vittime

& 

Periodico della Diocesi di Tempio-Ampurias fondato nel 1927 

GALLURA NGLONA 

Gianni Sini 

N. 3 - Anno XXIV - 29 marzo 2016 - Nuova serie - Spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20/b L. 662/96 - Sassari - € 1,00 

Gesù, 

il crocifisso, 

non è qui, 

è risorto! 

Èquesto l’annuncio gioioso 

della Pasqua che ci offre 

la consolante certezza 

che l’abisso della morte è stato 

varcato e, con esso, sono stati 

sconfitti il lutto, il lamento e 

l’affanno”. Lo ha affermato Papa 

Francesco nell’augurio pasquale 

rivolto ai fedeli presenti 

in Piazza S. Pietro e a quanti lo 

ascoltavano attraverso la radio 

e la televisione. Ha voluto ricordare 

anche quei luoghi martoriati 

dalle guerre, dalla “cara” 

Siria, all’Iraq, allo Yemen, alla 

Libia, all’Ucraina fino alla Terrasanta, 

auspicando che l’immagine 

dell’uomo nuovo che splende 

nel volto di Cristo, favorisca 

la convivenza tra Israeliani e 

Palestinesi, come anche la paziente 

disponibilità e il quotidiano 

impegno ad adoperarsi 

per edificare le basi di una pace 

giusta e duratura tramite un 

negoziato diretto e sincero. Il 

Pontefice ha rivolto un pensiero 

a quei luoghi dove è stato sparso 

sangue innocente: Belgio, 

Turchia, Nigeria, Ciad, Camerun, 

Costa d’Avorio e Iraq, senza 

dimenticare il Burundi, il 

Mozambico, la Repubblica Democratica 

del Congo e il Sud 

Sudan, segnati da tensioni politiche 

e sociali. Francesco ha ricordato 

che Dio ha sconfitto l’egoismo 

e la morte con le armi 

dell’amore e il suo Figlio Gesù 

è la porta della misericordia 

spalancata per tutti. Il Cristo risorto, 

annuncio di vita per l’intera 

umanità, si riverbera nei secoli 

e ci invita a non dimenticare 

gli uomini e le donne in cammino 

alla ricerca di un futuro 

migliore, schiera sempre più 

numerosa di migranti e di rifugiati, 

tra cui molti bambini, in 

fuga dalla guerra, dalla fame, 

dalla povertà e dall’ingiustizia 

sociale. “Questi nostri fratelli e 

sorelle, ha detto il Papa, sulla 

Non abbiate paura! 

Io ho vinto il mondo 

loro strada incontrano troppo 

spesso la morte o comunque il 

rifiuto di chi potrebbe offrire loro 

accoglienza e aiuto”. Anche 

nel Regina Coeli del Lunedì dell’Angelo 

il Papa è ritornato sul 

messaggio della Pasqua e ha invitato 

a meditare con stupore e 

riconoscenza il grande mistero 

della Risurrezione del Signore. 

La vita ha vinto la morte. La misericordia 

e l’amore hanno vinto 

sul peccato! C’è bisogno di 

fede e di speranza per aprirsi a 

questo nuovo e meraviglioso 

orizzonte. In modo particolare, 

ha aggiunto Francesco, in questo 

anno giubilare siamo chiamati 

a riscoprire e ad accogliere 

con intensità il confortante 

annuncio della risurrezione. Se 

Cristo è risuscitato, possiamo 

guardare con occhi e cuore 

nuovi ad ogni evento della nostra 

vita, anche a quelli più negativi”. 

E alla fine, Papa Francesco 

ha dato un suggerimento:”Per 

vivere più intensamente 

questo periodo ci farà bene leggere 

ogni giorno un brano del 

Vangelo in cui si parla dell’evento 

della Risurrezione”. 

“ 

Terrorismo 

Attentato in Pakistan: p. Lombardi, “un’ombra di tristezza 

e di angoscia sulla festa di Pasqua” 

Il seminarista Giorgio Diana, della 

parrocchia N.S. del Rosario in Luras, 

il giorno 6 marzo ha ricevuto a 

Roma, presso l’Almo Collegio Capranica, 

il ministero dell’Accolitato 

per le mani di Mons. Luis Ladaria, 

segretario della Congregazione per 

la Dottrina della Fede. 

Ministeri 

La strage orribile di decine di innocenti 

nel parco di Lahore 

getta un’ombra di tristezza e di 

angoscia sulla festa di Pasqua”. È 

quanto sottolinea p. Federico Lombardi, 

direttore della Sala Stampa vaticana, 

in una nota a commento dell’attacco 

suicida a Lahore in un parco 

pubblico con 72 morti e oltre 300 feriti. 

Tra le vittime almeno 40 cristiani. 

“Ancora una volta l’odio omicida – 

constata Lombardi – infierisce vilmente 

sulle persone più indifese. Insieme 

al Papa, che è stato informato – assicura 

Lombardi – preghiamo per le vittime, 

siamo vicini ai feriti, alle famiglie 

colpite, al loro immenso dolore, 

ai membri delle minoranze cristiane 

ancora una volta colpite dalla violenza 

fanatica, all’intero popolo pakistano 

ferito. Come il Papa – prosegue la 

nota della Sala Stampa – ha affermato 

ieri mattina, nonostante il permanere 

di queste manifestazioni orribili 

di odio, il Signore crocifisso per noi e 

risorto continua a darci il coraggio e 

la speranza necessari per costruire 

strade di compassione, di solidarietà 

con i sofferenti, di dialogo, di giustizia, 

di riconciliazione e di pace”. 

Il seminarista Giuliano Oggiano, 

della parrocchia Vergine di Pompei 

in Viddalba, riceverà il ministero 

del Lettorato il 9 aprile prossimo a 

Cagliari, presso il Pontificio Seminario 

Regionale, per le mani di mons. 

Mauro Maria Morfino, vescovo di 

Alghero. 

3 

Giubileo 

La porta della 

misericordia 

nella casa di 

reclusione 

8 12 

Giornata dei 

cresimandi 

Testimonianze di 

Massimiliano e Mirella, 

Michela e Francesco 

Scuola 

14 

I ragazzi del 

"Don Gavino 

Pes” a lezione 

di legalità 

S’Iscravamentu 

Iscravamentu in 

sardu 

Creja ‘e Santu Paule 

in Olbia

& 

GALLURA ANGLONA 

Nuova Serie 

Aut. Trib. Tempio Pausania n. 4 

del 21-12-1960 

Proprietà: 

Diocesi di 

Tempio-Ampurias 

Amministratori 

Gavino Fancellu 

Direttore responsabile: 

don Giovanni Sini 

giannisini55@tiscali.it 

Redazione: 

Franco Fresi 

Andrea Muzzeddu 

Giuseppe Pulina 

Gianni Satta 

Pietro Zannoni 

Tomaso Panu 


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ordinario € 20,00 

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Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

giubileo 

2016 

“ 

Pasqua 2016 

Mons. Ignazio Sanna (Oristano), 

“urgente costruire una grammatica etica, basata su valori condivisi” 

Èurgente lavorare per costruire una grammatica 

etica, basata su valori universalmente 

condivisi, perché una società sta in piedi se 

dispone d’una base comune. Per costruire questa 

base, la Pasqua ci dà ragioni e motivazioni”. Lo afferma 

l’arcivescovo di Oristano, monsignor Ignazio 

Sanna, nel messaggio indirizzato alla diocesi per le 

festività pasquali. Parlando della “professione di fede”, 

il vescovo di Oristano rileva che la ripetiamo 

ogni anno, nella celebrazione della Pasqua di risurrezione. 

Ma qualcosa è cambiato”. “È cambiato il 

mondo in cui questa professione di fede viene vissuta”, 

prosegue mons. Sanna, per il quale “se, da 

una parte, ammettiamo che ‘non possiamo non dirci 

cristiani’, dall’altra parte, dobbiamo ammettere 

che questo cristianesimo comincia a essere osteggiato, 

combattuto, e la secolarizzazione delle credenze 

e dei costumi diventa sempre più aggressiva 

e invadente”. “La presenza della Chiesa viene sempre 

più contestata” e frequentemente ci si chiede 

“se serva ancora la Chiesa che annuncia la risurrezione 

di Cristo, determina la moralità dei comportamenti, 

proietta la felicità nella vita eterna”. “Si mette 

in discussione la presenza dei cappellani nell’esercito, 

negli ospedali, nelle carceri; del crocifisso 

nelle aule pubbliche, di qualsiasi forma di richiamo 

confessionale nelle scuole di Stato”, così come “cresce 

il numero dei giovani che chiedono lo sbattezzo, 

di coloro che scelgono il matrimonio civile o la 

semplice convivenza di fatto”, osserva mons. Sanna. 

“Spesso – prosegue – la Chiesa che serve, quella 

che viene riconosciuta e apprezzata dagli amministratori 

della cosa pubblica, è ridotta a un’agenzia 

umanitaria per supplire le carenze dello Stato”. “Ma 

questa non è la Chiesa di Gesù Cristo”, ammonisce 

il vescovo, per il quale “non basta essere religiosi 

ma bisogna essere cristiani, non basta essere credenti 

ma bisogna essere anche credibili”. 

HANNo collAborATo 

Sebastiano Sanguinetti 

Antonella Sedda - Mariella Nanni 

Daniela Astara - Andrea Columbano 

Sandro Serreri - Domenico Lecci 

Gavino Fancellu - Luca Impagliazzo 

Pietro Zannoni - Domenico Degortes 

Stefano Bugini 

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Questo numero di Gallura & Anglona 

è stato consegnato alle Poste, per la 

spedizione, il 31 marzo 2016. 

Mons. Ignazio Sanna 

Giubileo dei cori 


Domenica 6 marzo 2016, nella Cattedrale di 

Tempio Pausania si è tenuto il secondo importante 

giubileo: quello delle corali diocesane. 

Erano presenti, nella chiesa cattedrale gremita, 

tutti i cori che animano, a diverso titolo, le Sante 

Messe domenicali. È stata una celebrazione speciale, 

molto festosa e partecipata, anche perché 

animata da tutta l’assemblea. Il Vescovo ha precisato 

l’importanza della presenza di un coro che 

guida l’assemblea per pregare meglio e più profondamente. 

Ha chiesto ai diversi cori di insegnare 

alla gente a cantare, perché il compito del coro 

non deve essere quello di sostituire l’assemblea, 

ma di incoraggiarla e di sostenerla nel canto-preghiera. 

Ha, anzi, fatto notare, quanto possano essere 

tristi le celebrazioni senza canto. Il canto, invece, 

è gioia, lode, rendimento di grazie e di gloria 

a Dio, proprio attraverso la voce, che è la parte 

migliore di noi. Il servizio delle corali, dunque, 

è prezioso e ottimo, e fa commuovere. Espande il 

cuore e lo riempie di tenerezza, così si può meglio 

fare esperienza di misericordia e di amore. Si può 

sentire e godere la presenza di Dio. Il vangelo del 

padre misericordioso fa comprendere quanto sia 

sbagliata l’immagine di Dio trasmessa da certa iconografia 

antica, un Dio che osserva dall’alto l’uomo, 

quasi a carpirne le intenzioni più nascoste, per 

meglio punirlo. E quanto sia, invece, corretta l’immagine 

che si desume dalla parabola odierna. 

L’immagine del padre che accoglie e che non si 

stanca mai di perdonare. Il Vescovo ha incoraggiato 

i fedeli ad avvicinarsi al sacramento della Riconciliazione 

con sentimenti di gioia, pensando 

non tanto ai peccati, ma a Dio, al padre misericordioso 

che attende a braccia aperte l’arrivo del figlio 

pentito. Non ci si deve spaventare, insomma, dei 

propri peccati. Dio ama incondizionatamente tutti. 

Ha invitato, inoltre, i sacerdoti ad accogliere i penitenti 

con lo spirito della misericordia, perché, ha 

detto: “Noi sacerdoti non siamo migliori delle nostre 

pecore. Noi abbiamo il compito di guidare la 

comunità verso il Signore e ci battiamo il petto per 

i nostri peccati. La serenità di ogni cristiano è data 

dalla coscienza di non essere perfetto. Ma dal 

fatto che conosce chi è il perfettissimo”. Il canto 

esprime la misericordia e la bontà di Dio con forte 

espressione, ma deve entrare nella vita di ogni 

corista per convertirla. Solo così quel canto potrà 

risuonare nella vita del cantore e di tutti i fedeli.

giubileo 

Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

2016 

& 


3 

La porta deLLa Misericordia 

neLLa casa di recLusione di nuchis 

Il vescovo invia una lettera ai detenuti 

Carissimo 

Mi rivolgo a Te (spero non ti dispiaccia l’uso 

del “tu” confidenziale), come a tutti coloro che 

scontano la loro pena in questa struttura di Nuchis. 

