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Area 51_ La verita, senza censu - Annie Jacobsen

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controllo e riavviò il motore. Il reattore dell’Oxcart ripartì quasi altrettanto in fretta di<br />

quanto si era spento.<br />

Le cose tornarono alla normalità. Dentro la tuta pressurizzata Collins sentiva il cuore<br />

martellargli nel petto. Il destino è davvero un cacciatore, pensò. Ti sta sempre alle<br />

calcagna, incalzandoti. Non era ancora giunta la sua ora, e sospirò di sollievo. Ma<br />

bisognava che qualcuno risolvesse quel problema ai motori. Una volta che ebbe di nuovo i<br />

piedi saldamente posati per terra, Collins discusse il problema dell’“unstart” con Bill Park,<br />

il capo collaudatore della Lockheed. Park era d’accordo con Collins: il problema ai motori<br />

era grave e occorreva risolverlo prima che qualcuno ci rimettesse la pelle. Park era il<br />

collegamento tra i piloti collaudatori e Kelly Johnson, che lo mandò dall’esperto di<br />

termodinamica, Ben Rich, perché lo aiutasse. Park aveva sperimentato di persona<br />

l’“unstart” e non aveva alcun problema a dare un ultimatum a Rich.<br />

Bill Park entrò nell’ufficio di Rich e andò dritto al punto. «Sistemalo» disse 21 . «Devi<br />

renderti conto di che cosa vuol dire.» I piloti erano convinti che l’unico modo per far<br />

capire a Ben Rich che cos’era davvero un “unstart” fosse di fargli provare lo scenario da<br />

incubo, e capitava che alla base ci fosse una versione biposto dell’Oxcart. L’aeronautica<br />

militare stava testando l’M-21/D-21 nei cieli sopra il Groom <strong>La</strong>ke e i piloti avevano visto il<br />

biposto fare avanti e indietro dall’hangar per tutta la settimana. Park disse a Rich che era<br />

venuto il momento di farsi un giretto a Mach 3.<br />

In quello che in seguito avrebbe definito «un folle momento di debolezza», Ben Rich<br />

accettò. Rich descriveva sé stesso come un secchione ebreo; privo di qualunque dote<br />

atletica, non aveva mai fatto parte della squadra di baseball della scuola. Era un mago<br />

della progettazione, non un ardito dell’aria. Non aveva mai volato a velocità supersonica<br />

prima di allora e non aveva assolutamente alcun desiderio di provare. Ma era l’ingegnere<br />

capo degli Skunk Works, perciò sistemare il problema dei reattori dell’Oxcart era compito<br />

suo. «D’accordo» disse.<br />

Prima di poter mettere piede sull’aereo più veloce del mondo, dovette passare una<br />

serie di test fisici. Non è che ci si può accomodare sul seggiolino e salire a 27.000 metri e<br />

passa di quota <strong>senza</strong> essere stato in una camera ipobarica con indosso una tuta<br />

pressurizzata. I medici aeronautici prepararono Rich per i test come facevano<br />

normalmente con i piloti. Rich superò i test fisici e alcune prove di stress, ma quando<br />

arrivò il momento della camera di decompressione – quella che simulava l’eiezione a<br />

15.000 metri – le cose non andarono come previsto. Non appena la porta si chiuse dietro<br />

di lui, fu preso dal panico. «Avevo l’affanno come un maratoneta e urlavo: “Fatemi uscire<br />

di qui!”» ricordò in seguito 22 . Senza neppure essersi avvicinato alla simulazione di ciò che<br />

significava volare a Mach 3, per non parlare di fare esperienza di un “unstart” a quella<br />

velocità, nelle sue memorie Ben Rich ammise che era quasi morto di paura.<br />

Ma il risultato era stato ottenuto lo stesso: Rich si dedicò anima e corpo a risolvere il<br />

problema. Come moltissime sfide ingegneristiche che gli scienziati si trovarono davanti<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, anche questa richiese notevole inventiva. Rich e la sua squadra non risolsero<br />

il problema, ma lo aggirarono in modo da ridurre il rischio per i piloti. Rich escogitò un<br />

controllo elettronico il quale faceva sì che, in caso di “unstart” di un motore, anche il<br />

secondo reattore perdesse potenza. Il sistema avrebbe quindi riavviato entrambi i motori

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