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Area 51_ La verita, senza censu - Annie Jacobsen

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AREA <strong>51</strong><br />

Stavo facendo colazione con un uomo che aveva ricoperto alte responsabilità nelle<br />

attività dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, per lunghi anni. Gli mostrai un crostino: «Se questa è la parte che ho<br />

scoperto, quanto è grande quello che non so?» dissi. «Quello che non sa – rispose l’uomo<br />

cupamente – l’intera verità, è grande come il tavolo a cui siamo seduti, sedie comprese.»<br />

Un’indagine sensazionale, avvincente e meticolosa, sul luogo più discusso e concupito da<br />

ricercatori, curiosi, cospirazionisti, cronisti: l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, nel deserto del Nevada, lo Shangrila<br />

dello spionaggio e dei sistemi di combattimento più sofisticati, cuore di mille intrighi e<br />

segreti, in cui si intrecciano storia, politica, test nucleari, esperimenti inconfessabili.<br />

Basandosi non su illazioni ma, per la prima volta, su colloqui con piloti, scienziati,<br />

ingegneri e agenti in pensione che hanno lavorato per anni nell’<strong>Area</strong> – e che nonostante il<br />

vincolo di segretezza, hanno accettato di parlare – il libro fa luce su decenni di misteri e<br />

rivela verità assolutamente inedite, a volte davvero sconvolgenti. A partire dalla<br />

spiegazione del celebre incidente di Roswell del 1947, il crash di un oggetto volante non<br />

identificato che ha alimentato innumerevoli ricostruzioni e altrettante leggende.<br />

ANNIE JACOBSEN<br />

È reporter per il «Los Angeles Times Magazine». Sue importanti inchieste sono state<br />

pubblicate su «National Review» e «The Dallas Morning News». L’inchiesta ispiratrice di<br />

<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, The Road to <strong>Area</strong> <strong>51</strong>, pubblicata sul «Los Angeles Times Magazine», ha avuto<br />

grande seguito ed è stata per diversi giorni la notizia più letta del sito del giornale. Per<br />

scrivere questo libro, che ha conquistato la vetta delle classifiche USA, ha raccolto<br />

rivelazioni inedite fornite da piloti, scienziati, ingegneri e agenti in pensione che hanno<br />

lavorato per anni nell’<strong>Area</strong>.


ANNIE JACOBSEN


AREA <strong>51</strong><br />

<strong>La</strong> verità, <strong>senza</strong> <strong>censu</strong>re<br />

Traduzione di<br />

SARA PUGGIONI


Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato,<br />

riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o<br />

utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato<br />

dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto<br />

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dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da<br />

quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno<br />

essere imposte anche al fruitore successivo.<br />

Ebook 9788858505892<br />

www.edizpiemme.it<br />

© 2012 - Edizioni Piemme Spa<br />

Titolo originale: <strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

© 2011 by Anne M. <strong>Jacobsen</strong><br />

This edition published by arrangement with Little, Brown and Company, New York, New York, usa. All rights reserved


A Kevin


Ma il tempo porterà alla luce tutto quello<br />

che la terra nasconde, come seppellirà,<br />

cancellandone la memoria, le cose che risplendono.<br />

ORAZIO


Prologo<br />

LA CITTÀ SEGRETA<br />

Questo libro è un’opera di saggistica. Le storie che racconto sono reali. Nessuno dei<br />

personaggi citati è frutto della fantasia. Per scriverlo ho intervistato settantaquattro<br />

persone in possesso di conoscenze di prima mano sulla base segreta; trentadue di loro<br />

hanno vissuto e lavorato all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

L’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> è l’installazione militare più segreta degli Stati Uniti. Si trova in pieno deserto<br />

nel Nevada meridionale, centoventi chilometri a nord di <strong>La</strong>s Vegas. Le installazioni sono<br />

state costruite nel corso degli ultimi sessant’anni intorno al bacino di un lago prosciugato<br />

chiamato Groom <strong>La</strong>ke. Il governo americano non ha mai ammesso la sua esistenza.<br />

Fondamentale per comprendere l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> è sapere che essa è situata all’interno della<br />

porzione di territorio controllata dal governo più grande degli Stati Uniti, il Nevada Test<br />

and Training Range 1 . Estesa su una superficie di oltre dodicimila chilometri quadrati,<br />

l’area è solo leggermente meno estesa dello stato del Connecticut: è grande tre volte il<br />

Rhode Island e più del doppio del Delaware. All’interno di questa zona c’è un’area più<br />

piccola, chiamata Nevada Test Site 2 , l’unica installazione del genere negli Stati Uniti<br />

continentali. A partire dal 19<strong>51</strong>, per ordine del presidente Harry Truman sul sito sono<br />

stati fatti esplodere 105 ordigni nucleari 3 e altri 828 sono stati testati nel sottosuolo, in<br />

cavità sotterranee e in pozzi profondi. L’ultimo test atomico sul suolo americano è<br />

avvenuto al Nevada Test Site il 23 settembre 1992. Nel sito si trova la quantità più<br />

elevata di plutonio e uranio usati per la fabbricazione di armi 4 che non siano custoditi in<br />

un laboratorio nucleare.<br />

L’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> si trova appena fuori dal Nevada Test Site, all’incirca otto chilometri a<br />

nordest del margine più settentrionale, il che la colloca all’interno del Nevada Test and<br />

Training Range. Dal momento che qualunque cosa accada nell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, e la maggior<br />

parte di quello che succede al Nevada Test and Training Range, viene immediatamente<br />

secretato, questo libro parla di segreti. <strong>La</strong> CIA ha declassificato due vecchi progetti del<br />

Groom <strong>La</strong>ke: l’aereo spia U-2, nel 1998, e l’aereo spia A12 Oxcart, nel 2007. Eppure, nelle<br />

migliaia di pagine di memo e rapporti resi pubblici, il nome “<strong>Area</strong> <strong>51</strong>” è sempre <strong>censu</strong>rato<br />

o cancellato. Si conoscono solo due eccezioni, molto probabilmente delle sviste 5 .<br />

Questo libro parla di progetti e operazioni del governo che sono stati tenuti nascosti<br />

per decenni, alcuni per buone ragioni, altri per ragioni probabilmente terribili e uno<br />

perché non sarebbe dovuto succedere. Queste operazioni hanno avuto luogo in nome<br />

della sicurezza nazionale e tutte hanno implicato gli sviluppi scientifici più avanzati. Le<br />

ultime parole pubblicate di Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica, furono:<br />

«<strong>La</strong> scienza non è tutto. Ma la scienza è meravigliosa». Dopo aver letto questo libro, i


lettori possono decidere che cosa pensano di ciò che ha detto Oppenheimer.<br />

Questo libro parla di operazioni coperte, progetti del governo tenuti segreti al<br />

Congresso e alle persone che hanno costruito gli Stati Uniti. Per capire come siano iniziati<br />

i progetti segreti, e come continuino ancora oggi, bisogna partire dalla creazione della<br />

bomba atomica. Gli uomini che guidavano il progetto Manhattan hanno scritto le regole<br />

delle operazioni coperte da segreto. <strong>La</strong> bomba atomica è stata la madre di tutti i progetti<br />

segreti ed è la fonte da cui tutti sono nati.<br />

Costruire l’atomica è stato il progetto di ingegneria più costoso della storia americana.<br />

Prese avvio nel 1942 e quando la bomba fu testata all’interno della base di White Sands<br />

Proving Ground, nel deserto del New Mexico, il 16 luglio 1945, il costo 6 tradotto in cifre<br />

attuali era stato di 28 miliardi di dollari. Il livello di segretezza mantenuto durante la<br />

costruzione dell’ordigno è quasi incredibile. Quando il mondo apprese che l’America aveva<br />

sganciato l’atomica su Hiroshima, i più sorpresi furono i membri del Congresso degli Stati<br />

Uniti, nessuno dei quali aveva la più pallida idea di ciò che si stava preparando. Anche il<br />

vicepresidente Harry Truman rimase di stucco quando, il 12 luglio 1945, fu eletto<br />

presidente e venne informato del progetto. Quando era vicepresidente, Truman era stato<br />

a capo della commissione speciale del Senato con funzioni di controllo del programma di<br />

difesa nazionale, il che significa che aveva l’incarico di monitorare come veniva speso il<br />

denaro durante la guerra, eppure non seppe nulla della bomba atomica finché non<br />

divenne presidente. L’informazione gli venne data da due uomini 7 : Vannevar Bush, il<br />

consulente scientifico del presidente, e Henry L. Stimson, il segretario alla Guerra. Bush<br />

era incaricato del progetto Manhattan, nel quale erano coinvolte duemila persone e che<br />

aveva ottanta uffici e decine di impianti di produzione sparsi per tutto il paese, tra cui<br />

un’installazione di 24.000 ettari nella campagna del Tennessee che consumava più<br />

energia elettrica di New York. E nessuno sapeva che lì si stava lavorando al progetto<br />

Manhattan. Ecco quanto può essere potente un’operazione coperta.<br />

Dopo la fine della guerra il Congresso – i legislatori che per due anni e mezzo erano<br />

stati tenuti all’oscuro con tanta facilità – fu incaricato di occuparsi dell’atomica. Adesso<br />

toccava al Congresso decidere chi avrebbe controllato il suo «inimmaginabile potere<br />

distruttivo» 8 . Con l’approvazione della legge sull’energia atomica – l’Atomic Energy Act<br />

del 1946 – emerse un nuovo e spaventoso sistema di copertura <strong>senza</strong> precedenti. Il<br />

meccanismo presidenziale era governato dagli ordini esecutivi del presidente riguardanti<br />

le informazioni sulla sicurezza nazionale. Ma la nuova Atomic Energy Commission<br />

(Commissione per l’energia atomica), nota in precedenza come “progetto Manhattan”,<br />

adesso aveva l’incarico di regolamentare la classificazione di tutte le informazioni relative<br />

alle armi nucleari in un sistema completamente separato da quello presidenziale. In altri<br />

termini, per la prima volta nella storia americana un’agenzia federale guidata da civili<br />

manteneva un corpus di informazioni secretate svincolate dagli ordini esecutivi del<br />

presidente. Il concetto di “born classified”, ossia segreto a prescindere, nacque proprio<br />

con la legge del 1946 9 e l’Atomic Energy Commission costruì 70.000 bombe nucleari 10 di<br />

65 dimensioni e caratteristiche diverse. <strong>La</strong> commissione fu la prima entità a controllare<br />

l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> 11 – un fatto mai rivelato finora – e lo fece con un potere spaventoso e <strong>senza</strong>


precedenti. È semplicemente impossibile fare una storia <strong>senza</strong> <strong>censu</strong>re dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> <strong>senza</strong><br />

affrontare questa verità nuda e cruda e, in ultima analisi, devastante.<br />

<strong>La</strong> classificazione dei dati riservati dell’Atomic Energy Commission era un’anomalia<br />

ancora più spaventosa, qualcosa che poteva nascere al di fuori del governo attraverso «il<br />

pensiero e la ricerca di privati». In altre parole, la commissione poteva incaricare una<br />

società privata di condurre ricerche per suo conto, sapendo che il pensiero e la ricerca di<br />

tale azienda sarebbero stati born classified e che persino per il presidente degli Stati Uniti<br />

avrebbero potuto non essere informazioni strettamente necessarie. Nel 1994, ad<br />

esempio, quando il presidente Clinton 12 creò con un ordine esecutivo l’Advisory<br />

Committee on Human Radiation Experiments (Commissione consultiva sugli esperimenti<br />

radioattivi sull’uomo) per far luce sui segreti dell’Atomic Energy Commission, alcuni file<br />

concernenti particolari programmi all’interno e nei pressi dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> non furono resi noti<br />

al presidente sulla base della considerazione che non erano informazioni strettamente<br />

necessarie 13 . Due di questi programmi, ancora coperti da segreto, sono rivelati per la<br />

prima volta in questo libro.<br />

Uno degli ex funzionari addetti alla classificazione dell’Atomic Energy Commission,<br />

Donald Woodbridge, definì l’espressione born classified come qualcosa che «dà<br />

all’addetto alla secretazione un’autorità che non può essere messa in questione» 14 . L’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> ne costituisce l’esempio concreto. Il Nevada Test Site è, ed è sempre stata, la più<br />

estesa delle molte installazioni dell’Atomic Energy Commission – adesso denominata<br />

dipartimento dell’Energia – presenti nel paese 15 . Altre aree del Nevada Test and Training<br />

Range sono controllate dal dipartimento dell’Energia. Ma c’erano zone grigie, come l’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> – catene di montagne rocciose e il bacino di un lago prosciugato situati appena fuori<br />

dei confini ufficiali del Nevada Test Site e non controllati dal dipartimento dell’Energia 16 .<br />

Queste sono le aree dove sono stati avviati i progetti più segreti. Nessuno aveva<br />

necessità di esserne informato.<br />

E per decenni, fino alla pubblicazione di questo libro, nessuno è stato informato.