Lo faccio con grande rispetto, come gesto 

di attenzione e di vicinanza. Sentimenti che mi 

hanno portato negli anni a frequentare con una 

certa assiduità questa speciale comunità. Non 

so quale sia il tuo personale atteggiamento nei 

confronti della fede. Ti prego, perciò, di considerare 

la mia iniziativa come cordiale invito lasciato 

alla tua totale e da me rispettata libertà, 

ma anche come opportunità di condividere un 

percorso di elevazione non solo spirituale, ma 

anche umana e sociale. Forse avrai saputo che 

lo scorso 8 Dicembre è iniziato il giubileo 

straordinario della Misericordia, voluto da Papa 

Francesco. Straordinario, perché gli anni Santi si 

celebrano ogni 25 anni, e l’ultimo ordinario è 

stato celebrato 15 anni fa, nel Duemila. Ma anche 

perché, contrariamente a quelli ordinari, 

quello di quest’anno si celebra non solo a Roma, 

ma in tutte le Diocesi del mondo, e perché, 

per volontà del Papa, la Porta della Misericordia 

viene aperta anche nelle carceri, luogo di 

indubbia sofferenza e limitazione, ma anche di 

possibile ricostruzione umana e morale. Grazie 

alla sempre cortese disponibilità della Direzione, 

che in questi anni con numerosi progetti e 

iniziative ha aperto le porte del carcere al territorio 

e a percorsi di dialogo e d’integrazione sociale, 

ti comunico che il giorno 22 aprile 2016, 

alle ore 9,30 vivremo nel carcere questa particolare 

esperienza interiore, con l’apertura della 

Porta della Misericordia. La porta santa, nella 

tradizione cristiana, mutuata da quella ebraica, 

ha un significato altamente simbolico: è il passaggio 

dall’uomo vecchio (l’uomo ferito dal 

S’Iscravamentu nella parrocchia di San Paolo a Olbia 

Il commento della passione e morte di Nostro 

Signore Gesù Cristo, il 25 marzo, giorno 

di Venerdì Santo, nella parrocchia primaziale 

di San Paolo Apostolo, è stato tenuto 

da S.E. Mons. Sebastiano Sanguinetti, in “limba”, 

in lingua sarda: “per esprimere la ragione 

che mi porta all’uso della lingua sarda in occasione 

de s’Iscravamentu nella Chiesa di S. Paolo 

a Olbia, - afferma il Vescovo - richiamo due 

brevi citazioni. La prima è di un missionario italiano 

in Mozambico, studioso di etnologia, traduttore 

in lingua locale di molti testi sacri: “solo 

attraverso la lingua propria di un popolo è 

possibile arrivare al suo cuore” La seconda è del 

Concilio Plenario Sardo contenuta nel documento 

finale promulgato il 1 luglio 2001: “Il 

Concilio, accogliendo una diffusa istanza, che 

vede anche nella lingua sarda un singolare 

strumento comunicativo della fede per il nostro 

popolo, ne auspica un’adeguata valorizzazione”.Dopo 

diversi tentativi messi in cantiere a 

vari livelli, ritengo sia arrivato il tempo di dare 

segnali forti nel passare dalle parole ai fatti. Abbiamo 

ampi spazi, in cui già da oggi è possibile 

l’uso della lingua 

sarda nella vita e nell’azione 

della Chiesa. 

Con l’iniziativa di questo 

Venerdì Santo desidero 

dare un personale 

impulso in questa 

direzione. E ciò anche 

in sintonia con la Conferenza 

Episcopale Sarda 

che recentemente 

ha deciso di riprendere 

in mano l’argomento e 

riavviare il percorso 

per la traduzione dei 

testi liturgici in lingua 

sarda, in vista dei passaggi 

canonici per l’approvazione 

da parte 

della Santa Sede. Certo 

non saranno tempi 

Ingresso 

del carcere 

di Nuchis 

peccato e dalla fragilità umana) all’uomo nuovo 

(riabilitato nel cuore e nelle scelte di vita) 

attraverso l’incontro con Cristo, che ci dona il 

suo perdono e ci introduce nell’abbraccio misericordioso 

del Padre celeste. Il passaggio di 

quella porta ci dice che nessun peccato e nessuna 

condizione umana è senza rimedio. Dio, 

che in Gesù Cristo abbiamo imparato a conoscere 

come Padre buono e misericordioso, 

“lento all’ira e grande nell’amore”, se lo vogliamo, 

ci conduce per mano sui sentieri del perdono, 

della pace, della fratellanza, portando anche 

noi ad essere misericordiosi, come Lui è 

misericordioso nei nostri confronti. Lo diciamo 

sempre nella preghiera del Padre nostro: “perdona 

a noi, come noi perdoniamo ai nostri debitori”. 

In Dio impariamo ad essere anche noi, 

come Lui, “uomini dal cuore grande”. E ciò, 

contro la ricorrente tentazione di puntare il dito 

contro gli altri, di giudicarne severamente i 

difetti o gli errori, di guardare, come dice Gesù, 

la pagliuzza nei loro occhi, senza vedere la trave 

che c’è nei nostri. Il cammino penitenziale 

dell’anno giubilare, pertanto, si snoda su due 

fronti. Quello della personale conversione e del 

proprio affidamento alla misericordia e al perdono 

del Signore, rivalutando e frequentando 

con la necessaria assiduità il sacramento della 

riconciliazione, che a me piace definire come 

banchetto della misericordia divina, non come 

tribunale che ci giudica e ci umilia. Il secondo 

è quello che ci porta a rivestirci di atteggiamenti 

di misericordia verso i nostri fratelli, avendo in 

noi gli stessi sentimenti di Cristo, che non è venuto 

per condannare, ma per salvare. “Non 

condannate – ci dice - e non sarete condannati, 

perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà 

dato… con la misura con la quale misurate, sarà 

misurato a voi” (Luca 6, 37-38) La misericordia, 

tuttavia, va compresa nel suo vero significato 

e portata. Essa non è atto meccanico ed 

automatico, quasi magico, ma è lenta maturazione 

di un atteggiamento interiore e di una 

conversione del cuore. Non un atto o un gesto 

a basso prezzo. La misericordia ricevuta richiede 

apertura del cuore al cambiamento. Così come 

la misericordia offerta agli altri è sempre 

congiunta alla giustizia, al dare dignità alla persona, 

riscattandola da ogni forma di schiavitù e 

di emarginazione. Vorrei che questo momento 

fosse uno sprazzo di luce e di speranza nel cuore 

di ciascuno. E lo sarà, se ognuno di noi si lascerà 

contagiare dalla luce dell’amore di Dio, e 

se ognuno di noi sarà portatore della stessa luce 

in mezzo ai fratelli. Non ci sarà alcuna sbarra 

che potrà impedire a questa luce di riverberare 

e scaldare il cuore di ciascuno. Affido questo 

messaggio alla tua benevola accoglienza. Mi 

riterrò soddisfatto anche se solo avrai avuto la 

bontà di leggere queste righe e se vedrai in esse 

un gesto di sincera amicizia e di convinta 

considerazione e prossimità alla tua persona e 

alla tua attuale condizione. 

Con viva cordialità, mi dichiaro tuo obbl.mo 

✠Sebastiano Sanguinetti, vescovo 

Mons. Sanguinetti tiene il commento in lingua sarda 

brevissimi, ma l’importante è riprendere la marcia. 

Intanto, da subito possiamo utilizzare tutti 

gli spazi e i contesti consentiti. Per esempio, abbiamo 

il ricco patrimonio di canti e preghiere 

esistenti, ma si possono predisporre anche nuovi 

testi e nuovi canti per mano di esperti da inserire 

nelle celebrazioni liturgiche, così pure vi 

è la valorizzazione delle varie forme di pietà 

popolare, come i tridui, le novene, le paraliturgie 

della Settimana Santa. Fra queste vi è s’Iscravamentu, 

appunto. Spero vivamente, pertanto, 

che questa mia iniziativa – conclude 

mons. Sanguinetti - serva a risvegliare tra i sacerdoti 

e i fedeli un rinnovato interesse per 

questo tema”. L’iniziativa di utilizzare la “lingua 

madre” per questo antico rito di pietà popolare 

è stata fortemente voluta dal parroco don Gianni 

Satta che già lo scorso anno per l’occasione, 

invitò mons. Tonino Cabizzosu, parroco di Nostra 

Signora del Regno di Ardara e docente di 

storia della Chiesa nella Pontificia Università 

Teologica della Sardegna: “Viviamo in Sardegna 

e siamo debitori della lingua madre – afferma 

don Satta – una lingua che è sostrato di tutte le 

possibilità di comunicazione, una ricchezza che 

abbiamo il dovere di salvaguardare e tramandare. 

Utilizzarla durante gli antichi e sentiti riti 

di pietà popolare può permettere inoltre un 

maggiore coinvolgimento “. L’antico rito ha visto 

la partecipazione della Confraternita di Santa 

Croce, del “Coro Folk Ensemble” di Olbia 

che animato i canti e una folla enorme che ha 

seguito in modo composto il sacro rito.

4 

& 


Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

2016 

giubileo 

Sacerdoti carissimi, 

fratelli e sorelle 

che oggi vi unite a noi, 

presbiterio diocesano, 

in questa celebrazione giubilare, 

un saluto e un grazie molto 

sentito! 

Un saluto e un grazie particolare 

voglio rivolgere ai 

Padri Francescani che sono 

venuti per ascoltare le nostre confessioni 

e darci il perdono del Signore. 

Dio vi ricompensi e vi dia 

pace. Condivido con voi qualche 

parola, nella convinzione che in 

un momento come questo più che 

dire e sentire parole, tutti abbiamo 

bisogno di ascoltare il nostro cuore, 

l’eco profonda che in esso lascia 

ciò che per grazia di Dio stiamo 

vivendo: la grazia dell’aver 

passato la porta della misericordia 

della nostra chiesa cattedrale, la 

grazia di esserci accostati al banchetto 

sacramentale del perdono, 

di sentirci un cuor solo e un’anima 

sola con Dio e con i nostri fratelli, 

di poterci nutrire tutti insieme 

dell’unico pane e dell’unico 

sangue di Cristo che ci fa essere 

l’unico Corpo di Cristo, di essere 

tutti insieme, qui, oggi, perché ci 

sentiamo fragili e peccatori, ma 

anche con un duplice, straordinario 

e sconvolgente privilegio: 

quello di sentirci avvolti dal perdono 

e dalla misericordia di Dio 

che supera ogni nostra debolezza 

e quello di essere noi stessi ministri 

di quel mistero di amore, di 

perdono e di misericordia, che il 

Signore Gesù ha posto nelle nostre 

mani. Tutto, questo, e molto 

di più, prima che cosa da dire è 

cosa da sentire, esperienza profonda 

da vivere, emozione da cui 

lasciarci avvolgere e conquistare. 

Quante volte, fratelli sacerdoti, e 

forse lo dovremmo fare molto di 

più e sempre più frequentemente, 

ascoltiamo le confessioni di chi 

Giovedì 3 marzo il vescovo ha convocato il presbiterio 

Giubileo sacerdotale nella cattedrale di Tempio 

Stimolante riflessione di don Giovanni Pittorru prima delle confessioni 

viene a bussare alla porta della 

misericordia, porta di cui ci è stata 

affidata la chiave! Quanti fratelli 

e sorelle, per il nostro ministero, 

si sentono baciati dal sorriso di un 

Dio buono e paziente, di un Dio 

ricco nell’amore, di un Dio che 

non si stanca di perdonare chi 

glielo chiede! Come ci sentiamo 

piccoli in quei momenti, consapevoli 

che siamo solo poveri strumenti 

di un evento che ci sovrasta, 

ma che sempre ci stupisce e ci 

commuove! Perché sentiamo che 

lì Dio è presente, lì Dio opera e 

salva, lì Dio mostra il suo vero 

volto! Ebbene, fratelli, noi non potremmo 

gioire della gioia dei nostri 

fratelli, se anche noi per primi 

non facessimo esperienza dello 

stesso perdono, se non sentissimo 

il bisogno di essere perdonati, se 

non provassimo la gioia e la leggerezza 

di quell’abbraccio di un 

Padre buono che ci vede, e commosso 

ci corre incontro, ci si getta 

al collo e ci bacia, e poi fa festa, 

come il padre della parabola 

evangelica. (cfr Lc 15, 11-32); ma 

anche se non sentissimo il bisogno 

di perdonare, di essere misericordiosi, 

di sentirci debitori di 

comprensione, di ascolto, di aiuto 

reciproco verso i confratelli e il 

prossimo. Questa, riservata a noi 

sacerdoti, è la prima delle giornate 

giubilari diocesane, dopo la solenne 

apertura delle tre porte della 

misericordia. Io vescovo, insieme 

al presbiterio, umilmente davanti 

a Dio e alla Chiesa ci sentiamo 

peccatori e chiediamo perdono 

dei nostri peccati. Un gesto vero, 

sentito, di pastori che precedono 

il gregge, che si sentono 

parte del gregge, non migliori del 

gregge, ma con la consapevolezza 

e la responsabilità di guidare, di 

camminare insieme verso l’unica 

sorgente dell’amore e della misericordia, 

verso l’acqua di cui parla 

Il Vescovo 

presiede 

l’eucaristia 

I sacerdoti 

alla messa 

crismale 

Cristo nel dialogo con la donna 

samaritana, quell’acqua che disseta, 

che purifica, che ristora, che ci 

dà vita e gioia, che ci dà la forza 

di rialzarci quando cadiamo e di 

continuare sulla strada della fedeltà 

e della santità. E’ ben radicata 

in noi la consapevolezza che non 

possiamo dare Dio ai nostri fratelli 

se prima non ce l’abbiamo noi, 

non possiamo essere ministri del 

perdono, se noi per primi non 

chiediamo e ci facciamo perdonare, 

non possiamo essere profeti, 

annunciatori del vangelo dell’amore 

e della misericordia, se non 

ne siamo per primi testimoni, come 

esperienza di Chiesa unita e 

pacificata, chiesa e presbiterio 

pervasi dall’amore di Dio. Ecco, 

questo il significato e la portata di 

questa giornata giubilare sacerdotale. 

Giornata che vogliamo vivere 

insieme ai nostri fratelli e sorelle 

di fede. Facciamo riecheggiare nel 

nostro animo le parole del canto 

al Vangelo di oggi, prese dal profeta 

Gioele (2, 12-13): “Ritornate 

a me con tutto il cuore, dice il Signore, 

perché sono misericordioso 

e pietoso”. Parole che si coniugano 

bene con quelle che il Signore pone 

sulle labbra del profeta Geremia 

(7, 23): “Ascoltate la mia voce, 

e io sarò il vostro Dio e voi sarete il 

mio popolo; camminate sempre 

sulla strada che vi prescriverò, 

perché siate felici”. 

Dio ci vuole felici e ce ne indica 

la strada. 

- Ritornare con tutto il cuore a Dio, 

che è misericordioso e pietoso; 

- ascoltare la sua voce; 

- camminare sulla sua strada; 

- vivere, cioè, in profonda comunione 

con Lui, non lasciandoci invischiare 

e travolgere dalle nostre 

fragilità, ma affidandoci al suo 

perdono e sperimentando l’infinita 

sua misericordia …. è la condizione 

per essere felici, cioè, per 

essere in pace con noi stessi, con 

la nostra coscienza, ma anche per 

essere in pace e in armonia con i 

nostri fratelli; … non solo, ma anche 

per essere in mezzo ai nostri 

fratelli guide e fermento di concordia 

e di misericordia, per essere 

non solo ministri del perdono, 

ma anche testimoni gioiosi e contagiosi 

della misericordia di Dio. 

E’ il forte messaggio di questo 

tempo di quaresima, di questo 

giubileo straordinario della misericordia. 

