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Alessandro Di Vicino Gaudio: Ego, Jump, a dive into the future

Catalogo della mostra di Alessandro Di Vicino Gaudio alla Galleria Schubert di Milano 20017

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Ernest scosse il capo sorridendole dolcemente.<br />

«Non importa, mia cara. Non importa più, ormai».<br />

Il fidanzato, che si era precipitato alla porta, richiamò<br />

ad alta voce la sua ragazza, incontenibile<br />

nella sua voglia di vedere un cadavere dal vivo:<br />

«Allora, Christie, ci muoviamo o no? Dai, prima<br />

che qualcuno chiami i piedipiatti!»<br />

«Io… devo andare».<br />

«Certo, sì» la salutò Ernest. «Ci vediamo presto,<br />

Christie».<br />

Ernest lasciò che anche la ragazza sparisse alla<br />

sua vista. Christie lo salutò con la manina prima<br />

di varcare l’uscita del terrazzo, scuotendo la<br />

mano e i molti braccialetti colorati che portava<br />

al polso. Tornato nuovamente solo, Ernest alzò<br />

gli occhi al cielo: la nottata era tersa, la volta<br />

celeste baluginava dei riflessi rossastri della città,<br />

nascondendo il firmamento<br />

stellato. Si alzò in piedi come per<br />

avvicinarsi ulteriormente a <strong>Di</strong>o,<br />

aprendo le braccia alla sua grazia<br />

e benevolenza.<br />

«Proprio una bella serata» disse<br />

tra sé e sé, sporgendosi in avanti.<br />

La gravità lo abbracciò inesorabile,<br />

il vuoto lo attirò a sé e la corrente<br />

d’aria lo colpì repentina, e<br />

tuttavia niente di tutto ciò riuscì<br />

a togliergli il sorriso felice apparso<br />

sulle sue labbra.<br />

non si rivelasse premonitore.<br />

Il caldo. Il fatto di aver riposato tra le tiepide<br />

braccia di Morfeo immaginando il freddo pungente<br />

dell’inverno, e ritrovarsi poi a dover sopportare<br />

il caldo umidiccio della città in Luglio,<br />

era la cosa che più lo snervava. Alle otto di mattina<br />

c’era già un caldo insopportabile non appena<br />

si entrava in strada, tanto che un minimo<br />

di refrigerio si poteva trovare soltanto andando<br />

sottoterra, per quanto viziata fosse l’aria della<br />

metropolitana.<br />

Ernest era sveglio da qualche ora e si stava <strong>dive</strong>rtendo<br />

a osservare i volti assonnati delle persone<br />

<strong>into</strong>rno, a sedere come lui nei vagoni della metro<br />

ricolmi di pendolari. La maggior parte avevano<br />

cuffie all’orecchie e sonnecchiavano tra i rimbalzi<br />

delle rotaie. Qualcuno leggeva assorto il giornale,<br />

e intanto alle sue spalle i maxischermi della sta-<br />

***<br />

Ernest si risvegliò di soprassalto<br />

nel suo letto, il led della sveglia<br />

segnava le cinque del mattino. La<br />

moglie, Martha, gli ronfava saporitamente<br />

accanto emettendo<br />

gorgheggi profondi, e nel guardare<br />

la sua sagoma si domandò<br />

come sarebbe potuta essere la sua<br />

vita se avesse fatto scelte <strong>dive</strong>rse.<br />

Quel sogno era ancora vivido<br />

nella sua testa, non ce l’avrebbe<br />

mai fatta a riaddormentarsi. Scelse<br />

dunque di alzarsi e fare le cose<br />

con calma: la doccia, la barba,<br />

portare fuori Chuck, il piccolo<br />

chiwawa ormai padrone del divano…<br />

e sperare che in ufficio, a<br />

trovarsi Mike davanti, quel sogno<br />

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