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Monografija - drugo izdanje - italijanski - niska rezolucija

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PRINCIP PRESS


Princip Press


Serbia, la mela d’oro<br />

Seconda edizione, accresciuta e corretta<br />

Casa editrice<br />

Princip Press<br />

Belgrado, Hilandarska 28<br />

+381 (11) 3222 521, 3230 447, 3247 697, 3245 021<br />

+381 (65) 5511 765<br />

www.turistinfosrbija.com, office@turistinfosrbija.com<br />

www.nacionalnarevija.com, office@nacionalnarevija.com<br />

Editore<br />

Mišo Vujović,<br />

Direttore e redattore capo<br />

Redattore<br />

Branislav Matić<br />

Progetto grafico<br />

Aleksandar Ćosić<br />

Collaboratore tecnico<br />

Vojislav Filipović<br />

Testi<br />

Zoran Bogavac, Prof. Aleksandar<br />

Jovanović, Dubravka Preradović,<br />

Petar Petrović, Milena Bogavac, Srba<br />

Janković, Krste Popovski, Jovo Bajić<br />

Traduzione in italiano<br />

Collezione Findomestic Gruppo<br />

Correzione delle bozze<br />

Sofija Žmirić<br />

Fotografie<br />

Željko Sinobad, Dragan Bosnić, Branko<br />

Jovanović, Saša Đambić, Saša Maričić,<br />

Života Ćirić, Dušan Milijić, Aleksandar<br />

Ćosić, Mišo Vujović, Karlo Hameder,<br />

Aleksandra Radonić, Miša Ognjanović,<br />

Dragan Jovanović, materiale documentario<br />

del Museo Nazionale di Belgrado, del Museo<br />

dell’Arte Naïf a Jagodina e dell’archivio<br />

di Princip Press e della rivista<br />

“Srbija – Nacionalna revija”<br />

Illustrazioni<br />

Silva Vujović<br />

Redazione del testo<br />

Princip Press<br />

Marketing<br />

Mirko Vujović<br />

Distribuzione<br />

Darko Dražić<br />

Stampa<br />

Portal, Belgrado


Serbia, la mela d’oro è un libro pieno di bellissimi<br />

paesaggi della Serbia fotografati dai migliori<br />

artisti. I fiumi, le montagne, le città, la gente…<br />

Questo libro li accompagna nella loro ricerca di<br />

bellezza. E i segni dell’abbondanza del Creatore qui<br />

sono tanti.<br />

Serbia, la mela d’oro è il libro scritto nell’ombra<br />

degli altissimi campanili. I monasteri più belli della<br />

Serbia – templi di “divina bellezza che si innalzano<br />

al cielo” – testimoniano della secolare verticalità<br />

spirituale serba. Le pareti coperte di affreschi sono<br />

il migliore contributo di un piccolo popolo al patrimonio<br />

culturale europeo.<br />

Serbia, la mela d’oro è dipinta con due toni di<br />

giallo dorato – uno bizzantino e l’altro barocco.<br />

Qui si incrociano i mondi, qui si sono intrecciati<br />

Oriente e Occidente. L’anima di questo popolo<br />

è nata nella lotta tra il concetto mistico e quello<br />

razionale. L`obbiettivo irraggiungibile di questo<br />

volume era di scoprire i segreti dell’anima serba<br />

una volta profumata di basilico e l’altra di polvere<br />

da sparo.<br />

Serbia, la mela d’oro è un libro pieno di storia. In<br />

questo paese il passato “dura a lungo”. Questo libro<br />

dimostra come la bellezza e ingegno perdurano nei<br />

tempi scarsi come sono questi nostri – ma quando<br />

era diverso?<br />

Serbia, la mela d’oro è il libro di antenati. Questo<br />

libro ci insegna che la terra sulla quale camminiamo<br />

non è la nostra: l’abbiamo ereditata dagli antenati e<br />

la lasceremo ai nostri figli.<br />

Serbia, la mela d’oro è una storia di Serbia. Una<br />

fra le innumerevoli possibili. Inizia da Lepenski Vir<br />

e finisce a Oplenac. Non chiedete perché comincia e<br />

finisce così. Sapete già la risposta. E se avesse avuto<br />

un altro inizio e un diverso fine, avreste saputo la<br />

risposta lo stesso.<br />

Serbia, la mela d’oro è l’opera che avvicina e unisce<br />

i quadri appartenenti al classicismo rigido, romanticismo<br />

irrequieto e paesaggi pieni di colori e ottimismo<br />

dei nostri pittori naïf per dimostrare quelli che<br />

meglio rispecchiano l’anima serba.<br />

Serbia, la mela d’oro non è il libro che descrive le<br />

guerre, ma le opere d’arte e il patrimonio culturale.<br />

Noi siamo molto interessati di riordinare la storia<br />

serba in tale maniera. Per noi “i più importanti Serbi”<br />

sono San Sava, Nikola Tesla e Ivo Andrić.<br />

La stesura della Serbia, la mela d’oro è durata<br />

quasi due anni. La presente è una delle sue innumerevoli<br />

versioni. Come possiamo essere certi che<br />

sia la migliore? Quando si dice Serbia, ognuno ne<br />

ha la propria idea. Ricordatevelo quando darete i<br />

vostri suggerimenti agli autori – e cercate di non<br />

essere i critici troppo severi.<br />

Serbia, la mela d’oro è il libro scritto con amore.<br />

“l”opera fatta con amore è molto severa e chiara”.<br />

Non ci chiedete se questo libro “sia severo e chiaro”.<br />

Noi non lo sappiamo, solo Dio lo sa.<br />

La compilazione dell’opera Serbia, la mela d’oro<br />

è stata molto faticosa. Non sarà facile la lettura di<br />

questo libro. Per quelli che non hanno la fede né la<br />

speranza per Serbia sarebbe meglio non leggerlo.<br />

Serbia, la mela d’oro adempirà il suo compito soltanto<br />

se dopo la lettura viene regalata a qualcuno<br />

che ama e comprende questo paese meno di voi. È<br />

un libro contro pregiudizi e grossolanità. E non sono<br />

pochi pregiudizi e grossolanità nei nostri confronti.<br />

Da noi, ma anche oltre i nostri confini.<br />

Serbia, la mela d’oro è il progetto che non finisce qui.<br />

La casa editrice “Princip Press” sta preparando una<br />

simile monografia della Serbia di oggi. Non incominciamo<br />

questa impresa senza paura e preoccupazioni.<br />

Riusciremo a fare la seconda parte di “Mela d’oro”?<br />

Qualcuno lo deve fare.<br />

03


indice<br />

04


07<br />

14<br />

26<br />

40<br />

66<br />

78<br />

86<br />

142<br />

La Sebia – Dati principali<br />

Spiriti del grande fiume<br />

Mandriano fra gli dei<br />

Sul bel Danubio blu<br />

La serbia vista dagli altri<br />

Splendenti di luce dorata<br />

Chiese di divina bellezza che si innalzano al cielo<br />

Nessuna pietà per i misericordiosi<br />

146<br />

162<br />

178<br />

186<br />

230<br />

246<br />

262<br />

276<br />

Consacrata con ceneri sante<br />

Il genio di Smiljan<br />

Alla corte del diavolo<br />

A guardia della fede dei padri<br />

Acque calde: che piacere!<br />

Per lo più a piedi nudi<br />

Taccuino di viaggio<br />

La chiesa di “zio Pera”<br />

05


Kalemegdan, Belgrado


La Serbia è compresa fra 41° 50’ 32” e 46° 11’ 25” di longitudine<br />

Nord e fra 18° 26’ 04” e 23° 00’ 42” di latitudine Est.<br />

Si trova nella parte centrale della penisola balcanica,<br />

nel centro dell’Europa sudorientale.<br />

Ha una superficie di 88.361 chilometri quadrati.<br />

Il Danubio (il fiume più lungo d’Europa), attraversa la Serbia e ne<br />

costituisce parte dei confini per 588,6 chilometri.<br />

Il bacino del Danubio è la regione più densamente<br />

abitata ed economicamente sviluppata del Paese.<br />

Le zone settentrionali del Paese hanno clima<br />

continentale, quelle collinari clima continentale<br />

temperato, mentre le regioni<br />

montuose sono caratterizzate da<br />

clima alpino. In breve, estati calde<br />

e inverni freddi. L’autunno è più<br />

lungo e tiepido della primavera.<br />

La Serbia fa parte delle regioni<br />

geografiche del Rodope, dei Balcani,<br />

dei Carpazi, delle alpi Dinariche e<br />

dello Shar, sulla linea di<br />

confine fra Europa e Asia.<br />

La sua popolazione è di<br />

7.478.820 abitanti.<br />

La capitale è Belgrado<br />

(1.600.000 abitanti).<br />

Lingua ufficiale: il serbo,<br />

scritto sia in caratteri serbo-cirillici<br />

che latini. Benché la maggior parte<br />

della popolazione sia cristiana<br />

ortodossa, sono presenti sia comunità<br />

cattoliche di rito romano che comunità<br />

islamiche piuttosto numerose.<br />

Vi sono anche minoranze di altre confessioni.<br />

07


Vista dalla cima: Tara


I capolavori della natura: panorama di bellissima gola di Uvac, la più grande confluente del fiume Lim<br />

11


Il gioco delle acque e del vento:<br />

La Città del diavolo vicino a Kuršumlija,<br />

impressionante fenomeno geologico


“Chronos”, la figura di pietra trovata<br />

nel sito archeologico di Lepenski Vir


Persone, pesci, divinità delle acque o spiriti degli<br />

antenati? Cosa rappresentano le antichissime statuette<br />

scoperte presso il corso del Danubio, nella Gola di<br />

Đerdap? Il loro ritrovamento ha gettato nuova luce<br />

sulla culla della civiltà. Perché per alcuni quesiti<br />

suggeriti dal sito archeologico di Lepenski Vir<br />

l’archeologia offre ancora solo risposte parziali?<br />

Spiriti<br />

del Grande Fiume<br />

Lepenski Vir, sulla terrazza alluvionale<br />

del Danubio a Đerdap, è uno dei<br />

siti archeologici più importanti della<br />

Serbia. Sotto strati alluvionali di terra<br />

e sabbia, il professor Srejović con<br />

la sua équipe mise in luce, negli anni<br />

Sessanta, reperti archeologici che<br />

rivoluzionarono le ipotesi sull’alba<br />

della nostra civiltà. Ottomila anni fa<br />

– fra il 7.000 e 6.000 a.C., durante il<br />

periodo medio dell’età della pietra,<br />

il Mesolitico – abitava qui una comunità<br />

di cacciatori e pescatori il<br />

cui stadio di civiltà, nonostante le<br />

approfondite ricerche compiute,<br />

rimane incerto. Una cosa è certa<br />

però: i ritrovamenti confermano<br />

che il corso medio del Danubio<br />

è la culla della civiltà europea e<br />

mondiale.<br />

I reperti più importanti provenienti<br />

da Lepenski Vir sono costituiti<br />

da sculture in arenaria quarzifera:<br />

alla luce delle attuali conoscenze, la popolazione<br />

di Lepenski Vir ha creato le prime<br />

sculture nella storia dell’umanità! La<br />

“Adamo”, la più antica<br />

delle statuette di pietra<br />

rinvenute a Lepenski Vir<br />

civiltà preistorica di Lepenski Vir ha prodotto<br />

opere scultoree che anche secondo gli attuali<br />

criteri estetici rappresentano i primi capolavori:<br />

le loro forme compatte e appena<br />

sbozzate, vecchie di otto millenni, sembrano<br />

provenire dallo studio di uno<br />

scultore contemporaneo! E di nuovo<br />

pongono domande sulla vita spirituale<br />

del nostro progenitore, sulla sua<br />

visione del mondo e su quale forza<br />

spirituale misteriosa abbia guidato<br />

la sua mano nella creazione di creature<br />

pisciformi, con occhi sporgenti,<br />

antropomorfe (a imitazione<br />

di esseri umani, di pesci o di dei?),<br />

quando l’intero patrimonio artistico<br />

dell’Homo sapiens si riduceva ad alcuni<br />

frammenti di ossa decorate con<br />

esili linee geometriche incise (come<br />

nei reperti anatolici e del Medioriente).<br />

Ancor oggi, l’architettura di Lepenski<br />

Vir sconcerta i ricercatori. Tutte le abitazioni<br />

(non avevano ancora l’aspetto di case ma erano<br />

qualcosa di più che semplici tende) sono<br />

uguali e rivolte verso il fiume. La pianta delle<br />

fondamenta (il tetto non si è conservato) non<br />

15


L<br />

’età mesolitica portò a una progressiva trasformazione delle comunità di cacciatori e raccoglitori in<br />

comunità di cacciatori e pescatori, nonché alla nascita di un modello di vita localizzato. In terra serba<br />

quest’epoca è conosciuta soprattutto grazie ai siti archeologici della Gola di Đerdap, come Padina, Vlasac,<br />

Hajdučka Vodenica (ovvero “il Mulino di Haiduk”) e Lepenski Vir. Gli strati più antichi di Padina e Vlasac contengono<br />

i resti degli stanziamenti stagionali di cacciatori e pescatori del Mesolitico nonché utensili in osso,<br />

pietra, corno e zanne di cinghiale. In un certo senso si può dire che a Lepenski Vir per la prima volta entri in<br />

scena un approccio urbanistico nel realizzare la disposizione di un insediamento: qui furono<br />

compiuti i primi tentativi di selezionare diversi tipi di piante ed era già avvenuta la<br />

domesticazione del cane. Lepenski Vir ha fornito anche i primi esempi di scultura in<br />

Europa, risalenti all’VIII-VII millennio a.C. Oggi il sito è sommerso dall’acqua in seguito<br />

alla costruzione della centrale idroelettrica di Đerdap I, ma una parte dell’insediamento,<br />

con le sue tipiche capanne trapezoidali, la si può vedere al Museo di<br />

Lepenski Vir di Đerdap.


Fu l’inconsueta<br />

posizione di uno<br />

scheletro all’interno<br />

di una tomba a<br />

dare lo spunto<br />

agli scenziati: la<br />

figura ingrandita<br />

dello scheletro<br />

era perfettamente<br />

sovrapponibile alla<br />

pianta dell’edificio<br />

è a forma di cerchio o di quadrato: tutti gli edifici hanno<br />

la base a forma di settore circolare, con i lati posti a un<br />

angolo di 60 gradi fra loro ed il vertice tagliato. La forma<br />

di queste capanne si è mantenuta per migliaia di anni e<br />

questo dimostra che aveva un carattere magico, rituale,<br />

che l’architetto della comunità era uno sciamano e numeri<br />

e proporzioni confermano che conosceva la matematica e<br />

la geometria. Ottomila anni prima di noi! La combinazione<br />

di moduli triangolari è una tendenza dell’architettura<br />

contemporanea (Wright e Fuller). Quando furono scoperti<br />

scheletri sepolti in posizione insolita, a qualcuno venne<br />

l’idea di svilupparne lo schema: sorprendentemente le proporzioni<br />

del corpo umano, confrontate con la pianta degli<br />

edifici, corrispondevano esattamente alle proporzioni della<br />

“casa”. L’ombelico del corpo umano, seguendo lo schema,<br />

si trovava in corrispondenza di una pietra bianca scolpita<br />

nel centro, che rappresentava un altare per i sacrifici.<br />

È possibile che il nostro antenato, mentre ancora usava<br />

l’ascia di pietra, sapesse come determinare costruttivamente<br />

metà della lunghezza del lato disegnando un angolo di<br />

30 gradi!? O piuttosto siamo noi che siamo propensi ad abbandonare<br />

la sfera della scienza e dell’archeologia in nome<br />

del fantastico e della credenza nella “conoscenza mistica”<br />

di cui erano dotati i nostri antenati del Grande Fiume.<br />

Le rive del Danubio conoscono segreti sull’essere umano<br />

che sono rimasti nascosti ai nostri occhi.<br />

17


“L<br />

’arte di Lepenski Vir non è conforme a ciò che sapevamo<br />

di quel periodo. Quando a Lepenski Vir furono<br />

create l’architettura sacra e le monumentali sculture<br />

di Đerdap, nel resto d’Europa regnavano le leggi di natura,<br />

in modeste capanne simili a tende, e l’arte si limitava ad<br />

alcune linee tracciate su osso o corno...<br />

Nel 1967 Lepenski Vir comparve sulla mappa archeologica<br />

dell’Europa come centro culturale eccezionalmente<br />

importante ma completamente isolato. All’epoca sembrò<br />

che “forme di una cultura evoluta” (ovvero lo stanziamento<br />

permanente con edifici progettati architettonicamente,<br />

che implica complesse relazioni socioeconomiche, così<br />

come le opere di arte monumentale certamente ispirate<br />

da una profonda religiosità) fossero sorte a Lepenski Vir<br />

dal nulla, senza alcuna avvisaglia, tradizione o preparazione.<br />

Tuttavia, anche se allora si affermò questo, se la causa<br />

si giudica dall’effetto, basandosi su Lepenski Vir si deve<br />

concludere che il passato culturale della regione danubiana<br />

è di gran lunga più ricco e complesso di quanto si sia<br />

La statuetta detta “Fata delle acque”, che<br />

misura cm 38 x 26, in arenaria quarzifera.<br />

Si tratta di una creatura pisciforme che<br />

incarna forse “l’eterno femminino”<br />

creduto fino ad oggi”. <br />

Dragoslav Srejović<br />

La combinazione di moduli triangolari è una tendenza<br />

dell’architettura contemporanea (si pensi a Wright e Fuller):<br />

quali conoscenze di matematica e geometria avevano<br />

i nostri antenati ottomila anni fa?<br />

La pianta delle capanne di Lepenski Vir si è<br />

mantenuta inalterata per oltre mille anni,<br />

dimostrando che aveva un carattere magico e rituale<br />

18


“Antenata”,<br />

scultura di Lepenski Vir


Una delle cascate sulla Sopotnica,<br />

fiume del Monte Jadovnik


Campagna di Tičije Polje, nei dintorni di Brodarevo, nella Serbia sud-occidentale<br />

21


Qui, dove una volta era antico mar<br />

di Pannonia: Vojvodina nei fiori


Acqua viva nella piazza: Fonte<br />

“Quattro leoni” a Sremski Karlovci


Le fotografie dalla pianura: “I giorni della zucca” a Kikinda, due viste sul Danubio, una tipica finestra di Vojvodina<br />

25


Sono sedici gli imperatori romani nati in<br />

Serbia, l’antica Dacia. Uno di loro, Galerio,<br />

fu soprannominato “il Mandriano” perché<br />

in gioventù aveva pascolato il bestiame.<br />

Ci ha lasciato il palazzo di Gamzigrad,<br />

uno dei più importanti siti archeologici del Paese.<br />

Professor Aleksandar Jovanović traccia per<br />

noi un ritratto di Galerio


Mandriano fra gli dei


Mosaico del palazzo di Gamzigrad<br />

raffigurante il dio Dionisio


Galerio, il cui nome completo da imperatore è Gaio<br />

Valerio Massimiano Galerio, nacque a metà del III<br />

secolo d.C. in una piccola proprietà, forse a Secundiana,<br />

nella provincia della Dacia Ripensis. I suoi genitori trovarono<br />

rifugio in questa terra perché la Dacia orientale, dalla<br />

quale provenivano, era in balìa dei bellicosi Carpi. Nella<br />

nuova patria, devastata dalle invasioni barbariche e dalla<br />

peste, il padre, il cui nome rimane sconosciuto, si occupava<br />

degli svariati lavori che richiedeva una fattoria a lungo<br />

abbandonata. La madre Romula, sotto le cui cure e la cui<br />

influenza Galerio crebbe, era devota delle divinità<br />

montane e svolgeva le funzioni<br />

di sacerdotessa.<br />

Nella sua prima giovinezza<br />

Galerio allevò il bestiame<br />

guadagnandosi così il<br />

soprannome di “Mandriano”<br />

(Armentarius), soprannome<br />

che mai rinnegò perché<br />

vi ritrovava lo spirito e<br />

la lode di Silvano (un dio della<br />

foresta venerato nei villaggi e<br />

probabilmente anche nella sua<br />

modesta casa), come anche la<br />

devozione pastorale a Romolo,<br />

il più venerato pastore romano,<br />

di cui Galerio orgogliosamente<br />

assunse il nome dopo aver trionfato<br />

sui Persiani.<br />

La carriera (cursus honorum)<br />

di Galerio non è ricostruibile<br />

con certezza; molto probabilmente<br />

ottenne la sua ascesa<br />

sociale con la spada, senza indietreggiare,<br />

con azioni eroiche, ordini<br />

e disciplina militare. Ancor prima<br />

di diventare imperatore, nel 293 d.C.,<br />

egli era fra i membri di più alto grado<br />

militare della corte di Diocleziano e anche<br />

allora riuscì a portare la pace sulla<br />

sempre instabile frontiera del Danubio.<br />

Anche Lattanzio non poté ignorare i meriti<br />

di Galerio e, circa gli eventi dell’anno<br />

Gaio Galerio Massimiano,<br />

Cesare dall’anno 295 d.C.:<br />

scultura in porfido, Gamzigrad<br />

305 d.C., afferma:<br />

“Sono trascorsi quindici anni da<br />

quando egli (Galerio) fu mandato in Illiria,<br />

sulla riva del Danubio, dove combatté contro i barbari<br />

mentre gli altri comodamente governavano regioni grandi<br />

e pacifiche.”<br />

Meriti militari, e forse la dignitosa modestia di un contadino<br />

avvezzo alla responsabilità e all’obbedienza, fecero<br />

sì che fosse segnalato all’imperatore Diocleziano. Con l’instaurazione<br />

della tetrarchia, Diocleziano nominò Costanzo<br />

Cloro Cesare della parte occidentale dell’impero, subordinato<br />

a Massimiano Erculio, e pose Galerio, direttamente<br />

sotto il proprio controllo, come Cesare della parte orientale,<br />

che all’epoca era la parte dominante dell’impero dal<br />

punto di vista militare, strategico ed economico.<br />

Con questo atto Galerio entrò a far<br />

parte della discendenza divina di<br />

Giove (cui Diocleziano si equiparava)<br />

diventandone il<br />

figlio, il “secondo Marte”.<br />

Sposando Valeria,<br />

figlia di Diocleziano,<br />

che veniva identificata<br />

con la dea Venere,<br />

l’unione matrimoniale<br />

fra Marte (Galerio) e<br />

Venere (Valeria) dette<br />

vita all’illusione di un<br />

talamo celeste (pulvinar)<br />

in terra – le raffinate alcove<br />

delle divinità.<br />

Nel frattempo, nella<br />

parte orientale dell’impero<br />

si manifestò il pericolo persiano.<br />

Prevedendo il conflitto,<br />

Diocleziano nel 296 d.C. dichiarò<br />

i Persiani nemici e trasferì Galerio<br />

dalla città di Sirmium a una<br />

nuova residenza a Tessalonica<br />

(l’odierna Salonicco), più vicina<br />

al futuro campo di battaglia. In<br />

quello stesso anno Narsete dette<br />

inizio alla campagna militare contro<br />

Roma attaccando la Mesopotamia.<br />

Diocleziano, con fiducia, pose Galerio<br />

al comando dell’armata orientale ma la<br />

guerra iniziò male per i Romani.<br />

Galerio, con un esercito insufficiente<br />

e impreparato, attraversò il fiume Eu-<br />

29


frate presso Callinico e nella zona fra quella parte<br />

Comunque Galerio pose velocemente rimedio alle con-<br />

del fiume e la collina di Carre si scontrò con<br />

l’esercito persiano, molto più numeroso.<br />

La fanteria romana, di solito molto resistente,<br />

dovette far fronte ad un<br />

caldo insopportabile, alla sete e<br />

all’incertezza, perdendo la<br />

fiducia in sé e ogni spirito<br />

battagliero. In queste<br />

circostanze ebbero<br />

inizio gli attacchi<br />

del nemico, ben<br />

più forte, specialmente<br />

quelli della<br />

cavalleria. Il fronte<br />

romano fu sbaragliato,<br />

la battaglia perduta<br />

e la provincia della<br />

Mesopotamia cadde nelle<br />

mani dei Persiani.<br />

Alcune fonti cronologicamente<br />

“Felix Romuliana”:<br />

seguenze di questa guerra sfortunata e cancellò<br />

ogni dubbio sulle sue capacità. Rafforzò il<br />

suo esercito con reparti provenienti<br />

dalla frontiera sul Danubio e con<br />

un esercito di 25.000 soldati<br />

attraversò di nuovo l’Eufrate.<br />

Ma questa volta,<br />

invece di posizionare<br />

le sue forze nello<br />

spazio aperto<br />

della pianura mesopotamica,<br />

marciò attraverso<br />

le zone montuose<br />

dell’Armenia, dove la gente era<br />

meglio disposta verso i Romani e il<br />

cui territorio era più adatto alle azioni<br />

della fanteria.<br />

L’esperienza precedente aveva rafforzato<br />

la cautela e la disciplina nell’esercito<br />

romano mentre i Persiani, dopo il successo ottenuto,<br />

lontane da questi eventi,<br />

come Eutropio e Ammiano Marcellino,<br />

Iscrizione sopra la porta di accesso<br />

alla città di Felix Romuliana<br />

aspettavano la battaglia senza timori. Galerio<br />

sferrò un grande attacco a sorpresa all’accampamento<br />

riferiscono la rabbia di Diocleziano dopo la sconfit-<br />

ta e il suo ordine a Galerio di camminare per molte miglia<br />

dietro il suo carro da combattimento. Questo racconto però<br />

non è ritenuto vero, infatti Lattanzio, suo contemporaneo,<br />

non parla nelle sue note dell’umiliazione subita da Galerio,<br />

fatto strano per lui che non gli accordò mai preferenze.<br />

nemico provocando panico, caos e costernazione. La<br />

resistenza fu annientata e l’esercito persiano schiacciato.<br />

L’imperatore Narsete, che comandava l’esercito persiano,<br />

benché ferito riuscì a fuggire attraverso il deserto e a raggiungere<br />

la Media. Le sue tende fastose, insieme a quelle dei<br />

suoi satrapi, costituirono un bottino enorme per i vincitori.


Testa di Giove,<br />

parte della scultura,<br />

Gamzigrad<br />

L’impresa eroica di Galerio fu celebrata con<br />

un arco di trionfo costruito davanti al suo<br />

palazzo a Salonicco. Galerio fu celebrato<br />

come il nuovo Alessandro e la<br />

sua vittoria equiparata al trionfo<br />

orientale di Dioniso.<br />

Con una siffatta garanzia di<br />

divinità, nel 305 d.C. Galerio<br />

ascese al trono, divenuto vacante<br />

dopo l’abdicazione di<br />

Diocleziano e di Massimiano,<br />

con il titolo di Augusto. Benché<br />

formalmente fosse il secondo<br />

nella gerarchia della seconda<br />

tetrarchia, subito dopo Costanzo<br />

Cloro, tutti videro in lui il vincitore<br />

della gigantomachia divina, come<br />

era considerato il conflitto con i Persiani,<br />

il signore di tutte le decisioni, la<br />

figura guida dell’impero.<br />

Le vanità personali, le ambizioni e<br />

il dispotismo avevano già smantellato<br />

l’idea utopistica della tetrarchia. Rendendosene<br />

conto, Galerio si ritirò, saggiamente<br />

abbandonando l’idea dell’impero universale, e si<br />

dedicò non solo ai piaceri personali ma anche<br />

ad opere di pubblica utilità. Fece defluire l’acqua<br />

in eccesso dal lago di Pelso (lago Balaton)<br />

al Danubio, abbatté molte foreste che circondavano<br />

il lago e donò ai suoi sudditi molte<br />

terre fertili in Pannonia.<br />

La fine di Galerio fu segnata da<br />

una malattia raccapricciante, lunga<br />

e perfida: il corpo dell’imperatore,<br />

gonfio per gli eccessi di<br />

gioventù, era coperto da ascessi<br />

purulenti pieni di vermi.<br />

All’apice del suo potere,<br />

dopo la grande vittoria su Narsete,<br />

Galerio, cui il successo non<br />

aveva mai offuscato la ragione né<br />

fatto perdere il timore dell’inevitabile<br />

fine, iniziò a costruire l’edificio<br />

di Gamzigrad, probabilmente nel<br />

298-299 d.C. La fortezza originale<br />

aveva approssimativamente la forma<br />

di un rettangolo di 210 per 180<br />

metri, la pianta del pianoterra era<br />

simile a quella del palazzo di Diocleziano<br />

a Spalato, ma possedeva solo<br />

due ingressi, uno sul lato est e uno sul<br />

lato ovest, fiancheggiati da due torri ottagonali;<br />

agli angoli e in corrispondenza<br />

degli scomparti delle mura erano presenti<br />

dodici torri a base quadrata.<br />

L’edificio, forse mai ultimato, fu trasformato<br />

in un nuovo forte più ampio,<br />

grandioso e bello ma con la stessa pian-<br />

Dopo aver regnato per venti anni,<br />

Galerio si ritirò nel suo palazzo di<br />

Gamzigrad, dove morì e fu divinizzato


ta, la stessa struttura, la stessa concezione e le stesse coordinate<br />

e norme rituali. Fu costruito in tempi brevissimi<br />

con efficienza militare, e con abbondante monumentalità<br />

per quanto non ne fosse questo lo scopo. Era il luogo dove<br />

l’imperatore, dopo la sua volontaria abdicazione dopo venti<br />

anni di governo, seguendo l’esempio di Diocleziano, “sarebbe<br />

stato circondato da mura invincibili e avrebbe trascorso<br />

una sicura e tranquilla vecchiaia”.<br />

L’aggettivo felix non era usato per nomi di luoghi, città<br />

e regioni come un semplice aggettivo, ma piuttosto come<br />

attributo di dei, imperatori, imperatrici ed eroi per esprimerne<br />

lo splendore, la gloria, l’eternità, il profondere abbondanza<br />

e progresso ovunque.<br />

La statua in porfido di Galerio è una scultura monumentale<br />

dell’imperatore seduto, in abiti militari, con un globo<br />

nella mano protesa a significare la calma della pace universale<br />

dopo il trionfo. La dea Vittoria lo cinge con una corona<br />

su cui sono raffigurati medaglioni e le effigi di quattro imperatori<br />

identificati con altrettanti dei: Diocleziano/Giove,<br />

Massimiano Erculio/Ercole, Costanzo Cloro/Apollo-Sole e<br />

Galerio/Marte.<br />

Uno dei mosaici conservati offre un’ingegnosa e raffinata<br />

variazione del famoso tema di Lisippo e Leocare: la<br />

caccia reale di Alessandro. Partecipa a questa scena un<br />

uomo più giovane, protetto dallo scudo e, in certo modo,<br />

dalla sollecitudine del partecipante più anziano. Volto<br />

aperto, tipico di un ragazzo, faccia triangolare dai grandi<br />

occhi, capelli arruffati con grandi riccioli che racchiudono<br />

il bel volto di un giovane la cui dignità non è offuscata dal<br />

fatto che egli sta nascosto dietro lo scudo: si potrebbe supporre<br />

che rappresenti il figlio di Galerio, Candidiano, per il<br />

quale l’imperatore nutriva ambizioni politiche.<br />

Gamzigrad (nell’antichità, di volta in volta, Felix Romuliana,<br />

Romulianum e Romuliana), la solenne testimonianza<br />

di Galerio, rappresenta un monumento unico al<br />

trionfo, all’ambizione, alla vanità, al desiderio utopistico<br />

di un’esistenza eterna nella memoria. Accadde proprio<br />

l’opposto: la residenza di Galerio fu coperta da basiliche<br />

cristiane, quasi che il sogno di Lattanzio si fosse avverato,<br />

e dopo il primo periodo bizantino il luogo cadde nell’oblio<br />

e perse il suo nome; nelle rare leggende di Gamzigrad non<br />

vi è menzione alcuna del potente Galerio<br />

e di sua madre Romula.<br />

Un mosaico raffigurante una scena di caccia fu scoperto nel 1953 nella sala delle<br />

cerimonie della residenza di Galerio. In un momento di cieco fanatismo questo<br />

mosaico fu rimosso dal luogo originario e trasferito al Museo del 25 maggio di Belgrado.<br />

In quell’occasione fu danneggiata l’integrità dell’immagine, cosicché delle tre figure<br />

di cacciatori ne restano oggi soltanto due. Sullo sfondo, incorniciato da volute ioniche,<br />

erano precedentemente raffigurate tre figure di cacciatori (venatores) ed un leone ritto<br />

sulle zampe posteriori. Il lato sinistro della composizione si è parzialmente conservato<br />

e vi sono rappresentati due cacciatori: uno si erge coraggiosamente tenendo un laccio<br />

nella mano sinistra protesa, mentre l’altro cacciatore è inginocchiato al riparo di un<br />

grande scudo tondeggiante che regge con la mano sinistra, mentre con la destra impugna<br />

una lancia (pilum) diretta verso la bestia inferocita. <br />

33


Un’aquila sulla pira<br />

Circa un chilometro a est di Gamzigrad, su una collinetta presso il sito di Magura, termine che nel<br />

rumeno parlato in Valacchia corrisponde al serbo mogilas e indica enormi tumuli funebri, si trova una<br />

specie di crepidoma naturale. Il tumulo, che è contrassegnato col numero uno ed è giustamente associato<br />

a Romula, ha un diametro di trenta metri e l’impressionante altezza di otto metri e mezzo. Entro uno<br />

spazio delimitato da un muro fu eretta una grande pira in legno a più piani, sulla quale fu ritualmente<br />

bruciata un’effigie in cera (imago) dell’imperatrice, mentre il corpo dell’imperatrice stessa fu inumato<br />

nel mausoleo vicino.<br />

Questa pratica relativa agli imperatori<br />

e alle imperatrici romane ha<br />

inizio nel II secolo: si costruiva una<br />

pira funeraria a più livelli, che rappresentavano<br />

vari gradi di purificazione,<br />

in cima alla quale si poneva una rappresentazione<br />

in cera della persona<br />

defunta, con abbondanti doni e offerte<br />

e infine una gabbia contenente<br />

un’aquila. Quando si dava fuoco alla<br />

pira, la gabbia si apriva e l’aquila<br />

portava l’anima purificata (pneuma)<br />

nella terra degli eroi. Le spoglie mortali<br />

dei defunti venivano poste in un<br />

mausoleo. Attraverso questa insolita<br />

dicotomia si realizzava l’apoteosi.<br />

Il tumulo 2, che come il mausoleo<br />

vicino è pertinente a Galerio, è ancor più monumentale: infatti ha un diametro di quaranta metri e un’altezza<br />

di oltre dieci. È circondato da un muro in pietra largo due metri e mezzo. Accanto al tumulo c’era<br />

il mausoleo, costruito su una piattaforma a base poligonale con una tholos cinta da un colonnato di 12<br />

colonne. All’interno della cerchia di pietra del tumulo è stata costruita una grande pira a più piani dove fu<br />

bruciata l’effigie, o imago, e portata a compimento l’apoteosi. Fra i resti rinvenuti vi sono doni riconducibili<br />

al mondo militare: parti di elmetto, di armatura e insegne dell’esercito. Il corpo fu traslato nella camera<br />

mortuaria nei sotterranei del mausoleo, anch’esso saccheggiato o distrutto secoli fa, forse già nella tarda<br />

antichità. In questo luogo, Galerio fu sepolto nel 311 d.C. e divenne Divus Galerius.<br />

Vorrei concludere il racconto su Galerio con una poetica chiusa sui monumenti di Magura di Dragoslav<br />

Srejović, che ha affrontato il tema fantastico di Gamzigrad: “... dall’alto di Magura si potrebbe contemplare<br />

tutta la fatica di Galerio: il palazzo e i mausolei con i monumenti consacrati che, in concreto, illustrano il<br />

percorso della vita di Galerio, la sua ascesa da Cesare, passando per la posizione di Augusto, allo status<br />

divino. In ciò si realizza la connessione fra terra e cielo, nascita e apoteosi, mortalità e immortalità”.<br />

34


“Labirinto”, mosaico del palazzo di Gamzigrad<br />

35


La cascata Prskalo,<br />

Kučaj, Serbia del Est


Cerimonia della mietitura: una ragazza con un fascio di spighe di grano<br />

37


Rafting sulla Tara, vicino alla<br />

confluenza di Piva e Tara


La storia d’Europa, fatta di disperazione, di sangue,<br />

di sudore e di prostrazione dinanzi a un male che non<br />

sembra dare tregua, è destinata a scorrere immutabile nel<br />

tempo come il grande Danubio? E il blu del Danubio,<br />

reso immortale dalle note di Strauss, ci conforta o ci inganna?<br />

La Serbia è uno dei grappoli appesi alla flessuosa vite che<br />

il Danubio disegna in Europa. Siamo ormai all’alba di in una<br />

nuova era in cui il Danubio potrebbe divenire il simbolo<br />

di una nuova unità fra tutte le nazioni europee?<br />

Sul bel Danubio blu


’Istro è il più grande fiume conosciuto. È il più a occidente<br />

fra tutti i fiumi scitici ed è anche il più grande<br />

“L<br />

poiché molte acque confluiscono in questo fiume.” Questo è<br />

ciò che scrisse Erodoto cinque secoli prima di Cristo.<br />

Dopo che l’uomo è infine riuscito a misurare il nostro<br />

pianeta da cima a fondo, ci si è resi conto che il Danubio (con<br />

i suoi 2.783 chilometri) è il trentaduesimo fiume del mondo<br />

per lunghezza e il secondo d’Europa dopo il Volga.<br />

Ma ci sono altri modi di maggior rilevanza per definire<br />

l’importanza del Danubio.<br />

Si può dire che l’alba della civiltà sia sorta sul Danubio,<br />

sui terrazzi alluvionali di Lepenski Vir. In questo insediamento<br />

progettato “urbanisticamente”, risalente al 7.000<br />

a.C., sono state trovate le più antiche sculture monumentali<br />

in pietra note ai nostri giorni e alcune dimore costruite secondo<br />

precise norme e proporzioni, che attestano una vasta<br />

conoscenza della matematica. Le sculture, che rappresentano<br />

grandi teste di pietra, hanno uno stile sorprendentemente<br />

moderno e ci inducono a chiederci se i primi dei europei<br />

avessero l’aspetto pisciforme delle creature che vivevano<br />

nelle profondità delle acque del Danubio.<br />

Due dei più importanti miti europei hanno poi attraversato<br />

in qualche punto le onde del Danubio: quello che riconduce<br />

all’apocalisse e un altro che parla della ricerca incessante<br />

dell’uomo. La prima leggenda, che proviene dal Nord,<br />

è un oscuro mito sui Nibelunghi. La seconda è il racconto<br />

delle leggendarie peripezie degli Argonauti e proviene dal<br />

Mediterraneo (un numero crescente di esperti ritiene che<br />

il mitico Teseo abbia raggiunto le rive del Danubio nella sua<br />

ricerca del vello d’oro).<br />

Non a caso Vasko Popa, nei suoi versi sul fiume, lo chiamò<br />

“il grande Signore Danubio”.<br />

Grande Signore Danubio<br />

nelle tue vene scorre<br />

il sangue della Città Bianca<br />

Per il bene della città<br />

alzati solo per un secondo<br />

dalle tue belle lenzuola<br />

trova la carpa più grande e montale in groppa<br />

conquista le nubi di piombo<br />

e va’ nel tuo celeste luogo natìo<br />

Porta doni alla Città Bianca<br />

frutti, uccelli e fiori del paradiso<br />

Porta anche un seme fecondo<br />

e un soffio dell’aere che ci renderebbe immortali<br />

I campanili cadrebbero davanti alle tue ginocchia<br />

e le strade si prostrerebbero per l’ammirazione di te<br />

Grande Signore Danubio<br />

Gian Lorenzo Bernini, scultore e architetto tra i più eccelsi<br />

del Barocco italiano, che oltre ad altri capolavori progettò il colonnato<br />

di piazza San Pietro a Roma, ideò anche la Fontana dei<br />

Fiumi che si trova in piazza Navona. La fontana è l’espressione<br />

dell’idea, cara ai cesari e ai papi, di Roma come centro del mondo.<br />

Bernini concepì quattro grandi statue che simboleggiano i<br />

quattro grandi fiumi ai quattro angoli della Terra. La personi-


ficazione del Danubio (un poderoso uomo anziano dalla lunga<br />

barba ondulata) rappresenta l’Europa, ed è a fianco delle rappresentazioni<br />

del Nilo, che simboleggia l’Africa, del Gange, che<br />

simboleggia l’Asia, e del Rio de la Plata simbolo dell’America.<br />

Danuvius, Donau, Dunay, Dunav, Dunareaja... questo<br />

grande fiume costituiva il confine fra il Nord barbarico e il<br />

Mediterraneo civilizzato. Servì da pietra miliare per le tribù<br />

e i popoli che migrarono durante le invasioni barbariche,<br />

guidò le legioni romane verso Oriente, in Dacia, e le truppe<br />

ottomane dei Giannizzeri verso occidente, nel loro cammino<br />

verso Vienna. “Passando” attraverso i vari luoghi, il Danubio<br />

collega molte regioni e nazioni, ma “scorrendo” lungo la storia,<br />

quelle stesse nazioni le divide.<br />

E davvero il Danubio è ciò che meglio simboleggia l’Europa,<br />

la sua unità culturale e le sue contraddizioni politiche<br />

(e religiose). Dejan Medaković ha scritto che il Danubio<br />

rappresenta “l’arteria della circolazione dell’Europa” e lo ha<br />

chiamato “il re di tutti i fiumi europei”.<br />

Il Danubio raccoglie le acque che scorrono attraverso la<br />

Germania, l’Austria, la Slovacchia, l’Ungheria, la Croazia, la<br />

Serbia, la Bulgaria, la Romania e la Moldavia e infine si getta<br />

nel mar Nero, dove il suo delta copre la sbalorditiva superficie<br />

di 820.000 chilometri quadrati. Il Danubio ha offerto<br />

allettanti promesse di innumerevoli mondi fantastici, più<br />

belli, ricchi, fertili e interessanti, immaginati là dove il Danubio<br />

nasce, e altrettanti ove le sue acque spariscono al di là<br />

dell’orizzonte. Il Danubio ha attratto curiosi, commercianti e<br />

conquistatori, tribù, nazioni ed eserciti: per queste promesse<br />

è stato spesso chiamato “il fiume del Paradiso”.<br />

Il fiume del Paradiso ha continuato ad esistere mentre<br />

tutto cambiava lungo le sue rive – mondi crollavano intorno<br />

ad esso ed erano ricostruiti, mentre le popolazioni che<br />

vivevano sulle sue sponde spargevano le loro e le altrui lacrime,<br />

il sudore e il sangue. Il Danubio ci ha sempre chiesto di<br />

ascoltare le vecchie massime sulla natura transitoria di tutte<br />

le cose terrene ma noi lo abbiamo ascoltato raramente.<br />

Al trentatreesimo chilometro del Danubio, a monte di Regensburg,<br />

nella città di Kelheim, un canale lo collega al Reno.<br />

Il canale è lungo 170 chilometri, ha sedici chiuse, è navigabile<br />

con navi che hanno fino a tre metri di pescaggio. Ciò permette<br />

di raggiungere il canale Reno-Meno e da qui l’intero sistema<br />

di navigazione che collega il mare del Nord con il mar Nero<br />

(un “corridoio blu d’acqua” lungo più di tremila chilometri).<br />

Ma mentre ogni anno circa duecento milioni di tonnellate di<br />

merci vengono trasportate sul Reno, le merci trasportate sul<br />

Danubio non superano il milione di tonnellate.<br />

43


Il Danubio collega svariate grandi città costruite sulle<br />

sue rive (Ulm, Regensburg, Passau, Linz, Vienna, Budapest,<br />

Novi Sad, Belgrado, Smederevo, Turnu Severin, Ruse, Braila...),<br />

unendo ottanta milioni di persone e nove Paesi. Sulle<br />

sue rive si parlano nove lingue.<br />

La Serbia “è appesa” come un grappolo sulla vite sinuosa<br />

disegnata dal percorso del Danubio.<br />

Il Danubio entra in Serbia da nord, a Bezdan, senza fretta,<br />

serpeggiando come ogni grande fiume di fondovalle,<br />

spesso creando meandri quasi circolari, rendendo il suo percorso<br />

tortuoso, quasi che esitasse nell’incertezza se procedere<br />

o no, ricevendo molte acque lungo il suo cammino “che lo<br />

rendono grande” (Drava, Vuka, Tibisco, Sava, Tamiš, Jezava,<br />

Morava, Caras¸, Nera, Pek, Timok...), e allora conferma il<br />

suo soprannome di “mare d’Europa”, dilagando con le sue<br />

calme acque blu prima di entrare nella Gola di Đerdap, lunga<br />

96 chilometri. La riva rumena del Danubio, che scompare<br />

nella nebbia, è a due chilometri di distanza.<br />

Poi le sue acque schiumeggiano affrontando i monti,<br />

scavando ancor più la gola nel cosiddetto Grande Bollitore<br />

(Veliki Kazan in serbo), dove le acque – oggi regolate dalla<br />

diga della centrale idroelettrica di Đerdap – si serrano con<br />

furia, appunto come in un calderone di pietra, e iniziano a<br />

ribollire. Nel varco montano di Đerdap il Danubio è largo<br />

solamente 150 metri (ma con una profondità di 90 metri è il<br />

fiume più profondo d’Europa).<br />

Dopo Đerdap, le “Porte di ferro” dei Carpazi, lasciata alle<br />

spalle la Serbia, il Danubio torna ad essere un grande e calmo<br />

fiume di fondovalle e percorre altri 845 chilometri dalla<br />

città rumena di Sulina al porto di Costanza e al delta.<br />

Il Danubio percorre la Serbia per 588 chilometri. E quei<br />

588 chilometri di Europa non possono essere negati alla Serbia,<br />

neanche dai più fieri oppositori, che sostengono la tesi<br />

del “carattere non europeo” della Serbia.<br />

Il Danubio esercitava un’attrazione magica sugli Slavi che<br />

arrivarono nel periodo delle invasioni barbariche e si fermarono,<br />

nel VI secolo d.C., sulle sue rive per quello che per la storia<br />

è un breve momento, incerti se valicare i Balcani o meno.<br />

Procopio scrisse “I popoli slavi attorniarono la parte più larga<br />

dell’Istro” e “sono genti che non hanno padroni ma vivono in<br />

democrazia”. L’Istro probabilmente ricordava loro “le foreste<br />

nebbiose e i fiumi turchesi” della loro antica patria.<br />

Molti antichi autori di cronache hanno attestato che gli<br />

Slavi erano esperti marinai. In una descrizione della crociata<br />

alla volta di Costantinopoli (626 d.C.) – che finì tragicamente<br />

per i guerrieri slavi (“i loro corpi coprivano il mare”) – si dice<br />

che mentre gli Avari marciavano alla crociata, i loro alleati<br />

44<br />

Slavi si spiegarono sulle acque del Corno d’Oro navigando<br />

sui leggeri vascelli danubiani ricavati da tronchi d’albero.<br />

Gli Slavi, a differenza degli Unni, non furono costretti ad<br />

aspettare l’inverno per attraversare il Danubio gelato, nel<br />

conflitto in cui Belisario riuscì a stento a fermarli davanti<br />

alle mura di Costantinopoli (VI secolo d.C.). Perciò il Danubio<br />

non rappresentò mai una barriera per i guerrieri slavi.<br />

Lontano, verso sud, c’era Bisanzio, che nel suo splendore<br />

e nella sua ricchezza, con il calore di una bellezza perversa e<br />

scaltra, vestita d’oro e porpora e dall’animo di una prostituta,<br />

aspettava che essi si affacciassero sul palcoscenico della<br />

storia e assaporassero, dalle mani di Bisanzio, il veleno della<br />

voracità, della lussuria, del potere e dell’oro, del parricidio,<br />

dell’incostanza e del crimine, ma anche il miele del “dolce<br />

Cristianesimo Ortodosso” (IX secolo).<br />

Ai margini dell’impero bizantino, i Serbi costituivano un<br />

paese illuminato dai lontani riflessi dorati di Costantinopoli<br />

(XI secolo). Un paese fondato grazie alle miniere d’argento,<br />

alla forza dei suoi soldati e alle preghiere dei religiosi nei monasteri<br />

affrescati. Gli affreschi rappresentano l’apice dell’arte<br />

europea dei secoli XIII, XIV e XV, continuando e superando<br />

le tradizioni artistiche di una Bisanzio traballante, e su quel<br />

“ramoscello d’oro” furono innestati i primi germogli della<br />

cultura occidentale e del futuro rinascimento europeo.<br />

Il cuore della Serbia si spostava continuamente da Raška<br />

al sud, al Kosovo e ancora più a sud. Gli Ottomani entrarono<br />

nella storia dell’Europa attraverso le rovine della civiltà bizantina<br />

(nel 1453 caddero le mura di Costantinopoli, “la capitale<br />

del mondo”) e i Serbi, che per un lungo periodo avevano<br />

voltato le spalle al Danubio, furono nuovamente costretti<br />

a rivolgersi alla grande via d’acqua dell’Europa per fuggire<br />

dagli invasori ottomani.<br />

Il despota Stefan Lazarević detto “l’Alto”, cavaliere dell’ordine<br />

del Dragone, guerriero, diplomatico e poeta, spostò la<br />

capitale della Serbia da Kruševac, la città da cui suo padre,<br />

“l’onorevole Principe” Lazzaro, era partito per la più grande<br />

battaglia della storia della Serbia, quella del Kosovo (1389).<br />

Lo fece per ascendere dalla terra a un regno celeste, per trapassare,<br />

perire e cercare vendetta con l’uccisione del Sultano<br />

Murad. Poiché desiderava essere più vicino ai suoi alleati cristiani,<br />

alle sue proprietà in Ungheria e ai suoi palazzi a Pest,<br />

il despota governava da Belgrado, città fortificata costruita<br />

sul luogo in cui il Danubio si unisce alla Sava, in uno dei tratti<br />

più belli del Danubio – nella città che era stata governata da<br />

Scordisci, Goti, Romani, Bizantini, Bulgari e Ungheresi prima<br />

di lui. In questo modo la Serbia, entrando a far parte dell’area<br />

culturale di Bisanzio, entrò in Europa.


