conserva, sarebbe soltanto<br />

1<br />

Si veda E. Martinori, Lazio turrito: repertorio storico ed iconografico di<br />

torri, rocche, castelli e luoghi muniti della provincia di Roma: ricerche di<br />

storia medioevale, Roma 1933, 2, p. 164; G. Silvestrelli, Città castelli e<br />

terre della regione romana: ricerche di storia medioevale e moderna sino<br />

all’anno 1800, Roma 1993, 1, pp. 51-53.<br />

2<br />

Cfr. F. M. Campoli, Pofi: dalle origini all’inizio del secolo XX, Roma<br />

1982, in part. le pp. 115-159.


Statuti di Pofi<br />

437<br />

la formalizzazione di consuetudini già utilizzate nel quotidiano dalla<br />

comunità, ben prima risalenti. Una menzione ad antichi capitoli<br />

statutari, dei quali non si conosce tuttavia l’epoca, si trova infatti<br />

nell’Inventario dei beni di Onorato II Caetani d’Aragona, conte di<br />

Fondi 3 , redatto negli anni 1491-1493.<br />

Diverse conferme, corredate tutte di sottoscrizioni autografe,<br />

furono apposte negli anni sul manoscritto ad opera di vari esponenti<br />

colonnesi 4 . Fu probabilmente nel 1610 che Marcantonio IV aggiunse<br />

la norma sul divieto di vendere ai forestieri che si trova in calce a<br />

molti degli Statuti delle comunità vicine, e che nel codice pofano è<br />

accompagnata dalla sottoscrizione autografa del Principe corredata<br />

di sigillo aderente perfettamente conservato 5 .<br />

L’ultimo intervento datato sul codice è costituito da una nota<br />

apposta nel 1741 dal sindaco in carica, a testimonianza che in<br />

quell’epoca il manoscritto doveva trovarsi ancora a Pofi. Afferma<br />

Campoli che il 5 marzo 1782 una copia dello Statuto di Pofi fu inviata<br />

a Roma su richiesta della Sacra Congregazione della Consulta; la<br />

ricerca di questo codice non ha però dato i frutti sperati.<br />

Stando a quanto riportato sulla c. Ir di guardia, la copia dello<br />

3<br />

«[…] In castro Pofarum […] have la ballia sopra li dampni dati et altre<br />

prohibitioni, con li soy dependenti, secundo la antiqua consuetudene et<br />

statuti concessi per lo signore alli citadini de dicta terra […]»: è quanto si<br />

riporta in Inventarium Honorati Gaietani: l’inventario dei beni di Onorato<br />

II Gaetani d’Aragona, 1491-1493, trascrizione di C. Ramadori (1939),<br />

revisione critica, introduzione e aggiunte di S. Pollastri, Roma 2006, p.<br />

307.<br />

4<br />

Cfr. S. Notari, Per una geografia statutaria del Lazio: il rubricario degli<br />

statuti comunali della provincia storica di Campagna, in Rivista Storica<br />

del Lazio, 13-14 (2005-2006), 22, Le comunità rurali e i loro statuti (secolo<br />

XII-XV), Atti dell’VIII Convegno del Comitato italiano per gli studi<br />

e le edizione delle fonti normative, Viterbo 30 maggio – 1 giugno 2002, a<br />

cura di A. Cortonesi e F. Viola, pp. 25-92, in part. le pp. 52-57; cfr. anche<br />

infra, Ripi e Morolo.<br />

5<br />

Nel manoscritto dello Statuto di Castro dei Volsci conservato presso il<br />

locale Archivio storico rimane traccia della firma manu propria di Marcantonio<br />

IV Colonna, mentre il sigillo è deperdito; cfr. infra, Castro dei Volsci.


438<br />

Francesca Pontri<br />

Statuto che si conserva attualmente presso l’Archivio di Stato di<br />

Roma vi sarebbe stata depositata nel 1900 dall’allora sindaco di Pofi,<br />

Sig. Pesci.<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 831.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: 18 febbraio 1579.<br />

ORIGINE: probabilmente Roma.<br />

MATERIA: membranaceo, cartacee le guardie.<br />

CARTE: I, 75, II (carte I-II, guardie cartacee moderne, forse<br />

aggiunte in seguito a restauro). In origine le carte erano numerate<br />

con cifre arabe nel margine superiore esterno del recto di ogni carta,<br />

mano e inchiostro rosso del testo, ma una pesante rifilatura ne lascia<br />

intravedere solo delle tracce (es. le cc. 1r, 40r, 41r, 45r, 47r, 49r,<br />

54r, 71r, 74r); da c. 48r l’inchiostro è nero e non più rosso; a c.<br />

69r alla numerazione consueta se ne aggiunge un’altra nel margine<br />

superiore interno, realizzata da mano diversa; è costante per tutto<br />

il codice una numerazione a matita di mano moderna nell’angolo<br />

superiore esterno del recto di ogni carta. Guardie numerate con cifre<br />

romane (I in entrambi i casi), matita di mano moderna.<br />

DIMENSIONI: mm 200 × 142 (c. 5).<br />

FASCICOLAZIONE: I-IV 8 (cc. 1-32), V 8-1 (cc. 33-39, caduta la<br />

solidale di c. 36), VI 8 (cc. 40-47), VII 8-1 (cc. 48-54, caduta la solidale<br />

di c. 51), VIII 8-3 (cc. 55-59, cadute le solidali di c. 56, 57 e 59), IX-<br />

X 8 (cc. 60-75). Tutti i fascicoli iniziano con il lato carne; la regola di<br />

Gregory è ovunque rispettata.<br />

RIGATURA: eseguita a penna con inchiostro marrone sottilissimo,<br />

probabilmente sulle singole carte.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 5r) A 13, B 186, C 200, a 18, h 123, i 130,<br />

l 142 mm.<br />

RIGHE: 27 righe per 27 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 5r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.


Statuti di Pofi<br />

439<br />

RICHIAMI: presenti soltanto alle cc. 6v, 9r-10r, 11r e 20r, disposti<br />

in orizzontale nel margine inferiore destro, stessa mano e inchiostro<br />

del testo.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano<br />

che esibisce una scrittura italica ad inchiostro rosso e bruno; le<br />

approvazioni e conferme dello Statuto, nonché le varie tabelle,<br />

presentano mani diverse tra loro.<br />

DECORAZIONE: grandi iniziali calligrafiche all’incipit di ogni<br />

capitolo, la S e la I con più frequenza; grande iniziale I decorata<br />

con cadelle alla c. 16v, 20v, 21v; titoli delle rubriche in rosso; titolo<br />

corrente al centro del margine superiore di ogni pagina.<br />

SIGILLI E TIMBRI: orma di un sigillo aderente in cera rossa a c. 49r,<br />

appartenente a Gian Giacomo Capozio, luogotenente di Marcantonio<br />

II Colonna; sigillo aderente in cera rossa coperto con un foglietto di<br />

carta a c. 49v di Marcantonio IV Colonna.<br />

LEGATURA: 210 × 150 mm; legatura in mezza pelle marrone su<br />

assi di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni del marrone;<br />

cucitura su 4 nervi con filo di cotone chiaro; il taglio è decorato in<br />

rosso su tutti i lati.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: sebbene il manoscritto sia stato<br />

restaurato in un tempo imprecisato, attualmente versa in mediocri<br />

condizioni; numerosi fori di tarlo; l’inchiostro è sbiadito e non più<br />

leggibile in molti punti; i bordi della coperta e il dorso sono molto<br />

consumati; le carte finali sono macchiate.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: a c. 48v la scritta “LAUS DEO /<br />

FINIS” in lettere capitali rosse.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: integrazione alla c. 22v nel<br />

margine interno costituita da due righe in italiano, in verticale, di<br />

altra mano; alla c. 42r una mano diversa scrive due righe in italiano<br />

accompagnate da una manicula, in verticale nel margine esterno,<br />

inchiostro nero brillante; in più punti alcune porzioni di testo sono<br />

sottolineate con lo stesso inchiostro della scrittura.<br />

VARIA: una crocetta nel margine interno della c. 6r in corrispondenza<br />

della l. 15; alla c. 14v l. 5; alla c. 15r l. 7; alla c. 26r l. 20; resti di<br />

scritture più o meno leggibili alle cc. 75 e II di guardia.<br />

DESCRIZIONE INTERNA


440<br />

Francesca Pontri<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Statuta Terrae<br />

Popharum”. Lo Statuto è scritto in latino (tranne una sostanziosa<br />

parte del cap. 52 del Libro III che è in italiano), mentre i capitoli<br />

sono numerati con cifre romane (tranne i capp. 1-3 del Libro I e<br />

il cap. 54 del Libro III che presentano cifre arabe). Il testo è così<br />

ripartito:<br />

- c. 1r-v: Proemio;<br />

- cc. 2r-10r: Libro I, 31 capitoli contenenti norme varie di<br />

diritto amministrativo e civile;<br />

- cc. 10r-17r: Libro II, 36 capitoli di diritto penale<br />

(maleficiorum);<br />

- cc. 17r-28v: Libro III, 57 capitoli sul danno dato;<br />

- cc. 29r-42v: Libro IV, 70 capitoli di norme varie<br />

(extraordinariorum);<br />

- cc. 43r-48v: Repertorium seu Tabula diviso per libri.<br />

A c. 49r cominciano le conferme, a partire da quella del 18<br />

febbraio 1579 firmata da Gian Giacomo Capozi; a c. 49v norma di<br />

Marcantonio IV Colonna che vieta di vendere immobili ai forestieri<br />

(1610, probabilmente); a c. 50r conferma dello Statuto da parte di<br />

Filippo I Colonna del 22 dicembre 1620; a c. 50v quella di Girolamo<br />

Colonna del 28 gennaio 1650; a c. 51r quella di Filippo II Colonna<br />

del 20 dicembre 1667; a c. 51v quella di Lorenzo Onofrio Colonna<br />

del 27 ottobre 1686. Alla c. 53v trova posto un’aggiunta al cap. 57<br />

del IV libro, mentre le cc. 54r-69v sono lasciate in bianco. A c. 70r si<br />

trova una Tariffa economica col prezzo del pane; chiude il volume la<br />

Tariffa del valore della moneta antica copiata dallo Statuto di Fiuggi<br />

il 26 agosto 1741 dal Sindaco Pietro Paolo della Valle (c. 73r-v).


441<br />

STATUTI DI RIPI<br />

Il <strong>Comune</strong> fu retto dai Signori (condòmini) di Ripi fino alla<br />

seconda metà del XIV secolo, quando il possedimento tornò sotto il<br />

dominio diretto del Papa. Nel 1365 il castello fu occupato dai verolani<br />

e in seguito restituito allo Stato Pontificio; da quel momento e per<br />

alcuni anni il feudo passò sotto il dominio di varie famiglie nobili,<br />

tra cui i conti de’ Ceccano. Nel 1410 le terre di Ripi e Castro furono<br />

assegnate dall’antipapa Giovanni XXIII a Lorenzo e Giordano<br />

Colonna, ma gli furono a più riprese confiscate e restituite, finché<br />

nel 1562 la famiglia Colonna le acquisì definitivamente.<br />

La prima bozza di Statuto concesso ai ripani risale probabilmente<br />

all’inizio del XII per opera di Lando, Riccardo e Andrea Signori di<br />

Ripi 1 , i quali accordarono alla popolazione una serie di libertà basate<br />

su norme consuetudinarie. Tali prerogative furono confermate nel<br />

1195 da Celestino III, nel 1200 da Innocenzo III e nel 1291 da Niccolò<br />

IV, in un documento nel quale menziona espressamente le “libertà<br />

e immunità” concesse ai ripani. Questo importante documento<br />

non è giunto ai nostri giorni, pertanto la pergamena conservata<br />

nell’Archivio Colonna, datata 7 aprile 1331, risulta essere la più<br />

antica testimonianza conservata dello Statuto della comunità di Ripi.<br />

Le norme sono elencate in sequenza e non sono ancora divise in<br />

libri, come sarà tipico degli Statuti delle comunità limitrofe nei secoli<br />

successivi. Stando a quanto si legge nel documento stesso, e come<br />

sottolinea Tomassetti, le norme sarebbero state stabilite di comune<br />

accordo tra il rettore e la popolazione ripana (rector et universitas<br />

1<br />

La notizia si legge in G. Silvestrelli, Città castelli e terre della regione<br />

romana: ricerche di storia medioevale e moderna sino all’anno 1800,<br />

Roma 1993, 1, p. 49; più ampio spazio a questo argomento in D. Collepardi,<br />

Ripi e il suo statuto: dalle origini all’avvento dei Colonna, nota introduttiva<br />

allo statuto di R. Ferrante, Ripi 2005, pp. 74-77. Una traduzione in<br />

italiano del testo è anche in Statuto di Ripi del 1331, a cura di Legambiente<br />

circolo di Ripi, s. d.


442<br />

Francesca Pontri<br />

supradicta alle ll. 141-142) 2 .<br />

Nel corso dei secoli il testo è stato probabilmente modificato e<br />

confermato più volte. Questo in linea con gli Statuti delle comunità<br />

limitrofe, anch’esse sottoposte, nei secoli, al dominio della famiglia<br />

Colonna. Basti ricordare i rinnovi e le approvazioni dei testi statutari<br />

operati dalla potente famiglia romana negli anni a cavallo tra il 1531<br />

e il 1569, nonché le conferme di Marcantonio IV Colonna del 1610 3 .<br />

Presso l’Archivio di Stato di Roma si conserva un fascicolo<br />

contenente unicamente le disposizioni sul danno dato, redatte<br />

probabilmente tra i secoli XVII e XIX. Queste sono accompagnate,<br />

in maniera speculare, dalle relative Modificazioni, che si possono<br />

invece far risalire ad un periodo compreso tra il 1816 e il 1856.<br />

Questo perché gli Statuti comunali furono aboliti con motu proprio<br />

di Pio VII del 6 luglio 1816, il quale mantenne in vita soltanto il libro<br />

del danno dato. Il 10 luglio 1856 è invece la data di compilazione del<br />

fascicolo 4 .<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Subiaco, Biblioteca<br />

del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio Colonna, Ripi,<br />

III BB, Perg. XLVI, n. 125.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: pergamena sciolta.<br />

2<br />

Cfr. Statuti della Provincia romana: Vicovaro, Cave, Roccantica, Ripi,<br />

Genazzano, Tivoli, Castel Fiorentino, a cura di F. Tomassetti, V. Federici<br />

e P. Egidi, Torino 1970, p. 113.<br />

3<br />

Sul cosiddetto “attivismo statutario” dei Colonna del ramo di Paliano cfr.<br />

S. Notari, Per una geografia statutaria del Lazio: il rubricario degli statuti<br />

comunali della provincia storica di Campagna, in Rivista Storica del<br />

Lazio, 13-14 (2005-2006), 22, Le comunità rurali e i loro statuti (secolo<br />

XII-XV), Atti dell’VIII Convegno del Comitato italiano per gli studi e le<br />

edizione delle fonti normative, Viterbo 30 maggio – 1 giugno 2002, a cura<br />

di A. Cortonesi e F. Viola, pp. 25-92, in part. le pp. 52-57.<br />

4<br />

Ivi, p. 82.


Statuti di Ripi<br />

443<br />

DATAZIONE: 7 aprile 1331 (datazione espressa alle l. 145-146).<br />

ORIGINE: Ripi (in platea de Ripis alla l. 145).<br />

MATERIA: membranaceo, con il testo scritto sul lato carne.<br />

CARTE: una sola striscia di pergamena; a mm 986 dal margine<br />

superiore è stato aggiunto un altro pezzo di pergamena mediante una<br />

cucitura orizzontale con filo di cotone, visibile solo sul verso della<br />

stessa, mentre sul recto i margini risultano semplicemente ripiegati.<br />

DIMENSIONI: mm 1000 × 150.<br />

SPECCHIO RIGATO: A 25, B 925, C 1000 mm.<br />

RIGHE: 149 linee di scrittura.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: a piena pagina.<br />

SCRITTURA E MANI: un’unica mano che esibisce una minuscola<br />

cancelleresca, inchiostro marrone.<br />

DECORAZIONE: scrittura distintiva della parola IN alla linea 1;<br />

lettres rehaussées per contrassegnare l’inizio dei capitoli; iniziale E<br />

campìta alla l. 147.<br />

SIGILLI E TIMBRI: signum tabellionis del notaio Arduynus de<br />

Ripis, costituito da una croce greca inscritta in un quadrato contornato<br />

da bolli.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: la pergamena è stata restaurata ma<br />

non se ne conosce l’epoca e il laboratorio: gli angoli sono stati risarciti<br />

con della pergamena, così come un foro presente nel bas-de-page.<br />

Sul margine laterale destro della metà superiore della pergamena<br />

l’inchiostro è fortemente sbiadito, in particolar modo tra le ll. 13-<br />

16, 30-32 e 47-48, dove le ultime lettere della riga sono pressochè<br />

illeggibili. In corrispondenza della l. 8 campeggia una macchia<br />

bruna, così come nel margine inferiore sinistro del documento; sul<br />

verso della pergamena la presenza di macchie è più marcata.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: il colophon presente alle ll. 147-149<br />

recita “et Ego Arduynus de Ripis Alme Urbis p(re)fecti auc(torita)<br />

te Not(arius) p(redi)cta / Statuta scripsi et publicavi de ma(n)dato<br />

dic(to)rum d(omi)norum Rectoris et / Univ(er)sitatis supradictor(um)<br />

et signu(m) feci rogatus”.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: maniculae in corrispondenza delle<br />

ll. 72, 83 e 130 nel margine sinistro, delle ll. 23 e 74 nel margine<br />

destro; scritture varie, più o meno leggibili, poste sul verso della


444<br />

Francesca Pontri<br />

pergamena.<br />

VARIA: una crocetta è visibile alla l. 75 nel margine sinistro, dove si<br />

possono notare anche dei trattini orizzontali realizzati con lapis blu<br />

alle ll. 6, 15, 48, 65, 87, 95, 112 e 120.<br />

ANTICHE SEGNATURE: n. 50 e n. 195, entrambe cancellate, sul<br />

verso della pergamena.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente sul verso della pergamena è “Instromento delli Sta/<br />

tuti in publica for/ma del Castello di / Ripi / 1331”. Il testo in latino<br />

riporta i 63 capitoli, scritti di seguito e non numerati, dello Statuto<br />

di Ripi. Le disposizioni riguardano il diritto civile, quello penale e<br />

quello amministrativo.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 805/09.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: lo Statuto di Ripi è legato con<br />

altri manoscritti in un volume composito; delle linguette laterali in<br />

pergamena permettono di individuare i vari testi secondo l’ordine<br />

attribuito nell’Indice posto all’inizio del volume.<br />

DATAZIONE: 10 luglio 1856 (datazione espressa a c. 4v).<br />

ORIGINE: Ripi.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 4 carte; numerazione moderna a matita nell’angolo superiore<br />

esterno del recto di ogni carta che segue la numerazione complessiva<br />

del volume (lo Statuto di Ripi si trova alle cc. 121r-124v); altre due<br />

numerazioni moderne a matita sono presenti alle cc. 1r e 4v.<br />

DIMENSIONI: mm 320 × 215 (c. 2).<br />

FASCICOLAZIONE: I 4 (cc. 1-4, corrispondenti alle cc. 121-124<br />

dell’intero volume).<br />

RIGATURA: rigato a matita carta per carta; una seconda rigatura è<br />

costituita da 2 righe verticali parallele e vicinissime che dividono a<br />

metà la pagina (stesso inchiostro nero del testo).


Statuti di Ripi<br />

445<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 2r) A 37, B 300, C 320, a 10, e’ 109, e”<br />

110, l 215 mm.<br />

RIGHE: 24 righe per 24 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 2r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su due colonne.<br />

SCRITTURA E MANI: un’unica mano che esibisce una corsiva<br />

fortemente inclinata a destra, inchiostro nero.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro ovale a inchiostro marrone scuro del<br />

“Priore della <strong>Comune</strong> di Ripi” contenente la tiara papale e le chiavi<br />

decussate alla c. 4v, apposto accanto alla sottoscrizione del Priore<br />

Giovanni Battista Valenti.<br />

LEGATURA: 340 × 240 mm; legatura moderna in mezza pergamena<br />

su assi di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni del verde<br />

e del nero; cantonali in pergamena; cucitura su 8 nervi con filo di<br />

cotone chiaro; capitello inferiore cucito e ricoperto di pergamena; sul<br />

dorso è presente un riquadro di pelle marrone con la scritta STATUTA<br />

/ URBIUM / ET OPPID. in lettere capitali dorate, più in basso le<br />

lettere PA-RO.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: volume restaurato presumibilmente<br />

nella seconda metà degli anni ’90 del XX secolo della ditta “Fabi<br />

e Fabi” di Roma, come testimonia l’etichetta incollata nell’angolo<br />

inferiore esterno della controguardia posteriore del libro. L’intervento<br />

ha comportato la sostituzione della coperta, che precedentemente<br />

presentava due stemmi di Pio IX impressi in oro sul dorso; il volume<br />

è stato slegato e sono state incollate strisce di carta nella piega dei<br />

fogli per rinforzarle.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 4v recita “Per<br />

copia conforme all’Originale / Ripi dalla Seg(rete)ria Com(una)le<br />

li 10 Luglio 1856 / Il Priore / Gio(vanni) B(attist)a Valenti”; si può<br />

notare che il copista non è identificabile nel Priore in quanto la grafia<br />

della firma è diversa da quella del testo.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo espresso a c. 1r è “Ripi. Capitoli del danno dato”. Il<br />

manoscritto contiene 10 capitoli scritti in volgare italiano, disposti su<br />

due colonne: a sinistra le Leggi Primitive, a destra le Modificazioni.


446<br />

STATUTI DI SERRONE<br />

Incendiata nel 1183, la piccola comunità del Serrone, sempre legata<br />

a quella di Paliano, fu sottoposta negli anni seguenti alla Signoria di<br />

varie famiglie. Nel 1232 Gregorio IX stabilì che i due castra fossero<br />

inalienabili, ponendoli sotto il dominio dei suoi nipoti, i Conti di Segni.<br />

Seguirono anni di confische e restituzioni da parte del Papato; Martino<br />

V nel 1425 assegnò Paliano e Serrone ai nipoti Antonio, Prospero ed<br />

Edoardo Colonna. Anche a costoro il feudo fu revocato e riassegnato<br />

più volte, finchè nel 1562 ne ebbero il possesso definitivo 1 .<br />

Non si hanno notizie circa il momento della comparsa di uno<br />

Statuto di Serrone. Ciò che attualmente si conserva sono fascicoli<br />

sciolti riguardanti unicamente il danno dato, di cui l’esemplare più<br />

antico è del 1601. Una testimonianza dell’utilizzo dello Statuto<br />

ci viene fornita da una pratica rinvenuta nell’Archivio Colonna<br />

depositato a Subiaco e datata 1694. Il carteggio, raccolto in una<br />

cartellina dal titolo “Sulla confisca degli animali neri, ritenuti dai<br />

Particolari del Serrone contro la forma dello Statuto”, verte sul diritto<br />

di alcuni cittadini di ritenere un certo numero di maiali, chiamati<br />

all’epoca “neri” per via del colore della pelle. Al di là del contenuto<br />

della pratica, ciò che risulta di fondamentale importanza è l’aver<br />

copiato, in una delle missive, il testo del capitolo 24 dello Statuto,<br />

relativo ai maiali 2 . Confrontando il testo riportato, si registra la piena<br />

corrispondenza con il testo del 1601, pertanto si può affermare che<br />

nessuna modifica, perlomeno riguardo alla norma in questione, sia<br />

intervenuta per quasi tutto il XVII secolo.<br />

Purtroppo, è stato impossibile analizzare la copia dello Statuto<br />

del 1601 in ragione dei lavori di restauro che stanno interessando<br />

1<br />

Si confronti G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da<br />

San Pietro ai nostri giorni, etc., Venezia 1840-1861, 27, pp. 287-288; G.<br />

Silvestrelli, Città castelli e terre della regione romana: ricerche di storia<br />

medioevale e moderna sino all’anno 1800, Roma 1993, 1, pp. 91-97.<br />

2<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio<br />

Colonna, Serrone, III TC, 1, n. 9.