E’ il messaggio centrale di 

Cristo, che ci porta a coniugare indissolubilmente 

la fede con le 

opere. E le opere, sappiamo, sono 

le opere della carità, le opere della 

misericordia. Nell’ufficio delle 

letture di due giorni fa ci è stato 

proposto un brano dei “discorsi” 

di San Pietro Crisologo, dove dice: 

“Tre sono le cose, o fratelli, per cui 

sta salda la fede, perdura la devozione, 

resta la virtù: la preghiera, 

il digiuno, la misericordia. Ciò per 

cui la preghiera bussa, lo ottiene il 

digiuno, lo riceve la misericordia. 

Quesste tre cose, preghiera, digiuno, 

misericordia, sono una cosa 

sola, e ricevono vita l’una dall’altra”. 

In questo sfondo si comprende 

bene il monito del profeta 

Isaia: “Non consiste forse il digiuno 

nel dividere il pane con l’affamato, 

nell’introdurre in casa i miseri, 

senza tetto, nel vestire uno 

che vedi nudo, senza distogliere 

gli occhi da quelli della tua carne? 

Allora la tua luce sorgerà come 

l’aurora, la tua ferita si rimarginerà 

presto… la gloria del Signore 

ti seguirà” (Is 58, 7-8). 

Ci accompagni questa parola di 

vita e di speranza in questo cammino 

verso la Pasqua, in questo 

cammino quaresimale. Siamone 

annunciatori. Siamone testimoni 

convinti e gioiosi. Amen. 

✠Sebastiano Sanguinetti

settimana santa Foto di Piero Depperu 

Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

2016 

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Domenica delle Palme a 

San Giuseppe a Tempio 

Isgravamentu 

a Castelsardo 

Cattedrale di Tempio, 

messa crismale 

Messa crismale a Tempio 

Settimana Santa 

in Diocesi 

Lunissanti a Tergu 

Lunissanti a Tergu

6 

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Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

2016 

spiritualità 

Vieni, Signore risorto! 

Don Sandro Serreri 

Capisco, sempre di più, che: 

Satana viene per tormentarci 

e Dio per prendere tutto. Satana 

viene, viene tutti i giorni, in tutte 

le ore del giorno, e viene per tormentare 

il caldo e il tiepido, colui 

che è all’inizio e colui che è alla fine, 

il giovane e il vecchio, l’uomo e 

la donna, il povero e il ricco, il sazio 

e l’affamato, il semplice e il colto, 

l’ateo e il religioso, la filosofia e la 

Fede. Nessuno è escluso. La sua 

guerra è mondiale. La sua strategia: 

tormentare con il dubbio, l’insicurezza, 

la miopia, la scrupolosità. Ha 

un gran da fare, ma solo così è veramente 

contento e pienamente 

soddisfatto. Bestia di un Satana! E si 

accontenta di rubarci qualcosa dal 

Don Antonio 

Tamponi 

In data 1 marzo S.E. Monsignor 

Sebastiano Sanguinetti, vescovo 

diocesano, ha nominato a 

tempo determinato Direttore aggiunto 

della Caritas Diocesana il 

Reverendo don Antonio Tamponi, 

parroco della Cattedrale. Con tale 

incarico don Tamponi affiancherà 

l’attuale Direttrice Suor Luigia 

Leoni nella gestione interna della 

Caritas, principalmente per quanto 

riguarda gli aspetti formativi, 

organizzativi e amministrativi. Entrambi 

in stretto contatto con il 

Vescovo e con il Delegato Vescovile 

per la Caritas, Monsignor 

Giovanni Pittorru. La nomina si 

colloca nel contesto degli impegni 

e degli ambiti d’intervento 

che la Caritas ha visto aumentare 

negli ultimi anni nell’intero territorio 

diocesano. Gli esiti devastanti 

delle due recenti alluvioni 

della Gallura costiera, soprattutto 

a Olbia, l’esponenziale aumento 

del disagio sociale e delle povertà, 

la crescente domanda di sostegno 

umano ed economico di 

Don Antonio Tamponi, 

parroco della Cattedrale di Tempio, 

affiancherà suor Luigia Leoni 

nella gestione della Caritas 

persone sole ed anziane, di famiglie 

e persino di piccole imprese, 

richiedono alla Caritas sempre 

maggiori energie, disponibilità di 

tempo e dedizione. Le due Cittadelle 

della Caritas, quella di Tempio 

inaugurata ed attiva, e quella 

di Olbia in via di realizzazione, 

sono il fiore all’occhiello di un 

progetto di ampio respiro, attraverso 

i centri di ascolto, di distribuzione 

di viveri e indumenti, gli 

sportelli medici, psicologici, del 

micro credito e del prestito della 

speranza. Il tutto richiede un forte 

implemento organizzativo, al 

quale il Vescovo ha incominciato 

a mettere mano. Suor Luigia continuerà 

il suo servizio, finché le 

forze e gli altri impegni all’interno 

della sua Congregazione religiosa 

glielo consentiranno. Curerà in 

particolare i rapporti esterni della 

Caritas, con i livelli regionale e 

nazionale e con gli Enti locali. Parimenti 

continuerà ad essere presidente 

della Fondazione antiusura 

SS. Simplicio e Antonio. 

Pasqua di Risurrezione 

cassetto della serenità, della pace, 

della tranquillità, dell’equilibrio, dell’armonia… 

Lui è felice quando sopraggiunge 

un’ombra, un dubbio, 

una tristezza, un risentimento, una 

ferita, un chiaroscuro. E noi subiamo 

i suoi furti e stiamo male, dentro 

e fuori. Mentre Dio… Dio viene a 

prendere tutto! Satana si accontenta 

di rubarci il sonno, qualche volta, 

Dio ci prende tutto: il giorno e la notte. 

Lui non si accontenta di un tormento 

notturno, un incubo, ma viene 

come vento impetuoso a scompigliare 

non solo i capelli – sarebbe 

troppo, troppo poco! –, ma tutte le 

ossa e i nervi e le vene. Lui, Dio, 

vuole tutto. Mentre Satana vuole un 

nostro sassolino, Dio vuole la nostra 

montagna. E poi: o tutto o niente! 

Che forte, però, Dio! Perché – ragiona 

tra se – avere un solo giorno della 

vita di un uomo quando posso 

avere tutta la sua vita? Satana vuole il 

dubbio, l’insicurezza, io voglio tutto: 

la Fede e il dubbio, il coraggio e la 

vigliaccheria, il brutto e il bello, l’odio 

e l’amore, le contraddizioni e l’armonia. 

Tutto, perché amo tutto l’uomo 

e non solo una sua parte o 

espressione o moto o impulso o battito. 

Io quando vengo – dice Dio –, 

vengo a prendermi proprio tutto. E ci 

prende tutto, mica scherza! Dio non 

ha mai scherzato, mai giocato con la 

vita di nessun uomo. Quando ha deciso 

ed è venuto ha sempre sconvolto, 

turbato, cambiato, trasformato, 

mutato il cuore e la mente, il pensiero 

e l’azione, i sogni e i progetti dell’uomo 

scelto. E nulla per quell’uomo 

è stato più come prima. A nulla 

sono valse resistenze, scappatoie, 

tentativi di fuga, tradimenti, ipocrisie, 

lacrime, peccati, timidezze, preghiere, 

minacce. A nulla, vi dico! A nulla! 

L’uomo scelto è stato rapito, portato 

via – non con il corpo – e ha iniziato 

una vita nuova, completamente 

diversa dalla precedente. E quando 

il poveretto ha cercato di emanciparsi 

dal dominio di Dio, Dio lo ha 

disarcionato, buttato a terra, annichilito. 

Povero, povero uomo! Dio è 

potente, molto potente! Dio è forte, 

molto forte! Chi, chi può resistergli? 

Chi, chi gli si può opporre? Chi, chi 

può dirgli: no! ed andarsene dove 

vuole e per altre vie? Dio è geloso, 

molto geloso! È questa, dunque, la 

sorte dell’uomo che pensa e crede di 

poter restare comunque libero dopo 

che Dio lo ha eletto, rapito, mutato 

nella vita e nell’udito, nei pensieri e 

nei sentimenti? Sì, è questa! E la libertà? 

Ma quale libertà! Non ha senso 

la libertà quando Dio viene, sfonda, 

straripa, inonda. Lui è Dio. Dunque, 

è giusto che sia così.Vieni Onnipotente! 

Vieni Signore risorto! Vieni, 

vieni e abbatti le nostre mura, fai 

crollare le nostre torri. E Satana? Satana 

continua a sapersi accontentare 

di tormentarci. Null’altro. Sa che 

non avrà mai il pieno dominio, sa 

che non sarà mai imperatore, ma 

bene che gli possa continuare ad 

andare un semplice e piccolo vassallo, 

un marchese di una marca assai 

periferica pur costantemente minacciosa. 

Vieni, vieni Signore risorto 

a spaccare le nostre tombe, a scacciare 

la notte, a toglierci la paura e 

la vergogna, perché il sole del mattino 

è già alto all’orizzonte. 

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caritas 

Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

2016 

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7 

La formazione permanente 

per vincere le nuove povertà 

Antonella Sedda 

Si è svolto lo scorso 5 marzo, presso 

i locali del seminario diocesano di 

Tempio Pausania, l’incontro di formazione 

permanente rivolto agli operatori 

Caritas, tenuto dal vescovo S.E. mons. 

Sebastiano Sanguinetti, dal titolo “Testimoni 

della misericordia del Padre accanto 

agli ultimi”. Erano presenti, la direttrice 

della Caritas suor Luigia Leoni, il parroco 

di Castelsardo, mons. Giovanni Pittorru 

e tantissimi operatori Caritas. La 

proposta formativa si è rivelata un momento 

essenziale per la crescita personale 

di ogni credente, a livello morale e individuale, 

sviluppando una maggiore 

consapevolezza e responsabilità della 

motivazione al servizio e l’acquisizione di 

capacità personali e di gruppo, orientate 

alla relazione d’aiuto nonché di esperienza 

e di condivisione. Di fronte infatti alla 

realtà attuale mutevole e frantumata, la 

Chiesa e la Caritas sono chiamate a tenere 

le “orecchie drizzate”, spalancare gli 

occhi sugli interrogativi presenti, per dare 

risposte sempre più coerenti ed efficaci 

ai diversi bisogni. La prima parte dell’incontro 

è stata dedicata all’importanza 

della formazione permanente che rappresenta, 

oggigiorno, un requisito essenziale 

per essere parte attiva nella società, 

comprendere le nuove sfide e imparare 

ad affrontarle, accompagnando coloro 

che già possiedono competenze di base, 

proponendo nuove chiavi di lettura e piste 

di ricerca, per sostenerne le motivazioni 

e approfondire il senso del mandato 

nella quotidianità della Caritas. Essa si 

attua a tutti i livelli, sia in ogni ambito 

professionale, sia a livello individuale 

che istituzionale, in tutte le sfere sia della 

vita pubblica che privata. Il nostro vescovo, 

ha preso per esempio, la formazione 

che avviene in famiglia, affermando 

che: “Un padre e una madre non sono 

mai sufficientemente genitori preparati, 

ma sono in stato di formazione permanente, 

poiché quotidianamente si trovano 

ad affrontare situazioni, contesti ed 

esperienze che hanno bisogno di dare 

una risposta immediata, che non può essere 

rimandata”. Ha poi aggiunto- “La 

storia stessa dell’uomo e’ in continua 

evoluzione; sbagliamo dunque quando 

guardiamo l’oggi, rivolgendo lo sguardo 

verso il passato. Questo è infatti necessario 

per capire da dove veniamo, ci aiuta 

a capire la nostra storia e le nostre radici, 

ma abbiamo bisogno di essere continuamente 

aggiornati, in quanto sono 

cambiati i contesti storici, la struttura antropologica, 

il modo di essere, di sentire, 

di capire e di agire della persona umana, 

il suo modo di relazionarsi con il mondo 

e di capire se stesso, sia sotto il profilo 

morale che politico. Ecco che allora ci si 

pone il problema di come tradurre e trasmettere 

quelle verità della nostra fede, (i 

dogmi), a noi stessi, agli altri e alla società 

di oggi, come annunciare Dio al 

mondo di oggi nella consapevolezza che 

il cristiano è “un cristiano in uscita”. Tutto 

ciò ha portato a riflettere su quanto è 

importante “lavorare su se stessi” per potersi 

poi avvicinare all’altro, per ridare 

centralità alla persona e alle relazioni. 

L’uomo d’oggi egoista ed egocentrico e’ 

una maratona di 1350 km 

in onore della Patrona della Sardegna 

Una fiaccola arriva da Nostra Signora di Bonaria 

nei santuari mariani della Gallura e dell’Anglona 

Pietro Zannoni 

Calangianus. Una fiaccola, accesa a Cagliari 

nel santuario di Bonaria dall’arcivescovo 

di Cagliari, subito dopo l’apertura 

della Porta santa per il Giubileo della Misericordia, 

sarà portata di corsa da gruppi di 

atleti in varie tappe,partenza per i santuari 

mariani dell’isola un percorso di 1350 km. 