Capitolo 1<br />

L’ENIGMA DELL’AREA <strong>51</strong> 1<br />

L’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> è un enigma. Pochissimi sanno che cosa succede lì e in milioni vogliono saperlo.<br />

Per molti l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> rappresenta lo Shangri-la dello spionaggio e dei sistemi di<br />

combattimento più sofisticati. Per altri è il mondo segreto degli alieni e degli UFO fatti<br />

prigionieri. <strong>La</strong> verità è che l’installazione federale segreta più famosa d’America fu creata<br />

per sviluppare la scienza e la tecnologia militari per battere sul tempo le altre potenze<br />

straniere. Il cuore dell’enigma dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> consiste nel rispondere alla domanda sul<br />

perché è nascosta agli occhi del mondo, situata com’è all’interno di una catena di<br />

montagne nel bel mezzo del deserto del Nevada meridionale.<br />

Per entrare nell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> servono un nullaosta top-secret e un invito da parte dei gradi<br />

più alti dell’élite militare o dell’intelligence. Il giuramento di segretezza fatto da ogni<br />

persona che visita la base prima di essere ammessa è sia sacro sia legalmente<br />

vincolante. Se non si ha un invito, dare anche solo la più piccola occhiata all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

richiede un notevole sforzo, per il quale bisogna mettere in conto dieci ore di tempo, un<br />

veicolo fuoristrada e un paio di scarponi da trekking di buona qualità. Attraverso il<br />

binocolo, dalla cima di una montagna chiamata Tikaboo Peak che si trova più di quaranta<br />

chilometri a est dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, è possibile cogliere occasionalmente un guizzare di attività.<br />

Di giorno il calore del suolo desertico distorce la visione rendendo impossibile distinguere<br />

gli hangar dalla sabbia. <strong>La</strong> notte è il momento migliore 2 per dare un’occhiata alla<br />

tecnologia avanzata dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Da sempre i droni e gli aerei segreti sono stati testati<br />

con il favore delle tenebre prima di essere mandati in missione in varie zone del pianeta.<br />

Se si sta in cima al Tikaboo Peak nel cuore della notte e si guarda per ore nella valle<br />

buia, può capitare di vedere le luci della pista di decollo accendersi all’improvviso. Un<br />

aereo scivola fuori da un hangar e rulla verso il nastro d’asfalto illuminato. Pochi secondi<br />

dopo decolla, ma nel momento stesso in cui il carrello si stacca dal suolo, le luci vengono<br />

spente e la valle ripiomba nell’oscurità. Questo è il mondo oscuro.<br />

Secondo la maggior parte di coloro che hanno familiarità con la storia dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, la<br />

base aprì i battenti nel 1955 dopo che due funzionari della CIA, Richard Bissell e Herbert<br />

Miller, scelsero la zona per farne un’installazione destinata a testare il primo aereo spia<br />

dell’agenzia, l’U-2. Parte della storia segreta dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> sta nel fatto che la cosiddetta<br />

<strong>Area</strong> <strong>51</strong> esisteva già da quattro anni quando la CIA decise che era un luogo perfetto per<br />

fare test clandestini. <strong>La</strong> cosa che non si è mai saputa è che il primo utilizzatore dell’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> non fu la CIA, bensì l’Atomic Energy Commission. A partire dal 19<strong>51</strong>, l’Atomic Energy<br />

Commission si servì del proprio sistema parallelo di secretazione per condurre ricerche,


esperimenti e progetti ingegneristici controversi e radicali non solo sugli aerei ma anche<br />

sui piloti: il tutto <strong>senza</strong> supervisione esterna né controlli etici.<br />

Il fatto che l’Atomic Energy Commission non fosse un’agenzia per sua natura dotata di<br />

un qualche tipo di giurisdizione su progetti relativi a velivoli e piloti (il suo ambito erano<br />

le bombe atomiche e l’energia nucleare) la dice lunga sull’aspetto ambiguo e ingannevole<br />

delle operazioni coperte condotte all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Se si trasferisce un progetto clandestino e<br />

controverso a un’agenzia coperta che nominalmente non ha nulla a che fare con un<br />

programma di quel genere, le probabilità che chiunque vada a cercarlo lì sono<br />

praticamente ridotte a zero. Per oltre sessant’anni nessuno ha pensato di rivolgersi<br />

all’Atomic Energy Commission per risolvere l’enigma dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Nel 1955, quando arrivò all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, la CIA portò con sé l’aeronautica statunitense come<br />

partner nel primo programma nazionale di spionaggio dai cieli in tempo di pace.<br />

Numerosi altri organismi chiave avevano assoluto interesse nel progetto di spionaggio<br />

aereo e furono quindi informati dell’esistenza dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, nonché del fatto che la CIA e<br />

l’aeronautica militare lavoravano insieme. Tra le agenzie coinvolte c’erano la NACA – la<br />

National Advisory Committee for Aeronautics (Commissione consultiva nazionale per<br />

l’aeronautica, il predecessore della NASA) – e la marina, entrambe le quali fornirono storie<br />

di copertura per spiegare l’andirivieni di aerei da una base che ufficialmente non esisteva.<br />

Era informato anche il National Photographic Interpretation Center (NPIC, Centro nazionale<br />

di analisi fotografica), l’agenzia che avrebbe analizzato le fotografie scattate dall’U-2 in<br />

missioni di spionaggio all’estero. Dal 1955 alla fine degli anni Ottanta queste agenzie<br />

federali, insieme a parecchi altri organismi governativi clandestini nati in quel periodo –<br />

tra cui il National Reconnaissance Office (NRO, Ufficio nazionale di gestione e analisi delle<br />

immagini), la National Security Agency (NSA, Agenzia nazionale di sicurezza) e la Defense<br />

Intelligence Agency (DIA, Agenzia di intelligence militare) – lavorarono fianco a fianco sui<br />

programmi dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> trincerati dietro una barriera di segretezza. Ma pochissime<br />

persone al di fuori di un gruppo ristretto di funzionari federali e di contractor del mondo<br />

parallelo con autorizzazioni top-secret ebbero la conferma della reale esistenza della base<br />

fino al novembre 1989. Fino a quando, cioè, un trentenne con gli occhiali e la voce pacata<br />

originario della Florida, Robert Scott <strong>La</strong>zar, non comparve a Eyewitness News 3 a <strong>La</strong>s<br />

Vegas in compagnia di un giornalista investigativo di nome George Knapp per rivelare al<br />

mondo l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Tra le decine di migliaia di persone che avevano lavorato all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> nel<br />

corso degli anni, <strong>La</strong>zar fu l’unico a rompere il giuramento del silenzio in modo così<br />

plateale. Che si fosse uno scienziato o una guardia della sicurezza, un ingegnere o un<br />

operaio, lavorare all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era considerato un onore e un privilegio. Il giuramento del<br />

silenzio era sacro e <strong>senza</strong> dubbio le velate minacce di essere messi in prigione 4<br />

convinsero la gente a rispettarlo. Bob <strong>La</strong>zar pose fine in modo spettacolare a più di<br />

quattro decenni di segretezza riguardo all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Il fatto che la comparsa di Bob <strong>La</strong>zar all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> fosse dovuta a una raccomandazione<br />

per un lavoro proveniente dal fisico di origini ungheresi Edward Teller 5 è perfettamente<br />

ironico. Teller era stato uno degli inventori della più potente arma di distruzione di<br />

massa, la bomba termonucleare, e aveva testato numerose incarnazioni della sua<br />

diabolica creazione a pochi chilometri dall’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, nei settori numerati che costituivano il


Nevada Test Site. Il sito è l’unica zona su suolo americano riservata ai test nucleari ed è<br />

partner dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. L’<strong>Area</strong> 12, l’<strong>Area</strong> 19 e l’<strong>Area</strong> 20, all’interno dei confini ufficiali del<br />

sito, sono solo alcuni degli appezzamenti di terra che recano la firma del dottor Teller:<br />

terreno bruciato, crateri atomici, gallerie sotterranee contaminate dal plutonio 6 . L’<strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

si trova appena fuori.<br />

Bob <strong>La</strong>zar conobbe Edward Teller a Los Alamos, New Mexico, nel giugno 1982.<br />

All’epoca <strong>La</strong>zar aveva solo ventitré anni e lavorava alla rilevazione di particelle<br />

radioattive nel laboratorio nucleare di Los Alamos in qualità di dipendente della Kirk-<br />

Mayer Corporation. Quel giorno era arrivato in anticipo a una conferenza che Teller<br />

avrebbe tenuto nell’auditorium del laboratorio 7 . Prima della conferenza, <strong>La</strong>zar vide Teller<br />

che leggeva il «Los Alamos Monitor» dove per coincidenza c’era un articolo in prima<br />

pagina dedicato a Bob <strong>La</strong>zar 8 e alla sua nuova invenzione, l’auto con motore jet. <strong>La</strong>zar<br />

colse al volo l’occasione. «Sta leggendo di me» disse a Teller per attaccare discorso. Ecco<br />

un giovane scienziato ambizioso che si avvicina al cinico e disincantato padre della<br />

distruzione di massa.<br />

Sei anni dopo, <strong>La</strong>zar aveva toccato il fondo 9 . Era stato licenziato dal suo lavoro a Los<br />

Alamos e aveva spaventosi problemi economici. Lui e la moglie, Carol Strong, che aveva<br />

tredici anni più del marito, si trasferirono a <strong>La</strong>s Vegas e aprirono un negozio dove<br />

stampavano fotografie. Il matrimonio fallì. <strong>La</strong>zar si risposò con una donna di nome Tracy<br />

Murk 10 che aveva lavorato come commessa per lui. Due giorni dopo il matrimonio tra<br />

