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Brindisi nel constesto della storia

Perché non “raccontare” la storia di Brindisi nel contesto della storia? E così facilitare ai lettori interessati a meglio orientarsi nella oggettivamente complessa articolata e comunque densissima e avvincente storia plurimillenaria della città? È nata così questa proposta: chiara, semplice e schematica; un testo in due colonne parallele; sulla colonna di sinistra il “contesto della storia” e su quella di destra la “storia di Brindisi”. Due testi di fatto del tutto separati: ognuno dei due da poter essere letto in maniera del tutto indipendente dall'altro. L’idea è che si possa scorrere la storia di Brindisi e, nel momento in cui lo si ritenga opportuno e utile, o necessario per meglio recepire o valorizzare quella storia, si possa al contempo consultare il contesto storico in cui quella storia di Brindisi trascorse. D'altra parte, anche se incredibile, esistono solo due o tre libri sulla Storia di Brindisi, dalle origini ad oggi, e tutti sono oltremodo datati, nonché non più disponibili.

Perché non “raccontare” la storia di Brindisi nel contesto della storia? E così facilitare ai lettori interessati a meglio orientarsi nella oggettivamente complessa articolata e comunque densissima e avvincente storia plurimillenaria della città?
È nata così questa proposta: chiara, semplice e schematica; un testo in due colonne parallele; sulla colonna di sinistra il “contesto della storia” e su quella di destra la “storia di Brindisi”. Due testi di fatto del tutto separati: ognuno dei due da poter essere letto in maniera del tutto indipendente dall'altro. L’idea è che si possa scorrere la storia di Brindisi e, nel momento in cui lo si ritenga opportuno e utile, o necessario per meglio recepire o valorizzare quella storia, si possa al contempo consultare il contesto storico in cui quella storia di Brindisi trascorse. D'altra parte, anche se incredibile, esistono solo due o tre libri sulla Storia di Brindisi, dalle origini ad oggi, e tutti sono oltremodo datati, nonché non più disponibili.

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Già nei primi anni del dominio spagnolo sul regno di<br />