Partenza il 19 marzo da Sinnai arrivo a Cagliari 

il 25 aprile ai piedi del simulacro della 

Vergine di Bonaria. Il 5 aprile, proveniente dal 

santuario di N.S. di Castro, Oschiri, la fiaccola 

arriverà nella nostra diocesi : alle 18 nella cattedrale 

di Tempio, il sei nel santuario di N.S. 

delle Grazie a Calangianus, il 7 alla Basilica di 

N.S. di Luogosanto, regina di Gallura, l’8 una 

breve tappa a Santa Maria Cohignas nella marcia 

di avvicinamento alla Basilica di N.S di 

Tergu , regina dell’Anglona. Questa singolare 

manifestazione di fede è una iniziativa per festeggiare 

il 30° pellegrinaggio a piedi da Sinnai 

a Bonaria promosso dall’associazione il 

Segno che dà a vita ad un evento di fede che 

raduna oltre diecimila pellegrini nella notte fra 

il 24 ed il 25 aprile. La maratona sarà possibile 

grazie alla Federazione italiana di atletica 

leggera che sovrintende al mega pellegrinaggio 

a staffette con atleti delle varie zone, i 

quali, correndo a tappe, porteranno la fiaccola 

benedetta della Madonna attraverso i santuari 

più importanti dell’isola. Attraversando 

le diocesi e i comuni, gli atleti delle varie società 

porteranno in giro per l ‘isola il messaggio 

di pace e amore della Madonna. Un percorso 

a staffetta dove fede e sport potranno 

essere un’unica cosa e far memoria della devozione 

alla Madonna di Bonaria, Patrona 

Massima della Sardegna. Dal sud, attraverso 

la Marmilla e l’Ogliastra, attraverso la Barbagia, 

verso la Gallura e l’Anglona; poi il Logudoro 

raggiungendo la Madonna del Latte Dolce 

a Sassari, S. Pietro di Sorres, Valverde e 

Oristano. Poiché negli ultimi anni al pellegrinaggio 

da Sinnai a Cagliari partecipano fedeli 

galluresi che danno vita al pellegrinaggio a 

piedi da Calangianus a Nostra Signora di Luogosanto, 

si è come creato una specie di gemellaggio 

fra i gruppi organizzatori accomunati 

anche dalla appartenenza al movimento 

di Comunione e Liberazione, la Gallura è divenuta, 

a buon diritto, tappa obbligata di 

questa maratona Il vescovo Mons. Sanguinetti, 

i parroci don Antonio Tamponi, don Umberto 

Deriu, don Gavinello Cossu, don Gian 

Paolo Raffatellu hanno ben accolto l’iniziativa 

ed in ogni tappa un comitato si è impegnato 

ad organizzare l’accoglienza della fiaccola 

che è stata accesa ai piedi Nostra signora di 

Bonaria, patrona della Sardegna. 

Sr Luigia Leoni, il Vescovo e d. Giovanni Pittorru 

proiettato su se stesso, proteso all’autorealizzazione, 

diventata l’unico orizzonte 

della propria vita, proteso a soddisfare i 

propri desideri, che diventano diritti, 

spesso a scapito dei doveri. Siamo di 

fronte a una cultura dell’immagine, dell’apparire, 

dell’idolatria del denaro, del 

profitto e della finanza mondiale, che sta 

affamando popoli e continenti interi, per 

scelte scellerate, per l’ingordigia di chi 

vuole avere tutto il controllo del mondo. 

A questo proposito Papa Francesco ci invita 

a vincere l’indifferenza di chi ha paura 

di perdere qualcosa; oggi più che mai 

il grido del povero arriva fino a noi, un 

monito ad essere misericordiosi e a raggiungere 

le periferie esistenziali, intensificando 

il nostro impegno. Nella seconda 

parte dell’incontro, mons. Sebastiano 

Sanguinetti ha analizzato il tema centrale 

della Misericordia, partendo dal significato 

proprio del termine che “Ci dice chi è’ 

Dio, in che cosa consiste la fede, che cos’è 

la Chiesa, il cristiano, ci dice in che 

cosa consiste la nostra salvezza e la nostra 

missione. Essa è la parola riassuntiva 

e soprattutto sorgiva da cui nasce tutto 

quello che siamo, tutto quello che dobbiamo 

essere e dobbiamo fare, ed è per 

questo che essa deve essere metabolizzata 

e incarnata nella nostra vita e nella nostra 

vita di Chiesa. Dobbiamo essere uomini 

e donne di Dio, di fede, di chiesa, 

che la amano e la servono, che non creano 

divisioni, che non fanno pettegolezzi, 

ma sanno stare al proprio posto, in comunione 

di intenti, non sentendoci mai 

primi, ma che sanno farsi ultimi con gli 

l’ultimi. La Misericordia é prima che fare, 

dare e essere. Non possiamo essere misericordiosi 

nei confronti degli altri, se 

non lo siamo in profondità, se non siamo 

conquistati e impastati di Dio”. Da qui 

l’invito a riappropriarci delle opere di misericordia 

spirituale e corporale. La formazione 

si è dipanata tra i tanti quesiti ed 

esempi concreti calati sulle nostre esperienze, 

sulla nostra quotidianità e sulle 

nostre comunità che, non sono ricche 

per quello che ricevono, ma per quello 

che sono in grado di dare; un momento 

di Chiesa dunque, che cammina col suo 

vescovo, per andare avanti e migliorare, 

un cammino da perseguire come obiettivo 

fervente della nostra carità, fatta di 

sostanza e di un agire in persona di Cristo 

e di Chiesa, perché la nostra coscienza 

cristiana possa riprendere vigore.

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& 


Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

2016 

giornata dei cresimandi 

La domenica 13 marzo rimarrà scolpita nella 

comunità di San Teodoro. Da giorni i 

collaboratori preparavano con il parroco 

don Mauro Moretti l’accoglienza dei cresimandi, 

dei genitori, dei padrini e delle madrine. Il 

tema della giornata era “Accendi il cuore”. Un 

impegno che ha coinvolto decine di persone, la 

comunità civile rappresentata dal comune e la 

parrocchia. Tavoli, gazebo, dolci in quantità, 

ma soprattutto disponibilità e cortesia sono stati 

i tratti caratteristici di questa giornata. Sono 

arrivati dalle diverse comunità ottocento cresimandi, 

settecento accompagnatori tra genitori 

padrini e parroci, trentotto le parrocchie rappresentate. 

Il vescovo rivolto ai cresimandi ha 

detto: “Accendete in voi il fuoco dell’amore divino 

che non è un fuoco che brucia come quello 

che ogni anno attraversa la Sardegna creando 

danni agli uomini e alle cose, ma rinnova le 

persone e le spinge ad essere veri testimoni del 

Cristo Risorto”. Tra i partecipanti alla giornata, 

alcuni sono stati invitati a dare la loro testimonianza. 

Lo hanno fatto i ragazzi, una coppia di 

sposi, un cresimando e una giovane catechista. 

Le riportiamo qui di seguito per la ricchezza dei 

contenuti e per trarne qualche insegnamento. 

Accogliere la vita come un dono 

Siamo sposati da 12 anni e abbiamo cinque figli 

di undici, otto, cinque e tre anni. Ci siamo 

sposati dopo due anni di fidanzamento, 

confidando nell’amore che ci univa. Eravamo a 

conoscenza, perché provenivamo entrambi dal 

medesimo gruppo di preghiera giovanile, che il 

matrimonio sarebbe stato continuare a seguire 

Gesù non più come giovani, ma in due come 

famiglia. La nostra era però solo una conoscenza 

teorica, mentre davanti ci aspettava un percorso 

di vita carico di incognite. Non abbiamo 

mai pensato né programmato una famiglia numerosa, 

abbiamo accolto ogni gravidanza come 

un dono, anche dinnanzi alla prospettiva delle 

difficoltà che avremo avuto, sia nelle gestione 

dei più piccoli che dal punto di vista economico. 

Dio ci lascia liberi nelle nostre scelte, dinnanzi 

alle quali ci chiede solo di non indietreggiare 

ma di impegnarci con responsabilità. 

Giornata dei cresimandi a San Teodoro 

Bella accoglienza della comunità e grande partecipazione 

Testimonianza della famiglia di Massimiliano e Mirella 

Aperti alla vita e alla Provvidenza 

L’esperienza della Provvidenza 

La tentazione è cedere allo scoraggiamento, 

credere che davanti a certe difficoltà l’unica 

risposta possibile sia il nostro limitato intervento 

umano. L’amore che ci univa e le nuove vite 

che arrivano nella nostra casa compensavano 

però le difficoltà che si presentavano. Il nostro 

amore e i bambini sono sempre come un richiamo 

che porta Dio ad intervenire e sostenerci 

sempre, come un richiamo che porta Dio 

ad intervenire e sostenerci sempre, anche se 

magari dopo un percorso di sofferenza. Dicevamo 

delle difficoltà nella gestione dei bambini, 

la corsa contro il tempo per far quadrare 

ogni appuntamento e le difficoltà a far quadrare 

i conti. Di queste difficoltà Dio alle volte si 

serve perché impariamo a confidare in lui ed 

accorgerci che in quel progetto che è la nostra 

famiglia Lui è l’autore, l’ha pensata per noi così 

come è perché li possiamo realizzarci in pienezza. 

Realizzarci nell’amore 

reciproco. 

D’innanzi all’amore di 

due coniugi Di si arrende, 

ci dona qualsiasi 

cosa di cui abbiamo 

bisogno; dove 

non arriviamo noi, 

purché continuiamo 

ad alimentare quell’amore 

che ci ha portato 

a sposarci, Dio interviene 

compiendo 

meraviglie. 

Imparare a camminare 

insieme 

Da giovani ci interrogavamo 

circa il 

nostro avvenire, sulle 

varie opportunità che 

la vita ci avrebbe offerto. 

Anche appena sposati 

non era troppo diverso. Lo sguardo era però 

solo come proiettato in avanti. Con la famiglia, 

camminando in due, questa prospettiva 

presto comincia a cambiare radicalmente perché 

devi radicalmente volgere lo sguardo a chi hai 

al tuo fianco e non solo dinnanzi a te, rallentando 

se necessario per aspettare chi ci accompagna. 

Quando poi hai dei bambini, soprattutto 

come noi cinque per aspettare chi ci accompagna. 

Quando poi hai dei bambini, soprattutto 

come noi cinque, capita non di rado di doverti 

anche volgere indietro per non rischiare di perderne 

qualcuno. Siamo convinti che faccia parte 

della pedagogia di Dio, un modo per aiutarci 

a passare da un modello di vita ideale ed individualistico 

ad un progetto di vita autentico, capace 

di aprirsi anche alle attese degli altri. 

Accompagnare i ragazzi 

nel cammino di fede 

Abbiamo iniziato come catechisti qualche 

anno fa, quando Giovanni, nostro figlio 

più grande, iniziò il percorso di catechesi (farà 

la cresima il prossimo anno). Abbiamo compreso 

che come genitori o catechisti abbiamo 

il compito di trasmettere la fede cristiana, sia 

attraverso gli insegnamenti del Magistero della 

Chiesa, ma anche rendendo i ragazzi partecipi 

della nostra esperienza concreta di fede. E’ l’età 

in cui ancora ci stanno ad ascoltare, che fanno 

tesoro di ciò che trasmetti loro quando lo 

riconoscono frutto di una condivisione sincera. 

Qualche ragazzo ci confida che qualche 

compagno di classe, alle medie, già si professa 

ateo e di questo capita di discuterne negli 

incontri di catechesi. E’ importantissimo il dialogo, 

lasciare che si aprano confidandoci anche 

i loro dubbi, che talvolta provengono dai 

loro stessi genitori. Il dubbio non è sintomo di 

una crisi di fede, ma un germoglio, il sintomo 

che cominciamo a sentire il bisogno di passare 

da una fede acquisita, trasmessa da un adulto 

(genitore catechista) ad una esperienza di 

fede propria, personale.

g i o r n a t a 

d e i c r e s i m a n d i 

Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

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La mia testimonianza è legata ai miei ricordi 

legati alla Chiesa. I miei primi ricordi 

risalgono: 1) alle mie nonne, in 

particolare alla mia nonna paterna che era 

molto devota a Sant’Antonio e a Papa Giovanni 

XXIII (il Papa buono); 2) al periodo 

scolastico dei primi tre anni delle elementari 

trascorsi dalle suore Vincenziane di Gaggiola 

a La Spezia. Si iniziava la giornata con il pulmino 

che ci portava a scuola con madre Caterina 

che faceva recitare le preghiere: 3) al 

periodo del catechismo che ho frequentato 

nella parrocchia dei santi Giovanni e Agostino 

di La Spezia dove già ero stato battezzato 

Michela 

Testimonianza di una giovane catechista 

La mia esperienza da catechista 

è iniziata dopo aver fatto 

la cresima. Nel 2012, la 

catechista che avevo alle elementari 

mi disse che aveva bisogno 

di un aiuto e io all’inizio non 

me la sentivo di svolgere questo 

compito, un po’ per paura, perché 

comunque ero piccola, un 

po’ perché anche se non ero da 

sola, si trattava di una grande responsabilità. 

Alla fine decisi di 

provare questa esperienza, ero 

consapevole che non sarebbe 

stato facile, ma ero altrettanto 

consapevole che mettendomi al 

servizio degli altri avrei ottenuto 

ricompense non a livello materiale 

ma a livello morale e spirituale. 

Questa esperienza infatti, 

dall’inizio mi ha riempito il cuore, 

oltre ad arricchirmi personalmente 

e ad accrescere in me il 

desiderio di conoscere Gesù, 

proprio questo è quello che cerco 

di trasmettere ai miei ragazzi. 

Mi è capitato di avere delle difficoltà 

nel mio percorso, come, 

per esempio, il fatto che i ragazzi 

sono vivaci, quindi essendo 

ancora alle prime armi e non riuscendo 

a trasmettere ciò che 

avevo preparato volevo abbandonare 

tutto. Essendo una ragazza 

che non si arrende alle prime 

difficoltà, mi sono affidata al Signore 

che mi ha dato la forza di 

proseguire. Il mio obiettivo è 

Francesco Maggio 

Testimonianza di un cresimando 

quello di trovare dei metodi per 

trasmettere ai ragazzi i valori che 

un cristiano dovrebbe avere, cercando 

di trasmetterli nel modo 

più semplice possibile, in modo 

tale che per loro venire al catechismo 

sia un piacere e si abbia 

il desiderio di coltivare la propria 

fede. Ai ragazzi che ricevono la 

cresima voglio augurare che sia 

la confermazione di un cammino 

già iniziato con il battesimo, ma 

anche l’inizio di un cammino di 

fede che cresca col passare degli 

anni e non la fine, come succede 

per molti, perché solo crescendo 

si ha la possibilità di capire 

quanto è importante vivere la 

propria vita con fede. 

e ho fatto la Confessione e ricevuto la prima 

Comunione. Il parroco era ed è un sacerdote 

molto vecchio, poco vicino ai ragazzi, ma per 

mia fortuna in quel periodo venne affiancato 

da un giovane diacono, futuro sacerdote, che 

coinvolse i ragazzi nelle attività della parrocchia. 

Si chiama don Andrea e con lui ho iniziato 

il mio percorso di ministrante con incontri 

settimanali oltre all’ora di catechismo. 

