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Area 51_ La verita, senza censu - Annie Jacobsen

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al poligono in cui le persone sapevano di non dover toccare le superfici metalliche a meno<br />

di non voler rimediare un’ustione. Mingus pensa che fosse il 1982 ma non ne è sicuro,<br />

dato che l’avvenimento non venne annotato di proposito nel registro del dipartimento<br />

dell’Energia. Mingus era stato promosso a coordinatore delle operazioni di sicurezza del<br />

laboratorio <strong>La</strong>wrence di Livermore. All’epoca in cui venne sfiorata la catastrofe, il<br />

personale di sicurezza di rango inferiore stava scortando un ordigno nucleare lungo la<br />

Rainier Mesa Road. <strong>La</strong> bomba, una delle diciotto 4 fatte esplodere sottoterra al Nevada<br />

Test Site nel 1982, doveva essere calata in un pozzo sotterraneo. <strong>La</strong> squadra della<br />

sicurezza composta da cinque uomini 5 viaggiava dietro il mezzo su cui si trovava la<br />

bomba, un veicolo blindato apposito, facendo attenzione a rimanere a breve distanza<br />

dall’ordigno nucleare, come prevedeva il protocollo. «C’erano un autista, un superiore, un<br />

armiere alla torretta, un servente addetto a caricare la mitragliatrice e a non farla<br />

inceppare, e due tiratori scelti» spiega Richard Mingus. Tra la bomba e gli uomini della<br />

scorta c’è sempre una certa distanza: «Uno dei tiratori scelti ha i lacrimogeni e l’altro un<br />

lanciagranate. È possibile usare entrambe le armi a spalla oppure tenendole all’altezza<br />

della vita. Avrebbero centrato un bersaglio lontano cinquanta o settantacinque metri<br />

perché se si viene attaccati e bisogna sparare, si ha bisogno di una certa distanza.<br />

Altrimenti i gas lacrimogeni finiscono negli occhi del tiratore».<br />

Quando la squadra della sicurezza e la bomba nucleare arrivarono al punto zero<br />

stabilito, un team di ingegneri e gruisti iniziò le operazioni di scarico e di posizionamento<br />

della bomba in un buco profondo circa 250 metri. Calare una bomba nucleare innescata in<br />

un pozzo del diametro di un metro e mezzo richiedeva la straordinaria abilità di un unico<br />

tecnico che manovrava una pesante gru metallica. Non si potevano commettere errori. <strong>La</strong><br />

gru faceva scendere l’ordigno di 30 metri alla volta, un passo che nel gergo del poligono<br />

viene chiamato “picco”. Soltanto dopo il secondo picco, ovvero quando la bomba si<br />

trovava a 60 metri di profondità, due uomini della squadra di sicurezza avrebbero potuto<br />

lasciare l’area; fino a quel momento la bomba veniva considerata non sicura.<br />

Negli ultimi venticinque anni Richard Mingus aveva fatto parte della squadra di<br />

sicurezza al punto zero decine di volte, ma quella mattina del 1982 stava coordinando le<br />

operazioni di Livermore dall’interno di un edificio denominato “centro di controllo” che si<br />

trovava nell’<strong>Area</strong> 6, a 16 chilometri dalla bomba. L’ordigno stava per raggiungere il<br />

secondo picco quando si scatenò il caos.<br />

«Ero seduto alla mia scrivania al centro di controllo quando arrivò una telefonata»<br />

racconta. «Dick Stock, l’ingegnere che supervisionava l’esplosione al punto zero disse al<br />

telefono: “Siamo sotto attacco all’edificio di assemblaggio!”.» Negli anni Ottanta, l’edificio<br />

di assemblaggio era il posto dove i componenti della bomba venivano accoppiati al<br />

materiale nucleare. Dal momento che quella settimana erano previsti parecchi test,<br />

Mingus sapeva che probabilmente c’erano altre bombe nell’edificio dell’<strong>Area</strong> 27. «Dick<br />

Stock disse di aver sentito l’informazione alla radio che gli uomini della sicurezza<br />

portavano» alla cintura.<br />

Nei ventisei anni in cui ha lavorato al poligono, Richard Mingus è passato da addetto<br />

alla sicurezza a coordinatore delle operazioni di Livermore. Dopo la morte del padre, nel<br />

1941, Mingus aveva lasciato la scuola superiore per lavorare nelle miniere di carbone.

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