<strong>La</strong>zar e Tracy, la prima moglie Carol si suicidò con il monossido di carbonio 11 in un<br />

garage. <strong>La</strong>zar dichiarò fallimento e cercò lavoro come ingegnere. Si rivolse a tutti quelli<br />

che gli vennero in mente, compreso il dottor Edward Teller, che adesso era a capo<br />

dell’iniziativa di difesa strategica del presidente Reagan, o “Star Wars”. Nel 1988 Teller<br />

trovò un lavoro a <strong>La</strong>zar.<br />

Il lavoro era lontanissimo da qualunque normale impiego da ingegnere. Edward Teller<br />

aveva raccomandato Bob <strong>La</strong>zar alla più potente industria di armamenti che lavorava per<br />

l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, una società chiamata EG&G. Tra le migliaia di contractor top-secret e muniti di<br />

autorizzazioni segretissime che avevano lavorato ai progetti classificati e coperti del<br />

Nevada Test Site e dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, nessuno ha avuto più potere e accesso, o minore<br />

controllo, della EG&G. Seguendo le istruzioni di Teller, <strong>La</strong>zar fece un numero telefonico.<br />

Una persona all’altro capo del filo gli disse di andare all’aeroporto McCarran, nel centro di<br />

<strong>La</strong>s Vegas, in un preciso giorno di dicembre – all’edificio della EG&G che sorgeva lì. A <strong>La</strong>zar<br />

fu detto che sarebbe stato portato al Groom <strong>La</strong>ke su un aereo privato. Era eccitato e<br />

obbedì agli ordini. All’interno dell’edificio della EG&G fu presentato a un uomo di nome<br />

Dennis Mariani, che presto sarebbe diventato il suo supervisore. I due uomini andarono<br />

all’estremità meridionale dell’aeroporto ed entrarono in un hangar circondato da cancelli<br />

e sorvegliato da guardie armate. Qui la EG&G aveva una flotta di aerei 737 che andavano<br />

avanti e indietro dal Groom <strong>La</strong>ke – e lo fanno tuttora. Dal momento che volavano con<br />

l’indicativo di chiamata Janet, gli aerei privati che facevano la spola da e per l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

erano conosciuti come Janet Airlines. <strong>La</strong>zar e il suo accompagnatore passarono i controlli<br />

di sicurezza e salirono a bordo di un aereo bianco <strong>senza</strong> insegne né logo, solo una riga<br />

rossa su tutta la lunghezza dell’apparecchio.


Se si vola verso l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> 12 da <strong>La</strong>s Vegas con una rotta verso nord si può vedere il<br />

paesaggio del Nevada, il classico sudovest americano: montagne incappucciate di neve,<br />

colline ondulate e valli desertiche. Ma Bob <strong>La</strong>zar non vide nulla perché le tendine<br />

dell’aereo erano abbassate – lo erano sempre nel caso dei nuovi arrivati. Lo spazio aereo<br />

sopra l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> è chiuso sin dalla metà degli anni Cinquanta, il che significa che nessuno<br />

può sbirciare sopra il sito eccetto i satelliti. All’epoca in cui ci andò <strong>La</strong>zar, lo spazio aereo<br />

di 1.500 chilometri quadrati era da tempo soprannominato il Box e i piloti militari della<br />

vicina base di Nellis sanno di non doverci mai entrare. Al centro del Box dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> si<br />

vede distintamente un bacino endoreico del diametro di circa dieci chilometri. Era stato<br />

proprio il bacino asciutto del lago ad attirare l’attenzione della CIA; per decenni era servito<br />

come pista di decollo naturale per gli aerei spia segreti dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Quasi tutto quello che si vede avvicinandosi all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> dall’aria è terreno governativo<br />

off-limits. Non ci sono superstrade pubbliche, niente grandi magazzini, nessuna periferia<br />

urbana da ventesimo secolo. Dove il terreno è collinoso crescono diverse specie di yucca,<br />

con le lunghe foglie appuntite che si protendono nel cielo come spade. Dove il terreno è<br />

piatto, è sterile e nudo. Fatta eccezione per i cespugli di creosoto e i rotolacampo, in<br />

quest’area desertica cresce ben poco. <strong>La</strong> base – i suoi hangar, le piste, i dormitori e le<br />

torri – inizia all’estremità meridionale del lago asciutto. Le strutture sono disposte a file in<br />

direzione sud verso l’Emigrant Valley. I tetti metallici degli hangar riflettono la luce del<br />

sole mentre l’aereo della Janet entra nel Box. Un’antenna gigantesca spunta dal suolo<br />

arido. Poi compaiono la torre di raffreddamento dell’impianto per la produzione di energia<br />

elettrica e le antenne sulla stazione radio, che si trova all’estremità di una delle due piste<br />

di rullaggio perpendicolari l’una all’altra. Le antenne radar ruotano su loro stesse. Una di<br />

esse ha un diametro di diciotto metri ed è perennemente rivolta verso il cielo; le<br />

radiazioni sono così potenti da cuocere istantaneamente gli organi interni di qualunque<br />

essere vivente. Il sistema Quick Kill, progettato dalla Raytheon per individuare i segnali<br />

dei missili in arrivo 13 , è posizionato sul bordo del lago asciutto, non lontano dal famoso<br />

pilone d’acciaio che si vede nella pubblicità della Lockheed ma che non è mai stato<br />

ufficialmente identificato come quello che sorge nell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Gli addetti ai lavori lo<br />

chiamano “il palo”: è dove viene misurata la sezione equivalente radar sui prototipi degli<br />

aerei stealth. Velivoli segreti di ultimissima generazione, che costano milioni di dollari,<br />

vengono capovolti e issati in alto su questo pilone, cosa che li fa sembrare piccoli e<br />

insignificanti nell’enorme estensione del Groom <strong>La</strong>ke, come uno scarabeo in una<br />

vetrinetta.<br />

Quando il passeggero del 737 della Janet si avvicina, diventa più facile giudicare le<br />

distanze. <strong>La</strong> Bald Mountain si rivela una montagna imponente che raggiunge i 2.850 metri<br />

di altezza. <strong>La</strong> vetta torreggia sopra la base alla sua estremità settentrionale e abbonda<br />

della storia e del retaggio dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Innumerevoli comandanti hanno passato i fine<br />

settimana sulla montagna a caccia di cervi. Nascoste nel cuore roccioso delle cime più<br />

basse ci sono due vecchie miniere di piombo e di argento, chiamate Black Metal e<br />

Sheehan. Negli anni Cinquanta, un vecchio minatore si appellò ai suoi diritti minerari con<br />

tale ferocia che il governo finì per dargli un’autorizzazione di sicurezza e informarlo<br />

dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> piuttosto che continuare a cercare di mandarlo via. Il minatore mantenne il


giuramento del silenzio 14 e portò con sé nella tomba i primi segreti dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

All’estremità meridionale della base ci sono una cava di ghiaia e impianti per la<br />

produzione del cemento usati per costruire edifici provvisori che bisogna tirar su in fretta.<br />

Contro i pendii delle colline a ovest ci sono i vecchi serbatoi che una volta contenevano il<br />

JP-7, lo speciale carburante per gli aerei spia supersonici della CIA che doveva sopportare<br />

fluttuazioni estreme di temperatura, da -68 a 140 °C. A sud, su un altopiano isolato, c’è<br />

l’edificio per costruire e immagazzinare le armi. L’installazione è riconoscibile dall’aria a<br />

causa di un alto terrapieno costruito per assorbire le esplosioni in caso di incidente.<br />

Dietro il deposito di armi, una strada sterrata a una sola corsia si arrampica su per la<br />

collina e scende al vicino Nevada Test Site, al quale si entra attraverso il Gate 800<br />

(talvolta chiamato Gate 700). I veterani dei tempi dell’aereo spia U-2 chiamavano questo<br />

punto di accesso Gate 385 15 , in origine l’unico ingresso all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> se non si arrivava in<br />

volo. Dall’altra parte del cancello, nell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, c’è l’ufficio ricevimento e consegna merci.<br />

Nel momento culminante dei test atomici, durante gli anni Cinquanta e Sessanta, i<br />

camion dell’Atomic Energy Commission 16 passavano ore nel parcheggio mentre gli autisti<br />

muniti di appropriata autorizzazione si godevano il leggendario cibo da gourmet dell’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong>.<br />

Nel dicembre 1988, se <strong>La</strong>zar avesse potuto guardare dal finestrino del 737 appena<br />

prima dell’atterraggio, avrebbe visto le postazioni radar della EG&G che punteggiavano in<br />

diagonale il fondovalle a nordovest. Facenti parte della divisione di tecnologia straniera<br />

dell’aeronautica militare, che prese avvio nel 1968, queste postazioni radar<br />

comprendevano agognate apparecchiature sovietiche acquistate dai paesi del blocco<br />

orientale e requisite durante le guerre in Medio Oriente. Sempre a nord si trova il lago<br />

Slater, che deve il proprio nome al comandante Slater e fu scavato da ditte esterne<br />

durante la guerra del Vietnam. Intorno alle rive in pendenza del lago ci sono alberi insoliti<br />

per la zona: alti e frondosi, sembrano provenire dall’Europa o dalla East Coast. È l’unica<br />

vegetazione esotica di tutta l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Tornando al dicembre 1988, a chilometri dal lago<br />

Slater, sul fondovalle arido e piatto, il passeggero di un aeroplano avrebbe visto un<br />

gruppo di uomini con indosso tute di protezione HAZMAT 17 impegnati a rimuovere quindici<br />

centimetri di terreno contaminato dal plutonio su un’area di 108 ettari. Posto all’interno<br />

dello spazio aereo dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> ma in un proprio quadrante, questo settore era designato<br />

<strong>Area</strong> 13. Quello che gli uomini stavano facendo era noto solo a poche persone<br />

selezionate. Come tutto ciò che riguardava l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, se non erano informazioni<br />

strettamente necessarie, la gente sapeva di non dover chiedere.<br />

L’aereo su cui si trovava <strong>La</strong>zar atterrò probabilmente sulla pista più a est e poi si portò<br />

al terminal della Janet, vicino all’edificio della sicurezza. <strong>La</strong>zar e il suo supervisore, Dennis<br />

Mariani, passarono i controlli in quel punto 18 . Secondo <strong>La</strong>zar, lo portarono in una<br />

caffetteria della base. Poi arrivò un autobus e lui e Mariani salirono a bordo. <strong>La</strong>zar disse<br />

che non riuscì a vedere esattamente dove lo stavano portando perché l’autobus aveva le<br />

tendine tirate. Se <strong>La</strong>zar avesse potuto guardare fuori, avrebbe visto l’erba verde del<br />

campo di baseball dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> dove, a partire dalla metà degli anni Sessanta, nell’epoca<br />

d’oro dei test nucleari sotterranei, i lavoratori dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> battevano quelli del Nevada<br />

Test Site alle partite di softball che si giocavano tutte le settimane. L’autobus di <strong>La</strong>zar


oltrepassò anche i campi da tennis all’aperto, dove il dottor Albert Wheelon, l’ex<br />

comandante dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, amava giocare a tennis 19 a mezzanotte. <strong>La</strong>zar passò accanto<br />

alla piscina dove i piloti della CIA si allenavano per i lanci d’emergenza nell’oceano<br />

tuffandosi nell’acqua 20 con indosso le tute da alta quota. <strong>La</strong>zar superò il bar dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>,<br />

chiamato Sam’s Place 21 , che doveva il proprio nome al grande pilota dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, Sam<br />

