Il Venerdi di Repubblica Luglio 2017

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ESTERI PENTIMENTI L’EX NAZI INSEGNA AI JIHADISTI AD AMARE di Daniele Castellani Perelli Era capo di un noto gruppo skinhead di Chicago, ora Christian Picciolini aiuta estremisti di ogni tipo a uscire dal tunnel. Anche gli islamici. «Rabbie diverse» dice «ma l’odio è lo stesso» iente hot dog e patatine, solo sandwich alla Nutella. Un cognome impronunciabile, stor- N piato dai compagni in modi osceni. E poi due genitori italiani – padre barbiere e madre ristoratrice, immigrati da Ripacandida, Potenza – che lavorando sodo non erano mai a casa. Nella Chicago di metà anni Ottanta, Christian Picciolini si sentiva un adolescente solo e strano, più solo e strano degli altri. «Volevo soltanto essere accettato, ma ero troppo italiano per gli americani, e troppo americano per la mia famiglia» ci racconta da Chicago. «I bulli mi deridevano. Per ignoranza, paura del diverso e insicurezza adolescenziale. E alla fine mi misero in crisi, mi fecero sentire così impotente da spingermi a cercare un’identità più forte». Fosse vissuto davanti a una scuola di danza, ha raccontato, magari sarebbe diventato un grande ballerino. Invece di Nureyev, però, Christian incontrò Hitler. Fu una sera, aveva 14 anni. Se ne stava rintronato in un vialetto, tutto fumato, quando sentì un colpo di pistola. Da una Pontiac Firebird uscì un tizio con la testa rasata e gli anfibi neri, gli andò incontro, gli strappò la canna dalle labbra e gli urlò: «È questo che vogliono i comunisti e gli ebrei! È così che ti tengono sotto controllo! Salverò la tua fottuta vita, ragazzo». Comunisti ed ebrei? Christian non sapeva neanche cosa fossero. Poi quell’uomo, il suo nuovo mentore Clark Martell – il primo leader di una gang di neonazisti americani, i Chicago Area Skinhead – gli spiegò che, insieme ai “negri”, agli immigrati e ai gay, erano, semplicemente, la rovina dell’America. Quando Martell finì in galera, a soli 16 anni Christian prese la guida dell’organizzazione. Tra una riunione e l’altra, bretelle, bandiere e saluti nazi, trovò il tempo di essere cacciato da quattro scuole e perdere una nocca facendo a botte. Formò due band, prima gli White American Youth e poi i Final Solution, che fu il primo gruppo skinhead americano a esibirsi in Europa: in un’ex cattedrale di Weimar, nel 1992, davanti a 4 mila persone inneggianti al Führer. In parte, tra tanti motivi, fu il senso di colpa per la morte del fratello più piccolo, che idolatrandolo aveva seguito tragicamente la sua strada, ma alla fine Christian uscì dal movimento. Ha raccontato la sua storia in una biografia inedita in Italia, e ha fondato la ong Life After Hate (La vita dopo l’odio). Oggi ha 44 anni, e collabora con istituzioni americane ed europee per il recupero degli estremisti di ogni tipo, anche dei jihadisti. Che, racconta qui, sono molto simili ai neonazisti. Quando rinnegò il mondo skinhead? «Ci ero entrato a «A BRUXELLES HO CONOSCIUTO UN EX FOREIGN FIGHTER MUSULMANO. ABBIAMO STORIE MOLTO SIMILI» SOPRA E A DESTRA, TRE IMMAGINI DI CHRISTIAN PICCIOLINI NEL 1992, QUANDO ERA UNO SKINHEAD (NELLA FOTO GRANDE È DAVANTI AL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI DACHAU). SOTTO, IL LOGO DELLA SUA ONG. PIÙ IN BASSO, PICCIOLINI OGGI 14 anni, e ne venni fuori 8 anni dopo, nel 1995. Uno dei tanti fattori fu senz’altro la nascita di mio figlio, un evento che mi aiutò a riconnettermi con la mia innocenza perduta. Quando aprii un negozio di dischi, cominciai a parlare per la prima volta con quelli che consideravo i miei nemici. E compresi che li avevo sempre odiati perché anzitutto avevo odiato me stesso, proiettando su di loro il mio dolore». Oggi lei è in prima linea nel recupero degli ex estremisti. In quali Paesi è stato chiamato a collaborare? «Sto aiutando soprattutto il programma Exit in Slovenia, Svezia, Germania, Regno Unito e Australia, ma sono stato anche a Frosinone e Manfredonia». In Belgio ha chiesto il suo aiuto la municipalità di Vilvoorde, vicino Bruxelles, che sta fornendo un’assistenza sociale mirata ai jihadisti di ritorno della Siria. È un programma raro in Europa, dove un anno fa si stimava che un terzo degli oltre 4 mila foreign 32 . IL VENERDÌ . 14 LUGLIO 2017