Fortezza di Smederevo il despota Đurđe Branković,<br />

l’ultima capitale della Serbia medievale, XV secolo


La Gola di Đerdap:<br />

vista al Kazan


Belgrado resisté agli Ottomani molto più a lungo del resto della Serbia.<br />

Con la resa di Smederevo, la capitale scelta dal despota Đurađ (erede di Stefan), la<br />

città con una delle più grandi fortezze d’Europa, arrivò la fine del potere della Serbia<br />

medievale e insieme la resa finale della Serbia agli Ottomani.<br />

Le venticinque alte torri che circondano i dieci ettari della fortezza si riflettono<br />

nelle acque del Danubio e continuano a testimoniare che non c’è altra fortezza che lo<br />

spirito umano, e che neppure le mura più forti possono difendere l’uomo dalla paura<br />

e dalla disperazione. I difensori della fortezza consegnarono agli Ottomani una città<br />

che era stata costruita per essere invincibile, mentre ascoltavano il rumoreggiare<br />

oscuro e minaccioso del mare islamico che sciabordava sulle loro coste, rendendosi<br />

conto che coloro che vivevano dall’altra parte del Danubio, dove si trovava il mondo<br />

cristiano, non li avrebbero aiutati, accecati com’erano, e non solo allora ma di frequente<br />

nel corso della storia, dai loro litigi e dalle loro lotte per i vari regni.<br />

“Sic transit gloria mundi!”<br />

Solo nel 1521 Solimano il Magnifico conquistò Belgrado, onorando così l’impegno<br />

con il Sultano Murad II (il cui esercito di 100.000 guerrieri fu costretto a ritirarsi davanti<br />

ai coraggiosi difensori sotto il comando di Jovan Tolovac di Korčula), che aveva<br />

affermato che Belgrado sarebbe prima o poi diventata ottomana, e anche per ritorsione<br />

per la terribile sconfitta subita dal sultano Maometto II Fatih, il conquistatore di<br />

Costantinopoli, che a Belgrado (1456) era stato ferito combattendo in prima fila con<br />

le armi in pugno.<br />

Belgrado – la Città Bianca, chiamata antemurale christianus (contrafforte cristiano)<br />

negli editti papali – una città sul cui primo stemma, oggi abbandonato, vi erano<br />

una torre e due “croci patriarcali” – fu difesa dai crociati capeggiati dal duca Janos<br />

Hunyadi, il palatino ungherese, spronati dagli infuocati sermoni francescani di Giovanni<br />

da Capestrano, abate combattente poi fatto santo. Entrambi morirono, subito<br />

dopo la vittoria, di una malattia causata dall’“aria ammorbata” dai 30.000 cadaveri in<br />

decomposizione dei guerrieri di Allah che giacevano sul campo di Mali Kalemegdan<br />

perché non c’era nessuno che li seppellisse (gli Ottomani avevano già occupato la<br />

Città Bassa, ma i difensori risposero con un attacco improvviso e sanguinoso).<br />

Non era la prima volta che Dio, con strumenti umani, metteva sullo stesso piano<br />

i vincitori e i vinti, e neppure era la prima volta che le impassibili acque del Danubio<br />

trasportavano cadaveri umani. E non sarebbe stata l’ultima.<br />

Allora una lunga processione di Serbi (1521) uscì dalla porta della città portando<br />

con sé icone e reliquie di Santa Petka, lasciando la città per ordine del sultano, ubbidendo<br />

alla volontà del vincitore, e se ne andarono lontano verso le coste del Bosforo.<br />

Per i successivi centosessanta anni, alti minareti eretti sulle colline di Belgrado si<br />

riflessero nelle acque del Danubio; i più alti furono costruiti dall’imam Sinan, famoso<br />

progettista turco e architetto imperiale, per la moschea di Solimano il Magnifico, un<br />

edificio dalla cupola immensa che con il suo profilo dominava Kalemegdan. Oggi non<br />

rimane neppure un pezzetto di quel magnifico edificio eretto sulla cima della “Collina<br />

della Contemplazione” (Fekir-bayir, “collina della contemplazione”, è appunto il<br />

nome che gli Ottomani dettero a quei terreni, sull’orlo della bassa sporgenza di Kalemegdan,<br />

da cui si gode “il più bel tramonto d’Europa”).<br />

In quel periodo Belgrado danzava al ritmo dei colpi delle guerre ottomane contro<br />

l’Europa, con una popolazione crescente, da 20.000 a oltre 100.000 abitanti, un numero<br />

sbalorditivo, ben oltre di quanti ne avesse la stessa Londra.<br />

47


Fu qui che il Gran Visir Kara Mustafa Pascià fu punito<br />

il fiume fino a Belgrado, ma le loro vittorie durarono poco:<br />

dal sultano per la sua sconfitta a Vienna (per questa guerra gli Ottomani, risalendo il Danubio, avrebbero nuovamente<br />

santa il pascià aveva ricevuto la bandiera verde del Profeta conquistato la città, “la capitale della Jihad”, che costituiva il<br />

dalle mani del sultano): ebbe una corda di seta e una fossa principale avamposto per tutte le guerre contro l’Occidente.<br />

profonda due metri che tutti, dal conquistatore del mondo al E tale rimase fino a che finalmente gli Ottomani abbandonarono<br />

la fortezza di Belgrado nel 1867, quando il sultano<br />

più povero sulla terra, sono alla fine costretti ad accettare.<br />

La sua tomba non rimase in piedi a lungo a Belgrado: “conferì le città fortificate serbe alla protezione” del principe<br />

quando le mura della città assistettero, anche se solo per un Mihailo, usando un’espressione che cercava di mitigare l’amarezza<br />

delle perdite e delle sconfitte che l’ancor potente ma<br />

breve periodo, al cambio di bandiere, da quelle ottomane a<br />

quelle con le croci (1688), quando la città fu saccheggiata sempre più vacillante impero cominciava a subire a quel punto<br />

dagli sconfitti e dai vincitori come mai prima lo era stata né della sua storia. Così Mihailo governò il nuovo stato serbo liberato,<br />

la cui “popolazione si risollevò come l’erba sulla terra”.<br />

mai più lo sarebbe stata in seguito, i gesuiti profanarono la<br />

tomba (“turbe”) del pascià e inviarono il suo teschio a occidente,<br />

su per il Danubio, in regalo a un loro cardinale (e tagliata in due come una torta lungo la linea del Danubio e<br />

Ma torniamo a quei lunghi, oscuri anni in cui la terra fu<br />

il teschio deturpato fu messo in mostra, all’interno di una del suo affluente Sava, confine fra la terra e gli dei. Allora il<br />

elaborata teca rococò, in un museo di Vienna).<br />

Danubio influì in modo considerevole sul destino dei Serbi<br />

Le teste viaggiavano su e giù per il Danubio.<br />

per la seconda volta nella storia: la speranza nei cuori di chi,<br />

Quando quattro comandanti dell’esercito ottomano, i cosiddetti<br />

dahia, si ribellarono al sultano, i quattro sconsideraversare<br />

la penisola balcanica fu rimpiazzata da sofferenza<br />

dieci secoli prima, aveva compiuto il passo decisivo di attrati,<br />

ostinati e sanguinari governatori della Serbia cercarono di e disperazione, perché nel varcare il fiume per entrare in<br />

scappare sul Danubio alla rabbia dei serbi in rivolta (1804), Europa i Serbi ebbero la sensazione di aver solo sostituito<br />

ma solo per venir presi sull’isola fluviale di Ada Kale. Il giorno<br />

dopo solo tre teste, scuoiate, cosparse di sale e impagliate, pensando che sarebbe stato meglio servire un “imperatore<br />

un padrone con un altro. Le genti turche, che si consolavano<br />

furono portate al sultano che presiedeva il Divan, la corte di cristiano” piuttosto che il padishah di Allah, divennero, al<br />

giustizia turca. Le onde del Danubio rivendicarono la quarta di là del Danubio, carne da cannone per la politica sleale e<br />

testa che, per l’inettitudine del boia che l’aveva fatta scivolare<br />

mentre lavava via il sangue coagulato dal volto sconvolto Nelle nebbie della storia che ammantano l’ampio corso del<br />

traditrice delle corti europee di Pest e Vienna.<br />

dalla morte, fu portata via dal fiume.<br />

grande fiume, le šajka (imbarcazioni serbe), lente e scure sotto<br />

Massimiliano Emanuele di Baviera dimostrò il suo valore le vele ingiallite, con i cannoni sulla prua, scivolavano sul Danubio.<br />

La flotta danubiana della Serbia, proprio come la flotti-<br />

nella guerra sotto le mura di Belgrado (1688), conducendo<br />

l’esercito all’attacco al grido “Dio ed Emanuele sono con glia della Mosa dei Romani – non sembrano separate da secoli<br />

noi”; ma anche un piccolo uomo dal cuore grande, Eugenio di storia – solcava il Danubio da Budim a Turnus Severin, silenziosa<br />

come la morte: per conto dei re ungheresi diecimila<br />

di Savoia (1717), si coprì di gloria a Belgrado, e poi anche il<br />

maresciallo Laudon (1789)... I loro eserciti scesero giù per marinai sorvegliavano il confine sul fiume con l’impero Otton<br />

tempi colmi di calamità, esodi e battaglie, il Danubio è entrato a far parte in modi diversi della storia d’Eu-<br />

Le sanguinose pagine del passato che ebbero luogo sul Danubio e il ruolo che esso svolse come confine<br />

“Iropa.<br />

fra diverse nazioni hanno lentamente fatto maturare l’opinione che il Danubio avrebbe dovuto essere considerato<br />

come il fiume che unisce. Questo pensiero fu espresso al Consiglio d’Europa nel 1968, quando venne creata la Carta<br />

Europea dell’Acqua, e nel corso del quale venne anche dichiarato il principio che l’acqua non riconosce confini. Al<br />

fine di proteggere la sua esistenza, messa a repentaglio, l’acqua richiede una cooperazione internazionale e sforzi<br />

congiunti. Per tenere fede al principio espresso in questo modo, l’Europa unita ha come compito primario un interessamento<br />

congiunto al suo fiume più importante. Il fatto che il Danubio appartenga all’Europa è incontestabile, ma si<br />

può discutere se l’Europa appartenga al Danubio. <br />

48<br />

(Dall’epilogo del libro sul Danubio dell’accademico Dejan Medaković)


La fortezza di Petrovaradin, non a caso detta “la Gibilterra sul Danubio”, che domina il fiume da una<br />

modesta altura di fronte alla città di Novi Sad, è una delle più importanti opere di architettura militare<br />

d’Europa. La sua costruzione si protrasse per cento anni e fu ultimata alla fine del XVIII secolo. La prima<br />

fortezza in questo punto del Danubio fu eretta nel XV secolo attorno ad un monastero preesistente sul colle.<br />

Gli Ottomani conquistarono Petrovaradin dopo la battaglia di Mohacs e, dopo il fallimento dell’attacco a<br />

Vienna di Mustafà Kara, le truppe cristiane ritornarono sui colli sul Danubio.<br />

Sull’altra sponda, dove l’esercito mantenne posizioni di difesa dei ponti, di fronte alla fortezza, nacque<br />

l’insediamento di Novi Sad, che era collegato alla fortezza tramite un ponte di barche. Poi nel 1748, per<br />

decreto dell’imperatrice Maria Teresa, la città ottenne i privilegi di libera città reale (nonché lo stemma<br />

recante una colomba bianca).<br />

E la fortezza di Petrovaradin, con le sue alte mura fortificate, costruita seguendo il sistema di Vauban<br />

(e con i suoi 16 chilometri di corridoi e passaggi sotterranei) “parlò con i suoi cannoni” una sola volta: gli<br />

Ungheresi si ribellarono a Vienna (comandante della fortezza era Pavle Kiš) bombardando la serba Novi<br />

Sad, dove entrarono le truppe austriache, sotto il comando del nobile croato Jelačić (che era originario di<br />

Petrovaradin), trasformando la città in un cumulo di rovine in due giorni.


mano, indossando quel cappello, detto šajkača, che molto più<br />

tardi sarebbe diventato parte dell’uniforme militare serba.<br />

E i famosi ussari, la cavalleria leggera reale che ha reso<br />

celebri in tutto il mondo le truppe ungheresi, avevano fra<br />

loro, nei corpi regolari, cinquemila cavalieri serbi. Spedizioni<br />

di guerra comandate dai duchi serbi Zmaj Ognjeni Vuk,<br />

Belmužević, dai fratelli Jakšić, dal despota Jovan, dai fratelli<br />

Bakić... dopo aver attraversato il Danubio, devastarono le terre<br />

che prima erano serbe. Sognando la rinascita del proprio<br />

paese, sparsero il sangue per conto di un paese straniero...<br />

Nel 1690 la teoria interminabile di rifugiati serbi guidati<br />

dal patriarca Arsenije Čarnojević III, inseguiti nel loro cammino<br />

dal Kosovo dagli armati turchi e albanesi, in un inverno<br />

terribile e con una fame ancor più tremenda, arrivò alle<br />

rive del Danubio dove, in un solo giorno, i predatori ottomani<br />

decapitarono seimila tra uomini, donne e bambini che<br />

non erano riusciti a salire sulle barche a remi, a vela, grandi<br />

e piccole, cariche di senzatetto coperti di stracci che, al suono<br />

delle urla terribili della carneficina umana, viaggiarono<br />

sul fiume mezzo ghiacciato guidati da una croce patriarcale<br />

e portando con sé ciò che possedevano di più prezioso – le<br />

reliquie del Santo Principe Lazzaro.<br />

Il loro primo atto nella nuova patria fu la costruzione di<br />

una chiesa dedicata a questo santo – una piccola chiesa di<br />

legno sulle rive del Danubio nel luogo in cui oggi sorge la<br />

città di Sant’Andrea. Con il patriarca Arsenije in testa, in un<br />

esodo biblico verso la terra promessa che ricordava quello degli<br />

ebrei guidati da Mosè, i Serbi, almeno trentamila famiglie,<br />

entrarono in Europa. Furono accettati per farsene scudo contro<br />

un’invasione dell’Islam, disprezzati, mandati alle guerre,<br />

pagati una miseria, violentati e convertiti al cattolicesimo,<br />

furono loro cambiati i nomi (così Jovan diventò Istvan), fu<br />

dato loro solo un pezzo di terra dura e desolata in cambio del<br />

sangue versato, e per i loro meriti militari ricevettero l’encomio<br />

dell’imperatrice Maria Teresa, insieme a decreti scritti<br />

in caratteri gotici e firmati a Vienna, mentre ai più valenti fu<br />

dato il titolo di Ober Kapitan e rango aristocratico.<br />

Oggi, mentre tutto questo rappresenta solo un passato lontano<br />

e nessuno si commuove più per quei tragici destini (“Andando<br />

avanti, l’unica cosa che facciamo è piangere” scrisse il<br />

patriarca), inchiodati a due mondi separati dal Danubio come<br />

a una croce, gli storici potrebbero concludere tranquillamente<br />

che attraversare il Danubio fu un passaggio storico per i Serbi.<br />

Venendo dall’area culturale bizantina in rovina entrarono nel<br />

mondo cattolico della Mitteleuropa. Dagli affreschi bizantini<br />

alle immagini barocche. Pregando lo stesso Dio ortodosso.<br />

il testo segue a pag. 58<br />

51


Zemun (visto dal palazzo “Confluenza”)


Belgrado: La confluenza della Sava<br />

nel Danubio e Veliko Ratno Ostrvo


La Gola di Đerdap


il testo segue a pag. 58<br />

In due casi il Danubio ha avuto un ruolo su un palcoscenico<br />

importante, sul quale si sono svolti gli eventi che hanno foggiato<br />

“l’anima della nazione”: sul ceppo slavo si sommarono la<br />

cultura dell’Oriente (Bisanzio), i canti epici suonati sul gusle<br />

che narravano la caduta dell’impero serbo e il mito cossovaro<br />

della sconfitta terrena quando un cristiano va in paradiso, ma<br />

anche la doppiezza che è stata l’unico modo di sopravvivere<br />

sotto gli Ottomani, e tutto questo è stato ricoperto con la glassa<br />

melensa della raffinata cultura della Mitteleuropa danubiana<br />

(l’impero Austroungarico). Sono queste le ferite che hanno<br />

modellato l’essenza dell’identità collettiva nazionale serba.<br />

All’interno del cosiddetto impero Danubiano è nato il ceto cittadino<br />

serbo che ha portato una nuova preziosa ispirazione<br />

artistica allo spirito “europeo” (salotti, pianoforti, teatri, doti,<br />

titoli, tasse, testamenti, carrozze, divise speciali per i servitori,<br />

buone maniere nel civettare ai balli, e ritratti di antenati in<br />

cornici dorate) mentre i fratelli nella Serbia liberata, governata<br />

da principi e re (talvolta peggiori dei pascià ottomani cacciati),<br />

camminavano con il fango fino alle caviglie.<br />

Mai prima Vienna era stata così vicina: sei giorni in vaporetto<br />

sul Danubio.<br />

Nel 1914 i reggimenti austroungarici, con le loro divise<br />

blu, arrivarono in Serbia discendendo il fiume e vi marciarono<br />

sulle note della Marcia di Radetzky al grido di “Serbien<br />

müss sterben” (la Serbia deve morire). E mentre le vedette<br />

alla confluenza con la Sava scrutavano il cielo coi riflettori e<br />

perforavano la notte sulla Serbia, mentre i cannoni Mörser<br />

e i proiettili della “Grande Berta” tedesca radevano al suolo<br />

Belgrado, Pijemont Južnih Slovena, il maggiore Gavrilović,<br />

alla testa di una schiera di soldati che marciavano inquadrati<br />

lungo la via Rigas de Ferreos verso le trincee presso<br />

il Danubio, con la šajkača, il caratteristico copricapo, ornata<br />

di giacinti raccolti sul marciapiede dinanzi a un negozio<br />

bombardato, dette un ordine terribile: “Soldati, non dovete<br />

preoccuparvi della vostra vita. Il Comando Supremo ha cancellato<br />

il nostro reggimento dalla lista dei vivi”.<br />

Il Bel Danubio Blu.<br />

Il Danubio del caffè col latte, dei valzer di Strauss, della<br />

Sachertorte viennese e del celebre Tokaj ungherese.<br />

Christian Andersen, il famoso scrittore di fiabe, nel suo<br />

viaggio lungo il Danubio visitò anche le terre serbe e, una<br />

volta di ritorno, scrisse, mentre si trovava a Lipsia (1847):<br />

“Nella mia prima giovinezza, guardando la carta geografica,<br />

sentivo il percorso del Danubio come una cosa mia.<br />

L’ho studiata, questa via per l’Oriente, percorribile solo tra


mille difficoltà, che un anno dopo l’altro ha trasportato, su<br />

bianche navi, sempre più persone e un giorno o l’altro porterà<br />

sui suoi flutti possenti un poeta che saprà distillare e<br />

donare a tutti la ricchezza della poesia che in questo paese<br />

avvolge ogni pianta e ogni pietra”.<br />

Sulle acque del Danubio hanno navigato più guerrieri<br />

che poeti: perciò, la fiaba del grande fiume europeo potrà<br />

mai avere un lieto fine? Oppure la saga di dolore, disperazione,<br />

sangue e odio dell’Europa è eterna come il Danubio?<br />

Il “fiume del Paradiso” che riflette l’azzurro del cielo, accompagnato<br />

dal gaio ritmo del valzer (con cui Strauss ci<br />

dona schegge di bellezza e i riflessi dell’anima del Danubio,<br />

posto che i fiumi abbiano un’anima), con le sue spensierate<br />

onde blu, un giorno dopo l’altro, eternamente, ci conforta o<br />

si fa beffa di noi?<br />

Grande Signore Danubio, portaci uccelli, fiori e un seme<br />

fecondo!<br />

E un soffio d’immortalità.<br />

Non si ha ricordo di un periodo in cui le acque del Danubio abbiano avuto un livello più basso di quello del<br />

1858, quando gli abitanti di Kostol e Kladovo si trovarono davanti ad uno spettacolo straordinario: dalle<br />

profondità del Danubio, da quelle propaggini della storia che per secoli erano rimaste sommerse nel letto del<br />

grande fiume, apparvero 16 pilastri. Erano i<br />

resti di un miracolo architettonico di epoca<br />

romana: il ponte di Traiano, che, poggiando<br />

su circa venti pilastri alti 50 metri e posti ad<br />

una distanza di 50 metri l’uno dall’altro per<br />

un’estensione di oltre un chilometro, metteva<br />

in comunicazione le attuali sponde serba e<br />

rumena. Sul ponte passava la cosiddetta via<br />

Traiana, che fu costruita dal 28 al 102 d.C.<br />

(iniziata dall’imperatore Tiberio e terminata<br />

da Traiano), letteralmente tagliata nelle rocce<br />

di Đerdap e che doveva servire alle legioni<br />

romane per le loro spedizioni belliche in Dacia.<br />

La strada fu coperta durante la costruzione<br />

della diga idroelettrica di Đerdap e solo la<br />

lapide di Traiano fu conservata e posta in alto<br />

su una roccia al di sopra del nuovo livello delle<br />

acque. I Romani stessi distrussero il ponte,<br />

sospendendo in tal modo ulteriori battaglie<br />

con le tribù barbare della Dacia (perfino Apollodoro,<br />

che fu il capomastro del ponte, non<br />

riuscì a sopravvivere al ponte dato che fu giustiziato<br />

per ordine dell’imperatore Adriano).<br />

Ma sulla lapide si può ancora leggere:<br />

“L’Imperatore Cesare, figlio del divino Ner -<br />

va, Nerva Traiano Augusto Germanico, suprema<br />

guida del popolo per la quarta volta,<br />

conquistando la montagna e le rocce del Danubio,<br />

costruì questa strada”. <br />

59


60<br />

Tabula Traiana: La lapide di Đerdap, fatta nel 103. d.C. in onore dell’imperatore romano Traiano,<br />

che costruì la via ed il ponte sul Danubio nella Gola di Đerdap


Il tramonto Gardoš, Zemun


Danubio nei pressi di Apatin


Doni di Fruška gora, nota come “il monte Athos del Nord”<br />

65


Una nazione vale tanto quanto se ne è scritto.<br />

Si è scritto molto sui Serbi. Nel bene e nel male.<br />

Generalmente bene, salvo negli ultimi decenni.<br />

Si dice che il valore di un uomo sia misurato<br />

dal numero dei suoi amici. Se la stessa cosa<br />

vale per le nazioni come per le persone...<br />

La Serbia vista<br />

dagli altri<br />

Belgrado, la “Grande Scuola” in una fotografia del 1910:<br />

Oggi l’edificio ospita il Museo di Vuk e Dositej


Qualsiasi cosa una persona dica dei suoi figli, nel bene<br />

e nel male, non sarà mai così convincente e persuasiva<br />

come i giudizi di chi osserva lo stesso bambino con distacco,<br />

un po’ dal di fuori. I libri di viaggio aiutano ad acquisire<br />

questa prospettiva dall’esterno perché non si limitano<br />

a illustrare le curiosità né rientrano<br />

nella categoria del testo letterario ma, piuttosto,<br />

parlano delle tradizioni, del carattere,<br />

dei mutamenti, di argomenti che sono<br />

troppo ampi per essere circoscritti<br />

in un libro di storia o geografia, e<br />

di altri che sono troppo marginali<br />

per soddisfare le aspettative di un<br />

pubblico interessato alla letteratura,<br />

al teatro o alla poesia.<br />

L’atto stesso di riportare impressioni<br />

e considerazioni per poi collegarle<br />

a fatti storici (unione, scientificamente<br />

parlando, del metodo empirico e di<br />

quello speculativo) rivela il desiderio dello<br />

scrittore che il libro costituisca una “giustificazione”<br />

per “lo stato delle cose”.<br />

“N<br />

ella storia di questo pase non c’è nemmeno<br />

una pagina senza le scene sanguinose<br />

delle guerre e dei conflitti interni. La storia della<br />

Serbia è la storia del suo martirio.”<br />

(P. A. Rovinsky)<br />

Questo tipo di libri di viaggio, in cui le considerazioni sono<br />

finemente intrecciate all’approfondimento delle origini e<br />

delle conseguenze delle tradizioni, delle abitudini o del carattere,<br />

certamente rappresenta una preziosa documentazione<br />

per formare giudizi obiettivi su paesi e nazioni.<br />

Sfortunatamente, la Serbia ha avuto per secoli problemi<br />

a causa dell’approccio superficiale, sbrigativo e spesso malevolo<br />

che i “paesi sviluppati” hanno avuto verso i suoi problemi.<br />

Ancora all’inizio del XX secolo, molte organizzazioni<br />

turistiche europee classificavano la Serbia fra le zone dove<br />

andare a proprio rischio, perciò “solo per le persone<br />

avventurose”. Nel roman- zo di Agatha Christie Assas-


sinio sull’Orient Express, un bigliettaio avverte i passeggeri:<br />

“Siamo arrivati a Belgrado. Signori e signore, fate particolare<br />

attenzione ai vostri soldi e alle vostre valigie, perché c’è<br />

un alto rischio di essere derubati”.<br />

Negli ultimi quindici anni, il “marketing” della Serbia è<br />

stato persino peggiore, solo qua e là è comparso qualche raggio<br />

di luce, come ad esempio il poeta tedesco di fama mondiale<br />

Peter Handke, che in varie occasioni ha visitato il paese<br />

di San Sava, Dositej Obradović, Ivo Andrić, Meša Selimović,<br />

Veličković, Emir Kusturica e Stefan Milenković. Handke non<br />

si è curato delle voci inquietanti, dei pregiudizi e nemmeno<br />

delle guerre civili che infuriavano in queste regioni. Lo guidava<br />

l’amore per la scoperta, di cui rendere partecipi anche<br />

gli altri, come era successo a molti suoi predecessori, e questo<br />

amore lo ha riportato in patria sano e salvo. Dopo tutto,<br />

la paura dell’incognito nelle persone sagge è sempre superata<br />

dal desiderio di provare qualcosa di nuovo. Rimane solo<br />

la paura del maltempo. E per superare quella paura basta<br />

ricordare le parole di un grande filosofo tedesco: “Colui<br />

che conta sul bel tempo, farebbe meglio a<br />

non iniziare questo viaggio”.<br />

La Serbia è stata visitata da molte persone:<br />

da chi voleva andare ad Est e da chi<br />

è giunto fino ai confini dell’Impero<br />

d’Occidente e semplicemente<br />

voleva dare un’occhiata<br />

“dall’altra parte” delle mura<br />

di Roma. Comunque ci<br />

sono anche stati quelli<br />

che sono venuti e sono<br />

rimasti con l’intenzione<br />

di conoscere<br />

la Serbia di prima mano. Gli<br />

ospiti più assidui sono stati<br />

russi, britannici e tedeschi,<br />

e i libri di<br />

viaggio che hanno<br />

lasciato a chi<br />

ha interesse per questo<br />

Paese e ai suoi stessi cittadini sono<br />

così tanti che non basterebbe una<br />

М. Nenadović:<br />

Belgrado nel 1849, litografia


Ricevimento dal principe Miloš<br />

(dal libro “Viaggio attraverso Serbia” di Joakim Vujić)<br />

Coraggio in guerra<br />

e viltà in pace<br />

“L<br />

o spirito guerriero e il coraggio nei<br />

Serbi sono radicati, naturalmente, fin<br />

dalla prima infanzia: a un bambino di quattro<br />

anni, che ha da poco imparato a camminare,<br />

la madre ripete che deve essere un eroe, non<br />

deve piangere se viene picchiato ma piuttosto<br />

cercare di vendicarsi, perciò il bambino, nelle<br />

zuffe infantili, prende una pietra e aspetta<br />

il “nemico”, senza piangere. Quello stesso<br />

spirito con cui i padri insegnano ai loro figli,<br />

a mo’ di catechismo, la storia della caduta<br />

dell’impero serbo nel Kosovo, enfatizzando<br />

in particolare che a Miloš Obilić appartiene la<br />

gloria di tutti i tempi, mentre a Vuk Branković<br />

la maledizione, e che ai turchi e ai tedeschi si<br />

dovrebbe tagliare la testa.<br />

In breve, l’inclinazione verso la vita militare<br />

non è insita nel popolo serbo, ma i Serbi son<br />

tirati su con spirito militaresco per la necessità<br />

di mantenerlo vivo a causa della situazione<br />

esterna, e in particolare dell’instabilità delle<br />

relazioni territoriali e politiche della Serbia.<br />

Non c’è dubbio che lo sviluppo del paese nel<br />

senso di uno stato civile sia disturbato da tale<br />

atteggiamento. A causa di ciò, a fronte del coraggio<br />

militare dei Serbi, non incontrerete un adeguato numero di elementi di coraggio civile. Sotto una parvenza<br />

di civiltà, emergono usanze molto rigide che esigono il castigo e la vendetta, che umiliano la donna fino<br />

al livello di una lavorante a cui alcuni danno ed altri tolgono, senza curarsi minimamente dei suoi desideri. Ci<br />

sono molte persone che hanno come scopo della vita il divertimento, cioè le gioie della vita, ma intese solo<br />

in senso materialistico.<br />

E l’antidoto a ciò si trova in molti fenomeni della vita contemporanea del popolo serbo, come ad esempio<br />

nei legami altruistici tra fratelli e sorelle, nella lealtà fra amici, e (al massimo grado) nei rapporti di parentela<br />

ideali e nella sorellanza fra donne appartenenti alla stessa famiglia, in un approccio straordinariamente<br />

compassionevole verso i poveri e i deboli. C’è abbondanza di naturale sentimento artistico in Serbia, così<br />

tanta grazia, vivacità e forza – e tutto ciò è mascherato ed espresso nell’animo guerriero del popolo e dei suoi<br />

governanti che vaneggiano e confondono ancora di più la loro gente. Salvate la Serbia dal pesante obbligo di<br />

dover stare perennemente all’erta, in una torre di guardia dove vegliare sui propri confini e poi vedrete quello<br />

che questo paese ha da offrire e ciò che il popolo serbo può dimostrare. La Serbia mi è sembrata quasi un<br />

campo militare posto sulle rovine di un paese un tempo fiorente e il suo popolo mi è sembrato come gente<br />

che si è fermata ad un certo punto della propria storia, ma che avrà un futuro più luminoso”. <br />

70<br />

(Pavel Apolonovich Rovinsky, Vesnik Europe, 1876)


Suonatore di gusle<br />

“C<br />

’erano diversi serbi nell’hotel, uomini veramente ben piazzati e forti. Uno di essi aveva un gusle (uno strumento<br />

musicale con una sola corda) e, su richiesta degli altri, iniziò a suonare il suo gusle e a cantare.<br />

Quello che si poteva ascoltare era un monotono accordo ansimante che cambiava solo alzandosi e abbassandosi,<br />

accelerando o rallentando. Il cantante, che all’inizio badava solo a suonare il suo strumento,<br />

improvvisamente iniziò una specie di energico richiamo, poi si arrestò, alzò la testa verso il cielo ed infine<br />

si scosse con un gemito<br />

e riprese il suo richiamo. Ed<br />

immediatamente egli mosse<br />

energicamente l’archetto<br />

per far sì che la corda suonasse<br />

e stridesse più forte.<br />

Dopodiché, dal petto del<br />

cantante la voce s’innalzò di<br />

tono, e il cantante lo mantenne<br />

a lungo mentre cantava,<br />

continuando fino a raggiungere<br />

un preciso pathos<br />

per poi smettere di nuovo e<br />

gemere soltanto.<br />

All’inizio cantò di Banović<br />

Strahinja, e quella canzone,<br />

senza interruzioni, durò per<br />

più di un’ora. Dopo questa<br />

canzone misero davanti al<br />

cantante mezzo litro di vino,<br />

lui se lo bevve, pensò per un<br />

momento e poi iniziò a cantare<br />

un’altra canzone. Cantò<br />

una canzone sull’imperatore<br />

Lazzaro e sua moglie,<br />

l’imperatrice Milica, sulla<br />

battaglia del Kosovo dove<br />

l’imperatore e molti eroi<br />

persero la vita.<br />

Il cantante aveva quasi<br />

finito: pronunciò due versi<br />

e poi trasformò la parola in<br />

lamento. Quando la canzone<br />

Risto Vukanović: “Suonatore cieco di gusle”<br />

arrivò al punto in cui si nominava<br />

Vuk Branković, che tradì l’imperatore nel Kosovo, il cantante cantò: “Che siano maledetti la sua tribù e<br />

tutti i suoi eredi!” e tutti gridarono “Maledetti!” e saltarono in piedi contemporaneamente, come per cercare<br />

il traditore dello spirito serbo”. <br />

(P. A. Rovinsky)<br />

71


grande stanza a contenerli. Fra gli autori più importanti ci<br />

sono Aleksandar F. Giljferding, Pavel A. Rovinsky, Archibald<br />

Payton, Charles Lamb, Adeline Pauline Irby, Georgina Muir<br />

Mackenzie, Mary Edith Durham, Felix Kanitz, Gustav Rush<br />

ecc. ma si deve anche dire che gran parte della letteratura di<br />

viaggi sulla Serbia non è mai stata tradotta in serbo.<br />

Quando qualcuno che proviene da un paese grande come<br />

la Russia giunge in Serbia, ci si può aspettare che guardi tutto<br />

dall’alto in basso con alterigia. Ma non è sempre così. I viaggiatori<br />

russi si sono spesso accostati ai Serbi da pari a pari.<br />

Dobbiamo comunque aggiungere delle circostanze storiche.<br />

Dopo la sconfitta nella guerra di Crimea nel 1856, alla Russia<br />

premeva tornare nella regione balcanica. L’ideale panslavistico<br />

stava lentamente nascendo a Mosca, e c’erano piani segreti<br />

per espandere la loro influenza in Bosnia e in Erzegovina.<br />

Uno dei maggiori sostenitori della spartizione territoriale<br />

fra cristiani ortodossi e cattolici in Bosnia fu Aleksandar Giljferding,<br />

un diplomatico al servizio dell’impero russo. Le sue<br />

soffocanti polemiche, portate avanti da Eugen Kvaternik, capo<br />

del Partito dei Diritti Storici Croati, sono ben note. Riguardano<br />

la questione Orientale, la posizione del popolo serbo e soprattutto<br />

l’indifferenza di Kvaternik per il volere degli Sloveni,<br />

vale a dire il suo piano di “piazzare” gli Sloveni all’interno<br />

dei futuri confini della Croazia. Nella stessa Serbia, governata<br />

a quel tempo da Mihailo Obrenović, lo stato d’animo era in<br />

generale filoeuropeo, perciò le idee panslavistiche non erano<br />

gradite. Il principe Mihailo proibì persino ai propugnatori del<br />

panslavismo di pubblicare la rivista “Parliament” a Belgrado.<br />

E fu per queste ragioni che, sedici anni dopo, nel 1876, il governo<br />

zarista accollò ai serbi la responsabilità dell’occupazione<br />

della Bosnia e dell’Erzegovina, affermando che i Serbi e i<br />

Croati ambivano a creare uno stato degli Slavi Uniti.<br />

Aleksandar Giljferding non si fermò solo in Bosnia ed Erzegovina:<br />

proseguì fino al paese allora conosciuto col nome<br />

di Vecchia Serbia. Le sue descrizioni dei luoghi dell’odierno<br />

Kosovo e della Metohija sono una straordinaria miscela di<br />

un’eccellente conoscenza della storia con la capacità di fare<br />

formidabili considerazioni.<br />

Dettagli di Peć:<br />

“Si vedeva un tale esempio di concordia e amore per il<br />

bene comune fra i cristiani di Peć. I monaci del monastero<br />

del patriarcato mi hanno parlato della carità che i cristiani di<br />

Peć hanno per il loro monastero. Nessun cittadino uscirebbe<br />

mai dalla chiesa senza aver donato al monastero almeno una<br />

parte del salario della settimana. La municipalità sostiene la<br />

scuola che viene considerata un’istituzione molto importan-


te in questa regione. La scuola esiste da settant’anni. Credo<br />

che sia una delle scuole slave più vecchie nell’impero Ottomano<br />

[...] E a Peć, è stata aperta la scuola femminile due<br />

anni fa e ci studiano circa quaranta ragazze.<br />

La vedova di un pope, Katarina Simić, è diventata povera<br />

dedicando tutta la sua vita a questa missione. Ha trasformato<br />

la sua casa in una scuola ed ha insegnato gratuitamente<br />

a giovani ragazze a leggere libri religiosi. Ha insegnato loro<br />

anche lavori manuali come il cucito e il ricamo.<br />

L’intero stipendio che ha richiesto alla municipalità di Peć<br />

basta appena a coprire le spese per il vitto di un giorno”.<br />

Considerazioni su Prizren:<br />

“Ai cristiani di Prizren sono rimaste solamente piccole<br />

chiese buie e insignificanti, poiché le magnifiche chiese<br />

che decoravano la capitale dell’impero serbo sono state loro<br />

portate via. Ho già detto che il grande monastero dei Santi<br />

Arcangeli sotto la città di Dušan fu distrutto dagli Ottomani<br />

per costruire una moschea. La grande e bella chiesa di<br />

San Petka, nella parte bassa della città, che si suppone fosse<br />

stata costruita dall’imperatore Dušan, fu semplicemente<br />

trasformata in una moschea. Inoltre, i musulmani non hanno<br />

neppure cercato di nascondere le tracce della precedente<br />

funzione cristiana dell’edificio. Il campanile si erge sopra la<br />

chiesa come prima. Sulla parete a nord si può vedere, come<br />

prima, la frase “Sava di Serbia” scritta con lettere ricavate<br />

posizionando artisticamente i mattoni. All’interno dell’edificio<br />

è chiaramente visibile il luogo dell’altare, proprio come<br />

prima. È stato smantellato solo l’altare [...] Il carattere cristiano<br />

della moschea detta “džumađžamije” è così scioccante<br />

e spiacevole per i musulmani stessi che ci entrano solo raramente<br />

e controvoglia”.<br />

Aleksandar Giljferding, Viaggio attraverso l’Erzegovina, la Bosnia<br />

e la Vecchia Serbia, NIU, Službeni list SRJ, Belgrado 1996<br />

Un altro scrittore russo di libri di viaggio, Pavel Antonovich<br />

Rovinsky, nelle sue Note sulla Serbia 1868-1869,<br />

è più interessato alla vita di tutti i giorni e, specialmente,<br />

alla famiglia, ai rapporti familiari e alle usanze. Le considerazioni<br />

sui rapporti marito-moglie-suocera-cognata sono<br />

molto divertenti e spesso sarcastiche; di solito la moglie ha<br />

la peggio se non piace alla suocera o alla cognata e, conclude<br />

Rovinsky, a loro non piace mai. Rovinsky ha scritto spesso<br />

riguardo all’emancipazione delle donne in Serbia.<br />

“La donna serba vive ancora sottoposta ai maltrattamenti<br />

dell’uomo, ma a Belgrado è molto più emancipata e se il<br />

marito conduce una vita sfrenata, la moglie ha il diritto di


divorziare da lui. Il metropolita di Belgrado ha molto lavoro<br />

riguardo a ciò, a Belgrado e in generale nelle città sono le donne<br />

che gli chiedono il divorzio, nei paesi invece gli uomini...”.<br />

Rovinsky coglie lo spirito della gente serba quasi al volo.<br />

In appena poche frasi si riceve l’impressione che lo scrittore<br />

sia un eccellente psicologo e che, in poco tempo, sia riuscito<br />

a descrivere i tratti principali del carattere serbo.<br />

“Viaggiando per la Serbia ho avuto l’impressione che<br />

tutto sia temporaneo qui, insolito, che tutto sia in attesa<br />

di qualcosa, che tutta la Serbia viva alla vigilia di qualcosa<br />

che accadrà, e che tutto ciò sia parte di una specie di stato<br />

d’animo militare. Ma, allo stesso tempo, non ho notato che la<br />

professione del soldato sia rispettata in Serbia, come avviene<br />

nel nostro paese e persino nell’Europa occidentale. In una<br />

canzone serba è presentata una ragazza che sta scegliendo<br />

marito e non desidera sposare un pastore, un artigiano o un<br />

sodato, ma essa vorrebbe sposare un agricoltore...”.<br />

Pavel Apolonovich Rovinsky, Note sulla Serbia<br />

1868-1869, Matica srpska, Novi Sad 1994<br />

I britannici iniziarono a viaggiare in questa regione solo negli<br />

anni Trenta dell’Ottocento, ma con loro arrivò il primo console<br />

britannico e la spinta a risolvere la “Questione orientale”.<br />

Il primo viaggiatore davvero informato, curioso e sistematico<br />

che visitò la Serbia fu Andrew Archibald Peyton (1811-1874).<br />

Con la sua opera, un libro di viaggio può per la prima volta<br />

entrare a far parte di una nuova categoria letteraria che unisce<br />

l’indagine narrativo-storica e politica a una testimonianza diretta<br />

delle cose viste e provate. Contemporaneamente, i libri di<br />

Peyton erano squisite guide per ogni viaggiatore britannico.<br />

Peyton si preparava sempre in modo approfondito per i<br />

suoi viaggi (studiando tutta la letteratura di riferimento delle<br />

regioni che intendeva visitare), che inclusero anche lunghi<br />

periodi in Siria, Egitto, impero Ottomano, Romania, Austria,<br />

Dalmazia, Montenegro, Croazia e Grecia. Parlava svariate<br />

lingue europee, l’arabo, il turco e usava anche il serbo. Soggiornò<br />

in Serbia tre volte prima di pubblicare il suo primo<br />

libro di viaggi sul paese.<br />

Peyton si trovò in Serbia in un momento molto favorevole<br />

per ogni viaggiatore curioso. La prima e la seconda insurrezione<br />

serba erano ancora di “fresca” memoria, molti dei<br />

partecipanti ancora vivi, e i luoghi storici legati alle insurrezioni<br />

erano ancora immutati e riconoscibili. Egli incontrò lo<br />

scrittore Sima Milutinović Sarajlija, il pope Luka Lazarević e<br />

molti combattenti di Karađorđe. Era l’epoca in cui la Serbia si<br />

stava allontanando rapidamente dalle sue origini di provincia<br />

ottomana. La costruzione di Belgrado fu intrapresa seguendo<br />

74<br />

Đorđe Krstić: “La chiesa di Takovo”<br />

modelli europei; i cittadini di Belgrado si vestivano con abiti<br />

europei e già avevano adottato i modi europei. Peyton stesso<br />

non esitò nel voler vedere e sentire tutto, indossando perfino<br />

il fez quando si muoveva nelle zone periferiche della Serbia.<br />

Con i suoi libri di viaggio, fu il primo a pubblicizzare presso i<br />

britannici il brandy serbo di prugne (šljivovica), il kajmak, ed<br />

anche le uve e i vini di Smederevo e Negotin.<br />

“Ho dormito bene perché ero stanco per il viaggio. Mi sono<br />

alzato fresco e riposato e mi sono messo sul divano. Poi la moglie<br />

è apparsa e prima che io la potessi notare o fermare, mi ha<br />

baciato la mano. “Come ha dormito? Bene? Spero abbia riposato”.<br />

Continuava con le sue cortesi domande mentre prendeva<br />

dalle mani di un servitore un vassoio dove c’era un piccolo<br />

bicchiere di šljivovica, un piattino con conserva di rose e una<br />

grande ciotola tonda in cristallo di Boemia piena d’acqua; tutto<br />

questo, compreso un sigaro, era l’introduzione ad una colazione<br />

che consisteva in caffè e pane tostato, e invece del latte<br />

c’era il kajmak, che è il nome della panna liquida turca”.<br />

Certamente, fra gli autori britannici di fama di libri di<br />

viaggio ci sono gli scrittori Charles Lamb, John P. Simpson,<br />

come pure Adeline Pauline Irby, una grande benefattrice del<br />

popolo serbo, che in Serbia viene chiamata semplicemente<br />

“la signorina Irby”. A differenza di Peyton, la signorina<br />

Irby non provò neppure a “comunicare” con la gente, il che<br />

è totalmente fuori sintonia con il fatto che dedicò gran parte<br />

della sua vita a compiere opere di carità in Serbia.<br />

Comunque, nella letteratura da viaggio britannica sulla<br />

Serbia la figura principale è certamente quella di Mary Edith<br />

Durham. Lungo un quarto di secolo scrisse e pubblicò sette<br />

libri e una serie di articoli sui principali periodici e riviste in-


glesi. Era membro di due istituti reali e dedicò completamente<br />

pensava che fosse normale fare così. Più tardi, quando mi ha<br />

la sua vita al lavoro scientifico e politico. Anche dopo il libro detto di avere tanti pazienti perché il posto è molto umido,<br />