Napoli, guerre, pestilenze, saccheggi, stragi e<br />

quant’altro, avevano ridotto quel regno a miserrime<br />

condizioni, con le popolazioni che patirono a lungo il<br />

supplizio delle soldatesche feroci e licenziose, fino a<br />

quando giunse l’a<strong>nel</strong>ata pace con il trattato di<br />

Cambrai del 5 agosto 1529, che riportò tutto il<br />

meridione d’Italia sotto la sola corona spagnola e il<br />

trentenne imperatore Carlo V estese a tutto il regno di<br />

Napoli il suo dominio.<br />

Un dominio che però continuò a essere molto pesante,<br />

per la pressione fiscale esercitata, per il disordine<br />

amministrativo e per la desolazione causata dalla<br />

piaga di un inerte latifondismo, dalle speculazioni di<br />

avidi profittatori e, in molte regioni, anche dalle<br />

carestie, dalla malaria e dalla peste.<br />

E le cose non cambiarono di molto fino a tutto il XVII<br />

secolo in cui sul trono di Spagna regnò il ramo<br />

Asburgo, con Carlo V e Filippo II <strong>nel</strong> XVI secolo, e con<br />

Filippo III, Filippo IV e Carlo II <strong>nel</strong> XVII: le guerre si<br />

susseguirono, e con esse permasero le conseguenti<br />

miserrime condizioni dei domini, sui quali il governo<br />

centrale non perseguiva molt’altro che ricavare<br />

soldati a buon mercato e imposte per rimpinguare le<br />

casse dello stato centrale dissanguate dalle guerre:<br />

contro i Francesi di Francesco I e successori, contro i<br />

Paesi Bassi, contro l’Inghilterra e contro i Turchi.<br />

Le rivolte del 1647 e 1648<br />

La guerra dei trent’anni, combattuta tra il 1618 e il<br />

1648, esasperò i conflitti sociali <strong>nel</strong> regno di Napoli,<br />

con i suoi disastrosi effetti e con la pressione fiscale e<br />

militare. Il disagio per il malessere provocato dalla<br />

pressione tributaria e aggravato da ricorrenti<br />

carestie e pestilenze, concorse a opprimere la<br />

popolazione economicamente più debole e<br />

socialmente meno equilibrata, riducendo le masse<br />

alla fame estrema.<br />

Così, <strong>nel</strong> 1647, si svilupparono tumulti e feroci<br />

ribellioni in diversi centri del regno, e anche se quelle<br />

di Palermo e Napoli ebbero maggior risonanza, non<br />

furono quelle le sole ribellioni: in Puglia, per esempio,<br />

le città di Bari, <strong>Brindisi</strong>, Lecce, e Taranto furono sede<br />

di un vasto movimento antispagnolo e antifeudale,<br />

con anche vari tentativi da parte <strong>della</strong> borghesia di<br />

appropriarsi del potere.<br />

La rivolta antispagnola, in cui confluirono<br />

componenti sociali e politiche molto diverse, fu<br />

prevalentemente sostenuta dai ceti popolari<br />

affiancati da una parte di borghesi, intellettuali,<br />

artigiani e mercanti, che si schierarono tutti contro il<br />

dominio spagnolo affiancato dalla nobiltà e<br />

dall’aristocrazia finanziaria.<br />

«... Poi da quella piazza, si provvide a stabilire una<br />

tubatura sotterranea che portò l’acqua alla marina,<br />

al disotto delle colonne, nei pressi <strong>della</strong> Porta Reale,<br />

dove dalle bocche di due teste di cavallo sgorgava<br />

copiosamente per andare a confondersi colla vicina<br />

acqua del mare...» ‐Andrea Della Monaca‐<br />

Il 18 settembre 1628 fu sepolto <strong>nel</strong>la sua cappella<br />

<strong>della</strong> chiesa di San Paolo, Giovanni Maria Moricino,<br />

autore del manoscritto “Memoria historica <strong>della</strong><br />

città di <strong>Brindisi</strong>”. Egli fu un illustre medico e fu<br />

anche sindaco di <strong>Brindisi</strong>, tra il 1604 e il 1605.<br />

Iniziando l’anno 1647, a <strong>Brindisi</strong> e in tutto il regno,<br />

erano già trascorsi quasi centocinquant’anni da<br />

quando Ferdinando il cattolico aveva aggregato<br />

l’Italia meridionale alla sua monarchia di Spagna, e<br />

la situazione generale non poteva essere peggiore:<br />

«Perduta la libertà, il domino spagnolo fu<br />

penetrante e la corruzione e il pervertimento furono<br />

grandi. L’abitudine al lavoro, disprezzata. I beni<br />

delle famiglie destinati al primogenito con i cadetti<br />

condannai alla impotenza ed esclusi dal matrimonio,<br />

forzati se maschi al chiericato o alla milizia e se<br />

femmine al chiostro. La corruzione passata dalle<br />

corti alla nobiltà e da questa al popolo. L’ordine e<br />

l’economia scomparsi. Il fasto e il lusso imperanti.<br />

Si coltivava più l’apparenza che la sostanza, in casa<br />

miseria e fame e fuori grandezza e sfarzo. Il clero e<br />

la nobiltà comandavano e tutti erano cavalieri,<br />

baroni, marchesi, conti, eccellenze, illustri e chiari. I<br />

terreni rimanevano incolti; le rendite cessarono; il<br />

lusso e le imposte crescevano. Il viceré non mirava<br />

ad altro che a radunar danari, e delle entrate del<br />

regno, due terzi passavano in Spagna per pagare i<br />

soldati degli eserciti spagnoli. La giustizia era lenta,<br />

la magistratura venale. La vita e le proprietà erano<br />

poco sicure...» c.d.s.d.b. 1529‐1787<br />

Regnava ancora Filippo IV, che <strong>nel</strong> 1621 era<br />

succeduto al padre Filippo III, e il viceré, Don<br />

Rodrigo Ponce de León, per fare fronte a nuove<br />

spese di guerra, il 3 gennaio 1647 pubblicò un<br />

decreto stabilendo nuovi gravami, colpendo con<br />

quelli nientemeno che la vendita <strong>della</strong> frutta, il<br />

principale alimento che si commercializzava <strong>nel</strong>le<br />

province più meridionali, specialmente in estate.<br />

A <strong>Brindisi</strong> era sindaco il nobile Ferrante Glianes<br />

quando, il 5 giugno 1647, scoppiò la rivolta:<br />

«… Il sindaco Glianes fu pigliato da casa sua, fu<br />

lapidato dal popolo e fu portato carcerato in una<br />

casa sotto la marina, dove lo trattennero tutto il<br />

giorno, e poi la sera lo mandarono libero in sua casa,<br />

e il capopopolo, o vero i capipopolo, furono Donato e<br />

Teodoro Marinazzo, e levarono le gabelle, non<br />

facendoli osservare come era solito.<br />

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