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Area 51_ La verita, senza censu - Annie Jacobsen

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Test Site, a Camp Mercury, e da lì venivano portati alle Jackass Flats da pullmini<br />

dell’Atomic Energy Commission.<br />

Tutti gli addetti entravano da un piccolo portone nel fianco della montagna, «che<br />

sembrava l’ingresso del pozzo di una vecchia miniera, anche se un filo più moderno»<br />

racconta Barnes, ricordando «grandi porte d’acciaio ed enormi condotti per l’aria che<br />

provenivano dalla cima dell’altopiano ed entravano nella galleria». All’interno il tunnel di<br />

cemento era lungo e dritto, e proseguiva nelle viscere della terra «a perdita d’occhio». I<br />

documenti dell’Atomic Energy Commission indicano che il tunnel era lungo 350 metri 30 .<br />

Barnes dice che era illuminato a giorno e pulitissimo. «C’erano condotti per l’aria a vista<br />

per tutta la lunghezza del tunnel e parecchie passerelle di metallo sovrapposte che<br />

venivano usate per trasportare oggetti pesanti dentro e fuori la montagna» racconta. «Il<br />

soffitto era alto circa due metri e mezzo e c’era spazio per non più di due uomini che<br />

camminavano affiancati.»<br />

Nel cuore del tunnel Barnes incontrava un’ultima serie di porte chiuse. Al di là di esse<br />

c’era una successione di stanze fortemente illuminate piene di scrivanie. «Avvicinandosi<br />

alla fine del tunnel, si entrava in una grande stanza sotterranea occupata interamente da<br />

amplificatori elettronici, circuiti discriminatori, dispositivi di multiplazione e banchi di<br />

strumentazione hi-tech allineati lungo le pareti.» Di fronte alle apparecchiature<br />

elettroniche c’era un ingegnere «di solito con un carrello zeppo di strumenti di<br />

misurazione elettronica che tarava e riparava i circuiti» spiega Barnes. Questi uomini si<br />

stavano preparando per quelli che sarebbero stati test in atmosfera, in scala reale, di un<br />

motore a propulsione nucleare. Per poter verificare che il NERVA fosse davvero in grado di<br />

portare su Marte una nave spaziale piena di astronauti a una distanza compresa tra 54,4<br />

e 401,3 milioni di chilometri (a seconda della posizione dei due pianeti nella rispettiva<br />

orbita), la NASA e l’AEC dovevano prima far funzionare il motore a pieno regime per lunghi<br />

periodi di tempo sulla Terra. Per testare quel genere di potenza <strong>senza</strong> che il motore<br />

finisse nello spazio, fu bloccato su un banco di prova e posizionato al contrario.<br />

Per ciascun test, una locomotiva guidata a distanza 31 avrebbe portato il reattore al<br />

banco di prova dal bunker di cemento e piombo dove veniva tenuto, chiamato E-MAD, che<br />

distava cinque chilometri. «Scherzavamo sul fatto che la locomotiva delle Jackass Flats<br />

era la più lenta del mondo» racconta Barnes. «L’unica cosa che evitava la fusione del<br />

nocciolo del reattore mentre viaggiava lungo i binari avanti e indietro dall’E-MAD al banco<br />

di prova era l’idrogeno liquido in cui era immerso.» Il treno non andava mai a più di otto<br />

chilometri orari. «Una scintilla e sarebbe esploso tutto quanto» spiega Barnes. A -195 °C<br />

l’idrogeno liquido è uno degli esplosivi più instabili e pericolosi del mondo. James A.<br />

Dewar, autore di To the End of the Solar System: The Story of the Nuclear Rocket, è<br />

ancora più preciso: «Un centesimo della scarica elettrostatica che si crea 32 strisciando i<br />

piedi su un tappeto e poi toccando un muro può incendiare l’idrogeno». Per descrivere a<br />

cosa assomigliavano le installazioni esterne delle Jackass Flats, Barnes le paragona a<br />

Cape Kennedy. «Immaginate una torre di alluminio alta 37 metri che si erge da una<br />

piattaforma di cemento circondata da un profondo acquedotto. Aggiungete alcuni<br />

giganteschi serbatoi sferici simili a thermos contenenti ciascuno qualcosa come 986.000<br />

litri di idrogeno liquido e avrete un’idea dello scenario che si poteva vedere alle Jackass

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