Una volta all’anno, in primavera, venivano 

organizzati degli incontri con tutti i ministranti 

delle parrocchie della diocesi di Spezia-Sarzana-Brugnato 

con la presenza del vescovo 

mons. Francesco Moraglia, ora patriarca 

di Venezia, era una vera emozione. L’ultimo 

incontro dei ministranti è stato a livello 

nazionale a Siena, un ricordo molto bello perché 

condiviso con i miei coetanei di tutta Italia. 

Ho avuto la fortuna di condividere il momento 

dell’ordinazione di don Andrea, una 

cerimonia che si è svolta in cattedrale, a La 

Spezia molto emozionante, mi ha colpito in 

particolare il momento della prostrazione del 

diacono. Per il lavoro di mio padre ci siamo 

trasferiti a La Maddalena dove ho iniziato a 

frequentare la parrocchia militare e ho avuto 

la fortuna di incontrare don Gianfranco detto 

«Dongi» con le sue omelie molto coinvolgenti 

che mi hanno avvicinato 

ogni domenica alla messa. Il 

mio ricordo di quel periodo 

è legato alla cresima di mio 

fratello dove ho avuto la 

fortuna di incontrare il vescovo 

militare mons. Santo 

Marcianò che mi ha voluto 

come chierichetto nella cerimonia, 

per me un grandissimo 

onore. Una persona 

molto coinvolgente, peccato, 

che ho potuto passare 

poco tempo in sua compagnia. 

Sono emozionato perché 

sto per affermare il mio 

Battesimo e la Confermazione 

della mia fede e le persone 

che mi saranno vicine 

in quel momento sono persone 

che hanno segnato il 

mio «cammino». Come dice 

mio padre: «L’esempio è la 

migliore disciplina» e grazie 

alla mia famiglia che mi ha 

sempre accompagnato in 

questo cammino spirituale e 

alle persone che ho incontrato, 

dalle catechiste, al 

parroco, al vescovo, ho cercato 

di imparare per arrivare 

a questo traguardo. 

Mons. Sanguinetti 

e d. Paolo Pala

10 

& 


Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

2016 

la maddalena 

La Passione di Gesù Cristo vista dal medico 

“Siamo così giunti alla celebrazione dell’ultima 

Stazione Quaresimale che, come ogni 

anno si svolge in questa chiesa dedicata 

all’Agonia di Nostro Signore Gesù Cristo in 

Getsemani, dove, proprio per il suo titolo, 

si vivono più intensamente gli ultimi giorni 

della vita terrena di Gesù. Non possiamo in 

questo momento non rivolgere il nostro 

pensiero e la nostra preghiera alle vittime 

dell’attentato terroristico a Bruxelles, al 

doloroso evento dell’incidente in Spagna, ai 

migranti e a tutte le altre guerre e tragedie 

che avvengono in ogni parte del mondo, alle 

quali non si dà molto risalto”. 

Ultima Stazione Quaresimale a Moneta 

Con queste parole il parroco di Moneta don 

Andrea Domanski ha dato inizio alla S. 

Messa, martedì 22 marzo, che è stata concelebrata 

dal parroco di S. Maria Maddalena don 

Domenico Degortes. Molte le persone provenienti 

dalle altre parrocchie dell’Isola che hanno 

partecipato con fervore a questa celebrazione al 

termine di questo cammino Quaresimale. Era 

presente la Confraternita del Getsemani, la quale, 

come ogni anno, cura in ogni particolare tutti 

i riti della Settimana Santa, come l’allestimento 

dell’Altare della Reposizione, che questa volta è 

improntato proprio sul Giardino del Getsemani, 

con alcuni particolari importanti come la presenza 

dell’Angelo Consolatore, il 

gallo simbolo del tradimento 

di Pietro e il Calice simbolo 

della sofferenza di Cristo. Ritornando 

alla celebrazione 

della Messa, come sempre è il 

coro S. Giovanni Paolo che l’- 

ha animata, con canti appropriati 

alla liturgia, rendendola 

più solenne. Commentando il 

Vangelo di Giovanni, don Andrea 

ha messo in evidenza 

che la Passione di Cristo, non 

è iniziata dopo il suo arresto 

giovedì notte o venerdì davanti 

al sinedrio, ma è iniziata 

prima, con la consapevolezza 

che i suoi discepoli, le persone che più gli stavano 

vicino, l’avrebbero tradito. Non c’è stato solo 

il tradimento di Giuda, che non è stato capace, 

forse per orgoglio, di riconoscere il suo sbaglio 

davanti a Dio, ma anche il rinnegamento di 

Pietro, il quale però, riconoscendosi peccatore, 

ha avuto in dono la Misericordia di Dio. Così è 

per tutti noi, se riconosciamo i nostri errori, i nostri 

tradimenti e lasceremo da parte l’orgoglio, ci 

faremo più vicini a Dio e la sua Misericordia ci 

riabbraccerà. Proprio per celebrare al meglio 

questo anno speciale, don Andrea ha voluto che, 

Luca Impagliazzo 

Incontro con il dott. Federico Santolini (medico 

ortopedico in Genova) 19 Sabato, marzo, 

2016, ore 18:30. Capita proprio nel giorno 

dedicato a San Giuseppe, padre putativo di Gesù, 

sposo esemplare di Maria, l’incontro-dibattito 

dedicato alla comprensione medico-scientifica 

dell’episodio più truce dell’Umanità Cristiana. La 

crocifissione e morte del Re dei Re. Ma cosa ha 

spinto un folto numero di persone laiche a convenire 

presso il salone conferenze della Parrocchia 

di Moneta? Sicuramente la curiosità, sicuramente 

l’intuizione che, dietro alla “ricerca del vero”, 

si cela sempre il riordino di convinzioni personali 

molte volte errate. Il passaparola, il tamtam 

mediatico, anche su facebook (internet) ha 

fatto il resto. Cosa è avvenuto esattamente? Don 

Andrea Domanski, una volta introdotto il bravissimo 

dottor Santolini, ha lasciato immediatamente 

a lui la parola. Subito la platea è entrata in empatia 

col medico che non prende in mano né referti, 

né cartelle cliniche ipotetiche né altre “diavolerie” 

bensì il Santo Libro: la Bibbia. Frettolosamente 

ricerca quei passi evangelici carichi non 

di pathos ma di crudezza, puntualità narrativa e 

dettagli relativi alla flagellazione. Immediatamente 

la platea è presa! Che meraviglia quando un 

uomo di scienza è capace di porre sintesi mediando 

il suo sapere con la Parola di Dio. Che 

meraviglia quando anche alcuni medici presenti 

in sala si destano dal torpore della routine e 

aguzzano lo sguardo verso una serie di immagini 

video proiettate e spiegate analiticamente dall’ortopedico. 

Spiegazioni sotto la lente della storia, 

della medicina e della Fede. Che meraviglia 

quando un uomo di scienza cerca il consenso, 

per ciò che ipotizza, presso il sapere del Parroco 

anche strizzandogli l’occhio. Che meraviglia 

quando gli invitati sospirano perché davvero desiderano 

capire da dove hanno inizio l’Espiazione 

e la Risurrezione del Cristianesimo. Tutto 

collima e anche il puzzle più difficile relativo all’enigma 

dell’Uomo della Sindone si ricompone. 

Il medico ha portato gli ascoltatori verso la 

chiosa finale: “nella Sindone vi è evidente la Risurrezione!” 

Tecnicamente ci ha spiegato perché... 

(e, sarebbe lungo e fuori luogo qui riportarne 

i dettagli). Una cosa è certa, tutti i presenti 

hanno potuto rinnovare il loro sapersi stupire e 

il loro lasciarsi portare “come bambini” dal vento 

dello Spirito Santo, vento che ha portato più 

volte coraggio, determinazione e buona volontà 

a San Giuseppe, mite lavoratore e curatore 

della Santa Famiglia. Vento che nel suo giorno 

di festa regala ancora oggi un lieve profumo di 

Nardo, un lieve profumo di Verità. Certo, poi... 

Ognuno farà il proprio atto di Fede finale e darà 

il Nome Gesù di Nazareth all’uomo della Sindone, 

se vorrà. 

dopo la S. Messa, ci fosse stato un momento di 

preghiera e di riflessione, con la poesia sulla Misericordia 

e così, con l’aiuto di Maddalena, Maria 

Assunta, Maria e Gennaro, recitando alcune 

poesie, si è messa in risalto la grandezza di Dio 

che sta proprio nella sua Misericordia. Le voci 

del coro, con i canti sulla Misericordia, hanno 

contribuito a mettere in risalto ogni verso poetico 

di quel momento, molto apprezzato dalle 

persone presenti e che sarà sicuramente ripetuto, 

con tante altre poesie sulla Misericordia di 

Dio, dopo la S. Pasqua. 

La resa dei conti la Sanità maddalenina ha ricevuto il colpo di grazia! 

Ospedale Paolo Merlo, 

punto nascita 

La Maddalena 

Gruppo Socio Politico Cristiano 

La Regione Sardegna con la 

delibera G.R. n.6/15 del 

2.2.2016 ha sancito quali norme 

utilizzare per colpire a morte il 

nostro Presidio Ospedaliero. Da 

anni il Gruppo Socio Politico Cristiano 

evidenzia questo processo 

involutivo che ha assunto una dimensione 

così malevola che ignorarla 

ci rende complici. L’ospedale 

è tecnicamente chiuso: con la ginecologia 

impedita a far partorire 

le nostre donne, con la pediatria 

non più servizio, il nido sottrattoci 

con espedienti meschini, la medicina 

trasformata in ospedale di 

comunità, la camera iperbarica indicata 

già ad Olbia, con gli ambulatori 

spostati a Padula solo per 

occupare locali costruiti ed accreditati 

per la RSA… Con l’angoscia 

di morire in banchina, o in un 

viaggio verso il più vicino ospedale, 

solo perché la ASL n.2 ha deciso 

che il Paolo Merlo non può più 

assolvere quanto per decenni ha 

svolto con professionalità assoluta. 

Il giorno 2 aprile c.a. alle ore 

18,00 nell’Oratorio S. Giovanni 

Bosco sito vicino al presidio Paolo 

Merlo, parleremo di questa Sanità 

avvelenata, cercheremo ostinatamente 

soccorsi e soluzione, 

reclameremo quella dignità che 

abbiamo smarrito, ospiteremo i 

NOSTRI: politici, sindacati, giornalisti, 

associazioni, operatori della 

Sanità ed i Maddalenini. Li sollecitiamo 

a partecipare perché 

senza quest’ultimo GRIDO, il paese 

non avrà futuro. Non permetteremo 

strumentalizzazioni, non 

cercheremo colpevoli, saremo tutti 

impegnati ad imitare quel colpo 

di dignità che ha visto altri ospedali, 

Tempio in testa, non collocati 

nelle isole urlare: Basta! La ASL 

N.2 e la Regione Sardegna ci hanno 

negato quanto previsto dalla 

legge Balduzzi per le isole minori. 

La Maddalena è la sola isola in 

Sardegna che ha l’ospedale, e che 

ha il diritto di avere quei servizi 

subdolamente sottrattici.

la maddalena 

Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

2016 

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Domenico Lecci 

Delegazione di La Maddalena alla festa della Madonnuccia di Ajaccio 

Questa festa ha origini molto 

antiche, nasce nel periodo 

di appartenenza italiana 

della Corsica, per la precisione 

nel 1656, anno in cui la città 

venne colpita dalla peste. Il 

consiglio degli anziani, i “Magnifici 

Anziani”, che operava sotto il 

diretto controllo della Repubblica 

di Genova, decise di mettere 

Ajaccio sotto la protezione della 

Vergine Miracolosa di Savona. Nel 

novembre dello stesso anno, 

sconfitta l’epidemia, il Consiglio 

proclamò la Vergine patrona di 

Ajaccio. Da quella data il 18 marzo 

di ogni anno il Consiglio Comunale 

si reca in processione alla 

cattedrale per assistere alla 

messa principale. La festa, vecchia 

di tre secoli, è divisa in tre 

tempi. La veglia che si tiene il 17 

marzo sera dove l’attesa del Vescovo, 

del clero, delle numerose 

confraternite e della banda musicale 

sotto l’edicola della Madonnuccia 

in Place des Palmiers si 

mischia alla passeggiata delle famiglie 

e ai banchi dei venditori di 

giocattoli e dolci, e al fumo e luce 

delle candele votive. Il mattino 

dopo, Sindaco e Consiglio comunale, 

nella Messa solenne in Cattedrale, 

rinnovano il voto alla Madonna 

della Misericordia fatto la 

prima volta nel 1656. Nel pomeriggio, 

sempre partendo dalla cattedrale, 

la statua della Madonna 

viene portata in processione dai 

fedeli in giro per la città vecchia 

seguita dalla comunità. Noi maddalenini 

siamo molto legati alla 

città di Ajaccio per motivi storico 

– culturali; e in forza di un gemellaggio, 

ratificato nel 1991 dall’allora 

sindaco di La Maddalena 

Commendatore Giuseppe Deligia, 

le comunità laica e religiosa delle 

due cittadine partecipano alle rispettive 

feste patronali. Quest’anno 

la delegazione comunale era 

guidata dal sindaco Luca Montella, 

accompagnato dai consiglieri 

Roberta De Marzo e Roberto 

Ugazzi, mentre la delegazione 

parrocchiale vedeva il parroco 

Don Domenico Degortes accompagnato 

dal segretario del Consiglio 

Pastorale parrocchiale Domenico 

Lecci. Importanti colloqui 

nel corso delle cerimonie sono 

intercorsi con i rappresentanti 

politici e religiosi della comunità 

corsa, il Sindaco e deputato di 

Ajaccio Laurent Marcangeli e il 

Presidente della Regione Gilles 

Simoni, ufficialmente invitati alla 

festa di Santa Maria Maddalena. Il 

Nostro parroco ha poi voluto partecipare 

alla festa patronale di 

Bastia, dedicata a San Giuseppe, 

nella giornata del 19 marzo, concelebrando 

con il vescovo di 

Ajaccio Monsignor Olivier de 

Germay. 