Statuti di Serrone<br />

447<br />

il locale Archivio storico comunale presso il quale si custodisce,<br />

rendendo inaccessibile peraltro anche tutta la documentazione<br />

connessa – tipo i Libri dei Consigli – che avrebbero potuto offrire<br />

maggiori dettagli sulla questione. Dall’Inventario del suddetto<br />

Archivio, tuttavia, apprendiamo che in loco si conserva: una copia<br />

dello Statuto di Serrone del 1601; alcune copie dello Statuto antico<br />

della comunità di Serrone realizzate nel 1854; l’approvazione del<br />

nuovo Statuto del 1855; una nota sulla spesa di stampa del nuovo<br />

Statuto del 1855; una lettera bando del nuovo Statuto del 1855 3 .<br />

Ciò che invece si è potuto consultare con profitto sono le altre<br />

quattro copie, tutte ottocentesche, che tramandano il testo: due copie<br />

manoscritte, definite “Statuto Antico” e “Statuto Nuovo” conservate<br />

insieme presso l’Archivio di Stato di Roma, un manoscritto reperito<br />

presso l’Archivio di Stato di Frosinone, fondo della Delegazione<br />

Apostolica, e un esemplare a stampa.<br />

Dal confronto tra i testimoni si possono trarre utili considerazioni<br />

e alcune ipotesi che andranno verificate.<br />

I tre manoscritti sono stati copiati dalla stessa persona, cioè il<br />

Segretario comunale Lorenzo Aronne che si firma solo nella copia<br />

frusinate. Lo Statuto “antico”, contrassegnato a c. 1r dalla lettera A,<br />

consta di 44 capitoli, è stato copiato nel 1854 da quello del 1601. Il 19<br />

novembre 1854 viene sottoscritta la copia frusinate, che contiene uno<br />

Statuto appena riformato – sebbene il relativo Editto della Segreteria<br />

di Stato fosse del 1850 – con il numero dei capitoli sceso a 34: la<br />

copia è contrassegnata a c. 1r dalla lettera B. Entrambe le copie furono<br />

trascritte in <strong>Comune</strong> nel 1854 4 . Lo Statuto definito “nuovo” è stato<br />

copiato ugualmente in <strong>Comune</strong> ma probabilmente nel 1855, quando<br />

viene inviato a Roma per la necessaria approvazione. Il Ministro<br />

dell’Interno, cardinale Mertel approva in data 17 settembre 1855 e lo<br />

3<br />

L’inventario dell’Archivio storico comunale di Serrone è disponibile online<br />

all’indirizzo http://archivicomunali.lazio.beniculturali.it/ProgettoRinasco/inventarionline/html/frosinone/Serrone.html.<br />

4<br />

Le lettere A e B apposte sulle due copie sostengono l’ipotesi che esse<br />

siano state realizzate, se non nello stesso momento, quantomeno in tempi<br />

molto vicini: ciò spiegherebbe la necessità di contraddistinguerle.


448<br />

Francesca Pontri<br />

rispedisce al <strong>Comune</strong>. Qui ne viene tratta una copia (per mano dello<br />

stesso copista) che viene dichiarata conforme a quella che si trova<br />

nell’Archivio del <strong>Comune</strong> e sottoscritta dalla Segreteria Generale della<br />

Delegazione Apostolica di Frosinone. Questo perché lo Statuto era stato<br />

ulteriormente riformato nel 1855 e ridotto ulteriormente a 26 capitoli.<br />

È plausibile ritenere che il Segretario della Delegazione non<br />

sia andato di persona a collazionare il testo a Serrone: opinione<br />

di chi scrive è che il già citato Aronne abbia realizzato una copia<br />

dello Statuto approvato da Mertel e che le due siano state inviate al<br />

funzionario. Questi, dopo aver collazionato il testo e dichiaratolo<br />

conforme, ha copiato l’approvazione di Mertel e sottoscritto di<br />

suo pugno il documento, per poi rispedire le due copie al <strong>Comune</strong>.<br />

Quando poi nel 1856 Mertel richiede a tutti i Comuni dello Stato<br />

Pontificio almeno una copia dello statuto cittadino, da Serrone gliene<br />

inviano ben due: quello “antico” e quello approvato dal Segretario<br />

Generale della Delegazione Apostolica, che viene definito “nuovo” 5 .<br />

Un’ultima considerazione riguarda l’esemplare a stampa che<br />

contiene 26 capitoli. Esso riporta, sul frontespizio, la data del 1854<br />

riferita al testo, mentre la stampa fu realizzata nel 1855. In base alle<br />

teorie appena esposte, la data del 1854 non può ritenersi corretta<br />

perché il 19 novembre di quell’anno lo Statuto, appena riformato,<br />

possedeva ancora 34 capitoli.<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 449/03.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto composito costituito<br />

da due unità codicologiche.<br />

LEGATURA: 277 × 205 mm; coperta in carta decorata a rilievo<br />

su assi di cartone; sul piatto anteriore è stata incollata una losanga<br />

5<br />

Se l’ipotesi è corretta, nell’Archivio storico comunale di Serrone dovrebbe<br />

trovarsi lo Statuto con l’approvazione originale del cardinale Mertel.


Statuti di Serrone<br />

449<br />

di carta bianca contenente la segnatura e la scritta “Statuti / antico<br />

e nuovo / del <strong>Comune</strong> / di / Serrone”; i fascicoli sono cuciti alla<br />

coperta con un fascio di fili di seta rossa e bianca.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: discreto.<br />

UNITÁ 1<br />

DATAZIONE: probabilmente 1854.<br />

ORIGINE: probabilmente Serrone.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: rilevabile ogni 2 carte, àncora a tre punte inscritta in<br />

un tondo al centro della pagina, la sigla FG nell’angolo opposto del<br />

foglio.<br />

CARTE: 8 carte, non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 265 × 190 (c. 3).<br />

FASCICOLAZIONE: I 8 (cc. 1-8).<br />

RIGATURA: irregolarmente rigato a matita, a volte solo la linea di<br />

giustificazione sinistra, a volte mancano alcune rettrici.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 3r) A 15, B 250, C 265, a 15, l 190 mm.<br />

RIGHE: 32 righe per 32 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 3r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano<br />

(probabilmente quella del Segretario comunale Lorenzo Aronne)<br />

che esibisce una corsiva, inchiostro nero sbiadito.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro ovale a inchiostro marrone del “<strong>Comune</strong><br />

di Serrone – Delegazione di Frosinone” contenente la tiara papale e<br />

le chiavi decussate alla c. 7r, apposto accanto alla sottoscrizione del<br />

Priore A. Rocchi.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 7r recita “Visto<br />

per copia conforme all’Originale. In fede / Il Priore / A. Rocchi”.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: sottolineature a c. 2r-v di mano del<br />

copista; alla l. 21 di c. 4v il copista apre una parentesi quadra ma la<br />

chiude con la tonda.<br />

VARIA: a c. 1r nell’angolo superiore esterno è presente la lettera A,<br />

a penna, affiancata dalla cifra 773, a matita.


450<br />

Francesca Pontri<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Copia dello Statuto<br />

Antico / della Comunità del / Serrone”. Il testo dello Statuto è in<br />

volgare italiano; si tratta di 44 capitoli, contrassegnati con cifre<br />

arabe, sul danno dato.<br />

UNITÁ 2<br />

DATAZIONE: 17 settembre 1855 (datazione espressa c. 6v).<br />

ORIGINE: il testo è stato probabilmente copiato a Serrone, mentre<br />

la sottoscrizione è stata apposta a Frosinone.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 8 carte, non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 270 × 195 (c. 3).<br />

FASCICOLAZIONE: I 8 (cc. 1-8).<br />

RIGATURA: a matita.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 3r) A 18, B 253, C 270, a 45, l 195 mm.<br />

RIGHE: 31 righe per 31 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 3r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano<br />

(probabilmente quella del Segretario comunale Lorenzo Aronne)<br />

che esibisce una corsiva, inchiostro nero, fino a c. 6v; una seconda<br />

mano copia una lettera di approvazione da parte del ministro Mertel<br />

alla c. 6v, scrittura corsiva, inchiostro nero molto sbiadito.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro ovale a inchiostro nero della<br />

“Delegazione di Frosinone – Secretaria Generale” contenente la tiara<br />

papale alla c. 6v, apposto accanto alla sottoscrizione del Segretario<br />

Generale R. Mannoni.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 6v recita “Per<br />

copia conforme all’Originale / esistente nell’Archivio Com(una)le<br />

di Serrone / Il Segretario Gen(era)le / R. Mannoni”.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Statuto / della Comunità<br />

del Serrone / fatto nell’Anno / 1855”. Il testo dello Statuto è in<br />

volgare italiano; si tratta di 26 articoli, contrassegnati con cifre arabe<br />

e titolo, sul danno dato.


Statuti di Serrone<br />

451<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Frosinone, Archivio<br />

di Stato, Delegazione Apostolica, b. 1175.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: fascicolo sciolto.<br />

DATAZIONE: 19 novembre 1854 (datazione espressa c. 8r).<br />

ORIGINE: Serrone (data topica espressa c. 8r).<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 8 carte, non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 265 × 192 (c. 3).<br />

FASCICOLAZIONE: I 8 (cc. 1-8).<br />

RIGATURA: a matita, sulle singole carte, dove sono presenti tutte le<br />

rettrici ma soltanto la linea di giustificazione sinistra.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 3r) A 15, B 256, C 265, a 47, l 192 mm.<br />

RIGHE: 32 righe per 32 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 3r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano<br />

(probabilmente quella del Segretario comunale Lorenzo Aronne)<br />

che esibisce una corsiva, inchiostro nero sbiadito.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro ovale a inchiostro marrone del “<strong>Comune</strong><br />

di Serrone – Delegazione di Frosinone” con la tiara papale e le chiavi<br />

decussate alla c. 8r, accanto alla sottoscrizione del Priore A. Rocchi.<br />

LEGATURA: il fascicolo non è legato; le carte sono tenute insieme<br />

da un fascio di fili di seta color porpora.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: discreto.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 8r recita<br />

“Serrone li 19 novembre 1854 / Il Priore / A. Rocchi / Il Segretario<br />

Comunale / Lorenzo Aronne”.<br />

VARIA: a c. 1r nell’angolo superiore esterno è presente la lettera B,<br />

a penna.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente alla c. 1r è “Statuto / della Comunità del Serrone”.<br />

Il testo dello Statuto è in volgare italiano; si tratta di 34 capitoli,<br />

contrassegnati con cifre arabe, sul danno dato.


452<br />

STATUTI DI SGURGOLA<br />

Il castrum di Sgurgola fu retto, nel XII secolo, dai baroni tedeschi<br />

Galgano e Corrado. Dagli eredi di costoro Pietro Caetani acquistò<br />

il castello, nel quale fu infeudato da Bonifacio VIII nel 1300. I<br />

Caetani mantennero il possedimento per quasi tutto il XV secolo; tra<br />

alterne vicende fatte di sottrazioni e riconferme, nel 1562 il feudo fu<br />

acquisito dai Colonna in maniera definitiva 1 .<br />

Delle consuetudini dovevano già essere osservate nella comunità<br />

agli scorci del XIV secolo, se Pietro Caetani promette di rispettarle<br />

nel momento della sua presa di possesso del castello di Sgurgola 2 .<br />

Di una prima redazione dello Statuto non ci sono notizie certe.<br />

La copia più antica che si conserva è un manoscritto in cattivo stato<br />

di conservazione, custodito presso l’Archivio Colonna. Il testo<br />

copiato deve essere precedente al 1610, essendo questa la data in cui<br />

Marcantonio IV Colonna fa aggiungere alle compilazioni statutarie<br />

dei comuni del suo feudo la norma sul divieto di vendere beni ai<br />

forestieri 3 . Il codice non contiene sottoscrizioni – né copiate, né<br />

autografe – ma presenta delle aggiunte di mani più tarde datate<br />

1654, 1657 e 1671. Il contenuto di questi brani non riguarda norme<br />

statutarie, ma appunti sui terremoti verificatisi in quegli anni.<br />

La seconda copia in ordine temporale si conserva nello stesso<br />

archivio, nel medesimo faldone. Questo codice, di più facile<br />

intelliggibilità, fu copiato qualche anno dopo ma probabilmente da<br />

un altro manoscritto. Esso infatti, diversamente da quello più antico,<br />

1<br />

Brevi informazioni di carattere storico si possono leggere in E. Martinori,<br />

Lazio turrito: repertorio storico ed iconografico di torri, rocche,<br />

castelli e luoghi muniti della provincia di Roma: ricerche di storia medioevale,<br />

Roma 1933, 2, p. 287; G. Silvestrelli, Città castelli e terre della<br />

regione romana: ricerche di storia medioevale e moderna sino all’anno<br />

1800, Roma 1993, 1, pp. 155-156.<br />

2<br />

La notizia è contenuta in G. Graziani, Sgurgola nel Medioevo: storia di<br />

un castello di origini longobarde, Colleferro 2001, p. 82.<br />

3<br />

Cfr. infra, Morolo, Supino, Paliano, Castro dei Volsci, ecc.


Statuti di Sgurgola<br />

453<br />

presenta una divisione in Libri e una numerazione delle rubriche.<br />

Anche in questo caso però si registra l’assenza di qualsivoglia<br />

sottoscrizione.<br />

Una terza copia dello Statuto di Sgurgola fu copiata probabilmente<br />

nel 1856, in occasione della richiesta di Mertel di inviare copie<br />

dello Statuto a Roma. L’esemplare fu realizzato copiando da un<br />

manoscritto perduto, il quale doveva contenere le sottoscrizioni<br />

in originale che nel codice romano sono presenti in copia. Esse si<br />

rivelano comunque preziose ai fini della ricostruzione della vicenda<br />

statutaria. Si legge infatti:<br />

«Giuseppe Marzi della Città di Alatri, ed al presente<br />

Governatore / di Morolo, e Scurgola restaurai il presente<br />

Statuto corrispondente / collo Statuto antico in tutto, e per<br />

tutto. In fidem. / Questo dì 14 Gennaro 1747».<br />

Sappiamo quindi che nel 1747 fu eseguita una copia dello<br />

Statuto, attualmente irreperibile. A questa si accompagna una nota<br />

di registrazione nel libro degli Atti Civili, datata 1° aprile 1794,<br />

anch’essa in copia.<br />

Dal confronto tra il codice romano e il secondo di quelli sublacensi<br />

si ritrova una sostanziale omogeneità, tranne una discrepanza nel<br />

numero dei capitoli del III Libro. È plausibile ritenere che, nel<br />

corso del tempo, le norme siano state riformate e che quindi una<br />

disposizione sia stata cassata. Il manoscritto romano presenta<br />

invece un’ultima rubrica aggiunta in calce al testo, poco prima della<br />

sottoscrizione finale.<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Subiaco, Biblioteca<br />

del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio Colonna,<br />

Sgurgola, III RB 1, n. 25 B.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.


454<br />

Francesca Pontri<br />

DATAZIONE: XVII secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Sgurgola.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: saltuariamente rilevabile, àncora a due braccia<br />

inscritta in un tondo simile a Briquet 534 ma con la lettera B aggiunta<br />

sopra il tondo.<br />

CARTE: 73 carte; paginazione a inchiostro nel margine superiore<br />

esterno, coeva alla scrittura, che arriva a 80 a c.39v.<br />

DIMENSIONI: mm 215 × 160 (c. 20).<br />

FASCICOLAZIONE: I 16-3 (cc. 1-13, cadute le solidali delle cc. 11,<br />

12 e 13), II-III 16 (cc. 14-45), IV 12 (cc. 46-57), V 16 (cc. 58-73).<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 20r) A 25, B 205, C 215, a 20, l 160 mm.<br />

RIGHE: 17 linee di scrittura.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: presenti nel margine inferiore interno del verso delle<br />

cc. 2v-37v.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo, compreso l’indice, è stato copiato da<br />

un’unica mano che esibisce una corsiva a inchiostro marrone scuro;<br />

le aggiunte alla fine dello Statuto presentano mani e scritture diverse<br />

tra loro.<br />

DECORAZIONE: disegni e scarabocchi vari a inchiostro alla c. 58r.<br />

LEGATURA: 235 × 160 mm; legatura floscia in pergamena imbrunita<br />

dal tempo; tracce di scritture e cifre arabe sui piatti; cucitura con filo<br />

di cotone chiaro; assenza di controguardie.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il codice è in pessimo stato; cadute<br />

3 carte iniziali; la coperta è molto deteriorata ed è a forte rischio di<br />

distacco; molti fogli sono separati dal corpo del codice; numerosi<br />

fori di tarlo, che hanno quasi interamente consumato la c. 73;<br />

macchie di varia natura (inchiostro, umidità, sporcizia) sparse per<br />

tutto il manoscritto; i tagli sono sdruciti; molte carte sono strappate<br />

e in molti casi si stanno letteralmente sbriciolando.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: maniculae alle cc. 17v, 18v e 23r<br />

(di mano posteriore); aggiunte marginali apparentemente di mano<br />

del copista a c. 26r; linee di scrittura sottolineate in diversi punti.<br />

VARIA: iniziali PP nel margine di c. 21r e 23r; cifre incomprensibili<br />

alla c. 14r; scritture, cifre e scarabocchi di mani diverse e di varia


Statuti di Sgurgola<br />

455<br />

natura tra le cc. 41v-54v e 57r-73v. Il manoscritto è avvolto in un<br />

foglio di carta per proteggerlo, sul quale campeggiano la segnatura e<br />

le diciture “Statuto della Comunità della / Sgurgola” (cancellata) e<br />

“Libro in cui si contiene una copia / informe delli Statuti della d(ett)<br />

a terra, / mancante dei primi fogli”; allegato al volume un foglietto<br />

datato 4 aprile 1807 con alcune informazioni.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo non è presente nel manoscritto, ma sul foglio che lo avvolge<br />

è presente la scritta cancellata “Statuto della Comunità della /<br />

Sgurgola”. Il testo dello Statuto è in italiano e i capitoli non sono<br />

numerati. Le norme statutarie sono scritte in maniera continua senza<br />

divisione in libri, tranne per la cifra 2 a c. 14v e la menzione “libro<br />

terzo” alla c. 33v, ma entrambe di mano posteriore.<br />

Il testo si interrompe a c. 40r; seguono pagine bianche alternate<br />

a scritte varie e scarabocchi che si interrompono alle cc. 55r-56v,<br />

dove è presente la Tavola che riporta il titolo di tutti i capitoli dello<br />

Statuto con la pagina di riferimento all’interno del manoscritto; da c.<br />

57r a 73v si presenta di nuovo l’alternanza tra le carte bianche e gli<br />

scarabocchi.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Subiaco, Biblioteca<br />

del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio Colonna,<br />

Sgurgola, III RB 1, n. 25 A.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: XVIII secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Sgurgola.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: presente alle cc. 4, 5, 12, 13, 20, 21, 26, 31, 34, 39,<br />

41, nelle quali ne è visibile soltanto una metà (giglio inscritto in un<br />

tondo, simile a Briquet 7099).<br />

CARTE: I, 47; paginazione a inchiostro nel margine superiore


456<br />

Francesca Pontri<br />

esterno, coeva alla scrittura, che parte da 1 a c. 2r e arriva a 91 a<br />

c.47r.<br />

DIMENSIONI: mm 210 × 140 (c. 8).<br />

FASCICOLAZIONE: I 8-1 (cc. I-6, c. 6 è solidale con la controguardia<br />

incollata sul piatto anteriore), II-III 8 (cc. 7-22), IV 4 (cc. 23-26), V 8<br />

(cc. 27-34), VI 8-1 (cc. 35-41, c. 37 senza riscontro), VII 8-2 (cc. 42-47,<br />

c. 45 senza riscontro, c. 42 solidale con la controguardia incollata sul<br />

piatto posteriore).<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 8r) A 17, B 200, C 210, a 18, l 140 mm.<br />

RIGHE: le linee di scrittura variano dalle 19 di c. 8r alle 20 di c. 12v.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: saltuariamente presenti sul recto delle carte nel margine<br />

inferiore interno, di mano del copista.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano<br />

che esibisce una corsiva; inchiostro nero fino alla l. 1 di c. 14r, poi<br />

marrone fino alla l. 20 di c. 27v, poi di nuovo nero fino alla l. 16 di c.<br />

34v, poi di nuovo marrone fino a c. 47r dove finisce il testo.<br />

DECORAZIONE: tralci vegetali simmetrici a inchiostro nero alla c.<br />

1r; svolazzo a c. 17r, 39r e 47r a inchiostro nero.<br />

LEGATURA: 217 × 145 mm; legatura in piena pergamena su assi<br />

di cartone; cucitura su 4 nervi con filo di cotone chiaro; capitelli<br />

cuciti; sul dorso è presente la scritta STA/TUTO in lettere capitali a<br />

inchiostro nero eun tralcio floreale, più in basso la segnatura III RB 1<br />

n. 25A; i tagli sono spruzzati d’inchiostro rosso su tutti i lati.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: fori di tarlo nella controguardia<br />

posteriore; macchie di varia natura (inchiostro, umidità, sporcizia)<br />

sparse per tutto il manoscritto, apparentemente mai restaurato.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: non c’è sottoscrizione nel<br />

manoscritto, ma solo la scritta “Finis” a c. 47r.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Statuto / Di q(ue)sta<br />

Comm(uni)ta Mag(nifi)ca / della Scurgola”. Il testo dello Statuto è<br />

in italiano e i capitoli sono contraddistinti da numeri romani fino al<br />

capitolo 68 del Libro II (c. 33r), mentre dal 69 la cifra è araba e tale<br />

si mantiene per tutto il resto del codice.<br />

Le norme statutarie sono suddivise in tre libri, così ripartiti:


Statuti di Sgurgola<br />

457<br />

- cc. 2r-17r: Libro I, 40 capitoli contenenti disposizioni sugli<br />

organi amministrativi del comune;<br />

- cc. 17v-39r: Libro II, 104 capitoli sul danno dato;<br />

- cc. 39v-42v: Libro III, 5 capitoli sulle pene pecuniarie per i<br />

reati nel diritto civile e penale.<br />

Alle cc. 43r-47r è infine presente l’Indice overo Tavole che riporta<br />

il titolo di tutti i capitoli dello Statuto con il numero e la pagina di<br />

riferimento all’interno del manoscritto.<br />

CODICE 3<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 810/12.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: lo Statuto di Sgurgola è legato<br />

con altri manoscritti in un volume composito; delle linguette laterali<br />

in pergamena permettono di individuare i vari testi secondo l’ordine<br />

attribuito nell’Indice posto all’inizio del volume.<br />

DATAZIONE: probabilmente 1856.<br />

ORIGINE: probabilmente Sgurgola.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 22, I-II; numerazione a matita di mano moderna nell’angolo<br />

superiore esterno del recto di ogni carta, che numera però le carte<br />

dell’intero codice, del quale lo Statuto di Sgurgola occupa le cc.<br />

288-311; la cifra 1701 a matita di mano moderna a c. 1r nell’angolo<br />

superiore esterno.<br />

DIMENSIONI: mm 304 × 203 (c. 2).<br />

FASCICOLAZIONE: I-II 12 (cc. 1-II).<br />

RIGATURA: a matita, composta dalle rettrici e dalla linea di<br />

giustificazione sinistra.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 6r) A 10, B 284, C 304, a 17, l 203 mm.<br />

RIGHE: 30 righe per 30 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 4r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che


458<br />

Francesca Pontri<br />

esibisce una corsiva, inchiostro marrone scuro.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro ovale a inchiostro nero del “Priore<br />

della comunità di Sgurgola – Delegazione di Frosinone” contenente<br />

la tiara papale e le chiavi decussate alla c. 22r, apposto accanto alla<br />

sottoscrizione del Segretario Domenico Pace.<br />

LEGATURA: 344 × 230 mm; legatura moderna in mezza pergamena<br />

su assi di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni del verde<br />

e del nero; cantonali in pergamena; cucitura su 8 nervi con filo di<br />

cotone chiaro; capitello inferiore cucito e ricoperto di pergamena; sul<br />

dorso è presente un riquadro di pelle marrone con la scritta STATUTA<br />

/ URBIUM / ET OPPID. in lettere capitali dorate, più in basso le<br />

lettere SAN-SU.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: volume restaurato presumibilmente<br />

nella seconda metà degli anni ’90 del XX secolo della ditta “Fabi<br />

e Fabi” di Roma, come testimonia l’etichetta incollata nell’angolo<br />

inferiore esterno della controguardia posteriore del libro. L’intervento<br />

ha comportato la sostituzione della coperta, che precedentemente<br />

presentava due stemmi di Pio IX impressi in oro sul dorso; il volume<br />

è stato slegato e sono state incollate strisce di carta nella piega dei<br />

fogli per rinforzarle.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 22r recita<br />

“Per Copia Conforme all’Originale / Domenico Pace Segretario”.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Statuto / Di questa<br />

Magnifica Comunità / della Scurgola”. Il testo dello Statuto è in<br />

italiano e i capitoli sono contraddistinti da numeri romani.<br />

Le norme statutarie sono suddivise in tre libri, così ripartiti:<br />

- cc. 2r-8r: Libro I, 40 capitoli contenenti disposizioni sugli<br />

organi amministrativi del comune;<br />

- cc. 8v-19r: Libro II, 104 capitoli sul danno dato;<br />

- cc. 19v-21v: Libro III, 4 capitoli sulle pene pecuniarie per i<br />

reati nel diritto civile e penale.<br />

Le cc. 21v-22r contengono le conferme allo Statuto.


