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Milano - Carte Bollate

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MILano SI-Cura – Il ciclo di convegni promosso dalla Casa della Carità<br />

Garantire sicurezza<br />

dialogando con la città<br />

“ <strong>Milano</strong> Si-cura” è un iniziativa<br />

organizzata dalla<br />

Casa della Carità, di don<br />

Colmegna, un tavolo di<br />

riflessione e di dialogo per confrontarsi<br />

e per migliorare la qualità delle relazioni.<br />

Il primo incontro degli otto previsti è<br />

stato il 19 novembre nella sala convegni<br />

della Casa di reclusione di <strong>Bollate</strong>. Perché<br />

“<strong>Milano</strong> Si-cura” è anche un dialogo<br />

che va oltre le sbarre di un carcere, per<br />

produrre sicurezza, partendo dal carcere,<br />

curandosi del carcere.<br />

Al tavolo di discussione, a <strong>Bollate</strong>, erano<br />

presenti la direttrice dell’istituto, Lucia<br />

Castellano, il provveditore Luigi Pagano,<br />

il magistrato di sorveglianza Giovanna<br />

Di Rosa, il criminologo Adolfo Ceretti,<br />

gli operatori della Casa della Carità, volontari<br />

e operatori dell’istituto e alcuni<br />

detenuti-studenti.<br />

La dottoressa Castellano ha aperto i lavori<br />

sottolineando che in occasioni come<br />

queste un contenitore come il carcere<br />

non percepisce l’isolamento ed è importante<br />

che tra il carcere e questa città ci<br />

sia un principio di vasi comunicanti, “una<br />

contaminazione tra il dentro e il fuori<br />

senza la quale noi ci sentiamo perduti,<br />

ma senza la quale anche la città si perde<br />

qualcosa. Il carcere - ha detto - può essere<br />

una risorsa per questa città.”<br />

La riflessione che la Casa della Carità<br />

pone sul tavolo di discussione sono i<br />

modi diametralmente opposti di vedere<br />

il carcere: uno che lo enfatizza come<br />

istituzione isolata, l’altro che sottolinea<br />

l’importanza di aprirlo al territorio e di<br />

creare percorsi di inclusione sociale. “A<br />

partire da questi due approcci così diversi<br />

ci chiediamo: ‘cosa significa per il<br />

carcere essere una risposta alla sicurezza?<br />

Come può un percorso di detenzione<br />

inserirsi nel tessuto sociale e nel contempo<br />

garantire sicurezza? Come garantire<br />

uguaglianza nell’accesso alle misure alternative?<br />

Come sostenere l’inserimento<br />

nella società dopo il periodo di detenzione?”.<br />

“Intervenire nel carcere - sostiene il provveditore<br />

Luigi Pagano - significa investire<br />

in termini di sicurezza. L’apertura del<br />

carcere al mondo esterno fa rabbrividire<br />

qualcuno che tende a isolare il carcere.<br />

Però non bisogna dimenticare che fino<br />

6 carte<strong>Bollate</strong><br />

a quando esiste l’articolo 27 della Costituzione,<br />

fino a quando esiste, seppure<br />

rimaneggiata e impoverita, la legge 354<br />

del ‘75, varata ancora prima della legge<br />

Gozzini, il carcere deve produrre reinserimento<br />

sociale”. Pagano spiega che nel<br />

carcere bisogna creare percorsi di risocializzazione,<br />

non solo perché la legge lo<br />

prevede, ma per un motivo logico. “Persone<br />

come me, da molti anni alle dipendenze<br />

dell’Amministrazione penitenziaria,<br />

sanno che cosa era il carcere prima della<br />

riforma penitenziaria, quando veramente<br />

produceva criminalità. Era un carcere<br />

chiuso, repressivo, che può invece diventare<br />

qualcosa di diverso se lo usiamo per<br />

la sua funzione rieducativa, aprendolo<br />

all’esterno”. Riferendosi all’uccisione di<br />

Stefano Cucchi, Pagano commenta che<br />

don VirGinio colmeGna<br />

“è giusto sdegnarsi di fronte alle immagini<br />

crude e drammatiche di un ragazzo<br />

che è stato pestato fino alla morte, ma è<br />

nel lavoro e nella cura quotidiani che si<br />

può affrancare il carcere da quella zona<br />

d’ombra”. Per il provveditore delle carceri<br />

lombarde non ci sono alternative: “O si<br />

lavora per dare al carcere una funzione<br />

rieducativa oppure avremo il paradossale<br />

effetto di investire parecchie centinaia<br />

di euro per produrre criminalità”.

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