Attraverso le terre della Serbia Edith Durham fece una serie di non sono rimasta per niente sorpresa”.<br />

brillanti considerazioni sui Serbi ed i loro avversari, perciò la<br />

Mary Edith Durham, Attraverso le terre della Serbia,<br />

sua opera completa è di grande importanza per studiare l’ultima<br />

parte del periodo patriarcale e le guerre di liberazione.<br />

Srpska Evropa, Belgrado 1997<br />

Ecco una parte della descrizione di Ivanjica:<br />

Gustav Rasch, scrittore e giornalista, è forse il più interessante<br />

e popolare viaggiatore tedesco in questi territori della<br />

“Domenica era una qualche festa religiosa. Il pomeriggio<br />

siamo andati tutti fuori su un prato a circa tre chilometri seconda metà del XIX secolo. I suoi libri di viaggio riportano<br />

dalla città. Su un carro tirato da buoi erano ammucchiati sedie,<br />

tavoli, birra, pane e ciliegie, tutto il necessario per andadono<br />

i difetti delle città serbe.<br />

un’immagine idealizzata della gente serba, ma non nasconre<br />

a Ivanjica a passarvi un bel pomeriggio. Anch’io ero parte “Čačak non ha lampioni e neppure dei marciapiedi particolarmente<br />

ben fatti, come la maggioranza delle città serbe,<br />

dell’intrattenimento, poiché tutti coloro che non mi avevano<br />

incontrata prima, ne avevano ora l’opportunità.<br />

perciò il mio ritorno sarebbe stato molto più faticoso se il<br />

È arrivato un prete a cavallo ed aveva gli abiti sacerdotali<br />

nelle bisacce. Ha fatto un piccolo altare in mezzo al prato non si fosse preso cura dell’incolumità delle mie gambe e<br />

comandante, con la sua saggia abilità nel prevedere le cose,<br />

usando tre bastoni di legno e un’asse coperta con della stoffa braccia. Per la precisione, tre agenti di polizia mi aspettavano<br />

vicino alla porta del Dott. Trenčini.<br />

ed ha piantato un piccolo arbusto verde<br />

su un lato. Poi gli uomini si sono messi<br />

Uno camminava davanti con un’enorme<br />

intorno a lui, le donne un po’ più lontane,<br />

lanterna che illuminava ogni pietra del<br />

ed è iniziata la preghiera. Un filo di fumo<br />

marciapiede su cui dovevo passare e gli<br />

d’incenso fluttuava sullo sfondo scuro<br />

altri due, con carabine e pistole appese a<br />

delle montagne circostanti e i contadini,<br />

larghe cinghie rosse, camminavano dietro<br />

che indossavano i loro colorati costumi<br />

di me per assicurarsi che non mi succedesse<br />

niente. Il meritorio comandante e i<br />

tradizionali più belli, cantavano con tutto<br />

il cuore, mentre i buoi stavano da una<br />

bravi poliziotti! Ma sarebbe bastato quello<br />

con l’enorme lanterna!”.<br />

parte a ruminare. Improvvisamente il cielo<br />

sopra la stretta valle è diventato cupo e<br />

Elogio del monte Rudnik:<br />

rosso; tutto è stato cancellato alla vista da<br />

“Monte Rudnik! Quanti ricordi della<br />

una spessa nube temporalesca che all’improvviso<br />

è arrivata sopra di noi. Il prete<br />

nik! Persino i Romani conoscevano il mon-<br />

Serbia sono legati alle montagne di Rud-<br />

ha raccolto le sue vesti e i suoi libri e siamo<br />

tutti corsi al coperto a circa un cen-<br />

ricchi, grande quantità di piombo, rame,<br />

te Rudnik! Giacimenti di minerali grandi e<br />

tinaio di metri e ci siamo accalcati là [...]<br />

zolfo, arsenico, depositi di magnetite e cobalto<br />

nelle viscere della montagna spinse-<br />

Ma il temporale stava per finire e nonostante<br />

il fatto che stesse ancora piovendo<br />

ro i Romani, e più tardi i Serbi, a costruire<br />

e che l’acqua formasse tante pozzanghere,<br />

il generoso prete è accorso a finire la<br />

Si potrebbe anche dire che una nazio-<br />

grandi e importanti miniere”.<br />

preghiera; tutti sono corsi fuori dai ripari,<br />

ne vale tanto quanto se ne è scritto, proprio<br />

come si misura il valore di un uomo<br />

sguazzando nel prato. Quando sono arrivata,<br />

tutto era al culmine: l’incenso saliva<br />

in base al numero di amici che ha avuto<br />

in alto, e il sole si apriva un varco fra le<br />

nella sua vita. Seguendo questo principio,<br />

nuvole. Quando tutto è finito, è iniziata<br />

i Serbi non dovrebbero vergognarsi affatto:<br />

hanno suscitato l’interesse di molti,<br />

la musica e si è predisposto un kolo (danza<br />

tradizionale). Incuranti della terra bagnata,<br />

saltavano e gridavano sguazzando<br />

sicuramente sopravviveranno a tutti i fu-<br />

anche dei più presuntuosi, e tali tracce<br />

Đ. Milovanović:<br />

nell’erba alta e umida. Persino un dottore<br />

turi livellamenti e alle globalizzazioni.<br />

“Gendarme”, acquarello, 1879.<br />

75


Il tramonto a Kamena gora,<br />

Serbia sud-occidentale


Gli affreschi di Sopoćani sono<br />

fra i capolavori della pittura<br />

monumentale, come afferma il<br />

professor Viktor Lazarev,<br />

autorità mondiale della<br />

storia dell’arte bizantina<br />

Splendenti<br />

di luce dorata<br />

“Sarebbe una buona cosa, se per La metamorfosi<br />

degli dei studiassi meglio il vostro Medioevo.<br />

La pittura murale serba del XIII secolo è una parte<br />

significativa dell’arte medievale europea”.<br />

André Malraux


Come gli affreschi nei monasteri di Mileševa e Gradac, gli<br />

affreschi di Sopoćani hanno uno sfondo giallo, che era<br />

un tempo ricoperto da un sottile strato d’oro.<br />

Stilisticamente, gli affreschi di Sopoćani costituiscono<br />

uno dei risultati più evoluti dell’arte della pittura monumentale<br />

del XIII secolo.<br />

Talune scene si distinguono per una spazialità enfatizzata<br />

a cui danno un contributo primario gli scenari architettonici,<br />

usati appunto sapientemente in tale funzione:<br />

gli Evangelisti sono raffigurati su uno sfondo costituito da<br />

edifici articolati. Nella scena che ritrae Gesù nel tempio, in<br />

secondo piano nell’affresco sono dipinti edifici curvi simili<br />

a quelli dei mosaici del monastero di San Salvatore in Chora<br />

(moschea di Kahriye) a Istanbul. Gli edifici e le rocce della<br />

Crocifissione sono disposti in modo tale da enfatizzare i vari<br />

piani del dipinto.<br />

I gesti delle figure diventano più disinvolti. Le vesti, ampie<br />

e gonfiate dal vento, fanno risaltare le forme che avvolgono,<br />

dando loro una particolare qualità espressiva. Nella<br />

composizione della Crocifissione, i movimenti raggiungono<br />

una tensione tragica: la Vergine Maria sta per perdere conoscenza,<br />

il corpo di Cristo è fortemente piegato, la testa riversa<br />

mollemente sulla spalla e un soldato armato di lancia è<br />

raffigurato in atteggiamento fermo e severo.<br />

Allo stesso tempo la tecnica pittorica venne radicalmente<br />

cambiata. Al posto del tratto lineare nella rappresentazione<br />

delle forme, tipico del XII secolo, viene introdotta una tecnica<br />

pittorica non rigida, basata su pennellate ampie e morbide.<br />

Questo tipo di pennellata permette di sovrapporre vari<br />

strati di colore, riflessi blu e verdi e vigorosi colpi di luce<br />

ottenuti col bianco.<br />

Negli affreschi di Sopoćani, comunque, accanto a tali elementi<br />

sopravvivono resti dello stile romanico, riconoscibili<br />

in una certa ampiezza delle figure, nel modo ruvido e grossolano<br />

di disegnare gli arti ed infine nei drappeggi rigidi, dritti<br />

o ricadenti.<br />

Gli affreschi di Sopoćani con le loro ampie forme e le<br />

Stefan Uroš Primo Nemanjić, affresco, particolare della composizione<br />

di ritratti dei benefattori del monastero di Sopoćani, XIII secolo<br />

loro straordinario amalgamarsi con le pareti, possono tranquillamente<br />

essere annoverati fra i capolavori della pittura<br />

monumentale medioevale.<br />

Quest’arte attrae per la sua totale purezza, la sua natura<br />

schiettamente epica, la sua magnifica monumentalità. Tale<br />

arte può essersi formata solo nell’ambito di una cultura giovane,<br />

ma saldamente legata alla tradizione popolare.<br />

A Sopoćani incontriamo una delle più integre e vitali varianti<br />

dell’arte del XIII secolo. In nessun altro luogo incontreremo<br />

una raffigurazione così realistica di personaggi dai<br />

tratti slavi e da nessun’altra parte i colori hanno raggiunto<br />

tale luminosità e brillantezza. Del tutto inavvertitamente,<br />

a Sopoćani ci vengono in mente gli affreschi di Piero della<br />

Francesca. Tale associazione non è affatto una pura coincidenza,<br />

poiché anche qui la tavolozza è basata su colori<br />

eccezionalmente brillanti: azzurro cielo, verde chiaro, viola<br />

grandi superfici, le composizioni luminose e brillanti e il tenue, blu acciaio, viola, bianco e giallo oro.<br />

a forza della pittura serba non sta tanto nelle sue forme sofisticate, quanto nella speciale freschezza e immediatezza<br />

“L d’espressione. Gli artisti serbi sono inclini ad arricchire le storie sacre di dettagli presi dalla realtà circostante. Le scene<br />

che essi hanno rappresentato possiedono una vivacità e una concretezza mai viste fino a quel momento. Non incontreremo<br />

altrove né tale varietà di caratterizzazioni iconografiche, molte delle quali hanno origine in antichi modelli orientali, né un<br />

interesse così grande per la narrazione, spesso arricchita da interessanti motivi di genere. Non c’è dubbio che qui emerga<br />

l’influenza della tradizione popolare. Nell’ambito dello sviluppo tematico delle raffigurazioni, la pittura serba del XIV secolo non<br />

ha uguali. Tuttavia, essa raggiunge raramente la sofisticazione e la grazia, tipiche dei monumenti in puro stile bizantino, della<br />

pittura di Costantinopoli”. <br />

(Viktor Lazarev)<br />

80


Sopoćani fu saccheggiata dagli Ottomani alla fine del XVII secolo: bruciata, ridotta in rovine, privata del costoso<br />

(all’epoca) tetto di piombo (il monastero non fu ricostruito che nel 1930), i più begli affreschi della Serbia<br />

rimasero esposti al sole, alla pioggia e al ghiaccio. E quando l’architetto Deroko e il poeta Rastko Petrović compirono<br />

un vero e proprio pellegrinaggio percorrendo a piedi circa venti chilometri dalla città di Novi Pazar alla vecchia<br />

chiesa di Uroš, rimasero sbalorditi dalla sua bellezza. Illuminati dalla luce del sole, gli affreschi di Sopoćani<br />

splendevano e riflettevano una luce dorata. Deroko descrisse quell’incontro come l’incontro di un mortale con la<br />

bellezza di Dio ed espresse un pensiero “eretico”: il monastero non avrebbe dovuto essere coperto da un tetto<br />

perché altrimenti quella miracolosa lucentezza dorata degli affreschi sarebbe andata perduta. Ma egli non aveva<br />

completamente ragione: gli affreschi di Sopoćani, anche dopo il restauro del monastero, rifulgono istantaneamente,<br />

giocando con la luce che entra attraverso le finestre delle pareti laterali e quelle sulla cupola, come se<br />

proiettassero una luce dorata. Hanno resistito alla pioggia e alla neve. Hanno resistito ai vapori di ammoniaca.<br />

Hanno resistito ai saccheggi e alle distruzioni di eserciti di passaggio. E tutto ciò è durato per secoli. Lo sfondo<br />

dorato degli affreschi è andato quasi completamente perduto, ma il colore ocra scuro, che è il colore di fondo di<br />

tutta la chiesa, in alcuni punti, negli strati più spessi, ricorda ancora i riflessi dell’oro.<br />

La sola cosa che sappiamo riguardo al pittore di Sopoćani è che era greco, tuttavia, stranamente, di lui non<br />

conosciamo alcun altro affresco.<br />

Le somiglianze fra alcune immagini dipinte a Sopoćani e quelle di miniature del monte Athos, poi alcune vaghe<br />

ma riconoscibili somiglianze con gli affreschi di Mileševa e perfino con sculture delle cattedrali dell’Occidente<br />

sono sufficienti a sostenere la tesi secondo la quale “l’arte non è copiata, semmai sono gli artisti che sognano le<br />

stesse cose”. Tuttavia quelle somiglianze non ci avvicinano alla rivelazione del vero segreto: chi era il pittore? <br />

Affresco L’Archangelo Michele<br />

(“Custode della Santissima Trinità”),<br />

Sopoćani, XIII secolo<br />

81


“I<br />

l pittore di Sopoćani fu uno dei<br />

più raffinati coloristi della nostra<br />

arte, un colorista dotato della più<br />

grande sensibilità. Egli sapeva come<br />

trovare le più sofisticate armonie di<br />

colori, costruire un dipinto attraverso<br />

la luce, diffusa come se passasse attraverso<br />

delle tende; il suo tratto ha<br />

quella raffinata stilizzazione che dalle<br />

forme e dal movimento trae musicalità.<br />

I principali elementi della pittura<br />

(linea, forma e colore) recano la<br />

massima armonia, così attraverso il<br />

pretesto del tema irrompe irresistibilmente<br />

l’intera essenza del dipinto, il<br />

suo contenuto e la profondità artistica.<br />

Il maestro di Sopoćani superò tutto<br />

ciò che era stato fatto in Serbia fino<br />

a quel momento; i dipinti di Sopoćani<br />

sono il risultato della più grande forza<br />

creativa e della più raffinata conoscenza<br />

dell’arte della pittura.<br />

Sembra che a Sopoćani tutti i volti<br />

risplendano di luce. Il pittore di<br />

Sopoćani ci ha lasciato una visione degli<br />

eventi del Nuovo Testamento che è<br />

epica e monumentale: celebrativa ma<br />

priva di retorica, appassionata ma non<br />

patetica, essa è vivace, umana, e ha<br />

come punto di partenza la fede che<br />

porta la serenità, la bontà e il perdono...<br />

Un tono complessivo di pace, gioia<br />

e nuova sensibilità”.<br />

San Pietro, affresco, il monastero di Sopoćani, XIII secolo<br />

Desanka Milošević<br />

82


Vergine Maria, affresco, particolare della composizione di<br />

ritratti dei benefattori del monastero di Sopoćani, XIII secolo


Assunzione, particolare dell’affresco sulla<br />

parete della navata di Sopoćani, XIII secolo


Una poesia popolare serba domanda:<br />

“dov’è nascosto il tesoro<br />

dell’imperatore Nemanja?”<br />

La risposta è nei nomi dei monasteri<br />

che Nemanja fece costruire per la<br />

salvezza della propria anima<br />

e la salute dei suoi discendenti<br />

Chiese di divina<br />

bellezza che<br />

s’innalzano al cielo


Il regno di Stefano Nemanja (1168-1196/99), capostipite della<br />

dinastia dei Nemanjić, sancì l’istituzione dello stato serbo<br />

indipendente medievale nonché le origini dell’arte monumentale<br />

serba che prosperò rapidamente nel corso del secolo successivo.<br />

Stefano Nemanja fece costruire con sue donazioni i<br />

prime due complessi architettonici mentre ancora governava<br />

come župan (signore dell’intero paese) nella regione di Toplica.<br />

La prima committenza fu la chiesa della Madre di Dio (Theotokos)<br />

di Kuršumlija, eretta sulle fondamenta di una chiesa<br />

bizantina più antica. La seconda fu la chiesa di San Nicola. Si<br />

tratta di un edificio dalla pianta a croce, a navata unica, con un<br />

altare tripartito, ed è considerato il primo degli edifici monumentali<br />

raggruppati sotto il nome di Scuola Artistica di Raška.<br />

Dopo la vittoria nelle battaglie contro Bisanzio e contro i<br />

propri fratelli, Stefano Nemanja, divenuto Gran Župan, fece<br />

costruire, in segno della sua gratitudine, una chiesa dedicata<br />

a San Giorgio, il santo guerriero vittorioso. La chiesa è conosciuta<br />

come Đurđevi Stupovi (ovvero “le Colonne di San Giorgio”)<br />

e fu eretta in posizione sopraelevata vicino all’attuale<br />

città di Novi Pazar.<br />

La planimetria di Đurđevi Stupovi ricalca quella della chiesa<br />

di San Nicola a Toplica, solo che nella chiesa di San Giorgio<br />

sui fianchi laterali della navata sono presenti delle entrate, i<br />

cosiddetti vestiboli, e sulla facciata si trovano due alti campanili.<br />

Proprio da questi ultimi deriva il nome Stupovi, parola<br />

medievale che sta per “torre-colonna” (in serbo stup-kula). I<br />

dipinti sulle pareti di questa chiesa hanno subito danni enormi.<br />

Una parte di essi è stata trasferita al Museo Nazionale di<br />

Belgrado, mentre una porzione più piccola è rimasta all’interno<br />

della chiesa stessa. Alla base della cupola erano rappresentati<br />

i Profeti, mentre scene raffiguranti le Festività Liturgiche<br />

erano collocate in due aree: sotto la cupola e nell’area a sua<br />

volta subito inferiore a questa, nella zona mediana. Nei pennacchi<br />

sono ritratti gli Evangelisti, mentre busti di santi sono<br />

ritratti nei medaglioni o nelle pitture eseguite sui muri a imitazione<br />

di icone.<br />

L’atto supremo di Stefano Nemanja come Gran Župan fu<br />

la sua donazione alla chiesa della Benefattrice Madre di Dio<br />

(Theotokos Evergetides) a Studenica. I lavori al monastero di<br />

Studenica iniziarono dopo il 1186 e furono sicuramente in<br />

gran parte portati a termine entro il 1197 quando Nemanja,<br />

fattosi monaco col nome di Simeone, si ritirò sul monte Athos<br />

dove assieme al figlio Sava iniziò a ristrutturare il monastero<br />

di Chilandari.<br />

Studenica è una chiesa a navata unica con cupola, altare<br />

tripartito e vestiboli ai lati. La struttura interna si ispira<br />

all’architettura bizantina, ma esternamente è costruita in<br />

stile romanico. Di conseguenza, Studenica rappresenta una<br />

sintesi unica di modelli architettonici bizantini e dell’Europa<br />

occidentale.<br />

Il monastero di Studenica,<br />

il dono di Stefan Nemanja, XII secolo<br />

88


Il monastero Đurđevi stupovi,<br />

donazione di Stefan Nemanja,<br />

XII secolo (restauro in corso)<br />

“Di palazzi del passato, noi Serbi, non ne abbiamo.<br />

Ma siamo ricchi di chiese e monasteri.<br />

Chiese e monasteri, dono dei nostri sovrani, furono il primo<br />

rifugio per i pastori e il primo palazzo per i regnanti”.<br />

Isidora Sekulić<br />

89


Una lunga iscrizione in oro alla base della cupola attesta<br />

nel quarto decennio del XIII secolo, con i caratteristici tratti<br />

che Studenica fu affrescata nel 1208-1209 per volontà dei figli<br />

di Nemanja: Stefano, Vukan e Sava. All’epoca Sava deteneva<br />

la carica di archimandrita del monastero di Studenica e finanziò<br />

la decorazione dell’edificio voluto da suo padre. Lo schema<br />

decorativo degli affreschi è, in gran parte, determinato dallo<br />

scopo commemorativo della chiesa, poiché, proprio prima<br />

dell’inizio dei lavori per affrescarla, Sava trasferì qui le reliquie<br />

di Nemanja da Chilandari.<br />

Sull’altare e nello spazio<br />

sottostante la cupola, in primo<br />

luogo si applicarono foglie<br />

d’oro sopra lo sfondo giallo e<br />

poi si usò uno speciale metodo<br />

per dipingere le superfici<br />

che conferì loro un effetto a<br />

mosaico. Gli affreschi dipinti<br />

in altre parti della chiesa<br />

sono eseguiti invece su uno<br />

poco ricercati e grossolani contrasti di chiaroscuro.<br />

Subito dopo essere diventato sovrano, Stefano Nemanjić<br />

(1196-1228, re dal 1217), al tempo genero dell’imperatore bizantino,<br />

dovette affrontare intricate situazioni politiche sia<br />

interne che esterne. I rapporti col fratello Vukan si aggiustarono<br />

col passare del tempo. In seguito al matrimonio di Stefano<br />

con Anna Dandolo, nipote del doge di Venezia Enrico Dandolo,<br />

furono stabilite relazioni<br />

di amicizia con la Repubblica<br />

di Venezia, che era all’epoca la<br />

potenza più influente nei Balcani<br />

(nel 1200-1201 Stefano<br />

Nemanjić aveva divorziato da<br />

Eudokia, figlia dell’imperatore<br />

di Bisanzio Alessio III Angelo).<br />

Nel 1217, Papa Onorio III inviò<br />

a Stefano un delegato per offrirgli<br />

la corona di re.<br />

sfondo blu, mentre la foglia<br />

Nel 1204 Costantinopoli<br />

d’oro venne usata solo per le<br />

aureole e per scrivere il nome<br />

dei santi. Questi nomi, quelli<br />

delle festività, così come i testi<br />

sui cartigli dipinti, costituiscono<br />

il primo esempio di<br />

uso dell’antica lingua serba<br />

nell’arte di questo paese. Le<br />

composizioni e le figure dipinte<br />

sono di grandi dimensioni e<br />

di semplice fattura. L’aspetto<br />

austero e immutabile dei santi<br />

è stato ottenuto tramite le<br />

posture serene e celebrative<br />

delle figure. Sulla parete ovest<br />

della navata è illustrata la<br />

cadde sotto il controllo dei<br />

crociati e divenne la capitale<br />

dell’impero romano d’Oriente.<br />

Sia l’imperatore che il patriarca<br />

di Bisanzio trasferirono la loro<br />

sede nella città di Nicea. Perciò<br />

è in quella città che, nel 1219,<br />

Sava Nemanjić si diresse per ottenere<br />

l’autonomia della Chiesa<br />

serba. A Nicea, Sava fu nominato<br />

primo arcivescovo della<br />

Chiesa serba autocefala. Dapprima,<br />

come sede arcivescovile,<br />

fu scelto il monastero di Žiča.<br />

Oltre agli episcopati di Raška,<br />

Prizren e Lipljan, un tempo<br />

Crocifissione, una monumentale<br />

subordinati all’arcivescovato<br />

rappresentazione carica<br />

di simbolismo.<br />

di Ohrid, furono istituite nuove<br />

diocesi a Zeta, Hum, Dabar,<br />

Nel quarto decennio del<br />

Moravica, Budimlje, Hvosno e a<br />

La partenza di Stefan Nemanja per il monte Athos,<br />

XIII secolo fu aggiunto alla particolare dell’affresco del 1235 ca., a Studenica Toplica.<br />

chiesa un ampio nartece con<br />

cappelle laterali: intraprese la costruzione di questa sezione<br />

re Radoslav (1228-1234), nipote di Stefano Nemanja. Anche la<br />

chiesetta di San Nicola, costruita nel XIII secolo, appartiene al<br />

complesso monastico di Studenica, ma solo un esiguo numero<br />

dei suoi affreschi è giunto fino a noi. Questi furono eseguiti<br />

Stefano Nemanjić iniziò a<br />

costruire il monastero di Žiča intorno al 1206, mentre ancora<br />

rivestiva la carica di Gran Župan. Si ritiene che la cerimonia<br />

d’incoronazione di Stefano si sia svolta a Žiča, la qual cosa<br />

il testo segue a pag. 100<br />

90


Studenica: La cupola<br />

della chiesa di Madre<br />

di Dio, XII secolo


Studenica<br />

Per quanto concerne la costruzione di Studenica, nella biografia di Nemanja si legge:<br />

“Questo luogo era un tempo un territorio di caccia deserto. Quando il nostro<br />

signore e sovrano Stefano Nemanja, che governava l’intera nazione serba, venne a<br />

cacciare da queste parti, decise di costruire un monastero in questo luogo deserto”.<br />

Nemanja si trattenne qui per un po’ di tempo prima di partire per il monte Athos, dove<br />

aiutò suo figlio, San Sava, ad erigere il monastero serbo di Chilandari. Dopo la morte di<br />

Nemanja, San Sava trasferì le sue reliquie in Serbia e su di esse fece far pace ai fratelli<br />

Vukan e Stefano “Primo Coronato”, venuti a contesa per il trono. A Studenica sono sepolti<br />

Nemanja, sua moglie Ana, i suoi figli Vukan e Stefano ed il nipote Radoslav. <br />

92


La Crocifissione, il famoso affresco<br />

della chiesa di Madre di Dio a Studenica


La Crocifissione, affresco XIII secolo, Studenica, dettagli<br />

94


Presentazione, affresco della chiesa<br />

del Re a Studenica, dettaglio, XIII secolo


“N<br />

on si può dire se sia stato più grande<br />

Nemanja, il sovrano, o Simeone,<br />

il monaco: e ancora, il monaco Simeone<br />

o San Simeone Mirotočivi, Simeone<br />

prima o dopo la morte?<br />

Molti uomini in un solo uomo: guerriero<br />

e statista, amante del popolo e di Dio,<br />

signore e povero monaco, comune mortale<br />

e santo. Solo una parola potrebbe descrivere<br />

Nemanja: teodulos, che significa<br />

“servo di Dio”.<br />

Nemanja fu uomo eccezionale. Ebbe<br />

due battesimi, due chiamate nella vita,<br />

due tombe dopo la morte. Inizialmente<br />

fu battezzato come cattolico poi, una volta<br />

cresciuto, abbandonò il Cristianesimo<br />

della Chiesa Cattolica e si battezzò secondo<br />

i canoni della Chiesa Ortodossa. Il suo<br />

nome da sovrano fu Nemanja, ovvero il<br />

biblico Nehemia, e dopo, da monaco, fu<br />

Simeone. Fu sovrano e portò la spada, e<br />

quando divenne vecchio si fece monaco<br />

e portò la croce. La sua prima tomba fu<br />

a Chilandari, la successiva a Studenica.<br />

Fu capostipite della dinastia Nemanjić.<br />

Trasmise ai suoi discendenti non solo il<br />

suo sangue, ma anche la spada e la croce<br />

come missione al servizio di Dio.<br />

Fu padrone e servo. Lottò contro i fratelli<br />

e contro chi fratello non era. Fra i suoi<br />

stessi fratelli ebbe un traditore. Si batté<br />

contro i greci per evitare che l’identità<br />

serba fosse assorbita dall’ellenismo a<br />

causa della comune religione. Combatté<br />

contro i cattolici e l’eresia per la purezza<br />

della fede. Ed insieme a tutte queste<br />

battaglie e guerre, egli riuscì, nella sua<br />

lunga e difficile vita, a costruire numerose<br />

bellissime chiese, tutte a compimento<br />

dei suoi voti (Đurđevi Stupovi, Studenica,<br />

Chilandari, chiese e monasteri in tutta la<br />

Raška, in Kuršumlija...)”. <br />

<br />

San Nikolaj Arcivescovo - Velimirović


porta alla conclusione che la chiesa dell’Ascensione di Cristo<br />

Redentore a Žiča sia stata ultimata entro il 1217. Stefano<br />

Nemanjić, in quanto primo sovrano serbo con il titolo di re,<br />

divenne noto come Stefano “Primo Incoronato”.<br />

Uno spazioso esonartece con torre fu aggiunto alla chiesa<br />

di Žiča entro il 1233-1234. Da quel momento, nell’esonartece<br />

di Žiča si tennero le cerimonie d’incoronazione dei re serbi,<br />

mentre all’interno della chiesa furono conservate le reliquie<br />

più preziose: un frammento della santa croce, la mano destra<br />

e un frammento del cranio di San Giovanni Battista, la cintola<br />

della Vergine Maria e altre reliquie di apostoli, profeti e martiri.<br />

La caratteristica distintiva di Žiča sono le sue facciate intonacate,<br />

dipinte di rosso.<br />

Il ruolo di Sava, che concepì l’idea che fu poi realizzata nello<br />

schema degli affreschi, è del tutto evidente a Žiča così come<br />

nella chiesa voluta da re Vladislav (1234-1243), ovvero la chiesa<br />

dell’Ascensione di Cristo a Mileševa.<br />

Documenti storici ci forniscono testimonianze del fatto<br />

che, di ritorno da Nicea, Sava portò con sé “gli scalpellini e i<br />

pittori dalla città di Costantino”. Prima della fine del XIII secolo<br />

Žiča aveva già subito danni durante un’invasione di genti<br />

proveniente dal fiume Kuma. Si è conservata solo una parte<br />

degli affreschi originali: la Crocifissione e la Deposizione, le<br />

figure degli apostoli nei cori laterali e i busti degli arcangeli<br />

sopra gli ingressi alle cappelle laterali.<br />

La chiesa dell’Ascensione di Cristo a Mileševa è donazione di<br />

re Vladislav (secondogenito di Stefano “Primo Incoronato”), del<br />

quale è anche mausoleo. Essa si ispira alla chiesa di Žiča e, come<br />

si desume dai ritratti dipinti, gli affreschi furono eseguiti nel periodo<br />

fra il 1220 e il 1228. Le scene della navata sono dipinte su<br />

uno sfondo dorato che imita un mosaico. Un ruolo importante<br />

nel progetto generale degli affreschi fu occupato dai ritratti.<br />

Le pitture di Mileševa rifulgono per i volti splendidamente<br />

dipinti, per le eleganti proporzioni e le scene abilmente composte,<br />

di cui l’affresco dell’Angelo sul Sepolcro di Cristo, famoso<br />

in tutto il mondo, costituisce la migliore esemplificazione.<br />

Re Vladislav fu sepolto a Mileševa. Nel 1237 le reliquie di<br />

San Sava furono portate a Mileševa da Trnovo (in Bulgaria)<br />

dove Sava era morto attorno al 14 gennaio 1235. La tomba di<br />

San Sava fu collocata nell’esonartece, che è decorato con scene<br />

del Giudizio Universale basate sul testo di Efrem Siro. In quanto<br />

mausoleo di San Sava, Mileševa godette di grande fama e fu<br />

il secondo in ordine d’importanza nella gerarchia dei monasteri<br />

serbi. Nel 1595 gli Ottomani prelevarono da Mileševa le reli-<br />

il testo segue a pag. 123<br />

il testo segue a pag. 90<br />

Il monastero di Žiča, XIII secolo, dettagli di decorazioni murali<br />

100


ŽIČA<br />

Žiča fu detta “la chiesa delle sette porte”, e qui furono incoronati sette re<br />

serbi. Alla fine della cerimonia d’incoronazione il re serbo passava attraverso<br />

una porta che era stata costruita appositamente per lui e, dopo che il re era<br />

uscito, la porta veniva di nuovo murata. Il primo monarca ad essere incoronato<br />

nella storia della Serbia, Stefano “Primo Incoronato”, ricevette il titolo regio ben<br />

due volte: secondo il rituale romano e poi di nuovo con rito bizantino, analogamente<br />

al padre Nemanja che fu battezzato due volte. Alcuni<br />

storici respingono l’ipotesi della “seconda” incoronazione perché non è supportata<br />

da validi documenti storici. Comunque, secondo le parole di Domentijan,<br />

la prima cerimonia d’incoronazione si tenne usando una corona cattolica<br />

ma seguendo il rituale bizantino ortodosso.


Il monastero di Mileševa, XIII secolo,<br />

il dono del re Vladislav Nemanjić.<br />

Nella chiesa si conservarono le reliquie<br />

di San Sava prima che fossero portate a<br />

Belgrado per essere bruciate nel 1594


GRADAC<br />

Gradac, oggi situata a dodici chilometri da Kraljevo gusto e la cultura della regina sono del tutto rintracciabili<br />

sulla via Ibarska, si trovava un tempo, nel Medioevo,<br />

lungo un’importante arteria per Arilje e precisamen-<br />

Jelena è stata una delle regine serbe più amate; bat-<br />

nell’architettura e negli affreschi di Gradac.<br />

te su un ramo della strada che conduceva a Studenica. tezzata cattolica, accettò la fede ortodossa e sia i monaci<br />

La chiesa del monastero è dedicata alla Beata Madre di ortodossi che l’ordine cattolico benedettino la ricordano per<br />

Dio dell’Annunciazione, il monastero era fortificato, aveva<br />

un ricovero per viandanti, un ampio refettorio e altri della dinastia Nemanjić ad aver avuto un ruolo importante<br />

le sue donazioni. La regina Jelena è una delle rare regine<br />

locali... Era un monastero serbo grande e importante, fatto<br />

costruire dalla regina Jelena Anžuiska (Elena d’Angiò), la morte del marito le venne perfino assegnato un territorio<br />

nelle questioni politiche e nella cultura della Serbia. Dopo<br />

moglie di Stefano Uroš I. La regina Jelena fu sepolta nel da governare. Era saggia, istruita e ambiziosa.<br />

monastero nel 1314 in una tomba “per due”, poiché era Sia i cattolici che i cristiani ortodossi la rispettavano.<br />

stato stabilito che avrebbe riposato accanto al marito, ma Essa mantenne comunque i suoi rapporti col mondo<br />

Dio volle qualcosa di diverso: il re Uroš, fattosi monaco, cattolico malgrado avesse cambiato religione dopo essersi<br />

trasferita in Serbia. Costruì chiese cattoliche sulla costa,<br />

morì a Hum e le sue spoglie furono trasferite al monastero<br />

di Sopoćani, sua donazione. Egli giace quindi accanto<br />

ai resti della madre, la principessa venezia-<br />

epistolare col papa, che a lei si rivolgeva chiaman-<br />

aiutò i benedettini e i francescani, ed ebbe un rapporto<br />

na Anna Dandolo, e del padre Stefano “Primo<br />

dola “mia beneamata figlia cristiana”.<br />

Incoronato”.<br />

Contemporaneamente, l’arcivescovo Danilo<br />

Sebbene essa sia ritratta insieme al marito<br />

nell’affresco dei Benefattori della chiesa, è<br />

ortodossa menzionando i “ricchi doni che essa<br />

elogiava la sua devozione e fedeltà alla chiesa<br />

certo che la regina Jelena fu la principale mecenate<br />

del monastero di Gradac: il che spie-<br />

È stato anche tramandato che essa radunò<br />

ha mandato sul sacro monte Athos”.<br />

ga il fatto che alcuni elementi occidentali siano<br />

ragazze serbe diventate povere e fondò una sorta<br />

stati sapientemente combinati con lo schema<br />

di scuola femminile.<br />

architettonico della scuola di Raška, facendo<br />

così di Gradac lo splendido prodotto di<br />

trasferimento delle sue spoglie a Gradac fu<br />

Quando morì, l’inverno era così rigido che il<br />

due stili, il bizantino (ortodosso) e il gotico<br />

compiuto con grande difficoltà: quasi nessuno<br />

partecipò al suo funerale.<br />

(cattolico). Alcuni esempi sono gli archi<br />

gotici sopra il portale, la base ottagonale<br />

Fino alla metà del XIV secolo, il monastero<br />

di Gradac ebbe un ruolo importan-<br />

della cupola o l’arco rampante che sotto<br />

il profilo architettonico ha la funzione di<br />

te, fu ricco ed ospitò un gran numero di<br />

“rafforzare” le mura dall’esterno mediante<br />

una struttura arcuata che sostiene il<br />

monastero durante i secoli XV e XVI. La<br />

persone. Non è noto cosa sia accaduto al<br />

peso del tetto, secondo il più puro canone<br />

gotico. Si può notare che un gruppo di<br />

colo. Fu di nuovo coperta con un tetto di<br />

chiesa fu restaurata alla fine del XVI se-<br />

maestranze ha eretto i primi due metri La regina Jelena Anžuiska piombo, ma sfortunatamente gli affreschi<br />

della chiesa e che successivamente altre<br />

maestranze, più vicine alle tendenze<br />

del XIX secolo sopra la chiesa si costruì<br />

(Elena d’Angiò),<br />

erano ormai in gran parte distrutti. Alla fine<br />

affresco di Gračanica, XIV secolo<br />

architettoniche occidentali, hanno proseguito l’opera. Gli una copertura di legno per proteggerla da ulteriori danni.<br />

affreschi giunti fino a noi, anche se la maggior parte è andata<br />

distrutta, presentano figure grandiose: sulle loro vesti di ristrutturazione, nel 1958 la chiesa fu ricostruita. For-<br />

Dopo la seconda guerra mondiale e tredici anni di lavori<br />

dipinte si alternano tonalità verdi e viola, la testa dei santi tunatamente si erano conservati elementi sufficienti a far<br />

è dipinta secondo l’ideale di bellezza ellenistico, perciò il riemergere l’aspetto originario.<br />

103


Il monastero di Gradac, XIII secolo,<br />

il dono della regina Jelena Anžuiska


Desanka Maksimović<br />

GRAČANICA<br />

Gračanica, se solo tu non<br />

fossi fatta di pietra,<br />

Se solo tu potessi ascendere al cielo,<br />

Come la Madre di Dio di Mileševa<br />

e quella di Sopoćani,<br />

Cosicché un’altra mano<br />

non strappi la tua erba<br />

Cosicché i corvi non calpestino<br />

le felci che ti crescono attorno.<br />

Gračanica, se solo tu potessi<br />

essere la nostra mela<br />

Che noi potessimo nascondere in seno<br />

E riscaldare te, gelata dai secoli,<br />

Se solo le reliquie dei nostri avi<br />

Non fossero sparse nei campi attorno a te.<br />

106


gračanica<br />

“N<br />

elle forme di Gračanica sono sorprendentemente<br />

presenti caratteri notevolmente anticlassicisti,<br />

che potrebbero, se ci si consente l’anacronismo,<br />

essere considerati romantici. Svettando<br />

decisamente verso l’alto, divisa in molteplici sezioni e<br />

caratterizzata dagli intensi contrasti fra il rosso e dei<br />

mattoni e il bianco degli stucchi alla base delle cupole,<br />

Gračanica riunisce in sé felicemente le contrastanti<br />

tendenze degli stili architettonici bizantino e gotico.<br />

Una sintesi creata da un maestro di talento, non certo<br />

la meccanica giustapposizione di forme eterogenee.<br />

Non di rado, a proposito di Gračanica, gli storici dell’arte<br />

hanno messo in rilievo il contrasto fra il buon risultato<br />

ottenuto per quanto riguarda l’esterno e la cattiva<br />

riuscita dell’interno. Ma studiata sia dall’esterno che<br />

dall’interno seguendo gli stessi criteri, l’architettura<br />

di Gračanica si presenta come un organismo ispirato<br />

a una concezione estetica coerente e del tutto peculiare.<br />

Un’idea espressa ugualmente tanto nelle forme<br />

architettoniche della struttura esterna, che negli spazi<br />

della struttura interna, che nello stile degli affreschi<br />

dipinti in funzione di tale architettura [...]<br />

La verticalità dell’interno è efficacemente enfatizzata<br />

dalla gradazione della luce che aumenta verso<br />

l’alto. Una volta orientata verso l’alto, l’architettura sacra<br />

serba, a partire da Gračanica fino ai suoi ultimi sviluppi,<br />

ha costantemente mantenuto tale spinta ascensionale,<br />

cosa che fu definita alla perfezione all’inizio<br />

del XV secolo: “costruire chiese leggere, alte e rivolte<br />

verso il cielo... per rendere gloria al divino...”.<br />

Un’aspirazione nuova, volta ad acquisire monumentalità,<br />

è espressa nell’intero ciclo delle decorazioni dipinte<br />

di Gračanica. L’idea fondamentale, secondo la<br />

quale i soggetti raffigurati nelle scene più in alto appartengono<br />

alle sfere celesti, mentre quelle più in basso<br />

appartengono alla terra, è sapientemente articolata:<br />

due elementi contrapposti s’intrecciano sulle alte pareti<br />

della struttura interna di Gračanica: la luce che è<br />

più intensa nei punti più alti si attenua verso il basso;<br />

il movimento, più vigoroso nei cicli di affreschi posti<br />

nelle zone più in basso della chiesa, gradualmente, salendo<br />

verso l’alto, si smorza. L’inquietudine dell’oscurità<br />

terrena e la serenità della luce celeste sono sapientemente<br />

evocate dalla disposizione delle finestre che<br />

aumentano di grandezza e di numero verso l’alto”. <br />

Svetozar Radojčić<br />

109


Giudizio Universale, particolare<br />

dell’affresco di Gračanica, XIV secolo


“C<br />

on il re Milutin, la Serbia ebbe un<br />

sovrano dotato d’indiscutibile abilità,<br />

grandi ambizioni e forte volontà, che<br />

non aveva paura di niente.<br />

Ciò che molti trovavano ripugnante in Milutin<br />

erano, cosa comune in tutti quelli che<br />

occupano una tale posizione, il suo sconfinato<br />

egoismo e arroganza allorché parlava<br />

dei propri interessi e desideri. Che il suo<br />

senso morale non fosse molto sviluppato,<br />

o che egli si credesse sdegnosamente al di<br />

sopra della morale, fatto sta che non esitò<br />

a recare offesa persino alla propria famiglia.<br />

Milutin non era amato dal popolo, al<br />

contrario: tutti ne avevano paura.<br />

In un certo qual modo, per via della severità<br />

e del saper sfruttare ogni opportunità a<br />

proprio vantaggio, somiglia molto a Nemanja:<br />

solo che egli, a quanto pare, sviluppò tutte<br />

queste caratteristiche più rigidamente e<br />

a un grado più alto. Ma c’è un dato di fatto<br />

crudele nella storia: gli stati non sono mai<br />

stati creati o rafforzati da sovrani rispettosi<br />

dei sentimenti altrui, ma piuttosto avviene<br />

il contrario. Nella storia serba, Nemanja, Milutin<br />

e nel XIX secolo il principe Miloš esemplificano<br />

questa verità. <br />

Vladimir Ćorović<br />

Re Milutin, particolare dell’affresco<br />

del Benefattore, Gračanica, 1318


Gračanica, 1318-1321<br />

112<br />

Gesù Cristo, Emanuele e Madre di Dio con gli angeli,<br />

affresco, cupola centrale di Gračanica


DEČANI<br />

La morte di Milutin portò instabilità in Serbia. Le<br />

cronache del trasferimento a Banjska delle sue<br />

spoglie mortali testimoniano che bande di ladri non<br />

esitarono ad attaccare persino il corteo funebre del<br />

re. In diversi rivendicarono il diritto al trono serbo: Vladislav,<br />

figlio di Dragutin, fratello di Milutin, sulla scorta<br />

dell’accordo di Deževo fra il padre e lo zio, poi Konstantin,<br />

il figlio del re, che quest’ultimo aveva indicato<br />

come suo successore, ed infine l’altro suo figlio Stefano.<br />

Dopo l’incoronazione di Stefano, Vladislav si ritirò<br />

in Ungheria, e di Konstantin sappiamo solo che morì<br />

combattendo contro suo fratello.<br />

A suo tempo Milutin aveva ordinato la reclusione<br />

di Stefano dopo che questi era insorto contro il suo<br />

stesso padre, una prima volta prendendo parte a una<br />

ribellione fomentata dalla nobiltà di Zeta e ad un’altra<br />

fomentandola egli stesso. Milutin ordinò che il figlio<br />

fosse accecato. Ma Stefano riuscì a suggestionare i<br />

fratelli quando si diffuse la notizia che aveva improvvisamente<br />

riacquistato la vista. Il miracolo fu attribuito<br />

a San Nicola. Dopo l’incoronazione, Stefano attribuì al<br />

figlio Dušan il titolo di “giovane re”.<br />

Il “giovane re” dimostrò il proprio valore nella battaglia<br />

di Velbužd contro i bulgari. La vittoria in quella battaglia<br />

fu attribuita all’impegno personale, al coraggio<br />

e alle capacità militari di un uomo che sarebbe diventato<br />

imperatore. La gloria che si guadagnò in questa<br />

battaglia spronò il giovane Dušan a ribellarsi contro<br />

il padre, attaccando il palazzo di Nerodimlje; Stefano<br />

fuggì via, suo figlio annientò il suo esercito, poi Dušan<br />

catturò il padre e lo imprigionò dentro la “città fortificata<br />

di Zvečan” dove Stefano fu strangolato in circostanze<br />

poco chiare, giacché la storia non ha mai chiarito se<br />

egli sia stato strangolato per ordine del figlio.<br />

Accecato dal padre, strangolato dal figlio: Stefano<br />

è il re serbo che ha avuto il destino più tragico. Egli<br />

divenne noto col nome di “Stefano di Dečani” – ovvero<br />

Dečanski – in riferimento al monastero di Dečani,<br />

sua donazione, dove egli fu sepolto e che fu portato a<br />

termine dal figlio Dušan il Potente.<br />

Icona Rappresentante Santo Stefano Dečanski<br />

relizzata dall’iconografo Longino, XVI secolo,<br />

115


Una trifora del monastero<br />

di Visoki Dečani, XIV secolo


Gesù Cristo, affresco, Visoki Dečani, XIV secolo<br />

Il monastero di Dečani rappresenta il compimento dell’architettura sacra serba. Probabilmente Sopoćani<br />

ha affreschi più belli, forse Gračanica nel suo graduale incedere verso il cielo è architettonicamente più<br />

notevole, Žiča è storicamente più rilevante e Studenica sarà sempre la prima di tutte, ma in nessun altro<br />

luogo come a Dečani è stata dipinta una così vasta raccolta di affreschi: oltre mille. Essi furono eseguiti in un<br />

periodo di oltre 15 anni. I Miracoli di Cristo sono raffigurati in più di venti scene, la Passione di Cristo in trenta,<br />

i versi dell’Inno alla Vergine Maria sono illustrati in un ciclo di oltre venti scene. Trecentosessantacinque<br />

affreschi, uno per ogni giorno dell’anno, illustrano il calendario ecclesiastico; vi sono raffigurate anche le vite<br />

di San Nicola e San Giorgio e ad esse furono aggiunti cicli di affreschi che descrivono le vite di San Giovanni<br />

Battista e San Demetrio; diciassette dipinti ci atterriscono con le scene del Giudizio Universale, e sono inoltre<br />

raffigurati anche tutti i concili della Chiesa Ortodossa e numerosi affreschi sono ispirati agli Atti degli Apostoli<br />

e al Libro della Genesi... “Qui è raffigurato l’intero repertorio pittorico cristiano dell’epoca” afferma Milan<br />

Kašanin, “un’autentica enciclopedia della cristianità”. Inoltre, non c’è altro luogo, in Serbia come in Europa,<br />

dove sulle pareti di una chiesa sia dipinta una quantità così straordinaria di figure di mortali e peccatori all’interno<br />

di scene che illustrano la vita terrena. E con quale attenzione ai particolari!<br />

Allo stesso tempo, oltre alla raccolta di affreschi ve n’è anche una, ben conservata, di decorazioni scultoree,<br />

comprendente diverse centinaia di rilievi e sculture: il “frate minore Vito” di Kotor, che costruì la chiesa di<br />

Dečani dal 1327 al 1335, raggiunse il culmine, ancora ineguagliato, della scultura serba. In questo insieme<br />

di sculture, prevalgono le innumerevoli immagini di leoni, numerosi angeli e tanti animali fantastici e uccelli<br />

con riferimento al Giudizio Universale. <br />

117


Tutela degli edifici sacri: un monaco di Dečani e un soldato<br />

italiano dalle truppe del KFOR, i primi anni del XXI secolo


“V<br />

isitando molti luoghi diversi in tutta la regione, egli [re Stefano Dečanski] trovò un posto nella zona<br />

di Hvostan chiamato Dečane e, una volta che lo ebbe ben ispezionato, ringraziò Dio; poi, versando<br />

lacrime, rivolto agli aristocratici che lo accompagnavano, disse: “Sono fermamente convinto che questo sia il<br />

posto adatto”; quindi ordinò agli scalpellini di accorrere veloci e nominò dei soprintendenti venuti dalle città<br />

costiere per la chiesa ed egli stesso si accampò per ammirare quel luogo bellissimo, situato in uno dei punti<br />

più alti, circondato da alberi, boscoso e fertile e al contempo dal terreno pianeggiante e coperto di erba, con<br />

acque dolcissime che sgorgavano da ogni dove, con grandi sorgenti e un fiume limpido... sul lato occidentale<br />

il luogo è circondato da colline molto alte e dai loro pendii, da cui deriva l’aria pulitissima. Sul lato orientale<br />

il luogo si apre verso un grande campo irrigato dalle acque dello stesso fiume. Questo è il luogo veramente<br />

degno di un monastero.<br />

E nel bel mezzo di tutto questo, egli, buono e bello, costruì una chiesa divinamente bella, grande e spaziosa<br />

al suo interno, di un’altezza tale da richiedere molto sforzo a chi desiderasse conquistarla. La chiesa<br />

poggia su colonne di marmo scolpito, ha numerose volte e all’esterno è straordinariamente composta, con<br />

l’alternarsi di luci di marmi rossi e bianchi. I blocchi di marmo sono combinati ed uniti artisticamente con tale<br />

perfezione che la chiesa pare costituita da una singola pietra, e sono miracolosamente uniti con tale destrezza<br />

che paiono un tutt’uno... apparendo così d’indicibile bellezza. Una grande benedizione ricade su coloro che<br />

visitano la chiesa e sempre lo splendore e la grandezza della sua pietra danno sempre alla chiesa una grande<br />

bellezza, poiché la pietra è perfettamente scolpita per rendere gloria a coloro che l’hanno costruita”. <br />