La delegazione 

maddalenina 

ad Ajaccio 

Mons. Oliver, 

vescovo di Ajaccio 

con d. Domenico 

cei 

Messaggio per Giornata Università Cattolica 

I nostri giovani hanno bisogno di essere sostenuti e incoraggiati 

“ 

La formazione delle nuove 

generazioni è il più 

importante investimento 

che un paese possa fare per il 

suo futuro. L’Italia, dalla fine 

della seconda guerra mondiale 

ai nostri giorni, ha realizzato 

un progressivo e qualificato 

impegno sul versante della formazione 

scolastica e universitaria 

raggiungendo livelli tra i 

più elevati al mondo. È anche 

grazie alla crescita di competenza 

e professionalità che il 

nostro Paese ha saputo garantire 

alle ultime generazioni una 

condizione di vita contrassegnata 

dallo sviluppo e dal benessere. 

Ma da qualche anno si 

registrano segnali di affaticamento 

e stanchezza, con ritardi 

e fenomeni involutivi”. Lo sottolinea 

il Messaggio della Presidenza 

della Conferenza episcopale 

italiana per la 92ª 

Giornata per l’Università Cattolica 

del Sacro Cuore, che sarà 

celebrata domenica 10 aprile, 

sul tema “Nell’Italia di domani 

io ci sarò”. “Preoccupano, soprattutto 

– si legge nel Messaggio 

-, le criticità sempre più 

marcate che emergono nell’ambito 

universitario e dell’alta formazione 

professionale con vistosi 

cali di iscrizioni in molti 

atenei e perdita di interesse da 

parte delle famiglie e di ampie 

fasce della popolazione giovanile 

verso la formazione come 

strumento di crescita personale 

e di acquisizione di conoscenze 

da spendere nel campo lavorativo”. 

La Chiesa italiana 

guarda “con preoccupazione a 

questo momento di difficoltà 

del Paese e sente l’urgenza di 

farsi vicina ai giovani per aiutarli 

a non perdere la speranza 

e ad investire le loro energie in 

percorsi di autentica crescita 

umana, spirituale, culturale e 

professionale. La formazione è 

la via maestra per garantire loro 

una ricca crescita personale, 

per renderli protagonisti del futuro 

e capaci di contribuire al 

bene del Paese”. 

“ 

Sa die de sa Sardinia 

il tema per il 28 aprile: 

isola terra di migranti 

Sardinia, terra de migrantes”. 

E’ questo il tema legato 

alla celebrazione de 

Sa die de sa Sardinia 2016 scelto 

con la delibera di Giunta, proposta 

dall’assessore della Cultura e 

Pubblica Istruzione Claudia Firino 

e approvata alla presenza del 

presidente Francesco Pigliaru. 

“Il filo rosso che lega le iniziative 

alle quali stiamo lavorando 

per “Sa die 2016” è il tema della 

emigrazione - immigrazione. Sardi 

diventati cittadini del mondo 

che portano con sé la propria 

identità, che non hanno rinunciato 

alle loro radici culturali, e 

le intrecciano a tradizioni altre – 

ha detto la titolare della Cultura 

– in terre dove posano la loro 

valigia e spesso mettono radici e 

crescono i loro figli. In un momento 

storico di grandi flussi migratori 

verso la Sardegna, penso 

inoltre alle popolazioni che scelgono 

la nostra isola come approdo, 

terra nella quale vivere, 

facendone nuova casa d’adozione, 

nella quale potersi integrare 

al meglio”.“Sa die de sa Sardinia 

2016” prevede iniziative in collaborazione 

con i Circoli sardi e le 

comunità straniere presenti nell’isola, 

eventi musicali con la 

partecipazione di artisti e gruppi 

tradizionali e moderni. 

“L’idea – ha proseguito l’assessore 

Firino – è quella di coinvolgere 

le scuole e la società civile, 

per sensibilizzare soprattutto le 

giovani generazioni sul tema e 

l’importanza che ricopre nella vita 

di ciascuno di noi l’integrazione 

sociale”. 

L’auspicio dell’esponente della 

Giunta è che questa ricorrenza si 

riempia di significato reale e non 

resti una semplice celebrazione, 

ma “una opportunità – ha concluso 

l’assessore – perché vecchie e 

nuove generazioni possano identificarsi 

e riconoscersi nel proprio 

passato e superare le sfide che l’isola 

deve affrontare in Europa, 

nella sua dimensione di terra al 

centro del Mediterraneo, ospitale 

e solidale con i popoli che hanno 

maggiore necessità”.

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Anno XXIV 

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29 marzo 

2016 

scuola 


Scuola e Istituzioni 

i ragazzi del “Don Gavino Pes” 

a lezione di legalità 

Èstata una mattinata di grande respiro 

quella del giorno 4 marzo 2016, una di 

quelle nelle quali le lezioni si fanno vita, 

suggerimento esistenziale. Scuola e Istituzioni, 

Legalità, Disagi e Devianze, il titolo del 

convegno organizzato dell’Istituto di Istruzione 

Superiore “don Gavino Pes” di Tempio, 

nella persona dell’insegnante Giuseppe Mu, 

coordinato dal docente titolare della Funzione 

Strumentale prof. Gian Carlo Ricciu.L’iniziativa 

è la prima di una serie miranti ad approfondire 

i temi della legalità. L’Istituto vuole assumere 

il ruolo di capofila nel tentativo di offrire 

un contributo al territorio in linea con l’educazione 

giuridico-economica e legale. Tali 

materie, infatti, già oggetto del corso ordinamentale, 

saranno approfondite attraverso diverse 

lezioni magistrali, tenute da relatori altamente 

qualificati e garanti di professionalità 

altissime. Il primo incontro, ha visto protagonisti 

i seguenti relatori: Dott.ssa Alessandra 

Nivoli (Psichiatra), Padre Salvatore Morittu 

(fondatore di varie Comunità di recupero per 

tossicodipendenti), dott. Giovanni Bartolacci 

(Capitano Compagnia Carabinieri Tempio 

Pausania), Dott. Domenico Putzolu (Presidente 

Camera Penale della Gallura), Dott. Riccardo 

De Vito (Magistrato di Sorveglianza presso 

il Tribunale di Nuoro). Nell’epoca di internet 

la scuola non ha valore se non costruisce un 

dialogo continuo con i propri allievi. E questo, 

per l’appunto, è l’obiettivo primario del 

progetto. La giornata in oggetto, pertanto, si 

situa in un contesto di scuola aperta, di scuola 

innovativa, che avvicina i ragazzi al mondo 

reale, con capacità discriminante, sollecitandone 

la forte valenza critica e di apprendimento 

operativo. Tutti i relatori hanno sottolineato 

che è urgente imparare a vivere meglio, 

attraverso il contatto con maestri di vita. Servono, 

pertanto, conoscenze sempre più alte e 

specialistiche, ma soprattutto non si può più 

vivere come sprovveduti (Avv. Putzolu), come 

Santa Pasqua 2016 

Con il tuo corpo e sangue Signore 

infondi in me’ l’umiltà che mi manca 

e fà che non sia vana ne stanca 

la dolce, attesa, speranza d’amore. 

Misericordia Gesù 

converti il mio cuore 

manda un tuo bagliore 

che risplenda in me quaggiù. (ripetere) 

La Santa Guida chiedo 

con salmi, con preghiere, 

guardo di non cadere 

in te assorto credo. 

Andrea Columbano Olbia 

colombe, senza la scaltrezza dei serpenti. Conoscere 

o non conoscere non è mai stato lo 

stesso, ma oggi, nella miriade di informazioni 

possibili, si tratta di saper distinguere tra le informazioni, 

per scegliere quelle giuste (anche 

in termini legali) e opportune per ciascuno. 

Perché in questo contesto, in continua evoluzione, 

anche le novità “cancerogene” cambiano 

velocemente. Nascono nuove dipendenze, 

con o senza sostanza (dott.ssa Nivoli), che inducono 

desideri compulsivi irrefrenabili, e aggrediscono 

l’uomo, facendo pressioni proprio 

in quella zona del cervello deputata a recepire 

il piacere. Tale zona profonda del cervello, 

se attivata senza controllo razionale ed eticamente 

stabile, può essere foriera di dipendenze 

fisiche e mentali. Da qui le richieste più impensate, 

scabrose e incontrollate: aumento 

delle dosi di sostanze o di esperienze che causano, 

di fatto, il deterioramento dell’individuo 

e della società. E il fenomeno può diventare 

irreversibile. Con l’effetto della schiavitù. E’ 

sempre più preoccupante, ad esempio, l’esperienza 

osservata in Giappone, chiamata “Hikikomori: 

paura di uscire fuori dalla propria 

stanza”. L’intontimento psico-esistenziale che 

si subisce dall’uso eccessivo dei mezzi informatici 

e di comunicazione via etere è talmente 

grande che l’interessato (la vittima) non ha 

più il coraggio di uscire dalla propria stanza, 

perché la disconnessione da internet crea disagio 

e senso di impotenza. In taluni casi si è 

constatato che il malcapitato non trovava il 

tempo e la volontà di allontanarsi dalla propria 

stanza neanche solo per il nutrimento. In 

due casi, addirittura, si sarebbero registrati gli 

omicidi dei genitori, colpevoli di avere insistito 

troppo nel chiedere il distacco momentaneo 

da internet. Le dipendenze attuali, pertanto, 

non sono riferibili solo alle sostanze 

chimiche o naturali, ma anche a quei comportamenti 

che si possono definire normali, 

ma che a certe condizioni diventano patologici. 

Un esempio eclatante è il riferimento alle 

attività sportive e ginniche. Quando tali esperienze 

superano i livelli di guardia, e le persone 

vivono solo per superare certe barriere 

fisiche o per aumentare, ad esempio, meticolosamente, 

la massa muscolare, in tali casi, 

per l’appunto, anche lo sport può causare una 

dipendenza. Ma il dramma più sconfortante lo 

si sperimenta quando si constata che il rischio 

dipendenze non si cela solo fra gli adolescenti, 

ma, oramai, anche, in tutte le fasce sociali, 

pure in quelle adulte e anziane. Ragazzi, genitori, 

mariti, mogli, nonni, talvolta mostrano 

debolezze insospettabili e, nei casi più gravi, 

confessano di non avere più ragioni per vivere. 

Quando intravedono, in taluni casi, la possibilità 

di chiedere aiuto, allora diventa possibile 

offrire loro nuove ragioni per vivere (Padre 

Morittu). Ma si può guarire da questo “male 

di vivere?”. Secondo Padre Morittu, sì. Serve 

un percorso che, partendo dalla conoscenza 

di sé, attraverso la fatica del lavoro manuale 

e della cultura, favorisca la ricostruzione 

della persona e del cittadino perduti. Senza ritorni 

al passato. La nuova persona, però, sarà 

come un essere ricreato, un “militante disadattato”. 

Una persona, cioè che, come un militare, 

rispetterà una disciplina ferrea, e dovrà 

imparare ad accettarsi come“piccolo resto”, 

come minoranza. Minoranza che dovrà fare 

numerose rinunce, a persone e a compagnie, 

ma potrà così riprendere il respiro del mondo, 

riprendere a riorganizzare con intelligenza e 

sistema la propria vita. Dal tranello droga, 

dunque, se ne esce solo a fatica (cap. Bartolacci) 

e, talvolta, si rimane incastrati anche 

nelle maglie della giustizia. Avere il coraggio 

di parlare delle proprie difficoltà, dunque, e 

parlarne anche con chi è preposto al servizio 

d’ordine pubblico, è un’occasione da non sottovalutare. 

Le forze di polizia hanno forti poteri 

nel contesto della lotta contro le droghe, 

ma le autorità sono pure a conoscenza del fatto 

che soprattutto i giovani consumatori di 

droghe, sono la fascia più debole della catena, 

sono la base sfruttata e resa schiava dai 

trafficanti. Serve, pertanto, una maggiore attività 

di formazione e di educazione, formale e 

informale. Mai la repressione ha risolto fino in 

fondo le difficoltà. Ma, ribadisce il capitano 

Bartolacci, le forze di polizia hanno poteri che 

possono consentire loro di perquisire e intercettare 

quotidianamente ogni attività irregolare. 

E’ illusorio sperare di farla franca. I mezzi 

sono così sofisticati da rendere impossibile 

l’occultamento del reato. Ma per i giovani che 

si affacciano alla vita, e che sentono di essere 

attratti dalle illusioni delle droghe, la vicinanza 

educativa delle istituzioni è più proficua e 

arreca maggiori vantaggi di qualunque attività 

repressiva. A nulla serve filosofeggiare sul fatto 

che la marjuana sia illegale e l’alcol no. Bisogna 

saper tenere i piedi per terra e confrontarsi 

con la realtà. Attualmente chiunque 

faccia commercio di marjuana è punito, chi 

vende l’alcol no. Per vivere felici e sereni, 

quindi, bisogna attenersi al codificato e non 

fabbricare castelli in aria. Un fatto è certo: dietro 

ogni drogato c’è una vittima (Riccardo De 

Vito Magistrato).E per vincere la guerra serve 

combattere seriamente con le armi dell’educazione 

e della giustizia. In particolare è urgente 

la riforma sanzionatoria. Le carceri sono 

piene di persone drogate, ma le carceri non 

sono e non lo sono mai state i luoghi adatti 

per i tossicodipendenti. Il tossicodipendente è 

un malato che va aiutato. E il giudice non è la 

persona giusta. Il giudice serve a difendere 

tutti i diritti, anche dei più deboli contro i potenti. 

Ma il carcere è abitato, ancora, più dai 

piccoli, non dai potenti. Bisogna gridare, 

quindi, che la droga crea il vuoto, e spegne le 

lampade accese dell’intelligenza, della creatività 

e della bellezza. Che anche il piacere che 

arreca è solo iniziale, perché ben presto lascia 

il posto al dolore e alla sofferenza. La droga 

ammazza: fisicamente e socialmente. Ogni 

volta che si compra uno spinello si aiuta la 

mafia a mettere una pistola nelle mani di un 

killer. Ma non si può più far finta che solo la 

repressione pura aiuti a combattere tale male. 

Deve essere ideata una nuova strategia, fatta 

anche di compromesso. I giudici, infatti, vogliono 

far rispettare la legge, ma non vogliono 

colpire il drogato, bensì il traffico e i trafficanti. 

Bisogna, quindi, imparare a rifiutare 

ogni tipo di droga. Ma si deve pure imparare 

a rifiutare, categoricamente, ogni logica di 

equiparazione tra delinquente e tossicodipendente. 

