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Brindisi nel constesto della storia

Perché non “raccontare” la storia di Brindisi nel contesto della storia? E così facilitare ai lettori interessati a meglio orientarsi nella oggettivamente complessa articolata e comunque densissima e avvincente storia plurimillenaria della città? È nata così questa proposta: chiara, semplice e schematica; un testo in due colonne parallele; sulla colonna di sinistra il “contesto della storia” e su quella di destra la “storia di Brindisi”. Due testi di fatto del tutto separati: ognuno dei due da poter essere letto in maniera del tutto indipendente dall'altro. L’idea è che si possa scorrere la storia di Brindisi e, nel momento in cui lo si ritenga opportuno e utile, o necessario per meglio recepire o valorizzare quella storia, si possa al contempo consultare il contesto storico in cui quella storia di Brindisi trascorse. D'altra parte, anche se incredibile, esistono solo due o tre libri sulla Storia di Brindisi, dalle origini ad oggi, e tutti sono oltremodo datati, nonché non più disponibili.

Perché non “raccontare” la storia di Brindisi nel contesto della storia? E così facilitare ai lettori interessati a meglio orientarsi nella oggettivamente complessa articolata e comunque densissima e avvincente storia plurimillenaria della città?
È nata così questa proposta: chiara, semplice e schematica; un testo in due colonne parallele; sulla colonna di sinistra il “contesto della storia” e su quella di destra la “storia di Brindisi”. Due testi di fatto del tutto separati: ognuno dei due da poter essere letto in maniera del tutto indipendente dall'altro. L’idea è che si possa scorrere la storia di Brindisi e, nel momento in cui lo si ritenga opportuno e utile, o necessario per meglio recepire o valorizzare quella storia, si possa al contempo consultare il contesto storico in cui quella storia di Brindisi trascorse. D'altra parte, anche se incredibile, esistono solo due o tre libri sulla Storia di Brindisi, dalle origini ad oggi, e tutti sono oltremodo datati, nonché non più disponibili.

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Il ‘’riaprimento’’ del porto di <strong>Brindisi</strong> <strong>nel</strong> 1778<br />

Ferdinando IV di Borbon, probabilmente non fu un<br />

grande re come lo fu suo padre, ma ebbe l’enorme<br />

merito di aver soccorso e di fatto salvato <strong>Brindisi</strong>,<br />

preoccupandosi del riaprimento del suo porto e<br />

insistendo <strong>nel</strong> tentativo di far completare l’opera.<br />

Nel 1775, infatti, Ferdinando IV inviò a <strong>Brindisi</strong> due<br />

ingegneri, i più rinomati del regno per le opere<br />

idrauliche, con il compito di determinare i<br />

provvedimenti necessari al risanamento del porto e<br />

dell’intera città: Vito Caravelli, professore di<br />

matematica, e Andrea Pigonati, tenente colon<strong>nel</strong>lo<br />

del genio. I due ingegneri fecero gli studi del caso e<br />

compilarono i progetti che sottoposero al re: le loro<br />

proposte furono approvate e ritornarono a <strong>Brindisi</strong><br />

per attuare quanto progettato.<br />

«… Nell’anno 1776, quando Andrea Pigonati dette<br />

principio ai lavori di riapertura del canale che<br />

comunicava il porto esterno con quello interno, le<br />

paludi al centro del passaggio nei momenti di alta<br />

marea si ricoprivano con 25 centimetri d’acqua,<br />

mentre nei momenti di bassa marea le acque<br />

scomparivano del tutto e le secche rimanevano<br />

scoperte fino a 50 centimetri in alcuni punti. A<br />

stento, e solamente <strong>nel</strong>le alte maree, si poteva<br />

passare per il canale con una barchetta, e il porto<br />

interno era un lago stagnante dove potevano<br />

navigare solo le barchette e i lontri.<br />

I lavori iniziarono il 4 marzo e il 28 approdò <strong>nel</strong><br />

porto una polacca proveniente da Napoli, carica di<br />

vari attrezzi e legnami destinati all’opera.<br />

I lavori avanzarono tra varie difficoltà, non ultima<br />

quella dell’insufficienza e dell’impreparazione <strong>della</strong><br />

mano d’opera locale, per cui si dovette ricorrere<br />

anche ai lavoratori forzati: <strong>nel</strong>l’aprile del 1777<br />

giunsero a <strong>Brindisi</strong> i regi sciabecchi con cento forzati<br />

e il 26 dicembre ne giunsero altri duecento.<br />

A causa <strong>della</strong> poca disponibilità di grosse pietre<br />

necessarie all’esecuzione del progetto, oltre a<br />

cavarle dall’isola angioina, Pigonati pensò bene di<br />

utilizzare i ruderi di vecchie costruzioni. E così<br />

dispose la demolizione di alcune vecchie case site in<br />

prossimità di Porta Reale e probabilmente impiegò<br />

anche dei grossi blocchi residui <strong>della</strong> stessa porta e<br />

le pietre <strong>della</strong> già diruta torretta angioina di levante<br />

che era stata fabbricata per l’operazione <strong>della</strong> catena<br />

di chiusura del canale.<br />

Poi, le fondamenta delle torri angioine rimasero<br />

sommerse su quella secca che fu denominata ‘’secca<br />

angioina’’ e che fu in tempi recenti eliminata con<br />

l’uso di mine…» ‐F. A. Cafiero‐<br />

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