120<br />

Grigorije Camblak, Vita del pio re Stefano Dečanski


Frate minore Vito di Kotor: Scultura dal portale<br />

all’interno della chiesa di Cristo Salvatore a Visoki Dečani


il testo continua dalla pag. 100<br />

quie di San Sava per ordine del pascià Sinnan e le bruciarono<br />

nelle “campagne di Vračar” a Belgrado.<br />

Il monastero di Morača, committenza del principe Stefano,<br />

figlio di Vukan e nipote di Nemanja, fu costruito nel 1251-1252,<br />

come è testimoniato dall’iscrizione sul blocco di pietra posto<br />

sopra il portale del lato ovest. I dipinti originali sono rimasti<br />

solo nella lunetta sopra l’entrata principale e sulle pareti della<br />

sacrestia. All’interno della sacrestia è rappresentato il ciclo dedicato<br />

a Sant’Elia. La scena di Sant’Elia nel deserto è uno degli<br />

affreschi più belli della pittura serba del XIII secolo.<br />

La chiesa dei Santi Apostoli a Peć fu edificata con tutta<br />

probabilità grazie all’arcivescovo Sava I durante il quarto decennio<br />

del XIII secolo e fu affrescata circa trent’anni dopo per<br />

volontà dell’arcivescovo Arsenije I. In gran parte, lo schema<br />

iconografico degli affreschi di questa chiesa riprende quello di<br />

Žiča, con la monumentale rappresentazione dell’Ascensione di<br />

Cristo nella cupola e le Feste di Sion nell’area sotto la cupola.<br />

La Deesis nella nicchia dell’abside dell’altar maggiore enfatizza<br />

il carattere commemorativo di questa chiesa che fu scelta<br />

per essere il mausoleo degli arcivescovi serbi.<br />

Alla metà del XIII secolo, re Uroš I (1243-1276) sedeva sul<br />

trono della Serbia. Nei numerosi conflitti coi paesi confinanti<br />

egli riuscì a rafforzare i confini del regno serbo. Durante il<br />

suo regno arrivò in Serbia una tribù germanica di minatori, i<br />

sassoni; ciò segnò l’inizio dell’uso delle risorse minerarie, che<br />

portò successivamente a un incremento della ricchezza della<br />

Serbia nonché a uno sviluppo del commercio con la costa<br />

adriatica e l’Europa occidentale.<br />

Donazione di re Uroš I è il monastero di Sopoćani, che ha<br />

al proprio interno una chiesa dedicata alla Santissima Trinità.<br />

Noto principalmente per i suoi dipinti, esso è il più importante<br />

dei monasteri serbi del XIII secolo.<br />

La chiesa fu costruita intorno al 1260 e affrescata fra il<br />

1263 e il 1268. Gli affreschi nella chiesa della Santissima Tri-<br />

“…Sto maturando distrutto.”<br />

(Le parole del Patriarca Arsenije IV, i<br />

ncise nel portale marmoreo di Sopoćani)<br />

Un corvo nutre Sant’Elia, dettaglio dell’affresco,<br />

monastero di Morača, committenza del principe<br />

Stefano Nemanjić, figlio di Vukan, 1252.<br />

ove sono le opere donate dalle nazioni vicine e dai loro sovrani nel nostro Paese? Non ve n’è alcuna. In Krajina non vi<br />

“Dè neanche una donazione rumena (nei pressi di Negotin si trova il monastero di Bukovo, che non è una donazione dei<br />

duchi rumeni, ma del glorioso re serbo Milutin), in Macedonia non esiste una sola chiesa bulgara, né ce n’è altrove una greca.<br />

Sebbene il Patriarcato di Costantinopoli abbia governato il popolo serbo fino al tempo di San Sava e poi di nuovo a lungo durante<br />

il dominio ottomano, non c’è tuttavia un singolo lascito greco, né costruito da un sovrano greco, né da arcivescovi o da aristocratici<br />

greci. Viceversa, la regione greca della Tessaglia e tutta l’area limitrofa alla capitale bulgara furono adornate di sacre chiese<br />

costruite da mecenati serbi.<br />

Il nazionalismo dei serbi è universalmente cristiano; non è mai di strette vedute e scervellato. Così potrebbe essere definito<br />

il nazionalismo serbo ispirato da San Sava: prendersi cura della propria dimora e, con la forza e la ricchezza in eccesso, aiutare<br />

ogni nazione a fare lo stesso con la propria”. <br />

San Nikolaj Arcivescovo<br />

123


Kalenić: particolare dell’affresco<br />

Le nozze di Cana, XV secolo


“Che cosa darò al Signore<br />

per quel che mi diede?”<br />

dei membri della dinastia Nemanjić. Nella volta sono illustrati<br />

quattro consigli di stato serbi, compreso quello di Deževo in<br />

cui Dragutin cedette il trono al fratello più giovane.<br />

Dragutin fece costruire anche la chiesa di Sant’Achilleo ad<br />

Arilje, che fu sede dell’Arcivescovato di Moravia. La chiesa fu<br />

affrescata nel 1296 da un pittore che, con tutta probabilità,<br />

proveniva da Salonicco. Gli affreschi sono realizzati su uno<br />

sfondo blu. Si tratta di dipinti tradizionali con un gran numero<br />

di ritratti storici che costituiscono la base dello schema iconografico.<br />

Re Milutin, re Dragutin (che tiene in mano il modello<br />

della chiesa), la moglie di Dragutin, Katelina, e i figli Vladislav<br />

e Uroš sono ritratti nell’affresco dei Benefattori nel nartece.<br />

I decenni attorno all’anno 1300 furono segnati dalle generose<br />

donanazioni di re Milutin (1282-1321), che fece erigere<br />

molti edifici sacri, sia in Serbia che al di là dei suoi confini: a<br />

Costantinopoli, Salonicco, in Terra Santa e sul monte Athos.<br />

L’espansione dell’influenza bizantina sul regno serbo si maninità<br />

esprimono il vigore più intenso che un affresco monumentale<br />

possa avere. Gli affreschi di Sopoćani sono il frutto<br />

più notevole della pittura del XIII secolo e la Dormitio Virginis<br />

sulla parete ovest della navata è certamente una delle opere<br />

più grandiose della pittura medievale europea. Nel nartece,<br />

accanto alle tipiche scene che decorano queste sezioni, si trova<br />

un affresco che raffigura la morte di Anna Dandolo, madre<br />

di re Uroš. L’opera è sicuramente l’espressione di una evidente<br />

tendenza a rappresentare la morte di una regina serba alla<br />

stessa maniera della Dormitio Virginis.<br />

La pittura di Sopoćani raggiunge altezze tali da essere difficilmente<br />

uguagliabili o anche solo imitabili, come per esempio<br />

nel caso degli edifici fatti costruire dalla regina Elena d’Angiò<br />

(Jelena Anžujska), moglie del re Uroš. La chiesa dell’Annunciazione<br />

nel monastero di Gradac, da lei donato, ha solo parzialmente<br />

conservato i suoi dipinti. Fra i tratti distintivi della chiesa<br />

di Gradac vi sono elementi gotici come le finestre con archi<br />

ogivali o i quattro archi rampanti sul lato est dell’edificio.<br />

Re Dragutin regnò solo per un breve periodo, dal 1276 al<br />

1282. Nel 1282 egli riportò lesioni gravi in seguito ad una tragica<br />

caduta da cavallo avvenuta durante una battuta di caccia.<br />

Di lì a poco, al Consiglio di Deževo, in circostanze tuttora poco<br />

chiare, Dragutin abdicò in favore del fratello più giovane Milutin<br />

(1282-1321), anche se egli continuò comunque a governare<br />

nelle aree settentrionali del paese. Nel 1284 egli ottenne dal re<br />

ungherese il Ducato di Mačvan-Bosnia, che poneva Belgrado<br />

per la prima volta sotto il dominio di un re serbo. Dragutin,<br />

fattosi monaco col nome di Teoktist, morì nel 1316. Egli diresse<br />

i lavori per affrescare il nartece del monastero di Đurđevi<br />

Stupovi e trasformò l’area davanti alla porta d’ingresso in una<br />

cappella che fu affrescata con numerosi episodi storici. Nella<br />

Chiesa di Sant’Achilleo, Arilje, 1296,<br />

donazione di re Dragutin, XIII secolo<br />

parte inferiore del ciclo di affreschi è raffigurata la processione<br />

Emblema araldico della famiglia Nemanjić<br />

La famiglia Nemanjić, dinastia di santi, ebbe sulle proprie tombe stendardi e vesti regali<br />

con un’aquila bianca bicipite come emblema araldico. Ripresa dalla tradizione bizantina,<br />

l’aquila bianca bicipite è sopravvissuta sulle tombe serbe fino ai nostri giorni.<br />

Simbolo di regalità, di vista acuta, lungimiranza ed elevazione spirituale, l’aquila è<br />

anche il simbolo dell’evangelista Giovanni e le sue due teste simboleggiano l’autorità<br />

secolare e quella spirituale.<br />

“Coloro che sperano in Dio ricevono nuova forza, si sollevano sulle ali come le<br />

aquile” recita il Vecchio Testamento (Is. 40 : 31).<br />

Parte dello stemma in metallo del monastero di Marco, conservata al Museo Nazionale<br />

di Belgrado <br />

125


Re Milutin, re Dragutin (che tiene in mano il modello della chiesa) e la moglie di Dragutin,<br />

Katelina, la parte dell’affresco dei Benefattori, Chiesa di Sant’Achilleo, Arilje, 1296<br />

festò in tutte le sfere della vita politica e culturale. Gli edifici<br />

sacri di questo periodo sono costituiti dalle tipiche chiese in<br />

pietra e mattoni con pianta a croce e cinque cupole. Gli affreschi<br />

delle chiese fatte costruire da Milutin furono eseguiti<br />

contemporaneamente a quelli realizzati a Costantinopoli e Salonicco,<br />

nello stile proprio dell’epoca che va sotto il nome di<br />

“Rinascimento dei Paleologi”.<br />

Fra le numerose chiese che si devono a re Milutin, la chiesa<br />

di Bogorodica Ljeviška (Madre di Dio di Ljeviš) a Prizren<br />

merita una speciale attenzione. Essa fu ristrutturata nel 1307<br />

ed affrescata alcuni anni dopo da Mihailo Astrapa, un pittore<br />

di affreschi che lasciò un’iscrizione nel nartece per firmare il<br />

proprio lavoro.<br />

Fra il 1309 e il 1316, alcuni dei pittori della chiesa di Madre<br />

di Dio di Ljeviš realizzarono affreschi nella chiesa di Žiča,<br />

replicando i dipinti del XIII secolo gravemente danneggiati<br />

nell’attacco delle genti provenienti da Kuma.<br />

Re Milutin fece costruire la chiesa dei santi Gioacchino ed<br />

Anna all’interno delle mura del monastero di Studenica. Essa<br />

è di piccole dimensioni ed è meglio nota come chiesa del Re.<br />

126<br />

Nell’impianto dei affreschi sono particolarmente importanti<br />

due scene raffiguranti la vita di Maria: la Natività della Vergine<br />

Maria e la Presentazione della Vergine Maria al Tempio.<br />

Durante lo stesso periodo, alla metà del secondo decennio del<br />

XIV secolo, fu costruita la chiesa di San Nikita a Čučer, affrescata<br />

dai pittori Mihailo Astrapa ed Evtihije. In ordine cronologico,<br />

la committenza successiva di Milutin fu la chiesa di San<br />

Giorgio a Staro Nagoričino. Essa contiene un gran numero di<br />

cicli di affreschi che raffigurano fra l’altro le Festività Liturgiche,<br />

la Passione, i Miracoli di Cristo e il suo insegnamento<br />

terreno, il Menologio, il ciclo sulla vita di San Giorgio ecc.<br />

I pittori Mihailo ed Evtihije erano a capo di una bottega di<br />

pittura che operava alla corte di re Milutin e che fu artefice<br />

dei dipinti di molti degli edifici voluti dal re. Dopo aver affrescato<br />

la chiesa di Staro Nagoričino i pittori si spostarono<br />

a Gračanica, ultima delle donazioni che dobbiamo a Milutin.<br />

Molti considerano la chiesa di Gračanica la più bella chiesa<br />

medievale della Serbia. In passato dedicata all’Annunciazione,<br />

è oggi consacrata alla Dormitio Virginis. La sagoma piramidale<br />

sovrastata dall’alta cupola principale dona verticalità all’edifi-


Angelo blu, il famoso affresco,<br />

Chiesa di Sant’Achilleo, Arilje, 1296


128<br />

Il portale della chiesa di Maria Madre di Dio e la chiesa<br />

del Re a Studenica. Sotto: Il ritratto del re Milutin,<br />

affresco, la chiesa del Re, XIII secolo<br />

cio. Ispirato all’Albero genealogico di Jesse, fu dipinto, ed era la<br />

prima volta che questo avveniva nell’arte serba, l’Albero genealogico<br />

dei Nemanjić. Sono di particolare rilievo anche i ritratti<br />

del benefattore e capostipite da vecchio e della giovane moglie<br />

Simonida, una principessa bizantina “nata nella porpora”.<br />

Re Milutin ristrutturò completamente la chiesa principale o<br />

katholicon del monastero di Chilandari sul monte Athos. Nello<br />

stesso periodo furono completati sia i lavori di fortificazione del<br />

monastero che la costruzione della Hrusija Pirg (pyrgoi in greco<br />

significa “torri”) con la Cappella del Redentore. Grazie alle donazioni<br />

di Milutin, la ricchezza del monastero fu accresciuta in<br />

modo significativo. Seguendo il modello delle chiese più antiche<br />

del monte Athos, e precisamente quelle di Lavra, Ivrion e Vatopediou,<br />

la chiesa principale di Chilandari ha pianta cruciforme,<br />

con altare tripartito e due absidi aggiunte ai lati della navata.<br />

A differenza degli edifici da lui precedentemente edificati,<br />

re Milutin fece costruire il proprio mausoleo, la chiesa di Santo<br />

Stefano a Banjska, sul modello della chiesa della Madre di Dio<br />

di Studenica, la chiesa mausoleo del fondatore della dinastia<br />

Nemanjić.<br />

Capomastri e artigiani giunsero qui dalle coste dell’Adriatico.<br />

La chiesa di Santo Stefano è una chiesa a navata unica con<br />

cupola, altare tripartito sul lato est, campate del coro alte e un<br />

nartece fiancheggiato da campanili. Le facciate furono rivestite<br />

di blocchi di marmo di tre diversi colori e abbellite con abbondanti<br />

decorazioni scultoree. Della decorazione un tempo splendida<br />

resta solo una piccola parte. La scultura più importante,<br />

che una volta decorava la lunetta sopra il portale principale,<br />

ritrae la Vergine Maria con Gesù bambino in grembo. Questa<br />

scultura si è conservata fino ad oggi e si trova nel vicino monastero<br />

di Sokolica. Degli affreschi di Banjska resta solo un esiguo<br />

numero di medaglioni con ritratti di santi sotto la cupola, gli<br />

altri sono andati distrutti.<br />

Il complesso ecclesiastico di Peć fu completato entro la metà<br />

del XIV secolo. L’arcivescovo Nikodim fece costruire la chiesa<br />

di San Dimitri sul lato nord della chiesa dei Santi Apostoli. Lungo<br />

il lato sud, l’arcivescovo Danilo II costruì la chiesa della Madre<br />

di Dio Odigitria (“che indica la via” Bogorodica Odigitrija).<br />

Per sua iniziativa, lungo il lato ovest delle tre chiese, fu aggiunto<br />

un vasto nartece aperto. L’intero complesso è elegantemente<br />

completato dalla Cappella di San Nicola sul lato sud della chiesa<br />

della Vergine Maria, anch’essa voluta dall’arcivescovo Danilo<br />

II. Il suo contributo al complesso monastico del Patriarcato di<br />

Peć è testimoniato dal suo ritratto come committente nel nartece<br />

della chiesa della Madre di Dio Odigitria. La chiesa di Cristo<br />

Salvatore a Dečani è stata donata da re Stefano Dečanski e<br />

da suo figlio il re, e poi imperatore, Dušan. Essa fu costruita in


otto anni e ultimata nel 1335. L’interno della chiesa ha l’aspetto<br />

di una basilica a cinque navate, mentre dall’esterno appare<br />

come una basilica a tre navate. Il monumentale nartece ha tre<br />

navate. Le facciate sono rivestite di blocchi di marmo bianco<br />

e rossastro che si alternano in modo regolare, mentre le mensole,<br />

gli archivolti sopra le finestre e i portali sono provvisti di<br />

una mirabile decorazione scultorea. L’esecuzione degli affreschi<br />

a Dečani si protrasse dal 1338 al 1350 e, essendo la più<br />

ampia raccolta di pittura medievale serba, è a ragione il punto<br />

di riferimento più pregnante di tutta l’arte dell’epoca.<br />

Alla metà del XIV secolo lo stato medievale serbo giunse<br />

al culmine della propria potenza. Nel 1345 re Dušan<br />

(1331-1355) si autoproclamò imperatore divenendo chiaramente<br />

un pretendente all’ormai destabilizzato trono bizantino,<br />

mentre la Chiesa serba ortodossa aveva oramai ottenuto<br />

lo status di patriarcato.<br />

La chiesa dei Beati Arcangeli vicino a Prizren, nella gola<br />

del fiume Bistrica, fu il solo edificio sacro donato da Dušan da<br />

imperatore e gli servì da mausoleo. Sfortunatamente, fu completamente<br />

distrutta.<br />

La tomba di Dušan doveva trovarsi nell’area sudoccidentale<br />

della chiesa e lo spazio attorno al sepolcro fu strutturato<br />

secondo un preciso disegno architettonico. Sopra la tomba si<br />

trovava un monumento all’imperatore Dušan, ritratto in rilievo<br />

sul coperchio del suo sarcofago.<br />

Il monastero fu danneggiato una prima volta dai vincitori<br />

ottomani, che nel 1455 presero la città di Prizren. Nel<br />

1615 il monastero fu completamente distrutto e i materiali<br />

vennero usati per costruire la moschea di Sinan-Pascià nella<br />

stessa città. Ancora oggi sulla facciata della moschea sono<br />

visibili frammenti di decorazioni scultoree provenienti dalla<br />

chiesa originaria.<br />

Il grande impegno che l’aristocrazia serba profuse per la<br />

costruzione di edifici religiosi, specialmente nel territorio governato<br />

da re Marko, poté essere mantenuto non solo quando<br />

la Serbia era un impero, ma anche dopo la sua caduta in mano<br />

degli Ottomani. Durante gli anni Quaranta del Trecento Jovan<br />

Oliver, illustre aristocratico, costruì la chiesa dei Beati<br />

Arcangeli a Lesnovo. Il ritratto del benefattore despota Jovan<br />

Oliver è uno dei più belli della raccolta di ritratti medievali<br />

serbi giunti fino a noi. Fra le opere più importanti dell’arte<br />

serba della seconda metà del XIV secolo vi sono senza dubbio<br />

gli affreschi del monastero di Marko vicino a Skopje, dove<br />

si trovano numerosi cicli ed episodi affrescati. Da notare è<br />

l’interessante giustapposizione di scene, in cui episodi tratti<br />

dal Nuovo Testamento sono accostati a storie parallele del<br />

Vecchio Testamento.<br />

All’imperatore Dušan succedette il figlio, l’imperatore<br />

Uroš (1355-1371), che fu detto Uroš il Debole. La morte di<br />

Uroš nel 1371 segnò dopo due secoli il tramonto della dinastia<br />

dei Nemanjić. Lo stesso anno gli Ottomani vinsero la battaglia<br />

sul fiume Marica, nei pressi di Černomen, il più grande combattimento<br />

prima della caduta di Costantinopoli nel 1453, che<br />

si concluse con la morte di tutti i condottieri serbi, vale a dire<br />

i fratelli Mrnjavčević, re Vukašin e il despota Jovan Uglješa.<br />

Dopo questa sconfitta, le terre macedoni persero l’indipendenza,<br />

e gli im- peratori bizantino e bulgaro divennero<br />

vassalli del sultano ottomano. La Serbia<br />

lottava per la propria sopravvivenza,<br />

dato che nemici esterni e<br />

forze interne iniziarono a fare a<br />

pezzi il paese.<br />

Il monastero di Banjska, donazione<br />

del re Milutin, l’inizio del XIV secolo


Il principe Lazzaro Hrebeljanović impose gradualmente<br />

la sua autorità nella parte settentrionali del vecchio impero,<br />

nel bacino dei tre fiumi che formano la Morava (Velika<br />

Morava, Zapadna e Južna Morava). Egli sposò Milica, discendente<br />

di Vukan, il figlio maggiore di Stefano Nemanja. Nel<br />

periodo fra la battaglia sul fiume Marica e la definitiva perdita<br />

dell’indipendenza, apparve un nuovo tipo di architettura<br />

nelle regioni di Pomoravlje e Podunavlje, nei pressi dei fiumi<br />

Morava e Danubio.<br />

Chiesa dedicata alla Presentazione della Vergine Maria<br />

al Tempio ed il monastero di Kalenić si devono Bogdan<br />

(Commissario del despota Stefano), l’inizio del XV secolo<br />

Le chiese di questo periodo sono a pianta trilobata, con una<br />

o cinque cupole e facciate di raffinata fattura decorativa; lo<br />

stile di queste opere è chiamato “stile della Morava” per la loro<br />

ubicazione nelle zone limitrofe a questo fiume.<br />

Le opere donate dal principe Lazzaro, dalla principessa<br />

Ljubica, dal despota Stefano Lazarević e da svariati membri<br />

130<br />

dell’alta nobiltà e dell’alto clero ricadono nella categoria dei<br />

monumenti nello stile della Morava. Uno dei primi edifici costruiti<br />

in questo stile fu la chiesa della Resurrezione nel monastero<br />

di Ravanica, destinata ad essere il mausoleo del principe<br />

Lazzaro. La costruzione della chiesa, che è a pianta cruciforme,<br />

detta anche pianta a croce quadrata, iniziò nel 1375.<br />

Le facciate, progettate e realizzate con cura, si distinguono<br />

per la decorazione dei rilievi in pietra, di squisita fattura, e per<br />

la regolare alternanza di pietra e mattoni. La chiesa fu, con<br />

tutta probabilità, affrescata in tre fasi ed ultimata nel 1387.<br />

Nel 1389, dopo la sua uccisione nella battaglia del Kosovo, il<br />

principe Lazzaro fu sepolto nella chiesa della Resurrezione di<br />

Priština. Nel 1392 le sue spoglie furono trasferite nella chiesa<br />

della Resurrezione di Ravanica, il suo mausoleo.<br />

A Kruševac, capitale a quell’epoca, il principe Lazzaro costruì<br />

una chiesa, oggi nota come Lazarica. Essa fu dedicata a<br />

Santo Stefano, santo patrono della dinastia Nemanjić. La costruzione<br />

iniziò verso il 1377-1378, alla nascita di suo figlio,<br />

nonché suo successore, Stefano Lazarević. I tratti distintivi di<br />

Lazarica sono le facciate policrome, costruite alternando file<br />

orizzontali di quadrati in pietra con sezioni di tre file di mattoni.<br />

Le decorazioni in rilievo e i colori delle facciate di Ravanica<br />

sono tipici della scuola della Morava.<br />

Il monastero di Ljubostinja, con la chiesa dedicata alla Dormitio<br />

Virginis, si deve alla donazione della principessa Milica,<br />

diventata in seguito suor Jevgenija. La sua edificazione fu ultimata<br />

entro il 1389, gli affreschi entro il 1405. La costruzione<br />

in muratura fu opera di Rade Borović, citato anche nei poemi<br />

epici come “Rade il Muratore”. Egli lasciò la sua firma sul gradino<br />

del portale che collega il nartece alla navata. La chiesa di<br />

Ljubostinja è dotata di una elaborata pianta trilobata cruciforme<br />

e di una cupola.<br />

Le facciate, costruite con blocchi di pietra, sono intonacate<br />

e coperte di affreschi. Gli artigiani usarono il rosso per dipingere<br />

le superfici intonacate delle facciate, imitando i mattoni<br />

e le pietre. Nastri intrecciati geometricamente e un motivo a<br />

gigli sono i tratti distintivi della decorazione scultorea di Ljubostinja.<br />

Il pittore Makarije, che giunse qui dalla Macedonia<br />

con i suoi aiutanti, iniziò a dipingere gli affreschi prima della<br />

battaglia del Kosovo e li ultimò fra il 1402 e il 1405. Oggi degli<br />

affreschi originari rimangono solo frammenti. La rappresentazione<br />

dei Benefattori comprende i ritratti del principe Lazzaro<br />

e della principessa Milica raffigurati su un lato, mentre<br />

il ritratto di Vuk Lazarević con il despota Stefano, che tiene<br />

in mano le insegne del sovrano, si trova sull’altro lato della<br />

il testo segue a pag. 136


Il principe Lazzaro costruì la chiesa<br />

Lazarica, Kruševac, 1377.


Il monastero di Ljubostinja,<br />

donazione della principessa Milica, 1389.


Il canto del cigno<br />

dell’arte medievale serba<br />

“L<br />

a cosiddetta Scuola della Morava portò un rinnovamento della<br />

pittura serba. Negli affreschi dipinti nello stile della Morava<br />

ci si richiamò a principi superiori di monumentalità. Invece di ridurre<br />

le dimensioni o di suddividere le scene affrescate, esigenze che di<br />

solito scaturivano dalla segmentazione delle pareti e degli archi, lo<br />

stile della Morava usava grandi superfici e composizioni imponenti<br />

scandite ritmicamente. Grazie al gioco della luce, le figure allungate<br />

tipiche di questo stile si armonizzano splendidamente con le alte<br />

pareti della chiesa.<br />

Gli affreschi della Scuola della Morava, che rappresentano il canto<br />

del cigno dell’arte medievale serba, introdussero nuovi accenti<br />

lirici. Il popolo serbo, in ritirata davanti agli Ottomani che conquistavano<br />

un territorio dopo l’altro, trasferì dolore e paura nelle figure dipinte,<br />

spesso con i toni tristi e malinconici caratteristici della Scuola<br />

della Morava.<br />

Gli affreschi più belli decorano la chiesa del Beato Redentore a<br />

Ravanica (costruita fra il 1385 e il 1387), la chiesa della Dormitio<br />

Virginis a Ljubostinja (1402-1405), la chiesa della Presentazione al<br />

tempio della Vergine Maria a Kalenić (1413 circa) e la chiesa della<br />

Santissima Trinità (ultimata entro il 1418) a Manasija, chiamata Resava,<br />

durante il Medioevo.<br />

La fioritura della pittura serba non avvenne nell’epoca in cui la<br />

nazione ebbe la sua maggior potenza politica, ovvero durante il regno<br />

dell’imperatore Dušan (1331-1355). Piuttosto, via via che la forza<br />

del popolo serbo venne messa in rilievo, l’arte del periodo diventò<br />

più definita. La pittura serba prese a perdere il proprio individualismo<br />

man mano che la gente impiegava forza e potere per altre<br />

cose, come accadde con l’espansione dello stato serbo.<br />

La pittura serba monumentale ebbe la sua più grande fioritura<br />

nel XIII secolo. Gli artisti della Scuola Morava dipinsero numerosi<br />

cicli di affreschi ragguardevoli, che in sostanza rivitalizzarono la tradizione<br />

monumentale di quella fiorente epoca. Quest’ultima ascesa<br />

però non durò molto, e dopo la caduta della capitale serba di Smederevo,<br />

nel 1459, iniziò un lungo periodo di regresso sotto il dominio<br />

ottomano che durò secoli.” <br />

<br />

134<br />

Viktor Lazarev


La chiesa della<br />

Santissima Trinità.<br />

Il monastero di Resava<br />

(Manasija), 1406.


il testo continua dalla pag. 130<br />

Il monastero di Kalenić, dettagio della facciata, inizio del XV secolo<br />

parete ovest del nartece. Meritano particolare attenzione anche<br />

le scene dei Miracoli di Cristo, fra cui spicca la Guarigione del<br />

cieco, vero e proprio capolavoro.<br />

Il regno del despota Stefano, che durò dal 1389 al 1427 (il<br />

titolo di despota gli fu attribuito nel 1402), segnò l’ascesa definitiva<br />

dello stato medievale serbo. Stefano saggiamente spostò i<br />

conflitti con Ungheria e Turchia fuori dei confini del regno; grazie<br />

a un’alleanza con gli Ungheresi portò sotto il suo controllo<br />

la regione della Mačva, inclusa Belgrado. Fino a quel momento,<br />

Belgrado era stata solo una fortezza di frontiera, ma durante il<br />

regno di Stefano diventò la capitale e iniziò ad espandersi rapidamente.<br />

Alla stabilità politica seguì un’espansione economica<br />

e culturale. Lo sviluppo delle città, dell’attività mineraria e dei<br />

commerci aiutò Stefano a sostenere l’espansione e la crescita<br />

della cultura. Stabilità e ricchezza attrassero in Serbia molti<br />

uomini di cultura, monaci e artisti provenienti da Bisanzio, dal<br />

monte Athos, dalla Macedonia e dalla Bulgaria, che vi si stabilirono.<br />

Il periodo dello stile della Morava conferì alla Serbia un<br />

accresciuto carattere cosmopolita, e la tradizione delle donazioni<br />

per la costruzione di edifici religiosi fu continuata da Stefano<br />

Lazarević e dagli appartenenti alla sua stretta cerchia.<br />

Il monastero di Kalenić con la chiesa dedicata alla Presentazione<br />

della Vergine Maria al Tempio si devono alla più alta aristocrazia<br />

serba: è infatti una donazione di Bogdan (Commissario<br />

del despota Stefano), di sua moglie Milica e del di lui fratello<br />

Petar. Si tratta di una delle opere più belle dell’arte medievale<br />

serba. È una chiesa con un’unica cupola e una compatta pianta<br />

cruciforme, tre absidi e un nartece sul lato ovest. La facciata è<br />

straordinariamente decorata e gli affreschi sono di qualità eccelsa.<br />

L’ornamentazione principale dei bassorilievi in pietra è<br />

costituita da nastri intrecciati geometricamente, motivi floreali<br />

e figure. Tracce del colore originario sono ancora presenti in alcune<br />

parti della decorazione scultorea. Le decorazioni in rilievo,<br />

insieme ad un motivo a scacchi nelle zone più in alto, contribuiscono<br />

alla vivacità delle facciate. Oltre alle consuete illustrazioni<br />

delle Festività Maggiori, della Vita e dei Miracoli di Cristo<br />

e ai ritratti di santi, sono presenti rappresentazioni della vita<br />

della Vergine Maria nonché una composizione, danneggiata, di<br />

ritratti dei Benefattori nel nartece. Questo stile pittorico, caratterizzato<br />

da colori caldi e da luce diffusa che illumina le scene e<br />

le figure dipinte, iniziò a manifestarsi intorno al 1413.<br />

Il despota Stefano Lazarević è il benefattore del monastero<br />

di Resava, ultima delle grandi committenze medievali. La chiesa<br />

della Santissima Trinità fu costruita dal 1407 al 1418, all’interno<br />

delle mura fortificate del monastero, per servire da mausoleo<br />

136


per il despota Stefano. Rifacendosi al modello di Ravanica, la<br />

chiesa di Resava ha pianta trilobata e cinque cupole. Le facciate<br />

in pietra, prive delle tipiche decorazioni nello stile della<br />

Morava, costituiscono per questo motivo la caratteristica saliente<br />

di Resava. Oggi rimane soltanto un terzo degli affreschi<br />

originariamente presenti a Resava, ma anche questo è sufficiente<br />

per comprendere l’essenza del monumento più rappresentativo<br />

della scuola della Morava. Fra le figure che si trovano<br />

nelle parti inferiori del ciclo di affreschi di Resava vi sono bellissime<br />

ed espressive figure di santi guerrieri, rappresentati in<br />

abbigliamento rigorosamente militare, senza alcun attributo di<br />

santità. Il despota Stefano è ritratto come committente e tiene<br />

in mano un modello della chiesa ed un lungo atto di donazione.<br />

Il monumentale ritratto del despota Stefano illustra l’atto della<br />

Divina Investitura: Cristo mette una corona sulla testa di Stefano<br />

mentre degli angeli gli offrono una spada e una lancia.<br />

Scene di pesca, affresco,<br />

monastero di Visoki Dečani,<br />

XIV secolo


Niš, è la seconda città della Serbia<br />

per grandezza e “la capitale del Sud”


Museo Nazionale di Vranje, la Piazza centrale di Pirot,<br />

centro sportivo a Krsmanovača (Šabac)<br />

140<br />

Kraljevo


La chiesa della Madre di Dio di Ljeviš (Bogorodica<br />

Ljeviška) a Prizren, antica basilica<br />

bizantina del IX secolo, fu danneggiata nella<br />

metà del XIII secolo e temporaneamente restaurata.<br />

Re Milutin la ristrutturò e la ingrandì:<br />

i lavori si protrassero dal 1306 al 1307.<br />

Nel 1689, l’esercito austroungarico, nella<br />

cosiddetta guerra di Vienna, respinse i turchi<br />

verso Skopje e liberò la Serbia. Per suo<br />

espresso desiderio, il generale Piccolomini,<br />

comandante dell’esercito austriaco, fu sepolto<br />

nella chiesa di Bogorodica Ljeviška.<br />

Dopo il ritorno dei turchi la chiesa fu convertita<br />

in moschea e in quell’occasione i<br />

bellissimi affreschi furono danneggiati.<br />

Negli anni Cinquanta, sotto vari strati di<br />

calce, furono trovati gli affreschi. Quando<br />

arrivarono le truppe dello Kfor, la chiesa<br />

era già stata saccheggiata e conteneva<br />

ordigni inesplosi. Ad oggi rimane un mistero<br />

il destino di 42 icone medievali. Attualmente<br />

la Beata Vergine è “agli arresti”<br />

sotto una protezione di filo spinato.<br />

Bruciata e scoperchiata.


Dall’arrivo delle forze internazionali nella<br />

provincia Serba del sud in estate del 1999, sono stati<br />

distrutti o gravamente rovinati oltre 150 monumenti<br />

medievali ortodossi (chiese e monasteri). Da quel<br />

numero 15 monumenti appartenevano al patrimonio<br />

culturale della prima categoria (costruiti nel XIV,<br />

XV e XVI secolo) e 23 monumenti facevano parte del<br />

prezioso patrimonio culturale europeo e mondiale<br />

Nessuna pietà per<br />

i misericordiosi<br />

La chiesa della Madre di Dio a Ljeviš, uno dei quartieri più<br />

antichi della città di Prizren in Kosovo, esisteva già nel<br />

IX secolo con pianta basilicale a tre navate, sagrato interno<br />

e copertura lignea. Al tempo dell’istituzione delle diocesi da<br />

parte di San Sava, nella prima metà del XIII secolo, quando<br />

vi fu trasferita la sede del vescovo di Prizren, la chiesa della<br />

Madre di Dio di Ljeviš fu restaurata per la prima volta dato<br />

che i piani superiori erano ridotti in rovina.<br />

L’articolato aspetto odierno della chiesa a cinque cupole<br />

con esonartece aperto dal centro del quale svetta uno<br />

snello campanile, e l’interno luminoso grazie a bifore ed<br />

arcate, si deve a re Milutin Nemanjić. Per la prima volta<br />

nella storia vennero registrati i nomi dell’architetto arciprete<br />

e capomastro Nikola e del pittore della chiesa della<br />

Madre di Dio di Ljeviš, Mihailo Astrapa. Entrambi i nomi<br />

compaiono sulla volta del sagrato esterno nell’iscrizione<br />

che aveva lo scopo di ricordare all’arcivescovo di Prizren i<br />

suoi doveri nell’aiutare i poveri.<br />

I frammenti degli affreschi più antichi nella chiesa<br />

della Madre di Dio di Ljeviš risalgono al tempo di San<br />

Sava, cioè al periodo 1220-1230. Gli affreschi conservatisi<br />

in buone condizioni anticipano, nei soggetti delle Nozze<br />

di Cana e della Guarigione del cieco (entrambi parte del<br />

ciclo dei Miracoli di Cristo) tutte le caratteristiche dello<br />

stile introdotto successivamente da Comneus. L’affresco<br />

più rilevante di questo periodo è la rappresentazione del-<br />

143


la Santissima Madre di Dio di Eleusi con il Cristo Guardiano,<br />

sopravvissuto senza gravi danni fino al 17 marzo<br />

2004, quando i separatisti albanesi appiccarono il fuoco<br />

all’antica chiesa causando ingenti danni ai bellissimi affreschi<br />

e anche ai dipinti eseguiti un centinaio di anni più<br />

tardi (1310-1313), dovuti ai primi frescanti greci in Serbia<br />

di cui sia noto il nome.<br />

La rappresentazione delle torture infernali nel Giudizio<br />

Universale dipinto a Ljeviš è rimasta insuperata; i dannati<br />

sono condotti all’Inferno da membri della famiglia reale<br />

e da alti prelati che i due artisti audacemente raffigurarono<br />

nell’affresco, proprio come dipinsero, senza alcuna<br />

esitazione e con eccellenti conoscenze anatomiche, una<br />

galleria di personaggi che costituiscono i primi nudi medioevali<br />

in Serbia.<br />

Soltanto nella chiesa della Madre di Dio di Ljeviš un ignoto<br />

poeta arabo poteva essere sopraffatto dall’emozione<br />

al punto da incidere sul muro con uno strumento appuntito,<br />

sotto l’affresco che raffigura il sogno di Giacobbe, il<br />

verso: “La pupilla dei miei occhi è il nido della bellezza dei<br />

tuoi”. La bellezza immortale della chiesa di Milutin a Ljeviš<br />

rifulge anche oggi, su mura, affreschi e arredi coperti di<br />

fuliggine e semidistrutti di questo edificio prezioso dato<br />

alle fiamme nella primavera del 2004.<br />

144<br />

Ljubomir Ivanović “ La Madre di Dio di Ljeviš”, 1925.


Beata Vergine della Carità con Gesù che<br />

dà da mangiare ai poveri, l’affresco della<br />

chiesa della Madre di Dio di Ljeviš a Prizren,<br />

XIII secolo e ciò che ne rimane dopo che fu<br />

appiccato il fuoco alla chiesa durante le rivolte<br />

degli Albanesi di Kosovo nel 17 marzo 2004.<br />

145


La maggioranza dei Serbi<br />

non ha dubbi quando si<br />

chiede loro chi sia il<br />

personaggio più significativo<br />

della storia serba: San Sava


Consacrata<br />

con ceneri<br />

sante


San Sava, il Monastero di Mileševa, XIII secolo


Il principe Rastko, il futuro San Sava, si fece monaco<br />

all’età di diciassette anni, fuggendo dalla corte di suo padre<br />

Nemanja per raggiungere il monastero di Vatopedion<br />

sul monte Athos. “Chi è che, a quest’ora tarda, bussa alla<br />

porta del monastero di Athos nel silenzio e nella pace della<br />

notte?”, scrisse Vojislav Ilić, versi che ogni bambino serbo<br />

conosce a memoria. Da monaco, Sava costruì e fondò il<br />

monastero di Chilandari (insieme al padre Nemanja che in<br />

seguito si fece anch’egli monaco, prendendo il nome di Simeone).<br />

Alla notizia che in Serbia infuriava la guerra civile,<br />

San Sava trasferì le reliquie di San Simeone nel monastero<br />

di Studenica e fece far pace ai fratelli maggiori Vukan e Stefano<br />

(questi fu il primo re serbo ad essere incoronato) sopra<br />

le sacre reliquie del padre. Egli contribuì, fra l’altro, alla costruzione<br />

di Žiča e agli affreschi di Studenica.<br />

Nel 1219 ottenne, attraverso le procedure ecclesiastiche,<br />

l’autonomia (“autocefalia”) della Chiesa serba ortodossa,<br />

di cui fu nominato primo arcivescovo. Nel 1204, durante<br />

la quarta crociata, i cavalieri con la Croce presero Costantinopoli<br />

e fondarono il cosiddetto impero latino d’Oriente,<br />

ma non riuscirono a sconfiggere<br />

l’impero bizantino, la cui<br />

corona era allora contesa fra il<br />

cosiddetto impero di Trebisonda<br />

(in Asia Minore) e quello di<br />

Nicea (nei Balcani). Il patriarca<br />

di Costantinopoli risiedeva a<br />

Nicea dove Sava, in conformità<br />

alle norme ecclesiastiche, andò<br />

a richiedere l’autonomia della<br />

Chiesa serba, richiamandosi<br />

alle decisioni del IV Concilio<br />

Ecumenico Ortodosso. Inoltre<br />

usò le proprie capacità diplomatiche<br />

per trarre vantaggio<br />

dai maneggi dell’arcivescovato<br />

di Ohrid che, nella persona<br />

dell’arcivescovo Domentijan,<br />

mirava a rimuovere il patriarca<br />

di Costantinopoli e, seguendo la<br />

politica del despotato dell’Epiro,<br />

ad acquisire la supremazia<br />

su tutte le Chiese ortodosse.<br />

Con l’approvazione dell’imperatore<br />

Teodoro Laskaris, il<br />

patriarca Manuel nominò Sava<br />

supremo arcivescovo “di tutti i Serbi e delle terre marittime”<br />

e la Chiesa serba fu elevata allo status di arcivescovato<br />

diventando autocefala (con la facoltà di organizzare concili<br />

di vescovi e di nominare vescovi e arcivescovi) separandosi<br />

così dall’arcivescovato di Ohrid. Poi Sava incoronò suo fratello<br />

Stefano secondo il cerimoniale ortodosso, nonostante<br />

questi avesse già ottenuto la corona e il titolo di re dal papa<br />

di Roma. Tutto ciò a compimento dell’opera di Stefano Nemanja<br />

e dei Gran Župan suoi predecessori, grazie ai quali<br />

la Serbia divenne un regno e, con la sua Chiesa, uno stato<br />

indipendente.<br />

Sava istituì nuove diocesi e ripristinò alcune di quelle<br />

vecchie. Sava fu consigliere di tre re serbi per cui condusse<br />

importanti missioni diplomatiche: suo fratello Stefano<br />

Primo Incoronato, re Radoslav e re Vladislav. Si recò in<br />

pellegrinaggio due volte in Terra Santa e dal monte Sinai<br />

portò in Serbia uno degli oggetti sacri più importanti,<br />

ovvero un’icona raffigurante la Santa Madre di Dio<br />

Trojeručica (ovvero “con tre mani”) che è conservata nel<br />

monastero di Chilandari.<br />

Sava fondò ospedali e scuole.<br />

Oggi i Serbi lo celebrano durante<br />

lo Slava della scuola (uno<br />

slava è una festività religiosa e<br />

familiare tipica soltanto della<br />

religione serba ortodossa<br />

fra le nazioni ortodosse). La<br />

festa di San Sava fu celebrata<br />

per la prima volta come Slava<br />

della scuola nella città di Zemun<br />

nel XIX secolo. Il primo<br />

verso dell’Inno a San Sava recita:<br />

“Cantate con amore a San<br />

Sava, santo patrono della Chiesa<br />

e della scuola serba”.<br />

Sava morì nel paese di Trnovo,<br />

nell’odierna Bulgaria, dove<br />

Vladislav prelevò le reliquie di<br />

suo zio e, con molte difficoltà, le<br />

trasferì nell’edificio che gli dobbiamo,<br />

il monastero di Mileševa.<br />

Nel 1595 l’albanese Sinanpascià,<br />

che era un “serasker”,<br />

ossia un generale, dell’esercito<br />

ottomano, appresa la notizia<br />

che i Serbi del Banato aveva-<br />

149


Sava fu un uomo moderno, un coraggioso leader e sotto tanti aspetti in anticipo sui tempi. Instancabile pellegrino, viaggiò in<br />

giro per il mondo con gli occhi ben aperti, studiò con passione e, anticipando gli sviluppi dei secoli futuri, portò in Serbia i<br />

più avanzati ritrovati del tempo. A questo riguardo oggi c’è un piccolo malinteso, un involontario dissenso fra le guide spirituali<br />

contemporanee e San Sava, cui pure essi si affidano con fedeltà e devozione. Sembrano aver dimenticato che il principio fondamentale<br />

di San Sava non privilegia la stagnazione, le tendenze retrograde, l’isolamento o l’immobilismo: la fede di San Sava<br />

non ha niente a che spartire con una stagnante palude senza vita. Il fondamento di San Sava è proprio l’opposto: è consacrato<br />

alla spinta in avanti, all’avanzamento, al rinnovamento, al ricercare il nuovo e optare per il moderno. La sua fede è come un’abbondante<br />

sorgente, un irrefrenabile fiume, sempre fresco e che si rinnova in continuazione, perché ha a che fare con la vita che<br />

è a sua volta sempre nuova ed unica”. <br />

(Professor Dragan Nedeljković)<br />

150<br />

San Sava, affresco, il Patriarcato di Peć, XIII secolo<br />

no organizzato una rivolta portando bandiere<br />

con l’immagine di San Sava, s’impadronì delle<br />

reliquie del santo e le bruciò a Belgrado sulla<br />

collina di Vračar. Alcuni storici hanno sollevato<br />

dubbi al riguardo e affermano che le reliquie<br />

furono messe in salvo e poi nascoste in una<br />

grotta, e che sono custodite in un monastero<br />

del Montenegro.<br />

Il successore di Sava nella dignità di arcivescovo<br />

fu un suo allievo, Arsenije I Sremac, il<br />

quale, prima dell’invasione degli Unni, trasferì<br />

la sede dell’arcivescovato a Metohia, nei pressi<br />

del fiume Bistrica, e costruì la chiesa dei Santi<br />

Apostoli, istituendo così l’arcivescovato di Peć<br />

(1253) che nel 1346 ottenne lo status di patriarcato.<br />

Contrariamente all’opinione comune,<br />

tutto ciò fu ottenuto secondo le norme ecclesiastiche<br />

e il conflitto con il patriarcato bizantino<br />

ebbe luogo soltanto sette anni dopo e per motivi<br />

diversi. Il primo patriarca serbo fu Joanikije.<br />

Il patriarca serbo è considerato erede di Sava<br />

e vicino alla Santissima (Panaghia) Madre di<br />

Dio, e porta sul petto il simbolo di San Sava.<br />

San Sava è il padre spirituale della nazione<br />

serba.<br />

Non c’è regione in cui i Serbi abbiano vissuto<br />

dove non abbiano chiamato una sorgente<br />

“ruscello di Sava” o una collina “Savinac”. La<br />

stragrande maggioranza delle storie popolari<br />

su San Sava cominciano così: “Tutto cominciò<br />

quando il santo (Sava) apparve sulla Terra”. Le<br />

leggende di solito lo descrivono come un pastore<br />

che conduce un gregge di lupi.