Pizzo, che l’aveva anche fatto costruire, e in cui campeggiava la foto di una Sophia Loren<br />

praticamente nuda che faceva impazzire gli uomini.<br />

Nel dicembre 1988 <strong>La</strong>zar non aveva idea che stava per fare il proprio ingresso in una<br />

storia complessa, strutturata e assolutamente segreta. Non poteva saperlo perché gli<br />

uomini cui si è fatto cenno sopra non avrebbero raccontato le loro storie per altri<br />

vent’anni, cioè finché il loro progetto CIA non sarebbe stato declassificato e loro avrebbero<br />

parlato al registratore per questo libro. Ma l’arrivo di <strong>La</strong>zar all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> costituì una storia a<br />

sé, sebbene in modo radicale e controverso. Nel rendere pubblica l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, come fece in<br />

seguito, <strong>La</strong>zar trasformò il luogo da un’installazione per la ricerca, lo sviluppo e i test di<br />

volo clandestini in un enigma nazionale. Dal momento in cui <strong>La</strong>zar comparve a<br />

Eyewitness News a <strong>La</strong>s Vegas facendo affermazioni totalmente scioccanti, la fascinazione<br />

della gente per l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, che fermentava da decenni, assunse vita propria. Nacquero<br />

film, programmi televisivi, album musicali e videogiochi, tutti dedicati a una base segreta<br />

che mai nessun estraneo era riuscito a visitare.<br />

Secondo <strong>La</strong>zar 22 , quel primo giorno all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> percorsero una strada sterrata piena di<br />

buche per venti o trenta minuti prima di arrivare a un misterioso complesso di hangar<br />

costruiti nel fianco di una montagna da qualche parte intorno al Groom <strong>La</strong>ke. Qui, in<br />

un’installazione esterna che <strong>La</strong>zar sostiene si chiamasse S-4, fu fatto passare attraverso<br />

un controllo di sicurezza molto più accurato di quello cui era stato sottoposto poco prima,<br />

alla base principale dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Firmò un foglio con cui acconsentiva a mettere sotto<br />

controllo il telefono di casa e un altro con cui rinunciava ai propri diritti costituzionali. Poi<br />

gli venne mostrato un disco volante e gli venne detto che avrebbe dovuto scoprirne il<br />

sistema di propulsione antigravitazionale. A dirla tutta, c’erano nove dischi all’S-4,<br />

sostiene <strong>La</strong>zar. Dice che gli fu dato un manuale nel quale si spiegava che i dischi volanti<br />

provenivano da un altro pianeta. <strong>La</strong>zar affermò anche che gli vennero mostrati disegni di<br />

esseri che sembravano alieni, i piloti, suppose lui, di quei veicoli spaziali.<br />

Secondo <strong>La</strong>zar nel corso dell’inverno successivo lavorò all’S-4, soprattutto di notte, per<br />

un totale di circa una decina di giorni. Il lavoro era intenso ma sporadico, il che era per lui<br />

motivo di frustrazione. Talvolta lavorò solo una notte alla settimana. Non disse mai a<br />

nessuno cosa faceva all’S-4, neppure alla moglie Tracy né al suo migliore amico, Gene<br />

Huff. Una notte dell’inizio di marzo 1989, <strong>La</strong>zar era scortato lungo un corridoio che<br />

portava all’S-4 da due guardie armate quando gli venne ordinato di guardare davanti a sé.<br />

Ma la curiosità ebbe il sopravvento. <strong>La</strong>nciò un’occhiata di sottecchi attraverso una<br />

finestrella quadrata di 23 centimetri per 23 23 e per un attimo vide l’interno di una stanza<br />

<strong>senza</strong> alcuna targa. Pensò di aver visto un piccolo alieno grigio con una grande testa che<br />

stava tra due uomini in camice bianco. Quando cercò di vedere meglio, venne spintonato<br />

da una delle due guardie che gli disse di guardare davanti a sé e di tenere gli occhi a<br />

terra.


Per <strong>La</strong>zar quello fu un punto di svolta. Qualcosa in lui cambiò e sentì che non poteva<br />

più reggere il segreto dei dischi volanti o di ciò che forse era un alieno 24 ma «avrebbe<br />

potuto essere altre mille cose». Come la tragica figura letteraria di Faust, <strong>La</strong>zar aveva<br />

desiderato una conoscenza segreta, un’informazione negata agli altri uomini. L’aveva<br />

trovata all’S-4. Ma, a differenza di Faust, Bob <strong>La</strong>zar non tenne fede all’impegno. Si sentì<br />

spinto a condividere quello che aveva saputo con la moglie e con il migliore amico, il che<br />

significava che aveva infranto il giuramento di segretezza dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. <strong>La</strong>zar sapeva<br />

quando erano previsti i test di volo del disco volante al Groom <strong>La</strong>ke e suggerì alla moglie,<br />

a Gene Huff e a un altro amico di nome John Lear – appassionato ufologo e figlio<br />

dell’uomo che aveva inventato il Learjet – di accompagnarlo per vedere con i loro occhi.<br />

Il gruppetto 25 prese la Highway 375 che conduceva alle montagne dietro il Groom<br />

<strong>La</strong>ke. Avevano portato con sé un potente binocolo e una videocamera. Aspettarono. E<br />

l’attività cominciò sul serio. Da dietro le montagne che nascondevano alla vista l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

la moglie di <strong>La</strong>zar e gli amici videro spuntare quello che sembrava un disco fortemente<br />

illuminato. Lo videro rimanere sospeso in aria e poi atterrare. Il mercoledì successivo<br />

tornarono al sito. Quindi fecero una terza visita, il 5 aprile 1989 – questa volta<br />

percorrendo una lunga strada che portava alla base chiamata Groom <strong>La</strong>ke Road – che finì<br />

in un fiasco. Gli intrusi furono scoperti dalle guardie della sicurezza, che li fermarono e<br />

chiesero loro i documenti. Risposero alle domande nell’ufficio dello sceriffo della contea di<br />

Lincoln e furono lasciati andare.<br />

Il giorno dopo <strong>La</strong>zar si presentò al lavoro all’edificio della EG&G all’aeroporto McCarran.<br />

Incontrò Dennis Mariani il quale gli disse che non sarebbero andati al Groom <strong>La</strong>ke come<br />

previsto. <strong>La</strong>zar fu invece portato alla base dell’aeronautica di Indian Springs. <strong>La</strong> guardia<br />

che lo aveva fermato la notte prima fu portata in elicottero dal perimetro dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per<br />

confermare che Bob <strong>La</strong>zar era una delle quattro persone scoperte a ficcanasare nei<br />

boschi. <strong>La</strong>zar venne informato che non era più un impiegato della EG&G e che se si fosse<br />

fatto sorprendere di nuovo nei pressi del Groom <strong>La</strong>ke, da solo o insieme ad altri, sarebbe<br />

stato arrestato per spionaggio.<br />

Durante l’interrogatorio a Indian Springs, gli furono probabilmente date le trascrizioni<br />

delle conversazioni telefoniche della moglie 26 , dalle quali risultava chiaro che Tracy aveva<br />

una storia. <strong>La</strong>zar si convinse di essere pedinato da agenti del governo. Temendo per la<br />

propria vita, decise di rendere pubblica la sua storia e contattò il conduttore di<br />

Eyewitness News George Knapp. L’apparizione in tv di <strong>La</strong>zar nel novembre 1989 batté<br />

ogni record di spettatori della rete, ma il pubblico originario era limitato agli abitanti della<br />

zona. Ci vollero alcuni mesi prima che la storia di <strong>La</strong>zar facesse il giro del mondo. L’uomo<br />

responsabile di quell’avvenimento fu un impresario di pompe funebri di origini giapponesi<br />

che viveva a Los Angeles e si chiamava Norio Hayakawa.<br />

Decenni dopo, Norio Hayakawa 27 ricorda ancora il momento in cui sentì per la prima<br />

volta <strong>La</strong>zar alla radio. «Era sera tardi» spiega Hayakawa. «Stavo lavorando all’obitorio e<br />

ascoltavo la radio» ricorda. «Sentii Bob <strong>La</strong>zar raccontare la sua storia dell’S-4 e la cosa mi<br />

intrigò.» Poiché non aveva alcuna esperienza di tv, Hayakawa contattò una rivista<br />

giapponese intitolata «Mu» e famosa per le sue storie popolari di UFO. «“Mu” mi richiamò<br />

subito e disse che erano interessati. E che era interessata anche la televisione


giapponese.» Nel giro di qualche settimana, la rete televisiva più importante del<br />

Giappone aveva spedito a Los Angeles una troupe di otto uomini. Hayakawa li portò a <strong>La</strong>s<br />

Vegas, dove aveva organizzato un’intervista con Bob <strong>La</strong>zar. Tutto questo accadeva nel<br />

febbraio del 1990.<br />

«Intervistammo <strong>La</strong>zar per tre o quattro ore. Era una persona strana. Aveva delle<br />

guardie del corpo 28 a casa sua che lo seguivano ovunque andasse. Ma fummo soddisfatti<br />

dell’intervista. Decidemmo di cercare di riprendere qualcuno dei dischi volanti all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong>.» Hayakawa chiese a <strong>La</strong>zar se fosse disposto a portarli al punto di osservazione sul<br />

Tikaboo Peak nei pressi della Highway 375. <strong>La</strong>zar rispose di no, ma disse loro<br />

esattamente dove andare e quando. «Andammo sul posto e montammo l’attrezzatura. E<br />

guarda caso, proprio al tramonto, una luce arancione brillante prese a salire dal terreno<br />

nei pressi del Groom <strong>La</strong>ke. Noi stavamo riprendendo. Salì e poi cambiò velocemente<br />

direzione. Accadde tre volte. Non riuscivamo a crederci» dice Hayakawa. All’epoca, era<br />

convinto di aver visto un disco volante, proprio come aveva detto <strong>La</strong>zar.<br />

Hayakawa mostrò la pellicola ai capi della rivista in Giappone, i quali furono entusiasti.<br />

<strong>La</strong> stazione televisiva aveva pagato a <strong>La</strong>zar poco più di cinquemila dollari per un pezzo di<br />

due ore sulla sua esperienza all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Parte dell’accordo prevedeva che <strong>La</strong>zar andasse<br />

a Tokyo con Norio Hayakawa per rilasciare un’intervista di quindici minuti. Ma pochi giorni<br />

prima dello show <strong>La</strong>zar chiamò il direttore della tv nipponica e disse che gli agenti<br />

federali gli impedivano di lasciare il paese. <strong>La</strong>zar concordò di partecipare allo show per<br />

telefono. «Il programma fu trasmesso in prima serata» dice Hayakawa. Lo guardarono<br />

trenta milioni di giapponesi. «Fu così che il Giappone venne a sapere dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.»<br />

Mentre la sua storia faceva il giro del mondo, Bob <strong>La</strong>zar veniva rivoltato come un<br />

calzino da una stampa scatenata. Ogni dettaglio del suo passato fu reso pubblico.<br />

Sembrava che avesse mentito su dove era andato a scuola. <strong>La</strong>zar disse che aveva una<br />

laurea del MIT, ma l’università disse che non c’era traccia di lui. A <strong>La</strong>s Vegas <strong>La</strong>zar venne<br />

arrestato con l’accusa di essere un pappone. Non ci volle molto perché scomparisse dalla<br />

scena pubblica. Ma non ritrattò mai la sua storia su quello che aveva visto all’S-4 dell’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong>. Era stato testimone dell’esistenza degli alieni e di tecnologia aliena? Il fatto che lo<br />

screditassero era parte del complotto governativo per ridurlo al silenzio? Oppure era un<br />

opportunista, un cane sciolto che aveva intuito in ciò che aveva visto l’opportunità per far<br />

soldi e diventare famoso? Nel 1993 vendette a New Line Cinema i diritti della sua storia<br />

perché ne fosse tratto un film. <strong>La</strong>zar si sottopose per due volte alla macchina della<br />

verità, 29 ed entrambe le volte i risultati furono inconcludenti. <strong>La</strong> persona che gli aveva<br />

fatto il test disse che <strong>La</strong>zar sembrava credere che ciò che diceva fosse vero.<br />

«<strong>La</strong> cosa strana» dice Hayakawa «è come negli anni successivi alla rivelazione di <strong>La</strong>zar<br />

la storia dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> si sia confusa con quella di Roswell. Se fermi una persona qualunque<br />

per strada e le chiedi che cosa sa dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, ti risponderà alieni.»<br />

Oppure dirà Roswell.<br />

Per i dieci milioni di americani convinti che gli UFO vengano da altri pianeti, Roswell è il<br />

Sacro Graal. Ma Roswell non è sempre stato considerato il più importante degli<br />

avvenimenti legati agli UFO.