fighter fossero già tornati a casa. «Ero stato invitato a parlare a degli esperti impegnati nella deradicalizzazione dei fondamentalisti islamici, e un ex foreign fighter di 26 anni chiese di incontrarmi. Scoprimmo che le nostre strade erano straordinariamente simili. Siamo rimasti in contatto e speriamo di continuare a imparare l’uno dall’altro. Una volta reinseriti nelle società, gli ex combattenti sono un patrimonio utilissimo per convincere altri jihadisti ad abbandonare quella strada. Per questo vanno sostenuti e aiutati». Un figlio di immigrati italiani diventato neonazista nella Chicago degli anni 80, e il figlio di un immigrato arabo trasformatosi ai giorni nostri in un terrorista islamico a Bruxelles. Cosa c’è di simile? «È molto semplice. Ogni essere umano è alla ricerca di un’identità, una comunità e uno scopo. In presenza di un rancore, è possibile che quella ricerca diventi malsana. Come me, l’ex jihadista belga con cui sono entrato in contatto ha sofferto la solitudine a causa di un contesto migratorio e di un forte bisogno di un’identità e di uno scopo più grandi. Le nostre rabbie possono essere state diverse, ma hanno entrambe fecondato la terra dell’estremismo. Tutti e due abbiamo incontrato delle persone che hanno sfruttato la nostra vulnerabilità attraverso la disinformazione e una narrazione egoistica e inaccurata che ci spingeva a dare la colpa dei nostri mali ad alcuni gruppi specifici, a prendere le loro parole come verità incontestabili e a considerare la gentilezza come una debolezza invece che una forza. Tutti e due, dopo che i nostri fratelli sono stati uccisi, abbiamo riconosciuto la follia del nostro viaggio, e siamo stati trasformati dalla compassione che abbiamo ricevuto dalle persone da cui meno la meritavamo». L’islamizzazione, dice lo studioso Olivier Roy citando l’alto numero di convertiti tra i foreign fighter, è solo una delle strade che può prendere un uomo radicalizzato. Ma non ci sono anche differenze tra neonazisti e jihadisti? Questi ultimi sono più sanguinari? «Faccio solo notare che negli Stati Uniti, dopo l’11 settembre, i suprematisti bianchi hanno ucciso più americani di «IN AMERICA DOPO L’11/9 I SUPREMATISTI BIANCHI HANNO UCCISO PIÙ DI OGNI ALTRO GRUPPO» ogni altro gruppo estremista». È vero che il presidente Trump vorrebbe tagliare i fondi alle ong che combattono i neofascisti, e che la sua Life After Hate potrebbe perdere i 400 mila dollari di finanziamenti federali ricevuti dall’amministrazione Obama? «È possibile. Se succederà, cercheremo un altro modo per continuare». Si può dire che in Europa e negli Stati Uniti l’estrema destra e gli islamisti si rafforzino a vicenda? Sono in qualche modo “alleati” nella politica dell’odio? «Sì. Si incoraggiano involontariamente, accomunati anche dal profondo antisemitismo al cuore delle loro ideologie. Non mi stupirei se con il tempo questa alleanza si rafforzasse, visto che anche in passato sono emersi dei legami tra i due mondi». Che cosa pensa quando apprende che c’è stato un attacco jihadista? «Come tutti provo tristezza e orrore, ma in più sento anche vergogna. Ogni volta che c’è un attentato, qualunque sia l’ideologia che la ispiri, mi sento profondamente responsabile, per le parole e le idee che ho diffuso nel mondo come semi tossici. Ventidue anni dopo, sono ancora un constant gardener, un giardiniere tenace che cava i semi cattivi piantati tanto tempo prima». 14 LUGLIO 2017 . IL VENERDÌ . 33

fighter fossero già tornati a casa.<br />

«Ero stato invitato a parlare a degli<br />

esperti impegnati nella dera<strong>di</strong>calizzazione<br />

dei fondamentalisti islamici, e un ex<br />

foreign fighter <strong>di</strong> 26 anni chiese <strong>di</strong> incontrarmi.<br />