Stevan Aleksić: “La cremazione delle reliquie di San Sava, Niš, Museo Nazionale<br />

“I<br />

n un luogo chiamato Vračar, un sobborgo di Belgrado, fu preparata una<br />

pira. Sopra di essa fu posta la bara di legno con le sacre spoglie del<br />

santo. E qui, nell’aprile del 1595, il corpo di San Sava fu bruciato e ridotto in<br />

cenere. Prodigiosamente, una grande fiammata si alzò nel cielo ed illuminò<br />

tutta la città.<br />

La gioia degli Ottomani per questo evento fu di breve durata perché, man<br />

mano che le fiamme diminuivano, furono sopraffatti da un’enorme paura e<br />

corsero alle loro case, chiudendosi la porta alle spalle. A Vračar, invece, molti<br />

monaci s’inginocchiarono e guardarono la fiamma in lontananza, attendendo<br />

di prendere una manciata di sacre ceneri e riportarle a Mileševa. Ma lo spirito<br />

vivo del santo vigilava vittoriosamente sul fuoco dal mondo invisibile. In vita<br />

il desiderio di Sava era stato quello di farsi martire per amore di Cristo. Ora il<br />

suo desiderio si era avverato. Perciò, con un sorriso vittorioso, Sava perdonò il<br />

pascià Sinan e benedì il popolo serbo.<br />

“Con l’aiuto di Dio non avrò timore di ciò che un uomo potrebbe farmi” (Salmo<br />

117,6)”. <br />

(San Nikolaj Arcivescovo, Vita di San Sava)<br />

151


Il patriarcato di Peć<br />

“N<br />

ell’arco della vita di San Sava fu individuato il sito (metoh) del monastero di Žiča che divenne sede del<br />

patriarcato di Peć. L’arcivescovo Arsenije, successore di San Sava, costruì la chiesa dei Santi Apostoli<br />

a Peć, città nella quale trasferì anche la sede dell’arcivescovato. La chiesa fu affrescata attorno al 1260: nel<br />

1320 l’arcivescovo Nikodim fece costruire la chiesa di San Demetrio a nord della chiesa più antica del complesso<br />

monastico di Peć. Nel 1330 il suo successore, l’illustre scrittore e arcivescovo Danilo, dedicò la chiesa<br />

alla Theotokos (Madre di Dio) Hodeghetria e la fece costruire sul lato meridionale della chiesa dei Beati Arcangeli.<br />

Inoltre, sempre sul lato meridionale, fece erigere anche la piccola chiesa di San Nicola. L’arcivescovo<br />

Danilo II fece costruire un monumentale portico davanti a tutte e tre le chiese, con un pyrgos davanti al portico.<br />

Nel 1345, durante il ministero dell’arcivescovo Joanikije, fu affrescata la chiesa di san Demetrio. Durante<br />

il XIV secolo la chiesa dei Santi Apostoli fu ricostruita, quindi alcune parti furono nuovamente affrescate.<br />

Durante l’occupazione ottomana della Serbia, il monastero del patriarcato di Peć si trovava in una situazione<br />

difficile; nel 1485 vivevano nel monastero solo sette monaci. Nel 1557, allorché fu ripristinato il patriarcato a<br />

Peć, il monastero divenne di nuovo centro spirituale e sede del patriarca serbo Makarije Sokolović. Nel 1565<br />

fu dipinto il portico di Danilo e fu rinnovata l’iconostasi. Durante il ministero del patriarca Pajsije tutte le chie-


Beata Madre di Dio, affresco, Chiesa dei Santi Apostoli, il Patriarcato di Peć, XIII secolo<br />

se del complesso furono dotate di una copertura di piombo. Nel 1620-1621 il pittore Georgije Mitrofanović<br />

rifece gli affreschi e in quegli stessi anni fu rinforzata la chiesa di San Demetrio. La chiesa dei Santi Apostoli<br />

fu ristrutturata e nel 1633-1634 la sua sezione occidentale fu ridipinta poiché i vecchi affreschi erano danneggiati<br />

in modo considerevole. Contemporaneamente fu ricostruito e coperto il refettorio. La chiesa di San<br />

Nicola fu dipinta nel 1673-1674, al tempo del Patriarca Makarije, e l’iconostasi al suo interno fu completata<br />

nel 1677. Il monastero fu seriamente danneggiato alla fine del XVII secolo, durante la guerra austro-turca. Il<br />

tesoro, che era stato trasferito al monastero di Gračanica e nascosto in una delle sue cupole, fu trovato dagli<br />

Ottomani nel 1688 e portato via. Il tesoro era così abbondante che per trasferirlo si dovettero impiegare nove<br />

cavalli. Dopo la partenza del Patriarca Arsenije III Čarnojević durante la Grande Migrazione, il Patriarcato di<br />

Peć fu saccheggiato e il monastero privato delle sue terre.<br />

Il Patriarcato di Peć era un tempo protetto da un alto muro con cinque torri, una delle quali appositamente fortificata,<br />

era una sorta di torrione. Gli alloggi posti alla fine del cortile della chiesa andarono perduti in un incendio<br />

nel 1981 e furono restaurati e riconsacrati nel 1983. La costruzione dei nuovi alloggi, sul lato nordoccidentale<br />

del cortile della chiesa, fu portata a termine nel 1981. Il grande campanile a sud fu costruito nel 1970.<br />

Dopo l’unificazione della Chiesa Serba Ortodossa, Demetrio, il primo patriarca del rinato Patriarcato serbo,<br />

ricevette qui la nomina nel 1924. A partire da allora tutti i patriarchi serbi sono stati consacrati in quel monastero.<br />

Il patriarcato di Peć è la residenza del patriarca serbo.<br />

Il patriarcato di Peć è un convento”. <br />

(Slobodan Mileusnić)<br />

153


Kragujevac, la prima capitale della Serbia dopo la liberazione della Serbia dagli Ottomani nel XIX secolo<br />

155


Kruševac, il centro del distretto di Rasina, la capitale medievale del principe Lazzaro Hrebeljanović<br />

156


Gruža


Il centro di Čačak e Zapadna Morava nei dintorni di questa città<br />

159


Požarevac: L’edificio del municipio, sito archeologico di Viminatium,<br />

campionessa di Ljubičevo, monumenti in onore al principe Miloš Obrenović<br />

160


I cavalieri: La giostra di Ljubičevo


Nikola Tesla, affascinante scienziato, inventore enigmatico,<br />

un personaggio mistico dotato di grandi capacità mentali e<br />

genialità, giustamente considerata sovrumana. Serbo nato nella<br />

Lika nella famiglia del prete ortodosso toccò l’appice della<br />

sua carriera in America dove morì il 7 gennaio del 1943,<br />

il giorno del Natale ortodosso. Senza le sue<br />

invenzioni il mondo, semplicemente, si fermerebbe<br />

Il genio di Smiljan


164<br />

Se c’è un uomo cui il termine “genio”, usato troppo e a<br />

sproposito, calzerebbe a pennello, quell’uomo, prima di<br />

chiunque altro, è Nikola Tesla. Alcuni lo considerano uno<br />

scienziato che precorse i tempi. Altri dicono che Tesla visse<br />

fuori dal tempo e altri ancora lo chiamano il Prometeo dei<br />

nostri giorni, un uomo di tutti i tempi. Fu “l’inventore per il<br />

terzo millennio”, ma fu anche un profeta. Anche se gli scritti<br />

scientifici di uno dei più famosi fisici non dovrebbero essere<br />

chiamati profezie, è fatto insolito che così<br />

tante delle sue idee si siano realmente avverate.<br />

Quando Tesla ne parlava ai suoi<br />

contemporanei, forse sembravano<br />

più un romanzo di Jules Verne che<br />

altro, più vicino alla fantascienza<br />

che alla scienza. Persino oggi, i<br />

più importanti scienziati che<br />

lavorano con i mezzi più moderni<br />

per cercare di brevettare<br />

invenzioni, scoprono talvolta<br />

che Tesla aveva già firmato i<br />

“loro” brevetti tanto tempo fa. Ci<br />

deve sorprendere e affascinare il fatto<br />

che Tesla abbia fatto le sue scoperte<br />

senza computer o alta tecnologia, e senza<br />

strumenti matematici adeguati, che non<br />

erano ancora stati inventati: perciò quasi<br />

con l’impossibilità di calcolare o prevedere<br />

le forze che studiava. Sono queste<br />

doti eccezionali che ci portano a definire<br />

Tesla un genio.<br />

In molte occasioni Tesla è stato<br />

definito un angelo e un messia<br />

moderno: qualcuno si è chiesto se<br />

non fosse un alieno. Un’esagerazione,<br />

certo, ma non priva di un<br />

aggancio concreto nell’opera di<br />

Tesla: il grande fisico dedicò<br />

infatti molto tempo a cercare<br />

di comunicare col pianeta<br />

Marte. Il padre dell’elettricità<br />

moderna pensava che il<br />

globo terrestre potesse essere<br />

usato come un circuito<br />

elettrico in risonanza,<br />

che l’energia potesse essere<br />

trasmessa senza fili, attraverso l’aria, e che le correnti<br />

calde dell’atmosfera potessero mettere in moto le macchine.<br />

Credeva che i pensieri potessero essere fotografati, il che<br />

viene oggi considerato una delle sue idee meno plausibili.<br />

Quando Albert Einstein capovolse il mondo con la teoria<br />

sulla relatività, l’unico che gli si oppose fu Tesla. Secondo<br />

Tesla, la relatività di Einstein non era abbastanza<br />

relativa. Mostrò ad Einstein che lui poteva creare velocità<br />

molto più alte della velocità della luce. Riteneva<br />

la costante C la velocità base, non la velocità<br />

più alta dell’universo.<br />

Nel periodo dal 1886 fino al 1943,<br />

in cinquantasette anni di lavoro, Tesla<br />

realizzò più di chiunque altro<br />

prima o dopo di lui. Scoprì l’elettricità<br />

multifase, poi la tecnologia<br />

della corrente alternata. Nonostante<br />

che Kelvin ed Edison,<br />

considerati fino a quel momento i<br />

massimi esperti in quel campo, gli<br />

si opponessero, l’invenzione di Tesla<br />

fu usata nella prima centrale idroelettrica<br />

costruita sulle cascate del Niagara<br />

dove ancora oggi c’è un monumento dedicato<br />

a questo grande scienziato e una targa<br />

con l’elenco di tutte le sue invenzioni. Il<br />

motore a induzione, l’uso dell’olio nei trasformatori<br />

e l’arco a induzione elettrica<br />

mosso da corrente diretta in un campo<br />

magnetico, sono stati importanti per lo<br />

sviluppo della radiotelefonia. Le sue<br />

lampade con rilascio di gas sopra un<br />

arco sono le precorritrici delle odierne<br />

lampade a neon. Tesla scoprì la<br />

possibilità di usare la corrente ad<br />

alta frequenza in medicina. Fu il<br />

primo a scoprire il sistema di telecomando<br />

senza fili, portando<br />

molti a considerarlo uno dei<br />

fondatori della robotica. Gettò<br />

anche le basi per lo sviluppo<br />

della radiotecnologia, e poiché<br />

tutte le sue invenzioni<br />

Antenna sul<br />

laboratorio di Tesla<br />

a Colorado Springs


Smiljan, vicino a Gospić, in Lika: la casa natale di Tesla e la chiesa ortodossa dove servì suo padre<br />

furono indirizzate alla protezione dell’ambiente e alla<br />

conservazione delle fonti di energia, potremmo dire che<br />

Tesla fu anche un pioniere dell’ecologia.<br />

Visse in un periodo eroico della tecnologia. Era uno<br />

scienziato e un mistico. Un poeta dell’elettricità. I newyorkesi<br />

lo chiamavano “il vecchio mago del parco”.<br />

Le persone avevano paura di lui quando raccontava<br />

come avrebbe potuto tagliare il pianeta in due usando<br />

dei potenti oscillatori. A causa delle luci blu che di notte<br />

provenivano dal suo laboratorio, la gente credeva che<br />

Tesla sapesse come incendiare il cielo. Ridevano<br />

di lui quando giocava, come un bambino,<br />

con modellini di barca sul fiume Hudson. Non<br />

sapevano che con quei modellini nasceva la<br />

tecnologia del telecomando che, oggigiorno,<br />

è ampiamente usata in tutte le case.<br />

E tutto iniziò il 10 luglio 1856, nel villaggio<br />

di Smiljan, non lontano da Gospić in Lika. Esattamente<br />

un anno prima della nascita di Nikola,<br />

cioè il 10 luglio 1855, suo padre Milutin Tesla<br />

ebbe da Dio, come lui stesso scrisse, un inaspettato<br />

segno:<br />

“Era caldo fuori, l’aria era pesante,<br />

il pomeriggio piovve sotto il monte<br />

Velebit, e prima che giungesse la sera,<br />

il cielo era terso e l’aria fredda: poi il<br />

una cascata distante e, poiché faceva scintille, lasciò chiare<br />

tracce di bruciato dietro di sé. Quando si spostò dietro la<br />

prima collina, ci fu un suono come una grande torre che<br />

crollasse. Sul lato sud del monte Velebit l’eco fu sentita per<br />

un lungo tempo”.<br />

Il fratello maggiore di Nikola, Dane, che fin dalla prima<br />

infanzia fu ritenuto un ragazzo prodigio nella matematica,<br />

morì per le conseguenze di una caduta da cavallo. La morte<br />

del fratello ebbe un forte impatto su Tesla. Anni dopo aveva<br />

ancora incubi e allucinazioni per la morte di Dane. Poiché<br />

Nikola rimase l’unico figlio maschio della famiglia,<br />

suo padre sperava che diventasse il suo successore.<br />

Per questo preparava suo figlio, con vari esercizi<br />

spirituali, a diventare prete. Passavano lunghe ore<br />

in preghiera. “Giocavano” a indovinare i pensieri<br />

e a comunicare senza parole.<br />

Solo quando Nikola si ammalò gravemente e<br />

i dottori pronosticarono che il bambino non aveva<br />

molto tempo da vivere, suo padre, che era un prete, gli<br />

permise di studiare tecnologia.<br />

Molti anni dopo, in una lettera alla piccola<br />

Pola Fotić, figlia di un ambasciatore del Regno<br />

negli Stati Uniti, Tesla scrisse un<br />

testo dal titolo Storia sull’infanzia. In<br />

questa storia descrisse in modo pittoresco<br />

alla bambina le notti d’inverno nella<br />

cielo divenne scuro, le stelle scomparvero<br />

e si potrebbe dire che la natura si<br />

Solo quando Nikola si ammalò<br />

gravemente e i dottori pronosticarono<br />

casa dei suoi genitori, e il suo più caro<br />

amico: il gatto. Quando aveva solo tre<br />

fermò. L’apparizione nel cielo sembrava<br />

che il bambino aveva solo alcuni<br />

anni, giocare con il gatto lo aiutò a capire<br />

l’elettricità. Tirò la coda del suo gatto<br />

mesi da vivere, suo padre, che era un prete,<br />

così vicina che si sarebbe potuta toccare gli permise di studiare tecnologia<br />

con una mano, e c’era un suono come di e non lo costrinse a diventare prete e la lunga pelliccia sulla schiena.<br />

165


Molto presto Tesla scoprì di avere una capacità insolita,<br />

che anche suo fratello Dane possedeva. La memoria<br />

fotografica di Tesla era straordinaria, riusciva a ricordare<br />

anche i dettagli più insignificanti. Le immagini mentali di<br />

Tesla, come vengono definite oggi, gli apparivano a sprazzi,<br />

di solito in momenti di eccitazione. Queste visioni erano<br />

così forti che spesso egli stesso non riusciva a distinguerle<br />

dalla realtà.<br />

Questa capacità spinse Tesla ad affinare il suo metodo di<br />

pensare. Costruiva tutti i suoi brevetti nella sua testa, non<br />

toccando niente con le mani finché la macchina non era<br />

completa. Era capace di visualizzare le cose così precisamente<br />

che di solito diceva che per lui non vi era alcuna differenza<br />

tra far funzionare le sue macchine mentalmente o provarle<br />

in laboratorio. Creava i primi esperimenti nella sua testa.<br />

Le soluzioni finali arrivavano inaspettatamente, all’improvviso<br />

e sempre in un momento in cui non si concentrava<br />

sul problema. Qualcosa di simile accadde il 12 ottobre<br />

1892 a Budapest.<br />

Nikola Tesla stava camminando con un amico per il<br />

parco della città. Stavano guardando il tramonto, che ispirò<br />

Tesla a recitare alcuni versi del Faust di Goethe, che conosceva<br />

a memoria.<br />

Dominik Maričić: Ritratto di Nikola Tesla<br />

Il Sole si sta ritirando, e il giorno sta morendo,<br />

E il sole è ciò che crea nuova vita<br />

Ah, perché non ho ali da aprire,<br />

Per volare con te sopra la Terra!<br />

È un bel sogno mentre il Sole si sta ritirando<br />

Ma le ali corporee non nascono facilmente<br />

Vicino alla luce, ali spirituali<br />

“Quello che vidi allora fu un tale miracolo che mi lasciò<br />

senza parole. La schiena del gatto era piena di luci e la mia<br />

mano provocava scintille il cui scoppiettare si udiva in tutta<br />

la casa. Più tardi, quando la stanza fu buia, il gatto agitò la<br />

zampa, come per scuotere via dell’acqua, e vidi un’aureola<br />

d’oro intorno a lui, la stessa come nelle immagini dei santi”.<br />

Anche se sua madre lo avvertì di lasciare in pace il gatto,<br />

altrimenti alla fine avrebbe causato un incendio, il bambino<br />

aveva un’altra opinione.<br />

“La natura è un grande gatto?” si chiedeva. “Se lo è, chi<br />

gli sta tirando la coda?”.<br />

Ottant’anni dopo quell’episodio, Tesla pensava di non<br />

aver ancora trovato la risposta a quella domanda fondamentale.<br />

166<br />

Nel momento d’ispirazione in cui pronunciò queste<br />

parole, gli apparve un’idea, che egli paragonò al bagliore<br />

di un fulmine. Usando un bastone fece lo stesso disegno<br />

mostrato sei anni più tardi durante la sua presentazione<br />

all’American Institute of Electrical Engineers: un campo<br />

magnetico rotatorio.<br />

“Rinuncerei a mille segreti della natura che potrei scoprire<br />

per caso per questo che le ho carpito” scrisse il grande<br />

scienziato successivamente, la cui vita fu interessante<br />

quanto le sue scoperte.<br />

Convinto che gli inventori siano sposi della scienza, Tesla<br />

non s’innamorò mai. Chiamava le donne creature elevate,<br />

sostenendo che l’emancipazione delle donne avrebbe<br />

cambiato il mondo. “Porteranno l’uguaglianza, ma ci supe-


Nikola Tesla tiene una dimostrazione di trasmissione di corrente senza fili


Per tutta la vita, Nikola Tesla amò leggere poesia epica serba di cui<br />

tradusse perfino in inglese alcuni componimenti che furono pubblicati<br />

reranno anche” diceva, poiché riteneva che per secoli l’intelletto<br />

femminile avesse accumulato così tanta potenza che<br />

alla fine il mondo ne sarebbe stato travolto. Anche se non<br />

s’innamorò, fu sempre generoso con le donne; teneva teneri<br />

carteggi, riceveva e spediva fotografie con dediche e donava<br />

meravigliosi mazzi di orchidee. Quattro belle donne tentarono<br />

inutilmente di conquistare il suo cuore: Flora Dodge,<br />

Catherine Moth, Francis Warwick e Catherine Johnson.<br />

La vicenda che sembra somigliare di più a una storia<br />

d’amore nella vita di Tesla è la storia di una colomba bianca,<br />

una fra le migliaia di piccioni che egli nutriva e curava.<br />

John O’Neill, suo biografo, fu il primo a notare il suo rapporto<br />

personale con questa colomba, e pensò che le macchie<br />

sulle sue ali rappresentassero simboli magici. Chiese<br />

a Tesla di questa colomba e lui spiegò: “Lei è diversa… Dovevo<br />

solo pensare a lei, chiamarla e lei arrivava in volo.<br />

L’ho amata come un uomo ama una donna. Quando quella<br />

168<br />

colomba è morta, qualcosa è scomparso dalla mia vita. Ho<br />

capito che il mio lavoro era giunto a fine”.<br />

Oltre ai piccioni che nutriva e che lo seguivano ovunque,<br />

il “vecchio mago del parco” aveva molte altre abitudini<br />

che sconcertavano i cittadini di New York e il personale<br />

degli hotel dove trascorse gran parte della vita. Amava solo<br />

i numeri divisibili per 3. Al posto dei piatti del menu, chiedeva<br />

minestre di verdura appositamente preparate, latte<br />

tiepido e per carne petti interi di volatili. Prima del pasto,<br />

18 (6x3) tovaglioli venivano messi sul tavolo per lui. Li usava<br />

per strofinare utensili e bicchieri, lustrandoli tanto che<br />

iniziavano a scaldarsi. Non iniziava mai a mangiare prima<br />

di aver calcolato il volume della porzione e poi il volume di<br />

ogni boccone. Non mangiava bocconi con volumi non divisibili<br />

per 3. Portava i guanti, e la sua stretta di mano era<br />

così forte che molti suoi contemporanei non mancarono di<br />

citarla nei loro ricordi. Non beveva alcol, ma voleva che la<br />

stessa bottiglia di vino di prima qualità, mai aperta, fosse<br />

messa sul suo tavolo quando mangiava.<br />

Diceva che avrebbe vissuto esattamente 160 anni. Ma<br />

la sua vita finì prima. Il 7 gennaio 1943, giorno del Natale<br />

ortodosso.<br />

Fu costretto a letto per un lungo periodo prima di morire.<br />

Non accettava visitatori, neppure gli amici che gli erano<br />

stati cari, rifiutava l’idea di essere malato, e si opponeva<br />

persistentemente ai consigli di chiamare un dottore.<br />

Due giorni prima di morire permise ad una cameriera<br />

di entrare nella sua camera. Le ordinò di assicurarsi che<br />

nessuno lo disturbasse. Tre giorni dopo, la ragazza iniziò a<br />

preoccuparsi e andò da lui, ben sapendo che avrebbe protestato.<br />

Lo trovò morto. Era calmo e sembrava dormisse,<br />

con un sorriso sul viso pallido e ossuto.<br />

La polizia fu informata che Tesla era morto solo, senza<br />

la presenza di un dottore. Il medico legale affermò che la<br />

morte era avvenuta per motivi di età la notte del 7 gennaio.<br />

Alcune ore dopo l’FBI visitò la stanza. Tutti i documenti di<br />

Tesla furono passati in rassegna prima che i suoi parenti<br />

e amici e soprattutto suo nipote e legittimo erede Sava<br />

Kosanović fossero informati della morte dello scienziato.<br />

Questi strani fatti hanno portato i biografi di Nikola Tesla<br />

a speculare sulle cause della sua morte.<br />

Le prove più evidenti, a sostegno delle affermazioni che<br />

il governo americano fosse coinvolto nella morte di Tesla<br />

e negli eventi successivi, furono fornite da Charlotte Muzar,<br />

la segretaria di Sava Kosanović, che divenne la persona<br />

chiave per la conservazione e classificazione del lascito del-


lo scienziato esposto nel Museo di Nikola Tesla a Belgrado.<br />

Charlotte Muzar e Sava Kosanović stiparono insieme gli<br />

scritti di Tesla e la sua medaglia Edison in una cassaforte,<br />

di cui solo lei conosceva la combinazione. Nelle note circa<br />

questo fatto però, Charlotte Muzar dice che non scoprì mai<br />

chi chiamò il fabbro che sigillò la cassaforte.<br />

La cassaforte rimase in un deposito a Manhattan per un<br />

po’di tempo e non fu aperta prima del suo arrivo in Serbia.<br />

Quando fu poi aperta nel 1952 a Belgrado, Charlotte Muzar<br />

e Sava Kosanović scoprirono che da essa mancavano svariate<br />

cose. Mancavano i progetti dell’“arma segreta” di Tesla e<br />

la medaglia d’oro Edison che Tesla molti anni prima voleva<br />

fondere per pagare i salari arretrati dei suoi impiegati. Non<br />

è mai stato scoperto cosa accadde a questa medaglia.<br />

Comunque, i documenti riguardanti l’arma segreta<br />

possono essere rintracciati, poiché sappiamo che sono<br />

stati fatti esperimenti dai governi delle più forti potenze<br />

militari: gli Stati Uniti d’America e la Russia. Il progetto<br />

HAARP-High Frequency Active Auroral Project (Progetto<br />

attivo aurorale di ricerca ad alte frequenze), uno dei segreti<br />

più oscuri dell’industria militare americana, per molti versi<br />

si basa sui progetti di Tesla.<br />

Si dovrebbe sapere inoltre che le voci e l’agitazione che<br />

ci furono in Serbia negli anni Novanta circa “l’arma segreta<br />

Il Museo di Nikola Tesla a Belgrado conserva l’eredità del grande scienziato:<br />

qui si trovano anche alcuni misteriosi disegni e progetti di Tesla che rimangono senza spiegazione<br />

169


La prima centrale elettrica a produrre corrente<br />

alternata fu costruita alle cascate del Niagara seguendo<br />

i progetti di Tesla. Gli americani vi hanno costruito<br />

un museo e un monumento in onore di Nikola Tesla


La sfera d’oro o il nucleo dell’universo: Urna con le ceneri<br />

di Nikola Tesla conservata al Museo di Nikola Tesla a Belgrado<br />

di Tesla che avrebbe protetto la nostra gente” non<br />

erano basate su mere invenzioni dei giornali scandalistici.<br />

Nelle sue lettere Tesla aveva davvero più<br />

volte menzionato uno “scudo celeste” che avrebbe<br />

potuto essere alzato intorno al Paese.<br />

“Quattro scudi per la Serbia, tre per la Croazia e<br />

due per la Slovenia” scrisse “sarebbero sufficienti a<br />

proteggere per sempre il nostro paese dai nemici”.<br />

Nel maggio 1892 Tesla visitò Belgrado. Fu organizzato<br />

un sontuoso ricevimento per dargli il benvenuto,<br />

la gente lo acclamò e sganciò persino i cavalli della<br />

sua carrozza per tirarla a braccia. Il fior fiore dell’élite<br />

intellettuale serba si raccolse per inchinarsi davanti a<br />

lui e durante il banchetto tenuto in suo onore, il poeta<br />

Jovan Jovanović Zmaj recitò per la prima volta una poesia<br />

dedicata a Tesla:<br />

Bacia il tronco, il neonato,<br />

premi il seno, figlio coraggioso:<br />

Ogni ramo dell’albero serbo<br />

Mormora Tesla, abbraccia Tesla<br />

Dopo questi versi, Tesla baciò la mano di Zmaj. Quando<br />

tornò in America, pubblicò un saggio letterario su Zmaj,<br />

dimostrando di essere non solo un ammiratore, ma anche


un profondo conoscitore della poesia serba. Molte volte<br />

pubblicò articoli in cui ammoniva gli americani che avevano<br />

troppi pregiudizi negativi sui serbi. In una delle conversazioni<br />

con Ivan Meštrović, un artista jugoslavo suo caro<br />

amico, Tesla accennò al fatto che sarebbe tornato in Jugoslavia<br />

se gli fossero stati dati un buon laboratorio e buone<br />

condizioni lavorative. Meštrović ne fece menzione al re,<br />

ma ciò che Tesla desiderava non accadde mai.<br />

Qualcosa di simile successe nel 1892, lo stesso anno in<br />

cui visitò Belgrado. Tesla fu il primo scienziato nominato<br />

membro permanente dell’Accademia Reale di Scienze Serba.<br />

Non fu eletto.<br />

Alcuni anni più tardi, quando gli fu notificato che era<br />

accettato come membro di questo famoso istituto, Tesla<br />

neppure rispose al telegramma. Benché gli chiedessero di<br />

spedire il suo curriculum vitae per stamparlo nel loro annuario,<br />

l’annuario fu pubblicato senza questo testo.<br />

L’era dell’elettricità, che iniziò in America, attrasse l’attenzione<br />

di Tesla verso quel paese. Ammirava gli americani<br />

e i loro progressi tecnologici, dove tutto è “nel nome della<br />

libertà e dei diritti umani”. Comunque, dovrebbe essere risaputo<br />

che Tesla non lavorò mai per soldi. Non riuscì mai a<br />

capire l’ossessione americana per i beni materiali: lui,<br />

al contrario, investiva tutti i suoi guadagni nella ricerca.<br />

Conosceva a mente quasi tutti i poemi epici della Serbia<br />

e si oppose alla riforma linguistica di Vuk Karadžić, dicendo<br />

che Vuk introduceva “la lingua dei pastori” nella lingua<br />

letteraria. Disprezzava la tesi per la quale Vuk semplificava<br />

l’ortografia, argomentando che l’ortografia era sempre stata<br />

semplice. Parlava il serbo e l’inglese in modo eccellente,<br />

ed è risaputo che era orgoglioso della sua gente serba e<br />

della sua patria croata.<br />

Se il popolo serbo dovesse sentirsi eletto per qualche ragione,<br />

dovrebbe essere per il fatto che Nikola Tesla era nato<br />

serbo, figlio di un prete di Gospić e fu una delle più straordinarie,<br />

affascinanti e fertili menti della storia dell’umanità…<br />

Molti hanno scritto poesie, romanzi e opere teatrali ispirati<br />

alla sua personalità e al suo lavoro. Tuttavia, la poesia<br />

più cara a Tesla era quella di Zmaj che termina coi versi:<br />

Ogni foglia nuova capirà<br />

ogni ramo del suo albero,<br />

L’elettricità ci collegherà –<br />

L’elettricità dei nostri cuori –<br />

Senza fili e senza cavi.<br />

173


174<br />

La natura : La pesca, Stara Planina


Bellezza e velocità:<br />

Ragazza al cavallo, Šabac


All’abbeveratoio: La scuderia “Karađorđevo”


“Mehmed Pascià, il più saggio fra i grandi,<br />

tenne fede al giuramento che aveva racchiuso nel cuore<br />

e si dedicò anima e corpo alla costruzione di un ponte sulla Drina.<br />

Su queste rapide, profonde acque,<br />

i suoi antenati non erano riusciti a costruire alcunché.<br />

Possa questa sua costruzione, per grazia di Dio, essere forte.<br />

E possa egli vivere la vita felicemente”.<br />

(Iscrizione sul Ponte Višegrad,<br />

risalente all’anno 1571 del calendario cristiano)


Il male vince sempre,<br />

ma il bene non è mai sconfitto<br />

per sempre – questo è il succo<br />

dell’opera di Ivo Andrić,<br />

il solo scrittore serbo ad<br />

aver vinto il Premio Nobel<br />

Alla corte<br />

del diavolo


Andrić descrisse la Bosnia come una “terra oscura” con<br />

frasi che levigò come fossero diamanti, con la sorprendente<br />

serenità di un cantastorie (“Le profonde acque scorrono<br />

tranquille”) e l’ermetica ispirazione di un poeta. Questa<br />

era la terra dove era nato, e dove tre grandi religioni si erano<br />

incontrate: l’Islam, il cattolicesimo e la chiesa cristiana ortodossa<br />

(egli si dichiarava un “serbo cattolico”). Tenendo a<br />

mente cos’è accaduto in Bosnia negli ultimi decenni, si potrebbe<br />

trovare qualcosa di profetico nei libri ancora popolari<br />

di Andrić. Egli sentiva, conosceva e amava la Bosnia nonostante<br />

la sua intuizione di un male mistico e quasi predestinato<br />

nell’intimo del grande, eterno segreto della Bosnia.<br />

Durante gli anni Novanta, quando la guerra civile infuriava<br />

in Bosnia e nei Balcani, i serbi hanno avuto modo<br />

una volta di più di sperimentare sulla propria pelle la<br />

saggezza della sua affermazione: “In guerra i saggi<br />

diventano silenziosi, gli stupidi iniziano a parlare e<br />

i bastardi diventano ricchi”.<br />

L’opera di Andrić è ancor più vera oggi di quando<br />

ottenne il Premio Nobel.<br />

Non è sfuggito neanche lui al “male bosniaco”.<br />

“Il 1° luglio 1991, intorno alle 17, a seguito<br />

della pubblicazione sulla copertina<br />

della rivista musulmana “Vox”, di un’illustrazione<br />

di Ivo Andrić impalato su di<br />

un lapis appuntito proprio sul ponte a<br />

Višegrad, da lui immortalato col suo romanzo<br />

Il ponte sulla Drina, la statua di<br />

marmo dedicata al romanziere in piazza<br />

della Liberazione a Višegrad fu distrutta”, in<br />

conformità all’Atto n. 15/93 della Pubblica<br />

Accusa di Višegrad.<br />

Un gruppo di terroristi musulmani di<br />

Goražde cercò di far saltare il busto di Andrić<br />

e la sua tomba a Herceg Novi, e “due persone<br />

morirono nell’esplosione a causa dell’inettitudine<br />

nell’uso dell’esplosivo”, dice il rapporto<br />

della polizia montenegrina.<br />

Non ci si può proteggere dal male degli umani,<br />

né con la bellezza né con la saggezza. Neppure<br />

da morti.<br />

“Dopo essere stato confuso per tanto<br />

tempo per ciò che succedeva<br />

intorno a me, nella seconda<br />

parte della mia vita ho raggiunto<br />

una conclusione: non<br />

180<br />

“Nessuno è innocente qui. Non si arriva<br />

qui per caso. Innocenti non attraversano<br />

questa soglia. Tutti sono almeno un<br />

po’colpevoli. Forse soltanto nei sogni”<br />

serve a niente ed è sbagliato cercare un senso in eventi che<br />

accadono intorno a noi ne che sono privi o sono importanti<br />

solo in apparenza; piuttosto lo dovremmo cercare negli strati<br />

che i secoli hanno formato intorno ad alcune fondamentali<br />

leggende dell’umanità”. Questa frase, pubblicata già nel 1935,<br />

secondo i critici rivela il cuore della poetica di Ivo Andrić,<br />

l’unico serbo vincitore di un premio Nobel, la cui opera letteraria<br />

è considerata l’apice dell’arte serba del XX secolo.<br />

L’importanza che Andrić ha avuto per la cultura nazionale<br />

è forse descritta al meglio da uno strano aneddoto: sentendo<br />

la notizia che Andrić era morto, un bambino chiese:<br />

“Se Andrić è morto, chi è ora il romanziere?”.<br />

La frase di Andrić sull’irrilevanza dei fatti della<br />

vita apparentemente molto importanti, simili a<br />

orme incomprensibili sulla neve dell’effimero,<br />

ci svela il nucleo della narrativa matura, serena<br />

e saggia di Andrić (una freddezza che riscalda!),<br />

in cui gli eventi scorrono come un<br />

fiume, eventi pieni di speranze umane, che<br />

finiscono sempre nello stesso tragico modo, e<br />

sopra i quali aleggia perenne la domanda sul<br />

significato dell’esistenza umana. Tuttavia, tutte<br />

queste storie pessimistiche che si succedono<br />

una dopo l’altra, formando la catena ininterrotta<br />

del destino umano, non hanno come esito la disperazione.<br />

Sommando gli zeri, Andrić raggiunge l’infinito,<br />

e sembra trovare la chiave della bellezza eterna<br />

dell’esistenza umana nel perpetuo ritorno delle stesse<br />

cose (il concetto nietzscheano dell’eterno ritorno,<br />

ewige Wiederkunft). Guardando dall’alto, dalla prospettiva<br />

a cui uno scrittore si innalza per sorvolare<br />

il fiume dell’esistenza umana, tutto sembra agevole, effimero,<br />

spiegabile, evidente… ed ogni fine, già chiara in<br />

anticipo, è in realtà solo l’inizio.<br />

Il sipario non cala mai sul palcoscenico della vita<br />

umana nei romanzi di Andrić: niente inizia con<br />

la prima pagina del libro né finisce con<br />

l’ultima.<br />

Sembra che tutto ciò che quest’uomo<br />

silenzioso e amaro ha scritto, de-


scriva solo il sussurro della natura transitoria del destino<br />

umano. Nella sua opera maggiore, Il ponte sulla Drina,<br />

quattro secoli passano senza che nulla cambi, mentre i personaggi<br />

principali sembrano essere più personificazioni dello<br />

spazio e del tempo che esseri umani. Andrić scrisse: “… e<br />

sotto le nubi fitte tutto sembrava immutabile e immortale, il<br />

grano immaturo sembrava il grano dell’anno prima, mentre<br />

i defunti sembravano i neonati… Perché: il vento è sempre<br />

stato solo vento, e la sabbia è sempre stata solo sabbia. E il<br />

vento ha sempre e incessantemente scompigliato e solcato<br />

la sabbia, e tuttavia il vento non riesce a disperdere la sabbia,<br />

né la sabbia a stancare il vento”.<br />

Ivo Andrić nacque in Bosnia, poi si trasferì a Zagabria,<br />

quindi a Vienna e a Cracovia per studiare letteratura slava<br />

e storia. Nel 1914 fu accusato di tradimento dal regime<br />

austroungarico, fu arrestato e passò un anno in prigione e<br />

altri due in esilio… Descrisse la sua esperienza di prigionia<br />

nel libro di poesie Ex ponto, e molti anni dopo, quando era<br />

ormai uno scrittore affermato, nel romanzo La corte del diavolo.<br />

Il romanzo racconta la storia di un uomo che, senza<br />

motivo, diventa la vittima di uno stato basato sulla violenza.<br />

Il direttore della prigione descritto nel romanzo è Latif-bey,<br />

che filosofeggia sulla colpevolezza umana, che è eterna e<br />

incomprensibile, e perciò non esistono gli innocenti, tutti<br />

sono colpevoli (“Non ci sono innocenti in questa corte.<br />

Nessuno è arrivato qui per sbaglio. Se passa dalla porta di<br />

La paura<br />

o visto che, di questi tempi, la principale e spesso uni-<br />

spinta che sottende ogni azione umana è la paura<br />

“Hca<br />

– allarmante, senza senso, spesso immotivata, ma vera e<br />

profonda paura. Forse all’inizio c’erano altri motivi, ma oggigiorno<br />

la paura è quello principale. La paura rende la gente<br />

malvagia e meschina, o la rende generosa, perfino buona […]<br />

L’audace e meravigliosa anima dell’uomo giace morta come<br />

una pietra sul fondo del mare mentre il suo corpo è preda di<br />

una paura bestiale e di un incomprensibile panico”.<br />

(da Ex Ponto)<br />

ui è così da molto tempo: chi è coraggioso e orgoglioso<br />

perde il pane, la libertà, la proprietà e, rapi-<br />

“Q<br />

damente e facilmente, la vita; ma chi piega la testa e cede<br />

alla paura perde così tanto di sé, è così consumato dalla<br />

paura che la sua vita diventa indegna”<br />

(da Travnička hronika - Cronache di Travnik)<br />

“Il vento è sempre stato solo vento,<br />

la sabbia soltanto sabbia. Il vento ha<br />

sempre, incessantemente, scompigliato<br />

e solcato la sabbia, e tuttavia il vento<br />

non riesce a disperdere la sabbia<br />

né la sabbia a stancare il vento”<br />

questo cortile, allora non è innocente. Ha commesso un crimine,<br />

fosse anche solo nei suoi sogni”). Ma è il meticoloso,<br />

quasi pedante e soprattutto eccezionale realismo che fa di<br />

Andrić un Kafka più grande dello stesso Kafka (il quale dichiarò<br />

che stava cercando l’autentica colpevolezza, la radice<br />

di tutti i mali). La quantità di dettagli che Andrić fornisce<br />

rendono la storia sul mondo della prigione, e la prigione del<br />

mondo, così dinamica e brutalmente possibile fino ad arrivare<br />

alla crudeltà. Nonostante ciò, la storia stessa è uguale<br />

al resto della prosa di Andrić: scorre lentamente verso la<br />

conclusione e questa lentezza preannuncia che comunque<br />

non c’è fine, perciò non c’è bisogno di affrettarsi.<br />

Nel 1920, dopo la prima guerra mondiale, Andrić pubblicò<br />

un eccezionale racconto breve, Il viaggio di Alija<br />

Đerzelez, intuendo che il suo percorso letterario si sarebbe<br />

tuffato nella storia. Usò la storia per cercare le fonti dei<br />

miti e delle leggende, trovando in entrambi l’eterno enigma<br />

e l’eterna risposta alle domande sull’essenza dell’esistenza<br />

umana. Parlando della sua storia, Andrić affermò: “Non<br />

sono cambiato da quando [ho scritto] Alija Đerzelez”.<br />

Entrò nel corpo diplomatico ed ebbe successo nella carriera.<br />

I suoi rapporti diplomatici ne rivelano le lucide capacità<br />

analitiche e persino previsioni sugli sviluppi storici. Lavorò<br />

a Roma, Bucarest, Graz, Marsiglia, Madrid e Ginevra. Concluse<br />

la carriera diplomatica quando fu nominato ministro<br />

plenipotenziario a Berlino, dove si trovava quando è scoppiata<br />

la guerra. Durante la seconda guerra mondiale visse a<br />

Belgrado, appartato, ritirato dal pubblico in un isolamento<br />

volontario nella sua casa. Ma la sua silenziosa resistenza fu<br />

evidente quando, in quanto scrittore serbo, rifiutò l’offerta<br />

di pubblicare i suoi libri fino a che fosse durata l’occupazione<br />

tedesca. Mentre la guerra infuriava in tutta Europa,<br />

Andrić scrisse i suoi libri più importanti: i romanzi Il ponte<br />

sulla Drina, Cronaca di Travnik e La signorina. Tutti e tre i<br />

romanzi furono pubblicati nel 1945. Dieci anni dopo, il suo<br />

capolavoro, La corte del diavolo, fu presentato al pubblico.<br />

Nel 1961 Ivo Andrić fu insignito del Premio Nobel per<br />

la Letteratura.<br />

181


“Caro Marco, tu sai che non si possono<br />

raddrizzare le gambe ai cani,<br />

ma non dobbiamo mai rinunciare a provarlo..<br />

Tuo, Ivo Andrić”


Tra acqua e cielo: Una casa vicino a Drina


Sremski Karlovci: una volta “la capitale<br />

del Nord” e la sede di “Serbi di Pannonia”


L’incontro fra Bisanzio e<br />

il Barocco: come Novi Sad<br />

divenne l’Atene Serba<br />

A guardia della<br />

fede dei padri<br />

Paja Jovanović: “La migrazione dei Serbi ”, seconda versione, dipinto ad olio<br />

187


Per un uomo contemporaneo, all’inizio del XXI secolo, è<br />

quasi impossibile capire i dubbi e i tormenti che il Patriarca<br />

serbo Arsenije Čarnojević provò quando, alla fine del<br />

XVII secolo, iniziò la prima e decisiva migrazione del popolo<br />

serbo dalla zona a nord dei fiumi Sava e Danubio verso i<br />

turbolenti confini meridionali della monarchia asburgica. Gli<br />

assedi ottomani di Vienna del XVI e XVII secolo, il rogo delle<br />

spoglie di San Sava a Vračar nel 1595, una grande pestilenza<br />

e una rappresaglia persino peggiore, condotta dalle truppe<br />

ottomane alla fine del XVII secolo per scoraggiare i rapporti<br />

stretti che intercorrevano fra i Serbi e l’Austria, furono i colpi<br />

più duri che la gente dei Balcani avesse mai subito, e tutto<br />

ciò avvenne in meno di un secolo. I Serbi, impoveriti e stremati<br />

dalle guerre, senza alcun aiuto concreto da parte altrui,<br />

potevano scegliere fra aspettare (e sperare di ricevere un potenziale<br />

aiuto dalla Russia imperiale) o emigrare (verso l’impero<br />

asburgico). Una parte di loro, non potendo più aspettare,<br />

decise di fare il grande passo della Migrazione, di cui ancora<br />

oggi si percepiscono le conseguenze.<br />

Giunti in un territorio sconosciuto e non molto ospitale, i<br />

Serbi di Čarnojević non dimenticarono mai i luminosi principi<br />

che avevano ispirato le donazioni dei mecenati serbi verso i<br />

monasteri medievali. Benché dispersi, ed alcuni separati dagli<br />

altri per la cattiva sorte, tutti iniziarono, quasi dal primo giorno,<br />

a costruire chiese, ristrutturare vecchi monasteri, commissionare<br />

icone e iconostasi, oggetti liturgici e religiosi.<br />

Fino alla metà del XVIII secolo, una serie di eventi storici<br />

influenzò il destino dei Serbi sotto la monarchia asburgica.<br />

L’instaurazione della carica di metropolita a Karlovac, l’organizzazione<br />

di concili religiosi nazionali, l’arrivo di insegnanti<br />

russi e la fondazione di scuole serbe e di istituti di educazione<br />

teologica ebbero un ruolo cruciale per il mantenimento della<br />

cultura serba nell’impero asburgico. D’altra parte, eventi che<br />

i Serbi non erano abbastanza forti da controllare complicarono<br />

e bloccarono i loro progressi nel campo della cultura.<br />

La partecipazione dei Serbi sui fronti di guerra occidentali,<br />

la formazione della Frontiera Militare, le guerre austro-ottomane<br />

e le loro conseguenze sulla regione, poi il trattato di<br />

Požarevac (1718), la seconda migrazione guidata da Arsenije<br />

Forse l’icona più antica di Vojvodina è quella nella chiesa<br />

del monastero di Krušedol che rappresenta l’Annunciazione<br />

e che non è né datata né firmata, ma la cui datazione<br />

non sembra comunque posteriore al XVI secolo. La composizione<br />

consiste di due figure in piedi dipinte su uno sfondo<br />

dorato con architetture in secondo piano. <br />

188<br />

IV Jovanović Šakabenta (1737), la Pace di Belgrado (1739),<br />

l’incoronazione di Maria Teresa imperatrice d’Austria (1740),<br />

la creazione della Deputazione della Corte Illirica (1745) ed<br />

altri eventi non lasciarono molto spazio alla fioritura della<br />

cultura e delle arti. Ma, per la maggioranza dei Serbi, la lotta<br />

per proteggere e consolidare il patrimonio culturale nazionale<br />

nel nuovo ambiente aveva quasi la stessa importanza<br />

della lotta fondamentale per la sopravvivenza biologica. La<br />

religione, la lingua e l’alfabeto cirillico erano le ultime cose<br />

cui avrebbero rinunciato.<br />

Durante la fuga e la migrazione, ogni serbo portava con sé<br />

un’icona come l’oggetto sacro più prezioso. Pregava davanti<br />

ad essa, credeva in essa e la portava con sé sempre e ovunque<br />

andasse. Perciò inizialmente l’introduzione di nuovi elementi<br />

in questo tipo di arte fu sporadica e limitata ai soli elementi<br />

decorativi. Nei primi decenni dopo la migrazione, gli zograph<br />

(pittori di icone) presero a dipingere scene evangeliche e santi<br />

in modo semplice e vagamente naïf: queste icone hanno un disegno<br />

marcato, linguaggio pittorico schietto e una gamma cromatica<br />

di sorprendente ampiezza, al pari della scelta dei soggetti.<br />

Così l’icona fu liberata dalle “catene” dell’arte canonica<br />

bizantina e dall’inclinazione alla magnificenza e al patetico.<br />

Le prime vere influenze dell’Europa occidentale nell’arte<br />

serba della prima metà del XVIII secolo si vedono negli affreschi<br />

del monastero di Bođani nella regione di Bačka (1737).<br />

Gli affreschi in questo monastero non sono di un qualsiasi pittore<br />

“straniero”, anzi l’opposto: essi sono opera di Hristifor<br />

Žefarović, un monaco di talento che veniva dalla Macedonia e<br />

aveva perfezionato il suo stile nelle scuole di pittura di icone<br />

sul monte Athos. Tuttavia, pur rimanendo fedele all’eredità<br />

postbizantina, ogni tanto aggiungeva dettagli che testimoniano<br />

le influenze barocche contemporanee (per esempio le scene<br />

dal Libro della Genesi dipinte nell’intradosso degli archi).<br />

In generale, gli affreschi di Bođani differiscono talmente dagli<br />

affreschi di qualsiasi altro monastero serbo, che esso viene<br />

giustamente considerato il “luogo dove’è nata l’arte serba<br />

dell’era moderna”.<br />

Il nome di Žefarović non è collegato solo alla nascita di<br />

un nuovo stile pittorico serbo, ma anche all’apparizione del<br />

libro serbo più popolare del XVIII secolo, la Stematografija,<br />

con acqueforti raffiguranti santi e sovrani slavi del Sud, fra i<br />

quali spiccano i santi serbi della dinastia Nemanjić. Una parte<br />

speciale della Stematografija è rappresentata dalle insegne<br />

araldiche degli stati slavi del Sud, fra cui Serbia, Raška, Illiria,<br />

Boemia, Bulgaria, Croazia, Dalmazia, Dacia, Epiro, Dardania,<br />

Ragusa (Dubrovnik), Triballia, Turchia, Pannonia… in totale,<br />

cinquantacinque stemmi.


