MARCELO BURLON ENTERPRISE • Press Review • March 2012
Marce<strong>lo</strong> Bur<strong>lo</strong>n Tutti sanno chi è Marce<strong>lo</strong> Bur<strong>lo</strong>n a Milano. E non so<strong>lo</strong>, perché pure il New York Times gli ha dedicato un video. Qualsiasi evento lui firmi, diventa subito cool (lui è l’ideatore il fondatore, con Andrea Mazzantini, della celebre serata milanese Pink Is Punk); oltre a questo è anche b<strong>lo</strong>gger, pr, stylist, creative director, dj, fashion editor. Mi gira la testa! Marce<strong>lo</strong> è ovunque, ma mai a caso e ottiene il massimo da tutto quel<strong>lo</strong> che fa. Amico da tempi immemori di PIG, non ci potevamo esimere questa volta da un’intervista come si deve. Lo abbiamo raggiunto nella sua casa di Milano, dove tra un chiacchiera e l’altra, abbiamo cercato di scoprire la sua storia e il segreto della sua incredibile ascesa. Persona con un karma invidiabile e una costanza d’acciaio, ci ha affascinato e un po’ anche fatto invidia, perché no... Personalità in continuo fermento e movimento però, <strong>lo</strong> sapevamo che prima o poi ci avrebbe dato anche “La” famigerata notizia. Ed eccoci al dunque... Intervista di Valentina Barzaghi. Foto di Piotr Niepsuj Ciao Marce<strong>lo</strong>! Come va? Forse sono quella, che tra tutta la redazione di PIG, ti conosce meno, quindi inizia da dove vuoi. Se vuoi conoscere me, devi alzare quella cosa lì. Io ovviamente alzo, uno strano gadget di legno a forma di indiano da cui sbuca repentino un pene gigantesco. Di questo mi avevano già detto qualcosa... Ok ok... capito... ma raccontami qualcosa della tua storia... Tu sei di origine argentina. Italia: perché e quando? Hai un ricordo particolare legato a questo momento della tua vita? Sono nato nel 1976. Sono arrivato in Italia nel Marzo del 1990, avevo 14 anni. In Italia perché mio padre è italiano e quando aveva 13 anni si è trasferito con i suoi genitori a Buenos Aires, nel dopoguerra. Mia mamma è argentina, ma i suoi genitori sono libanesi, trasferiti in Patagonia negli anni ‘30. Io appartengo ad una famiglia di immigranti da tutte e due le parti, e a mia volta sono un immigrante anch’io. Penso che sia una cosa che si ha nel DNA. Le generazioni prima iniziano e poi quelle dopo continuano il viaggio, io qui non mi fermo. Nel mio DNA c’è continuo movimento e quindi mi muoverò, infatti dall’Italia andrò via tra pochissimi anni. Dove? Ho pensato a New York, ho bisogno di un’esperienza forte come quella che mi potrebbe dare NYC, perché qui mi sto spegnendo un po’. Comunque continuo a seguire i miei progetti. Adesso ad esempio ho preso uno spazio in Via Custodi, che diventerà una sorta di “casa della cultura”, dove farò live show, brunch, unplugged. Uno spazio polifunzionante in cui potersi sfogare. Ho bisogno di nuovi stimoli e Milano mi sta MARCELO BURLON ENTERPRISE • Press Review • March 2012 davvero stancando. Quali sono stati gli step che ti hanno portato ad essere il Marce<strong>lo</strong> Bur<strong>lo</strong>n che oggi intervistiamo? Diciamo innanzitutto che ho la terza media, non ho titoli di studio e quindi in qualche modo dovevo fare qualcosa, emergere da qualche parte. Ho studiato canto, ma quelle sai, sono cose che vanno un po’ così... non ti portano sempre da qualche parte e poi non era quel<strong>lo</strong> che volevo fare. Prima ho lavorato come operaio: la mia famiglia quando ha lasciato l’Argentina, è diventata di operai. Tu mi chiedevi un mio ricordo: la prima cosa che mi viene in mente sono i miei genitori che lavoravano un casino. Siamo passati da una vita super privilegiata, con un’agenzia di viaggio, un tabaccaio e una lavanderia in Patagonia, ad essere in Italia e a svegliarci alle 4 della mattina per andare a lavorare in fabbrica. Poi ho trovato una via di fuga nei <strong>lo</strong>cali, iniziando a guadagnare molti più soldi dei miei genitori: ballando sui cubi, portando la gente nei club. Ho trovato una mia strada. Abitavo nelle Marche, in un paesino sul mare bellissimo, che però non mi portava da nessuna parte, se non che a iniziare a fare uso di droghe. Ho fatto anche teatro sperimentale a Rimini; ero sempre alla ricerca di qualcosa e non avendo avuto la possibilità di studiare, cercavo altri sfoghi. A quel tempo facevo anche il model<strong>lo</strong> di roba commerciale, tra cui una campagna importante per un marchio chiamato Nose, il fratel<strong>lo</strong> di Fornarina. La mia foto era ovunque. Avevo 15-16 anni. Erano gli anni della house, un po’ cyborg, quelli delle Buffa<strong>lo</strong> sai... Gli anni ‘90. Li ho vissuti proprio in pieno. L’ecstasy: ho vissuto una bellissima esperienza anche con le droghe, poi compiuti i 21 ho capito che non era cosa. Ho vissuto nelle Marche per otto anni dove ero diventato la faccia dei club più cool; giravamo spesso l’Italia per fare dei gemellaggi, come a Riccione. Smisi di prendere droghe grazie al buddhismo, perché mia mamma <strong>lo</strong> praticava, e questo mi ha aiutato tantissimo a decidere cosa volevo fare della mia vita: andar via da lì. Sono arrivato a Milano nel 1998 senza niente: non avevo soldi, conoscenze... Niente. Sapevo so<strong>lo</strong> che volevo essere qui: una città in cui sfogarmi e crescere in qualche modo. Continuavo a fare il model<strong>lo</strong> e il weekend tornavo nelle Marche a lavorare nei club dove mi pagavano molto bene, per pagarmi l’affitto a Milano. Abitavo in un <strong>lo</strong>ft sui Navigli con due amici, sai quelle robe tipo ventenni: dormivamo tutti nella stessa stanza. Un Canevale decidemmo di fare una festa e di invitare gente che conoscevamo. La festa è diventata una delle più belle che fecero in città in quegli anni, perché c’era un insieme di persone e personaggi che fecero sì che quella casa si trasformasse in una sorta di club di NY anni ‘70 - tipo Studio 54. A questa festa c’erano anche i due che organizzavano il venerdì ai Magazzini Generali: Primo Piano Gallery, che all’epoca erano il top in città. Quel<strong>lo</strong> che sono oggi io a Milano, <strong>lo</strong>ro <strong>lo</strong> erano negli anni ‘90. Mi dissero che erano rimasti colpiti da questo mix di gente e di iniziare a lavorare per <strong>lo</strong>ro, mi diedero la responsabilità della porta dei Magazzini. All’epoca era la festa più bella, in fila trovavi Roisin Murphy, David LaChapelle, David Byrne... c’erano tutti. Era il posto dove, se arrivavi in città, andavi. Come puoi capire, essendo il responsabile della Porta, passavano tutti sotto le mie mani: decidevo io chi entrava, chi pagava, chi beveva gratis... avevo una sorta di potere. Lì ho iniziato a conoscere 2