Disciplinare la vita, quindi, è di fondamentale 

importanza (Avv. Putzolu). Bisogna 

insegnare e far apprendere alle nuove generazioni 

cosa va fatto e cosa va evitato, perché 

la vita disciplinata da regole è garanzia di civiltà 

e di benessere.

spiritualità 

Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

2016 

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13 

Turismo, 

al via il percorso francescano 

in Sardegna 

Stefano Bugini 

Il ‘Percorso francescano in Sardegna’, 

ideato e progettato dal 

frate cappuccino Fabrizio Congiu 

e dall’ingegnere Luca Baltolu, 

condiviso e perfezionato dall’assessorato 

del Turismo, Artigianato 

e Commercio. L’iniziativa prende 

avvio durante il Giubileo straordinario 

proclamato da Papa Francesco, 

nonché nell’anno nazionale 

dei cammini. Nell’Isola è possibile 

ripercorre le orme e la storia dell’ordine 

di san Francesco d’Assisi 

attraverso la scoperta dei luoghi 

scelti dai suoi seguaci sin dal 1230. 

Il percorso francescano si inserisce 

in una serie di iniziative promozionali 

che nel 2016 rafforzerà il 

ruolo strategico degli itinerari storici 

e religiosi e valorizzerà il patrimonio 

culturale e ambientale isolano 

nell’ottica di un turismo sostenibile. 

Sarà formalizzato un protocollo 

di intesa fra assessorato e 

aree coinvolte dall’itinerario secondo 

gli indirizzi delle linee guida 

progettuali e il percorso andrà 

ad aggiungersi a un panel strutturato 

e coordinato di proposte, le 

più significative del turismo religioso 

in Sardegna. Il progetto dell’assessorato 

del Turismo prevede 

azioni di promozione sui cammini 

già iscritti nel registro ufficiale della 

Regione. Inoltre, sta per decollare 

il piano di valorizzazione delle 

destinazioni di pellegrinaggio 

che coinvolge i comuni di Dorgali, 

Galtellì, Gesturi, dello stesso Laconi, 

Luogosanto, Orgosolo e Sant’Antioco. 

L’inestimabile patrimonio 

custodito grazie all’attività della 

Chiesa e delle comunità locali 

rappresenta, sempre preservandone 

la valenza spirituale, uno strumento 

capace di produrre beni e 

servizi e di creare sviluppo complessivo, 

specie nelle aree interne. 

Occorrerà una stretta sinergia fra 

Chiamati a seguire Gesù Due in una carne sola 

Mariella Nanni 

Molti pensano che la strada del matrimonio 

e della famiglia non sia una vocazione, 

ma una scelta guidata da sentimenti 

e da interessi privati. I cristiani invece, alla 

luce della parola di Dio, scoprono nella vita 

matrimoniale il culmine di un progetto che Dio 

ha tracciato fin dalla creazione. L’essere uomo e 

donna, l’attrattiva che questo comporta, costituiscono 

già un appello a Dio a diventare “una carne 

sola”, a costruire cioè una comunità di vita. 

E’ un cammino lungo e affascinante quello che 

Dio apre con questa prima chiamata: uscire dalla 

solitudine, per l’incontro dell’amore fino ad 

arrivare gradualmente a condividere tutta la vita. 

Su questo cammino, però, il peccato dell’uomo 

innalza barriere di diffidenza, di incomprensione, 

di egoismo. C’è sempre in agguato la tentazione 

di trasformare l’amore in desiderio di 

possesso e di dominio della persona amata. Uomo 

e donna non solo sono parte della stessa 

umanità e hanno pari dignità, ma sono chiamati 

ad accogliersi nella loro diversità come un dono 

reciproco. Essere disponibili all’accoglienza 

dell’altro è una strada impegnativa che esige 

tempi lunghi. Non è bene che l’uomo sia solo: 

la solitudine è come essere senza nome e senza 

volto. Nella solitudine, imposta o egoisticamente 

voluta, noi non contiamo e non abbiamo valore 

per nessuno, e nessuno è interessante e importante 

per noi. Per non rimanere in questa solitudine 

egoistica, Dio ci propone un lungo cammino 

di maturazione. Il racconto biblico ce lo 

svela in immagini: Dio fa scendere un sonno 

sull’uomo, da una sua costola plasma la donna 

Quando i media parlano di Chiesa molto 

spesso parlano largamente di preti pedofili 

con ripetizioni della stessa notizia 

che porta allo sfinimento a forza di doverli 

ascoltare. Eseguono pedissequamente il vecchio 

adagio popolare, vecchio quanto l’uomo, 

che afferma che una bugia ripetuta cento volte 

diventa una verità; ma se anche vi fosse all’origine 

una verità anziché una bugia, e la stessa 

venisse ugualmente ripetuta se ne amplificherebbe 

il risultato, tanto da apparire molto più 

persuadente avendone aumentato il suo effetto 

essendosi convertita anch’essa ad una delle più 

semplici strategie mediatiche per convincere 

chi non la pensa come te. Nel 1992, il professor 

Begg, della McMaster University in Ontario, dimostrò 

l’effetto della ripetizione con un esperimento 

semplice ma curioso. I partecipanti dovevano 

semplicemente valutare l’attendibilità di 

alcune frasi che venivano loro proposte. La parte 

interessante consisteva nel fatto che alcune 

di queste frasi venissero pronunciate solo una 

volta mentre altre si ripetevano almeno due volte. 

Al termine dell’esperimento si accertò che le 

persone tendevano a considerare le frasi ripetute 

più volte, come più attendibili e, come sappiamo 

bene, se credessimo che il messaggio 

fosse vero, saremo maggiormente suggestionabili 

e ricettivi all’informazione che ci offrirebbe. 

Sembrerebbe quindi che la parola d’ordine fosse 

quella di accreditare nell’opinione pubblica 

una chiesa di molestatori e di nient’altro. I media 

non parlano invece con uguale enfasi ripetitiva 

dei martiri cristiani del XXI secolo. Perché 

mai? Secondo l’International Bulletin of Missionary 

Research che da 27 anni pubblica una relazione 

annuale, indica che i martiri cristiani tra 

il 2000 e il 2010 abbiano raggiunto il milione, 

con una media di 270 morti ogni 24 ore. Ma 

nessuno ne parla. Si confronti questa cifra con 

i 34 mila martiri cristiani del 1900 ed è facile capire 

in quali tempi stiamo vivendo. Di tutto ciò, 

però si ascolta solo un mediatico e globalizzato 

silenzio. Ne parla Papa Francesco e solo i media 

cattolici di rimando commentano i TG. nazionali, 

poi cade il silenzio. Quando ricorre la 

giornata dell’Olocausto se ne parla all’infinito. 

Giustissimo! Eppure dei cristiani perseguitati se 

ne parla poco e non si fa nulla. Ma allora sorge 

un dubbio. Tutto questo parlare di “terribili 

stragi” e “orrendi massacri” del passato, non sarà 

forse solo un grande palcoscenico dell’ipocrisia 

e delle falsità? Prima ancora di riempirci 

le amministrazioni locali, con la 

regia regionale, per proporre 

un’offerta unitaria capace di attrarre 

possibili fruitori nei mercati nazionali 

e internazionali. 

e la conduce all’uomo, così come si offre un dono, 

perché egli l’accolga come tale (Genesi 2,21- 

23). Guardando a questo grandioso piano di 

Dio, l’uomo e la donna credenti consacrano il loro 

amore con uno speciale sacramento. Con 

questo segno essi proclamano che è Cristo a sostenere, 

guidare ed accompagnare l’esperienza 

del loro amore, in ogni momento della vita. 

Questa realtà celebrata nel sacramento, diventa 

programma di vita. Essa esige un amore unico, 

indiviso e fedele, la capacità di donarsi totalmente 

nel corpo e nello spirito. Apre ad un amore 

fecondo, che genera ed educa nuovi figli di 

Dio. Una famiglia cristiana si costruisce in tal 

modo come “piccola Chiesa”. Nel vivere insieme 

giorno per giorno, si impara l’amore cristiano e 

ci si rende disponibili agli altri. Dio non abbandona 

mai coloro che chiama sulle sue strade. 

8 Marzo 2016, festa delle martiri invisibili 

gli occhi di immagini truci di ebrei sterminati, 

non sarebbe il caso che noi tutti, l’intera società, 

ci adoperassimo perché nel mondo cessino 

le persecuzioni contri i martiri odierni? Rendere 

amore e protezione ai perseguitati di oggi non 

sarebbe il modo più bello, concreto e nobile 

per rendere omaggio alle vittime delle persecuzioni 

di ieri? Allora, almeno noi da queste poche 

righe di questo giornale, renderemo onore 

alle nostre sorelle Anselm, Marguerite, Judit, Reginette. 

I loro nomi non erano noti al grande 

pubblico. Le conoscevano solo le persone disabili 

e anziane, troppo povere perché le loro famiglie 

li potessero sfamare e accudire per cui 

venivano assistiti da queste figlie di Madre Teresa 

di Calcutta nella cui congregazione religiosa 

avevano scelto di spendere la vita. I media 

mondiali hanno ignorato quei volti anche quando 

sono stati sfregiati dalla violenza dei bastoni 

impugnati dall’odio fanatico insieme a quelli di 

altre 12 persone innocenti e di fede islamica, 

che collaboravano, avendo scelto di rimanere 

accanto ai loro assistiti. Nuovi martiri invisibili. 

Per questo, l’Unione mondiale delle organizzazioni 

femminili cattoliche (Umofc/ Wucwo) ha 

voluto dedicare l’8 marzo 2016 ad Anselm, Marguerite, 

Judit, Reginette, le suore massacrate ad 

Aden, in Yemen.

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& 


Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

2016 

s’iscravamentu 

ISCRAVAMENTU IN SARDU - Creja ‘e Santu Paule, in Olbia 

Chenapura Santa, 25 martu 2016 

Unu salutu ‘e coro a tottus sos chi sezis in 

custa creja, istasero, pro ammentare sa 

passione, sa morte e s’iscravamentu de 

Zesù Gristu. 

Occ’annu bos aeddo in sardu e no in italianu. 

L’hat cherfitu don Gianni, chi m’hat precatu 

d’esserepo ieo su primu a comintzare. Lu ringratzio 

meta pro custu. A su comintzu no ippo 

sicuru, ma pustis mi so lassatu cumbinchere 

ch’in meta piaghere. E custu, non c’haio carchi 

riserva supra de sa la limba sarda in creja, anzis 

ne so unu cumbintu istimatore, ma solu ca non 

so abituatu a preicare in sardu. 

Infattis est sa prima via chi lu aco. 

Pro custu m’azis a iscusare si su sardu meu no 

est perfettu e si bos aeddo in su sardu chi appo 

semper aeddatu dae minore in sa idda mea, 

ch’est Luvula. Est s’unicu chi mi cunsentit d’esprimer 

menzus chi poto su pessamentu meu. 

E lu acco chin veru coro ca so’ cumbintu chi in 

carchi manera su sardu depat essere usatu vinzas 

in creja, in su modu e canno sa Creja lu permittit. 

E so’ cuntentu de aberrer sa janna a cust’usantzia. 

Bi provo, isperande de bi resessire. 

Intramus como chin animu dispostu in su misteriu 

profundu de custa Chenapura Santa: s’arcanu 

de su Izu ‘e Deus, Deus iss’e tottu, attu 

omine, chi dat sa vita sua pro amore de tottus 

sos omines, de donzunu ‘e nois. Sa ruche est sa 

morte prus crudele e dolorosa chi bi potet aere, 

una morte riservata a sos prus delinquentes 

de sos omines, sa morte prus irgonzosa. “Nissunu 

- at natu una via Zesù Gristu – cheret prus 

vene a unu frate, a un amicu, de chie pro s’amicu 

e’ su frate dat sa vita sua!” 

Custa, duncas, sa rejone e su coro de s’arcanu 

chi oje ammentamus: S’AMORE ‘E ZESU’ GRI- 

STU PRO NOIS! 

Un’argumentu, custu, ch’est su coro, sa vena de 

su credinzu nostru, de su Vanzelu e de sa sarvesa 

nostra. 

Un argumentu chi su Papa ha cherfitu proponnere 

occ’annu pro su jubileu istraordinariu de 

“sa Misericordia”. 

Sa Pasca de occ’annu, duncas, et custu ritu de 

s’Iscravamentu los cherimus celebrare chin sos 

ocros e chin su coro dinnantis a custa veritate 

chi nos dat cossolu e isperantzia. 

E no est un unu misteriu inventatu dae sos omines, 

no est una vantasia… Est un’istoria vera! 

Su ch’istasera e in tottu custa Chita Santa ammentamus 

e celebramus est capitatu abberu! 

Sa cundenna ‘e Zesusu, sos corfos de vrusta, sa 

corona de ispina, sos craos c’ana trapassatu sa 

carre via de su Segnore son tottu veros. 

A distantzia de duamizza annos nois sichimus 

a nos dimannare: ma proite? 

Proite su Segnore hat fattu custu? Proite s‘est 

cherfitu abbassare goi in bassu? Non b’aiat atteros 

modos e maneras pro nos sarvare? Isse it 

Deus, soveranu e poderosu! Potiat ischirriare 

milli atteras maneras. Proite? 

Credo chi su motivu siat fatzile: achennesi omine, 

su Izzu ‘e Deus s’ata abbrazzatu tottu de s’umanitate, 

hat cherfitu chi nois l’aeremus intesu 

accurzu, hat cherfitu isperimentare donzi sentimentu 

e colare donzi esperientzia umana, vinzas 

sa prus crudele e umiliante, s’est cherfitu garrigare 

in palas suas donzi pesus umanu, achennenos 

videre in pedde sua chi isse nos cumprennet 

canno suffrimus, canno semus in peleas 

mannas e minores. Ca l’hat provatu isse ’e tottu! 

Amicos e frates meos, istasero in sa Via Crucis e 

in s’Iscravamentu, comente in tottu sa Chita Santa, 

nois non semus ispettatores indifferentes de 

vronte a s’arcanu chi ammentamus e celebramus. 

Semus attores protagonistas. In su chi capitat a 

Zesù Gristu bi semus nois puru in intro. Su chi 

Isse hat fattu e suffritu est pro tottus sos omines, 

est pro nois, pro donzunu ‘e nois! Est unu 

misteriu pro nois, un arcanu chi nos appartenet 

e de cust’arcanu amus bisonzu! 