459<br />

STATUTI DI SUPINO<br />

Dominata dal XII al XIV secolo dai Signori di Supino,<br />

all’estinzione del ramo passò sotto il dominio di diversi feudatari. Nel<br />

1385 Nanna di Supino sposò Fabrizio Colonna, introducendo così la<br />

potente famiglia nel possesso di quel castrum. Supino appartenne<br />

poi a varie famiglie, tra le quali i conti dell’Anguillara e i Colonna<br />

che alla metà del XV secolo ne detenevano una metà ciascuno. Dopo<br />

alterne vicende, costellate di confische e riassegnazioni, nel 1562 i<br />

Colonna ne ebbero infine il possesso definitivo 1 .<br />

A tramandare il testo dello Statuto di Supino sono due copie,<br />

delle quali una custodita nell’Archivio storico comunale e un’altra<br />

conservata presso l’Archivio di Stato di Roma.<br />

Non è dato sapere a quando risalga la prima compilazione<br />

statutaria della città. Ciò nonostante, i manoscritti stessi rivelano che<br />

una copia dello Statuto esisteva già nel 1534, poiché il 10 ottobre<br />

di quell’anno Giovanna d’Aragona approvò il documento e tale<br />

sottoscrizione è presente in entrambi i testimoni 2 . Conformemente a<br />

quanto accadde per i castra del circondario, inoltre, anche nel caso di<br />

Supino Marcantonio IV Colonna aggiunse nel 1610 l’ultima norma<br />

sul divieto di vendere beni ai forestieri.<br />

I due manoscritti presentano senza dubbio notevoli analogie,<br />

tali da consentire a Giammaria di ipotizzare una derivazione della<br />

copia romana da quella conservata presso il Municipio di Supino.<br />

Quest’ultima sarebbe stata realizzata, secondo le fonti analizzate<br />

dallo studioso, in seguito a una decisione presa dal consiglio di<br />

1<br />

Per una sintesi storica si vedano E. Martinori, Lazio turrito: repertorio<br />

storico ed iconografico di torri, rocche, castelli e luoghi muniti della provincia<br />

di Roma: ricerche di storia medioevale, Roma 1933, 2, pp. 307-308;<br />

G. Silvestrelli, Città castelli e terre della regione romana: ricerche di storia<br />

medioevale e moderna sino all’anno 1800, Roma 1993, 1, pp. 147-148.<br />

2<br />

Giovanna d’Aragona sposò Ascanio Colonna nel 1521 ma il matrimonio<br />

non fu dei più felici, tanto che i due vissero insieme solo per un periodo<br />

limitato. Dei tre figli maschi nati dalla coppia il più illustre fu Marcantonio<br />

II, il vincitore di Lepanto.


460<br />

Francesca Pontri<br />

Supino in data 23 ottobre 1789, la quale sottolineava la necessità di<br />

far eseguire una copia dello Statuto in quanto non più leggibile.<br />

L’ipotesi è stata formulata da Giammaria nel 1986, epoca in cui<br />

del manoscritto esisteva, presso l’Archivio storico comunale di<br />

Supino, soltanto una copia fotostatica del contenuto del volume.<br />

Egli pertanto non ha potuto verificare l’eventuale presenza di una<br />

sottoscrizione, essendo la riproduzione incompleta 3 . L’originale<br />

del manoscritto suddetto si trovava in quel momento in Canada,<br />

lì trasferita da un emigrante supinate; il manufatto è fortunamente<br />

stato restituito al <strong>Comune</strong>, e alla Comunità, nel 1991. Questo è<br />

confermato dalla carta incollata per l’occasione alla c. Vr di guardia,<br />

che inneggia al momento storico della riconsegna.<br />

A distanza di trent’anni, l’esame del manoscritto ha permesso<br />

di accertare l’effettiva assenza di una sottoscrizione, mentre si è<br />

rilevata la presenza di un ultimo fascicolo, escluso dalla fotocopia,<br />

in cui compare unicamente l’indice delle norme dello Statuto, non<br />

numerato e incompleto. La differente qualità della carta, unita<br />

alla diversità della scrittura, permettono di affermare che si tratta<br />

senz’altro di fogli inseriti in un momento diverso, sebbene manchino<br />

indizi sull’epoca dell’aggiunta.<br />

La copia conservata a Roma, come sopra affermato, è stata<br />

probabilmente tratta da quella supinate, nonostante sussistano<br />

differenze tra le due. Una differenza che salta immediatamente<br />

all’occhio, senza procedere a confronti minuziosi, è che l’esemplare<br />

romano è privo degli indici posti all’inizio (o alla fine, nel caso<br />

del libro III), riservando l’elenco delle norme alla fine. Nel codice<br />

supinate, inoltre, il copista lascia in bianco degli spazi laddove non<br />

riesce a decifrare le parole riportate nell’antigrafo, mentre nel codice<br />

romano il testo è scritto con continuità, presenta pertanto piccole<br />

lacune invisibili ad un’occhiata superficiale.<br />

3<br />

Cfr. Lo statuto di Supino, a cura di G. Giammaria, Anagni 1986, p. 35 e<br />

segg.


Statuti di Supino<br />

461<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Supino, Archivio<br />

storico comunale, senza segnatura.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto composito costituito<br />

da due unità codicologiche.<br />

LEGATURA: 255 × 200 mm; legatura in piena pelle marrone su<br />

assi di legno; capitelli cuciti di restauro; cucitura su 7 nervi con filo<br />

di cotone chiaro. Entrambi i piatti sono decorati con una doppia<br />

cornice impressa a secco, quella interna è dorata; tralci vegetali e<br />

motivi floreali dorati agli angoli; al centro lo stemma della città di<br />

Supino con il leone rampante sormontato da una corona, la dicitura<br />

“Communitas Terre Supini” e tralci vegetali intorno, il tutto dorato.<br />

Il dorso è decorato con tralci vegetali dorati: nel 2° scomparto la<br />

scritta “Communitas / Terre / Supini” in lettere capitali dorate, nel 4°<br />

la cifra MDXXXVII, motivi floreali dorati negli altri 4.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume è stato restaurato,<br />

probabilmente nel 1991 come suggerirebbe la carta incollata sulla c.<br />

Vr di guardia contenente l’attestazione della riconsegna del codice<br />

alla comunità di Supino. Il manoscritto è stato slegato e sono state<br />

incollate delle brachette sulla piega di numerosi fogli per rinforzare<br />

i punti di passaggio delle cuciture; di restauro sono inoltre le<br />

controguardie e i capitelli; sul piatto posteriore è stata sostituita una<br />

porzione delle pelle della coperta. Nonostante gli interventi sono<br />

molto vistose in alcuni punti delle macchie dovute all’umidità.<br />

UNITÁ 1<br />

DATAZIONE: fine XVIII sec. (1789 è la datazione proposta da<br />

Giammaria).<br />

ORIGINE: Supino.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: I-VI, 47. Paginazione a penna, coeva alla scrittura del testo,<br />

che comincia con 1 alla c. 1r e arriva a 93 alla c. 47r, posizionata<br />

nell’angolo superiore esterno di ogni pagina.<br />

DIMENSIONI: mm 246 × 190 (c. 8).


462<br />

Francesca Pontri<br />

FASCICOLAZIONE: I-VI 8 (cc. VI-47).<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 8r) A 20, B 230, C 246, a 14, l 190 mm.<br />

RIGHE: 29 linee di scrittura.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: a piena pagina.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica<br />

mano che esibisce una corsiva, probabilmente derivante da una<br />

‘calligrafizzazione’ della corsiva italica operata nel contesto delle<br />

scritture cancelleresche; inchiostro marrone.<br />

DECORAZIONE: le cc. Iv-IIr di guardia sono decorate con tralci<br />

vegetali, fiori a 4 petali e bolli rossi; alla c. 45r sono presenti degli<br />

svolazzi a inchiostro.<br />

UNITÁ 2<br />

DATAZIONE: fine XVIII - XIX sec.<br />

ORIGINE: probabilmente Supino.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 8, I-III; le carte non sono numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 246 × 190 (c. 2).<br />

FASCICOLAZIONE: I 8 (cc. 1-8).<br />

RIGATURA: rigato a matita, pagina per pagina.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 2r) A 8, B 233, C 246, a 10, i 170, l 190<br />

mm.<br />

RIGHE: 29 righe per 29 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva; inchiostro marrone scuro.<br />

DECORAZIONE: le cc. IIv-IIIr di guardia sono decorate con tralci<br />

vegetali, fiori a 4 petali e bolli rossi.<br />

VARIA: scarabocchi a penna alla c IVv di guardia.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

L’unità 1 contiene il testo in latino dello Statuto, il cui titolo è presente<br />

alla c. 45r in corrispondenza della fine (Finis Statutorum / Castri<br />

Supini); in latino sono anche le approvazioni e conferme finali, ma<br />

non l’ultima disposizione che è scritta in italiano. Le rubriche sono<br />

contraddistinte da numeri romani che ripartono da 1 in ogni libro.


Statuti di Supino<br />

463<br />

- c. 1r: introduzione contenente i motivi e i personaggi<br />

coinvolti nella compilazione statutaria;<br />

- cc. 1v-8v: Libro I, 24 rubriche contenenti disposizioni<br />

variegate in materia di diritto amministrativo e civile,<br />

precedute da un indice al quale mancano le rubriche 19-24;<br />

- cc. 8v-22r: Libro II, 65 rubriche sul diritto penale<br />

(maleficiorum), precedute dall’indice;<br />

- cc. 22r-34v: Libro III, 65 rubriche sul danno dato (damnorum<br />

datorum) con l’indice in fondo;<br />

- cc. 34v-45r: Libro IV, 47 rubriche su materie varie<br />

(extraordinariorum), precedute da un indice mancante delle<br />

rubriche 38-47.<br />

Alle cc. 45v-46r trova posto l’approvazione dello Statuto da parte di<br />

Giovanna d’Aragona del 10 ottobre 1534; seguono alle cc. 46v-47r<br />

l’approvazione del Governatore di Campagna Paolo Pallavicino del<br />

12 dicembre 1545 e la norma stabilita da Marcantonio IV Colonna<br />

sul divieto di vendere immobili ai forestieri del 18 aprile 1610.<br />

L’Unità 2 comprende l’indice delle norme contenute nello Statuto,<br />

non numerate e mancanti del libro IV.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 809/02.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: lo Statuto di Supino è legato con<br />

altri manoscritti in un volume composito; delle linguette laterali in<br />

pergamena permettono di individuare i vari testi secondo l’ordine<br />

attribuito nell’Indice posto all’inizio del volume.<br />

DATAZIONE: 23 settembre 1856 (datazione espressa a c. 33v).<br />

ORIGINE: Supino (data topica espressa a c. 33v).<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 39 carte; paginazione a inchiostro e cifre arabe nell’angolo<br />

superiore esterno di ogni pagina, che comincia con 1 a c. 2r e arriva<br />

a 76 a c. 39v, di mano del copista; alla c. 39v, nell’angolo superiore


464<br />

Francesca Pontri<br />

esterno, la cifra 3121/ a matita, di mano moderna.<br />

DIMENSIONI: mm 316 × 220 (c. 5).<br />

FASCICOLAZIONE: I 12 (cc. 1-12), II 10 (cc. 13-22), III 12 (cc. 23-34),<br />

IV 6-1 (cc. 35-39, c. 39 è incollata alla precedente).<br />

RIGATURA: le carte sono irregolarmente rigate a matita, sulle<br />

singole pagine; il testo è racchiuso in una cornice realizzata prima a<br />

matita, successivamente ripassata con inchiostro nero (cfr. c. 2v) in<br />

tutte le carte; le rubriche sono separate tra loro da una doppia riga<br />

orizzontale nello stesso inchiostro nero; nell’Index che comincia a c.<br />

34r si aggiungono 5 linee verticali a matita.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 5r) A 28, B 288, C 316, a 21, i 201, l 220<br />

mm.<br />

RIGHE: 31 righe per 31 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 7r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano<br />

che esibisce una corsiva dritta e posata nei titoli delle rubriche,<br />

fortemente inclinata a destra nel resto del codice, con le aste spesso<br />

clavate in entrambi i casi; diversa la mano del Priore che sottoscrive<br />

in fondo al testo; inchiostro nero.<br />

DECORAZIONE: uno svolazzo a inchiostro nero alla c. 1r.<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro ovale a inchiostro nero contenente la<br />

tiara papale e le chiavi decussate circondate dalla dicitura “Priore di<br />

Supino. Delegazione di Frosinone” alla c. 33v, apposto accanto alla<br />

sottoscrizione del Priore Vincenzo Bavari.<br />

LEGATURA: 340 × 230 mm; legatura in mezza pergamena su assi<br />

di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni dell’arancio, del<br />

rosso e del nero; cantonali in pergamena; cucitura su 6 nervi con filo<br />

di cotone chiaro; il dorso è decorato con due stemmi impressi in oro<br />

di Pio IX (quello più in basso parzialmente coperto dall’etichetta con<br />

la segnatura) e un riquadro di pelle marrone con la scritta STATUTA<br />

/ URBIUM / ET OPPID. in lettere capitali dorate, più in basso le<br />

lettere S-T ugualmente dorate. Sul piatto anteriore, nel margine<br />

superiore destro, si legge la cifra 22° scritta a inchiostro marrone.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume non è stato mai restaurato.<br />

L’intera coperta è staccata dal corpo del codice, così come l’ultimo


Statuti di Supino<br />

465<br />

fascicolo; le cuffie, i margini delle assi e quelli delle carte sono in<br />

generale molto consumati.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 33v recita<br />

“Testor Ego infr(ascrip)tus praesentis Statuti Copiam / fideliter,<br />

verbumque fuisse extractam ex proprio Ori/ginali in hoc Comunali<br />

Archivio extante. / Ex Residentia Municipali Supini die 23 a<br />

Septembris / 1856. / Prior Vincentius Bavari / Aloysius Ciuffetti<br />

Sec(reta)rius”.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: una mano moderna sottolinea e<br />

aggiunge un punto interrogativo alla l. 21 di c. 2r con lapis rosso; un<br />

trattino orizzontale eseguito con lapis viola si trova alla l. 23 di c. 38r<br />

(margine esterno), alla l. 25 di c. 38v (marg. interno), alla l. 18 di c.<br />

39r (marg. interno), alle ll. 1 e 16 di c. 39v (marg. esterno).<br />

VARIA: il copista omette di ripassare a inchiostro il riquadro di<br />

scrittura alle cc. 36r e 39r; la cifra 1680 nell’angolo superiore esterno<br />

di c. 1r, di mano moderna, a matita, posta sopra la cifra 246 scritta<br />

anch’essa a matita, parzialmente cancellata ma ancora leggibile.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Supino / STATUTUM<br />

/ SUPINI / Provincia Frusinate”. Lo Statuto è scritto in un latino<br />

fortemente influenzato dal volgare italiano in uso nell’area lepina; in<br />

latino sono anche le approvazioni e conferme finali compreso l’indice<br />

delle norme, ma non l’ultima disposizione che è scritta in italiano.<br />

Le rubriche sono contraddistinte da numeri romani progressivi da I<br />

a CCI.<br />

Alla c. 2r il testo si apre con una introduzione, preceduta<br />

dall’invocazione alla divinità, contenente i motivi e i personaggi<br />

coinvolti nella compilazione statutaria. Seguono poi le norme vere e<br />

proprie così ripartite:<br />

- cc. 2r-8v, Libro I, rubriche 1-24 contenenti disposizioni<br />

variegate in materia di diritto amministrativo e civile;<br />

- cc. 8v-18r, Libro II, rubriche 25-89 sul diritto penale<br />

(maleficiorum);<br />

- cc. 18v-26r, Libro III, rubriche 90-154 sul danno dato<br />

(damnorum datorum);<br />

- cc. 26r-32v, Libro IV, rubriche 155-201 su materie varie


466<br />

Francesca Pontri<br />

(extraordinariorum).<br />

Alla c. 32v, dopo la fine delle rubriche statutarie, trova posto<br />

l’approvazione delle suddette da parte di Giovanna d’Aragona del<br />

10 ottobre 1534, che nell’originale firma manu propria. Alla c.<br />

33r seguono l’approvazione del Governatore di Campagna Paolo<br />

Pallavicino del 12 dicembre 1545 e la norma stabilita da Marcantonio<br />

IV Colonna sul divieto di vendere immobili ai forestieri del 18 aprile<br />

1610. Sul verso della carta è la sottoscrizione del Priore di Supino<br />

Vincenzo Bavari del 23 settembre 1856 che autentica la copia.<br />

Alle cc. 34r-39v trova infine posto l’Index delle norme contenute<br />

nello Statuto, compilato senza divisione in libri ma numerando in<br />

progressione; accanto alla rubrica è riportato anche il foglio in cui<br />

si contiene la norma nell’antigrafo, pagina che ovviamente non<br />

combacia nella copia in oggetto, ma viene copiata tout court.


467<br />

STATUTI DI TECCHIENA<br />

Attualmente frazione del <strong>Comune</strong> di Alatri, Tecchiena fu per<br />

molti anni al centro delle contese territoriali tra Alatri e Ferentino.<br />

Questo è infatti quanto si legge negli Annales Ceccanenses all’anno<br />

1188 1 : “[…] 5 idus Novembris combusta est Tecclena a populo<br />

Ferentino […]”. In seguito all’ennesima lite, nel 1245 il <strong>Comune</strong><br />

di Alatri fu privato di ogni prerogativa sul castello di Tecchiena,<br />

il quale fu posto sotto il dominio diretto del Papa. Nel 1395 il<br />

castello fu acquistato dai monaci certosini di Trisulti, che nei<br />

secoli ampliarono il “tenimentum Tecclenae” e implementarono le<br />

attività agricole, pastorali, artigianali. In seguito all’instaurazione<br />

della Repubblica Romana del 1789 e alla secolarizzazione dei beni<br />

ecclesiastici del 1810, il castello subì i saccheggi dei soldati francesi.<br />

Altro importante evento si verificò il 23 novembre 1873, quando il<br />

castello entrò a far parte del Demanio; i certosini riuscirono tuttavia<br />

a ricomprare il fondo, grazie anche all’interessamento del ceccanese<br />

Filippo Berardi. Le vicende giudiziarie che seguirono negli anni<br />

successivi si conclusero con la vendita del castello, nel 1918, al<br />

ricco mercante ebreo Arturo Pisa; passò di mano in mano fino al 7<br />

maggio 1940, quando fu acquistato dalla famiglia Gra, alla quale<br />

tuttora appartiene 2 .<br />

La redazione dello Statuto di Tecchiena si può far risalire al<br />

1<br />

In realtà questo è solo il terzo incendio che la piccola comunità subì nel<br />

XII secolo, dopo quelli del 1122 e del 1155. Si veda in proposito G. H.<br />

Pertz, Annales Ceccanenses seu chronicon Fossae Novae, in Monumenta<br />

Germaniae Historica, Hannoverae 1866 (Scriptores, 19), in part. le pp.<br />

282, 284 e 288.<br />

2<br />

La vicende storiche riguardanti il castello di Tecchiena sono descritte nel<br />

dettaglio in L. De Persiis, Tecchiena e il suo Statuto, Frosinone 1895, e in<br />

Gli statuti medioevali del Castello di Tecchiena, a cura di M. d’Alatri e C.<br />

Carosi, Roma 1976, in part. le pp. 7-44; si veda inoltre G. Falco, I comuni<br />

della Campagna e della Marittima nel Medioevo, in Studi sulla storia del<br />

Lazio nel Medioevo, Roma 1988 (Miscellanea della Società Romana di<br />

<strong>Storia</strong> Patria, 24/2), in part. le pp. 442, 464, 502-504, 510 e 561.


468<br />

Francesca Pontri<br />

periodo compreso tra il 1370 e il 1378, estremi del pontificato di<br />

Gregorio XI. Il periodo si può ulteriormente circoscrivere agli anni<br />

1371-1374, durante il rettorato del Marchese Daniele del Carretto,<br />

come il Pontefice menzionato nel proemio della compilazione.<br />

Mettendo a confronto il testo dello Statuto di Tecchiena con quello<br />

di Alatri, si evince come molte norme del primo siano state ricalcate<br />

sul secondo. Ciò è chiaramente dovuto alla vicinanza di Tecchiena<br />

al più grande <strong>Comune</strong> di Alatri, dal quale, nonostante tentativi più o<br />

meno pittoreschi, non si è mai emancipata.<br />

Dello Statuto di Tecchiena si conservano quattro manoscritti,<br />

dei quali il più antico è un codice membranaceo quattrocentesco<br />

conservato presso la Biblioteca del Senato, non segnalato nelle<br />

edizioni condotte da De Persiis e Carosi-D’Alatri, né nei repertori<br />

consultati 3 .<br />

In ordine temporale segue un piccolo codice secentesco<br />

conservato nella Biblioteca Molella, proveniente dall’antica<br />

famiglia Tuzi alla quale era legata da vincoli di parentela. A quanto<br />

pare, il manoscritto era stato murato in una parete del palazzo Tuzi<br />

e ritrovato in occasione di un restauro 4 . Questa copia, in cattivo<br />

stato di conservazione e illeggibile in più punti, fu utilizzata dal De<br />

Persiis per la sua edizione nel 1895. Lo stesso studioso afferma di<br />

avere utilizzato, per integrare le lezioni illeggibili sul manoscritto,<br />

un terzo esemplare conservato presso la Biblioteca della Certosa di<br />

Trisulti 5 . Questo manoscritto fu copiato nel XVIII secolo dal monaco<br />

certosino Vincenzo Marucci, avendo preso come modello un codice<br />

del XV secolo che in quel momento si trovava, secondo l’erudito,<br />

nell’archivio della Certosa, ma del quale attualmente non v’è traccia.<br />

Questo dettaglio sembrerebbe suggerire che quest’ultimo esemplare<br />

sia proprio quello conservato presso la Biblioteca del Senato, ivi<br />

3<br />

Il manoscritto non figura nel ricchissimo Statuti cittadini, rurali e castrensi<br />

del Lazio: repertorio secoli XI-XIX, ricerca diretta da P. Ungari,<br />

Roma 1993.<br />

4<br />

La storia del rocambolesco recupero del manoscritto è raccontata in Gli<br />

statuti medioevali del Castello di Tecchiena, cit., p. 54.<br />

5<br />

Cfr. L. De Persiis, Tecchiena e il suo Statuto, cit., pp. 117-118.


