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Area 51_ La verita, senza censu - Annie Jacobsen

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pare che tu faccia sul serio» disse a Taylor nel 1958.<br />

Alla General Atomics furono dati un anticipo di un milione di dollari, un progetto<br />

classificato con il nome in codice Orion e un’installazione di massima sicurezza per<br />

eseguire i test all’<strong>Area</strong> 25 del Nevada Test Site, nelle Jackass Flats. Il motivo per cui la<br />

nave spaziale di Taylor aveva bisogno di un posto segretissimo e non poteva essere<br />

lanciata da Cape Canaveral come gli altri razzi e le altre navicelle, era che Orion sarebbe<br />

stata alimentata da duemila bombe nucleari “di piccole dimensioni”.<br />

All’<strong>Area</strong> 25, lontano da occhi indiscreti, la gigantesca nave spaziale di Taylor sarebbe<br />

stata lanciata da torri alte 75 metri. Il lancio avrebbe provocato l’innalzarsi di una colonna<br />

di energia nucleare rilasciata dalle bombe. Ma quando l’aeronautica militare assunse il<br />

controllo del progetto, aveva in mente una cosa completamente diversa. L’ARPA e<br />

l’aeronautica ripensarono Orion trasformandola in una nave da guerra spaziale. Dalla sua<br />

posizione altissima sopra il pianeta, una USS Orion poteva essere usata per lanciare<br />

attacchi contro obiettivi nemici impiegando missili nucleari. Grazie alla tecnologia di<br />

propulsione atomica, la nave spaziale era in grado di compiere veloci manovre difensive,<br />

evitando qualunque missile russo eventualmente diretto contro di essa. Avrebbe potuto<br />

resistere all’esplosione di una bomba da un megatone da una distanza di soli 150 metri.<br />

Per un certo periodo, all’inizio degli anni Sessanta, l’aeronautica credette che Orion<br />

sarebbe stata invincibile. «Chiunque costruirà Orion controllerà la Terra!» 27 dichiarò il<br />

generale Thomas S. Power dello Strategic Air Command. Ma nessuno la costruì. Dopo il<br />

bando dei test nucleari in atmosfera nel 1963, il progetto fu sospeso a data da destinarsi.<br />

Sempre desiderose di mandare l’uomo su Marte, la NASA e l’aeronautica rivolsero la<br />

propria attenzione ai razzi a propulsione atomica. Da quel momento in avanti non ci<br />

sarebbero più state esplosioni nucleari in atmosfera alle Jackass Flats, almeno non<br />

ufficialmente. L’energia nucleare richiesta per la navicella diretta su Marte sarebbe stata<br />

fornita da un reattore volante, con barre di carburante racchiuse tra pareti abbastanza<br />

leggere per poter viaggiare nello spazio ma comunque sufficienti a evitare di friggere gli<br />

astronauti. Il progetto fu denominato NERVA, l’acronimo di Nuclear Engine for Rocket<br />

Vehicle Application (Motore nucleare per applicazione su veicoli a razzo). L’installazione<br />

aveva un nome pubblico, anche se nessun cittadino normale avrebbe potuto recarvisi: si<br />

chiamava Nuclear Rocket Test Facility di Jackass Flats. Per dirigere il programma fu<br />

creato un ufficio congiunto NASA/AEC, denominato Space Nuclear Propulsion Office (SNPO,<br />

Ufficio per la propulsione nucleare spaziale) 28 .<br />

Per T.D. Barnes, occuparsi del reattore nucleare NERVA era un po’ azzardato, dato che le<br />

sue competenze riguardavano i missili e le tecnologie radar. Ma quando, alla fine degli<br />

anni Sessanta, il lavoro all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> iniziò a scarseggiare, Barnes, che faceva parte della<br />

squadra Special Projects della EG&G, fu mandato all’<strong>Area</strong> 25 a lavorare al progetto NERVA.<br />

Anche se NERVA era stato presentato al Congresso come un programma pubblico, tutti i<br />

suoi dati erano classificati, come pure le attività quotidiane all’<strong>Area</strong> 25. <strong>La</strong> postazione di<br />

lavoro di Barnes non avrebbe potuto essere più nascosta alla vista: si trovava sottoterra,<br />

costruita nel fianco di una montagna 29 che si innalzava ai margini del piatto paesaggio<br />

desertico. Tutte le mattine Barnes e i suoi colleghi provvisti di autorizzazioni di sicurezza<br />

che vivevano a <strong>La</strong>s Vegas o nei dintorni parcheggiavano l’auto all’ingresso del Nevada

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