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Brindisi nel constesto della storia

Perché non “raccontare” la storia di Brindisi nel contesto della storia? E così facilitare ai lettori interessati a meglio orientarsi nella oggettivamente complessa articolata e comunque densissima e avvincente storia plurimillenaria della città? È nata così questa proposta: chiara, semplice e schematica; un testo in due colonne parallele; sulla colonna di sinistra il “contesto della storia” e su quella di destra la “storia di Brindisi”. Due testi di fatto del tutto separati: ognuno dei due da poter essere letto in maniera del tutto indipendente dall'altro. L’idea è che si possa scorrere la storia di Brindisi e, nel momento in cui lo si ritenga opportuno e utile, o necessario per meglio recepire o valorizzare quella storia, si possa al contempo consultare il contesto storico in cui quella storia di Brindisi trascorse. D'altra parte, anche se incredibile, esistono solo due o tre libri sulla Storia di Brindisi, dalle origini ad oggi, e tutti sono oltremodo datati, nonché non più disponibili.

Perché non “raccontare” la storia di Brindisi nel contesto della storia? E così facilitare ai lettori interessati a meglio orientarsi nella oggettivamente complessa articolata e comunque densissima e avvincente storia plurimillenaria della città?
È nata così questa proposta: chiara, semplice e schematica; un testo in due colonne parallele; sulla colonna di sinistra il “contesto della storia” e su quella di destra la “storia di Brindisi”. Due testi di fatto del tutto separati: ognuno dei due da poter essere letto in maniera del tutto indipendente dall'altro. L’idea è che si possa scorrere la storia di Brindisi e, nel momento in cui lo si ritenga opportuno e utile, o necessario per meglio recepire o valorizzare quella storia, si possa al contempo consultare il contesto storico in cui quella storia di Brindisi trascorse. D'altra parte, anche se incredibile, esistono solo due o tre libri sulla Storia di Brindisi, dalle origini ad oggi, e tutti sono oltremodo datati, nonché non più disponibili.

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Il 20 di settembre, attraverso una breccia aperta <strong>nel</strong>le<br />

mura romane dall’artiglieria, presso Porta Pia, i<br />

bersaglieri entrarono e occuparono Roma, senza<br />

penetrare <strong>nel</strong> Vaticano. Roma divenne capitale<br />

d’Italia il 27 marzo 1871.<br />

Con quest’ultimo risultato, ottenuto anch’esso come<br />

altri precedenti in maniera alquanto casuale, si<br />

completò l’unità territoriale dell’Italia che,<br />

contemporaneamente, si potè sottrarre al forte<br />

condizionamento francese. L’annessione dell’ultimo<br />

lembo di territorio, il Trentino e la Venezia Giulia, si<br />

realizzerà con la I Guerra mondiale.<br />

E così, si concluse anche la vicenda storica del potere<br />

temporale dei papi, iniziata 1250 anni prima con le<br />

donazioni dei Longobardi. Il papa si chiuse in<br />

Vaticano e lanciò la scomunica contro i responsabili<br />

<strong>della</strong> caduta del suo potere, dando avvio a un<br />

contrasto che durò fino ai Patti Lateranensi del 1928.<br />

Il Meridione <strong>nel</strong> nuovo Regno d’Italia<br />

Cavour, male o opportunisticamente interpretando il<br />

voto plebiscitario e dimenticando la promessa di<br />

autogoverno regionale fatta <strong>nel</strong>la fase progettuale,<br />

<strong>nel</strong> timore che l’autonomia venisse scambiata con<br />

disintegrazione <strong>della</strong> nazione e che i governi locali<br />

potessero cadere in mano a potentati locali, cambiò<br />

parere ed optò per impostare uno stato centralizzato<br />

più facile da dirigere, a cui semplicemente estese le<br />

leggi piemontesi, che <strong>nel</strong> meridione vennero imposte<br />

anche con l’uso <strong>della</strong> forza e risollevando di<br />

conseguenza, specialmente in Sicilia, il sentimento<br />

autonomista e facendo subentrare la delusione<br />

all’iniziale entusiasmo con cui era stato accolto<br />

l’abbattimento del regime borbonico.<br />

Cavour, che pur non conobbe mai di persona Napoli e<br />

tanto meno il meridione più profondo di Calabria<br />

Puglia e Sicilia, intuì il difficile problema <strong>della</strong> fusione<br />