Statuti di Tecchiena<br />

469<br />

giunto per vie sconosciute. L’ipotesi sembra tanto più valida, se si<br />

considera che la copia fu eseguita probabilmente, come si riporta a c.<br />

6v del codice romano, per il priore del convento di Trisulti.<br />

L’ultima copia della tradizione è costituita da un manoscritto<br />

cartaceo del XIX secolo conservato presso la biblioteca Molella,<br />

esemplato dallo stesso commendatore Valerio Molella, patrizio<br />

alatrense 6 . Il codice fu copiato da quello già presente nella sua<br />

biblioteca e fu forse da lui collazionato con altri esemplari, dal<br />

momento che alla sua stessa mano sono attribuibili gli interventi e<br />

le correzioni.<br />

N.B.: al momento di questa indagine non è stato purtroppo possibile<br />

reperire né la copia Molella del XVII secolo, né quella di Trisulti. Le<br />

schede codicologiche che seguono riguardano pertanto unicamente il<br />

codice della Biblioteca del Senato e la copia Molella del XIX secolo.<br />

CODICE 1<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Biblioteca del<br />

Senato “Giovanni Spadolini”, Collezione Statuti, segn. statuti mss<br />

699.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo.<br />

DATAZIONE: fine XIV – XV secolo.<br />

ORIGINE: forse Trisulti.<br />

MATERIA: membranaceo, cartacee le guardie (di restauro).<br />

CARTE: I, 7, II; numerazione moderna a matita nel centro del<br />

margine inferiore del recto delle carte; guardie non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 318 × 205 (c. 4).<br />

FASCICOLAZIONE: I 8-1 (cc. 1-8, di c. 7 sopravvive solo uno stretto<br />

listello); il fascicolo comincia con il lato pelo, la regola di Gregory<br />

è ovunque rispettata.<br />

6<br />

Il manoscritto non viene citato da De Persiis, la cui edizione viene peraltro<br />

ritenuta da Carosi-d’Alatri assai scorretta: cfr. Gli statuti medioevali del<br />

Castello di Tecchiena, cit., p. 57.


470<br />

Francesca Pontri<br />

RIGATURA: a inchiostro, molto leggera.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 4r) A 35, B 264, C 318, a 34, i 179, l 205<br />

mm.<br />

RIGHE: 40 righe per 40 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 4r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una semigotica, inchiostro marrone scuro.<br />

DECORAZIONE: grande iniziale ornata all’incipit del testo (c. 1r).<br />

LEGATURA: 328 × 215 mm; legatura in mezza pergamena su assi<br />

di cartone ricoperte di carta decorata nei toni del marrone e del<br />

beige; cantonali in pergamena; cucitura su 5 nervi con filo di cotone<br />

chiaro; capitelli cuciti di restauro; sul dorso la scritta TECCHIENA<br />

nel secondo scomparto in lettere capitali a inchiostro nero.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il manoscritto è stato restaurato;<br />

sostituita la coperta con una nuova, aggiunte le guardie cartacee,<br />

risarcita la metà inferiore di c. 8 con della pergamena.<br />

VARIA: la scritta TECCHIENA in lettere capitali a c. Ir; la cifra<br />

245492 nel centro del margine inferiore di c. 6v; tracce di cifre arabe<br />

e resti di scritture 7 a c. 8v.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. 1r l. 7-8 è “Statuta et ordinamenta<br />

hominum et Curie Castri / Turis Tecclene”. Le norme sono scritte in<br />

latino, i capitoli non sono numerati. Il testo contiene 52 disposizioni<br />

che occupano le cc. 1r-5r, alle quali seguono le conferme di vari<br />

personaggi relative agli anni 1403-1432 che si protraggono fino a c.<br />

6v ma non sono disposte in ordine cronologico.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Alatri, Biblioteca<br />

7<br />

Tra le scritture si legge Tecchiena, forse la c. 8 fungeva in origine da<br />

copertina.


Statuti di Tecchiena<br />

471<br />

Molella, segn. I, 4.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.<br />

DATAZIONE: XIX secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Alatri.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: I-III, 23, IV-V; paginazione a penna di mano moderna<br />

nell’angolo superiore esterno di ogni pagina.<br />

DIMENSIONI: mm 270 × 197 (c. 3).<br />

FASCICOLAZIONE: I 16 (cc. II-14), II 6 (cc. 15-20), III 6-1 (cc. 21-V,<br />

c. 21 senza riscontro).<br />

RIGATURA: a inchiostro, limitata alla sole linee di giustificazione.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 3r) A 15, B 237, C 270, a 37, i 182, l 197<br />

mm.<br />

RIGHE: 23 linee di scrittura (c. 3r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano<br />

(probabilmente quella di Valerio Molella) che esibisce una corsiva,<br />

inchiostro marrone.<br />

DECORAZIONE: disegno geometrico a inchiostro marrone a c. 18v.<br />

LEGATURA: 278 × 200 mm; legatura in mezza pergamena su assi<br />

di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni del verde petrolio<br />

e del violetto; cantonali in pergamena; cucitura su 6 nervi con filo di<br />

cotone chiaro.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume non è stato mai restaurato<br />

ma lo stato di conservazione è buono.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto a c. IIIr è “Statutum Tecchenae /<br />

Ann. a Nativitate Domini / MCCCLXX”. Le norme sono scritte in<br />

latino, mentre le rubriche sono contrassegnate da cifre arabe. Il<br />

testo contiene 52 disposizioni che occupano le cc. 1r-11v; seguono<br />

approvazioni e conferme di anni vari che si fermano a c. 15v. Le<br />

cc. 16r-17r contengono la Tabula omnium Capitulorum completa<br />

di numero e pagina della norma; le cc. 17v-23v presentano infine<br />

ulteriori approvazioni e conferme.


472<br />

STATUTI DI VALLECORSA<br />

Possedimento dei conti di Fondi, nel XIV secolo il castrum di<br />

Vallecorsa passò sotto il dominio dei Caetani. Ad essi venne tolta da<br />

Alessandro VI nel 1501 per essere donata al nipote Rodrigo Borgia;<br />

due anni dopo fu occupata dai Colonna, i quali ne ebbero però il<br />

controllo definitivo solo nel 1562 1 .<br />

Le notizie sulla genesi dello Statuto di Vallecorsa ci vengono<br />

fornite dal proemio di un manoscritto realizzato nel 1531 dal copista<br />

Antonello Mancini, una volta conservato nell’Archivio storico<br />

comunale e attualmente deperdito. Prima della scomparsa ne furono<br />

tuttavia realizzate due copie fotostatiche, delle quali una conservata<br />

presso il locale Archivio e l’altra presso la Biblioteca dell’Archivio<br />

di Stato di Roma 2 .<br />

Sebbene la fotocopia impedisca di svolgere accurate indagini<br />

codicologiche sul manufatto, se ne possono comunque trarre dati<br />

preziosi per la conoscenza della storia dello Statuto e del manoscritto<br />

in quanto “contenitore” del testo. Lo studioso Arcangelo Sacchetti,<br />

che lo ha minuziosamente analizzato, afferma trattarsi di un codice<br />

di circa mm 220 × 170, composto da 40 carte di cui 11 cadute. Il<br />

testo si componeva di un Indice non numerato di 4 carte (mutilo<br />

della prima), seguito da 123 capitoli dei quali, per la perdita delle<br />

carte 3-5, 27-33 e 39, ne risultano persi 37. Il codice si chiudeva<br />

con l’approvazione dello Statuto da parte di Paolo Pallavicino,<br />

governatore di Campagna e Marittima, le tavole con le mercedi per<br />

il Capitano, il cancelliere, ecc., alcune aggiunte di anni posteriori e,<br />

infine, l’elenco dei luoghi esenti da gabella 3 .<br />

1<br />

Cfr. E. Martinori, Lazio turrito, cit., 2, p. 375; G. Silvestrelli, Città<br />

castelli e terre della regione romana, cit., 1, p. 134.<br />

2<br />

Biblioteca dell’Archivio di Stato di Roma, coll. 08154.<br />

3<br />

La descrizione del manoscritto cinquecentesco, corredata di immagini,<br />

nonché la traduzione del testo statutario si possono leggere in A. Sacchetti,<br />

Vallecorsa nella signoria baronale dai Caetani ai Colonna: organi e<br />

vicende della Comunità nel distretto feudale del Regno di Napoli e dello


Statuti di Vallecorsa<br />

473<br />

Le informazioni più utili si possono rintracciare, come già detto,<br />

nel proemio dello Statuto il quale recita:<br />

«[…] Anno nativitatis eiusdem millesimo quingentesimo<br />

trigesimo primo […] ob vetustatem Statutorum a priscis<br />

descriptorum renovare et aliqua adiungere quae ad utilitatem<br />

publicam visum est deliberandum extitit. Ad quod opus<br />

eligerunt communi consensu populari, licet indigne, me<br />

Antonellum Mancinum […]. In quo quidem volumine solum<br />

quoad de damnis datis ac civilibus tractatur […]».<br />

Accanto alla parola Statutorum una mano posteriore ha vergato<br />

de 1327. Veniamo così informati che nel Trecento uno Statuto<br />

era stato concesso, precisamente dai rappresentanti della famiglia<br />

Caetani, signori di Vallecorsa prima dei Colonna. Nel 1531 poi,<br />

come chiaramente espresso, Antonello Mancini ebbe dalle autorità<br />

civili l’incarico di copiare le antiche norme, con le modifiche che<br />

nel frattempo, a distanza di due secoli, si erano rese necessarie e che<br />

vengono approvate nel 1545 4 .<br />

A quanto risulta dalla documentazione esaminata, nel Settecento<br />

l’originale del 1327 era già scomparso. Questo dato è confermato<br />

da un carteggio conservato presso l’archivio Colonna e vertente<br />

su una causa tra la comunità di Vallecorsa e il contestabile Filippo<br />

Colonna che, iniziata nel 1777, si protrasse fino al 1808 5 . Il motivo<br />

della discordia tra le parti va individuato nel rifiuto, da parte dei<br />

vallecorsani, di continuare a pagare ai signori colonnesi una somma<br />

annuale di 109 scudi: il pedaggio e la gabella delle transazioni<br />

commerciali in piazza. Lo Stato Pontificio aveva infatti, proprio<br />

nel 1777, abolito o quantomeno fortemente ridotto questo genere di<br />

imposte per favorire la libera circolazione di uomini e merci. Tali<br />

tributi rientravano tra le concessioni ai feudatari: ne beneficiavano<br />

pertanto, nel caso di Vallecorsa, i principi Colonna. La disputa legale<br />

Stato Pontificio; i Capitoli statutari, Vallecorsa 2005, pp. 265-338.<br />

4<br />

Cfr. ivi, pp. 267-272.<br />

5<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio<br />

Colonna, Vallecorsa, III BB 68, n.6.


474<br />

Francesca Pontri<br />

che ne seguì si concluse solo nel 1805 con una “concordia” stipulata<br />

tra le parti, che manteneva tuttavia l’obbligo, per la comunità di<br />

Vallecorsa, di pagare all’Eccellentissima Casa una somma pari a 60<br />

scudi l’anno 6 .<br />

Secondo Sacchetti il manoscritto cinquecentesco si trovava<br />

ancora presso il <strong>Comune</strong> nel 1856, e anzi da quella copia sarebbe<br />

stato tratto il fascicolo inviato a Roma nello stesso anno in seguito<br />

alla richiesta del cardinale Mertel. Al confronto dei testi, infatti, si<br />

riscontra la presenza degli stessi capitoli comprensivi delle stesse<br />

lacune. Si può dedurre pertanto che la perdita delle carte contenenti<br />

i capitoli mancanti sia avvenuta in un momento precedente al 1856.<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Roma, Archivio di<br />

Stato, Collezione Statuti, segn. stat. 801/05.<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: lo Statuto di Vallecorsa è legato<br />

con altri manoscritti in un volume composito; delle linguette laterali<br />

in pergamena permettono di individuare i vari testi secondo l’ordine<br />

attribuito nell’Indice posto all’inizio del volume.<br />

DATAZIONE: 20 settembre 1856 (datazione espressa a c. 2v).<br />

ORIGINE: Vallecorsa (data topica espressa a c. 2v).<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 2 carte, non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 307 × 215 (c. 1).<br />

FASCICOLAZIONE: I 2 (cc. 1-2).<br />

RIGATURA: le carte sono state piegate in 2 in verticale per creare<br />

due colonne; a c. 1r rigatura verticale parziale a inchiostro nero, sul<br />

verso la carta ha la linea verticale completa; riga verticale appena<br />

accennata a matita a c. 2r.<br />

SPECCHIO RIGATO: variabile.<br />

RIGHE: il numero delle linee di scrittura è variabile.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: variabile dalla piena pagina alle due<br />

colonne.<br />

6<br />

Una dettagliata descrizione delle varie fasi della vicenda si può leggere in<br />

A. Sacchetti, Vallecorsa nella signoria baronale dai Caetani ai Colonna,<br />

cit., pp. 177-196.


Statuti di Vallecorsa<br />

475<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato scritto da un’unica mano che<br />

esibisce una corsiva, inchiostro marrone<br />

SIGILLI E TIMBRI: timbro ovale a inchiostro nero contenente una<br />

torre merlata e coronata circondata dalla dicitura “COMMUNITAS<br />

VALLIS CURSAE” alla c. 2v, apposto accanto alla sottoscrizione del<br />

Segretario Michele De Matthias.<br />

LEGATURA: 330 × 225 mm; legatura in mezza pergamena su assi<br />

di cartone ricoperte di carta marmorizzata nei toni dell’arancio, del<br />

rosso e del nero; cantonali in pergamena; cucitura su 6 nervi con<br />

filo di cotone chiaro; il dorso è decorato con due stemmi impressi in<br />

oro di Pio IX e un riquadro di pelle marrone con la scritta STATUTA<br />

/ URBIUM / ET OPPID. in lettere capitali dorate, più in basso le<br />

lettere V-V. Sul piatto anteriore, nel margine superiore destro, si<br />

legge la cifra 24° scritta a inchiostro marrone; il taglio è spruzzato di<br />

inchiostro rosso su tutti i lati.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il volume non è mai stato restaurato.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: la sottoscrizione di c. 2v recita “Per<br />

Copia Conforme / fatta per ordine di Sua Eccellenza Reverendis(sim)<br />

a / Mons(igno)r Mertel Ministro dell’Interno etc. / Vallecorsa 20<br />

Sett(embr)e 1856 / Michele De Matthias Segretario”.<br />

VARIA: le cifre 30/ 21/ a matita di mano moderna nell’angolo<br />

inferiore esterno di c. 2v; la cifra 1614 nell’angolo superiore esterno<br />

di c. 1r, di mano moderna, a matita, posta accanto alla cifra 240<br />

scritta anch’essa a matita, ma di mano differente.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il manoscritto contiene solamente il proemio e i titoli delle 126<br />

rubriche dello Statuto di Vallecorsa, vergati in latino, con alcune<br />

lacune dovute alla perdita di carte nell’antigrafo. Quest’ultimo<br />

sarebbe da individuarsi in una copia del 1531 che aggiornava il testo<br />

originale del 1327. Le norme contenute riguardano i danni dati e le<br />

cause civili; chiude l’estratto la tabella dei luoghi franchi da gabelle.


476<br />

STATUTO DI VEROLI<br />

Sede vescovile fin dall’VIII secolo, Veroli fu sempre una città<br />

strategicamente importante e una delle maggiori della provincia di<br />

Campagna e Marittima. Essa viene tradizionalmente annoverata tra<br />

i liberi Comuni sottoposti direttamente alla Santa Sede e governati<br />

da un Vicario nominato dal Papa. Nel 1170 il luogo fu scelto da<br />

Alessandro III per i negoziati con Federico I Barbarossa, mentre per<br />

tutto il XII secolo si susseguirono le battaglie tra Papato e Impero<br />

che videro la cittadina ernica schierata a fianco del Pontefice. Nel<br />

frattempo proseguivano le schermaglie con le città del circondario.<br />

Nel 1406 le mura e la rocca furono distrutte da Ladislao d’Angiò<br />

e la città saccheggiata; nel 1495, poi, la popolazione di Veroli subì<br />

le angherie di Carlo VIII. Nel 1556 lo spagnolo Garcia Alvarez<br />

de Toledo fu ucciso presso le mura cittadine, ma alla città fu<br />

miracolosamente risparmiata la rappresaglia. Nel 1594 Pompeo<br />

Caetani della Torre fece esplodere il palazzo comunale e l’archivio<br />

comunale fu incendiato. I francesi invasero e danneggiarono Veroli<br />

nel 1798 1 .<br />

L’esemplare più antico dello Statuto cittadino si può far risalire<br />

agli anni 1540-1541. Il colophon presente in calce al testo statutario<br />

fornisce elementi a sostegno di questa datazione. In esso si racconta<br />

infatti che il copista Martino de Molina di Cordoba scrisse il codice<br />

su richiesta del prefetto di Veroli, cardinale Francesco Quiñones de<br />

Leon. Questi morì il 15 novembre 1540, pertanto il manoscritto, nel<br />

quale si parla della “buona memoria” del porporato, deve essere<br />

stato copiato dopo la sua scomparsa. La conferma del governatore<br />

Giovanni Maria Stratigopulo del 7 febbraio 1541 costituisce, dal<br />

capo opposto, il limite temporale entro il quale datare la copia.<br />

1<br />

Sono svariate le opere che trattano di storia verolana; in questa sede si<br />

sono consultati i generali E. Martinori, Lazio turrito: repertorio storico<br />

ed iconografico di torri, rocche, castelli e luoghi muniti della provincia<br />

di Roma: ricerche di storia medioevale, Roma 1933, 2, pp. 389-391; G.<br />

Silvestrelli, Città castelli e terre della regione romana: ricerche di storia<br />

medioevale e moderna sino all’anno 1800, Roma 1993, 1, pp. 60-65.


Statuti di Veroli<br />

477<br />

Il copista Martino de Molina, peraltro, sarebbe anche l’autore del<br />

carme di dedica posto all’incipit del manoscritto, dopo la croce greca<br />

con il motto ἐν τούτῳ νίκα, corrispondente al latino in hoc signo<br />

vinces di costantiniana memoria 2 .<br />

Il primo nucleo del manoscritto, cioè le prime 100 carte in<br />

pergamena, si possono quindi far risalire al 1540-1541. La stessa c.<br />

100 era stata probabilmente lasciata in bianco in un primo momento<br />

e riempita in seguito con la copia di un documento datato 17 aprile<br />

1543. La seconda unità, ugualmente membranacea, e le quattro unità<br />

successive, cartacee, sono state probabilmente aggiunte a partire da<br />

un periodo leggermente posteriore e poi man mano che aumentavano<br />

le conferme, fino all’ultimo intervento del 6 gennaio 1620.<br />

Dello Statuto di Veroli se ne realizzò una copia a stampa nel<br />

1657 per i tipi di Carlo Bilancioni in Velletri 3 . Secondo Zinanni la<br />

copia conterrebbe errori di stampa e di interpretazione, ma sarebbe<br />

comunque preziosa per conoscere il testo delle norme che, nel<br />

manoscritto cinquecentesco, sono ormai poco leggibili per via dello<br />

sbiadimento dell’inchiostro 4 .<br />

Da questo volume a stampa è stato copiato un altro manoscritto,<br />

rinvenuto negli anni ’80 del XX secolo durante i lavori di<br />

riordinamento dell’Archivio storico comunale, allora depositato<br />

presso la Biblioteca Giovardiana. L’operazione di copia è stata<br />

effettuata dopo il 1749: questo si evince dalla copia di un documento<br />

posposto all’ultima approvazione contenuta nel volume e datata 24<br />

gennaio 1749. Si tratta di una sentenza della Sacra Rota sul rispetto<br />

delle norme dello Statuto e sulla loro corretta e onesta applicazione,<br />

che porrebbe quindi la data indicata come termine post quem.<br />

Nella prima carta del manoscritto settecentesco, sotto una<br />

2<br />

Cfr. D. Zinanni, Statuti di Veroli, Roma 1983, pp. 120-122.<br />

3<br />

Sul frontespizio si legge: «Statutum / seu / leges municipales / communis<br />

civitatis / Verularum / impressa impensis eiusdem communis / Ex resolutione,<br />

& Decreto / Publici Consilii / Initi die 15 Aprilis Anni M.DC.LVII /<br />

Velitris / Typis Caroli Bilancioni, M.DC.LVII. Publici Impressoris / Superiorum<br />

licentia».<br />

4<br />

Cfr. D. Zinanni, Statuti di Veroli, cit., pp. 126-127.


478<br />

Francesca Pontri<br />

cancellatura, si legge “Famiglia Bisleti”, il che porta a credere che il<br />

codice sarebbe appartenuto a quel casato prima che ai Cacciavillani.<br />

Zinanni si spinge a ipotizzare che i Bisleti, non essendo riusciti a<br />

procurarsi una copia a stampa dello Statuto, ne fecero realizzare una<br />

copia manoscritta.<br />

Nel codice in questione si registra una lacuna tra la fine del<br />

terzo Libro e l’inizio del quarto. Alla fine della rubrica 80 del terzo,<br />

infatti, sono presenti diverse righe di puntini di sospensione, mentre<br />

la carta successiva è rigata ma lasciata in bianco; la carta seguente<br />

si apre con l’ultima riga dell’ottava rubrica per poi preseguire<br />

normalmente. Le ipotesi che si possono formulare in merito sono<br />

due: 1) dal momento che le carte in questione si trovano al centro<br />

del fascicolo, è semplicemente caduto un foglio che conteneva le<br />

disposizioni mancanti; 2) l’esemplare da cui lo scriba ha tratto la<br />

copia era mutilo, pertanto ha proceduto a copiare il testo così come si<br />

presentava. Forse questo non si saprà mai. Ciò che invece pare certo<br />

è che il copista aveva come modello senz’altro la copia a stampa,<br />

ma si servì ugualmente del manoscritto cinquecentesco. Tracce di<br />

questa commistione si possono individuare, ad esempio, nella lettera<br />

apostolica Exigit sincere devotionis di Martino V del 21 ottobre<br />

1419. I due testi presentano una variante nella lezione difficilmente<br />

spiegabile con un semplice errore. Analoga spia si ha nella rubrica<br />

59 del Libro quinto: nel manoscritto cinquecentesco si riporta «ad<br />

conam plazole per directum per pedicatam forestae sancti spiritus»;<br />

nella stampa «ad conam Plarole, per directum, per praedictam<br />

forestae S. Spiritus»; nel codice settecentesco «ad conam Plarole,<br />

per directum per pedicatam forestae S. Spiritus» 5 . Da segnalare che<br />

quest’ultimo manoscritto è latore di una prefazione contenente la<br />

storia della città dal primo vescovo, S. Mauro, fino al XV secolo, non<br />

presente nel testimone più antico.<br />

5<br />

Devo ringraziare il dott. Paolo Scaccia Scarafoni, il quale con molta generosità<br />

mi ha indicato questo passaggio e ha condiviso con me questa e<br />

altre osservazioni sugli Statuti di Veroli.