Duncas, bos preco: lassatebos, anzis, totu cantos 

nos devimus lassare interrogare, nos devimus 

lassare ponner in mesu, piccare a manu tenta 

dae su Segnore, pro cumprennere ite Isse nos 

cheret narrere, ite nos cheret dare, pro nos lassare 

imbolicare dae su letholu de s’amore suo! 

Leghende su Vanzelu, cantas vias vidimus Zesusu 

chi accurtziat sos poveros, sos malaidos, 

sos bisonzosos. 

A cantos tzecos hat torratu sa vista, cantos thoppos 

hat fattu caminare, cantos lebbrosos hat sanatu, 

cantos peccatores hat perdonatu! Non 

s’est mai lassatu conditzionare (irviare) dae sa 

mentalitate tzeca de sos omines e dae su naronzu 

de sa zente: est intratu e hat mannicatu 

in domo de sos peccatores, hat datu a mannicare 

a 5 miza pessones chi l’annaiana in fattu, 

hat accurziatu e perdonatu sas prostituitas, at 

torratu a bita sos mortos. Non b’at appitu conditziones 

umanas de dolore e de sufferentzia in 

umbe non siat intratu chin paraulas e vainas de 

cunfortu e de isperantzia. 

Si Zesusu tottu custu hat fattu in terra, si sa passione 

e sa morte sono su disvelamentu de sa 

misericordia sua, l’hat fattu pro nois e solu pro 

nois: pro nos dare sa possibilitate de intrare in 

s’oceanu immensu de s’amore suo, pro esseremus 

nutritos e thathatos de sa misericordia sua, 

ma vintzas pro nos imparare chi nois puru devimus 

fachere su mantessi, nois puru devimus 

perdonare, nois puru devimus cherrer vene a 

su prossimu. 

“Devites essere misericordiosos coment’est misericordiosu 

su Babbu ostru Divinu” nos hat natu Zesù 

Gristu. In su Babbu nostru precamus donzi 

die: “Perdona a nois sos peccados nostros comente 

nois ateros perdonamus sos inimigos nostros”. 

Su Vanzelu de Santu Matheu nos narat chi Zesusu 

prima de sa Passione sua in su Monte ‘e 

sas Olias ha precatu chin sas paraulas de su salmu 

136. Salmu e paraulas chi vintzas nois precamus: 

“Eterna est sa misericordia sua”. 

Chin custas paraulas Zesusu, preparannesi a sa 

passione e a sa morte, ponet s’umanitate sua in 

manos de su Babbu Divinu misericordiosu e ne 

cantat sa grandesa. Poi, pacos momentos prima 

de ispirare in supra e’ sa ruche narat: “Perdona, 

o Babbu, a sos chi m’ana cundennatu innoztente, 

ca non ischini mancu su chi achene”. 

S’urtima paraula, duncas, est paraula de perdonu, 

de dolu, de amore, de misericordia. 

Cale impreu pro nois! 

No est possibile chi cust’impreu nos lasset indifferentes, 

chi non cumbincat a nois puru a 

perdonare comente isse hat perdonatu, a cherrer 

vene a frates, amicos, connoschentes, omines 

de accurtzu e de lontanu, ma vinzas a chie 

nos at offesu, a chie nos hat inzugliatu, a chie 

nos cheret male. 

Custa, amicos e frates caros, est sa differentzia tra 

unu cristianu e unu chi non bi credet: sa vortza 

de perdonare, de semenare pache e cuncordia, 

de vraicare una sotzietate prena de amistade e 

de bonu cherrer, inumbe s’unu azuat a s’ateru e 

chie at de prus non zirat sa cara a s’ater’ala canno 

videt unu poveru, unu chi hat bisonzu. 

Si nos ziramus intunnu, si leghimus sos giornales, 

si abaitamus sa televisione vidimus solu 

zente briande, solu malu achere e gherras, vidimus 

su maritu chi occhiet sa muzere, sa mama 

chi occhiet su izu, su izu chi occhiet su babbu 

e sa mama. Ma non bastat. Vidimus zente chi 

occhiet in lumene ‘e Deus, e chin su lumen de 

Deus in bucca isconcat omines, eminas e pitzinnos 

innotzentes… 

Restamus chene paraula, istentamus a credere 

chi custas cosas potan sutzedere abberu. Eppuru 

sutzedini! E comente! Est sa crudele veritate 

de donzi tempus e puru de su tempus nostru! 

Ma propiu pro custu Zesù Gristu s’est fattu omine, 

pro custu est mortu in sa ruche: pro nos imparare 

s’amore, sa pache, su perdonu, pro sanare 

e cumbertire su coro malaidu e malintragnatu 

de s’omine. Pro chi s’omine non restet 

prejoneri de s’egoismu, de su malu pessamentu 

e de su malu achere. 

Abbaitamus como sa Ruche, abbaitamus su 

Crutzifissu. 

Cussa Ruche pro nois no est prus signale de 

morte, de cundenna, de iscunfitta. Est imbetzes 

signale de vita, de luche, de isperantzia, de 

cunfortu. 

Si semus ruttos Isse nos azuat a nos arriccare, si 

semus in affannu e in pelea isse nos cossolat, si 

semus disanimatos nos cunfortat, si amus peccatu 

nos perdonat. Su Papa metas vias non at 

ammentatu: “Deus non s’istraccat mai de nos 

perdonare. Simmai semus nois chi nos istraccamus 

de li petire perdonu”. 

Dae sa Ruche venit sa Luche! 

Lassemonnos abbratzare e accumpanzare dae 

custa Luche.! 

In pedes de sa Ruche b’est sa Mama ‘e Zesusu 

e Mama nostra, Maria Santissima, Mama ‘e dolores 

ma vintzas Mama de isperantzia. Issa, chi 

sett’ispadas de dolore l’han trapassatu su coro, 

nos azuet a nos garrigare in palas nostras sas 

ruches de donzi die. 

Accurzu a Maria bi sono sas feminas chi semper 

sono istatas accurzu a Zesusu e l’han semper 

assìstitu e ascurtatu chin devotzione manna, 

Maria de Cleofa e Maria de Magdala. 

Bi son puru sos atteros dissipulos chi, perditu 

su timinzu chi los aiata aggantzatos mentras chi 

Zesusu it protzessatu, si achen corazzu e, mancari 

sian galu prenos de dubbios e de dimannas 

chene risposta, cheren istare accurzu a su Mastru 

issoro in su momentu de s’urtimu respiru 

suo in custa terra. 

Sono sas tres de vortaidie. Su Segnore chind’unu 

lamentu narat: “So sititu”. Sos sordatos romanos 

chind’una lantza l’accurtziana a lavras 

un pacu ‘e bambache chin achetu. E derettu incurvanne 

sa cara a terra e nanne “Tottu est cumpritu!”, 

ispìrata. 

Comente amus fattu cust’ortaidie in sa liturgia 

de sa Chenapura Santa, istamus assamuta unu 

mamentu e precamus intro ‘e coro nostru. 

(……) 

Como est arrivatu su momentu de dare una digna 

sepultura a Su Segnore, in sa tumba chi 

animas vonas l’han preparatu. 

In pedes de sa ruche b’est Zoseppe de Arimatea 

unu de sos dissipulos de Zesusu. Est su mere 

de unu cunzatu, accurtzu a su Calvariu, 

inumbe b’at una tumba buita iscavata in sa rocca, 

mai usata prima. In cussa tumba interrana 

su Segnore. 

Paris chin Zoseppe de Arimatea b’est vintzas 

Nicodemo, un ateru dissipulu de su Segnore, 

omine justu et de vonu coro. 

Zoseppe e Nicodemo, azuatos da ateros dissipulos, 

omines et feminas, achene cust’opera 

vona de ch’ acchirrare su corpus de Zesusu dae 

sa Ruche e de che l’interrare.

s’iscravamentu 

Anno XXIV 

n. 3 

29 marzo 

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S’ISCRAVAMENTU 

Zoseppe e Nicodemo, accurtziatebos como 

a sa Ruche… 

Ingrenucatebos…adorate et precate intro ‘e 

coro ostru su Izzu ‘e Deus…. 

Pesatebonche, annate a dainnantis de sa 

Madonna, sa Mama ‘e Zesusu… 

Dimannate a Issa su permissu pro c’acchirrare 

dae sa ruche su Corpus santu de su Izu 

Divinu…. Pro vois est unu granne onore de 

poter astringhere in bratzos vostros cussu Corpus 

santu de Zesusu, chi Maria at partoritu. Issa, 

comente donzi mama, l’intennet comente 

carre de sa carre sua inumbe iscurret su mantessi 

sambene suo, sa mantessi vita sua. 

Como, torràte a bos accurtziare a sa Ruche… 

Ampilate in sas iscalas pro liberare su Corpus 

de Zesusu dae cussu patibulu ‘e linna. 

Controllate chi s’asca siat bene posta in sutta 

‘e sos bratzos de Zesusu, …. Est s’asca chi 

poi bos ata a servire pro c’acchirrare su Corpus 

dae sa Ruche 

Como chizzìtenche sa corona de ispinas dae 

sa conca ‘e Zesusu: est sa corona chi sos sordatos 

romanos, achennesi beffa de su Re Divinu, 

l’ana postu in conca. 

Ammustratela a su populu, pro ch’isse puru 

potata abbaitare e venerare cust’istrumentu de 

dolore 

Vasatebòlla… 

Apporritela a sos dissipulos chi sono in terra 

Vasatebolla vois puru… 

… e como dàzila a sa Madonna, chinghennebila 

in conca. Ata a essere Issa a la gollire 

vene comente reliquia pretziosa, comente at 

semper gollitu in coro suo tottu sas paraulas de 

su Izzu suo. Issa l’ischiat chi prima o poi deviat 

arrivare cuss’ora chi Simeone in su tempiu l’aiat 

profetatu: “a tie, Maria, un’ispada t’at a trappassare 

su coro”. 

E como tue, Zoseppe de Arimatea, chìtzinche 

su crau dae sa manu destra de Su Segnore. 

Cantas vias chin cussa manu ha beneittu poveros, 

malaidos, peccatores, zente bisonzosa chi 

s’accurtziaiat a isse pro esser cossolata e azuata. 

Ammustra cussu crau a su popolu, chi vidat 

e ammentet sempere su c’at suffritu Zesusu pro 

nos cherrer vene. 

Vasa cussu crau e àchelu vasare vintzas a 

Nicodemo… 

Apporrilu a sos dissipulos chi sono in terra… 

Vasatelu vois puru… 

….. e como dazilu a sas feminas chi lu presentana 

a sa Madonna, ponennelu in pedes 

suos. 

E como, tue, Nicodemo, chitzi su crau dae 

sa manu sinistra de Su Segnore…Canta zente 

at abbratzatu cussa manu, cantos pitzinnos at 

carignatu, cantas concas at toccatu pro las liberare 

dae donzi malu pessamentu e dae donzi 

malignitate… cantos poverittos e istropiatos chi 

s’ingrenuchiana pro dimannare perdonu e aggiutoriu 

at arritzatu … 

Vasa cussu crau e àchelu vasare vintzas a 

Zoseppe de Arimatea… 

Apporrilu a sos dissipulos chi sono in terra… 

Vasatelu vois puru… 

….. e como dazilu a sas feminas chi lu presentana 

a sa Madonna, ponennelu in pedes suos. 

In su mentras chi Nicodemo mantenet s’ascha 

intunnu a su corpus de Zesusu, tue, 

Zoseppe de Arimatea, acchirra dae s’iscala 

Pòneti in pedes de su Crutzifissu e chìtzinche 

su crau c’hat trapassatu cussos pedes 

santos. Aiat natu vene su profeta Isaia: “Comente 

son bellos sos pedes de chie vàttut novas 

vonas”. E sas novas de Zesusu sono sa pache, 

s’armonia, sa zustissa, s’amore… 

Ammustra cussu crau a su popolu 

Vasalu… 

….. e como dailu a sas feminas chi lu presentana 

a sa Madonna, ponennelu in pedes suos. 

Zoseppe de Arimatea, azuatu dae sos ateros 

dissipulos, acchìrranche como su Corpus 

Santu de Zesusu dae sa Ruche… 

Ammustrate cussu Corpus maltrattatu e 

chene vita a su Populu pro l’adorare 

Como accurtziatebos a Maria e presentateli 

su Corpus de su Izzu suo Divinu. In su dolore 

tuo, o Mama Santissima, b’est su dolore de donzi 

mama in custa terra, de chie li morit unu izu, 

de chie devet assistere unu izu malaidu, oppuru 

suffrit pro unu izu chi s’est perditu chin cumpanzias 

e istradas malas, sas istradas de su vissu, de 

su vinu, de sa droga, de su malu achere… 

Paret chi Issa nos siat nanne vintzas oje: “vois 

chi colates inoche, virmàtebos e appompiate: bi 

potet aere unu dolore prus mannu de custu?” 

No, non b’at dolore chi potat essere paragonatu 

a su dolore de una mama! 

Mama de su Vonu Caminu, accumpanza chin su 

vonu coro tuo tottu sas mamas chi sono in affannu 

e golli sas lacrimas de sos ocros e de su 

coro issoro. Ache chi non s’intennana mai solas. 

Cale tristura manna in cust’issena! Ma est galu 

prus triste pessare chi sa morte e passione ‘e Zesusu 

sichit a esser presente oje, comente a eris, in 

totu cussos chi sono irmenticatos dae sa sotzietate, 

in sos disoccupatos e in sos isfruttatos, in sas 

eminas chi morini pro s’egoismu de s’omine, in 

cussas chi sono obbricatas a benner sus corpus e 

s’anima issoro, in sos pitzinnos violentatos… 

Perdonannos, Segnore, si custa chenapura santa 

est semper presente vintzas in sa sotzietate 

de oje. Dàennos s’isperantzia e sa tzertesa chi 

Tue ses sa vita, ca tue as vintzu sa morte chin 

sa Resurretzione tua. Gai siat. 

E tantas gratzias a bois c’azis apitu sa passentzia 

‘e m’ascurtare. 

Ateros annos menzus! 

- Como imbarate chi delicatesa su Corpus 

de Zesusu in sa lettèra preparata pro s’interru. 

✠Sebastiano Sanguinetti

vittime

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