«Bisogna ricordare che nel 1978 l’incidente di Roswell registrava uno 0,01 sulla scala<br />

che misura l’importanza degli incidenti di UFO» dice Stanton Friedman 30 , un fisico nucleare<br />

settantenne divenuto ufologo spesso citato da <strong>La</strong>rry King e da altri come il massimo<br />

esperto americano di UFO. «Fino agli anni Ottanta, il libro più importante sugli UFO si<br />

intitolava Flying Saucers – Serious Business ed era stato scritto da Frank Edwards» dice<br />

Friedman. «Nel libro venivano presi in esame migliaia di avvistamenti UFO eppure Roswell<br />

è citato in forse mezzo paragrafo. Non molto, se paragonato a ora.»<br />

Fino alle rivelazioni del 1978 fatte da Stanton Friedman sull’incidente di Roswell 31 , la<br />

storia si limitava a pochi fatti noti al pubblico. <strong>La</strong> prima settimana di luglio del 1947, nel<br />

mezzo di un violento temporale, qualcosa si schiantò nella proprietà di un allevatore fuori<br />

Roswell, New Mexico. L’uomo, che si chiamava W.W. Brazel, caricò sul pickup gli strani<br />

frammenti piovuti dal cielo e li portò allo sceriffo di Roswell, George Wilcox, il quale parlò<br />

del ritrovamento alla base dell’aeronautica militare di Roswell che stava a pochi passi dal<br />

suo ufficio. Il comandante del 509 th Bomber Group (509° gruppo bombardieri) della base<br />

assegnò due uomini al caso Brazel: un agente dell’intelligence, il maggiore Jesse Marcel,<br />

e un addetto stampa, Walter Haut.<br />

Più tardi quello stesso giorno Frank Joyce, un giovane sottufficiale della United Press<br />

International, e uno speaker della radio KGFL di Roswell ricevettero una telefonata dalla<br />

base dell’aeronautica militare di Roswell. Era l’addetto stampa Walter Haut il quale disse<br />

che stava per consegnare loro un comunicato importantissimo da leggere in diretta. Haut<br />

arrivò alla KGFL e consegnò a Frank Joyce la dichiarazione originaria su Roswell, che venne<br />

riportata dalla stampa quel pomeriggio, l’8 luglio 1947, e poi sul «San Francisco<br />

Chronicle» del giorno successivo.<br />

Le numerose dicerie sui dischi volanti sono diventate una realtà ieri pomeriggio, quando l’ufficio dell’intelligence del<br />

509 th Bomber Group dell’Eight Air Force [8 a forza aerea], base dell’aeronautica militare di Roswell, ha avuto la fortuna<br />

di mettere le mani su un disco grazie alla collaborazione di un allevatore locale e dell’ufficio dello sceriffo della contea<br />

di Chaves.<br />

L’oggetto volante è atterrato in un ranch nei pressi di Roswell la settimana scorsa. Poiché non ha il telefono,<br />

l’allevatore ha tenuto il disco finché non è riuscito a contattare l’ufficio dello sceriffo, il quale a sua volta ha fatto<br />

rapporto al maggiore Jesse A. Marcel, dell’ufficio di intelligence del 509 th Bomber Group. Sono entrati<br />

immediatamente in azione e hanno preso il disco a casa dell’allevatore. È stato esaminato alla base dell’aeronautica<br />

militare di Roswell e in seguito trasferito alle gerarchie superiori.<br />

Tre ore dopo il rilascio della dichiarazione, il comandante della base dell’aeronautica<br />

militare di Roswell rispedì Haut alla KGFL con un secondo comunicato stampa nel quale si<br />

affermava che il primo era scorretto. Quello che si era schiantato nel ranch di W.W.<br />

Brazel fuori Roswell non era altro che un pallone meteorologico. Come prova vennero<br />

consegnate delle foto in cui si vedeva il maggiore Jesse Marcel in posa accanto al pallone.<br />

<strong>La</strong> storia si sgonfiò. Nessuno a Roswell, New Mexico, ne parlò più per oltre trent’anni. Poi,<br />

nel 1978, Stan Friedman e il suo socio nella ricerca sugli UFO, un uomo di nome Bill Moore,<br />

comparvero a Roswell e iniziarono a fare domande. «Bill e io ci mettemmo a caccia della<br />

storia alla vecchia maniera» dice Friedman. «Allora non c’era internet. Andammo nelle<br />

biblioteche, spulciammo registrazioni telefoniche, facemmo telefonate su telefonate.»<br />

Dopo due anni di ricerche, Friedman e Moore avevano intervistato più di sessantadue


testimoni originali dell’incidente di Roswell, tra cui l’agente dell’intelligence Jesse Marcel e<br />

l’addetto stampa Walter Haut.<br />

Saltò fuori che nelle prime due settimane di luglio del 1947 a Roswell, New Mexico, era<br />

successo molto più che non la semplice caduta di un pallone meteorologico. Tanto per<br />

cominciare, in città era comparso un gran numero di militari. W.W. Brazel era stato in<br />

carcere per quasi una settimana. Alcuni testimoni videro la polizia militare caricare grosse<br />

scatole e casse su camion dell’esercito. Altri videro caricare grandi scatoloni su aerei<br />

militari. Il coroner locale ricevette una misteriosa telefonata in cui gli vennero chieste<br />

parecchie bare da bambino da poter sigillare ermeticamente. Gli abitanti della città<br />

furono minacciati di finire in un carcere federale se avessero parlato di quello che<br />

avevano visto. <strong>La</strong> maggior parte delle storie riportate dai sessantadue testimoni a<br />

Friedman e Moore avevano tutte due elementi in comune. Il primo era che l’incidente, il<br />

quale coinvolgeva più di un sito, aveva a che fare con un disco volante. <strong>La</strong> seconda<br />

affermazione lasciava a bocca aperta. I testimoni dissero di aver visto dei corpi. Non<br />

cadaveri qualunque, ma esseri umanoidi delle dimensioni di un bambino che a quanto<br />

pare erano nel disco volante. Questi aviatori avevano teste enormi, grandi occhi ovali ed<br />

erano <strong>senza</strong> naso; secondo la maggior parte dei testimoni quei piloti piccoli come<br />

bambini non erano di questo mondo.<br />

Nel 1980 fu pubblicato un libro basato sulle ricerche di Friedman e Moore. Si intitolava<br />

Accadde a Roswell. Il coperchio era stato tolto e si aprirono le cateratte. «Nel 1986<br />

novantadue persone si erano fatte avanti con testimonianze oculari di quello che era<br />

successo nel 1947» afferma Friedman. Gli ufologi diedero all’incidente di Roswell uno<br />

status sacro; ecco in che modo è diventato il Graal degli UFO.<br />

Quando Bob <strong>La</strong>zar rivelò pubblicamente la sua storia, sembrava logico che Stanton<br />

Friedman e i suoi colleghi si sarebbero schierati a suo sostegno. E invece accadde<br />

esattamente l’opposto. «Bob <strong>La</strong>zar è un imbroglione» asserisce Friedman. «Non ha alcuna<br />

credibilità come scienziato. Ha detto di aver frequentato il MIT e non è vero. Si è definito<br />

un fisico nucleare e non lo è. Sono indignato. Avrei voluto andare al MIT ma non me lo<br />

sono potuto permettere. Non puoi uscirtene con una cosa del genere e pretendere di<br />

essere preso sul serio.» Friedman dice che non gli importa che cosa <strong>La</strong>zar dice di aver<br />

visto. Non può prescindere dalle affermazioni false che ha fatto riguardo alla propria vita.<br />

Come ci si poteva aspettare, Friedman cercò di incontrare <strong>La</strong>zar di persona. «Ho parlato<br />

con <strong>La</strong>zar al telefono nel 1990. Ci accordammo di pranzare insieme [in Nevada] ma lui<br />

non si fece vedere» spiega Friedman. «Gli scienziati in genere hanno una laurea. Scrivono<br />

articoli, compaiono in elenchi. Volevo chiedergli perché nessuna di queste cose si applica<br />

a Bob <strong>La</strong>zar. Volevo credergli. Non ero contrario alla sua storia. Ovviamente è un tipo<br />

parecchio sveglio e non solo perché è riuscito a mettere il motore di un jet nel cofano di<br />

un’auto. Ma sono arrivato alla conclusione che è un imbroglione.»<br />

È un peccato che i due uomini non abbiano mai pranzato assieme. Parlando avrebbero<br />

potuto rendersi conto di quanto entrambi fossero vicini alla verità, una verità molto più<br />

terrena e scioccante di quella che chiunque avrebbe potuto immaginare. <strong>La</strong> storia vera e<br />

<strong>senza</strong> veli dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> copre oltre settant’anni. L’incidente di Roswell non è che uno dei<br />

suoi molti fili e la stessa <strong>Area</strong> <strong>51</strong> – il luogo segreto nel deserto – ha radici in luoghi e


avvenimenti lontanissimi dai 130 chilometri quadrati dello spazio aereo vietato oggi noto<br />

come il Box.<br />

Tutto cominciò nel 1938, con un’immaginaria guerra dei mondi.


