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Brindisi nel constesto della storia

Perché non “raccontare” la storia di Brindisi nel contesto della storia? E così facilitare ai lettori interessati a meglio orientarsi nella oggettivamente complessa articolata e comunque densissima e avvincente storia plurimillenaria della città? È nata così questa proposta: chiara, semplice e schematica; un testo in due colonne parallele; sulla colonna di sinistra il “contesto della storia” e su quella di destra la “storia di Brindisi”. Due testi di fatto del tutto separati: ognuno dei due da poter essere letto in maniera del tutto indipendente dall'altro. L’idea è che si possa scorrere la storia di Brindisi e, nel momento in cui lo si ritenga opportuno e utile, o necessario per meglio recepire o valorizzare quella storia, si possa al contempo consultare il contesto storico in cui quella storia di Brindisi trascorse. D'altra parte, anche se incredibile, esistono solo due o tre libri sulla Storia di Brindisi, dalle origini ad oggi, e tutti sono oltremodo datati, nonché non più disponibili.

Perché non “raccontare” la storia di Brindisi nel contesto della storia? E così facilitare ai lettori interessati a meglio orientarsi nella oggettivamente complessa articolata e comunque densissima e avvincente storia plurimillenaria della città?
È nata così questa proposta: chiara, semplice e schematica; un testo in due colonne parallele; sulla colonna di sinistra il “contesto della storia” e su quella di destra la “storia di Brindisi”. Due testi di fatto del tutto separati: ognuno dei due da poter essere letto in maniera del tutto indipendente dall'altro. L’idea è che si possa scorrere la storia di Brindisi e, nel momento in cui lo si ritenga opportuno e utile, o necessario per meglio recepire o valorizzare quella storia, si possa al contempo consultare il contesto storico in cui quella storia di Brindisi trascorse. D'altra parte, anche se incredibile, esistono solo due o tre libri sulla Storia di Brindisi, dalle origini ad oggi, e tutti sono oltremodo datati, nonché non più disponibili.

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Palazzo Scolmafora incendiato <strong>nel</strong>la rivolta del 1647<br />

La scintilla <strong>della</strong> rivolta a Napoli si accese per la<br />

protesta contro una nuova imposta sulla vendita di<br />

frutta. Il primo moto, scoppiato il 7 luglio del 1647<br />

con la richiesta di abolizione di tutte le nuove imposte<br />

e la parificazione <strong>della</strong> rappresentanza dei nobili e del<br />

popolo, fu guidato dal giovane popolano Tommaso<br />

Aniello d’Amalfi, Masaniello, sostenuto da varie<br />

categorie, portatrici ciascuna di un’idea di autonomia<br />

articolata su obiettivi di parte.<br />

Il moto, infatti, fu ispirato da alcuni esponenti del ceto<br />

medio fra cui avvocati, magistrati, funzionari di stato<br />

e dall’abate Giulio Genoino, e fu sostenuto da<br />

capipopolo e comandanti di bande armate operanti<br />

<strong>nel</strong>le province agrarie che aspirarono alla conquista<br />

di pezzi di territorio da controllare con le loro bande.<br />

Le azioni s’indirizzarono a incendiare i palazzi dei<br />

baroni, dei più potenti finanzieri e del loro braccio più<br />

violento, i faccendieri, che furono eliminati dalla furia<br />

popolare, memore del terrore che questi avevano<br />

seminato <strong>nel</strong>le città e <strong>nel</strong>le province, salvaguardati<br />

dall’impunità che i baroni beneficiari <strong>della</strong> loro<br />

violenza garantivano.<br />

Ottenuta la promessa di accoglienza delle richieste<br />

formulate, i capi più moderati avrebbero voluto<br />

desistere dalla ribellione e consegnare le armi, contro<br />

il parere di Masaniello che, non volendo sciogliere le<br />

milizie, fu assassinato da un complotto ordito dal<br />

viceré e dagli stessi capi moderati.<br />

Il 5 del successivo mese di agosto fu fatto sindaco<br />

dal popolo il nobile Benedetto Leanza, mentre la<br />

popolazione stava ancora sollevata e tumultuante,<br />

avendo fatti molti danni, e morte d´alcuni, con<br />

abbrugiare molte case, fra le quali vi fu il palazzo<br />

del dottor Ludovico Scolmafora, con tutti li mobili<br />

che stavano dentro, ma il detto Ludovico scampò,<br />

come ancora ammazzarono un giovine che si<br />

addomandava mastro Carlo Della Verità, e lo<br />

trascinarono dietro un cavallo per tutta la città, e<br />

furono abbrugiate tutte le case dei Della Verità...»<br />

c.d.s.d.b. 1529‐1787<br />

La rivolta delle Sciabiche brindisine aveva, anche se<br />

di poco, preceduto quella ben più risonante<br />

napoletana comandata dal famoso Masaniello, che<br />

mise a ferro e fuoco Napoli e pose in serio pericolo<br />

la stabilità del regno intero, e che fu finalmente<br />

domata <strong>nel</strong> sangue dalla corona spagnola <strong>nel</strong>l’aprile<br />

del 1648, dopo quasi un anno e con non pochi sforzi.<br />

E a <strong>Brindisi</strong>, il 3 settembre del 1648 «... essendo<br />

sindaco Francesco Ronzana, venne un auditore<br />

reale, cognominato Aras, accompagnato da<br />

cinquecento persone armate, quali uniti con li nobili<br />

diedero l’assalto al quartiere <strong>della</strong> marina, e furono<br />

presi tutti i capipopolo con altri aderenti, e furono<br />

portati a Lecce e poi a Napoli, e <strong>nel</strong> 1649 furono<br />

sottoposti a giudizio.<br />

Quattro capipopolo furono giustiziati il 17 dicembre,<br />

Donato e Teodoro Marinazzo, Gregorio Adorante e<br />

Carlo D’Aprile alias Micoli. Marco Scatigno<br />

s´avvelenò da sé stesso dentro le carceri, e<br />

Alessandro Lepre e Oratio Sinopo andarono in<br />

galera, e altri se ne fuggirono...» c.d.s.d.b. 1529‐1787<br />

Nei primi giorni di marzo del 1656 scoppiò una<br />

terribile peste a Napoli, che ne risultò decimata. La<br />

peste durò circa otto mesi e tutte le province del<br />

regno furono presto infettate, meno quella di<br />

Calabria e quella di Terra d’Otranto.<br />

<strong>Brindisi</strong> e tutta la provincia “… per l´intercessione di<br />

Sant´Oronzo ed altri santi protettori fu liberata da<br />

detto contagio”. E così Carlo Stea, che per<br />

quell’epoca era sindaco di <strong>Brindisi</strong>, offrì i pezzi <strong>della</strong><br />

colonna romana crollata cento anni prima, alla città<br />

di Lecce, affinché erigesse una nuova colonna con<br />

sopra la statua di Sant’Oronzo.<br />

Ma il nuovo sindaco, Giovanni Antonio Cuggió, non<br />

acconsentì e anche il seguente sindaco, Carlo<br />

Monticelli Ripa, restò opposto e accordò inviare a<br />

Napoli, al viceré Gaspar de Bracamonte, la supplica<br />

di annullare la disposizione già emanata di<br />

consegnare i pezzi <strong>della</strong> colonna caduti alla città di<br />

Lecce, ma non ci fu nessun riscontro alla supplica.<br />

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