Scoprimmo che le nostre strade<br />

erano straor<strong>di</strong>nariamente simili. Siamo<br />

rimasti in contatto e speriamo <strong>di</strong> continuare<br />

a imparare l’uno dall’altro. Una<br />

volta reinseriti nelle società, gli ex combattenti<br />

sono un patrimonio utilissimo<br />

per convincere altri jiha<strong>di</strong>sti ad abbandonare<br />

quella strada. Per questo vanno sostenuti<br />

e aiutati».<br />

Un figlio <strong>di</strong> immigrati italiani <strong>di</strong>ventato<br />

neonazista nella Chicago degli anni 80,<br />

e il figlio <strong>di</strong> un immigrato arabo trasformatosi<br />

ai giorni nostri in un terrorista<br />

islamico a Bruxelles. Cosa c’è <strong>di</strong> simile?<br />

«È molto semplice. Ogni essere umano<br />

è alla ricerca <strong>di</strong> un’identità, una comunità<br />

e uno scopo. In presenza <strong>di</strong> un rancore, è<br />

possibile che quella ricerca <strong>di</strong>venti malsana.<br />

Come me, l’ex jiha<strong>di</strong>sta belga con cui<br />

sono entrato in contatto ha sofferto la<br />

solitu<strong>di</strong>ne a causa <strong>di</strong> un contesto migratorio<br />

e <strong>di</strong> un forte bisogno <strong>di</strong> un’identità e <strong>di</strong><br />

uno scopo più gran<strong>di</strong>. Le nostre rabbie<br />

possono essere state <strong>di</strong>verse, ma hanno<br />

entrambe fecondato la terra dell’estremismo.<br />

Tutti e due abbiamo incontrato delle<br />

persone che hanno sfruttato la nostra<br />

vulnerabilità attraverso la <strong>di</strong>sinformazione<br />

e una narrazione egoistica e inaccurata<br />

che ci spingeva a dare la colpa dei nostri<br />

mali ad alcuni gruppi specifici, a prendere<br />

le loro parole come verità incontestabili e<br />

a considerare la gentilezza come una debolezza<br />

invece che una forza. Tutti e due,<br />

dopo che i nostri fratelli sono stati uccisi,<br />

abbiamo riconosciuto la follia del nostro<br />

viaggio, e siamo stati trasformati dalla<br />

compassione che abbiamo ricevuto dalle<br />

persone da cui meno la meritavamo».<br />

L’islamizzazione, <strong>di</strong>ce lo stu<strong>di</strong>oso Olivier<br />

Roy citando l’alto numero <strong>di</strong> convertiti<br />

tra i foreign fighter, è solo una<br />

delle strade che può prendere un uomo<br />

ra<strong>di</strong>calizzato. Ma non ci sono anche<br />

<strong>di</strong>fferenze tra neonazisti e jiha<strong>di</strong>sti?<br />

Questi ultimi sono più sanguinari?<br />

«Faccio solo notare che negli Stati Uniti,<br />

dopo l’11 settembre, i suprematisti<br />

bianchi hanno ucciso più americani <strong>di</strong><br />

«IN AMERICA<br />

DOPO L’11/9<br />

I SUPREMATISTI<br />

BIANCHI<br />

HANNO UCCISO<br />

PIÙ DI OGNI<br />

ALTRO GRUPPO»<br />

ogni altro gruppo estremista».<br />

È vero che il presidente Trump vorrebbe<br />

tagliare i fon<strong>di</strong> alle ong che combattono<br />

i neofascisti, e che la sua Life After<br />

Hate potrebbe perdere i 400 mila dollari<br />

<strong>di</strong> finanziamenti federali ricevuti<br />

dall’amministrazione Obama?<br />

«È possibile. Se succederà, cercheremo<br />

un altro modo per continuare».<br />

Si può <strong>di</strong>re che in Europa e negli Stati<br />

Uniti l’estrema destra e gli islamisti si<br />

rafforzino a vicenda? Sono in qualche<br />

modo “alleati” nella politica dell’o<strong>di</strong>o?<br />

«Sì. Si incoraggiano involontariamente,<br />

accomunati anche dal profondo antisemitismo<br />

al cuore delle loro ideologie. Non<br />

mi stupirei se con il tempo questa alleanza<br />

si rafforzasse, visto che anche in passato<br />

sono emersi dei legami tra i due mon<strong>di</strong>».<br />

Che cosa pensa quando apprende che<br />

c’è stato un attacco jiha<strong>di</strong>sta?<br />

«Come tutti provo tristezza e orrore, ma<br />

in più sento anche vergogna. Ogni volta<br />

che c’è un attentato, qualunque sia l’ideologia<br />

che la ispiri, mi sento profondamente<br />

responsabile, per le parole e le idee che<br />

ho <strong>di</strong>ffuso nel mondo come semi tossici.<br />

Ventidue anni dopo, sono ancora un constant<br />

gardener, un giar<strong>di</strong>niere tenace che<br />

cava i semi cattivi piantati tanto tempo<br />

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