Capitolo 2<br />

IMMAGINATE UNA GUERRA DEI MONDI 1<br />

<strong>La</strong> vigilia di Halloween del 1938, mentre la CBS trasmetteva un adattamento del romanzo<br />

vittoriano <strong>La</strong> guerra dei mondi, il New Jersey cadde in preda all’isteria collettiva.<br />

Ascoltando il radiodramma, molte persone si convinsero che i marziani stessero<br />

attaccando la Terra 2 nel New Jersey, uccidendo un numero impressionante di americani.<br />

«Signore e signori» esordì l’annunciatore «interrompiamo il nostro programma di musica<br />

da ballo per leggervi un bollettino speciale.» Agli ascoltatori fu detto che un gigantesco<br />

meteorite infuocato si era schiantato in un terreno agricolo a Grover’s Mill, trentacinque<br />

chilometri a nord di Trenton.<br />

Frank Readick, che impersonava Carl Phillips, un giornalista della CBS il quale sosteneva<br />

di essere sul posto, diede le notizie straordinarie: «L’oggetto non assomiglia molto a un<br />

meteorite» disse Phillips con voce tremante. «Sembra un enorme cilindro. L’involucro di<br />

metallo è decisamente extraterrestre!» <strong>La</strong> situazione si fece improvvisamente pericolosa<br />

e Phillips iniziò a urlare: «Signore e signori, è la cosa più terrificante che io abbia mai<br />

visto! Qualcuno sta uscendo dalla cima!». Phillips spiegò che esseri extraterrestri avevano<br />

cominciato a strisciare fuori dai rottami del velivolo, rivelando corpi grandi come quelli di<br />

un orso e tentacoli al posto delle braccia e delle gambe. I boschi erano in fiamme, gridò<br />

Phillips. I fienili bruciavano e i serbatoi delle auto parcheggiate venivano colpiti ed<br />

esplodevano. I radioascoltatori udirono un gemito e poi il silenzio, il che significava che il<br />

giornalista era morto. Quindi un uomo disse solennemente di essere il segretario agli<br />

Interni e interruppe il servizio. «Cittadini della nazione,» dichiarò «non tenterò di<br />

nascondere la gravità della situazione che il paese si trova ad affrontare.» C’era un<br />

numero incalcolabile di morti, tra cui membri della polizia del New Jersey. Era stato<br />

mobilitato l’esercito americano. Era stato dato ordine di evacuare New York. Era iniziato<br />

un conflitto interplanetario.<br />

Anche se la trasmissione delle otto di sera si era aperta con un breve annuncio in cui si<br />

dichiarava che la storia era fantascienza tratta dal romanzo di H.G. Wells, un numero<br />

incredibile di persone negli Stati Uniti credettero che fosse vera. Quelli che cambiarono<br />

stazione per avere conferme scoprirono che altre emittenti avevano interrotto i loro<br />

programmi per seguire l’esclusivo servizio dal vivo della CBS sull’attacco marziano. Migliaia<br />

di persone chiamarono la radio e altre migliaia chiamarono la polizia. I centralini<br />

andarono in tilt 3 . Negli ospedali cominciò ad arrivare gente in preda allo shock e<br />

all’isteria. Famiglie del New Jersey si precipitarono fuori di casa per informare chiunque<br />

non lo sapesse che il mondo stava subendo un attacco marziano. <strong>La</strong> polizia statale


mandò un telex sui propri sistemi di comunicazione sottolineando che il radiodramma era<br />

“frutto della fantasia”, ma l’isteria era già andata ben oltre il controllo delle forze di<br />

polizia locali. Negli Stati di New York e del New Jersey la gente caricò la macchina e<br />

fuggì. Per molti era l’inizio della fine del mondo.<br />

<strong>La</strong> mattina successiva il «New York Times» uscì con un articolo in prima pagina<br />

intitolato Radioascoltatori nel panico scambiano per verità un dramma bellico. In tutta la<br />

nazione c’erano state segnalazioni di «case distrutte, servizi religiosi interrotti, ingorghi<br />

stradali e sistemi di comunicazione in tilt». Per tutta la notte, nelle chiese da Harlem a<br />

San Diego, la gente aveva pregato per la salvezza. Nel mese che seguì oltre 12.500<br />

articoli di giornale discussero la trasmissione <strong>La</strong> guerra dei mondi. <strong>La</strong> Federal<br />

Communication Commission (FCC, Commissione federale per le comunicazioni) aprì<br />

un’inchiesta ma alla fine decise di non perseguire la CBS, soprattutto in base alla<br />

considerazione della libertà di parola. Non era compito dell’FCC 4 «<strong>censu</strong>rare ciò che<br />

dovrebbe o non dovrebbe essere detto alla radio», disse il membro della commissione<br />

T.A.M. Craven. «Il pubblico non vuole una radio imbavagliata.»<br />

<strong>La</strong> trasmissione <strong>La</strong> guerra dei mondi aveva toccato il nervo scoperto dei crescenti<br />

timori degli americani. Solo due settimane prima, le truppe di Adolf Hitler avevano invaso<br />

la Cecoslovacchia, scardinando la sicurezza dell’Europa. I rapidi progressi scientifici e<br />

tecnologici, che comprendevano il radar, i motori jet e le microonde, erano troppo per gli<br />

americani dell’era della Depressione che non sapevano come la scienza avrebbe potuto<br />

influenzare una futura guerra. Nel 1938 i raggi mortali e i marziani assassini potevano<br />

anche essere pura fantascienza, ma resta il fatto che quei concetti giocavano con il<br />

timore di essere invasi e annientati. Gli uomini hanno sempre avuto paura dell’attacco<br />

subdolo, che è esattamente quello che Hitler aveva appena fatto con la Cecoslovacchia e<br />

che il Giappone avrebbe presto ripetuto a Pearl Harbor. Le armi introdotte con la Seconda<br />

mondiale comprendevano razzi, droni e bombe atomiche, tutte cose presagite dal<br />

racconto di Wells. I progressi scientifici stavano per cambiare radicalmente il volto della<br />

guerra e avrebbero reso la fantascienza molto meno fantastica di quanto non fosse stata<br />

in precedenza. <strong>La</strong> Seconda guerra mondiale avrebbe causato 50 milioni di morti.<br />

Nel momento stesso in cui fu trasmesso, il radiodramma <strong>La</strong> guerra dei mondi ebbe un<br />

profondo impatto sui militari americani. Il mese seguente, una manciata di «ascoltatori<br />

militari» esposero le loro riflessioni “pacate” sull’argomento ai giornalisti dell’Associated<br />

Press. «<strong>La</strong> cosa che più ha colpito gli ascoltatori militari del radiodramma è stato il suo<br />

immediato effetto emotivo» dissero gli ufficiali all’AP. «Migliaia di persone hanno creduto<br />

che fosse in corso una vera invasione. Hanno mostrato tutti i sintomi della paura, del<br />

panico, della determinazione a resistere, della disperazione, del coraggio, dell’eccitazione<br />

o del fatalismo che avrebbe prodotto una guerra reale», il che a sua volta «dimostra che<br />

il governo dovrà insistere sulla stretta cooperazione della radio in ogni guerra futura.»<br />

Quello che i militari non stavano dicendo era che gli strateghi e i politici erano seriamente<br />

preoccupati del fatto che interi segmenti della popolazione potessero essere tanto<br />

facilmente indotti a credere che una cosa falsa fosse vera. Gli americani avevano<br />

intrapreso azioni molto reali e concrete sulla base di un fatto completamente inventato.<br />

Si era scatenato il pandemonio. Le nazioni totalitarie erano in grado di manipolare in quel


modo i propri cittadini, ma l’America? Prima di allora non si era mai visto in maniera così<br />

chiara e indiscutibile questo genere di controllo delle masse.<br />

L’America non fu l’unico paese in cui i funzionari del governo rimasero impressionati<br />

dalla facilità con cui la gente poteva essere influenzata da una trasmissione radio. Anche<br />

Adolf Hitler prese nota 5 . Fece riferimento alla reazione isterica degli americani a <strong>La</strong><br />

guerra dei mondi in occasione di un discorso a Berlino, definendola «la prova della<br />

condizione di decadenza e corruzione della democrazia». Successivamente si scoprì che<br />

anche in Unione Sovietica Josif Stalin aveva prestato attenzione all’accaduto 6 . E il<br />

massimo consulente scientifico di Roosevelt, Vannevar Bush, giudicò gli effetti 7 della finta<br />

trasmissione con grande attenzione. <strong>La</strong> tendenza al panico dell’opinione pubblica lo aveva<br />

spaventato, avrebbe detto in seguito a W. Cameron Forbes, suo collega alla Carnegie<br />

Institution. Tre mesi dopo, le onde radio furono latrici di altre notizie allarmanti, ma<br />

questa volta era scienza pura, non fantascienza.<br />

Il 26 gennaio 1939 la Carnegie Institution sponsorizzò una conferenza stampa per<br />

annunciare al mondo la scoperta della fissione nucleare. Quando venne dichiarato che<br />

due scienziati di origine tedesca erano riusciti a rompere l’atomo, buona parte dei fisici<br />

presenti si precipitò letteralmente fuori dalla stanza. <strong>La</strong> consapevolezza della portata di<br />

quella scoperta era tanto profonda quanto devastante. Se gli scienziati erano riusciti a<br />

rompere un atomo, allora sicuramente sarebbero stati in grado di innescare una reazione<br />

a catena, il cui risultato sarebbe stato un enorme rilascio di energia. Tre mesi dopo, il<br />

«New York Times» riferì che i partecipanti a una conferenza erano stati sentiti discutere<br />

«della probabilità che qualche scienziato facesse saltare in aria una porzione significativa<br />

del pianeta con un pezzetto di uranio». Ecco la terrificante prospettiva con cui il mondo si<br />

trovava a dover fare i conti. <strong>La</strong> scienza scopre il vero Frankenstein 8 titolava un articolo<br />

del «Boston Herald» che continuava spiegando come adesso «un dittatore <strong>senza</strong> scrupoli,<br />

avido di conquiste, [potrebbe] cancellare dalla faccia della terra Boston, Worcester e<br />

Providence». Vannevar Bush era in disaccordo con la stampa popolare. Il “vero pericolo”<br />

nella scoperta della fissione, disse a Forbes, non era l’energia atomica in sé quanto la<br />

tendenza dell’opinione pubblica al panico nei confronti di cose che non comprende. Per<br />

sostenere il proprio punto di vista Bush prese come esempio la trasmissione de <strong>La</strong> guerra<br />

dei mondi 9 .<br />

Venne fuori che l’energia atomica era molto più potente di qualunque cosa creata in<br />

precedenza dall’uomo. Sei anni e sette mesi dopo l’annuncio della scoperta della fissione,<br />

l’America sganciò bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, spazzando via entrambe le<br />

città e 250.000 abitanti. Il presidente Roosevelt aveva nominato 10 Vannevar Bush a capo<br />

del gruppo che realizzò la bomba. Bush fu il direttore del progetto Manhattan, la prima<br />

vera operazione coperta del paese, e ricoprì quel ruolo esercitando un controllo<br />

totalitario.<br />

Quando l’impero del Sol Levante si arrese, Vannevar Bush non si rallegrò granché<br />

mentre ponderava la sua prossima mossa 11 . Per diciotto giorni rimase a osservare le<br />

truppe di Stalin che marciavano in Asia orientale, dispiegando i soldati dell’Armata Rossa<br />

in Cina, Manciuria, sull’isola di Sakhalin e nella Corea del Nord. Quando i combattimenti


finalmente cessarono, la risposta di Bush era ormai chiara. Avrebbe convinto il presidente<br />

Truman che dell’Unione Sovietica non ci si poteva fidare. Nell’affrontare il nuovo nemico<br />

dell’America, la nazione aveva bisogno di ancora più tecnologia avanzata per combattere<br />

future guerre. Il conflitto più recente poteva anche essere finito, ma la scienza doveva<br />

marciare in testa.<br />

Mentre l’America festeggiava la pace 12 (dopo l’atomica su Hiroshima e Nagasaki, i<br />

sondaggi dimostrarono che oltre l’85 per cento degli americani approvava il<br />

bombardamento), Vannevar Bush e i membri del dipartimento della Guerra iniziarono a<br />

progettare di usare di nuovo la bomba in un test reale: una specie di finta battaglia<br />

navale nucleare che speravano di poter realizzare l’estate successiva alle isole Marshall,<br />

nel Pacifico. Lì, in una profonda laguna nei pressi dell’atollo di Bikini, decine di navi da<br />

guerra giapponesi e tedesche catturate al nemico sarebbero state fatte saltare usando<br />

bombe nucleari vere. L’operazione avrebbe mostrato al mondo quanto fossero formidabili<br />

le nuove armi dell’America. Si sarebbe chiamata operazione Crossroads, “Crocevia”. Come<br />

diceva il nome, l’evento segnava un punto di svolta decisivo. L’America stava dicendo alla<br />