Statuti di Veroli<br />

479<br />

CODICE 1 6<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Veroli, Archivio<br />

storico comunale, Preunitario, reg. 1 (già Biblioteca Giovardiana).<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto composito formato<br />

da 6 unità.<br />

LEGATURA: 290 × 200 mm; legatura in cuoio su assi di cartone;<br />

capitelli cuciti; cucitura su 5 nervi con filo di cotone chiaro; piatti<br />

decorati con doppie cornici impresse a secco e motivi a zig-zag; sul<br />

dorso la scritta “STATU/TO DI / VEROLI / 1545” a lettere capitali e<br />

inchiostro nero nel 2° scomparto, nulla negli altri 3; scarabocchi a<br />

inchiostro e macchie varie sui piatti.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il codice è statto rifilato e<br />

probabilmente restaurato, in un momento imprecisato; fori di tarlo e<br />

macchie sparse.<br />

UNITÀ 1<br />

DATAZIONE: la prima conferma è del 7 febbraio 1541 (cfr. c. 99v),<br />

pertanto la data del manoscritto, almeno per quanto riguarda il testo<br />

dello Statuto, deve essere di poco anteriore 7 .<br />

ORIGINE: Veroli (data topica espressa a c. 99v).<br />

MATERIA: membranaceo (cartacee le guardie I, IV, V, più le 52<br />

carte bianche poste in fondo al codice).<br />

CARTE: I-V, 100; paginazione a matita di mano moderna nell’angolo<br />

superiore esterno di ogni pagina, che va da 1 a 200.<br />

DIMENSIONI: mm 280 × 220 (c. 12).<br />

FASCICOLAZIONE: I 10-1 (cc. 1-9, c. 9 senza riscontro), II-III 10<br />

(cc. 10-29), IV 10+1 (cc. 30-40, la c. 36 è stata incollata a fascicolo<br />

già composto), V-X 10 (cc. 41-100); il primo fascicolo inizia con il<br />

lato pelo per via della mancanza della solidale di c. 9, tutti gli altri<br />

6<br />

Un’accurata scheda codocologica si può leggere in Catalogo dei più antichi<br />

manoscritti della Biblioteca Giovardiana di Veroli, a cura di V. Brown<br />

et alii, Roma, GEI, 1996, pp. 32-38.<br />

7<br />

Cfr infra.


480<br />

Francesca Pontri<br />

iniziano con il lato carne; la regola di Gregory è ovunque rispettata.<br />

RIGATURA: a inchiostro, spesso limitata alle sole rettrici.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 12r) A 25, B 245, C 280, a 25, i 190, l 220<br />

mm.<br />

RIGHE: 28 righe per 28 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 12r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna; titoli correnti al<br />

centro del margine superiore del recto delle carte.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano<br />

che esibisce una scrittura italica ad inchiostro bruno; i titoli delle<br />

rubriche e la Tabula iniziale sono della stessa mano ma in gotica,<br />

inchiostro rosso; i titoli correnti sono vergati in inchiostro marrone.<br />

Il documento e la conferma di c. 100r-v è di altra mano.<br />

DECORAZIONE: una croce greca contornata dalla scritta greca KA<br />

ENTO VTO ENI e accompagnata in orizzontale dalla scritta AVE<br />

CRVX S(AN)C(T)A a c. 1r; numerose iniziali rubricate; l’interno<br />

della lettera capitale Q di c. 65r è decorato con una piccola stella,<br />

mentre a c. 95v è abitata da una piccola croce; a c. 99r sono presenti<br />

delle faccine all’interno delle lettere capitali nel bas-de-page; due<br />

croci greche rubricate a c. 99v.<br />

SIGILLI E TIMBRI: signa tabellionum alle cc. 36v e 100v; resto di<br />

sigillo aderente in cera rossa a c. 63v.<br />

COPISTI E ALTRI ARTEFICI: il colophon di c. 99v recita:<br />

«Ill(ustrissi)mi ac Col(endissi)mi D(omini) Fr(ancisci) Quign(oni)<br />

B(onae) M(emoriae) Car(dinalis) / San(ctae) Cru(cis) incl(itae)<br />

urb(is) Verul(anae) praefecti Jussu Martinus de Molina / Cordubensis.<br />

Haec civilia jura scripsit et exemplavit Reip(ublicae) stip(endio) /<br />

An(n)o a partu purissimae Virg(inis) et nati Chr(isti) XL Sup(ra) /<br />

M. D. manus imposita. Prid(ie) / idus novembr(is) Optate precor /<br />

salutem scriptori. LAVS DEO».<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: numerose integrazioni al testo<br />

di mani posteriori, scarabocchi e maniculae; correzioni e macchie<br />

d’inchiostro sparse.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente sul dorso del manoscritto è “Statuto / di / Veroli /<br />

1545”. Lo Statuto è scritto in latino, le rubriche sono numerate con


Statuti di Veroli<br />

481<br />

cifre arabe.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- cc. 1r-8r: Tabula, ossia l’indice del volume con le rubriche<br />

divise per libri, preceduto dal carme “Regis coelorum”;<br />

- cc. 9r-28v: Libro I, “De electione officialium”, 44 rubriche<br />

sull’amministrazione del comune 8 ;<br />

- cc. 30r-36v: Libro II, “De modo procedendi in causis<br />

civilibus”, 21 rubriche sul diritto civile;<br />

- cc. 38r-63v: Libro III, “De modo procedendi super maleficiis”,<br />

81 rubriche su diritto penale;<br />

- cc. 64r-76r: Libro IV, “De modo procedendi in damnis datis”,<br />

65 rubriche sul danno dato;<br />

- cc. 78r-96r: Libro V, “De macello et macellarius”, 89<br />

rubriche su materie varie.<br />

Le cc. 96v-100v contengono:<br />

- lettera apostolica Exigit sincere devotionis di Martino V del<br />

21 ottobre 1419;<br />

- lettera apostolica Ad Christi Vicarii specula di Eugenio IV<br />

del 27 gennaio 1441;<br />

- breve Fuit nobiscum orator di Niccolò V del 9 luglio 1448;<br />

- conferme dei governatori del 7 febbraio 1541 e del 17 aprile<br />

1543.<br />

UNITÀ 2<br />

DATAZIONE: XVI-XVII secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Veroli.<br />

MATERIA: membranaceo.<br />

CARTE: 8 carte, le cc. 101-108 sul totale; paginazione a matita di<br />

mano moderna nell’angolo superiore esterno di ogni pagina, che va<br />

da 201 a 216.<br />

DIMENSIONI: mm 280 × 210 (c. 102).<br />

FASCICOLAZIONE: I 8 ; il fascicolo inizia con il lato carne.<br />

8<br />

In realtà nel codice mancano le rubriche 45-49, segnalate nella Tabula<br />

iniziale. Questo dettaglio è stato rilevato da Paolo Scaccia Scarafoni, al cui<br />

contributo, presente all’interno di questo volume, si rinvia per maggiori<br />

dettagli. Sono grata all’autore per la segnalazione.


482<br />

Francesca Pontri<br />

RIGATURA: a inchiostro.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 102r) A 19, B 240, C 280, a 20, i 175, l<br />

210 mm; (c. 107r) A 18, B 245, C 280, a 13, i 167, l 210 mm.<br />

RIGHE: 40 righe per 40 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 102r); 41 righe per 41 linee di scrittura, che comincia<br />

sopra la prima riga (c. 107r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: le cc. 101r-106r presentano una scrittura<br />

semigotica a inchiostro marrone; le cc. 106v-108v presentano invece<br />

una corsiva, inchiostro marrone.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: manicula a c. 107v.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Le cc. 101r-106r contengono la bolla Pro commissa nobis di<br />

Clemente VIII del 15 agosto 1592 in italiano; le cc. 106v-108v<br />

presentano parte della stessa bolla.<br />

UNITÀ 3<br />

DATAZIONE: XVI-XVII secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Veroli.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 2 carte, le cc. 109-110 sul totale; paginazione a matita di<br />

mano moderna nell’angolo superiore esterno di ogni pagina, che va<br />

da 217 a 220.<br />

DIMENSIONI: mm 280 × 215 (c. 109).<br />

FASCICOLAZIONE: I 2 (più 2 talloni al centro del fascicolo).<br />

RIGATURA: a secco.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 109r) A 18, B 256, C 280, a 22, i 203, l<br />

215 mm.<br />

RIGHE: 28 righe per 28 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

prima riga (c. 109r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una scrittura corsiva a inchiostro marrone, la stessa mano<br />

del fascicolo precedente.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Le cc. 109r-110v contengono la continuazione della bolla Pro


Statuti di Veroli<br />

483<br />

commissa nobis di Clemente VIII del 15 agosto 1592 in italiano, che<br />

si era interrotta nel fascicolo precedente.<br />

UNITÀ 4<br />

DATAZIONE: 28 settembre 1605 (datazione espressa a c. 113v).<br />

ORIGINE: Frosinone (data topica espressa a c. 113v).<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 4 carte, le cc. 111-114 sul totale; paginazione a matita di<br />

mano moderna nell’angolo superiore esterno di ogni pagina, che va<br />

da 221 a 228.<br />

DIMENSIONI: mm 275 × 210 (c. 112).<br />

FASCICOLAZIONE: I 4 .<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 112r) A 14, B 263, C 275, a 52, l 210 mm<br />

RIGHE: 28 linee di scrittura (c. 112r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: due mani, che esibiscono entrambe una<br />

corsiva a inchiostro marrone.<br />

SIGILLI E TIMBRI: signum tabellionis a c. 113v; nella stessa carta<br />

sigillo aderente di cera coperto con foglietto di carta.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Conferme allo Statuto datate 30 ottobre e 28 settembre 1605.<br />

UNITÀ 5<br />

DATAZIONE: seconda metà del XVI secolo.<br />

ORIGINE: Veroli.<br />

MATERIA: membranaceo.<br />

CARTE: 9 carte, le cc. 115-123 sul totale; paginazione a matita di<br />

mano moderna nell’angolo superiore esterno di ogni pagina, che va<br />

da 229 a 246.<br />

DIMENSIONI: mm 280 × 220 (c. 115).<br />

FASCICOLAZIONE: I 12-3 (cadute le solidali di c. 116, 117 e 122).<br />

RIGATURA: a inchiostro.<br />

SPECCHIO RIGATO: l’impaginazione varia vistosamente tra una<br />

carta e l’altra.<br />

RIGHE: il numero delle linee di scrittura è molto variabile.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.


484<br />

Francesca Pontri<br />

SCRITTURA E MANI: mani diverse, inchiostro che varia dal<br />

marrone chiaro al nero<br />

SIGILLI E TIMBRI: sigillo aderente in cera rossa coperto con<br />

foglietto di carta a c. 118r; alle cc. 121r e 122r ne rimane solo l’orma.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Conferme allo Statuto e documenti vari che vanno dal 2 settembre<br />

1546 al 1° maggio 1577.<br />

UNITÀ 6<br />

DATAZIONE: 1619-1620 (datazione espressa a c. 126v).<br />

ORIGINE: Veroli.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

CARTE: 6 carte, le cc. 124-129 sul totale; paginazione a matita di<br />

mano moderna nell’angolo superiore esterno di ogni pagina, che va<br />

da 247 a 258.<br />

DIMENSIONI: mm 280 × 212 (c. 124).<br />

FASCICOLAZIONE: I 6 (al fascicolo seguono 52 carte bianche).<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 124r) A 18, B 252, C 280, a 20, i 185, l<br />

212 mm.<br />

RIGHE: 31 linee di scrittura (c. 124r).<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una scrittura corsiva a inchiostro marrone.<br />

SIGILLI E TIMBRI: signum tabellionis a c. 126v.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il fascicolo contiene le mercedi da corrispondere agli amministratori<br />

cittadini nell’esercizio delle loro funzioni.<br />

CODICE 2<br />

DESCRIZIONE ESTERNA<br />

IDENTIFICAZIONE DEL MANOSCRITTO: Veroli, Archivio<br />

storico comunale, Preunitario, reg. 2 (già Biblioteca Giovardiana).<br />

COMPOSIZIONE MATERIALE: manoscritto omogeneo composto<br />

da fascicoli legati.


Statuti di Veroli<br />

485<br />

DATAZIONE: sicuramente dopo il 1657, data di stampa del volume<br />

da cui è stato copiato (a c. VIv di guardia è presente la data in cifre<br />

romane MDCLVII); probabilmente XVIII secolo.<br />

ORIGINE: probabilmente Veroli.<br />

MATERIA: cartaceo.<br />

FILIGRANA: un uccello su tre colline inserito in uno scudo, simile<br />

a Briquet 11936 ma con l’uccello al posto del giglio.<br />

CARTE: I-IV, 107, V-VI; carte non numerate.<br />

DIMENSIONI: mm 270 × 195 (c. 22).<br />

FASCICOLAZIONE: I 20-1 (cc. III-17, c. 14 senza riscontro), II-III 12<br />

(cc. 18-41), IV 10 (cc. 42-51), V 12 (cc. 52-63), VI 8 (cc. 64-71), VII-<br />

IX 12 (cc. 72-107).<br />

RIGATURA: a matita, molto leggera.<br />

SPECCHIO RIGATO: (c. 22r) A 20, B 250, C 270, a 12, i 184, l 195<br />

mm.<br />

RIGHE: 30 righe per 28 linee di scrittura, che comincia sopra la<br />

terza riga (c. 22r); le prime due righe delimitano l’altezza del titolo<br />

corrente dei vari libri, presente in ogni pagina.<br />

DISPOSIZIONE DEL TESTO: su una colonna.<br />

RICHIAMI: irregolarmente presenti nell’angolo inferiore destro<br />

del verso delle carte; saltuariamente presenti anche sul recto, nella<br />

stessa posizione.<br />

SCRITTURA E MANI: il testo è stato copiato da un’unica mano che<br />

esibisce una minuscola dal ductus posato, mentre i titoli correnti e<br />

quelli delle rubriche sono in lettere capitali, inchiostro marrone.<br />

DECORAZIONE: una croce greca contornata dalla scritta greca KA<br />

ENTO VTV ENI e accompagnata in orizzontale dalla scritta AVE<br />

CRVX S(AN)C(T)A a c. 16v; un ghirigoro a inchiostro marrone tra<br />

le parole LIBER e PRIMUS a c. 17r; una croce greca in un tondo,<br />

inchiostro marrone, a c. 94r.<br />

SIGILLI E TIMBRI: l’orma di un sigillo aderente in cera giallognola<br />

a c. 1r, scavata dai tarli.<br />

LEGATURA: 280 × 200 mm; legatura in piena pergamena su assi<br />

di cartone; capitello superiore cucito, quello inferiore è parzialmente<br />

staccato; cucitura su 6 nervi con filo di cotone marrone; piatti non<br />

decorati, ma quello posteriore presenta scarabocchi a penna; sul


486<br />

Francesca Pontri<br />

dorso le cifre XV e 44 a matita; tracce di scritture a inchiostro sulle<br />

controguardie.<br />

STATO DI CONSERVAZIONE: il dorso è roso dai tarli, coma anche<br />

l’interno del codice in più punti; la legatura è danneggiata.<br />

REVISIONI E ANNOTAZIONI: sbarre verticali a inchiostro blu in<br />

corrispondenza di capitoli di interesse, sparse lungo tutto il codice.<br />

VARIA: la c. 1r presenta due linee di scrittura cancellate e la sigla<br />

MDC.<br />

ANTICHE SEGNATURE: sulla controguardia anteriore 50.2.25 e<br />

nella guardia Ir 49.2.10 (segnature nella Biblioteca Giovardiana).<br />

POSSESSORI E PROVENIENZA: a .c 1r la menzione “Dono<br />

questa copia alla / Città di Veroli. / Veroli 28 giugno 1928 / Giuseppe<br />

Cacciavillani”; più in basso “Di esclusiva proprietà di Cacciavillani<br />

/ Giuseppe”.<br />

DESCRIZIONE INTERNA<br />

Il titolo presente nel manoscritto alla c. 1r è “Statutum / Civitatis /<br />

Verularum”. Lo Statuto è scritto in latino, mentre i documenti copiati<br />

alla fine del testo sono parte in latino, parte in italiano. Le rubriche<br />

sono numerate con cifre arabe.<br />

Il testo è così ripartito:<br />

- cc. 2r-9r: Praefatio;<br />

- cc. 10r-16v: Tabula, ossia l’indice del volume con le rubriche<br />

divise per libri, chiusa dal carme “Regis coelorum”;<br />

- cc. 17r-38v: Libro I, “De electione officialium”, 49 rubriche<br />

sull’amministrazione del comune;<br />

- cc. 39r-45r: Libro II, “De modo procedendi in causis<br />

civilibus”, 21 rubriche sul diritto civile;<br />

- cc. 46r-67r: Libro III, “De modo procedendi super maleficiis”,<br />

80 rubriche su diritto penale;<br />

- cc. 68r-76r: Libro IV, “De modo procedendi in damnis datis”,<br />

65 rubriche sul danno dato;<br />

- cc. 77r-91r: Libro V, “De macello et macellarius”, 88<br />

rubriche su materie varie.<br />

Le cc. 91v-107r contengono conferme e copie di lettere papali, tra<br />

le quali:<br />

- lettera apostolica Exigit sincere devotionis di Martino V del


Statuti di Veroli<br />

487<br />

21 ottobre 1419;<br />

- lettera apostolica Ad Christi Vicarii specula di Eugenio IV<br />

del 27 gennaio 1441;<br />

- breve Fuit nobiscum orator di Niccolò V del 9 luglio 1448;<br />

- bolla Pro commissa nobis di Clemente VIII del 15 agosto<br />

1592 in italiano;<br />

Le conferme dei vari governatori della città vanno dal 1541 al 1620.


Indice dei nomi 1<br />

Abbazia di Casamari, in Veroli,<br />

87, 272<br />

Abbazia di Farfa, 298<br />

Abbazia di S. Maria a Fiume, in<br />

Ceccano, 114<br />

Abbazia di S. Sebastiano, in<br />

Alatri, 30-31<br />

Accademia per la statutaria<br />

medievale romana, 152<br />

Accademia pontificia, vedi<br />

Società di Studi e documenti<br />

di <strong>Storia</strong> e Diritto<br />

Accademia romana di conferenze<br />

storico-giuridiche, 151, 153<br />

Acquapendente, 297, 307<br />

Acuto, 17-22, 25-26, 37, 322,<br />

325-332<br />

Affile, 307<br />

Agati Maria Luisa, 319<br />

Agnese di Montefeltro, 95, 378<br />

Agnesina di Montefeltro, vedi<br />

Agnese di Montefeltro<br />

Agnoli Ermigio, 147-148<br />

Agone, località in Roma, 314<br />

Agostini Antonio, 337<br />

Alatri, 14, 27-31, 33-34, 37-38<br />

99, 136, 155, 261, 342-353,<br />

467-468, 470-471<br />

Alatri, canonico della cattedrale,<br />

336<br />

Alatri, capitolo della cattedrale,<br />

337<br />

Alatri, governatore, 30-32<br />

Alatri, Museo civico, 340, 345<br />

Alatri, vescovo, 272<br />

Albania, 289<br />

Alberti Leon Battista, 152<br />

Albertini, famiglia, 305<br />

Albornoz Egidio, 206, 275<br />

Alessandro III, 356, 476<br />

Alessandro V, 91, 287<br />

Alessandro VI, 94, 472<br />

Alexander Antonius Ciafronus,<br />

400<br />

Alexander, di Veroli, 265<br />

Alfonsi Baldassarre, 149<br />

Aloysius Ciuffetti, 465<br />

Alvarez de Toledo Garcia, 476<br />

Alvarez di Toledo Ferdinando, 37<br />

Amaseno, 173<br />

Amatutius, di Veroli, 270<br />

Ambrosi Biagio, 408<br />

Ambrosi De Magistris Raffaele,<br />

155, 356-358, 401-402<br />

Ambrosi Marzio, 36<br />

Anagni Giuseppe, 332<br />

Anagni, 13-14, 17-23, 35-39,<br />

44-46, 48, 139, 144, 154-155,<br />

157, 261, 274, 277, 321-322,<br />

325-326, 329-330, 332, 356-<br />

366, 368-369<br />

Anagni, cattedrale, 325<br />

_________________________________<br />

1<br />

A cura di Carla Fiorini.


490<br />

Anagni, diocesi, 22<br />

Anagni, vescovado, 17, 18<br />

Anagni, vescovo, 17-21, 23, 139,<br />

144, 325, 329-330, 332<br />

Anagniae, vedi Anagni<br />

Anastasio IV, 87<br />

Andrea di Ripi, 441<br />

Andrea Maniarante, 273, 290<br />

Andreas Antinerii, 250, 264<br />

Andreas Contis, 250, 264<br />

Andreas Iacobi, 250, 264, 269<br />

Andreas Joannis, 265<br />

Andreas Leporicchio, 270<br />

Andreas Petri Leonardi, 263<br />

Andreas Spana, 266<br />

Andretti Bartolomeo, 148-149,<br />

193-194<br />

Angelo Antoni Ambrosi, 104<br />

Angelo di Alba, 36<br />

Angelo di Paolo di Montemilone,<br />

335, 342, 345<br />

Angelo Falanga, di Gaeta, 101<br />

Anguillara, conti, 459<br />

Anguissola Ludovico, 60-61<br />

Annibaldi, famiglia, 305<br />

Annona Olearia, 68, 74<br />

Anticoli di Campagna, vedi<br />

Fiuggi<br />

Anticoli in Campanea, vedi<br />

Fiuggi<br />

Antonelli Mariano, 103<br />

Antonio Iohannis Ferrari, 103<br />

Antonio quondam Petrutii, 101<br />

Antonius Cole Iacobi, 98<br />

Antonius Gaglardi, 98<br />

Antonius Iohanni Loteri, 269<br />

Antonius magistri Blasii, 270<br />

Antonius Petri Albasie, 270<br />

Antonius Petrus Celani, 264<br />

Antonius quondam Pauli, 98<br />

Antonius Simeonis, 102<br />

Antonucci Innocenzo, 36<br />

Arce, 55<br />

Archivio Campanari, in Veroli,<br />

265-267, 269, 271, 273, 278-<br />

279, 288-289<br />

Archivio capitolare della<br />

Cattedrale di Veroli, 87, 269-<br />

270, 335, 339<br />

Archivio capitolare di S. Andrea,<br />

in Veroli, 90, 264-266, 268-<br />

269, 275, 278, 289<br />

Archivio Colonna, 10-12, 78-79,<br />

146-148, 159-163, 165-166,<br />

168, 177-178, 191-192, 198,<br />

205, 209-212, 229-231, 233-<br />

236, 240, 242, 244-245, 321,<br />

417, 441, 446, 452-453, 455,<br />

473<br />

Archivio dell’Ospedale della<br />

Passione, in Veroli, 263-266<br />

Archivio della Certosa di Trisulti,<br />

262-264, 266, 277<br />

Archivio della Società romana<br />

di storia patria, 91, 113, 261,<br />

304<br />

Archivio di S. Erasmo, 263-266,<br />

271, 278, 287-290<br />

Archivio di Stato di Frosinone,<br />

11, 76, 98, 182, 205, 219-220,<br />

222, 233, 291-292, 321, 387,<br />

398, 426, 447, 451<br />

Archivio di Stato di Frosinone,<br />

Archivio Notarile di Castro<br />

dei Volsci, 98-103<br />

Archivio di Stato di Frosinone,


Indice dei nomi<br />

491<br />

Sezione Anagni-Guarcino,<br />

collezione statuti, 387, 398,<br />

403, 406<br />

Archivio di Stato di Roma, 11,<br />

17, 27, 44, 48, 56, 59, 70, 78,<br />

81, 102, 113, 116, 127-128,<br />

139, 155, 169, 173, 191, 193,<br />

205, 212, 219-220, 222-227,<br />

233, 236, 239, 242, 247, 300,<br />

320-321, 326, 329, 331, 345,<br />

356, 358-360, 366-367, 371-<br />

373, 380, 382, 384, 387, 391,<br />

397, 411, 413, 418, 422, 425-<br />

427, 432, 436-437, 442, 444,<br />

447-448, 458, 460, 464, 472,<br />

474<br />

Archivio di Stato di Roma,<br />

Camerale, 57-58, 63-69, 71,<br />

372-373<br />

Archivio di Stato di Roma,<br />

Collezione Statuti, 27, 44, 48,<br />

50, 53, 56, 64-70, 191, 207,<br />

219, 222-223, 300, 315, 320,<br />

329, 359-360, 366, 379, 382,<br />

391, 411, 413, 422, 426, 438,<br />

444, 448, 458, 464, 475<br />

Archivio Scaccia Scarafoni, in<br />

Veroli, 263<br />

Archivio Segreto Vaticano, 279<br />

Archivio Spani Molella, in<br />

Veroli, 267<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Acuto, 326-327<br />