Volo sopra la pianura: Paragliding dalla collina di Vršac


Il Monastero di Kuveždin, litografia del 1837.<br />

Distrutto nella Seconda guerra mondiale e non restaurato finora<br />

dal consiglio della chiesa, catechesi ecc. Da Sremski Karlovci<br />

si recò a Timisoara presso il vescovo Vidak, e poi a Venezia<br />

dove lavorò come correttore per la tipografia di Teodosije, e<br />

infine si iscrisse all’accademia d’incisione di Venezia, dove<br />

trascorse diversi anni. Come Žefarović, che per la sua Stematografija<br />

ebbe la necessità di collaborare con Toma Mesmer,<br />

incisore e tipografo viennese più esperto, così Zaharije Orfelin<br />

per la sua opera più famosa, La calligrafia slava, serba e<br />

della Valacchia (Slovenoserbska i Valahiska Kaligrafija), lavorò<br />

con l’incisore viennese Jacob Schmutzer. Il merito per<br />

lo sviluppo delle arti grafiche serbe del XVIII secolo va agli<br />

incisori viennesi con cui gli artisti serbi collaborarono.<br />

Attraverso una serie di stampe con raffigurazioni dei monasteri<br />

di Fruška Gora e del monte Athos, di feste liturgiche<br />

o sovrani serbi medievali, l’arte grafica serba raggiunse il suo<br />

Contrariamente alla pittura di affreschi e icone, che godeva<br />

apice nel XVIII secolo, e fu la migliore interprete dei concetti<br />

di una lunga tradizione, la grafica preparava il proprio artistici barocchi in essa insiti.<br />

spazio nell’arte serba dell’era moderna basandosi sull’esperienza<br />

Il percorso dai pittori anonimi di icone ai colti pittori ba-<br />

acquisita durante i due secoli precedenti nella stampa rocchi non poteva essere coperto con un salto improvviso, an-<br />

e nell’illustrazione di libri. Comunque, un improvviso avvicendamento<br />

che perché le differenze erano più che evidenti. Un’intera ge-<br />

nel campo dell’arte grafica avvenne alla metà nerazione di artisti, detti “Maestri del periodo di transizione”,<br />

del XVIII secolo con la comparsa del miglior incisore serbo assunsero il ruolo di “unificatori” dei due stili. La prima cosa<br />

del tempo, Zaharije Orfelin. I suoi esordi sono indubbiamente<br />

che distingueva questi artisti più giovani rispetto ai vecchi tra-<br />

legati all’educazione ricevuta presso un pittore locale di dizionalisti era la paternità delle opere. Grazie alle loro firme<br />

icone (zograph), ma anche alla permanenza, dal 1750, a Budim<br />

e iscrizioni, che si sono conservate, oggi conosciamo Dimitrije<br />

e Vienna dove lavorò per migliorare il disegno e<br />

Bačević, pittore di Karlovac, Stefan Tenecki, di Arad,<br />

le tecniche d’incisione su rame. In meno di dieci<br />

Vasa Ostojić e Janko Halkozović, artisti residenti a<br />

anni, Zaharije Orfelin fece tali miglioramenti che<br />

Novi Sad (che nel 1748 divenne Città reale<br />

il Metropolita di Karlovac, Pavle<br />

libera), Dimitrije Popović,<br />

Nenadović, lo nominò<br />

pittore di Veliki Bečkerek<br />

suo cancelliere personale.<br />

(Zrenjanin) e molti altri che<br />

Questo aprì<br />

firmavano le opere, come<br />

le porte al nuovo<br />

gli artisti citati, non come<br />

studio d’incisione<br />

pittori di icone (zogra-<br />

nella città di<br />

ph) ma come “maler”<br />

Sremski Karlovci<br />

(“pittore” in tedesco).<br />

e, al contempo, il<br />

La seconda innovazione<br />

lavoro di Zaharije<br />

molto importan-<br />

Orfelin prosperò:<br />

te portata dai pittori di<br />

produsse non solo<br />

questo periodo di transizione<br />

incisioni di feste religiose<br />

riguardò una più<br />

e monasteri,<br />

ampia varietà iconografica.<br />

ma anche stampi<br />

Le iconostasi nelle<br />

per testi ufficiali,<br />

chiese serbe diven-<br />

proclami,<br />

nero più alte, inclu-<br />

diplomi e decreti episcopali,<br />

dendo varie zone dove le<br />

ordini emanati Teodor Kračun: “Sacrificio di Isacco”, 1775-1780, Museo Nazionale di Belgrado icone dell’Ordine<br />

Supre-<br />

190


a fondazione dei monasteri della Vojvodina è da attribuirsi<br />

principalmente ai monaci che fuggirono dai<br />

“L<br />

Balcani. A supporto di tale tesi vi sono diversi fatti indiscutibili:<br />

fra il 1545 e il 1550 i monaci che fuggirono dal monastero<br />

di Žiča costruirono Šišatovac e di lì a poco anche<br />

Petkovica; nel 1584 i monaci del monastero di Dragović in<br />

Dalmazia fondarono il monastero di Grabovac; nel 1697<br />

monaci provenienti dal monastero di Rača ristrutturarono<br />

Beočin. I primi edifici religiosi erano generalmente piccoli e<br />

fatiscenti, spesso con coperture di paglia e assi. Dopo molto<br />

tempo furono costruite le attuali chiese e canoniche che<br />

appartengono per lo più al XVIII secolo”. <br />

Milan Kašanin<br />

mo (collocate a destra e a sinistra della Porta Reale) e, sopra<br />

di esse, il fregio di icone con le feste liturgiche, erano parte di<br />

uno schema tipico. Nella parte superiore, intorno al Crocifisso,<br />

venivano collocate tavole di legno intagliate, di solito illustrate<br />

con scene della Passione di Cristo (che nell’iconografia<br />

europea occidentale fanno parte della Via Crucis). Innovazioni<br />

particolari furono anche soggetti nuovi come l’incoronazione<br />

della Madre di Dio, dove Dio Padre e Gesù Cristo siedono<br />

su nuvole e, in presenza dello Spirito Santo, incoronano<br />

la Vergine Maria, una scena religiosa che era del tutto sconosciuta<br />

nell’iconografia serba dei periodi precedenti. Anche la<br />

scena dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria (Immaculata<br />

conceptio) è nuova nell’arte barocca, come pure la<br />

raffigurazione di piccole teste di angeli con le ali. Tutto ciò fu<br />

accompagnato da un nuovo approccio nel dipingere costumi,<br />

abiti, troni degli arcivescovi, dove l’abbondante decorazione<br />

barocca fu assorbita con tutto il suo autentico splendore.<br />

D’altra parte, in questo periodo di transizione, il rapporto<br />

indissolubile con l’essenza dell’icona ortodossa è visibile in<br />

massimo grado nel modo d’interpretare il concetto religioso<br />

della “luce”, che nell’icona era reso con il fondo dorato. L’oro<br />

veniva impiegato per la decorazione dei particolari minuti dei<br />

drappeggi e per dipingere i volti umani. La base dorata, che<br />

aveva un uso e un’importanza fondamentali nella pittura delle<br />

icone della metà del XVIII secolo, fu gradualmente sostituita<br />

da tocchi d’oro discreti nei dettagli, mentre alla fine del<br />

secolo fu limitata alle iscrizioni in antico slavo o in cirillico<br />

slavo russo all’interno delle raffigurazioni di santi e di scene<br />

del Vecchio e Nuovo Testamento.<br />

Non dobbiamo dimenticare inoltre che le supreme autorità<br />

ecclesiastiche furono i maggiori e i più potenti mecenati<br />

delle arti fra i Serbi durante il regno asburgico. Accanto ad<br />

essi, già dal settimo, e più intensamente dall’ottavo e specialmente<br />

dal nono decennio del XVIII secolo in poi, appariranno<br />

sempre più spesso, fra i donatori e restauratori di chiese e<br />

monasteri, rappresentanti dei borghesi serbi che erano principalmente<br />

mercanti e artigiani. È sufficiente anche dare solo<br />

uno sguardo alla carta topografica delle chiese e dei monasteri,<br />

che all’epoca andavano da Zemun a Pančevo, Arad, Budim,<br />

Timisoara e alla Slavonia occidentale, per rendersi conto della<br />

densità di chiese serbe rinnovate o costruite ex novo.<br />

Le influenze più forti dell’arte barocca in Serbia si manifestarono<br />

soprattutto dove tutti le potevano vedere: nell’architettura<br />

a carattere monumentale. Le opere costruite per soddisfare<br />

i bisogni dei Serbi all’interno dell’impero austroungarico<br />

abbracciarono lo stile barocco a partire dalla metà del XVIII<br />

secolo. Da quel momento, tutte le chiese ortodosse costruite<br />

all’interno del regno asburgico dovevano avere l’aspetto delle<br />

chiese cattoliche, il che significa che dovevano essere ad una<br />

sola navata con uno o due campanili sul lato occidentale della<br />

facciata e avere fronti che seguissero i canoni dell’architettura<br />

barocca. All’interno della chiesa, però, era permessa la<br />

191


192<br />

Konstantin Danil, Flora: Danil fu la figura di spicco dell’arte serba del XIX secolo


Konstantin Danil Đorđe Krstić Uroš Predić<br />

combinazione fra le antiche tradizioni della pittura di icone e<br />

la nuova sistemazione dello spazio, ed una ancor maggiore libertà<br />

era concessa ad un’altra arte decorativa, e precisamente<br />

all’intaglio in legno.<br />

Il miglior esempio dell’unione fra il vecchio e il nuovo<br />

potrebbe essere il famoso monastero di Krušedol sul monte<br />

Fruška. Costruito nel bel paesaggio della fertile regione collinare<br />

di Srem, un tempo famosa per la squisitezza della frutta,<br />

specialmente delle pere (da cui deriva il nome Krušedol,<br />

infatti pera in serbo si dice kruška), questo monastero fu il<br />

centro della vita spirituale e la guida della coscienza nazionale<br />

dei Serbi nel periodo subito dopo la Migrazione. Anche<br />

se il monastero fu costruito all’inizio del XVI secolo, subì<br />

rilevanti rifacimenti nell’architettura e nella decorazione<br />

pittorica alla metà del XVIII secolo. Il pittore ucraino<br />

Jov Vasilievich (pittore di corte del Patriarca Arsenije IV<br />

Šakabenta) dipinse nuove icone nell’ordine supremo e usò<br />

la pittura a olio, una novità per l’epoca, inoltre iniziò a dipingere<br />

sopra i vecchi affreschi, dei quali oggi possiamo vedere<br />

solo frammenti parziali. Ulteriori lavori di decorazione<br />

della chiesa furono eseguiti dal pittore di Arad Stefan Tenecki,<br />

che dipinse le principali icone del monastero.Il vecchio<br />

modo tradizionale di affrescare dividendo la parete in zone<br />

fu adottato anche qui, ma a Krušedol gli affreschi mostrano<br />

chiaramente l’inclinazione degli artisti a rendere le opere<br />

più personali, nella rappresentazione realistica dell’uomo<br />

e della natura. Il Realismo portò anche uno dei pittori ad<br />

andare oltre a ciò che era comune, e così, sotto due finestre<br />

del coro della chiesa, furono dipinti i primi due paesaggi<br />

realistici nella storia della pittura murale serba.<br />

Mutamenti cruciali nella pittura e nell’arte serba in genere<br />

avvennero a metà del XVIII secolo. Alla fine di quel secolo,<br />

con il forte avanzamento delle idee illuminate del “giuseppismo”<br />

(così chiamato dal nome dell’imperatore austriaco Giuseppe<br />

II), gli esponenti serbi più importanti dell’arte barocca<br />

si erano già distinti. Tra i primi ci fu il pittore Teodor Kračun,<br />

un vero figlio del Barocco per la vita che conduceva e per il<br />

suo stile artistico.<br />

Effettivamente Kračun fu un autentico prodigio per i<br />

suoi tempi. In nessun altro pittore serbo del tempo vi fu un<br />

dualismo stilistico ed espressivo come nel suo caso. Kračun<br />

aveva difficoltà, come molti pittori serbi del XVIII secolo, ad<br />

acquisire commissioni relative a progetti su larga scala, come<br />

dipingere iconostasi o “pitturare il tempio”. Ogni tanto, un<br />

prete chiedeva ad un “maler”, come Kračun per esempio, di<br />

decorare una chiesa locale (per esempio nei villaggi di Neštin<br />

e Susek), e questo non perché riconoscesse o capisse il suo<br />

talento e la sua potenzialità artistica, ma piuttosto poiché non<br />

voleva restare indietro rispetto ad altre città delle regioni di<br />

Bačka e del Banato. Immaginiamo che anche Kračun abbia<br />

avuto molti problemi dovendo spesso soffocare il suo talento<br />

e la sua ispirazione davanti alle idee limitate delle autorità<br />

delle chiese di paese che vedevano i pittori come “pseudoartisti”<br />

o, nel migliore dei casi, come artigiani esperti, mentre<br />

alcuni si preoccupavano più dei soldi da pagare al “maler” che<br />

di chi o come fosse. Sfortunatamente, Kračun non terminò<br />

193


la sua impresa più grande e di valore, dipingere l’iconostasi della<br />

grande cattedrale a Sremski Karlovci. Secondo una leggenda<br />

che i vecchi abitanti di Karlovci ancora raccontano, morì all’improvviso<br />

nel 1781, cadendo da una scala mentre stava lavorando<br />

dentro la chiesa. Le opere certamente attribuite a lui rappresentano<br />

l’apice della pittura serba tra barocco e rococò. Figure<br />

raffinate, tonalità armoniose, struttura limpida, toni leggeri<br />

rosati e rossicci, disegno semplice e sinuoso sono solo alcune<br />

delle caratteristiche dello stile di Kračun, che per<br />

tutto il XVIII secolo rimase l’espressione artistica più<br />

individuata di un singolo artista.<br />

Al contrario di Kračun, che non era privo di<br />

dubbi nello scegliere fra l’aspro Barocco decorativo<br />

slavo e il Barocco e il Rococò dell’Europa<br />

occidentale, altri pittori serbi attivi durante gli<br />

ultimi due decenni del XVIII secolo si avvicinarono<br />

alle influenze dell’Europa occidentale e alle<br />

correnti culturali contemporanee del classicismo<br />

popolare in modo più netto.<br />

Anche se non si potevano evitare ripetizioni e<br />

l’uso di caratteristiche iconografiche e stilistiche<br />

già affermate a causa del sovraccarico di lavoro e<br />

delle scadenze a breve termine a cui erano sottoposti<br />

i pittori, i valori del classicismo, come anche gli<br />

alti principi del mondo antico, si riverberavano in<br />

modo più evidente nei ritratti. Fu l’arte della ritrattistica<br />

che portò la pittura serba nel cuore<br />

del classicismo europeo. Uno degli artisti di<br />

successo che dipinse ritratti e anche icone<br />

e iconostasi fu Teodor Ilić Češljar.<br />

Due esempi straordinari delle<br />

capacità di Češljar come pittore<br />

sono il ritratto dell’arcivescovo di<br />

Vršac, Josif Jovanović Šakabenta,<br />

e la composizione del Martirio<br />

di Santa Barbara commissionata<br />

dall’arcivescovo di Pakrac, Pavle<br />

Avakumović. Al suo tempo,<br />

Mala Remeta, il monastero del XIII<br />

secolo, la nuova chiesa del 1739.


Katarina Ivanović: “Autoritratto”<br />

195


196<br />

Fortezza di Bač: il luogo della città medievale. Dal suo nome deriva il nome della Bačka


Il monastero di Grgeteg, secondo la leggenda il<br />

monastero era il dono di Vuk Grgurević (Zmaj Ognjeni Vuk)


Novi Sad, la piazza centrale


e cronache ungheresi dei tempi degli Arpadi riferisconono della presenza in Ungheria di monasteri “greci” ortodossi su<br />

“L entrambe le sponde del Danubio. Alla metà del XII secolo, l’Ungheria era, per così dire, governata dai Serbi: Jelena, figlia<br />

del Gran Župan Uroš (sovrano dell’intero paese) nonché regina e moglie di Bela II il Cieco e sorella di Beluš che fu ban (duca) di<br />

Croazia e conte palatino d’Ungheria. È un fatto storico che Beluš abbia fondato un monastero benedettino a Banoštira sul Danubio.<br />

Inoltre, una leggenda racconta come la regina Jelena avesse già fondato la chiesa serba ortodossa di Srpski Kovin, sull’<br />

isola di Čepelj vicino a Budapest, come monastero serbo ortodosso”. <br />

Milan Kašanin<br />

Češljar era considerato un eccellente pittore di ritratti. La serie<br />

di ritratti dei contemporanei di Češljar, non cospicua ma<br />

eseguita con stile e in modo impeccabile, è un contributo prezioso<br />

allo studio della ritrattistica della fine del XVIII secolo.<br />

Per la ritrattistica, Jakov Orfelin, nipote dell’allora famoso<br />

Zaharije Orfelin, non era certamente da meno. Come “residente<br />

di Karlovac” dedicò gran parte della sua creatività alla<br />

ritrattistica, ma divenne molto più famoso dipingendo figure<br />

sacre lievemente idealizzate, specialmente Cristo e la Madre<br />

di Dio. Le sue qualità artistiche e pittoriche non si sarebbero<br />

manifestate a tal punto se non avesse studiato proficuamente<br />

all’Accademia d’Arte di Vienna dal 1766 al 1770. Per quanto<br />

abbia dipinto iconostasi in centri<br />

minori delle regioni di Srem e<br />

Monastero<br />

del Banato, come nel monastero di Fenek<br />

di Bezdin (vicino ad Arad, in Romania),<br />

in realtà Orfelin diede il<br />

meglio di sé in pittura nel completamento<br />

dell’iconostasi della<br />

cattedrale a Sremski Karlovci (lavorando<br />

all’inizio con Kračun e<br />

poi continuando da solo).<br />

Durante il XVIII secolo, i centri<br />

artistici e culturali più vivaci<br />

erano, oltre a Budim all’estremo<br />

nord, Veliki Bečkerek (Zrenjanin),<br />

Novi Sad, Zemun, Pančevo,<br />

Modoš (oggi chiamata Jaša<br />

Tomić), Subotica e Sombor nel<br />

Nord, e Arad e Timisoara nel nordest<br />

del Banato. L’ultima ondata<br />

migratoria del XVIII secolo terminò<br />

con la caduta della frontiera<br />

di Koča in Serbia nel 1788. A<br />

quell’epoca, i Serbi che fuggivano<br />

nell’impero austroungarico si<br />

trovavano a sperimentare i principi<br />

dell’assolutismo illuminato<br />

200<br />

dell’imperatore Giuseppe II che, in confronto al crudele dispotismo<br />

ottomano, sembrava la più liberale delle democrazie:<br />

la schiavitù abolita, la dogana protettiva all’interno del paese<br />

soppressa, l’amministrazione centralizzata introdotta al posto<br />

di un governo basato sui ceti ed emanato il famoso “Editto di<br />

tolleranza (religiosa)”. I giovani cittadini accettarono le nuove<br />

idee con entusiasmo. I giovani borghesi furono mandati a<br />

studiare nelle università all’estero. Quei giovani intellettuali<br />

serbi erano ispirati da idee e valori che si richiamavano alle<br />

tradizioni delle antiche civiltà: il classicismo come stile artistico<br />

si diffuse ovunque, raggiungendo le zone più distanti e<br />

periferiche della sfera culturale europea occidentale, cui appartenevano<br />

anche i Balcani.<br />

Se c’è un secolo che può essere<br />

considerato “l’epoca d’oro”<br />

o il secolo della rinascita dei<br />

Serbi, quello è il XIX secolo. Per<br />

il lungimirante Njegoš questo<br />

era già chiaro anche prima di<br />

raggiungere la metà del secolo,<br />

quando affermò: “Che questo<br />

secolo sia il più orgoglioso di<br />

tutti i secoli” (Ghirlanda della<br />

montagna). Tutto ciò che i Serbi<br />

aspettavano da più di tre secoli<br />

e mezzo avvenne nel 1804.<br />

Karađorđe con la prima insurrezione<br />

serba ridestò il patriottismo<br />

e la devozione nei Serbi<br />

che vivevano al di là della Sava<br />

e del Danubio. Tutto avvenne<br />

proprio nel momento in cui il<br />

pensiero e lo spirito serbo, coltivati<br />

durante il XVIII secolo<br />

fra i Serbi in Vojvodina, dovevano<br />

essere impiegati al servizio<br />

della rinascita della Serbia.<br />

Il sentimento eroico, epico e


Đura Jakšić, Ragazza in blu<br />

201


202<br />

Đorđe Krstić: iconostasi nella chiesa di Čurug, 1894


Uroš Predić: “Gli allegri fratelli”<br />

perfino mitico, come forma di espressione artistica o come reazione<br />

all’evento storico lungamente atteso della liberazione<br />

della Serbia dagli Ottomani, era assolutamente consono agli<br />

elevati principi dello spirito del classicismo.<br />

Le battaglie decisive fra i Serbi e gli Ottomani durante<br />

la prima insurrezione serba e la glorificazione della dinastia<br />

Nemanjić non furono comunque rappresentate nelle arti<br />

all’inizio del XIX secolo. Dovettero aspettare quasi un secolo,<br />

vale a dire fino all’apparizione dei grandi maestri del Realismo<br />

accademico come Uroš Predić e Paja Jovanović. La ragione di<br />

ciò fu il semplice fatto che la società serba in Vojvodina iniziò<br />

il XIX secolo senza l’autorità di una potente aristocrazia di<br />

corte ed ecclesiastica, che era stata la principale committente<br />

della cultura e delle arti nei secoli precedenti. I soggetti storici<br />

o mitologici, ispirati dall’etica e dall’estetica del mondo<br />

antico, furono sostituiti nella pittura serba dei primi decenni<br />

di questo secolo da una sorta di stile Biedermeier danubiano<br />

proveniente da Vienna, sentimentale, talvolta anche dolce,<br />

mai epico o rivoluzionario.<br />

Le idee dell’assolutismo illuminato e dello spirito razionalista<br />

furono espresse al meglio da Dositej Obradović e dalle<br />

sue opere. Il modo di scrivere di Dositej lo si rileva chiaramente<br />

nei suoi scritti più famosi, La vita e le avventure e Fiabe,<br />

e sappiamo bene che aspetto fisico avesse grazie al suo<br />

amico: il pittore classicista serbo più espressivo, Arsenije Arsa<br />

Teodorović.<br />

Nato a Pančevo, Teodorović trascorse gran parte della vita<br />

a Timisoara, ma visto dalla prospettiva di quell’epoca, potrebbe<br />

lo stesso essere considerato “un cittadino di Novi Sad”. I<br />

suoi contemporanei lo ricordano come un piacevole e cortese<br />

gentiluomo che viveva agiatamente di pittura. Viaggiava di<br />

frequente, e una volta, a Vienna, visitò Dositej e gli fece il ritratto.<br />

Non sappiamo oggi dove sia il ritratto originale, e nemmeno<br />

se si sia conservato, ma tenendo conto dei molti ritratti<br />

di Dositej, eseguiti non solo da Arsa Teodorović, ma anche da<br />

molti altri pittori serbi del XIX secolo, si può ipotizzare che<br />

questo ritratto era, ed è, il ritratto classicista più espressivo<br />

della pittura serba. Senza dubbio Arsa Teodorović era un pit-<br />

203


Sava Teklija,<br />

fondatore di<br />

“Tekelijanum”<br />

(1838) e<br />

presidente della<br />

Matica srpska<br />

(1838-1842)<br />

204<br />

tore di stampo classicista par excellence: disegno sereno, forme<br />

scolpite, luce neutra di studio e composizione equilibrata<br />

sono le caratteristiche principali dei ritratti da lui firmati.<br />

Ai suoi tempi, Teodorović era più di un semplice artista<br />

fecondo, cioè “un pittore di icone”. Al momento conosciamo<br />

quasi venti iconostasi da lui dipinte e un numero ancora maggiore<br />

di icone singole eseguite per chiese, sia cattoliche che<br />

ortodosse, in Vojvodina. Anche i ritratti che Teodorović fece<br />

ai suoi contemporanei sono numerosi. Allora nasce una domanda:<br />

come riuscì a ricevere e portare a compimento così<br />

tante commissioni? Con tutta probabilità Teodorović era molto<br />

abile e sapeva come trattare le persone ricche e potenti,<br />

inoltre aveva degli assistenti. Non era invadente, teneva le<br />

distanze, ma aveva in grande considerazione il proprio lavoro.<br />

Capì, forse per primo fra i pittori serbi, l’importanza della<br />

pubblicità per un pittore. Come vedremo, ciò diventerà ovvio<br />

quando esamineremo la vita e le opere dei suoi due allievi più<br />

dotati, Konstantin Danil e Nikola Aleksić.<br />

Nei primi due-tre decenni del XIX secolo, l’arte e la cultura<br />

in genere fecero enormi progressi fra i Serbi della Vojvodina.<br />

Arsa Tedorović creò l’immagine dell’artista come elemento<br />

importante della società civile, di conseguenza altri artisti lo<br />

seguirono. Uno di essi fu Pavel Đurković, “slavo-serbo di Karlovac<br />

e Srem”. La sua produzione di ritratti è più importante<br />

delle opere religiose in chiese più o meno grandi. Dal 1824 visse<br />

in Serbia dove giunse su richiesta del principe e governante<br />

Miloš Obrenović, ritrasse lui e la sua famiglia, come anche<br />

alcuni serbi famosi a quel tempo (per esempio il giovane Vuk<br />

Karadžić). Viaggiò anche di frequente, e verso il 1830 si recò in<br />

Russia, a Odessa, dove si perdono del tutto le sue tracce.<br />

Basandosi sulle opere conservate, possiamo dire che<br />

Đurković fu un cronista della gente della sua epoca ed il primo<br />

pittore a lasciare molti dei suoi lavori in un Principato Serbo<br />

da poco liberato. I suoi ritratti più famosi sono al contempo<br />

la miglior introduzione alla ritrattistica borghese del classicismo<br />

Biedermeier nella Serbia della metà del XIX secolo.<br />

Nella prima metà del XIX secolo, la cultura e l’arte fra i<br />

Serbi della Vojvodina furono segnate dagli sviluppi storici che<br />

si conclusero con il turbolento 1848.<br />

Nel 1848, sotto le pressioni della cittadinanza, il metropolita<br />

Josif Rajačić organizzò l’assemblea nazionale a Sremski<br />

Karlovci dove fu proclamato il ducato della Vojvodina serba e<br />

Rajačić fu nominato patriarca. Questa decisione causò la rottura<br />

definitiva fra Serbi e Ungheresi e presto sfociò in guerra.<br />

La battaglia decisiva avvenne a Sent Tomazs (oggi Srbobran),<br />

dove le truppe guidate dal duca Stevan Knićanin ottennero la<br />

vittoria. Entrambi gli eventi storici, estremamente importanti,


Paja Jovanović: “Trittico di Vršac”<br />

furono immortalati sia in letteratura che nelle belle arti (Assemblea<br />

di maggio a Sremski Karlovci, dipinto di Pavle Simić,<br />

e Battaglia a Sent Tomazs, dipinto di Anastas Jovanović). Durante<br />

i combattimenti e la rivoluzione del 1848-1849, la sede<br />

del Consiglio Nazionale Centrale Serbo e il patriarca Rajačić<br />

erano a Zemun, nella casa della famiglia Karamata (ove i discendenti<br />

abitano tuttora).<br />

La Vojvodina serba fu riconosciuta dalla costituzione imperiale<br />

nel 1849 ma non resse neppure due decenni. Fu abolita<br />

nel 1860 ed il suo territorio fu restituito all’Ungheria, il<br />

che rese ufficiale che l’impero asburgico era una duplice monarchia,<br />

composta da una parte austriaca e una ungherese. Il<br />

nome della Vojvodina rimase sulla carta solo per breve tempo,<br />

ma in modo indelebile nei cuori e nella mente di tutti i serbi di<br />

“Miletić” che avevano combattuto coraggiosamente, credendo<br />

nell’idea che l’unione di Serbia e Vojvodina sarebbe stata<br />

raggiunta dai loro discendenti.<br />

Una delle caratteristiche basilari di quel tempo fu la nascita<br />

di varie associazioni accademiche serbe e dei loro periodici.<br />

La prima società letteraria e scientifica organizzata fu la Matica<br />

Srpska, fondata nel 1826 da patrioti e ricchi mercanti serbi<br />

eruditi. Il loro scopo principale era “la diffusione della letteratura<br />

e l’istruzione del popolo serbo” ed anche “stampare e distribuire<br />

libri serbi”. A Belgrado, nel 1841, fu fondata la Società<br />

di Educazione Serba, come eco a Matica Srpska: i fondatori<br />

erano serbi dell’Ungheria, dei quali il più illustre era il poeta di<br />

talento e poligrafo Jovan Sterija Popović di Vršac, titolare del<br />

Ministero dell’educazione nel Principato Serbo e fondatore del<br />

Teatro Nazionale e del Museo Nazionale a Belgrado.<br />

Il più antico e popolare giornale serbo del XIX secolo era il<br />

“Novine serbske” (“Quotidiano serbo”) che inizialmente, nel<br />

1813, fu pubblicato a Vienna e poi, dal 1835, a Belgrado con<br />

il nome “Novine srbske”. La prima rivista letterario-scientifica<br />

fu “Serbski letopis” (rivista serba), fondata da Đorđe<br />

Nel XVIII secolo, gli iconografi erano pagati attorno ai 2.000 fiorini: per esempio Mihailo Radosavljević percepì per il lavoro<br />

a Šid 1700 fiorini ungheresi, Jakov Orfelin e Teodor Kračun 1800 fiorini per il lavoro nella Cattedrale di Karlovci. All’epoca<br />

i prezzi degli alimenti erano i seguenti: una libbra di lardo costava 12 krajcar, un pane del peso di 5 libbre 6 krajcar e un sacco<br />

di farina 1 fiorino e 20 krajcar.<br />

Alla metà del XIX secolo per lavori di pittura si pagavano normalmente da 3000 a 6000 fiorini. E quello era un periodo in cui<br />

il prezzo di un appezzamento di terra era intorno a cento fiorini. Il Comune di Timisoara assunse al proprio servizio Konstantin<br />

Danil, firmando con lui un contratto, nonostante il fatto che fosse più caro del doppio rispetto ai pittori serbi o ungheresi. Successivamente<br />

il paese di Jarkovac invitò il già noto e costoso pittore Danil e gli diede circa 14.000 fiorini per 17 dipinti”. <br />

Veljko Petrović<br />

205


Đorđe Krstić: Iconostasi nella Chiesa dei Beati Arcangeli a Čurug, 1896<br />

Magarašević a Pest nel 1825, che solo un anno dopo divenne<br />

proprietà della nuova Matica Srpska. Fino alla prima guerra<br />

mondiale, questa rivista (oggi chiamata “Letopis Matice srpske”)<br />

era il principale strumento delle attività scientifiche dei<br />

Serbi in Ungheria. I direttori, con pause più o meno lunghe,<br />

furono personaggi eruditi e famosi in Vojvodina, come Jovan<br />

Hadžić, Pavle Stamatović, Teodor Pavlović, Jovan Subotić, poi<br />

Jakov Ignjatović, Subota Mladenović, Jovan Đorđević, Antonije<br />

Hadžić, Jovan Bošković, Milan Savić, Tihomir Ostojić e<br />

altri. Nel XIX secolo gli almanacchi erano periodici altrettanto<br />

interessanti. Il pioniere in questo campo fu uno dei serbi<br />

più eruditi dell’inizio del XIX secolo, Dimitrije Davidović,<br />

che fondò un almanacco molto popolare, “Zabavnik”, e poco<br />

dopo il famoso periodico “Novine srbske”. Vuk Karadžić non<br />

fu da meno con il suo “Danica”, né Pavle Stamatović con i<br />

suoi “Serbska pčela” e “Bačka vila”, l’unica pubblicazione serba<br />

con tendenze illiriche.<br />

Le libreria e l’editoria ebbero grande importanza per lo<br />

sviluppo letterario dei Serbi della Vojvodina. Mentre all’inizio<br />

206<br />

del XIX secolo venivano stampati in media circa venti libri,<br />

alla fine del secolo il totale era di centinaia di libri pubblicati,<br />

dei quali alcuni in 2.000 copie. I libri e l’editoria si svilupparono<br />

con il progredire dell’educazione e del sistema scolastico,<br />

perciò più l’educazione si diffondeva fino a regioni distanti,<br />

più persone compravano e leggevano libri.<br />

Il periodo fra il 1830 e il 1860 fu un periodo di fioritura<br />

delle belle arti e in pittura dello stile Biedermeier. A quel tempo<br />

lo spazio culturale dei Serbi sotto il regime austriaco era<br />

diviso, con qualche eccezione, in due zone: una occidentale,<br />

che comprendeva una larga parte di Bačka, Srem e parte della<br />

Slavonia, ed una orientale, che includeva tutto il Banato.<br />

Il ceto cittadino aveva legami stretti con le tendenze culturali<br />

e artistiche dell’Europa occidentale, il che era naturale<br />

visto che il Biedermeier derivava dalla borghesia e sembrava<br />

soddisfare sia esso che i suoi gusti. I pittori del Biedermeier<br />

sono legati al mondo sentimentale, pacifico dell’interno delle<br />

case borgesi, e perciò i soggetti sono rappresentati senza<br />

pathos e commozione, all’opposto del classicismo. Si svilup-


pò anche la pittura di genere, con nature morte e paesaggi<br />

idealizzati, che venivano dipinti sia come opere a sé sia sullo<br />

sfondo dei ritratti.<br />

Per i pittori serbi del periodo, Vienna rappresentava ancora<br />

la metropoli culturale e artistica dell’Europa. Oltre alla<br />

lingua materna, i Serbi studiavano tedesco e ungherese, e se<br />

volevano far carriera, erano incoraggiati a usare queste lingue<br />

straniere non solo con gli stranieri ma anche fra loro. Molto<br />

spesso gli artisti firmavano le loro opere usando l’alfabeto latino<br />

in trascrizione tedesca o ungherese.<br />

Una delle discipline studiate all’Accademia d’Arte di Vienna,<br />

istituita per valutare e misurare le capacità degli studenti,<br />

era la copia di opere d’arte di famosi maestri del Rinascimento<br />

e del Barocco come Raffaello, Correggio, Tiziano, Tintoretto,<br />

Rubens, Velasquez, Murillo ecc.<br />

Uno dei pittori serbi che riuscì benissimo in questa e in<br />

altre discipline fu Dimitrije Avramović. Egli va menzionato<br />

anche perché era un artista con una grande cultura, cosa<br />

rara a quell’epoca. Egli si dedicò a ricercare l’eredità culturale<br />

medievale e a tradurre libri su quell’argomento (scrisse<br />

un libro sulla storia e l’arte del monte Athos e un altro sui<br />

monasteri serbi medievali). Avramović si interessava di letteratura,<br />

come anche di filosofia, storia, lingue straniere e<br />

caricature, ma il suo interesse principale era la pittura. Nel<br />

1840, l’ultimo anno di studi all’Accademia di Vienna, dipinse<br />

due opere importantissime per la sua produzione, Apoteosi di<br />

Lukijan Mušicki e Ritratto di Vuk Karadžić. Mentre il primo<br />

ha contenuti e trattamento artistico classicisti, il ritratto di<br />

Vuk Karadžić costituisce una vera innovazione perché contiene<br />

chiare anticipazioni del Romanticismo imminente. Il suo<br />

incontro con Vuk a Vienna lo portò in Serbia l’anno seguente,<br />

nel 1841, questa volta non a Kragujevac (come prima nel caso<br />

di Pavel Đurković), ma a Belgrado.<br />

Per il principe Mihailo Obrenović, il giovane governante<br />

serbo, la scelta del pittore che avrebbe decorato la cattedrale<br />

appena costruita a Belgrado era chiara e senza dubbi: avendo<br />

visto a Vienna il ritratto di Vuk fatto da Avramović (e con una<br />

raccomandazione personale di Vuk per questo pittore venticinquenne<br />

di Sant’Ivan Šajkaški), ordinò immediatamente<br />

che al giovane Avramović venisse spedito un invito a venire<br />

in Serbia. La nuova cattedrale ortodossa di Belgrado doveva<br />

dimostrare che l’architettura sacra serba, e ancor più la pittura<br />

e la scultura, avevano uno stile totalmente nuovo. Franz<br />

Janke fu scelto come architetto della chiesa mentre Dimitrije<br />

Avramović eseguì gli affreschi sulle pareti e l’intera iconostasi<br />

in circa quattro anni. Il suo lavoro non fu né facile né semplice,<br />

ma la verità è che di tutti i pittori del tempo solo Avramović<br />

Monumento in onore di Jovan Jovanović Zmaj a Novi Sad<br />

207


olo una nazione ricca e libera può produrre grande arte. La confusione e la divisione nella vita culturale, in conseguenza<br />

“Sdi guerre, migrazioni e varie influenze, poi gli ostacoli dei governi stranieri che hanno accompagnato lo sterminio del<br />

nostro popolo ed infine la mancanza di fondi ci hanno impedito di lasciare in Vojvodina monumenti artistici simili a quelli da<br />

noi costruiti in Serbia all’epoca della dinastia Nemanjić. Comunque ce ne sono molti altri nel campo dell’architettura, pittura<br />

ed arti applicate che sono d’indiscutibile e talvolta estremo valore. In Vojvodina sono presenti veri e propri capolavori sia in stile<br />

tradizionale che moderno.<br />

In relazione a tutti questi aspetti, questa provincia ha avuto rango di nazione e nelle più avverse circostanze del nostro passato<br />

ha assunto il ruolo di ereditare, proteggere e sviluppare le tradizioni artistiche del Medioevo serbo nonché di accogliere e diffondere<br />

le influenze occidentali. Grazie alla determinazione, alla coscienza e al talento della sua gente, la Vojvodina ha espresso<br />

questo ruolo onorevolmente e con successo. Senza la sua mediazione avremmo accettato le idee e le aspirazioni dell’Europa<br />

occidentale solo un secolo dopo. <br />

Milan Kašanin<br />

aveva la forza ed il talento necessari per eseguire le scene monumentali<br />

che l’organizzazione spaziale della chiesa e l’epoca<br />

richiedevano. L’impressione che gli affreschi e le icone della<br />

cattedrale fanno ancora oggi (dopo il recente restauro) è<br />

sorprendente. E dopo aver dato il merito dei lavori d’intaglio<br />

del legno dell’iconostasi a Dimitrije Petrović, dotto scultore e<br />

medaglista viennese, si può affermare che, dopo il suo completamento,<br />

la cattedrale rappresentò il punto di svolta nello<br />

sviluppo artistico della Serbia a metà del XIX secolo.<br />

Il consenso che Avramović ricevette per l’ultimazione della<br />

cattedrale sfortunatamente non durò a lungo. Dopo le notizie<br />

sulla rivoluzione del 1848 in Ungheria, Avramović si unì<br />

ad un gruppo di rivoluzionari che erano a favore di una linea<br />

dura nei confronti degli Ungheresi. Da allora iniziò a fare disegni<br />

e litografie caricaturali con soggetti aspramente satirici<br />

sul conto degli Ungheresi e sulla politica che stavano seguendo.<br />

Le sue caricature rappresentano la nascita dell’arte socialmente<br />

impegnata e più precisamente la nascita della satira<br />

politica in Serbia. La sua reputazione probabilmente a quel<br />

tempo ne risentì a causa dell’intolleranza imposta in Vojvodina<br />

da parte della popolazione non serba, principalmente da<br />

parte degli Ungheresi. Nel frattempo terminò gli affreschi nel<br />

monastero di Vrdnik a Fruška Gora e sei icone per l’ordine<br />

supremo dell’iconostasi nella chiesa della sua città natale. In<br />

ogni caso, nell’ambito della pittura sacra, Avramović seguì fedelmente<br />

i principi artistici dei Nazareni viennesi.<br />

Con tutta probabilità, Avramović era più un romantico e<br />

un patriota che un prudente opportunista che lavorava per<br />

un’ampia clientela borghese in Vojvodina. Lo provano non<br />

solo le opere che si sono conservate, ma anche il fatto che<br />

morì improvvisamente per un attacco di cuore nel 1855 quando<br />

seppe che l’imperatore russo Nikolai II Romanov (che aveva<br />

sconfitto i ribelli ungheresi a Vilagosh) aveva subito una<br />

grave sconfitta nella guerra di Crimea.<br />

208<br />

Molto diverse furono la vita e il destino di Konstantin Danil<br />

e Nikola Aleksić, due artisti di spicco del Banato. Benché<br />

entrambi appartengano senza dubbio allo stile Biedermeier<br />

della prima metà del XIX secolo, differiscono l’uno dall’altro<br />

per molti aspetti.<br />

Konstantin Danil (o Daniel, come lo chiamavano i contemporanei)<br />

era senza dubbio una figura centrale e molto<br />

popolare all’epoca fra i pittori del Banato. Non vi sono tante<br />

notizie su Danil quante sul suo maestro Arsa Teodorović o sul<br />

suo contemporaneo Nikola Aleksić. Per molto tempo non abbiamo<br />

neppure conosciuto la sua data di nascita e se avesse<br />

compiuto studi presso un’accademia d’arte. Non parlava mai<br />

di queste cose, ma con tutta probabilità lavorava liberamente<br />

per chiunque gli commissionasse un ritratto o un dipinto<br />

per una chiesa, non importava se il committente fosse serbo,<br />

ungherese, rumeno, tedesco o di qualunque altra nazionalità.<br />

Non diede mai molta importanza a quali fossero la religione o<br />

la lingua delle persone, mentre egli parlava principalmente tedesco,<br />

perché non conosceva molto bene il serbo e il rumeno.<br />

Dipinse iconostasi per chiese serbe ortodosse a Pančevo<br />

e Timisoara, nei villaggi di Dobrica e Jarkovac nel Banato, e<br />

una per la chiesa rumena a Uzdin. Il suo allievo e biografo<br />

Lazar Nikolić lo descrisse come un uomo gentile, beneducato<br />

e piacevole.<br />

«Basso, con la schiena curva, capelli grigi, con le lentiggini,<br />

pelle ruvida rovinata dal vaiolo, a prima vista sembrava un<br />

vecchio insegnante e professore o un artigiano piuttosto ricco.<br />

Ma chi gli parlava nel suo studio si rendeva conto di essersi<br />

sbagliato nel giudicarlo, perché tutta la distinzione dell’artista<br />

spariva e da lui irradiavano conoscenza e comprensione» (L.<br />

Nikolić, Pittori serbi, 1895).<br />

Si potrebbe dire che le opere di Danil erano un riflesso<br />

dell’estetica della pittura Biedermeier, verso cui era più propenso<br />

probabilmente perché fondeva in questo stile la sua im-


“ Un inverno in Vojvodina,<br />

nella fattoria del mio amico...”


