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Area 51_ La verita, senza censu - Annie Jacobsen

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Sage Control 4 . Qui una voce gli avrebbe fornito coordinate via via più precise,<br />

concludendo con un’autorizzazione ad atterrare in un punto in mezzo alle montagne dove<br />

nessuno sapeva che esistesse una pista. Le luci della pista venivano accese solo quando<br />

l’aereo si trovava a poche centinaia di metri da terra.<br />

Anche i piloti della CIA venivano tenuti all’oscuro con metodi analoghi. Accuratamente<br />

selezionati dalla base dell’aeronautica militare di Turner, in Georgia, e da quella di<br />

Bergstrom, in Texas, gli uomini non avevano idea di dove stessero andando a lavorare<br />

quando accettavano l’impiego. In retrospettiva sembra facile riconoscere la mano della<br />

CIA, ma alla fine del 1955, a soli sette anni dall’istituzione dell’agenzia, non era così.<br />

«Sembrava la scena di un romanzo di spie» 5 ricorda Hervey Stockman. «Mi diedero un<br />

appuntamento dicendo di presentarmi alla stanza 215 dell’Austin Hotel e di bussare alla<br />

porta esattamente alle tre e un quarto. Un tizio di bell’aspetto con indosso un abito di<br />

tweed dal taglio perfetto mi aprì e disse: “Si accomodi, Hervey…”. Quello fu il mio primo<br />

contatto con l’agenzia.»<br />

Hervey Stockman era uno dei piloti più esperti d’America. Era tanto impavido quanto<br />

gentile, un uomo che si era innamorato degli aeroplani la prima volta che ne aveva<br />

pilotato uno all’Army Air Corps, la forza aerea americana durante la Seconda guerra<br />

mondiale, poco dopo aver lasciato le comodità dell’università di Princeton per combattere<br />

contro i nazisti. Quando arrivò all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per essere addestrato, parte del primo gruppo<br />

di sette piloti di U-2 denominato Detachment A (Distaccamento A), aveva già effettuato<br />

168 missioni di combattimento in due teatri bellici, il secondo conflitto mondiale e la<br />

Guerra di Corea.<br />

L’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> «era la giungla» dice Stockman. «Vivevamo in roulotte, tre in ognuna, a<br />

quanto ricordo. Dal Groom <strong>La</strong>ke non potevamo scrivere a casa né telefonare.» Quando il<br />

gruppo di Stockman arrivò, nel gennaio del 1956, alla base c’erano «probabilmente una<br />

cinquantina di persone». Le roulotte erano posizionate in modo che si potesse arrivare<br />

agli hangar a piedi e «c’era un edificio per l’addestramento, sempre una roulotte» proprio<br />

lì accanto, dove Stockman trascorreva la maggior parte del tempo. Ricorda la sala mensa<br />

come una delle uniche strutture permanenti della base oltre agli hangar. «Eravamo in<br />

mezzo al deserto» dice Stockman. «Per tornare alla civiltà dipendevi in tutto e per tutto<br />

dall’aereo. Passava qualche veicolo sulla strada, ma erano tutti accuratamente<br />

sorvegliati. Personale della sicurezza ovunque.»<br />

Anche le identità dei piloti erano tenute nascoste 6 . «Avevamo tutti degli pseudonimi. Il<br />

mio era Sampson… odiavo quel nome, perciò chiesi: “Posso chiamarmi Sterritt? Sterritt mi<br />

suona meglio. Sono piccolo e Sterritt mi sembra più adatto”. E quelli: “Fa’ pure. Se vuoi<br />

chiamarti Sterritt, va bene”. Ma per i loro registri ero Sampson. I registri sono ancora là…<br />

in cantina. E riportano il nome Sampson. L’agenzia stava attentissima a queste cose.» I<br />

piloti venivano sorvegliati durante il tempo libero, non tanto per vedere cosa gli uomini<br />

avrebbero fatto quanto per essere sicuri che gli agenti del KGB non li stessero osservando.<br />

Ai piloti del Detachment A vennero assegnati appartamenti a Hollywood, California, dove<br />

risiedevano ufficialmente. Nei fine settimana socializzavano al Brown Derby Restaurant.<br />

«Era un luogo di ritrovo e quelli della sicurezza potevano tenerci d’occhio» spiega<br />

Stockman. Il lunedì mattina, quando era il momento di tornare all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, si riunivano al

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