Archivio storico comunale di<br />

Alatri, 337, 352<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Anagni, 36-40, 43-53, 357-<br />

359<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Castro dei Volsci, 376, 384<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Ceccano, 114, 118<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Ceprano, 127<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Ferentino, 385, 387, 394<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Fiuggi, 154, 401<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Guarcino, 154-155<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Morolo, 411<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Paliano, 417, 421<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Patrica, 426, 430<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Serrone, 447-448<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Supino, 233, 237, 460-462<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Vallecorsa, 239, 473<br />

Archivio Storico Comunale di<br />

Veroli, 263-266, 271, 273,<br />

286, 477, 479, 484<br />

Ariccia, 307<br />

Arnara, 173, 196, 202<br />

Aronne Lorenzo, 447, 449, 451<br />

Arpino, 39, 358<br />

Arsoli, 307<br />

Ascheri Mario, 302, 308<br />

Aspra in Sabina, 357<br />

Asraele, vescovo, 325<br />

Assisi, 267<br />

Assisi, vescovo, 267<br />

Astolfi Giovanni Pietro, 129


492<br />

Astolfi Pasquale, 38,<br />

Attilli Domenico, 148<br />

Aurelio Alessandro, 99<br />

Autini Giovanni Battista, 33<br />

Avellona, 289<br />

Avignone, 89, 273, 277<br />

Bagallai, cavaliere, 137<br />

Baldi, stampatori, 417<br />

Balestra Giacomo, 154<br />

Balestracci Duccio, 313<br />

Balneus, fossato in Veroli, 264<br />

Bambi Federigo, 306<br />

Bambino Gesù, benedicente, 344<br />

Barberino, cardinale, 132, 134<br />

Bartholomeus Cole Melioris, 99<br />

Bartholomeus Iohannis Nicolai,<br />

250, 264<br />

Bartholomeus Iacobi<br />

Bartholomei, 269<br />

Bartholomeus, prete di Castro dei<br />

Volsci, 101, 103<br />

Bartolomeo de Iohanne, di<br />

Veroli, 273<br />

Bassanello, 307<br />

Bassi Giovan Battista, vescovo,<br />

144, 326, 328<br />

Basso Lazio, vedi Lazio<br />

meridionale<br />

Bastari, governatore, 146<br />

Battaglini Paolino, 210<br />

Battelli Giulio, 289<br />

Bauco, vedi Boville Ernica<br />

Bauer Clemente, 91<br />

Bavari Vincenzo, 464-466<br />

Beccarini Giovan Gualberto, 62,<br />

75<br />

Bella Iohanne, 275<br />

Bella Rose Iohannis, 99<br />

Bellanti Francesco, 90<br />

Bellincampi Pasquale, 236<br />

Bellini Giovanna Rita, 87<br />

Bello in Campo, 52<br />

Bellus Berardi, 269<br />

Bellus Iohannis Bartholomei, 269<br />

Benedetti Nicola, procuratore,<br />

201<br />

Benedetto XII, 385<br />

Benedetto XIV, 57, 235<br />

Beneventano, 289<br />

Benvenuti Gian Nicola, 36<br />

Berardi Filippo, 467<br />

Bernabei Antolino, 99<br />

Bernabei Antona, 99<br />

Bernabei Antonio, 99<br />

Bernabei Beatrice, 99<br />

Bernabei Benedetto, 99<br />

Bernabei Vangelista, 99<br />

Bernardino di Carvajal, 358<br />

Bernardo Iohannini, 272<br />

Bernardus de Angelis, 370<br />

Bezzina Denise, 306<br />

Bianchi Cesare, 131, 233<br />

Biblioteca Apostolica Vaticana,<br />

263-266, 271, 278, 286, 288-<br />

290<br />

Biblioteca Comunale di Veroli,<br />

273<br />

Biblioteca del monumento<br />

nazionale di S. Scolastica, in<br />

Subiaco, 10, 11, 78-79, 146,<br />

159-160, 165, 191-192, 205,<br />

229, 233, 240, 242, 298, 321,<br />

418, 442, 446, 454, 456, 474<br />

Biblioteca del Senato della<br />

Repubblica “Giovanni


Indice dei nomi<br />

493<br />

Spadolini”, 11, 133, 140, 154,<br />

156, 177, 315, 320-321, 358,<br />

364, 384, 386, 388, 401, 404,<br />

426, 433, 468-469<br />

Biblioteca del Liceo Ginnasio<br />

Conti Gentili, in Alatri, 340,<br />

342, 347<br />

Biblioteca Giovardiana, in Veroli,<br />

27, 99-100, 247, 264-267,<br />

277-278, 335-336, 343-344,<br />

358, 478-479, 484, 486<br />

Biblioteca Molella, in Alatri, 4,<br />

27, 321-322, 334, 338, 348,<br />

350, 468-471<br />

Bilancioni Carlo, 263, 307, 477<br />

Bisentio Francesco, 62<br />

Bisleti, famiglia, 478<br />

Blasius Todini, 265<br />

Boccacercia, vedi Cercia,<br />

famiglia<br />

Boezi Gianni, 27<br />

Bologna, 95, 102, 274-275<br />

Bompiani Virginio, 159-160, 162<br />

Bonifacio VIII, 17, 89, 114-115,<br />

239, 261, 271-273, 280, 334,<br />

356, 385, 388, 401-402, 453<br />

Bonifacio IX, 90, 277-280, 288,<br />

289<br />

Bonomo de Turri, 269<br />

Borbone, duchi, 416<br />

Borgia Rodrigo, 473<br />

Boville Ernica, 10, 55-69, 73-76,<br />

90, 272, 278, 371-373<br />

Bracciano, 315<br />

Bracellius Giovanni Battista, 339<br />

Briquet, 329, 338, 343, 346, 348,<br />

351, 360, 364, 366, 373, 376,<br />

380, 388, 396-398, 404, 406-<br />

407, 418, 427, 429, 455-456<br />

Brown Virginia, 480<br />

Bruschini Marco, 36<br />

Bucciarelli Gregorio, 209<br />

Bucius Brachalis, 265<br />

Bucius Nicolai, 265<br />

Bucius Pauli, 263<br />

Buczarellus Gualgani, 270<br />

Buczarellus Iacobi Mactei, 269<br />

Buczarellus Sgravatoris, 269<br />

Bullettino dell’Istituto storico<br />

italiano per il Medio Evo e<br />

Archivio muratoriano, 153,<br />

305<br />

Buon Governo, archivio, 12, 17-<br />

31, 33-34, 56-66, 68, 70, 75,<br />

78, 81-83, 85, 113-114, 115-<br />

123, 125, 127-132, 134-149,<br />

169, 173-176, 179, 191, 193-<br />

198, 200-203, 227-231, 236-<br />

237, 240, 242-244, 247-254,<br />

256-259, 325, 425, 427, 429<br />

Buon Governo, congregazione,<br />

10, 17-24, 26, 28, 31, 33, 57-<br />

58, 60-62, 75, 79-81, 83, 116-<br />

125, 128-131, 135-136, 144-<br />

145, 148, 169, 173-176, 181,<br />

193-198, 200-201, 236-237,<br />

240-241, 244, 247-249, 251,<br />

253, 256, 259, 320, 386-387,<br />

389, 391, 408, 425-427, 432<br />

Bussi, monsignore, 196<br />

Butius Cole, 270<br />

Butius Nicolai Iacobi, 269<br />

Butius Nicolaus, 265<br />

Butius Pascalis, 269<br />

Caçarelli Carlo, 101


494<br />

Caçarelli Giovanni, 101<br />

Caçarelli Pietro, 101<br />

Cacciavillani, famiglia, 478<br />

Cacciavillani Giuseppe, 486<br />

Caciorgna Maria Teresa, 88, 90,<br />

207, 277<br />

Caetani Benedetto, vedi<br />

Bonifacio VIII<br />

Caetani della Torre Pompeo, 476<br />

Caetani, famiglia, 62, 239, 305,<br />

333, 436, 472-474<br />

Caetani Gelasio, 89<br />

Caetani d’Aragona Onorato II,<br />

115, 269, 437<br />

Caetani Diamante, 62<br />

Caetani Onorato, 89-90, 276-277<br />

Caetani Onorato III, 115<br />

Caetani Pietro, 452<br />

Calasso Francesco, 316<br />

Camera Apostolica, 56, 91, 120,<br />

155, 356, 371<br />

Campagna di Roma, vedi<br />

Provincia romana<br />

Campagna e Marittima, provincia,<br />

15, 57, 70, 88-90, 94, 113, 115,<br />

122, 152, 154, 173, 206, 261,<br />

267, 276-278, 280, 285, 288,<br />

356, 358, 385, 390, 403, 467,<br />

472, 476<br />

Campagna Giulio, 38<br />

Campagna, governatore, 29, 128,<br />

130, 137, 358, 463, 472<br />

Campagna, luogotenente, 267<br />

Campagna, provincia, 7, 9, 11-12,<br />

27, 55, 58-59, 93, 96, 116, 122,<br />

181, 199, 206, 270, 272, 274,<br />

276-277, 287, 356, 463, 466<br />

Campagna, rettore, 272<br />

Campanari, famiglia, 202, 336<br />

Campanari Francesco Maria,<br />

201-202<br />

Campanari Domenico, 337<br />

Campidoglio, 304, 312<br />

Campoli Felice Mario, 191, 193-<br />

196, 198-199, 436<br />

Canada, 460<br />

Canali Eusebio, 95, 166, 388-<br />

390, 411-413<br />

Canterano Giovanni Battista, 49<br />

Caperna Vincenzo, 273, 279-280<br />

Capotio Giovanni Iacopo/<br />

Giacomo, 379, 436, 439-440<br />

Capponi, famiglia, 305<br />

Caprioli Severino, 153, 301<br />

Capua, 7, 274<br />

Caracciolo Lippo, 278<br />

Carafa Giovanni, 416<br />

Caraffa, cardinale, 36<br />

Carandini, cardinale, 386, 389<br />

Caravale Mario, 261<br />

Carbognano, 297, 307<br />

Carbonetti Vendittelli Cristina,<br />

267, 271<br />

Carboni Arduino, 129<br />

Carenza S., 176, 179<br />

Carlo III, di Borbone, 391<br />

Carocci Sandro, 59, 167, 207,<br />

303, 305<br />

Carosi Carlo, 27, 29, 300, 334-<br />

336, 468-470<br />

Carpine, località in Ripi, 211<br />

Carrante Giuseppe, 202<br />

Carticone Giovanni, 52<br />

Casa Colonna, vedi Colonna,<br />

famiglia<br />

Casali Antonio, 392


Indice dei nomi<br />

495<br />

Casali, cardinale, 57, 432<br />

Casamassima Emanuele, 323-324<br />

Caserta, 38<br />

Casilinum, 7<br />

Castello, contrada di Anagni, 38<br />

Castiglione in Teverina, 307<br />

Castro dei Volsci, 14, 72, 77-80,<br />

82-85, 87-103, 105-112, 173,<br />

322-323, 374-376, 378-384,<br />

417, 437, 441, 452<br />

Castro dei Volsci, Museo civico<br />

archeologico, 87<br />

Castro, ducato, 14, 297-298, 300,<br />

303, 307, 310, 313<br />

Castro in Campagna, vedi Castro<br />

dei Volsci<br />

Castrum, vedi Castro dei Volsci<br />

Cavaciocchi Simonetta, 314<br />

Cavalli Marco, 386, 393-394<br />

Cave, 173<br />

Ceccano, 10, 82-83, 113-120,<br />

122-123, 125, 162, 173, 188,<br />

195, 227, 230-231, 277, 291-<br />

293, 296<br />

Ceccano, governatore o uditore,<br />

82-83, 101, 113, 116-120, 123,<br />

125, 188, 195-196, 292-293,<br />

296<br />

Ceccano, soprintendente, 227,<br />

230-231<br />

Cecilia Tommaso, 14, 35, 426<br />

Celestino III, 441<br />

Celestino V, 385<br />

Celle Antonio, 43-44, 48<br />

Celleno, 297<br />

Centro di Studi internazionale<br />

“Giuseppe Ermini”, 153<br />

Ceprano, 10, 127-130<br />

Cercia, famiglia, 287-290<br />

Cercia Nicola, 288-289<br />

Cercia Giovanni, 288<br />

Cercia Leonardo, 288-289<br />

Cercia Pietro di Nicola, 487<br />

Certosa di Trisulti, in Collepardo,<br />

28, 132, 134, 468-470<br />

Certosini, in Trisulti, 132, 134-<br />

135, 468<br />

Cervinara, località in Paliano,<br />

174<br />

Chelazzi Corrado, 401<br />

Cherubini Giovanni, 240<br />

Chiesa, 87, 138, 201, 333-334<br />

Chiffoleau Jacques, 311<br />

Chigi, cardinale, 28<br />

Ciacelli Giuseppe, 194<br />

Ciafroni Alessandro, 388<br />

Ciarapica Benedetto, 136-137<br />

Ciociaria, 9, 181<br />

Cipolla Francesco, 129<br />

Cipolla Pasquale, 129<br />

Cipriani Domenico, 129<br />

Civita Castellana, 297, 307<br />

Civita Lavinia, vedi Lanuvio<br />

Civita, contrada in Castro dei<br />

Volsci, 99, 103<br />

Civitavecchia, 297, 307<br />

Civitella d’Agliano, 297, 307<br />

Clelio Orazio, 358<br />

Clemente VII, 35, 89, 276-277,<br />

289<br />

Clemente VIII, 120, 483, 487<br />

Clemente XIII, 326, 330<br />

Clemente XIV, 57, 64, 67-70, 72,<br />

235<br />

Clemente XIV, enciclica, 57, 64,<br />

67-69, 72-73, 235


496<br />

Clio, 304<br />

Cocquelines Charles, 280<br />

Cohellio Jacobo, 25<br />

Cola Bartholomei, 269<br />

Cola Cercia, vedi Cercia Nicola<br />

Cola Lei, 270<br />

Colacicchi Antonio, 368<br />

Colantonj Folco, 195-197<br />

Colantonj Magno, 122<br />

Colle Lisi, macchia in Ripi, 210<br />

Colle Longo, località in Torrice,<br />

269<br />

Colle Marte, macchia in Ripi,<br />

210<br />

Collepardi Danilo, 8, 205-206,<br />

418<br />

Collepardo, 173, 307<br />

Collerampo, territorio in Paliano,<br />

174<br />

Colli, 104<br />

Colliva Paolo, 272, 276, 303<br />

Colomba Giacomo Antonio, 41<br />

Colonna Antonio, 91, 446<br />

Colonna Ascanio, 91, 173, 323,<br />

417, 420, 424, 459<br />

Colonna Fabrizio, 91-92, 94,<br />

100-103, 171, 375, 378, 411,<br />

415, 425, 430-431, 433, 435,<br />

459<br />

Colonna, famiglia, 12, 35, 55, 80-<br />

82, 91-92, 94, 96-98, 100-103,<br />

139, 143, 145, 155, 160-162,<br />

165, 173, 189, 207, 212, 239,<br />

242, 291, 305, 371, 374, 378-<br />

379, 401, 407, 409, 411, 415-<br />

418, 436, 441-442, 453, 459,<br />

472-474<br />

Colonna Filippo I, 165, 170, 195-<br />

196, 378, 380, 418, 440<br />

Colonna Filippo II, 440<br />

Colonna Filippo III, 239, 474<br />

Colonna Giordano, 91, 441<br />

Colonna Giovanni, 101-102<br />

Colonna Girolamo, 378, 440<br />

Colonna, Gran Conestabile, 165-<br />

166, 170-171, 195-197<br />

Colonna Lorenzo, 91, 101, 146,<br />

174, 431, 441<br />

Colonna Marcantonio (o Marco<br />

Antonio) II, 51-52, 91, 97,<br />

173, 191, 291, 375, 415, 420,<br />

422, 436, 439, 459<br />

Colonna Marcantonio IV, 323,<br />

375, 377, 415, 417, 420, 424,<br />

437, 439-440, 452, 459, 463-<br />

464, 466<br />

Colonna Oddone, vedi Martino V<br />

Colonna Odoardo (o Edoardo),<br />

91, 446<br />

Colonna, principe, 173-174, 176,<br />

193, 209-210, 212, 242, 291,<br />

378,<br />

Colonna, principessa Giovanna<br />

d’Aragona, 160, 163, 459, 466<br />

Colonna Prospero, 378, 446<br />

Colonna, signoria, 12, 14, 91,<br />

101, 239, 242, 323, 374<br />

Columna, vedi Colonna<br />

Comarca di Roma, 424<br />

Communis Verulae, vedi Veroli<br />

Communis Viterbii, vedi Viterbo<br />

<strong>Comune</strong> di Alatri, vedi Alatri<br />

Conti, erario, 209<br />

Conti di Segni, 333, 446<br />

Conti, famiglia, 63, 325, 416, 425<br />

Conti Ildebrandino, 425


Indice dei nomi<br />

497<br />

Cordoba, 466<br />

Corneto, vedi Tarquinia<br />

Corrado di Sgurgola, 452<br />

Cortina Rocco, 216<br />

Cortonesi Alfio, 55, 94, 122, 156,<br />

199, 206, 357, 437, 442<br />

Costa Pietro, 308<br />

Costantini Francesco, 209<br />

Costantini Lorenzo, 36<br />

Costanza, 356<br />

Costituzioni Egidiane, 15, 334<br />

Cremona, 421<br />

Crescenzi Paolo, 75<br />

Crescenzo, vescovo di Alatri, 272<br />

Cristofanilli Carlo, 113-115, 118<br />

Cutolo Alessandro, 278<br />

D’Alatri Mariano, 27, 29, 467-<br />

469<br />

D’Amato Pietro, 325<br />

D’Ambrosi Pietro, 182<br />

Da Gandino Alberto, 313<br />

Dani Alessandro, 14, 18, 297,<br />

303, 309<br />

De Anzellotti Carlo Magno, 358<br />

De Bellis Ascanio, 39<br />

De Bono Regimine, Bolla<br />

Pontificia, 25<br />

de Ceccano, famiglia, 113-114,<br />

411, 425, 441<br />

de Ceccano Giovanni I, 113-114,<br />

411<br />

de Ceccano Giovanni III, 115<br />

De Giulij Giovan Battista, 81-84<br />

De Luca Giovanni Battista, 58,<br />

302<br />

De Marchis, notaio in Roma, 40<br />

De Matthias Michele, 475<br />

De Nobili Giovanni Maria, 195<br />

De Nobili Giulio, 197, 200-201<br />

De Paulis Roberto, 358<br />

De Paulis Rocco, 58, 372<br />

De Persiis Luigi, 337, 467-469<br />

De Rossi Giovanni Battista, 151-<br />

155, 401<br />

Delacercia, vedi Cercia, famiglia<br />

del Carretto Daniele, 468<br />

Delegazione Apostolica di<br />

Frosinone, archivio, 10, 12,<br />

76, 182, 184-189, 219-220,<br />

222, 224-225, 292-296, 426,<br />

447-448, 451<br />

Delegazione Apostolica di<br />

Frosinone, istituzione 182,<br />

185-186, 188, 219, 224, 253,<br />

292-294, 296, 383, 447-450,<br />

458, 464<br />

Della Valle Pietro Paolo, 440<br />

D’Estouteville, cardinale, 401<br />

Di Cosmo Marco, 10, 127, 131,<br />

159, 181, 233, 247, 291<br />

Di Fabio Giuseppe, 335, 342<br />

Di Simone Maria Rosa, 312<br />

Di Stefano Felice, 210<br />

Di Stefano Raimondo, 210<br />

Diallevalo, di Ceccano, 101<br />

Diurni Giovanni, 312<br />

Dogana di Velletri, 307<br />

Domenico di Bologna, 95, 102<br />

Domini Columnenses, vedi<br />

Colonna, famiglia<br />

Dominico de Porta de Bononia,<br />

vedi Domenico di Bologna<br />

Dominicus Ferratii, 52<br />

Dominicus Girardi, 270<br />

Dominicus Iohannis Gregorii,


498<br />

270<br />

Dondarini Rolando, 59, 207<br />

Doria Giovanni Battista, 339<br />

Duca d’Alba, vedi Alvarez di<br />

Toledo Ferdinando<br />

Duca dei Marsi, vedi Colonna<br />

Fabrizio<br />

Duca di Paliano, vedi<br />

Colonna Marco Antonio (o<br />

Marcantonio) II<br />

Ducato di Bracciano, 315<br />

Ducato di Paliano, vedi Paliano<br />

Dupré Theseider Eugenio, 271<br />

Egidius Blasii Donadei, 269<br />

Editto di Rotari, 315<br />

Egidi Pietro, 205, 442<br />

Enrico VI, 268<br />

Ermini Giuseppe, 153, 302-303<br />

Esch Arnold, 90, 277, 279-280,<br />

289, 304<br />

Eugenio III, 87<br />

Eugenio IV, 481, 487<br />

Fabi e Fabi, restauratori, 423,<br />

445, 458<br />

Fabrica, 297, 307<br />

Fabritius Columna, vedi Colonna<br />

Fabrizio<br />

Fabrizii Arduino Antonio, 148<br />

Fabrizio de Pontianis, 102<br />

Faenza, 274, 312<br />

Falco Giorgio, 88-90, 113, 261,<br />

263, 267-273, 275-278, 280,<br />

287, 467<br />

Falconi Antonio, 147<br />

Falvaterra, 173<br />

Fano, 303<br />

Fantappiè Carlo, 152<br />

Farinacci Prospero, 58<br />

Fedele Pietro, 386<br />

Federici Vincenzo, 102, 205, 299,<br />

357, 442<br />

Federico Dellalata, di Parma,<br />

275-276, 279<br />

Federico di Cecigliano, giurista,<br />

99<br />

Federico il Barbarossa, 356<br />

Felici Rotilio, 160<br />

Fenelli Maria, 87<br />

Ferentino, 14, 36-37, 131-134,<br />

136-138, 155, 261-262, 274,<br />

277, 297-301, 307, 309, 312-<br />

315, 322, 333, 335, 385-389,<br />

391-396, 398-400, 467<br />

Ferentino, podestà, 136<br />

Ferraioli Anna Maria, 127<br />

Ferrante Giovan Battista, 216<br />

Ferrante Renata, 441<br />

Ferrari Domenico, 52<br />

Ferro Francesco, 320<br />

Fiano, 297<br />

Fieschi Ludovico, 278, 288<br />

Filetici, famiglia, 139, 144-147,<br />

149<br />

Filetici Francesco, 144-145, 147-<br />

148<br />

Filetici, luogotenente, 145-147<br />

Filettino, 43, 146, 307<br />

Filippo de Mastro, 278<br />

Filippo di Mastro Cola, 334<br />

Filippo il Bello, 356<br />

Filipponi Tenderini Giovan<br />

Battista, 139-140, 143<br />

Finocchio Fabrizio, 36


Indice dei nomi<br />

499<br />

Fiorelli Piero, 313<br />

Fiorini Rossana, 10, 27, 55, 77,<br />

113, 191, 205<br />

Fiuggi, 139-145, 147, 149, 151-<br />

154, 156, 157, 173, 321, 401,<br />

403-409, 440<br />

Floridi, famiglia, 407<br />

Floridi Giuliano, 115, 140, 154-<br />

156, 272, 334, 357, 371, 388,<br />

394, 399, 401-403, 406<br />