Nel mare del verde, sotto il cielo.<br />

La chiesetta di San Petka a Beška


maginazione artistica e la sua indiscutibile vanità, piuttosto<br />

che il risultato della ricerca di una nuova espressione artistica,<br />

diversa dallo stile che la sua numerosa clientela preferiva.<br />

A differenza di Danil, che cercava di portare nella pittura<br />

un tocco della sua individualità e un po’ dello stile dei grandi<br />

maestri rinascimentali e barocchi, Nikola Aleksić (detto<br />

“il pittore Nika”) seguiva principi pittorici tradizionali, già<br />

sperimentati e accettati che adottò a Vienna e portò con sé<br />

nella sua città natale di Arad. Aleksić è uno dei più importanti<br />

e fecondi pittori del classicismo nella pittura serba fino<br />

all’alba del Romanticismo. Ha lasciato una vasta raccolta di<br />

ritratti di uomini, donne e bambini di importanti famiglie<br />

del Banato. Si potrebbe dire che Aleksić creò una maniera<br />

riconoscibile nella ritrattistica e, sentendosi sicuro delle capacità<br />

pittoriche acquisite, faceva due, tre o quattro ritratti<br />

contemporaneamente. I suoi ritratti più tardi mostrano<br />

interamente lo spirito del classicismo Biedermeier, perciò<br />

sono annoverati fra i migliori della pittura serba della metà<br />

del XIX secolo.<br />

Sarebbe impossibile parlare della cultura e delle arti fra i<br />

serbi della Vojvodina senza nominare la prima pittrice serba,<br />

la colta Katarina Ivanović, che proveniva dalla Szekesfehervar.<br />

In quanto donna, non le era permesso dipingere quadri<br />

con soggetto religioso, perciò fu costretta a concentrarsi sulla<br />

ritrattistica, sulle nature morte, sulle scene di genere e, ciò<br />

che fu importante per lo sviluppo della pittura serba dell’epoca,<br />

su quadri storici di grandi dimensioni. La qualità della sua<br />

pittura segue lo stesso ordine, perciò la sua opera migliore è<br />

il famoso Autoritratto (fatto a circa venticinque anni) che affascina<br />

per la grazia e per l’eccellente realizzazione, seguita<br />

dal ritratto del poeta Sima Milutinović Sarajlija, che era il<br />

maestro di Njegoš; poi vengono i dipinti Viticoltore italiano,<br />

Natura morta con uva, Cesto con uva, Ragazzo con un’aquila,<br />

Donna anziana che prega prima del pasto, Morte di una<br />

povera signora, e il celeberrimo dipinto che illustra la conquista<br />

di Belgrado nel 1806 durante la Prima Insurrezione<br />

Serba. Fedele ai suoi sentimenti nazionali fino al suo ultimo<br />

giorno di vita, negli anni precedenti la morte donò i suoi<br />

quadri più importanti al Museo Nazionale di Belgrado, dove<br />

ancor oggi si trovano.<br />

Il crollo del sogno di libertà nel 1848 in tutta Europa<br />

portò anche ad un crollo dello spirito delle persone, e in<br />

Vojvodina la vita quotidiana fu pervasa da un senso di disillusione,<br />

di ritorno alla realtà. La seconda metà del XIX<br />

211


Novi Sad: La vista dalla Fortezza di Petrovaradin


Mulini a vento erano uno dei simboli<br />

della Vojvodina. Oggi sono rimasti<br />

pochi e rappresentano una curiosità<br />

per i turisti: Ravno Selo


Cartolina di Novi Sad agli<br />

inizi del XX secolo<br />

secolo fu l’epoca del mercantilismo, della dura lotta per la<br />

sopravvivenza, la corsa ad arricchirsi e ottenere successo e<br />

profitti. Quell’epoca creò un nuovo culto che oggi, un secolo<br />

e mezzo dopo, è ancora in auge in tutto il mondo: il culto del<br />

successo materiale. Nell’epoca in cui il materialismo conquistò<br />

la società ed il Positivismo abbracciò le scienze, nel<br />

campo della cultura e delle arti emerse il nuovo stile chiamato<br />

Realismo.<br />

Il Realismo non solo entrò in tutte le arti, ma anche in<br />

tutte le sfere della società. Da ciò derivò il motto della Gioventù<br />

Serba Unita: «Lavoro sostenuto dalla scienza e basato<br />

sulla verità». La gioventù serba derivò queste posizioni non<br />

solo dall’Europa occidentale, ma anche dalla Russia (il miglior<br />

esempio di ciò sono le idee dei riformatori russi propagate in<br />

Serbia da Svetozar Marković). Lo spirito del Positivismo si diffuse<br />

rapidamente fra i giovani studenti. Dall’inizio degli anni<br />

Settanta, la Serbia divenne il loro centro spirituale.<br />

Dalla vecchia “Atene serba” (Novi Sad) tutti i movimenti<br />

idealisti si spostarono in Serbia e dal 1878 (quando la Serbia<br />

ottenne la piena indipendenza) questo processo s’intensificò,<br />

i più importanti rappresentanti della cultura e dell’arte<br />

vennero in Serbia, come gli scrittori Jovan Jovanović Zmaj,<br />

Laza Kostić, Simo Matavulj, Stevan Sremac, i pittori Stevan<br />

Todorović, Đura Jakšić, il giovane Đorđe Krstić ed altri. Questo<br />

processo avvenne in gran parte a causa della soppressione<br />

del ducato della Vojvodina serba da parte dell’imperatore austroungarico<br />

nel 1860.<br />

Dal settimo e particolarmente dall’ottavo decennio del<br />

XIX secolo, il governo ungherese organizzò una vasta azione<br />

di “ungarizzazione” in tutta la regione della Vojvodina. In<br />

tutte le scuole pubbliche la lingua ungherese divenne materia<br />

obbligatoria. A nomi e cognomi, come anche ai nomi<br />

dei paesi e delle città, fu data forma linguistica ungherese.<br />

In circostanze simili, lo spazio per sviluppare la cultura nazionale<br />

e l’arte non solo era limitato, ma molto spesso era<br />

addirittura inesistente.<br />

Nell’epoca del Realismo, la pittura in Vojvodina mantenne<br />

il suo ruolo primario di guida per l’introduzione delle innovazioni<br />

stilistiche. Nel campo della ritrattistica, i pittori serbi<br />

adottarono nuovi “principi”, che questa volta non venivano<br />

216


La cattedrale di Novi Sad


Lago di Palić vicino a Subotica


Casa di Rajhlov<br />

a Subotica


dalla tradizionale e conservatrice Accademia Viennese, ma<br />

piuttosto dalla capitale dell’arte bavarese, Monaco. Perciò<br />

Monaco gradualmente subentrò a Vienna nella supremazia<br />

in pittura e nell’educazione artistica dei giovani serbi ed entro<br />

la fine del XIX secolo divenne la vera metropoli artistica<br />

dell’Europa. È interessante però che il primo studente serbo<br />

iscritto all’Accademia delle belle arti di Monaco (Akademie der<br />

Bildenden Künste) non fosse un seguace del Realismo, ma il<br />

più importante romantico serbo, Đura Jakšić.<br />

Tuttavia, dal tempo dei suoi brevi studi all’Accademia di<br />

Monaco (1853) fino agli anni Settanta, non furono molti i<br />

pittori serbi della Vojvodina che lasciarono Vienna per andare<br />

a Monaco. Un’eccezione fu Đura Jakšić, un profondo<br />

romantico e patriota, che soggiornò ripetutamente in Serbia,<br />

per poi stabilirvisi definitivamente. Dei suoi contemporanei<br />

merita particolare attenzione Novak Radonić, un<br />

pittore di Mol.<br />

Malgrado Radonić avesse talento e una buona cultura,<br />

non sviluppò mai i suoi talenti al massimo e non dispiegò<br />

mai tutta la sua sapienza accademica. La svolta nella sua<br />

vita fu il viaggio in Italia e il contatto con le opere dei grandi<br />

maestri del Rinascimento e del Barocco. Pur nutrendo dubbi<br />

sulle proprie capacità di pittore anche prima del suo viaggio<br />

del 1858-1859 (anche se in questo periodo fece alcuni dei<br />

suoi ritratti e icone di maggior successo), solo dopo il ritorno<br />

dall’Italia si rese conto di quanto fosse inferiore rispetto<br />

ai suoi grandi modelli e quanto dovesse lavorare e imparare.<br />

Avendo un carattere debole, privo di ambizioni, Radonić si<br />

fece prendere dalla disperazione e si ritirò a «filosofeggiare<br />

a Mol». Le angustie della provincia uccisero quel poco<br />

di volontà di miglioramento che era in lui. Benché Radonić<br />

fosse un vero maestro nel disegno (portò dall’Italia un gran<br />

numero di schizzi e disegni eccellenti su temi cittadini romani,<br />

fiorentini e di altre città) e avesse buona sensibilità<br />

per la scelta del soggetto da dipingere, in realtà non aveva<br />

né la forza né l’entusiasmo creativo per continuare e completare<br />

ciò che il principale pittore romantico serbo, Đura<br />

Jakšić, aveva iniziato.<br />

Dopo l’irrequietudine del Romanticismo, il Realismo portò<br />

calma, studio, decisione meditata ed uno spirito razionalista<br />

nella pittura e nelle arti in genere. All’inizio, i pittori serbi<br />

si avvicinarono all’interpretazione realista con più libertà,<br />

usando pennellate più ampie, ma alla fine del XIX secolo il<br />

loro stile divenne così rifinito e focalizzato sui dettagli che<br />

qualche volta cadde in una routine superficiale e futile.<br />

Quando si parla di Realismo serbo, il primo nome inevitabile<br />

è Đorđe Krstić. Veniva da Stara Kanjiža in Bačka, seguì le<br />

scuole primarie a Sremski Karlovci ed a circa diciassette anni<br />

si trasferì in Serbia dove visse fino alla morte. Ottenne una<br />

borsa di studio per studiare pittura a Monaco dal principe Milan<br />

Obrenović, che divenne poi re di Serbia, per il quale Krstić,<br />

grato della “carità”, dipinse una serie di piccoli schizzi di pa-<br />

221


esaggi serbi, persone, tradizioni, costumi, pietanze, costumi<br />

folkloristici durante le vacanze estive in Serbia (1881-1883).<br />

Krstić costituì un fenomeno importante per lo sviluppo<br />

della pittura serba per molti motivi. La sua visione e comprensione<br />

del sacro era piuttosto rivoluzionaria per l’ambiente<br />

culturale serbo che era alquanto conservatore a quel<br />

tempo. Sembra che in tutta la sua carriera Krstić abbia dipinto<br />

un numero limitato di iconostasi e solo grazie al più<br />

colto serbo del tempo, Mihalio Valtrović. Oltre all’iconostasi<br />

bruciata della cattedrale di Niš, l’opera più apprezzata di<br />

Krstić in questo campo fu l’iconostasi della chiesa serba di<br />

Čurug (35 chilometri a nord-est di Novi Sad), che al contempo<br />

rappresentava la vittoria delle idee di Krstić e Valtrović<br />

sulla ortodossia nella pittura sacra contemporanea. Nelle<br />

icone di Čurug, l’artista dimostrò pienamente la sua intenzione<br />

fondamentale di perfezionare le concezioni degli antichi<br />

pittori di affreschi medievali e adattarle ai tempi moderni<br />

e al suo stile artistico personale. Gli abitanti di Čurug<br />

hanno il diritto di sentirsi orgogliosi dell’eredità che Đorđe<br />

Krstić ha lasciato loro.<br />

222<br />

Uroš Predić e Paja Jovanović del Banato non erano straordinari<br />

come Krstić, ma furono comunque pittori salienti<br />

del Realismo e grandi maestri di pittura. Entrambi ottennero<br />

borse di studio da Matica Srpska e fino alla fine della vita<br />

non dimenticarono le loro città natali, Predić la sua Orlovat<br />

e Paja la sua Vršac. Perciò, un viaggiatore che visiti il paese<br />

di Orlovat nel Banato deve andare a vedere l’iconostasi nella<br />

chiesa serba che Predić eseguì e donò alle autorità ecclesiastiche<br />

di Orlovat, e che andò a sostituirne una precedente<br />

vecchia e rovinata. Predić dipinse iconostasi anche in altri<br />

luoghi della Vojvodina come a Bečej, Pančevo, Perlez, nella<br />

cappella del palazzo dell’arcivescovo a Sremski Karlovci ed<br />

anche nel monastero di Grgeteg sul Fruška Gora. Se si aggiunge<br />

a ciò l’infinità di ritratti che fece per numerosi committenti<br />

in Vojvodina, diventa necessario descrivere Predić<br />

non solo come un artista fecondo e sensibile, ma anche come<br />

eccezionale cronista di persone ed eventi della fine del XIX<br />

secolo e della prima metà del XX.<br />

In un viaggio immaginario attraverso la Vojvodina, lo<br />

stesso viaggiatore che ha visto l’iconostasi a Orlovat dovrebbe<br />

andare anche a Vršac nel Banato. In questa città con una<br />

lunga e ricca tradizione culturale sarebbe certamente attirato<br />

dal Trittico di Vršac, dipinto da Paja Jovanović ed esposto<br />

nella “Farmacia sulle scale”. Questo dipinto rappresentò<br />

l’artista ed il padiglione serbo alla Mostra del Millennio a<br />

Budapest nel 1896. Comunque, un altro dipinto di Jovanović<br />

che oggi è forse considerato il quadro più famoso dell’arte<br />

moderna serba è Migrazioni, con riferimento a quella guidata<br />

da Arsenije Čarnojević. Dal momento in cui fu dipinto<br />

e riprodotto per la prima volta e stampato in libri, periodici<br />

e riviste, e da quando, grazie alle oleografie, divenne parte<br />

dell’arredamento delle case serbe ovunque esse fossero, e<br />

condivise il cattivo destino delle nuove e difficili migrazioni<br />

serbe durante la prima e la seconda guerra mondiale, fino ad<br />

oggi, questo dipinto ha avuto un posto speciale nella storia<br />

serba moderna. Ci sono tre versioni conosciute di questo dipinto,<br />

due in Serbia ed una che scomparve durante la seconda<br />

guerra mondiale.<br />

La Migrazione dei Serbi avrebbe dovuto essere il quadro<br />

presentato alle altre nazioni della “duplice Monarchia” austroungarica<br />

(specialmente agli Ungheresi) dalle autorità ecclesiastiche<br />

di Sremski Karlovci alla mostra di Budapest, oltre<br />

cento anni fa. Oggi è testimonianza della forza e fioritura di<br />

uno spirito artistico, del momento della nascita della cultura<br />

e dell’arte serba in Vojvodina, e insieme una testimonianza<br />

del destino che condannò i Serbi più di tre secoli fa quando<br />

partirono per la Grande Migrazione.


Il municipio di Subotica<br />

costruito all’inizio del XX secolo


“Qui sono i più vivi i ricordi del Danubio che una<br />

volta era il mare”. La fortezza medievale di Golubac.


“Gli occhi dei monti serbi”: Il lago sulla Tara


L’inverno in Serbia: (le fotografie) Kopaonik, Zapadna Morava e Rakovica a Belgrado<br />

229


Banja Vrujci


La Serbia, con oltre settecento sorgenti minerali,<br />

giace su di un inesauribile bacino di acque termali,<br />

già note ai Romani per le loro proprietà curative.<br />

Grazie a questa risorsa naturale, la Serbia può contare<br />

non solo sul suo ricco passato, ma anche su un ricco futuro<br />

Acque calde:<br />

che piacere!<br />

La Serbia abbonda di sorgenti minerali curative, con acque<br />

sia calde che fredde, dalla composizione chimica più<br />

disparata, in corrispondenza delle quali sono stati costruiti<br />

settanta stabilimenti termali. Le prime terme furono scoperte<br />

dai soldati romani, che, dopo le conquiste militari, curavano<br />

le loro ferite con queste acque.<br />

La storia delle acque salutari della Serbia è vecchia di secoli<br />

ed è suffragata dai rilievi dei geologi che segnalano oltre<br />

settecento sorgenti curative e potabili di acqua minerale<br />

pura e limpida.<br />

Si stima che oggi in Serbia circa un terzo della popolazione<br />

frequenti regolarmente le terme (banja) o per trattamenti<br />

medici o per vacanze.<br />

Il lago Palić, ad est di Subotica, fu incluso nelle carte nel<br />

1697, quando un geografo dell’esercito di Eugenio di Savoia<br />

tracciò una mappa della regione durante la campagna seguita<br />

alla vittoria di Senta per respingere gli Ottomani verso la<br />

sponda sinistra del Tibisco.<br />

In un’insenatura del lago sorse uno stabilimento termale<br />

in corrispondenza di una sorgente minerale calda con fanghi<br />

curativi, originatisi dal fondo roccioso dell’antico mar di Pannonia,<br />

noti ai medici per il contenuto di peloidi. In un vasto<br />

parco alberato nacque un esclusivo centro di balneoterapia,<br />

che divenne uno dei preferiti della regione e fra le località più<br />

alla moda. Già verso la metà del XIX secolo, alcuni imprenditori<br />

iniziarono a costruire le pittoresche ville che ancor oggi<br />

conservano il loro fascino le inconfondibili fontane di Palić,<br />

piscine separate per uomini e donne, il Park Hotel, ristrutturato<br />

di recente, nonché molti altri negozi e locande (inclusa la<br />

famosa e graziosa Mala Gostionica, ovvero “Piccola locanda”).<br />

Banja Kanjiža è stata la prima stazione termale serba ad<br />

ottenere per il proprio centro di balneoterapia l’attestazione<br />

di conformità agli standard europei. Si trova sulla sponda<br />

destra del fiume Tibisco, nei pressi di Horgoš.<br />

Le terme, che furono fondate nel 1913, furono scoperte<br />

in un pascolo a sei chilometri dalla città, dove si trovavano<br />

due pozzi usati per il bestiame: nel 1908 si scavò un terzo<br />

pozzo che, immediatamente, fu proclamato fonte di “acqua<br />

miracolosa”. A prendere l’iniziativa di aprire in quel luogo<br />

una stazione termale fu il direttore della locale fabbrica di<br />

mattoni, Grinfeld Herman, che iniziò a far pagare l’ingresso<br />

ai bagni e imbottigliare l’acqua minerale della sorgente per<br />

venderla. In seguito, l’acqua fu convogliata, attraverso una<br />

conduttura, al parco pubblico della città, dove oggi, in mezzo<br />

ad alberi secolari, si trova un grazioso centro-benessere circondato<br />

da aiuole di fiori dai colori intensi.<br />

In autunno le terme ospitano un famoso festival internazionale<br />

di musica: Banja Kanjiža è inoltre la città natale<br />

di Jožef Nadj, famoso regista, coreografo, ballerino e attore<br />

della scena contemporanea europea.<br />

Le terme di Banja Vrdnik sono situate in un mare di<br />

verde sul versante meridionale del monte Fruška Gora, circa<br />

settanta chilometri a nord di Belgrado. Là, in una sconfinata<br />

foresta di tigli, ricca di erbe medicinali, si trova un’oasi unica<br />

al mondo, con acque minerali ed aria pulita e cristallina. Alle<br />

risorse naturali l’uomo ha aggiunto le piscine, due al coperto<br />

e una all’aperto, circondata da frutteti, vigneti e pioppi, che<br />

offre bellissimi scorci dei dintorni alberati da una vasca con<br />

acqua a 32,5 °C che contiene ben ventotto fra minerali e microelementi.<br />

231


L’area ospita anche sedici monasteri serbi ortodossi costruiti<br />

fra il XV e il XVII secolo, riccamente affrescati e contenenti<br />

preziose icone. Proprio vicino a Banja Vrdnik è situato<br />

il magnifico monastero di Ravanica, dove si trova il monumento<br />

alla Fata di Vrdnik, dedicato a Milica Stojadinović-<br />

Srpkinja, poetessa della metà del XIX secolo.<br />

Nei pressi di Apatin, sul versante nordoccidentale del Banato<br />

si trova la stazione termale di Banja Junaković, nota<br />

anche come la “Sposa del Danubio”. Costruita di recente, nel<br />

1983, Banja Junaković è il più giovane centro balneare della<br />

Serbia (sebbene le proprietà dell’acqua fossero note dal<br />

1913). La stazione termale sorge su di un altopiano, separato<br />

dalla “civiltà” da distese di foreste e fiumi.<br />

Dieci vasche di varie forme, dimensioni e profondità circondano<br />

l’albergo, dove tutte le camere hanno una vasca da<br />

cui sgorga acqua termale.<br />

A Srem, sulle rive del Danubio, si trova la stazione termale<br />

di Banja Stari Slankamen, ricordata come il luogo dove le<br />

legioni romane combatterono feroci battaglie e costruirono<br />

la città di Sirmium. Documenti dell’inizio del XVIII secolo<br />

menzionano le sue sorgenti salate (slan-kamen, “pietra-salata”),<br />

sebbene la fama non sia arrivata che secoli dopo. In questa<br />

pittoresca cittadina di pescatori, frutticoltori e viticoltori,<br />

è situato un centro-benessere specializzato nel trattamento<br />

dei disturbi del sistema nervoso centrale e periferico, nella<br />

riabilitazione dai traumi e nelle malattie reumatiche.<br />

Le terme di Banja Koviljača sono note da quasi cent’anni<br />

come luogo alla moda, centro di svago, sportivo e ricreativo.<br />

Sono situate in uno dei più bei parchi termali della Serbia,<br />

dove sono armoniosamente disposti gli edifici originari, oggi<br />

rinnovati, ville e padiglioni, col famoso Kursalon, da poco<br />

ristrutturati.<br />

232<br />

Kursalon nelle terme di Banja Koviljača


Niška Banja


Il passero con la šajkača, uno dei simboli di Vrnjačka Banja


Villa di Belimarković (Castello della cultura) a Vrnjačka Banja<br />

In queste terme si curava la nobiltà, da Karađorđe a suo<br />

figlio, re Pietro, fino al figlio di quest’ultimo, re Alessandro<br />

Karađorđević, che dotò la stazione del leggendario Kursalon,<br />

il grandioso salone termale che colpisce particolarmente i<br />

visitatori. Nel periodo fra le due guerre mondiali, solo le terme<br />

di Karlovy Vary e Vichy erano più famose e di moda di<br />

quelle di Koviljača.<br />

A 330 chilometri da Belgrado e soltanto a una cinquantina<br />

di chilometri dal Corridoio 10, nella valle del fiume Jablanica,<br />

si trova la stazione termale di Sijarinska Banja, in<br />

buona posizione per una rapida e comoda gita alle terme.<br />

La posizione geografica del luogo è tale che stranamente,<br />

nel corso dell’anno, non c’è una sola giornata di nebbia;<br />

inoltre le circostanti foreste di querce e faggi proteggono<br />

le terme dal vento e dalle correnti d’aria. Come se ciò non<br />

bastasse, attorno alle terme c’è una fascia di cento chilometri<br />

di diametro priva di ciminiere o altro fattore inquinante<br />

per la terra o l’acqua. Le terme si estendono per 800<br />

metri sulle rive del fiume e hanno 18 sorgenti termali di<br />

diversa temperatura e composizione fisico-chimica. Qui,<br />

in un unico luogo, sembrano essere concentrate tutte le<br />

caratteristiche delle altre terme della Serbia. Le terme<br />

offrono agli ospiti anche l’opportunità, unica in questa<br />

parte d’Europa, di vedere geyser che arrivano fino a 30<br />

metri di altezza.<br />

Queste richezze naturali erano già note, in epoca romana,<br />

all’imperatore Giustiniano, nato nel villaggio di Taurisona.<br />

Nei dintorni di Sijarinska Banja lui costruì la Città Imperiale.<br />

Fra la Città Imperiale e le terme di Sijerinska Banja si<br />

trova un altro tesoro, una montagna di onice (scarsamente<br />

sfruttato) e un grande giacimento di pietre dure.<br />

Le terme di Banja Bukovička, la perla più bella di<br />

Aranđelovac e di tutta la Šumadija, sono situate a sud-ovest<br />

di Belgrado e, a meno di un’ora di auto dalla capitale, costituiscono<br />

un’agevole escursione turistica da Belgrado.<br />

Queste terme ospitano anche il tradizionale evento<br />

“Marmo e suoni”, che riunisce i più famosi scultori di tutto<br />

il mondo. Nel marmo bianco di questa regione, il celebre<br />

marmo di Venčac, gli artisti scolpiscono e creano sculture,<br />

lasciandole poi alla città dove sono esposte nel vasto parco<br />

sotto platani secolari, fra le sorgenti di acqua curativa, palazzi<br />

e ville rurali.<br />

235


Fonte a Banja Vrujci


Ribarska Banja<br />

Il primo ospite venuto qui per ristabilirsi, quando ancora le<br />

terme non avevano né la fama né l’aspetto odierno, fu Dositej<br />

Obradović nel 1811. A quel tempo egli era già avanti negli anni<br />

e famoso per essere l’uomo più colto di tutta la Serbia nonché<br />

il primo ministro dell’istruzione nel governo di Karađorđe.<br />

Circa quarant’anni dopo, per ordine del principe Miloš, i due<br />

villaggi di Vrbica e Bukovik furono uniti e nel centro del nuovo<br />

paese, cui venne dato il nome di Aranđelovac, fu costruita<br />

la chiesa del Beato Arcangelo. Prima di tutto il principe inviò<br />

un campione di acqua al medico viennese Liemayer affinché<br />

lo analizzasse, poi costruì un grande palazzo per il parlamento,<br />

ma il parlamento non vi si riunì mai e l’edificio fu trasformato<br />

in hotel, lo Staro Zdanje (“Vecchio edificio”), simbolo di<br />

Aranđelovac; anche questo hotel è stato ristrutturato.<br />

Il Principe Miloš amava molto le terme di Banja Bukovička.<br />

Una volta, quando si trovava in esilio a Rogaška Slatina in<br />

territorio austroungarico, egli scrisse al figlio Mihailo:<br />

“Qui è molto bello, ma se solo potessi sedermi davanti<br />

allo Staro Zdanje e bere un bicchiere d’acqua di quella nostra<br />

sorgente, guardare il parco e il monte Bukulja, credo che<br />

ringiovanirei…”<br />

E Mihailo, afflitto da pene d’amore, seduto nel parco delle<br />

terme di Bukovička scrisse una canzone sentimentale (ancora<br />

popolare): “Što se bore misli moje…”.<br />

Le terme di Vrnjačka Banja sono situate nella parte centrale<br />

della Serbia sulle pendici boscose del monte Goč, in<br />

direzione della valle del fiume Zapadna Morava. Le terme,<br />

considerate la capitale serba del turismo, sono attraenti in<br />

ogni stagione, ma in particolare in primavera quando i tigli<br />

sono in fiore. Ubicate a 220 chilometri a sud-ovest di Belgrado,<br />

si trovano nei pressi delle acque limpide e cristalline del<br />

fiume Vrnjačka.<br />

Le terme di Vrnjačka Banja hanno sette sorgenti minerali,<br />

sia calde che fredde, usate nelle terapie per aiutare coloro<br />

che soffrono di diabete, gastrite, ulcera, problemi delle vie<br />

urinarie e perfino in caso d’infertilità.<br />

Le terme possono ospitare comodamente quasi 20.000<br />

persone al giorno in abitazioni private, ville e appartamenti,<br />

mentre un terzo dei visitatori scelgono hotel di categoria da<br />

tre a cinque stelle.<br />

I boschi secolari che cingono le terme, senza eguali in<br />

Serbia, coprono una superficie di 64 ettari e sono composti<br />

237


Ribarska Banja è una ben<br />

attrezzata stazione termale


da tigli, querce, pini e faggi. All’ombra di questi alberi<br />

si trovano diecimila panchine, dove fare una breve<br />

sosta circondati da aiuole piene di fiori.<br />

Nelle vicinanze della sorgente termale si trovano<br />

un’ampia passeggiata, un teatro all’aperto, il palazzo<br />

della cultura, campi da tennis, piscine, impianti sportivi,<br />

un parco giochi e persino un trenino per i bambini.<br />

I dintorni sono ricchi di storia, dato che, all’epoca<br />

della dinastia Nemanjić, erano un centro spirituale<br />

e culturale. Molte chiese della Valle dei Re, della<br />

gola del fiume Ibar e sulle rive della Zapadna Morava<br />

sono sotto la protezione dell’Unesco. In quest’area<br />

si trovano Žiča, Studenica, Gradac, Đurđevi Stupovi,<br />

Sopoćani, antiche roccaforti come Ras, Brevnik,<br />

Koznik, Maglič, nonché grandi monasteri della Scuola<br />

della Morava come Ljubostinja, Lazarica, Kalenić,<br />

Ravanica e Manasija.<br />

Sokobanja. Negli anni Trenta del XIX secolo il<br />

principe Miloš, recatosi per la prima volta a Sokobanja,<br />

spedì un ordine a Kragujevac, la capitale, che diceva<br />

semplicemente: “Mandatemi un sacco pieno di monete<br />

per costruire in questo luogo una stazione termale…”.<br />

Sokobanja si trova in una vallata che gode dei benefici<br />

della “rosa dei venti”, accarezzata da una brezza<br />

che scende dalle vette di quattro montagne (Rtanj,<br />

Ozren, Devica e Sljeme), nota specialmente per il benefico<br />

radon che raccoglie negli strati più alti dell’atmosfera.<br />

Nel ramo minore del fiume Moravica, simile<br />

ad un acquario per la limpidezza, si possono vedere<br />

granchi e trote punteggiate di rosso. In questa stazione<br />

termale tutte le auto sono state vietate, rendendola<br />

così una rilassante, gigantesca area pedonale.<br />

La scrittrice Isidora Sekulić disse di aver scoperto<br />

qui per la prima volta i propri polmoni e che l’aria in<br />

questo luogo era molto più facile da respirare. Il vincitore<br />

del premio Nobel Ivo Andrić, quando a Belgrado<br />

era a corto d’ispirazione (specie durante la stesura<br />

del romanzo Il ponte sulla Drina), era solito recarsi a<br />

Sokobanja per ritrovarla, trattenendosi per due o tre<br />

settimane. Diceva sempre di non avere idea di cosa<br />

ci fosse là, ma che sapeva che dopo il suo ritorno sarebbe<br />

stato capace di lavorare senza problemi per sei<br />

o sette mesi. Lo scrittore Meša Selimovć ha lasciato<br />

una testimonianza del tutto analoga, affermando che<br />

quell’aria era un mistero e di avere la sensazione che il<br />

suo cuore non battesse, ma piuttosto si muovesse con<br />

facilità come un’altalena. Il commediografo Branislav<br />

239


Nušić, anch’egli assiduo frequentatore delle terme, condensa<br />

le proprie impressioni in una battuta: “Le terme di Soko, la<br />

bella città, ti tolgon gli acciacchi e t’abbassan l’età”.<br />

Le terme di Zvonačka Banja sono situate a un’altitudine<br />

di 650 metri sulle pendici orientali del monte Vlaška, non<br />

lontano dalla città di Pirot e 350 chilometri a sud di Belgrado.<br />

Sorgono sulle rocce fra le nuvole, sopra il fiume Jerma,<br />

su dirupi dove nidificano le aquile.<br />

Oltre che per la sorgente di acqua termale, con una temperatura<br />

di circa 28 °C, le terme di Zvonačka sono famose<br />

anche per il clima propizio, l’aria fine e il gran numero di ioni<br />

negativi presenti nell’atmosfera. Ecco perché qui principalmente<br />

vengono curati i disordini del sistema nervoso, disturbi<br />

psicosomatici, ipertensione, problemi legati alla circolazione<br />

periferica, infezioni oculari; ultimamente le acque di queste<br />

terme forniscono cure efficaci per le nuove malattie “professionali”,<br />

come l’affaticamento o il superlavoro che comunemente<br />

affliggono gli imprenditori, sempre più stressati.<br />

Le terme di Ribarska Banja erano note da tempo per le<br />

loro sorgenti calde curative, ma fu negli anni Trenta del XIX<br />

secolo che, per ordine del principe Miloš, venne effettivamente<br />

verificato e determinato il potere terapeutico delle<br />

loro acque. Esse si trovano nelle vicinanze dell’autostrada, a<br />

breve distanza dalla città di Kruševac, 200 chilometri a sud<br />

di Belgrado.<br />

Il centro di Ribarska Banja, stazione termale ben attrezzata,<br />

risale al XIV secolo. La principessa Milica, moglie del<br />

principe Lazzaro Hrebeljanović e diretta discendente della<br />

dinastia Nemanjić, trascorreva molto tempo a queste terme.<br />

All’inizio del secolo scorso, Draga Mašin, moglie del re Alessandro<br />

Obrenović, soleva soggiornare qui dove si sottoponeva<br />

a trattamenti contro l’infertilità.<br />

Le sorgenti termali di Mataruška Banja, sulla sponda destra<br />

del fiume Ibar, nascoste fra i boschi di una montagna,<br />

furono scoperte per caso nel 1898. L’acqua di queste terme<br />

ha una temperatura che raggiunge i 60 °C e la stazione sorge<br />

dove l’acqua calda scaturisce, da una profondità di 4 metri,<br />

odorando di zolfo. In questa stazione termale vengono eseguiti<br />

trattamenti per forme acute e croniche di reumatismi,<br />

nevralgie e infertilità. Le donne che qui si sottopongono alle<br />

Sijarinska Banja


cure contro l’infertilità e rimangono incinte ricevono una<br />

moneta d’oro in regalo dalla direzione delle terme.<br />

Il simbolo di Mataruška Banja è il ponte a catene sospeso<br />

sul fiume.<br />

Nei dintorni si trovano le gemme dell’architettura monastica<br />

della Scuola di Raška: Žiča, Studenica, Gradac, Durđevi<br />

Stupovi, Sopoćani. Ogni estate, il 28 di giugno, dalla vecchia<br />

roccaforte di Maglič, passando dalle terme di Mataruška fino<br />

ad arrivare a Kraljevo, si svolge la curiosa regata detta “L’allegra<br />

discesa”, giù per il fiume Ibar. I partecipanti, giovani<br />

per la maggior parte, scendono giù per il fiume su barche,<br />

tavole, assi, recipienti, vasche da bagno, camere d’aria, piccole<br />

barche a vela e qualsiasi cosa galleggi, mentre il sindaco<br />

di Kraljevo cucina per loro una speciale infornata di fagioli<br />

alle terme di Mataruška Banja.<br />

Nelle acque delle terme di Banja Gornja Trepča, dette anche<br />

le “Terme Atomiche”, sono disciolti ben dieci elementi rari<br />

noti per le proprietà terapeutiche. Sono situate nell’area sudoccidentale<br />

della Šumadija, vicino a Čačak, a 195 chilometri<br />

da Belgrado. Queste acque termali contengono cesio, titanio,<br />

uranio, radon, vanadio, cobalto, rubidio, stronzio e litio. Grazie<br />

a queste caratteristiche, negli anni Settanta l’acqua di Gornja<br />

Trepča fu proclamata miracolosa per la guarigione di malattie<br />

difficili a curarsi come ad esempio la sclerosi multipla, il diabete,<br />

la gastrite, la cattiva circolazione periferica e così via.<br />

Gamzigradska Banja è un centro termale famoso per il<br />

trattamento dei vasi sanguigni periferici, situato nella Serbia<br />

orientale, vicino alla città di Zaječar, a 240 chilometri da<br />

Belgrado. Nella sezione terapeutica, queste terme hanno due<br />

piscine, una per i bambini e l’altra per gli adulti, entrambe<br />

finemente decorate con mosaici e opere d’arte dell’artista<br />

Mladen Srbinović. Le terme si trovano in una vallata circondata<br />

da boschi, nel corso inferiore del fiume Timok.<br />

In mezzo al fiume, dentro uno dei pilastri di calcestruzzo<br />

del ponte, è stata incorporata come attrazione una piccola<br />

vasca con acqua calda. Non lontano dalle terme di Gamzigradska<br />

Banja si trova l’antica città romana di Felix Romuliana,<br />

risalente al IV secolo. In quest’antica città, sotto strade,<br />

piazze ed edifici pubblici, c’era un sistema di riscaldamento<br />

centrale, che usava probabilmente l’acqua calda delle terme<br />

di Gamzigradska Banja.<br />

Prolom Banja è la sola stazione termale in Serbia le cui acque<br />

abbiano la proprietà di frantumare e sbriciolare i calcoli renali<br />

e delle vie urinarie, di stimolare la guarigione degli organi<br />

dell’apparato digestivo nonché di curare i vasi sanguigni periferici<br />

e i reumatismi. La riabilitazione consiste nel bere l’acqua<br />

medicamentosa e nell’applicare compresse di fango sulle parti<br />

doloranti, con idromassaggi; da poco tempo, viene impiegato<br />

anche un altro metodo del tutto particolare, con l’uso di pietre<br />

provenienti dal vulcano messicano del Popocatepetl: le pietre,<br />

di piccole dimensioni, vengono riscaldate nell’acqua termale<br />

per poi essere applicate su tutti i punti nevralgici del corpo<br />

per mezz’ora, dopodiché si esegue un massaggio manuale con<br />

l’uso di olio di lavanda, cui segue un’altra seduta di mezz’ora<br />

in cui si posano sul corpo del paziente delle pietre dure… L’intero<br />

rituale è accompagnato da un sottofondo di musica classica.<br />

Questo procedimento terapeutico ha l’effetto di dilatare le<br />

vie urinarie renali e di facilitare il passaggio dei calcoli.<br />

Nelle vicinanze si trova Đavolja Varoš (ovvero la “Città<br />

del diavolo”), lo straordinario fenomeno naturale che è an-<br />

241


cora in attesa di essere incluso nella lista dei siti classificati<br />

patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Si tratta di una scultura<br />

naturale creata dai venti, in cui materiali di origine sabbiosa<br />

sono stati modellati fino a formare figure che ricordano<br />

persone in fuga colte di sorpresa da un temporale, forme<br />

confuse con strani cappelli…<br />

A circa cinquanta chilometri da Belgrado, nei pressi della<br />

città di Mladenovac, è situata la stazione termale di Selters<br />

Banja, davvero eccezionale, perché negli anni Trenta<br />

le particolari preparazioni createvi erano vendute nelle<br />

farmacie di Francia e Germania e lo stabilimento ricevette<br />

un riconoscimento ufficiale dalle principali istituzioni farmaceutiche<br />

internazionali. Un centinaio di anni fa, per un<br />

caso fortuito, uno scavatore di pozzi, nel corso del suo lavoro,<br />

trovò queste sorgenti.<br />

Le terme presero il loro attuale nome nel 1903, allorché<br />

in occasione dell’esposizione di Londra (dove fra l’altro vinsero<br />

una medaglia d’oro) furono paragonate all’acqua di due<br />

delle più famose terme tedesche, quelle di Ems e Selters.<br />

Le terme di Niška Banja, note per le loro sorgenti calde<br />

terapeutiche fin dai tempi dei Romani, si trovano sulle pendici<br />

del boscoso monte Koritnik che fa parte dei monti Suva<br />

(ovvero “aridi”). Le terme sono situate nei pressi della città di<br />

Niš e la Facoltà di Medicina della locale Università fornisce<br />

alcuni trattamenti di riabilitazione. Oltre a una sorgente con<br />

cinque fonti, viene anche impiegato un fango curativo contenente<br />

peloidi. Nelle vicinanze si trovano due monumenti di<br />

notevole importanza: Ćele kula (la “torre di Ćele”), in ricordo<br />

delle crudeltà perpetrate dagli Ottomani, e Mediana, residenza<br />

estiva dell’imperatore romano Costantino, nato a Niš.<br />

Il principe Miloš costruì un grande palazzo per il parlamento, ma il parlamento non<br />

vi si riunì mai e l’edificio fu trasformato in hotel, lo Staro Zdanje (“Vecchio edificio”)


Zvonačka Banja<br />

Un’altra ventina di stazioni termali serbe sono note per<br />

l’efficacia delle loro acque minerali. Vranjska Banja, dalle<br />

cui sorgenti sgorga acqua a temperatura che varia tra 96 e<br />

110 °C, sono fra le terme con le acque più calde d’Europa.<br />

Jošanička Banja, sulle pendici occidentali del Kopaonik, nella<br />

valle dell’Ibar, è una stazione dal nome ben noto; le acque<br />

delle sue sorgenti minerali calde sono state paragonate alle<br />

sorgenti di Vrnjačka Banja. Le terme di Bogutovačka Banja<br />

nei pressi di Kraljevo sono una vera panacea per i disturbi<br />

del sistema nervoso; le cure prevedono di bere due bicchieri<br />

d’acqua al giorno nonché terapie in vasche termali. La stazione<br />

termale di Novopazarska Banja a Sandžak è l’unica in<br />

Serbia ad offrire cure per coloro che soffrono di distrofia.<br />

Non meno famose sono le terme di Pribojska Banja nella<br />

valle del fiume Lim, vicino a Prijepolje, seguite da Ovčar<br />

Banja nella gola di Ovčarsko Kablarska, nei cui dintorni si<br />

trovano numerosi monasteri medievali, poi quelle di Badanja<br />

Banja sulle pendici del monte Cer vicino a Loznica, Banja<br />

Kiseljak nei pressi di Smederevska Palanka, Banja Bezdan<br />

sul Danubio vicino a Sombor, Tularska Banja vicino a<br />

Medveđa, Temerinska Banja nelle vicinanze di Novi Sad, e<br />

ancora quelle di Vitanovačka Banja nei pressi di Kraljevo,<br />

Banja Prilički Kiseljak vicino a Ivanjica, Kuršumlijska,<br />

Radaljska sul fiume Drina vicino alla città di Mali Zvornik,<br />

e infine quelle di Novosadska Jodna Banja. Meno famose,<br />

ma anch’esse dotate di acque curative, sono le stazioni<br />

termali di Banja Bele Vode (ovvero “Acque bianche”) vicino<br />

a Trstenik, di Bečejska Banja sulle sponde del fiume<br />

Tibisco, Banja a Zmajevo vicino a Vrbas, l’acqua minerale<br />

di Jermenovačka Banja nella regione del Banato vicino a<br />

Vršac, Banja Lomnički kiseljak vicino a Kruševac, le terme<br />

di Koraćička Banja nei pressi di Mladenovac, di Kulinska<br />

Banja vicino a Niš, Rogaška Banja nel villaggio di Rgotina<br />

vicino a Knjaževac, di Svračkovska Banja vicino a Gornji<br />

Milanovac, Sirčanska Banja sulla riva destra del fiume Zapadna<br />

Morava nei pressi di Kraljevo, di Slatinska Banja, ad<br />

est di Čačak, e per finire le sorgenti minerali di Banja Studenica,<br />

nelle vicinanze dell’antico monastero.<br />

243


“Lago al fondo di un mare scomparso”:<br />

Tra l’altro Palić è anche una stazione termale


246<br />

“Solo, sotto le stelle nella notte gelida, Contadino nella notte, Martin Jonaš


Negli anni Sessanta,<br />

molti pittori serbi naïf<br />

raggiunsero notorietà mondiale,<br />

a dimostrazione del fatto che<br />

l’universale passa per il locale<br />

Per lo più a piedi nudi<br />

’inquietudine più grande è quella degli aratori”,<br />

“L scrisse una volta Isidora Sekulić. Non si sarebbe<br />

mai compresa quest’affermazione se nella seconda metà del<br />

XX secolo il “boom jugoslavo” non avesse pervaso la scena<br />

artistica mondiale: un’ondata che investì il fior<br />

fiore delle gallerie mondiali e portò con sé molti<br />

pittori e scultori che non avevano compiuto studi accademici,<br />

dilettanti di provincia i cui impulsi creativi<br />

autentici e del tutto spontanei trasgredivano le tendenze<br />

ed i modelli artistici contemporanei. In termini<br />

sociologici fu spiegato come un tentativo di mitigare il<br />

senso di scoramento che si era impadronito degli intellettuali<br />

occidentali a seguito degli orrori della seconda guerra<br />

mondiale, della depressione del dopoguerra e della<br />

ideologia materialistica dominante, e poi per sostituire<br />

la depressione con la fonte inesauribile di ottimismo e<br />

allegria del folklore tradizionale. Dal punto di vista estetico<br />

si spiegò che l’arte, nel suo sviluppo, stava perdendo<br />

il contatto con la vita, restando impigliata in schemi<br />

intellettuali astratti, mentre i pittori dilettanti, con le<br />

loro esplosioni di colore, riportavano indietro le lancette<br />

del tempo fino all’età felice dell’“ingenuità” (naivnosti)<br />

della pittura, quando anche il più grande genio<br />

pittorico era in realtà autodidatta e naïf. Perciò l’arte<br />

jugo-naïf divenne “la moda contro la moda” nel mondo<br />

dell’arte, un fronte di resistenza a fianco del comune<br />

appassionato di pittura contro le pretese intellettuali<br />

sempre più astruse che andavano aggregandosi fra<br />

loro in una sorta di “terrorismo dell’astrazione”.<br />

Esperti come Žakovski videro in Belgrado la “capitale<br />

mondiale dell’arte naïf” già prima che lo stile si<br />

affermasse per la prima volta all’Esposizione Mondia-<br />

le del 1958 a Bruxelles, perché, com’egli disse, “la Jugoslavia<br />

ha non solo raggiunto i risultati migliori nello stile naïf in<br />

pittura, ma ha anche mosso i primi passi per l’affermazione<br />

dell’universalità di quel fenomeno”.<br />

In effetti, nel patrimonio della pittura serba,<br />

a partire dagli affreschi del XIII secolo, vediamo<br />

l’arte bizantina ai suoi massimi livelli, un’eredità<br />

che si somma all’origine stessa dei naïf (Henri<br />

Rousseau, detto il doganiere, era francese, ma<br />

avrebbe dovuto essere serbo). Per quanto i decenni<br />

che videro la fioritura dell’arte naïf siano passati,<br />

e nonostante il fatto che la sua autenticità sia<br />

stata sempre più usurpata da intenti commerciali<br />

e manierismo folkloristico, è un fatto riconosciuto<br />

che l’arte naïf è nata in questa terra: dipinti<br />

eseguiti da chi pittore non era, scaturiti<br />

dalle fonti ancora fresche che ispirano “l’anima<br />

della gente”, ancora col profumo di “fiori e piante”,<br />

persino nei quadri, trasmettendo ciò che di<br />

meglio si nasconde “in profondità nel popolo”.<br />

Allo stesso modo in cui i pittori naïf scossero<br />

il pubblico mondiale, la musica delle bande di ottoni<br />

di Guča lo ha sconcertato nell’ultimo decennio:<br />

quando Miles Davis, uno dei più grandi musicisti<br />

jazz del mondo, ascoltò la “tromba serba”,<br />

commentò: “Non mi sarei mai immaginato che<br />

si potesse suonare la tromba in questo modo”.<br />

I due fenomeni si assomigliano. Essere autodidatti.<br />

Dimensione del villaggio. Anima popolare.<br />

Talento in luogo dell’istruzione. Distanza e isolamento<br />

dalle tendenze musicali e artistiche mondiali.<br />

Scarsa cultura (“I miei libri di scuola sono i<br />

247


Hieronymus Bosch alla maniera dei pittori contadini<br />

serbi: “Sogno”, quadro di Ljubiša Jovanović Kene


Janko Brašić, “Battaglia contro i Turchi”; Petar Nadjapati “Kukac”,<br />

“Ritratto di famiglia”; Cvetin Belić: “Monna Lisa con monete d’oro<br />

miei campi, i miei libri, la mia vita”, dice Vukosava Andrić).<br />

Fede nella tradizione spirituale del proprio ambiente. Un<br />

senso di appartenenza etnica.<br />

Tradizione come ispirazione. Universalità che si raggiunge<br />

tuffandosi nel locale. Onestà. Emozione. Originalità. Paura<br />

della mercificazione. Rischio di cadere in un manierismo<br />

folkloristico stereotipato. Organizzazione<br />

di gruppi spontanei,<br />

le cosiddette “scuole”<br />

Emerik Feješ: “Venezia”<br />

bandistiche o di pittura: fatto<br />

che non solo ha un’importanza<br />

pratica, ma testimonia<br />

i sentimenti delle persone<br />

comuni, che si distinguono<br />

dagli altri solo grazie al talento<br />

“dato da Dio”, mostrando<br />

che l’arte non è solo sforzo<br />

individuale e affermazione<br />

personale, ma è piuttosto<br />

una testimonianza collettiva,<br />

la comprensione del destino<br />

comune ed espressione della<br />

consapevolezza di tutti, dove<br />

non c’è molto spazio per “la<br />

vanità creativa”.<br />

All’ombra del monte Suvobor, dal villaggio di Pranjani,<br />

il poeta Obrad Vasiljević per descrivere se stesso in un verso<br />

usò l’espressione “per lo più a piedi nudi”.<br />

In Serbia, il primo pittore “per lo più a piedi nudi” fu probabilmente<br />

Janko Brašić di Oparić, che nel 1937, in un’aula<br />

delle scuole elementari, organizzò la sua prima mostra, che<br />

non sfuggì alla curiosità dei<br />

giornali.<br />

Dopo la guerra, Janko raccolse<br />

i pittori della sua zona<br />

nella cosiddetta “Scuola di<br />

Oparić”. Nel 1960, quando fu<br />

fondata la Galleria dei pittori<br />

autodidatti a Jagodina, lui era<br />

presente. Oggi è diventata il<br />

Museo dell’Arte Naïf. I primi<br />

quadri raccolti nel museo furono<br />

opere di Janko Brašić e<br />

di altri pittori della “Scuola di<br />

Oparić” (quasi tutti gli esempi<br />

di stile naïf che illustrano<br />

questo volume appartengono<br />

a quella galleria).<br />

Per lo “Zio Janko”, nomignolo<br />

con cui divenne noto,<br />

249


Dal manierismo folklorico del “Naїf rurale”,<br />

passando per le minuzie e la perfezione tecnica del “Realismo<br />

Naї f ” di Sava Stojkov, all’originale invenyione astratta di<br />

Ilija Bašičević-Bosilj: Bosilj, San Giorgio che uccide il drago<br />

250<br />

si avverarono tutti i sogni di un pittore. Viaggiò per il<br />

mondo in molte città con i suoi quadri, anche se trascorse<br />

tutta la vita nella “sua Oparić”, rifiutando le offerte di<br />

trasferirsi in città; vinse molti premi, era rispettato anche<br />

nel suo villaggio; imparata la tecnica dell’affresco da<br />

un pittore russo, decorò la chiesa del monastero di Tresije<br />

sul monte Kosmaj. E infine, dopo molti “tentativi”,<br />

creò un quadro grandioso, La battaglia del Kosovo, che<br />

progettò perché fosse il suo “testamento come pittore”,<br />

e così lo considerò.<br />

Un altro pittore della tradizione dei pittori naïf fra<br />

le due guerre subì un autentico destino da “pittore maledetto”<br />

e provò sulla sua pelle che dannazione terribile<br />

possano essere il talento e l’irrequietezza creativa,<br />

specialmente in ambiente primitivo. Peter Nađapati,<br />

figlio di un povero cocchiere di Bačka Palanka, ebbe il<br />

soprannome di “Kukac” e fu ricordato in molte kafana<br />

(osterie) del luogo. Sprecò il suo grande talento dipingendo<br />

contadini per farsi pagare una bevuta. Vagabondava<br />

per i campi fermandosi alle varie salaš (fattorie)<br />

dove faceva i ritratti agli agricoltori ricchi in cambio<br />

di vitto e alloggio, umiliandosi fino a dipingere il loro<br />

maiale o bue preferito. Debilitato dall’alcol, fu trovato<br />

morto nella stalla di suo padre, sdraiato su un covone.<br />

Rimane di lui solamente una fotografia sfuocata:<br />

è in piedi con una camiciabianca abbottonata fino al<br />

collo, il cappello tirato giù sugli occhi, la faccia lunga<br />

e magra con le chiare caratteristiche di uno straniero.<br />

Kukac sbircia da sotto l’orlo del cappello ed ha gli occhi<br />

fissi sulla macchina fotografica (era probabilmente una<br />

situazione imbarazzante poiché egli, un pittore, doveva<br />

accettare il fotografo come ritrattista). Quello che è<br />

strano è che il suo sguardo dà ancora l’impressione di<br />

essere rivolto verso “niente” o addirittura da qualche<br />

parte “dietro”. Labbra carnose, senza l’accenno di un<br />

sorriso, neppure un sorriso triste o amaro o impotente,<br />

o il sorriso con “senza espressione” del giocatore di<br />

poker: un uomo chiamato Kukac, presente e assente<br />

allo stesso tempo, proprio come le immagini dei famosi<br />

borghesi della Vojvodina, rigidi in posa, che dipinse in<br />

alcuni dei rari ritratti conservati fino ad oggi, di solito<br />

privi di firma, consegnati prima a coloro che li avevano<br />

commissionati e poi all’oblio.<br />

Uno dei fondatori dell’arte naïf serba, Cvetin Belić,<br />

del paese di Kuzmin in Srem, “mise in mostra” i suoi<br />

quadri per le strade di Belgrado, e chi sa cosa sarebbe<br />

rimasto della sua opera se non avesse incontrato Siniša


Paunović, giornalista e collezionista: tutto ciò che abbiamo<br />

di Cvetin è stato acquisito e conservato da questo giornalista<br />

del giornale “Politika”. Purtroppo Cvetin fu portato in un<br />

campo di concentramento nel 1942. Dopo il ritorno dalla<br />

Polonia, dall’inferno, si ammalò e trascorse gli ultimi anni<br />

di vita in un sanatorio in Slovenia. Il suo nome, Cvetin, deriva<br />

dalla parola serba che significa fiore. I fiori nella sua vita<br />

spinosa, come in una crudele barzelletta, furono presenti<br />

solamente come parte del suo nome.<br />

La sua opera più importante, Monna Lisa coi ducati ritrae<br />

una cupa figura femminile, con il rigido “sorriso misterioso<br />

di Leonardo Da Vinci”, ma con occhi attoniti (la paura<br />

in quegli occhi appare evidente solo a noi?), spenti e cupi,<br />

che connotano il suo creatore ancora oggi: quest’uomo, nella<br />

sua vita, era uno di quelli “già visitati dalla morte”.<br />

Al polo opposto di quest’anima torturata c’era un personaggio<br />

grande e famoso, Emerik Feješ, che durante la vita<br />

collezionò cartoline di città straniere come altri collezionano<br />

francobolli (la propensione per gli oggetti piccoli potrebbe<br />

essere derivata dalla sua professione di fabbricante<br />

di pettini e bottoni). Dipinse quadri di luoghi che non aveva<br />

mai visitato, usando le cartoline come ispirazione. Dalla<br />

sonnolenta Novi Sad, sul cui stemma compare un piccione,<br />

nel suo appartamento, che era uguale a quello di mille vicini,<br />

Feješ viaggiò per tutto il mondo, cartolina dopo cartolina.<br />

Emerik si divertiva ad ascoltare “la musica del mondo”:<br />

gondole veneziane navigavano sulla sua modesta tovaglia di<br />

cucina, piccioni parigini tubavano, treni giapponesi correvano,<br />

gli imam dei minareti di Sarajevo intonavano canti.<br />

Tutti i luoghi lontani gli erano vicini. Si dice che in quest’uomo<br />

si nascondessero in realtà una persona avventurosa ed<br />

un viaggiatore, un eterno Colombo, che scopriva in continuazione<br />

nuove città, “componendole” con case multicolori<br />

sotto tetti color rosso intenso, “assemblando” puzzle di<br />

pittura multicolore. Se c’è un motivo recondito alla base,<br />

potrebbe essere l’unione del generale e del collettivo (una<br />

città vista come un alveare dalla struttura a nido d’ape e api<br />

umane che volano sopra di essa). Dipingeva piccole finestre<br />

con colori chiari, piccoli balconi, linee bianche a zigzag per<br />

rappresentare le tegole sui tetti curvi, mettendo qua e là delle<br />

torri a richiamare i castelli delle fiabe delle sue letture<br />

infantili. In questo modo cantò una filastrocca sulla<br />

ricchezza e la bellezza del mondo, un canto veramente<br />

commovente e naïf. E pieno di colori.<br />

Ma nelle opere dei suoi successori, la sua “variopinta<br />

ricchezza di colori” si tinse di nero.<br />

Come sono gioiose le immagini dei<br />

Fra il Naїf e l’iperrealismo: Sava<br />

Stojkov, “Con una bottiglia di<br />

rakija” (particolare)<br />

251


Dragiša Bunjevački:<br />

“Autoritratto”


