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Area 51_ La verita, senza censu - Annie Jacobsen

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Tutti i lunedì mattina Collins usciva di casa e si recava in auto all’aeroporto di Burbank,<br />

quattordici chilometri in direzione sudovest. Lì, lui e gli altri piloti di Oxcart salivano a<br />

bordo di aerei a elica Constellation diretti all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, mai più di due alla volta: una<br />

regola introdotta dopo il disastro del monte Charleston avvenuto otto anni prima. <strong>La</strong><br />

morte di quegli uomini chiave dell’aeronautica e dell’agenzia aveva rimandato di parecchi<br />

mesi il completamento del progetto U-2. Adesso, nel 1963, Oxcart era già in ritardo di<br />

oltre un anno rispetto al previsto. L’agenzia non poteva permettersi di perdere nemmeno<br />

un pilota. <strong>La</strong> procedura di valutazione da sola richiedeva diciotto mesi e per prendere<br />

familiarità con l’aereo ci voleva un altro anno.<br />

Dopo essere decollati da Burbank, Collins e i suoi colleghi volavano sopra il deserto del<br />

Mojave in direzione nordest, oltrepassavano il China <strong>La</strong>ke ed entravano nella Tikaboo<br />

Valley. Sorvolando lo spazio aereo riservato sopra il Nevada Test Site, Collins guardava<br />

fuori dal finestrino e prendeva nota della pre<strong>senza</strong> di un numero sempre maggiore di<br />

giganteschi crateri. <strong>La</strong> comparsa di un nuovo cratere dall’aspetto lunare aveva una<br />

frequenza pressoché settimanale adesso che i test nucleari avvenivano nel sottosuolo.<br />

Visto dall’alto, il paesaggio del poligono sembrava un campo di battaglia dopo<br />

l’apocalisse.<br />

L’agenzia non avrebbe potuto scegliere un pilota più appassionato. Raccogliere<br />

informazioni nel corso di pericolosi voli di ricognizione era la missione di Ken Collins; era<br />

la cosa che sapeva fare meglio. Sembrava spinto da un talento innato e protetto da una<br />

forza sconosciuta che lui chiamava destino. «Il destino è un cacciatore» dice Collins.<br />

«Quando arriva per te, non puoi sottrarti» e per qualche ragione non era ancora venuto il<br />

suo momento. Era una convinzione che Collins aveva maturato durante la Guerra di<br />

Corea, quando faceva voli di ricognizione e aveva visto morire tanti piloti esperti e<br />

coraggiosi. Che cosa, se non il destino gli aveva permesso di sopravvivere a 113 missioni<br />

di combattimento? Durante quelle missioni segrete, mentre penetrava in profondità nella<br />

Corea del Nord 4 , talvolta spingendosi fino al fiume Yalu, bersagliato dal fuoco dei MIG 5 , il<br />

giovane Collins aveva solo una macchina fotografica sul muso dell’aeroplano. Nel corso<br />

del conflitto gli furono assegnate la Distinguished Flying Cross 6 e l’ambita Silver Star al<br />

valore 7 , la terza decorazione militare più insigne che un membro dell’esercito possa<br />

ricevere. Entrambe le medaglie erano appuntate sul petto di Collins prima che compisse<br />

ventiquattro anni.<br />

Adesso però, in qualità di pilota di Oxcart, Collins teneva le medaglie in un cassetto e<br />

non ne faceva mai menzione. Come accade a molti veterani, la gloria costituiva un peso<br />

imbarazzante da portare di fronte alla morte di tanti compagni. Considerare il destino alla<br />

stregua di un cacciatore gli rendeva le cose più facili e gli consentì di superare la perdita<br />

del suo più caro amico, ex pilota del 15 th Tactical Reconnaissance Squadron (15 a<br />

squadriglia di ricognizione tattica), Charles R. “Chuck” Parkerson. I due uomini avevano<br />

compiuto insieme molte missioni, ma da una di esse Parkerson non fece ritorno.<br />

«Avevamo volato sopra la Corea del Nord ed eravamo tornati indietro fianco a fianco»<br />

racconta Collins. «Eravamo quasi a casa quando Parkerson mi chiamò via radio. Disse che<br />

il motore del suo RF-80 si era spento e che non riusciva a farlo ripartire. Vidi che stava<br />

perdendo quota in fretta e sapeva che presto si sarebbe schiantato.» Paracadutarsi in

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