Fondi, 89-90, 115, 239, 276-278,<br />

436, 472<br />

Fontana dei Silvestri, in Veroli,<br />

251<br />

Fontana, strada in Patrica, 190<br />

Fonte San Cesareo, 250-251, 265<br />

Forano, 297<br />

Fossae Novae, vedi Fossanova<br />

Fossanova, 113<br />

Francesco di Ceccano, 333<br />

Franchi Filippo, 171<br />

Franchi Francesco, 171<br />

Francia, 333<br />

Franciscus, magister di Castro<br />

dei Volsci, 101<br />

Frascati, 307<br />

Frosinone, 10, 11, 37, 56, 61, 63,<br />

185, 219, 247-249, 259, 274,<br />

277, 297, 336, 353, 387, 450,<br />

466<br />

Frosinone, governatore, 61, 259<br />

Frosinone, luogotenente, 56, 63<br />

Frosinone, tribunale, 185, 219,<br />

247-249<br />

Fumone, 37, 277, 289, 385<br />

Gabriel de Briscia, 100<br />

Gaeta, 101<br />

Galasso Giuseppe, 151<br />

Galgano di Sgurgola, 453<br />

Galloni Domenico Antonio, 79,<br />

83-85<br />

Galloni Giovanni, 210<br />

Galloni Vincenzo, 211<br />

Garcia di Toledo Alfonso, 356<br />

Gavotti, monsignore, 22, 26<br />

Gay Jules, 290<br />

Gemma Crescenzo, 129<br />

Genazzano, 91, 173, 205, 355,<br />

409, 442<br />

Gentilis de Gravitis, 265<br />

Geraldus de Valle, 269<br />

Gerardi Pietro Paolo, 17-21<br />

Germani Umberto, 115<br />

Giacoma, sorella del vescovo di<br />

Veroli, 290<br />

Giacomi Cristina, 14, 35<br />

Giacomo Buccacerza, 288<br />

Giacomo di Ceccano, 88<br />

Giacomo Isolani, 287<br />

Giacomo Tutii Belli, 275<br />

Giacomo, casa, 251<br />

Giacomo, magister e arciprete di<br />

Castro dei Volsci, 101<br />

Giammaria Gioacchino, 9, 57, 71-<br />

72, 94-95, 113, 122, 139, 166,<br />

181, 183, 187, 205, 212, 233,<br />

411-412, 426, 459-460<br />

Giffredo, rettore provinciale, 272<br />

Gigli Marco, 342, 359, 365<br />

Gioacchini Delfo, 307<br />

Giorgi Francesco, 36<br />

Giovanna D’Aragona 459, 463,<br />

466<br />

Giovanna di Antonio quondam<br />

Petrutii, 101


500<br />

Giovanna di Cola Stephani, 101,<br />

103<br />

Giovanni Antoni Perne, 275<br />

Giovanni Battista di Bologna,<br />

102<br />

Giovanni Battista Frate<br />

d’Anticoli, 147<br />

Giovanni Blasii Simeonis, 275<br />

Giovanni Buccacerza, 289<br />

Giovanni da Pierdeboni, 402, 406<br />

Giovanni de Caprinis, 287<br />

Giovanni de Papa, magister, 272<br />

Giovanni de Prato, 90, 277<br />

Giovanni de Vico, 270<br />

Giovanni di Perugia, 98<br />

Giovanni Normanno, 251, 265<br />

Giovanni Petri de Piperno, 289<br />

Giovanni XXIII, antipapa, 287-<br />

289, 441<br />

Giovannoni Aldo, 418<br />

Giovardi Vittorio, 273, 287<br />

Gisci Andrea, 359, 367-368<br />

Giuliano di Roma, 10, 159-162,<br />

173<br />

Giulio II, 403<br />

Gizzi Domenico Nicola, 211<br />

Gizzi, soprintendente di Ceccano,<br />

227, 230-231<br />

Gorda Marcantonio, 242<br />

Gorius Marulli, 269<br />

Gottifredo di Raynaldo, 333<br />

Gra, famiglia, 467<br />

Gradoli, 297<br />

Graziani Gerum, 452<br />

Graziosi Giuseppe, 223-225<br />

Gregorio VII, 87<br />

Gregorio IX, 334, 416, 446<br />

Gregorio XI, 89, 276, 334, 468<br />

Gregorio, vescovo di Veroli, 290<br />

Gregory, regola, 327, 329, 377,<br />

470, 481<br />

Grosseto, diocesi, 50, 53<br />

Gruppo di ricerca “Guido<br />

Cervati”, 156, 320<br />

Guadagnolo, 307<br />

Guarcino, 37, 145, 154-155, 288,<br />

298, 321, 402<br />

Guardia di Finanza, 417<br />

Guerra di Campagna, 173<br />

Guglielmi Bernardo, 129<br />

Guglielmi Crescenzo, 128<br />

Guidalotti Ubaldino, 90<br />

Guido, arciprete, 325<br />

Guillaume de Nogaret, 356<br />

Historia et ius, 18, 298<br />

Iacobelli Filippo, 36<br />

Iacobus Angeli Bave de<br />

Frusinone, 275<br />

Iacobus Antonius Matonis, 99<br />

Iacobus Bartolomei Boccaniri,<br />

265<br />

Iacobus Claranelli, 263<br />

Iacobus Mattei, 265<br />

Iacobus, dominus, 250, 265<br />

Impero, 7, 356<br />

Innocenzo III, 55, 113, 309, 334,<br />

371, 441<br />

Iohannes Amatonis, 264<br />

Iohannes Antonius Marci, 416<br />

Iohannes Bovis, 251, 265<br />

Iohannes Caldarario, 269<br />

Iohannes Casconis, 265<br />

Iohannes Franciscus Spada, 99<br />

Iohannes Iacobi Maximi de


Indice dei nomi<br />

501<br />

Piperno, 275<br />

Iohannes Leporis, 265<br />

Iohannes Loterii, 264<br />

Iohannes Normandi de Preturo,<br />

265<br />

Iohannes Sancti Nicolacti, 270<br />

Iorio Arturo, 291<br />

Istituto centrale per il catalogo<br />

unico delle biblioteche<br />

italiane e per le informazioni<br />

bibliografiche, 323<br />

Istituto di storia e di arte del<br />

Lazio meridionale, 10, 157<br />

Italia, 11, 240, 274, 313<br />

Iulianus de Amatis, 342<br />

Jemolo Viviana, 324<br />

Kantorowicz Hermann, 313<br />

La Mantìa Vito, 97<br />

La Torricella, località di Anagni,<br />

51-52<br />

Labande Edmond René, 90, 277<br />

Lacerenza Giancarlo, 90, 277<br />

Ladislao d’Angiò di Durazzo, 90,<br />

278, 333, 385, 477<br />

Lanaro Paola, 314<br />

Lanconelli Angela, 207<br />

Lando di Ripi, 441<br />

Landulfo, abate in Ceccano, 114<br />

Lanuvio, 160<br />

Latium, 27, 181, 212, 335, 425<br />

Laurentius Iohannes, 98<br />

Lauretti Antonio, 119-120<br />

Lauretti, fratelli in Vallecorsa, 79<br />

Lazio, 12, 88, 96, 122, 199, 206-<br />

207, 261, 263, 267, 285, 291,<br />

298, 320, 325, 357, 372, 381,<br />

416, 422, 425, 436-437, 442,<br />

453, 460, 468, 473, 477<br />

Lazio meridionale, 88-89, 113,<br />

115, 267-268, 272-273, 277,<br />

334, 372, 388, 401-402<br />

Le Bagnera, contrada in Anagni,<br />

43<br />

Le Carte e la <strong>Storia</strong>. Rivista di<br />

storia delle Istituzioni, 152<br />

Le Sterpette, macchia in Pofi,<br />

192, 195-197<br />

Leccagliossi, domus, 265<br />

Legambiente, circolo di Ripi, 441<br />

Legnano, 356<br />

Leo Giovan Francesco, 122<br />

Leonardo Buccacerza, 289<br />

Leonardus Martellacii, 265<br />

Leone X, 403<br />

Leonini Giovan Battista,<br />

governatore, 60-61<br />

Lepanto, 460<br />

Letizia Benedicti, 275<br />

Letus, fons vadi, 250, 264<br />

Liberati Francesco, 337<br />

Liberati Giovanni Francesco, 336<br />

Liberati Sisto, 31-32<br />

Liceo Ginnasio Conti Gentili, in<br />

Alatri, 27, 335, 340<br />

Liutprando, 315<br />

Lodolini Elio, 114<br />

Loffredo di Vetulo, 325<br />

Lolli Gaudioso, 171<br />

Lombardi Giuseppe, 84<br />

Lombardi, laboratorio e legatoria,<br />

367<br />

Lorenzo de Tallianiis, 383<br />

Luca, Dominus, 270


502<br />

Lucca, 96, 267<br />

Lucioli Giuseppe, 423<br />

Lunghi Lelio, 80<br />

Macchia del Signore, in Pofi, 192<br />

Macchia Piana, in Patrica, 186,<br />

189-190<br />

Macchia, in Pofi, 192, 194, 201-<br />

203<br />

Maccioni Matteo, 10, 13, 17, 43,<br />

139, 165, 173, 219, 227<br />

Mactheus Nicolai, 269<br />

Madonna, 344<br />

Madonna del Piano, località in<br />

Castro dei Volsci, 87<br />

Magliano, 307<br />

Magni Carlo, 368<br />

Magni Gioacchino, 188-189<br />

Maire Vigueur Jean-Claude, 96,<br />

267-268, 270-271, 273-274,<br />

277<br />

Manardi, di Patrica, 184<br />

Mancini (anche Mancino)<br />

Antonello, 239, 472-473<br />

Maniaci Marilena, 323-324<br />

Mannoni R., 450<br />

Manzi Aristeo, 36<br />

Manzoni Luigi, 151<br />

Marche, 96, 267<br />

Marella Domenico, 118<br />

Maria de Caczantibus, 275<br />

Maria di Bella Iohanne, 275<br />

Mariano d’Alatri, 27, 29, 300,<br />

334-336, 468-469<br />

Maria quondam Pauli, 98<br />

Maria SS. Assunta, festa, 228<br />

Marino, 173<br />

Marongiu Antonio, 303<br />

Martelli Giovanni, 122-123<br />

Martines Lauro, 311<br />

Martini Eugenio, 381, 384<br />

Martino calzolaro, 147<br />

Martino de Molina, 477-478, 481<br />

Martino IV, 88<br />

Martino V, 91, 132, 134-135,<br />

153, 385, 403, 425, 446, 479,<br />

481, 486<br />

Martinori Edoardo, 325, 371,<br />

374, 417, 425, 436, 453, 460,<br />

473, 477<br />

Marucci Vincenzo, 468<br />

Marzi Giuseppe, 454<br />

Marziale Tito, 70<br />

Masi, governatore in Pofi, 210<br />

Massa, località in Paliano, 174<br />

Mazzoli Francesco, 345<br />

Mei Pietro, 52<br />

Mélanges de l’École française de<br />

Rome. Moyen Âge, 267, 306,<br />

308<br />

Mellonj Francesco, 273<br />

Memorie della Pontificia<br />

Accademia dei Nuovi Lincei,<br />

153<br />

Menzinger Sara, 308<br />

Merolli Giustiniano, 129<br />

Mertel Teodolfo, 320, 326, 447,<br />

450, 453, 475-476<br />

Meus Infantocchi, 265<br />

Meus Petri, 265<br />

Migliore Martino, 243<br />

Ministero dell’Interno, 387<br />

Missorj Francesco Antonio, 193<br />

Modesto Giovanni, 36<br />

Modigliani Anna, 152<br />

Mola di Frosinone, 209


Indice dei nomi<br />

503<br />

Mola di Ripi, 209<br />

Molella, codice, 335<br />

Molella, famiglia 335-336, 469-<br />

471<br />

Molella Valerio, 336-337, 351,<br />

469, 471<br />

Molendinus de Cacciantibus,<br />

mulino in Veroli, 264<br />

Molendinus Petri Nigri, mulino<br />

in Veroli, 264<br />

Mollat Guillaume, 276<br />

Monte Fortino, 298<br />

Monte San Giovanni Campano,<br />

76<br />

Monte, località in Paliano, 178<br />

Montebuono, 298<br />

Montecassino, 87<br />

Montefeltro, 95<br />

Montefiascone, 298, 300<br />

Montelibretti, 298<br />

Montenero, castello in Castro dei<br />

Volsci, 87<br />

Montepulciano, 379, 383<br />

Monti Colombani Esuperanzio,<br />

184, 433<br />

Monti Domenico, 326, 329-330<br />

Montini Lauretus, 429-431<br />

Montopoli, 298, 315<br />

Morari Antonio Maria, 421<br />

Morelli Mirella, 324<br />

Morghen Raffaello, 357<br />

Morolo, 95, 165-166, 168-170,<br />

173, 323, 374, 411, 415, 417,<br />

437, 452-453<br />

Moroni Gaetano, 446<br />

Mulinaro Pompeo, 80<br />

Nanna Antonii Bubalelli, 98<br />

Nanna di Supino, 460<br />

Napoli, 90<br />

Narda Pitochi, vedi Pitocchi<br />

Narda<br />

Nardini Stefano, 402<br />

Nardoni Felice, 37-38<br />

Nardus de Sire, 270<br />

Nardus Girardi, 269<br />

Nardus Iacobi Leonardi, 270<br />

Nardus Pauli Cellarari, 269<br />

Neccia Antonio, 18<br />

Nemi, 307<br />

Nettuno, 307<br />

Niccolò IV, 441<br />

Niccolò V, 152, 481, 487<br />

Nicola Buccacerza, 288<br />

Nicola di Ripi, 98<br />

Nicola Gualterii, magister, 271<br />

Nicola III, 290<br />

Nicola Scottus, di Veroli, 272<br />

Nicola, vescovo di Veroli, 90<br />

Nicolao Antonio de Victoriis, 336<br />

Nicolaus de Victoriis, 344<br />

Nicolaus Cercie, 265<br />

Nicolaus Colę Acciach, 416<br />

Nicolaus Iohannis de Roma de<br />

Anagnia, 270<br />

Nicolaus Mazarante, 269<br />

Nicolaus Perronis, 250, 264-265<br />

Nicolaus quondam Pauli, 98<br />

Norma, 307<br />

Notari Sandro, 14, 27, 55, 57-59,<br />

93, 122, 151-152, 156, 181,<br />

199, 206-207, 302, 304, 326,<br />

335, 425, 427, 437, 442<br />

Nunez, monsignore, 21<br />

Ognissanti, festa, 133


504<br />

Olevano Romano, 14, 97, 105-<br />

112<br />

Oliveri Luigi, 295<br />

Orsini Colonna Felice, 352, 354,<br />

356-357, 379, 402, 403, 405<br />

Orsini, famiglia, 305<br />

Ortalli Gherardo, 313<br />

Orte, 307<br />

Osorio Giovanni, 38<br />

Pace di Costanza, 356<br />

Pace Domenico, 458<br />

Pacitti Licurgo, 173, 175-176<br />

Paggi d’Anagni, 147<br />

Pagliaro Palombo, località in<br />

Villa Santo Stefano, 295<br />

Pagnalini, funzionario, 419<br />

Palatta Carlo, 383<br />

Palazzo Spada, in Roma, 151<br />

Palestrina, 307, 315<br />

Paliano, 173-179, 323, 375, 416,<br />

424, 436, 442, 446, 452<br />

Pallacius, governatore di Paliano,<br />

424<br />

Pallavicino Paolo, 463, 466, 472<br />

Palmegiani Eugenio, 62<br />

Palombi Marco, 81-82, 84-85<br />

Panfilj, cardinale, 33<br />

Paolo II, 386<br />

Paolo III, 115<br />

Paolo IV, 173, 416<br />

Papa Farnese, vedi Paolo III<br />

Papato, 356, 454<br />

Papetti Edoardo Aldo, 115<br />

Paravicini Bagliani Agostino, 311<br />

Parisi Nicola, 216<br />

Parisio Candidoro, 358, 361<br />

Parma, 274-275, 279<br />

Pascucci Paola, 87<br />

Patrei, uditore in Ceccano, 118<br />

Patrica, 27, 173, 181-183, 185-<br />

186, 188-189, 212, 307, 322,<br />

335, 425-427, 429-434<br />

Patrica, priore, 182, 184, 188-190<br />

Paulus Calandre, 269<br />

Paulus Cole Iacobi Simeonis, 98<br />

Paulus Domine Imperatisse, 265<br />

Paulus Froscie, 270<br />

Paulus Ursini, 342<br />

Pellegrini Gregorio, 248<br />

Pelloni Molella Flavia, 338<br />

Percile, 307<br />

Persi Filippo, 431<br />

Pertz Georg Heinrich, 113, 270,<br />

467<br />

Perugia, 98-99, 301<br />

Pesci, sindaco, 438<br />

Petramellara, 38<br />

Petrellus, di Veroli, 270<br />

Petrucci Armando, 323-324<br />

Petrucci Franca, 94, 101<br />

Petrus Antonii Abbatis de Nursia,<br />

416<br />

Petrus Capriolis, 265<br />

Petrus Celani, 264<br />

Petrus lea de Piperno, 269<br />

Petrus Leonardi, 270<br />

Petrus Mathei, 266<br />

Pevezze Petrus, 141<br />

Philippus Egidii, 269<br />

Piditto, della curia anagnina, 52<br />

Pieralisi A., 87<br />

Pietr’Andrea, monte in Villa<br />

Santo Stefano, 295<br />

Pietra, uditore, 209<br />

Pietro Angelo de Campagna, 290


Indice dei nomi<br />

505<br />

Pietro Antonii Ambrosii, 104<br />

Pietro Buccaserza, 289<br />

Pietro de Caczantibus, 275<br />

Pietro Eremita, di Bauco 272<br />

Pietro Niger, 264<br />

Pietro, scriniarius, 271<br />

Pietrobono Sabrina, 87<br />

Piglio, 103, 173, 274, 298, 325<br />

Pinti Paolo, 76<br />

Pio IV, 436<br />

Pio V, 191, 416<br />

Pio VI, 56-57, 62, 196, 372-373,<br />

387, 392<br />

Pio VII, 220, 240, 442<br />

Pio IX, 332, 423, 433, 445<br />

Piperno, vedi Priverno<br />

Pisa Arturo. 467<br />

Pitocchi Narda, 43-44<br />

Pitocco Antonio, 147<br />

Pofi, 95, 162, 191-203, 320, 323,<br />

375, 417, 436-438, 440<br />

Pofi, governatore o uditore, 193-<br />

195, 198, 200, 210<br />

Poggio Catino, 298<br />

Pollastri Silvye, 115, 414<br />

Pompili Filippo, 21, 326, 328<br />

Pontecorvo, 72, 298<br />

Pontri Francesca, 11, 94, 319<br />

Porcari Stefano, 151-152, 154,<br />

402<br />

Portici Vincenzo, 41, 358<br />

Pozzi Egidio, 234<br />

Presidenza della Comarca di<br />

Roma, 424<br />

Priverno, 261, 269, 274-275, 289,<br />

290<br />

Prospero de Camilly, 128<br />

Prospero de Lutiis, 325<br />

Provincia romana, 7, 191, 299,<br />

325, 357, 371, 374, 385, 401,<br />

411, 416, 422, 425, 436, 441,<br />

442, 446, 453, 460, 473<br />

Quiñones de Leon Francesco,<br />

476<br />

Raimondo di Guglielmo de<br />

Bolderiis, 88<br />

Ramadori Cesare, 115, 437<br />

Ramati Agostino, 51<br />

Rampalli Pellegrino, 104<br />

Rapelli Domenico, 147<br />

Rassegna degli Archivi di Stato,<br />

324<br />

Ravizza, governatore, 253, 256,<br />

258-259<br />

Re Camillo, 151<br />

Regione Lazio, 7, 9, 10<br />

Regione romana, vedi Provincia<br />

romana<br />

Regno d’Italia, 336<br />

Regno di Napoli, 239, 422,<br />

Regno di Sicilia, 55<br />

Rendiconti della Reale<br />

Accademia dei Lincei. Classe<br />

di scienze sociali, storiche e<br />

filologiche, 154<br />

Renzoni Michelangiolo, 171<br />

Repubblica di Siena, 298, 303<br />

Repubblica Romana, 467<br />

Reti Medievali Rivista, 306<br />

Reverenda Camera Apostolica,<br />

vedi Camera Apostolica<br />

Rezzonico Carlo, 56<br />

Ricardus Calzolario, 269<br />

Riccardi Giacomo Antonio, 119


506<br />

Riccardo de Sabinianis, 275<br />

Riccardo di Ripi, 441<br />

Ricchi Cesare, 36<br />

Rieti, 14, 298-303, 307, 309-313<br />

Rignano, 298<br />

Rinaldi Luca, 202<br />

Rinaldo di Supino, 356<br />

Riparum, vedi Ripi<br />

Ripi, 91, 98, 100, 123, 125, 162,<br />

173, 202, 205-213, 217, 322,<br />

437, 441-445<br />

Ripi, governatore, 209-212<br />

Rivista Storica del Lazio, 55, 57,<br />

93, 120, 156, 199, 206, 357,<br />

437, 442<br />

Rizzardi Giacomo Antonio, 83,<br />

195<br />

Robert de Genevois, vedi<br />

Clemente VII Antipapa<br />

Roberto, detto Zerza, 290<br />

Rocca di Cave, 173<br />

Rocca di Papa, 173<br />

Rocca, in Paliano, 178<br />

Roccamassima, 315<br />

Roccantica, 205, 442<br />

Rocchi Alessandro, 220, 428<br />

Roggeroni, vinea, 265<br />

Roma, 7-8, 27, 40, 56, 68, 89, 97,<br />

100, 102, 151, 191, 267, 274,<br />

297, 301-309, 311, 313-317,<br />

320, 325, 327, 333, 336-337,<br />

345, 380, 386, 411, 418-419,<br />

423,-424, 447, 454, 461, 474<br />

Romana Mater, 334<br />

Romano Andrea, 314<br />

Ronciglione, 14, 298, 300, 303,<br />

307, 310, 313<br />

Roncilionis, vedi Ronciglione<br />

Rotondo Giovanni, 128<br />

Roviano, 357<br />

Ruspantini Massimo, 307<br />

S. Andrea in Selci, 357<br />

S. Andrea, chiesa collegiata in<br />

Paliano, 175<br />

S. Andrea, festa, 197, 200, 203<br />

S. Andrea, vigneto in Veroli, 251<br />

S. Angelo, 298<br />

S. Angelo, festa in maggio, 176<br />

S. Angelo, festa in settembre, 176<br />

S. Antonio Abate, 181<br />

S. Bartolomeo di Trisulti, vedi<br />

Certosa di Trisulti<br />

S. Caterina da Siena, 304<br />

S. Erasmo, chiesa in Veroli, 336,<br />

345<br />

S. Erasmus, passo in Veroli, 265<br />

S. Eustachio, chiesa, 288<br />

S. Giorgio al Velabro, chiesa in<br />

roma e cardinale, 272, 333<br />

S. Giovanni Battista, festa in<br />

giugno, 227<br />

S. Magno, 50, 51<br />

S. Maria Maddalena, ospedale in<br />

Veroli, 278<br />

S. Maria, possedimento in<br />

Anagni, 43<br />

S. Mauro, 455<br />

S. Michele Arcangelo, festa in<br />

settembre, 197<br />

S. Oliva, chiesa in Castro dei<br />

Volsci, 101-102<br />

S. Oreste, 298<br />

S. Secondina, 40, 50, 51<br />

S. Sisto I, 337, 344<br />

Sabelli Sebastiano, 49


Indice dei nomi<br />

507<br />

Sabina, 88, 113, 267, 315<br />

Sacchetti Arcangelo, 239, 242,<br />

472, 474<br />

Sacchetti Sassetti Angelo, 333-<br />

334<br />

Sacco, fiume, 227-228<br />

Saccomuro, 357<br />

Sacra Congregatione Boni<br />

Regiminis, vedi Buon<br />

Governo<br />

Sacra Congregazione del Buon<br />

Governo, vedi Buon Governo<br />

Sacra Congregazione Economica,<br />

124-125, 201<br />