Ljubiša Jovanović Kene: “Onnipotenza”


cimiteri e dei funerali di paese nei quadri dei pittori naïf degli<br />

anni Sessanta! Questi quadri esprimono la schietta filosofia<br />

contadina che ci comunica che la vita continua nonostante<br />

la morte, e che la bellezza incantevole della vita trionfa; la<br />

filosofia delle commemorazioni paesane dei morti, incontri<br />

che di solito iniziano nella tristezza, poi divengono più distesi<br />

grazie al cibo e al bere, e infine terminano con il canto (“E la<br />

canzone preferita del nostro amico morto era…”).<br />

Janko Brašić: “Il ritratto di madre”<br />

254<br />

Il pubblico occidentale rimase “costernato e colpito”<br />

dall’energia e dagli oceani di ottimismo di questi pittori autodidatti,<br />

ma non era abituato a certi oscuri retaggi dell’anima<br />

umana; molti vennero a conoscenza dell’usanza, tipica<br />

della Serbia orientale, di organizzare il proprio funerale col<br />

compianto funebre e la bara vuota, nascondendosi per vedere<br />

chi verrà a piangere il “defunto” quando morirà sul serio;<br />

poi, nascosto sotto la tavola, ascoltare i discorsi in ricordo<br />

del “morto”. Chi si fosse recato in un cimitero del Dragačevo<br />

dove, non tanto tempo fa, in occasione della commemorazione<br />

annuale dei defunti a novembre, sono state chiamate<br />

bande di ottoni e la gente ha ballato il kolo (una danza tradizionale)<br />

fra i monumenti e le croci, si sarebbe potuto rendere<br />

conto che i quadri naïf con funerali, cippi e cerimonie<br />

funebri non hanno in realtà alcunché di scioccante, e soprattutto<br />

che la nuova tonalità della pittura (che potremmo<br />

definire con un ossimoro un “nero multicolore”) non è una<br />

finzione ma un’immagine reale del folklore dei Balcani.<br />

Oggi che molti dei fiori della “primavera jugoslava” sono<br />

caduti (oltre ai numerosi centri di arte naïf in Serbia, nella<br />

“mappatura” mondiale dell’arte naïf un posto speciale apparteneva<br />

alla Croazia, rivolta verso il mercato occidentale<br />

e favorita dai prezzi dei quadri: la “Scuola Generalić Hlebinska”,<br />

la più antica, fu la prima a raggiungere l’apice e anche<br />

la prima a scivolare nel manierismo), diventa più chiaro<br />

che l’arte naïf fu realmente uno spazio libero per lo spirito<br />

umano e la creatività in un periodo in cui v’era ancora l’ambizione<br />

ideologica di creare “un uomo nuovo”, in cui l’ombra<br />

rossa del realismo socialista, benché da lungo tramontato,<br />

si stendeva ancora sullo spazio culturale jugoslavo, e v’era<br />

ancora un certo disagio di fronte ad un’arte fine a se stessa,<br />

che non doveva esprimere contenuti sociali, ma poteva essere<br />

spiegata solo da se stessa. E gli impulsi creativi dell’arte<br />

naïf erano ciechi ai “superiori” fini sociali; il movimento<br />

Naïf non aveva bisogno di mentire su se stesso o di adulare<br />

nessuno. Le fonti di quell’arte e quei bisogni creativi erano<br />

misteriosi persino per i suoi rappresentanti (e specialmente<br />

per loro!): che altro poteva rappresentare l’arte naïf, nel suo<br />

significato fondamentale, se non “l’art pour l’art?”.<br />

A quell’epoca, senza alcuna intenzione, né buona né<br />

cattiva, gli artisti naïf conservarono lo spirito tradizionale<br />

serbo, profondamente conservatore, dimostrando effettivamente<br />

come fosse sottile il rosso spessore dell’ideologia<br />

comunista sull’anima delle persone, come l’anima della<br />

gente continuasse a vivere di mitologia nazionale, religione,<br />

musica suonata con il gusle (lo strumento nazionale) e poemi<br />

epici; sembra quasi che essi abbiano intenzionalmente


Dragiša Stanisavljević: “Gesù Crocifisso” e “Astronauti”


256<br />

Dettagli dei dipinti di Ferenc Pataki,<br />

Marko Denda e Milovan Lazarević<br />

sabotato spiritualmente l’ideologia totalitaria dominante che<br />

proibiva tutto ciò e lo considerava sospetto e arretrato.<br />

“Dormi, Serbia; sotto la coperta dell’infinito” scrisse Dobrica<br />

Erić, “il mio cuore veglia su di te”.<br />

Le profonde radici della pittura naïf dimostrarono che il fenomeno<br />

della creatività delle persone non era un’erbaccia che<br />

si potesse estirpare come niente fosse. Nonostante ciò, molti<br />

intellettuali parlarono con odio del “dilettantismo”, del “kitsch”<br />

(la lotta contro il kitsch insito nella gente fu, all’epoca, il movimento<br />

ufficiale portato avanti dall’élite intellettuale serba, la<br />

cosiddetta “intellighenzia onesta”), del “decorativismo contadino”<br />

di quest’arte rurale le cui radici non erano facilmente rintracciabili:<br />

all’inizio essa fu sottovalutata in modo ingiustificato,<br />

poi non accettata dalla critica, e poi fu subordinata alle idee<br />

sociali imperanti sulla classe lavoratrice come forza guida della<br />

società, considerata persino una sorta d’introduzione dell’ideologia<br />

dell’“autogoverno” nell’arte della pittura.<br />

Il fenomeno degli artisti naïf che ebbero i primi trionfi<br />

all’estero, e solo più tardi furono ampiamente accettati nel<br />

loro stesso paese (al modo in cui agli intellettuali pieni di sé<br />

piace adulare la propria gente), richiederebbe un’analisi particolare,<br />

ma invece ci viene alla mente questo fatto: quando al<br />

museo sulla confluenza della Sava con il Danubio a Belgrado<br />

fu allestita una mostra d’arte americana contemporanea, accanto<br />

alla Pop Art, a Warhol, Vasarely e Pollock, c’erano opere<br />

in stile primitivo di artisti americani, principalmente appartenenti<br />

a gruppi etnici marginalizzati di nativi americani e alla<br />

popolazione di colore. Che bella sorpresa per l’élite serba che,<br />

sprezzantemente, non si riconosceva “nell’odore” del villaggio<br />

e nel “colorismo kitsch” dei quadri contadini, a cui apparteneva<br />

più che a qualsiasi altra cosa al mondo.<br />

In Serbia, lo stile di pittura naïf fiorì a Kovačica, in Uzdin,<br />

e oltre alla già ricordata scuola di Oparić di Brašić, c’era la<br />

cosiddetta Scuola d’Arte della Morava, e Milić di Mačva fondò<br />

la Scuola di Mačva, basata sui principi delle botteghe d’arte<br />

medievali.<br />

Un ruolo importante nello sviluppo del Naïf serbo lo ebbero<br />

gli Slovacchi di Kovačica, che espressero la loro identità nazionale<br />

nei quadri, affidandosi alle proprie tradizioni etniche<br />

di uso del colore e di pittura, e i Rumeni di Uzdin, che vi si erano<br />

stabiliti all’inizio del XIX secolo. Questa è la regione dove<br />

si sono mantenute forme molto antiche di arte folkloristica,<br />

vestiti e ricami che erano esempi di uso del colore per i pittori<br />

autodidatti (non è una coincidenza che le donne prevalgano<br />

fra gli artisti di spicco di questa scuola).<br />

L’evidente apporto della tradizione dell’arte folkloristica<br />

slovacca e rumena alla pittura naïf serba è un esempio che


Ispirazioni della pianura: Una delle pittrici dalla campagna di Kovačica in Banat, il famoso centro della pittura naïf<br />

mostra come le differenze culturali, con punti di partenza<br />

estetici simili, possano effettivamente intrecciarsi e arricchirsi<br />

a vicenda solo quando sono libere e sicure della loro<br />

identità (quando non la devono dimostrare continuamente)<br />

e quando sono profondamente radicate nelle loro tradizioni:<br />

al momento questa esperienza è molto concreta per le zone<br />

multietniche della Serbia, dove tali esperienze sono state<br />

rare in tempi recenti. La ragione di ciò è stata, nella maggior<br />

parte dei casi, l’insicurezza dei Serbi circa la salvaguardia<br />

della loro identità etnica, che ha portato o alla rinuncia o<br />

all’isolamento xenofobo della cultura nazionale, che va di<br />

pari passo con la sopravvalutazione delle proprie qualità, o<br />

ad entrambe le cose – ed esibire l’identità etnica era considerato<br />

dai comunisti serbi uno dei più grandi peccati.<br />

Ma gli artisti naïf, che si trovavano “radicati fra la gente”<br />

e facevano affidamento anche su di una secolare immagine<br />

conservatrice del mondo, non avevano problemi di questo<br />

tipo. Sapevano chi erano e non potevano essere disorientati.<br />

Chi si guadagna la vita arando, spesso capisce di più di chi<br />

si guadagna la vita leggendo. Nei villaggi dicono che quelle<br />

persone “hanno imparato troppo”!<br />

Lo sviluppo del Naïf serbo, una strada per aspera ad<br />

astra, fu sorprendentemente veloce: non ci vollero neppure<br />

due decenni perché questo fiume sfociasse nell’oceano della<br />

pittura mondiale. In solo pochi anni, dai primitivi disegni<br />

“da cavernicoli” del naïf “puro”, alla ricerca della migliore<br />

espressione di sé, questo stile di pittura arrivò all’iperrealismo<br />

di Sava Stojkov, la cui tecnica pittorica era irraggiungibile<br />

per molti pittori accademici.<br />

Non è una coincidenza che Ilija Bosilj sia stato soprannominato<br />

il Miró rurale, con le sue visioni astratte di straordinaria<br />

fantasia, espresse con macchie di colore (Bosilj dipingeva<br />

solo con le mani, e sempre durante l’inverno, quando<br />

i palmi ruvidi delle sue mani, induriti dal lavoro estivo nei<br />

257


Milan Rašić: “Funerale”


Petar Ristić: “Sogno di un suonatore di flauto”<br />

campi, “si ammorbidivano un po’”), macchie in forme zoomorfe<br />

e antropomorfe, visioni bidimensionali, di solito con<br />

un’accentuata “doppiezza”.<br />

Nell’abbondanza di visioni, come quelle del pittore Kene,<br />

era facile riconoscere “lo Hieronymus Bosch contadino”, e le<br />

esperienze del fauvismo erano facili da rintracciare in molti<br />

pittori, così come molti di loro “incontrarono” anche l’impressionismo<br />

lungo la loro evoluzione, cercando di esprimere<br />

in qualche modo i raggi di luce che per loro costiuivano una<br />

sfida. I seguaci serbi di Henri Rousseau “Le Douanier” smisero<br />

presto di essere naïf, aggiungendo ai loro alberi selvaggi i<br />

rami della pittura accademica, proprio come molti dei nostri<br />

pittori incorporarono nella loro estetica l’idea nuova dei pittori<br />

naïf (Stanić per esempio, per non parlare di Milić di Mačva,<br />

che è sempre stato un pittore naïf “per lo più a piedi nudi”<br />

nonostante la sua conoscenza della pittura e la sua cultura).<br />

Al suo apice, l’arte naïf della Serbia, la migliore, che non<br />

accettò di riprodurre se stessa per le esigenze della moda<br />

artistica (e i pittori naïf erano molto di moda nel mondo)<br />

iniziò a prendere direzioni sempre più divergenti, generando<br />

grandi individualità pittoriche. Procedendo in tale direzione,<br />

l’arte naïf si autocondannò a morte. Proprio come il<br />

villaggio da cui aveva avuto origine, l’arte naïf morì.<br />

L’unica cosa che si poteva fare era sbalordire il mondo,<br />

per l’ultima volta, con il numero delle sue ramificazioni.<br />

Fu uno sbaglio fin dall’inizio distinguere i pittori fra naïf<br />

ed esperti, fra istruiti e autodidatti, fra dilettanti e professionisti?<br />

Se siamo d’accordo che è sempre esistita solo un’arte<br />

della pittura, vorremmo elogiare sommessamente anche se<br />

tardi e quando non ce n’è più bisogno, i nostri pittori naïf:<br />

perché non erano per niente naïf.<br />

Quando i Serbi capiranno fino in fondo, attraverso gli<br />

spessi strati dei pregiudizi intellettuali, la loro storia com’è<br />

stata raccontata dai pittori naïf, non saranno più disorientati<br />

rispondendo alla domanda: che tipo di persone siamo noi<br />

serbi? Multicolori!<br />

259


Le luci della capitale: La fortezza<br />

di Belgrado, la confluenza


Palic


Un viaggio insolito di Srba Janković,<br />

famoso giornalista che si occupa<br />

di turismo, uno di veri<br />

professionisti e molto di più<br />

Taccuino di viaggio<br />

Palić – Sulla spiaggia del lago di Palić, all’inizio del secolo<br />

scorso, per seguire i dettami della morale del tempo,<br />

gli uomini e le donne nuotavano in zone separate. Vi erano<br />

due aree balneari, una per gli uomini e una per le donne.<br />

Aree appartate per le nobildonne e, naturalmente, per<br />

i gentiluomini. Le due zone della spiaggia erano separate<br />

da un divisorio in legno, più evidente nell’acqua che sulla<br />

spiaggia, ed avevano cabine per cambiarsi, docce e un<br />

casotto per i parasole e le sdraie. Col passare del tempo la<br />

zona degli uomini sparì e quella femminile fu trasformata<br />

nella stazione termale di Palić.<br />

Atlantide – La roccaforte di Bodrog, sede del distretto,<br />

con il suo famoso monastero, scomparve tre secoli fa nelle<br />

paludi presso il Danubio. Accadde al tempo in cui Sombor,<br />

come Venezia, era disseminata su 17 isole. Tutto intorno<br />

vi erano acquitrini, paludi, il vecchio alveo del Danubio e<br />

il nuovo corso del grande fiume. Bodrog fu sommersa nel<br />

corso di un secolo. Non ci fu scampo per la città, che scomparve<br />

proprio come Atlantide. Ma Sombor sopravvisse. Un<br />

centinaio di anni dopo si scavò il Gran Canale di Bač, da<br />

Bezdan al Tibisco, nei pressi di Senta. Il Danubio fu canalizzato<br />

nel suo alveo e le paludi scomparvero, per lo meno<br />

qui. Dove un tempo sorgeva l’antica Bodrog, dopo molti<br />

anni fu fondato l’insediamento di Monoštor che, in ungherese,<br />

significa “monastero”. Alla metà del secolo scorso il<br />

canale che andava da Bezdan a Senta costituiva l’ossatura<br />

del sistema idrico del canale Danubio-Tibisco-Danubio.<br />

Sombor – Uno splendido palazzo, sede dell’antico distretto<br />

(o “zupania”) di Sombor, con 201 stanze, costruito<br />

nel 1808 su quella che era un tempo l’isola di Pandur. Il<br />

palazzo dell’amministrazione del distretto è poi diventato<br />

il municipio. Le sedute delle autorità municipali si svolgo-<br />

Sombor<br />

263


I vigneti di Fruška gora: Cantina a Sremski Karlovci<br />

no nella sala del museo, decorata di stemmi, che conserva<br />

anche il dipinto a olio più grande di Pannonia, La battaglia<br />

di Senta di Ferenc Ajzenhut, che misura sette metri di larghezza<br />

e quattro in altezza.<br />

Vrdnik – Milica Stojadinović-, celebre poetessa serba<br />

di straordinaria bellezza, visse durante il XIX secolo<br />

a Vrdnik sul monte Fruška (Fruška Gora). Essa si recava<br />

spesso a Vienna e fu amica intima di grandi personaggi<br />

serbi dell’epoca. Fra gli altri frequentò anche Njegoš. I loro<br />

furono incontri cordiali, forse dovuti a qualcosa di più che<br />

a una reciproca simpatia. Una volta anche il vescovo Rade<br />

ebbe a dire, lasciandosi prendere dal sentimentalismo: “Voi<br />

siete una poetessa, io un poeta, se non fossi un monaco, il<br />

Montenegro avrebbe la sua principessa”.<br />

Sremski Karlovci – Il Bermet è un vino dolce da dessert,<br />

rosso, denso e aromatico. Lo si beve spesso dopo pranzo o<br />

dopo cena in piccoli bicchieri, come il Cognac. Questo vino<br />

è prodotto secondo una ricetta esclusiva, con uve coltivate<br />

nei vigneti dei soleggiati pendii orientali che si affacciano<br />

sul Danubio, e precisamente nella zona di Stražilovo presso<br />

Sremski Karlovci, nelle vicinanze del luogo dove, nel III<br />

secolo d.C., l’imperatore romano Probo, nato a Sirmium,<br />

l’attuale Sremska Mitrovica, piantò la prima vite. Il Ber-<br />

264<br />

met della zona di Karlovac nei secoli passati ha preso parte<br />

a molti eventi della storia della Serbia durante il dominio<br />

austriaco, poiché solo in occasioni speciali veniva portato<br />

al palazzo dell’imperatore a Vienna. Lì era altamente apprezzato<br />

e consumato in grande quantità. Oggi il Bermet è<br />

consumato per la maggior parte dai turisti che vengono a<br />

visitare la famosa Sremski Karlovci.<br />

Montagna – Spesso si pensa che il Fruška Gora, con la<br />

sua cima Crveni Čot “il Čot rosso” a 539 metri sul livello<br />

del mare, sia la montagna più alta della Vojvodina. Invece<br />

questo titolo spetta alla Vršačke Planine (o Montagna di<br />

Vršac), che si trova fra le colline di Gudurica, la più alta<br />

delle quali arriva a 641 metri sul livello del mare, 102 metri<br />

più in alto del Crveni Čot.<br />

Fiumi – Di tutti e sette i fiumi che solcano la Vojvodina,<br />

neppure uno ha origine in quel territorio. La Serbia, includendo<br />

la Vojvodina, è il quinto paese bagnato dal Danubio.<br />

Il fiume Sava proviene dalla Slovenia e, attraverso la Croazia,<br />

bagna la Vojvodina e a Belgrado si unisce al Danubio.<br />

Il fiume Tisa (Tibisco) ha la sorgente in Ucraina, attraversa<br />

l’Ungheria, arriva in Vojvodina, si getta nel Danubio nei<br />

pressi di Stari Slankamen e, pochi chilometri prima, le acque<br />

del fiume Begej si uniscono alle sue vicino a Titel. I


fiumi Tamiš, Karaš e Nera provengono dalla Romania gettandosi<br />

nel Danubio vicino a Pančevo e Bela Crkva.<br />

Kikinda – Narvik è il nome dell’albergo più grande e<br />

più bello di Kikinda, ed è anche il nome di una città norvegese<br />

nella zona del circolo polare artico. L’hotel è stato<br />

chiamato così perché durante la seconda guerra mondiale<br />

molti prigionieri serbi furono mandati a languire oltre il<br />

circolo artico, sopravvivendo solo grazie all’assistenza offerta<br />

loro dai norvegesi per resistere al freddo e alla fame.<br />

Questo spiega l’amicizia di vecchia data fra Kikinda e Narvik.<br />

Anche il Norwegian House, un altro hotel ristorante<br />

aperto a Gornji Milanovac, sta a testimoniare l’amicizia fra<br />

serbi e norvegesi.<br />

Vršac – Nella città di Vršac si trova una bella casa<br />

nota come “Alle due pistole”, tutelata come monumento<br />

storico. Si dice che la casa debba il suo nome al fatto che<br />

Karađorđe, in seguito alla Prima Rivolta Serba, sconfitto e<br />

senza un soldo, dovette pagare l’affitto con le due pistole<br />

che lasciò al proprietario della casa.<br />

Il Sahara d’Europa – Nei pressi della città di Pančevo<br />

nel Banato, che copre una superficie di quasi 30.000 ettari,<br />

è situato il terreno sabbioso di Deliblat (Deliblatska<br />

Peščara), che all’inizio del secolo scorso era noto come il<br />

“Sahara europeo”. Questo è l’unico deserto del Vecchio<br />

Continente in cui soffiano venti tempestosi che spargono<br />

sabbia in gran quantità. Circa sessant’anni fa furono appositamente<br />

piantati degli alberi, causando così la scomparsa<br />

della sabbia del “Sahara”. Oggi questa è un’area protetta<br />

e vi è stata creata una bella oasi ecologica, specialmente<br />

nella zona chiamata Devojački Bunar (il Pozzo della Fanciulla),<br />

ora rinomata per i suoi prati da picnic. All’estremità<br />

orientale vi sono vigneti e frutteti con piante adatte alle<br />

Particolare del mosaico della Mediana, Niš<br />

Torre di Vršac<br />

pendenze sabbiose, che forniscono raccolti di alta qualità,<br />

come pesche o pere Williams che arrivano a pesare mezzo<br />

chilo ciascuna.<br />

Piazza Terazije – La fontana in pietra di piazza Terazije<br />

a Belgrado, situata davanti al Moscow Hotel, uno dei<br />

monumenti più antichi nel cuore del centro della città, fu<br />

costruita nel 1860 dal maestro France Lorraine. Successivamente,<br />

nel 1911, la fontanella pubblica fu trasferita a<br />

Topčider. Fu rimessa di nuovo al suo posto davanti al Moscow<br />

Hotel negli ultimi decenni del XX secolo.<br />

I cavalli – Le statue bronzee dei cavalli davanti all’ingresso<br />

principale del Parlamento di Serbia furono modellate<br />

da Toma Rosandić. Il tema dell’opera scultorea si ispira<br />

a un verso della canzone popolare I cavalli neri stavano<br />

danzando cui si riferisce anche un motto: “È un compito<br />

difficile spingere un cavallo dentro l’Assemblea, ma è ancor<br />

più difficile tirarne fuori uno”.<br />

Palilula – Durante il dominio ottomano a Belgrado<br />

era proibito fumare poiché questo costituiva un pericolo<br />

a causa dei molti edifici costruiti interamente in legno.<br />

Solo dopo aver oltrepassato la zona dove s’incrociano le vie<br />

Takovska e Svetogorska, era possibile accendere la pipa.<br />

265


La forza del centro: Piazza<br />

della Repubblica, Belgrado


Dunque il Comune di Palilula, che in serbo significa “accendere<br />

la pipa”, deve il suo nome a questo fatto.<br />

La patata – La prima patata fu portata in Serbia da Dositej<br />

Obradović nel 1811. I primi che assaggiarono le patate,<br />

fra cui i membri del Consiglio del governo di Karađorđe,<br />

non ne furono particolarmente entusiasti, ma non lo dettero<br />

a vedere all’uomo più istruito di Serbia.<br />

La lacrima di Jagoda – Jagoda, una pastorella, perse<br />

le sue pecore sul monte Kopaonik. Cercando il suo gregge<br />

piangeva amaramente. In ogni punto in cui cadevano le<br />

sue lacrime spuntava un fiore bluastro. Il nome popolare<br />

di questo fiore è “lacrima di Jagoda”, che gli scienziati<br />

hanno incluso fra le stelle alpine. Sul monte Kopaonik, co-<br />

268<br />

Citta di Soko<br />

munque, crescono 850 specie e sottospecie di piante erbacee,<br />

di cui 91 endemiche. La maggior parte di esse cresce<br />

nelle zone di Srebrenica e Jarma, nella regione di Medođe.<br />

Il fiore della stella alpina, rara pianta endemica delle montagne<br />

europee, è simbolo dell’alpinismo.<br />

Il pranzo in onore dell’imperatore Dušan – Nel 1336,<br />

in quella che per il clima montano era una giornata calda<br />

del mese di agosto, l’imperatore Dušan si fermò con il suo<br />

seguito sul monte Kopaonik. I padroni di casa servirono<br />

il cibo sul tavolo da pranzo: agnello allo spiedo, ciliegie<br />

fresche delle terme di Josanicka, uva di Župa e vino freddo.<br />

Dušan il Forte ne fu un po’sorpreso. I montanari gli<br />

spiegarono che gli agnelli erano nati in ritardo a causa del<br />

lungo inverno, le ciliegie erano maturate in ritardo per via<br />

del freddo, che l’uva era venuta in anticipo nella soleggiata<br />

Župa, mentre il vino freddo era il risultato della presenza<br />

della neve sul monte Kopaonik anche in agosto.<br />

Loznica – C’è chi dice che le terme di Koviljača abbiano<br />

derivato il loro nome dalla delicata erba, soffice come<br />

una piuma, che cresce ai bordi del parco termale. Tuttavia,<br />

quando alla metà del XIX secolo Vuk Karađić giunse qui<br />

per curare la sua gamba malata, scrisse “Ci sono due sorelle,<br />

Vida e Koviljka, Vida ha costruito Vidojevića sul monte<br />

Cer e Koviljka, ha costruito Koviljača”.<br />

Terme di Prolom – Il nome è antico ed è collegato ai<br />

potenti venti di uragano che raramente, ma con estrema<br />

violenza, soffiavano qui spazzando via tutto e lasciandosi<br />

alle spalle solo devastazione. All’inizio questo fenomeno fu<br />

detto “rottura del tempo”, poi, per sottolineare la forza degli<br />

elementi scatenati si usò la nozione di “bomba”. Prolom<br />

era anche il nome del paese che si ritrovò nell’occhio del<br />

ciclone. Ecco dunque come nacque il nome di Prolom Banja.<br />

La natura, comunque, è stata anche generosa con questo<br />

luogo donandogli abbondanti sorgenti di acqua termale.<br />

Zlatibor – Fino alla metà del XIX secolo questa bella<br />

montagna, che si distingue per la sua aria cristallina<br />

e sana, era chiamata Rujno. In seguito venne in uso fra<br />

la gente l’altro nome, più appropriato. Il nome Zlatibor,<br />

dovuto al colore giallo dorato dei suoi pini, fu usato sempre<br />

più spesso per indicare questo monte. Oggi di quegli<br />

immensi boschi “dorati” resta ben poco, giusto poche<br />

piante, in numero quasi simbolico, per mantenere il nome<br />

della montagna.<br />

La Gola di Sićevac – Sulla strada per Niš, una volta un<br />

uomo di Pirot perse una moneta che cadde dritta dalle sue<br />

tasche in una fessura della roccia della montagna. Sebbene


Gola di Sićevac<br />

fosse di poco valore egli non intendeva rinunciarvi. Perciò<br />

prese un piccone e cominciò a scavare, scavare e scavare<br />

finché trovò il dinaro perduto. E si dice che è così che apparve<br />

la Gola di Sićevac nella quale scorre il verde fiume<br />

Nišava. Tutto sommato l’uomo di Pirot non era avaro, ma<br />

solo un po’ frugale.<br />

Un pollice – Nel XII secolo, nei boschi intorno a Niš,<br />

Nemanja, sovrano serbo, incontrò l’imperatore tedesco,<br />

Federico Barbarossa, che si stava precipitando a Gerusalemme,<br />

alle crociate, per difendere la tomba di Cristo dagli<br />

infedeli. In quell’occasione i due uomini di stato firmarono<br />

il trattato sul libero transito delle truppe cristiane. Stefano<br />

Nemanja firmò il trattato e Barbarossa vi appose come sigillo<br />

il proprio pollice in segno di approvazione.<br />

Le terme di Sokobanja – Un’insolita leggenda racconta<br />

la fondazione di Sokobanja. “Nei tempi antichi il<br />

potente feudatario della città fortificata di Soko stava cavalcando<br />

lungo un burrone. All’improvviso il cielo sopra<br />

il monte Ozren si fece buio, ci fu un lampo da Oštra Čuka<br />

(ovvero “la Piccola Collina Appuntita”) e poi un tuono,<br />

la terra tremò fino a Šiljak (la “Cima”) sul grigio monte<br />

Rtanj. Il cavallo impaurito indietreggiò e il cavaliere cadde<br />

perdendo i sensi. Allorché il signore della città di Soko riprese<br />

conoscenza gli parve di avere tutte le ossa rotte. Egli<br />

giaceva quindi aspettando di morire. Lentamente e faticosamente<br />

riuscì ad alzarsi così da non andare assetato all’altro<br />

mondo. Quando il signore bevve il primo sorso da un<br />

ruscello, fino a quel momento invisibile, la sua testa tornò<br />

lucida. Quando mise la mano destra in acqua, riacquistò le<br />

forze. Quando riuscì a vederlo, pur vestito di tutto punto<br />

con abiti sfarzosi, si bagnò nel ruscello e guarì immediatamente;<br />

cosicché, quando tornò in città, fece costruire delle<br />

case nei pressi della sorgente e presto si sparse la voce che<br />

quell’acqua era curativa e medicamentosa”.<br />

Le isole fluttuanti – Situato a mille metri sul livello del<br />

mare, con un lago, è l’unico posto in Serbia in cui il clima<br />

influenza la giusta proporzione fra globuli rossi e globuli<br />

bianchi, necessaria per l’equilibrio naturale dell’organismo;<br />

questo luogo ha quindi tutte le caratteristiche di una<br />

stazione climatica. Nel lago si trovano varie isole fluttuanti,<br />

che si muovono nell’acqua come barche; si tratta infatti<br />

di blocchi di terra coperti di rami, arbusti, erba e detriti,<br />

che non avendo radici attaccate al fondo del lago fluttuano<br />

come zattere.<br />

269


Lago di Vlasina


Il fiume Vrelo – Il fiume Vrelo nei pressi di Bajina<br />

Bašta, a valle della diga di Perućac sul fiume Drina, è anche<br />

noto come “il fiume lungo un anno”, visto che è lungo<br />

appunto 365 chilometri. La piccola sorgente scaturisce<br />

dalle rocce ai piedi del monte Tara, poi il fiumicello scorre<br />

attraverso la peschiera e riversa le sue acque in due laghetti<br />

più piccoli, infine si unisce al fiume Drina sotto forma di<br />

cascata. Sulla cascata è stato costruito un ristorante.<br />

Topola – Topola (ovvero “pioppo”), piccola ma rinomata<br />

città nella regione di Šumadija, deve il suo nome al frondoso<br />

albero che si trovava sul ciglio dell’incrocio di quattro<br />

strade (rispettivamente per Belgrado, Kragujevac, Rudnik<br />

e ·abac). Lì, vicino all’albero, solevano sostare i viaggiatori<br />

e le carovane. Successivamente sorse un insediamento che<br />

naturalmente prese nome dall’albero.<br />

Trampoli – Sul monte Homolje i pastori giocano a calcio<br />

sui trampoli, destreggiandosi con abilità, quasi fossero<br />

cresciuti su queste lunghissime gambe. A volte ballano sulle<br />

note di In alto i piedi al ritmo della musica suonata con<br />

la zampogna. Mentre sono ancora sui trampoli, setacciano<br />

le acque del fiume Pek, cercando le pagliuzze d’oro. Una<br />

volta l’anno, verso la fine di maggio, organizzano “il Rodeo<br />

dei pastori”, un festival in cui si celebrano le usanze popolari<br />

di Homolje.<br />

Cinque meraviglie – Nelle aree carsiche della Serbia<br />

cinque grotte meravigliose sono state predisposte per le<br />

visite turistiche. Fra esse la più bella è senz’altro la grotta<br />

di Resavska, nei pressi di Despotovac, seguita dalla grotta<br />

di Zlotska vicino a Bor, da quella di Ceremošnja vicino<br />

a Kučevo, dalla grotta di Potpećska nei pressi Užice e da<br />

quella di Rajkova non lontana da Majdanpek. Tutte queste<br />

meraviglie si trovano in aree ecologiche e dotate di strutture<br />

turistiche.<br />

La Džinka Fest – Ogni anno a settembre, come parte<br />

integrante della famosa manifestazione della Grigliata di<br />

Leskovac, una degustazione di carne alla brace, si tiene la<br />

cosiddetta Džinka Fest. Džinka è il nome che viene dato in<br />

loco al peperoncino fresco molto, molto piccante. È una<br />

sagra in cui soprattutto i giovani gareggiano fra loro a chi<br />

riesce a mangiare più džinka nel minor tempo. Vicino al<br />

palco dove si trovano i concorrenti ci sono delle ambulanze,<br />

nell’eventualità che ve ne sia bisogno. Non si sa mai.<br />

Perućac: Confluenza del fiume Vrelo (il fiume più corto della Serbia - soltanto 365 m) nella Drina<br />

271


272


Invocazione allo Spirito Santo: il monastero di Prohor Pčinjski


I capolavori della natura:<br />

La Gola di Ovčarsko Kablarska,<br />

Zapadna Morava


Su una collina che sovrasta la città di Topola<br />

si erge la chiesa di San Giorgio a Oplenac,<br />

la cui facciata rivestita di marmo è riconoscibile<br />

da lontano, simile a una cima innevata che svetta<br />

in un mare di verde. Con le sue colline ricche<br />

di foreste, frutteti e vigneti, Oplenac è il “cuore”<br />

della regione di Šumadija e la chiesa, dove sono<br />

sepolti quattro sovrani serbi, ne è il simbolo<br />

La chiesa<br />

di “Zio Pera”<br />

La chiesa di San Giorgio a Oplenac, edificata con varie<br />

interruzioni dal 1903 al 1930, è una chiesa-mausoleo<br />

reale, di tempi a noi vicini, ispirata alle chiese che furono<br />

costruite in gran numero in Serbia durante il Medioevo. Al<br />

suo interno, sotto le cupole, sono stati infatti sepolti quattro<br />

sovrani serbi della dinastia Karađorđević, accanto a molti<br />

membri di quella stessa famiglia reale. Una serie unica<br />

di ritratti di sovrani serbi e santi<br />

è stata raffigurata a mosaico<br />

sulle pareti interne<br />

della chiesa. La chiesa<br />

di Oplenac, situata nel<br />

cuore della Šumadija<br />

e riconoscibile fra le<br />

vette di Lovćen e Avala,<br />

simboleggia l’identità<br />

serba dalla metà del<br />

XIX secolo.<br />

Le proprietà di Karađorđe<br />

Petrović erano situate sotto<br />

la collina di Oplenac e fu proprio<br />

qui che scoppiò la Prima<br />

Insurrezione serba. Sulle pendici<br />

della collina, al di sotto dell’area i n<br />

cui questa chiesa sarebbe poi stata edificata, nel vigneto<br />

di Karađorđe, c’erano le trincee che servivano alla difesa<br />

della città di Karađorđe. Questa vetta, dal valore simbolico,<br />

era ricoperta di oplen, una particolare specie di quercia<br />

che era l’emblema del movimento e del progresso e che veniva<br />

anche impiegata per costruire i carri dei contadini.<br />

Impossessatosi del trono nel maggio del 1903 col Colpo<br />

di stato di Maggio, re Pietro I Karađorđević decise di<br />

rinnovare i possessi di suo padre, il principe Alessandro<br />

Karađorđević, e di suo nonno Karađorđe Petrović, e di<br />

costruire una chiesa dedicata a San Giorgio in cima alla<br />

collina di Mali Oplenac (337 metri sul<br />

livello del mare). In quello<br />

stesso anno a Oplenac<br />

furono fatte le misurazioni<br />

geodetiche, definiti<br />

l’orientamento<br />

e l’ubicazione della<br />

futura chiesa, per poi<br />

dar corso alla posa e<br />

alla consacrazione della<br />

prima pietra angolare.<br />

Venne formata una speciale<br />

commissione che ebbe<br />

come membri Mihailo Valtrović,<br />

Andra Stevanović e Dragutin<br />

Đorđević e che organizzò un concorso<br />

per il miglior progetto di una<br />

chiesa commemorativa, scegliendo come<br />

vincitrice l’opera dell’architetto Nikola Nestorović. Ne derivò<br />

però uno scandalo, poiché i critici affermarono che le<br />

opere di Nestorović mancavano di monumentalità e non<br />

277


Il re Petar Karađorđević era chiamato dai contadini serbi semplicemente “Zio Pera”. Quando Zio Pera riorganizzò i vigneti della<br />

proprietà Karađorđević a Oplenac, voleva comprare un pezzo di terra da un contadino per delimitare i vigneti. Incurante del<br />

prezzo che gli veniva offerto, il contadino rispose al re che la terra non era in vendita e che non c’era denaro che potesse soddisfarlo…<br />

Vennero a discussione e il contadino presentò un reclamo: egli fece accuse insistenti al tribunale contro il re. E il re perse!<br />

Dopo il verdetto della corte il contadino regalò la terra oggetto del contenzioso al suo vicino Zio Pera. <br />

davano abbastanza risalto allo stile serbo-bizantino. Perciò<br />

nel 1909 fu bandito un nuovo concorso. La commissione<br />

esaminatrice, in cui fu rimpiazzato solo Dragutin Đorđević<br />

dall’architetto Konstantin A. Jovanović, scelse il progetto<br />

del giovane architetto Kosta J. Jovanović.<br />

Il progetto di Jovanović per la chiesa prevedeva una<br />

pianta cruciforme, in cui tutti e quattro i lati della croce<br />

sono uguali e orientati verso i punti cardinali. Sopra ognuna<br />

delle sezioni della croce fu costruita una cupola e la sezione<br />

occidentale, dove si trova l’ingresso della chiesa, fu<br />

ampliata fino a somigliare a un piccolo vestibolo.<br />

La costruzione delle fondamenta iniziò il primo maggio<br />

1910 e i lavori proseguirono l’anno successivo, quando fu<br />

costruita la cupola. La facciata della chiesa fu rivestita di<br />

marmo bianco estratto dalla vicina collina di Venčac, dove<br />

era stata scoperta una cava di questo materiale. L’esterno<br />

in marmo bianco della chiesa ricalcò il modello dei templi<br />

medievali serbi, piuttosto quelli di tipo sepolcrale, che<br />

erano decorati da ornamentazioni di marmo di Venčac. La<br />

facciata è inoltre suddivisa da tre cornici e dalle finestre<br />

poste fra di esse. Sopra la cornice più in alto vi è il tetto,<br />

composto da cinque cupole ottagonali. Si accede alla chiesa<br />

attraverso una grande porta di quercia a due battenti, ricoperta<br />

di ornamenti bronzei, raggiungibile attraverso una<br />

scalinata a tronco di piramide. La porta è delimitata da una<br />

cornice in marmo con una lunetta semicircolare ove si trova<br />

un mosaico: l’icona raffigurante San Giorgio, completata<br />

sulla base di un disegno di Paja Jovanović.<br />

Nella seconda metà del 1912 l’edificio aveva già il tetto;<br />

i lavori di costruzione furono ultimati e, il 23 settembre<br />

di quello stesso anno, l’arcivescovo Dimitrije consacrò<br />

la chiesa con una cerimonia carica di simbolismo. Subito<br />

dopo la cerimonia di Oplenac, re Pietro si recò a Vranje<br />

dove il 17 ottobre dichiarò guerra all’impero Ottomano,<br />

segnando così l’inizio delle guerre dei Balcani. Dopo le vittorie<br />

riportate in queste guerre, re Pietro aveva progettato<br />

di far incidere all’interno della chiesa i nomi di tutti i suoi<br />

soldati e ufficiali morti in battaglia, ma i suoi propositi furono<br />

interrotti dalla prima guerra mondiale.<br />

278<br />

Nel 1915 truppe austroungariche s’impadronirono della<br />

copertura in rame del tetto e distrussero le colonne di<br />

marmo, profanando perfino alcune tombe.<br />

Dopo la fine della prima guerra mondiale, re Pietro ritornò<br />

in patria, ma morì il 16 agosto senza vedere la sua<br />

opera portata a compimento. Il figlio di Pietro, re Alessandro<br />

I Karađorđević, subentrò al padre nel compito di ultimarla.<br />

In collaborazione con l’architetto Kosta J. Jovanović<br />

modificò la cripta e installò una nuova iconostasi. I lavori<br />

durarono a lungo e il 9 settembre 1930 la chiesa fu consacrata<br />

per la seconda volta.<br />

La decorazione dell’interno della chiesa, eseguita a mosaico,<br />

richiese grande impegno. L’organizzazione di questo<br />

lavoro fu affidata all’esule russo Sergey Smirnoff, il quale<br />

selezionò cinque artisti che visitarono molte chiese serbe<br />

medievali copiandone gli affreschi. Essi scelsero le copie di<br />

dipinti di sessanta tra chiese e monasteri serbi medievali e le<br />

inserirono nella struttura pittorica della chiesa di Oplenac.<br />

Il mosaico è composto da circa 1.500 figure che fanno<br />

parte delle 725 scene pittoriche, 513 delle quali all’interno<br />

della chiesa stessa e 212 nella cripta. Con circa 3.500 metri<br />

quadri di superficie e circa 40 milioni di tessere di vetro<br />

multicolore con 15.000 tonalità iridescenti dall’effetto stupefacente,<br />

il mosaico è non solo il più grande del genere in<br />

Serbia, ma anche in questa parte d’Europa.<br />

Già dall’entrata si può vedere la figura del committente,<br />

re Pietro, raffigurato con la corona sulla testa e con un<br />

modello della chiesa in mano. Egli è ritratto accanto a San<br />

Giorgio, che lo tiene per mano e lo conduce dalla Madonna,<br />

la quale lo aspetta seduta in trono con Gesù Cristo.<br />

Nell’abside a sud sono ritratti i sovrani serbi capeggiati<br />

da Stefano Nemanja seguito da Stefano “Primo Coronato”,<br />

dai re Radoslav, Vladislav e Uroš, dai fratelli Dragutin e Milutin,<br />

da Stefano Dečanski e dagli imperatori Dušan e Uroš<br />

il Debole. Seguono poi il principe Lazzaro, il despota Stefano<br />

e Đurđe di Smederevo… Oltre ai sovrani furono dipinti<br />

medaglioni con santi serbi, fra cui figurano gli educatori<br />

slavi Kliment, Naum e Gorazd, poi i primi arcivescovi serbi<br />

San Sava, Arsenije I, Jakov, Jevstatije, Sava II, gli arcive-


scovi Danilo il Vecchio e Danilo il Giovane, Maxim (in precedenza<br />

un despota), i patriarchi Joanikije, Sava, Jefrem, i<br />

vescovi Vasilije di Ostrog e il metropolita Petar di Cetinje,<br />

poi gli eremiti Gavrilo di Lesnovo, Petar Koriški, Joakim<br />

Osogovski, Prohor Pčinjski, Joanikije Devički, Jovan<br />

Bigorski, Stefan Piperski e via dicendo.<br />

Nella chiesa sono presenti due sarcofagi:<br />

nell’abside a sud si trova il sarcofago di Ka ra -<br />

đorđe Petrović, fondatore della dinastia Karađorđević,<br />

mentre nell’abside a nord c’è quello di suo nipote<br />

Pietro I, fondatore della chiesa. I sarcofagi sono<br />

ricavati da blocchi monolitici di marmo di<br />

Venčac e spiccano in modo particolare,<br />

sia per il loro candore che per la loro<br />

superficie liscia senza ornamenti,<br />

circondati dai colori decisi<br />

dei mosaici dell’interno<br />

della chiesa.<br />

Assecondando il desiderio<br />

di re Alessandro,<br />

l’architetto Kosta J. Jovano<br />

vić risistemò la cripta, dove si<br />

trovano le tombe dei Karađorđević, la<br />

cui superficie è pari a quella dell’edificio<br />

soprastante. In totale nella cripta sono<br />

presenti 39 sepolture, inclusi 20 sepolcri,<br />

che recano tutte lapidi funebri in onice di<br />

Dečani. Qui riposano due sovrani – il principe<br />

Alessandro I Karađorđević, figlio di<br />

Karađorđe e padre di re Pietro I, e anche<br />

re Alessandro II, suo nipote e omonimo.<br />

Nella cripta si trovano sepolte cinque generazioni<br />

della famiglia Karađorđević, fra<br />

cui Marica, madre di Karađorđe, la prima<br />

ad esservi stata tumulata, e Jelena, moglie di<br />

Karađorđe. Qui si trova anche la tomba della<br />

principessa Persida, componente della famiglia<br />

Nenadović di Brankovac nonché moglie<br />

del principe Alessandro I.<br />

Fra i Karađorđević è sepolto anche<br />

Konstantin-Kosta Nikolajević, avvocato,<br />

storico e diplomatico, che fu il genero del<br />

principe Alessandro. Qui riposa anche Persida-<br />

Ida Nikolajević, quintogenita di Poleksija, figlia<br />

del principe Alessandro e moglie di Konstantin<br />

Nikolajević. Persida non si sposò mai e trascor-<br />

280<br />

se il periodo della seconda guerra mondiale a Oplenac per<br />

difendere il patrimonio della famiglia Karađorđević. Nonostante<br />

il passaggio di molti eserciti nella città di Topola,<br />

essa riuscì a preservare i beni di famiglia. Morì alla fine<br />

del giugno 1945. Le autorità comuniste autorizzarono<br />

la sua sepoltura in una delle tombe nella cripta.<br />

Tutto l’interno della chiesa di San Giorgio a Oplenac,<br />

inclusi i mosaici, gli ornamenti in rilievo di marmo<br />

bianco e l’iconostasi, che essendo piuttosto piccola<br />

permette ai credenti di vedere l’altare, dà l’impressione<br />

di uno spazio armoniosamente unitario.<br />

Le colonne snelle, sormontate da capitelli<br />

bizantini sui cui poggia un’elegante cupola,<br />

donano raffinatezza all’insieme. Qui<br />

si trova il trono per il re e la regina, in<br />

marmo verde levigato e con uno schienale<br />

decorato da un mosaico dorato.<br />

Un grande candelabro in bronzo,<br />

di circa nove metri di diametro e<br />

del peso di 1.500 chilogrammi, è<br />

appeso sopra il punto centrale<br />

della cupola. Al centro del candelabro<br />

vi è una corona imperiale<br />

rovesciata che sta a simboleggiare<br />

il dolore per l’impero<br />

perduto nel Kosovo.<br />

La chiesa di San Giorgio a<br />

Oplenac, che dobbiamo a re Pietro<br />

I, costruita in stile serbo-bizantino<br />

secondo la tradizione della<br />

scuola artistica della Morava,<br />

costituisce, sia con l’esterno che<br />

con l’interno, un’opera straordinaria<br />

nel panorama dell’architettura<br />

religiosa serba. I suoi più<br />

grandi tesori sono i mosaici che,<br />

unici per composizione, scelta e<br />

disposizione dei personaggi, rappresentano,<br />

in un certo senso,<br />

l’antologia della pittura medievale<br />

serba. Per gli eventi storici<br />

che ebbero luogo nelle sue immediate vicinanze,<br />

grazie al suo fondatore e al fatto che<br />

accoglie le tombe di quattro sovrani, questa<br />

chiesa costituisce uno dei più importanti<br />

edifici serbi.


Pirot


Trstenik, Leskovac, Ravanica


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