effettiva al regno di quelle regioni con il 90%<br />

d’analfabetismo e con dentro il germe del rinascente<br />

fenomeno sociale del brigantaggio, ma non ebbe il<br />

tempo di elaborare in merito una politica efficace.<br />

L’impostazione di governo centralizzato rafforzò<br />

l’idea che una regione, il Piemonte, avesse in pratica<br />

conquistato le altre. E che di ciò si fosse trattato,<br />

venne confermato dall’evidenza che <strong>nel</strong>la<br />

terminologia ufficiale, il parlamento assunse<br />

l’ordinale di ottavo anziché di primo del nuovo regno<br />

come non vi fosse stata alcuna discontinuità col regno<br />

di Sardegna e che Vittorio Emanuele mantenne<br />

l’ordinale di secondo anziché di primo di un regno<br />

nuovo, e che la costituzione del nuovo stato fu<br />

esattamente quella piemontese del 1848: lo Statuto<br />

Albertino.<br />

La classe più povera, quella dei contadini braccianti<br />

e dei tanti nullatenenti, anche <strong>nel</strong> brindisino visse<br />

quei primissimi anni post-borbonici in condizioni di<br />

grande miseria e finanche di abbrutimento, vittima<br />

di secolari ingiustizie e delle sopraffazioni esercitate<br />

da molti dei feudatari e possidenti locali. E in tale<br />

contesto, il brigantaggio divenne spesso la forma<br />

immediata di protesta, selvaggia e brutale, di quella<br />

miseria contro quelle antiche e secolari ingiustizie.<br />

A quella ancestrale situazione si aggiunsero, inoltre,<br />

l’esoso fiscalismo del nuovo stato e la nuova leva<br />

obbligatoria. Una miscela deflagrante per ex soldati,<br />

per disertori, per renitenti alla leva, per galeotti<br />

evasi e per delinquenti comuni, che si unirono a<br />

proletari braccianti e a contadini delusi e affamati,<br />

per ingrossare le fila delle bande brigantesche o,<br />

quanto meno, per assecondarne le azioni violente.<br />

L’8 settembre 1862, <strong>nel</strong> campo lungo il mare tra San<br />

Vito e Carovigno, si vide scorrazzare per la prima<br />

volta, una banda di briganti a cavallo guidata da tale<br />

Giuseppe Nicola Laveneziana, detto “figlio del re”<br />

oriundo di Carovigno, che si diede al brigantaggio al<br />

ritorno dal servizio militare e dopo essere stato<br />

imputato di mancato omicidio. Costui, come altri<br />

capitani, fu subordinato del capo brigante Pasquale<br />

Domenico Romano, un ex sergente borbonico<br />

oriundo di Gioia del Colle, detto “enrico la morte”.<br />

All’alba del giorno seguente, il 9-9, la banda assaltò<br />

la masseria Masciarella e sequestrò Vincenzo<br />

Brandi, figlio del proprietario Domenico, per poi<br />

poter estorcere un riscatto. Si iniziò la caccia alla<br />

banda da parte di polizia guardie nazionali e<br />

carabinieri, di San Vito e di <strong>Brindisi</strong> e <strong>nel</strong> trambusto<br />

dell’inseguimento, il sequestrato riuscì a liberarsi.<br />

Ma la banda si fu ingrandendo giorno a giorno; ai<br />

primi cinque se ne furono sommando a decine e in<br />

poco tempo se ne contarono fino a un centinaio. E gli<br />

assalti alle masserie si fecero rutinari.<br />

Il 23 ottobre, nei pressi <strong>della</strong> masseria “Santa<br />

Teresa” tra <strong>Brindisi</strong> e Mesagne, la banda composta<br />

da una cinquantina di briganti e comandata dal loro<br />

capo Romano, fu intercettata da un gruppo di<br />

carabinieri e di guardie nazionali in perlustrazione.<br />

Le guardie, più di una dozzina, si diedero alla fuga<br />

disperdendosi <strong>nel</strong>la campagna, mentre gli otto<br />

carabinieri si ritirarono aprendo fuoco e ferendo<br />

uno dei briganti, i quali tornando indietro<br />

catturarono 13 delle guardie.<br />

I catturati furono portati alla masseria Santa Teresa:<br />

tre di loro furono fucilati e a sei altri furono mozzate<br />

le orecchie, mentre i quattro restanti se la cavarono,<br />

perché già feriti.<br />

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