Russia di essere pronta a dar battaglia usando le bombe atomiche.<br />

Dopo meno di un anno, l’operazione Crossroads era in pieno svolgimento 13 sull’atollo di<br />

Bikini, un anello di corallo di 40 chilometri che circonda una limpida laguna blu.<br />

I 167 abitanti di Bikini erano governati da un re di nome Juda 14 , ma nel luglio del 1946<br />

nessuno di loro era più sull’atollo. <strong>La</strong> marina statunitense li aveva evacuati all’atollo di<br />

Rongerik 15 , duecento chilometri a est. <strong>La</strong> prevista serie di test atomici con tre bombe 16<br />

avrebbe reso l’isola pericolosa per un certo periodo, fu detto loro. Ma avrebbe contribuito<br />

a garantire la pace mondiale.<br />

Sulle rive dell’atollo, un giovane di nome Alfred O’Donnell 17 stava sdraiato nel suo<br />

capanno Quonset ascoltando l’ululato del vento e il rumore della pioggia che cadeva sul<br />

tetto di metallo rinforzato sopra di lui. Non riusciva a dormire. «Ero molto preoccupato»<br />

spiega O’Donnell, ricordando l’operazione Crossroads a oltre sessant’anni di distanza.<br />

«Era tutto a posto? <strong>La</strong> bomba avrebbe funzionato come previsto?» Ciò che impensieriva<br />

l’ingegnere specialista in armi, che all’epoca aveva ventiquattro anni, erano le creature<br />

marine della laguna. «E se una piovra avesse toccato uno dei fili della bomba? Cosa<br />

sarebbe successo? Cosa sarebbe accaduto se qualcosa fosse finito fuori posto?» I fili di cui<br />

parlava O’Donnell correvano da un bunker in cemento su Bikini, chiamato punto di<br />

controllo, fin dentro l’oceano, dove collegavano una bomba atomica da 23 chilotoni il cui<br />

nome in codice era Baker.<br />

In qualità di comandante degli uomini incaricati di cablare e innescare le bombe<br />

atomiche nel corso dell’operazione Crossroads, O’Donnell aveva una tremenda<br />

responsabilità, soprattutto per un uomo così giovane. «Cinque anni prima ero solo un<br />

ragazzino di Boston con una vita normale. L’unica cosa cui pensavo era la carriera come<br />

giocatore di baseball» ricorda O’Donnell. Poi arrivò la guerra e tutto cambiò. Sposò Ruth.<br />

Si arruolò in marina, dove imparò la tecnologia radio e l’elettronica. In breve tempo<br />

eccelse in entrambi i campi. Tornato a Boston dopo il conflitto, O’Donnell fu<br />

misteriosamente assunto per un lavoro con la Raytheon Production Corporation, una


società che aveva un contratto con il dipartimento della Difesa e di cui Vannevar Bush era<br />

uno dei fondatori. Quando accettò, O’Donnell non sapeva esattamente in cosa<br />

consistesse l’impiego. Gli uomini che lo assunsero gli dissero che avrebbe saputo maggiori<br />

dettagli quando avesse passato i controlli di sicurezza. «All’epoca non avevo idea di cosa<br />

fosse un’autorizzazione di sicurezza» racconta O’Donnell. Dopo un mese, apprese di far<br />

parte del progetto Manhattan. Fu trasferito in una piccola società d’ingegneria che doveva<br />

il proprio nome ai tre professori del MIT che ne erano a capo: Edgerton, Germeshausen e<br />

Grier. In seguito il nome della società fu abbreviato in EG&G. A insegnare a O’Donnell<br />

come cablare una bomba atomica fu Herbert Grier, l’uomo che aveva inventato gli<br />

inneschi per gli ordigni sganciati sul Giappone.<br />

«Subito dopo mi chiesero di andare a Bikini, nell’estate del 1946» dice O’Donnell. «Non<br />

volevo. Avevo combattuto su quell’atollo durante la guerra e avevo giurato che non ci<br />

avrei mai rimesso piede. Ma Ruth e io avevamo un bambino in arrivo, e così ci andai.»<br />

All’atollo di Bikini di erano riunite 42.000 persone per assistere all’operazione Crossroads<br />

e O’Donnell non riusciva a dormire perché si sentiva addosso tutti quegli occhi. Riuscì a<br />

smettere di preoccuparsi dei cablaggi della bomba pensando a Ruth.<br />

In un altro punto di Bikini il colonnello Richard Sully Leghorn incarnava la figura<br />

dell’eroe di guerra. Bello, con i baffetti, Leghorn sembrava proprio Clark Gable in Accadde<br />

una notte. Ufficiale comandante della Task Force 1.5.2, era uno dei piloti a capo della<br />

missione incaricata di fotografare le bombe nucleari dal cielo. Leghorn aveva passato<br />

interi pomeriggi con i navigatori della marina a ripercorrere le rotte di volo che il giorno<br />

dell’esplosione lo avrebbero portato alla giusta distanza per vedere il fungo atomico. A<br />

ventisette anni Richard Leghorn era già una personalità pubblica. Era stato il giovane<br />

ufficiale esploratore che aveva fotografato le spiagge della Normandia il giorno dello<br />

sbarco. Leghorn era un fisico laureato al Massachusetts Institute of Technology. Era<br />

appassionato alla fotografia intesa come scienza e per questa ragione dopo la guerra era<br />

andato a lavorare per Eastman Kodak. Poi, all’inizio del 1946, la marina l’aveva<br />

richiamato per una missione temporanea nel corso dell’operazione Crossroads. Si era<br />

addestrato all’aeroporto militare di Roswell, in New Mexico, e poi aveva trasportato sopra<br />

il Pacifico l’equipaggiamento fotografico più avanzato dell’esercito. Adesso si trovava a<br />

Bikini. Presto Leghorn avrebbe sorvolato il fungo atomico scattando fotografie di quello<br />

che accade alle navi da guerra quando vengono colpite da bombe nucleari.<br />

Al comando centrale, Curtis Emerson LeMay masticava un sigaro. LeMay stava<br />

sorvegliando le procedure e i protocolli per l’operazione Crossroads. A soli trentanove<br />

anni, LeMay era già comparso sulla copertina di «Time» ed era famoso in tutto il mondo<br />

come l’uomo che aveva contribuito a far finire la Seconda guerra mondiale. A<br />

quarantacinque anni Curtis LeMay sarebbe diventato il più giovane generale a quattro<br />

stelle dell’esercito americano dai tempi di Ulysses S. Grant. Scuro, riflessivo e con un<br />

autocontrollo leggendario, LeMay aveva condotto i bombardamenti incendiari sulle città<br />

giapponesi, inclusa Tokyo. Quando le bombe al napalm non aveva posto fine alla guerra<br />

nel Pacifico, il presidente Truman avevano autorizzato LeMay a guidare il 509 ° Operations


Group, di stanza sull’isola Tinian, per sganciare le atomiche su Hiroshima e Nagasaki.<br />

Curtis LeMay sorrideva di rado 18 . Quando parlava, lo faceva in un modo che<br />

«assomigliava a un ringhio». I critici lo definivano uno stratega militare dal cuore di pietra<br />

e sebbene il giornalista I.F. Stone lo avesse definito «un uomo delle caverne in un<br />

bombardiere» 19 , i suoi uomini lo adoravano. Durante la guerra nel Pacifico, LeMay spesso<br />

volava in testa alla formazione durante i raid. Ma adesso la guerra era finita e LeMay<br />

pensava a una strategia militare per il futuro. A partire da Crossroads, avrebbe modellato<br />

l’aeronautica militare statunitense come nessun altro aveva fatto fino a quel momento. In<br />

qualità di vicecomandante dello staff per la ricerca e lo sviluppo dell’aeronautica militare<br />

americana, LeMay era a Bikini per stabilire 20 quanto la bomba fosse efficace in una<br />

battaglia nucleare sui mari contro l’Unione Sovietica.<br />

L’operazione Crossroads fu un avvenimento grandioso 21 , descritto come «l’apocalisse<br />

con i fuochi d’artificio». Se qualcuno fosse stato all’oscuro del fatto che la Seconda guerra<br />

mondiale era finita, la scena sulla laguna di Bikini quel giorno sarebbe potuta sembrare<br />

surreale. Una flotta di navi da guerra tedesche e giapponesi era stata allineata accanto a<br />

cacciatorpediniere e incrociatori americani in disarmo. C’erano navi da guerra grandi<br />

come campi di calcio, le cui dimensioni impressionanti erano sminuite solo dalla potenza<br />

combinata di tutto quel naviglio. Otto sommergibili erano stati ancorati sul fondale<br />

oceanico. C’erano più di un milione di tonnellate di acciaio bellico 22 che galleggiavano<br />

sull’oceano <strong>senza</strong> un’anima viva a bordo. Sotto il sole del Pacifico meridionale c’erano<br />

invece migliaia di maiali, pecore e topi, in gabbia o incatenati, destinati ad affrontare<br />

l’imminente esplosione nucleare. Alcuni degli animali portavano al collo targhette di<br />

metallo, altri avevano contatori Geiger attaccati alle orecchie. <strong>La</strong> marina voleva stabilire<br />

in che modo gli esseri viventi avrebbero reagito alle bombe nucleari.<br />

Sessantacinque chilometri a ovest della laguna, Alfred O’Donnell era in piedi<br />

sottocoperta 23 nella sala controllo di una nave osservatorio intento a guardare un<br />

pannello di comandi. Sopra di lui, in coperta, scienziati di Los Alamos, generali, ammiragli<br />

e personalità aspettavano impazienti la bomba. Indossavano occhiali di protezione scuri,<br />

con lenti in materiale ad alta densità, necessari per evitare di rimanere accecati dal<br />

lampo dell’esplosione nucleare. O’Donnel manovrava il pannello davanti a sé. Mancavano<br />

sessanta secondi al via. Osservò il conto alla rovescia eseguito dal timer. A meno di un<br />

minuto, il sistema di innesco entrò in modalità automatica. Gli aghi degli oscilloscopi si<br />

muovevano da sinistra a destra mentre i segnali passavano attraverso il sistema di relè<br />

DN-11 24 . Mancavano dieci secondi. Cinque secondi. <strong>La</strong> spia che segnalava l’innesco della<br />

bomba si accese. Due secondi. Il segnale di fuoco lampeggiò.<br />

Era l’ora zero.<br />

O’Donnell tenne gli occhi fissi sul pannello fino all’ultimo secondo, com’era suo dovere.<br />

In caso di un’avaria, sarebbe toccato a lui riferirlo al comandante. Ma il segnale era stato<br />

inviato <strong>senza</strong> problemi e adesso stava percorrendo i cavi sott’acqua, diretto alla bomba<br />