Sacra Consulta, 31, 33, 126, 191,<br />

245, 248, 253, 258-259, 437<br />

Sacra Rota, 299, 386, 477<br />

Sactilis, domus, 265<br />

Salvatore Collepardis, 99<br />

Sambucini Giovanni Battista,<br />

225-226<br />

San Lorenzo, vedi Amaseno<br />

San Luca, località in Paliano, 174<br />

San Polo de’ Cavalieri, 298<br />

San Vincenzo al Volturno, 87<br />

Sanctus Nicolatii, 265<br />

Sanctus Salvator, contrada di<br />

Castro dei Volsci, 103<br />

Sanctus Spiritus, foresta, 478<br />

Sanctus Stephanus, vedi Villa<br />

Santo Stefano<br />

Sanfilippo Isa Lori, 306<br />

Santa Sede, 59, 374, 477<br />

Santacroce, famiglia, 425<br />

Santacroce Francesco, 425<br />

Santo Stefano, vedi Villa Santo<br />

Stefano<br />

Saracinisco, 307<br />

Savelli, famiglia, 305<br />

Sbriccoli Mario, 313<br />

Scaccia Scarafoni Camillo, 87,<br />

268-270<br />

Scaccia Scarafoni Paolo, 14, 77-<br />

78, 85, 87-88, 91, 95, 97, 261,<br />

374, 378, 478, 481<br />

Sciarra Colonna, 379<br />

Scotoni Lando, 56<br />

Scurgola, vedi Sgurgola<br />

Sebastiano, notaio e contestabile<br />

in Anagni, 358<br />

Sebastiānus ser Francisci<br />

Iohannis, 98, 103<br />

Segnatura Apostolica, 126<br />

Segneri Paolo, 51<br />

Segni, 325, 446<br />

Selva della Monticella, località in<br />

Castro dei Volsci, 79<br />

Selva, località in Paliano, 175<br />

Seminario di Veroli, 337<br />

Senato, 288<br />

Seneca Antonio, 19<br />

Serrone, 11, 14, 173, 219-225,<br />

322, 446-451<br />

Serrone, località in Villa Santo<br />

Stefano, 295<br />

Settia Aldo Angelo, 313-314<br />

Sezze, 88, 261<br />

Sezzese Pietro Paolo, 36<br />

Sforza, famiglia, 378<br />

Sgurgola, 173, 227-231, 453-459<br />

Sgurgola, governatore, 227, 230<br />

Siena, 298, 303-304<br />

Sigismondi Francesca Laura, 315<br />

Sigismondo de Bologna (di<br />

Bologna), 102<br />

Silvestrelli Giulio, 90, 97, 278,


508<br />

325, 333, 371, 374, 385, 401,<br />

411, 416, 425, 436, 441, 446,<br />

453, 459, 472, 476<br />

Simolus, di Veroli, 250-255, 264,<br />

266<br />

Simone de Valentone, 101<br />

Sinigallia, 343<br />

Sistema bibliotecario e<br />

documentario Valle del Sacco,<br />

7, 9, 10, 319<br />

Sisto IV, 91, 94, 98, 101, 115<br />

Sisto V, 342, 358<br />

Società di studj e documenti di<br />

storia e diritto, 154<br />

Società geologica italiana, 153<br />

Solli Giuseppe, 81-83<br />

Sonnino, 173<br />

Sora, 55<br />

Spagna, 173<br />

Spani Filippo Maria, 194<br />

Spezza Ercole, 186, 188-190<br />

Spezza, famiglia, 425-426<br />

Spezza Francesco Antonio Abate,<br />

431<br />

Spiliati Andrea, 88<br />

Stato della Chiesa, 18, 88, 272,<br />

275, 298, 303<br />

Stato di Pofi, 173, 413<br />

Stato Pontificio, 9, 11, 17, 55,<br />

115, 124, 173, 239, 320, 327,<br />

333-334, 401, 411, 474<br />

Stato Pontificio, Ministro per gli<br />

affari interni, 411<br />

Stato Pontificio, Segreteria per<br />

gli affari interni, 387<br />

Statuti Augusto, 153<br />

Stefano, canonico di Alatri, 272<br />

Stephanus Mei Iohannis, 270<br />

Stevenson Henry (Enrico) jr.,<br />

155, 401<br />

Strassoldo Panfilo, 390<br />

Stratigopulo Giovanni Maria, 476<br />

Studi e documenti di storia e<br />

diritto, 151<br />

Subiaco, 10, 78-79, 102, 146,<br />

159-160, 177, 191-192, 205,<br />

229, 233, 240, 242, 321, 357,<br />

416-418, 442, 446, 454, 456,<br />

474<br />

Supino, 95, 173, 233-234, 236-<br />

237, 323, 375, 411, 417, 452,<br />

459-466<br />

Sutri, 298<br />

Syluetre fons, 251<br />

Tafani Domenico Antonio, 84<br />

Tagnani Giovanni Battista, 336,<br />

353<br />

Tagliacozzo, 436<br />

Tagliaferri Vincenzo Maria, 211<br />

Tarquinia, 307<br />

Tecchiena, 321-322, 333, 351,<br />

468-472<br />

Teretum, 113<br />

Terisse, uditore in Ceccano, 118<br />

Terra Popharum, vedi Pofi<br />

Terra Supini, vedi Supino<br />

Terre della Chiesa, 302<br />

Terreni del Monte, località in<br />

Paliano, 175<br />

Testaccio, località in Roma, 314<br />

Tevere, 302, 316<br />

Theiner Augustin, 153<br />

Ticconi Mario, 18, 326-327<br />

Tito Marziale, 70<br />

Tivoli, 14, 37, 205, 298-300,


Indice dei nomi<br />

509<br />

302-303, 307, 309-310, 313-<br />

315, 442<br />

Todiscus Giacomo, 99<br />

Todiscus Nicola, 99<br />

Tolfa, 307<br />

Tomaso, vescovo di Veroli, 269<br />

Tomassetti Francesco, 205, 208,<br />

441-442<br />

Tommasini Oreste, 154<br />

Tommaso de’ Latini, 336, 345<br />

Tonelli Gaspare, 116<br />

Torelli Michele, 36, 330<br />

Torelli, uditore, 169<br />

Torre di Massimo, località in<br />

Veroli, 278<br />

Torrice, 269, 307<br />

Toscana, 298, 306, 311, 314<br />

Toscanella, 298<br />

Toubert Pierre, 88, 113, 267<br />

Trambusti Alessandro, 22, 24-26<br />

Tranelli Vincenzo, 291<br />

Trani Francesco, 128<br />

Tranquilli Enrico, 414<br />

Tranquilli Michele, 412, 415<br />

Trattato di Cave, 173<br />

Trevico, 289<br />

Trevi nel Lazio, 145, 155<br />

Trivigliano, 173, 333<br />

Trovalli Angiolo Antonio, 409<br />

Tucci Savo Giovanni, 418<br />

Turina I., 51<br />

Turri Antonio, 36<br />

Tuscia, 285<br />

Tutij Lorenzo, 34<br />

Tutius Butii, 270<br />

Tutius Honufrii, 270<br />

Tuzi, famiglia, 468<br />

Umbria, 96, 267<br />

Ungari Paolo, 156, 298, 320, 381,<br />

468<br />

Università LUISS, in Roma, 156,<br />

320<br />

Urbano II, 17, 87<br />

Urbano V, 276<br />

Urbano VI, 89-90, 276-277<br />

Urbano, vescovo di Senigallia,<br />

343<br />

Urbino, 326<br />

Vaccari Pietro Antonio, 117<br />

Valentano, 307<br />

Valenti Giovanni Battista, 217,<br />

445<br />

Valenti Rocco, 216<br />

Valle del Sacco, 3, 7, 9, 10, 319,<br />

322<br />

Valle S. Giovanni, località in<br />

Torrice, 269<br />

Vallecorsa, 79, 173, 239-246,<br />

378, 472-475<br />

Vallecorsa, fattore, 243<br />

Vallecursae, vedi Vallecorsa<br />

Vallerani Massimo, 308, 312<br />

Varanini Gian Maria, 59, 207,<br />

314<br />

Varraccani, località in Patrica,<br />

189<br />

Velletri, 14, 274, 298, 300, 302,<br />

306-307, 309-311, 314, 477<br />

Vendittelli Marco, 131, 137, 262,<br />

299, 385-386<br />

Venticelli Maria, 59, 207<br />

Verdera Y Tuells Evelio, 303<br />

Verghetti, famiglia, 402<br />

Verghetti Michelangelo, 410


510<br />

Veroli, 14, 27, 36, 69, 87, 89, 99,<br />

155, 201, 205, 247-259, 261-<br />

280, 287-290, 307, 322, 336,<br />

343, 476-486<br />

Veroli, governatore, 253-254,<br />

256, 258-259<br />

Veroli, podestà, 274, 288<br />

Veroli, vescovo, 87, 90, 205, 269,<br />

290<br />

Verulanus, vedi Veroli<br />

Vetralla, 307, 311<br />

Viterbo, 14<br />

Via Appia antica, 7<br />

Via Appia, 236<br />

Via Casilina, 7<br />

Via Latina, 7<br />

Vian Paolo, 151<br />

Vico nel Lazio, 155, 173, 270<br />

Vico, vedi Vico nel Lazio<br />

Vicovaro, 419<br />

Villa Santo Stefano, 6, 10, 100,<br />

173, 291-295<br />

Vincentius Ambrosetti, 368<br />

Vincentius Bavari, vedi Bavari<br />

Vincenzo<br />

Vincentius Ciccotti, 368<br />

Viola Federico, 55, 94, 122, 156,<br />

199, 206, 357, 437, 442<br />

Viterbo, 14, 298-302, 305, 307-<br />

312, 314, 357<br />

Vitiliani Giuseppe Maria, 129<br />

Vlorë, 289<br />

Waley Daniel, 271<br />

Zaccaria, vescovo di Assisi. 267<br />

Zappasodi Pietro, 35-37<br />

Zauli Domenico, 312<br />

Zeferini, uditore, 209<br />

Zinanni Dante, 251, 257, 477<br />

Zorzi Andrea, 311


IMMAGINI


512


513<br />

Acuto, Archivio storico comunale, Statuto di Acuto, Preunitario, b. 1 reg. 1, piatto anteriore


514<br />

Acuto, Archivio storico comunale, Statuto di Acuto, Preunitario, b. 1, reg. 1, dettaglio della legatura


515<br />

Acuto, Archivio storico comunale, Statuto di Acuto, Preunitario, b. 1, reg. 1, c. 39v


516<br />

Acuto, Archivio storico comunale, Statuto di Acuto, Preunitario, b. 1, reg. 1, c. 39v


ASRm, Statuto di Acuto, Coll. Statuti, stat. 939, frontespizio<br />

517


518<br />

Alatri, Museo Civico, Statuto di Alatri, frontespizio


Alatri, Museo Civico, Statuto di Alatri, c. 3r<br />

519


520<br />

Alatri, Biblioteca Molella, Statuto di Alatri, segn. I. 5, frontespizio


Alatri, Biblioteca Molella, Statuto di Alatri, frontespizio<br />

521


522<br />

Alatri, Biblioteca Molella, Statuto di Alatri, c. 101r


Alatri, Biblioteca Molella, Statuto di Alatri, incipit<br />

523


524<br />

ASRm, Statuto di Alatri, Coll. Statuti, stat. 842, c. 1r


Veroli, Biblioteca Giovardiana, Statuto di Alatri, MS 42.2.16<br />

525


526<br />

Veroli, Biblioteca Giovardiana, Statuto di Alatri, MS 42.2.16


Veroli, Biblioteca Giovardiana, Statuto di Alatri, MS 42.2.16<br />

527


528<br />

Veroli, Biblioteca Giovardiana, Statuto di Alatri, MS 42.2.16


Veroli, Biblioteca Giovardiana, Statuto di Alatri, MS 42.2.16<br />

529


530<br />

Biblioteca del Senato, Statuto di Tecchiena, Statuti mss. 699, incipit


Biblioteca del Senato, Statuto di Tecchiena, Statuti mss. 699, c.2r<br />

531


532<br />

Biblioteca del Senato, Statuto di Tecchiena, Statuti mss. 699, explicit


Alatri, Biblioteca Molella, Statuto di Tecchiena, segn. I. 4, frontespizio<br />

533


534<br />

Alatri, Biblioteca Molella, Statuto di Tecchiena, segn. I. 4, incipit


Anagni, già Archivio storico comunale, Statuto di Anagni, frontespizio<br />

535


536<br />

ASRm, Statuto di Anagni, Coll. Statuti, stat. 444, c. 1r


ASRm, Statuto di Anagni, Coll. Statuti, stat. 640, c. 1r<br />

537


538<br />

ASRm, Statuto di Anagni, Coll. Statuti, stat. 816.12, c. 1r


Biblioteca del Senato, Statuto di Anagni, Statuti mss. 169, c. 45r<br />

539


540<br />

Biblioteca del Senato, Statuto di Anagni, Statuti mss. 169, c. 178v


ASRm, Statuto di Bauco, Camerale III, sec. XV-XIX, b. 349, c. 1r<br />

541


542<br />

ASRm, Statuto di Bauco, Camerale III, sec. XV-XIX, b. 349, c. 2v


Castro dei Volsci, Archivio storico comunale, Statuto di Castro dei Volsci<br />

543


544<br />

Castro dei Volsci, Archivio storico comunale, Statuto di Castro dei Volsci


ASRm, Statuto di Castro dei Volsci, Coll. Statuti, stat. 502.08, c. 28r<br />

545


546<br />

ASRm, Statuto di Castro dei Volsci, Coll. Statuti, stat. 815.07, c. 1r


Biblioteca del Senato, Statuto di Ferentino, Statuti mss. 89, c. 3r<br />

547


548<br />

Biblioteca del Senato, Statuto di Ferentino, Statuti mss. 89, c. 39r


Biblioteca del Senato, Statuto di Ferentino, Statuti mss. n. 89<br />

549


550<br />

ASRm, Statuto di Ferentino, Coll. Statuti, stat. 532, c. 5r


ASRm, Statuto di Ferentino, Coll. Statuti, stat. 532, c. 1r<br />

551


552<br />

ASRm, Statuto di Ferentino, Coll. Statuti, stat. 532, c. 3r


ASRm, Statuto di Ferentino, Coll. Statuti, stat. 532, c. 33r<br />

553


554<br />

Ferentino, Archivio storico comunale, Statuto di Ferentino, Preunitario, b. 139 f. 378,<br />

frontespizio


555<br />

Ferentino, Archivio storico comunale, Statuto di Ferentino, Preunitario, b. 139 f. 378, c. 4v


556<br />

Biblioteca del Senato, Anticoli di Campagna (Fiuggi), Statuto di Fiuggi, Statuti mss. 742, incipit


557<br />

Biblioteca del Senato, Anticoli di Campagna (Fiuggi), Statuto di Fiuggi, Statuti mss. 742, explicit


558<br />

Biblioteca del Senato, Anticoli di Campagna (Fiuggi), Statuto di Fiuggi, Statuti mss. 742, c. 6v-7r


ASFr, sezione di Anagni-Guarcino, Statuto di Fiuggi, Coll. Statuti, n. 6, c. 5r<br />

559


560<br />

ASRm, Statuto di Morolo, Coll. Statuti, stat. 802.6, c. 1r


Paliano, Archivio storico comunale, Statuto di Paliano, Preunitario, b. 1 reg. 1, incipit<br />

561


562<br />

Paliano, Archivio storico comunale, Statuto di Paliano, Preunitario, b. 1 reg. 1, frontespizio


Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica,<br />

Archivio Colonna, Statuto di Paliano, III MC 2, n. 18, incipit<br />

563


564<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica,<br />

Archivio Colonna, Statuto di Paliano, III MC 2, n. 18, c. 2r


ASRm, Statuto di Paliano, Coll. Statuti, stat. 805.6, frontespizio<br />

565


566<br />

ASRm, Statuto di Paliano, Coll. Statuti, stat. 805.6, c. 59r


567<br />

ASRm, Statuto di Patrica, Sacra Congregazione del Buon Governo, II, b. 3347 (1775-1785),<br />

copia A, incipit


568<br />

ASRm, Statuto di Patrica, Sacra Congregazione del Buon Governo, II, b. 3347 (1775-1785),<br />

copia B, incipit


ASRm, Statuto di Patrica, Coll. Statuti, stat. 822.12, c. 1r<br />

569


570<br />

Biblioteca del Senato, Statuto di Patrica, Statuti mss. 418, frontespizio


571<br />

Biblioteca del Senato, Statuto di Patrica, Statuti mss. 418, incipit


572<br />

Biblioteca del Senato, Statuto di Patrica, Statuti mss. 418, explicit


ASRm, Statuto di Pofi, Coll. Statuti, stat. 831, c. 1r<br />

573


574<br />

ASRm, Statuto di Pofi, Coll. Statuti, stat. 831, c. 13v-14r


ASRm, Statuto di Pofi, Coll. Statuti, stat. 831, c. 50v<br />

575


576<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica,<br />

Archivio Colonna, Statuto di Ripi, III BB, Perg. XLVI, n. 125 (parte in alto)


Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica,<br />

Archivio Colonna, Statuto di Ripi, III BB, Perg. XLVI, n. 125 (parte in basso)<br />

577


578<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio Colonna, Statuto di Ripi, III BB, Perg. XLVI, n. 125


ASRm, Statuto di Ripi, Coll. Statuti, stat. 805.9, c. 121r<br />

579


580<br />

ASRm, Statuto di Ripi, Coll. Statuti, stat. 805.9, c. 124v


ASFr, Statuto di Serrone, Delegazione Apostolica, b. 1175, frontespizio<br />

581


582<br />

ASFr, Statuto di Serrone, Delegazione Apostolica, b. 1175, incipit


ASRm, Statuto di Serrone, Coll. Statuti, stat. 449.3, codice A, frontespizio<br />

583


584<br />

ASRm, Statuto di Serrone, Coll. Statuti, stat. 449.3, codice A, c. 1r


ASRm, Statuto di Serrone, Coll. Statuti, stat. 449.3, codice B, frontespizio<br />

585


586<br />

ASRm, Statuto di Serrone, Coll. Statuti, stat. 449.3, codice B, c. 1r


587<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio Colonna, Statuto di Sgurgola, III RB 1, n. 25 B, c. 1r


588<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio Colonna, Statuto di Sgurgola, III RB 1, n. 25 B, c. 69v-70r


589<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio Colonna, Statuto di Sgurgola, III RB 1, n. 25 A, frontespizio


590<br />

Subiaco, Biblioteca del monumento nazionale di S. Scolastica, Archivio Colonna, Statuto di Sgurgola, III RB 1, n. 25 A, c. 1r


ASRm, Statuto di Sgurgola, Coll. Statuti, stat. 810.12, frontespizio<br />

591


592<br />

ASRm, Statuto di Sgurgola, Coll. Statuti, stat. 810.12, c. 1r


Supino, Archivio storico comunale, Statuto di Supino, piatto anteriore<br />

593


594<br />

Supino, Archivio storico comunale, Statuto di Supino, incipit


595<br />

Supino, Archivio storico comunale, Statuto di Supino, c. 45r


596<br />

Supino, Archivio storico comunale, Statuto di Supino, explicit


ASRm, Statuto di Supino, Coll. Statuti, stat. 809.2, frontespizio<br />

597


598<br />

ASRm, Statuto di Supino, Coll. Statuti, stat. 809.2, c. 1r


ASRm, Statuto di Supino, Coll. Statuti, stat. 809.2, c. 39r<br />

599


600<br />

ASRm, Statuto di Vallecorsa, Coll. Statuti, stat. 801.5, c. 1r


601<br />

Veroli, Archivio storico comunale, Statuto di Veroli, Preunitario b. 1 reg. 1, tabula


602<br />

Veroli, Archivio storico comunale, Statuto di Veroli, Preunitario b. 1 reg. 1, incipit


603<br />

Veroli, Archivio storico comunale, Statuto di Veroli, Preunitario b. 1 reg. 1, explicit


604<br />

Veroli, Archivio storico comunale, Statuto di Veroli, Preunitario b. 1 reg. 2, frontespizio


Veroli, Archivio storico comunale, Statuto di Veroli, Preunitario b. 1 reg. 2, incipit<br />

605


606<br />

Veroli, Archivio storico comunale, Statuto di Veroli, Preunitario b. 1 reg. 2, colophon


Biblioteca di Latium<br />

1. Lo Statuto di Supino, edizione a cura di GIOACCHINO GIAMMARIA, Anagni 1986.<br />

2. Scritti in onore di Filippo Caraffa, Anagni 1986.<br />

3. ITALO BIDDITTU-MARCELLO RIZZELLO, Contributi alla storia di Vicalvi, Anagni 1987.<br />

4. GIOACCHINO GIAMMARIA, Le proprietà dei benedettini sublacensi in Campagna:<br />

Alatri, Anagni e Fiuggi, Anagni 1987.<br />

5. Lo Statuto di Collepardo, edizione a cura di GIOACCHINO GIAMMARIA E TOMMASO<br />

CECILIA, Anagni 1988.<br />

6. FILIPPO CARAFFA, <strong>Storia</strong> di Filettino, I, Anagni 1989.<br />

7. FILIPPO CARAFFA, <strong>Storia</strong> di Filettino, II, Anagni 1989.<br />

8. Gli Statuti di Castro, edizione a cura di PAOLO SCACCIA SCARAFONI, Anagni 1989.<br />

9. Anticoli di Campagna (Fiuggi) alla metà del Settecento. La fondazione delle Maestre<br />

Pie, Anagni 1989.<br />

10. Scritti in memoria di Giuseppe Marchetti Longhi, I, Anagni 1990.<br />

11. Scritti in memoria di Giuseppe Marchetti Longhi, II, Anagni 1990.<br />

12. EUSEBIO CANALI, Cenni storici della Terra di Morolo [coll’edizione dello Statuto del<br />

1610], ediz. a cura di GIOACCHINO GIAMMARIA, Anagni 1990.<br />

13. ANTONIO DI FAZIO, L’inchiesta Jacini nel circondario di Gaeta: la monografia di E.<br />

Sorrentino, Anagni 1991.<br />

14. GIAMPIERO RASPA, La santa avventura delle sorelle Faioli, Anagni 1992.<br />

15. MARCELLO STIRPE, Verulana civitas, Anagni 1997.<br />

16. MARCELLO STIRPE, Verulana ecclesia, Anagni 2001.<br />

17. DOMENICO ANTONIO PIERANTONI, Aniene illustrato, a cura di GIOACCHINO GIAMMARIA<br />

con la collaborazione di GIAMPIERO RASPA, Anagni 2003.<br />

18. SILVIO DE SANTIS, San Paterniano di Ceprano (1329-1337), Anagni 2008.<br />

19. L’economia in età moderna sui Lepini orientali e centrali, a cura di GIOACCHINO<br />

GIAMMARIA, Anagni 2008.<br />

20. Insediamenti medioevali sui Lepini orientali e centrali, a cura di GIOACCHINO<br />

GIAMMARIA, Anagni 2008.<br />

21. <strong>Storia</strong> <strong>Comune</strong>. Gli statuti comunali antichi nel Lazio meridionale, a cura di<br />

GIOACCHINO GIAMMARIA, Anagni 2017.<br />

ISBN: 978-88-909212-6-1

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