Baker. Se si fosse mosso in fretta, O’Donnell avrebbe fatto in tempo a salire in coperta<br />

per vedere l’esplosione nucleare. Mentre si precipitava fuori dalla sala controllo, indossò<br />

gli occhiali di protezione. Una volta in coperta inspirò a fondo l’aria salmastra. Non c’era


nulla da vedere. Il mondo di fronte a lui era buio pesto per via degli occhiali. Fissò<br />

l’oscurità; era silenziosa e immobile. Avrebbe potuto sentir cadere uno spillo. Ascoltò le<br />

persone respirare nel silenzio. Di fronte alla laguna, O’Donnell lasciò andare il corrimano<br />

della nave e avanzò sul ponte. Conosceva la distanza dal bottone alla bomba e il tempo<br />

che ci voleva perché il segnale la raggiungesse. Nel giro di qualche secondo, il segnale<br />

sarebbe arrivato a destinazione.<br />

Ci fu un lampo accecante, quindi una luce bianco-arancio che sembrò più luminosa del<br />

sole mentre il paesaggio davanti a O’Donnell cambiava di nuovo, questa volta colorandosi<br />

di un rosso acceso. Vide un’immensa colonna d’acqua sollevarsi dalla laguna. <strong>La</strong> nuvola a<br />

forma di fungo cominciò a formarsi. «Mostruoso! Terrificante! Diventava sempre più<br />

grande» ricorda O’Donnell. «Era gigantesca. <strong>La</strong> nube. Il fungo. Era come guardare aprirsi i<br />

petali immensi di un fiore gigante. I petali si innalzavano e poi si allargavano in fuori,<br />

sbocciando e arricciandosi sotto il cappello della nuvola a forma di fungo.» Poi arrivò il<br />

vento. Dice O’Donnell: «Osservavo la colonna mentre cominciava a piegarsi. Riportai lo<br />

sguardo in cima al fungo dove stava cominciando a formarsi il ghiaccio. Il ghiaccio diminuì<br />

e iniziò a cadere lentamente. Poi tutto quanto scomparve in una palla di fuoco. Vedere<br />

per la prima volta l’esplosione di una bomba nucleare è una cosa che non si dimentica».<br />

Ipnotizzato dalla potenza di Baker, O’Donnell rimase impalato a guardare il mare dal<br />

ponte della nave. Era così sopraffatto da ciò di cui era stato testimone che dimenticò<br />

completamente lo spostamento d’aria che sarebbe arrivato da lì a poco. L’onda d’urto di<br />

una bomba nucleare viaggia all’incirca a 160 chilometri orari, il che significa che avrebbe<br />

investito la nave quattro minuti dopo lo scoppio. «Dimenticai di reggermi al corrimano»<br />

spiega O’Donnell. «Quando l’onda d’urto arrivò mi sollevò e mi scagliò indietro di tre metri<br />

contro la paratia.» Per terra sul ponte della nave, pieno di lividi, O’Donnell pensò:<br />

“Dannato idiota! Lo sapevi”.<br />

In alto, sopra la laguna, il colonnello Richard Leghorn pilotava il suo aereo in un<br />

luminoso cielo blu. Verso sud si erano formati dei cumulonembi. I navigatori<br />

dell’aeronautica militare americana avevano mandato Leghorn abbastanza vicino al punto<br />

zero per valutare ciò che era successo nella laguna, ma abbastanza lontano da non<br />

essere investito dalle radiazioni del fungo atomico. Quello cui assistette riempì Leghorn di<br />

orrore 25 . Vide la palla di fuoco di Baker provocare una colonna cava, o camino, di acqua<br />

radioattiva alta 1.800 metri, larga 600 e con pareti d’acqua spesse 90 metri. Le navi al di<br />

sotto furono scagliate in aria come vasche giocattolo 26 . <strong>La</strong> corazzata Nagato, un tempo il<br />

fiore all’occhiello dell’ammiraglio Isoroku Yamamoto, l’uomo responsabile della<br />

pianificazione dell’attacco a Pearl Harbor, fu scaraventata in alto per 370 metri. <strong>La</strong><br />

corazzata Arkansas in disarmo, pesante 27.000 tonnellate, fu sollevata in verticale contro<br />

la colonna d’acqua con la prua rivolta in basso. Ottanta potenti corazzate scomparvero<br />

nell’inferno nucleare. Se la flotta nella laguna fosse stata operativa, 3.500 marinai<br />

sarebbero stati vaporizzati.<br />

Dall’alto il colonnello Leghorn valutò ciò cui stava assistendo nel momento esatto in cui<br />

la bomba esplose. Leghorn non era certo ignaro della violenza della guerra. Tra il 1943 e


il 1945 aveva eseguito oltre ottanta missioni di ricognizione su territori controllati dal<br />

nemico in Europa. Il giorno dello sbarco in Normandia Leghorn aveva fatto tre passaggi a<br />

bassa quota sulle teste di ponte con un monoposto <strong>senza</strong> armi. Ma, come O’Donnell,<br />

Leghorn era in grado di ricordare l’operazione Crossroads nei minimi dettagli dopo oltre<br />

sessant’anni. Per il colonnello Leghorn è così perché rammenta esattamente come si era<br />

sentito. «Seppi in quel preciso momento che il mondo non avrebbe mai potuto affrontare<br />

un conflitto nucleare» dice Leghorn. L’unica strada sensata verso la superiorità militare in<br />

un’era atomica era spiare il nemico in modo da avere sempre più informazioni di quante<br />

lui ne avesse su di te.» E aggiunge: «Era il modo per evitare la guerra ed è così che ho<br />

formulato l’idea originaria di spionaggio dal cielo».<br />

All’epoca, nel 1946, i servizi segreti americani non avevano praticamente idea di cosa<br />

stesse succedendo in Russia a ovest del Volga 27 e assolutamente nessuna di cosa<br />

accadeva a occidente degli Urali. Leghorn era convinto 28 che se gli Stati Uniti fossero stati<br />

in grado di condurre missioni segrete di ricognizione aerea sull’enorme distesa<br />

continentale russa e di fotografare le sue installazioni militari, la nazione avrebbe potuto<br />

dominare i sovietici. Spiando il nemico, l’America avrebbe conosciuto il suo potenziale<br />

atomico, il numero di impianti per la produzione di plutonio o uranio, la quantità di<br />

cantieri navali o postazioni di lancio di missili in corso di realizzazione 29 . E dato che<br />

Leghorn era uno scienziato, riusciva a figurarsi con precisione il modo in cui i militari<br />

avrebbero potuto raggiungere quello scopo. <strong>La</strong> sua idea era di realizzare un aereo spia<br />

all’avanguardia in grado di volare più alto dei caccia nemici o dei loro missili antiaerei. In<br />

quel momento, durante l’operazione Crossroads, Leghorn si impegnò a sviluppare la<br />

nuova filosofia di spionaggio del nemico dall’alto, un concetto che in seguito sarebbe<br />

stato conosciuto come ricognizione dal cielo. Gli sforzi di Leghorn l’avrebbero portato<br />

dalle sale del Congresso ai corridoi dello Strategic Air Command dell’aeronautica militare<br />

americana. Lì sarebbe entrato in conflitto con il terzo paio d’occhi che stavano osservando<br />

la potenza dei 23 chilotoni della bomba Baker. Gli occhi di Curtis LeMay.<br />

<strong>La</strong> prospettiva di LeMay non sarebbe potuta essere più diametralmente opposta all’idea<br />

di spionaggio propugnata da Leghorn. LeMay era convinto che sarebbero state le bombe<br />

atomiche, non gli esplosivi convenzionali, a vincere le guerre. Il Giappone non si era<br />

arreso dopo il bombardamento incendiario di Tokyo. L’impero aveva ceduto solo dopo la<br />

seconda bomba nucleare. Durante i test atomici a Bikini, LeMay sapeva quello che solo<br />

pochissimi sapevano, ovvero che lo stato maggiore congiunto aveva da poco cambiato la<br />

tradizionale politica americana di entrare in guerra solo se attaccati. <strong>La</strong> nuova politica<br />

top-secret dello stato maggiore era quella di colpire per primi, nome in codice Pincher, e<br />

consentiva all’esercito americano di «sferrare il primo colpo se necessario». Che poteva<br />

anche consistere nello sganciare trenta bombe atomiche tutte assieme. Il nuovo corso,<br />

che non aveva precedenti nella storia degli Stati Uniti, era stato inaugurato con un<br />

documento programmatico meno di un mese dopo la resa giapponese, il 15 agosto 1945.<br />

Dieci mesi dopo, il 18 giugno 1946, la politica acquisì effetto legale. Non c’è dubbio che<br />

questo influenzò il punto di vista di LeMay a Crossroads.<br />

Quando arrivò il momento di presentare allo stato maggiore congiunto le proprie<br />

osservazioni sulla serie di test, LeMay le sintetizzò in tre brevi punti. «Le bombe atomiche


che saranno disponibili in gran numero in un prossimo futuro possono vanificare<br />

qualunque sforzo militare di un paese e annientarne le strutture sociali ed economiche.»<br />

In altre parole, avrebbe argomentato LeMay, l’America aveva bisogno di moltissime<br />

bombe di questo tipo. Il secondo punto era ancora più radicale: «Usandole insieme ad<br />

altre armi di distruzione di massa, è possibile spopolare vaste regioni della superficie<br />

terrestre, lasciando solo rovine dell’opera materiale dell’uomo». Ma fu il terzo punto a<br />

configurare in modo sostanziale la futura aeronautica militare americana, che sarebbe<br />

nata l’anno successivo: «<strong>La</strong> bomba atomica sottolinea la necessità di avere i mezzi più<br />

efficaci per usarla; dev’esserci la forza più efficace possibile per lanciare le bombe». Ciò<br />

che LeMay stava sostenendo era una massiccia flotta di bombardieri in grado di sganciare<br />

bombe nucleari.<br />

LeMay vide realizzarsi tutti e tre i suoi desideri. Tre anni più tardi, dopo che lui era<br />

stato promosso comandante dello Strategic Air Command, lo stato maggiore aumentò da<br />

30 a 130 il numero di bombe che potevano essere usate in un attacco preventivo contro i<br />

sovietici. LeMay fu anche uno dei più potenti sostenitori della realizzazione di una nuova<br />

bomba nucleare migliaia di volte più potente, la bomba a idrogeno, il cui progetto era<br />

diretto dal dottor Edward Teller. Nel corso dei 44 anni successivi, gli Stati Uniti<br />

costruirono 70.000 bombe nucleari. LeMay non era assolutamente interessato allo<br />

spionaggio dal cielo. Gli aerei spia non avevano armi e non potevano trasportare bombe.<br />

<strong>La</strong> potenza militare era il modo per rimanere superiori al nemico nell’era atomica. Era<br />

quella la strada per vincere le guerre.<br />

Molto lontano dall’America 30 , a Mosca, nella fortezza del Cremlino Josif Stalin vide<br />

l’operazione Crossroads con occhi completamente diversi. Prima esclusa e poi invitata ai<br />

test nucleari della marina sull’atollo di Bikini, l’Unione Sovietica aveva mandato due<br />

osservatori, un fisico e una spia. Il fisico era con il Radium Institute mentre la spia era un<br />

membro del Commissariato del popolo per gli affari interni, l’NKVD, l’antenato del KGB.<br />

Come copertura, la spia si spacciava per un giornalista della «Pravda».<br />

Secondo Josif Stalin i test di Bikini erano il modo con cui l’America segnalava al resto<br />

del mondo che la nazione non aveva finito con le bombe nucleari. Confermava inoltre al<br />

già paranoico Stalin che gli americani erano pronti a ingannarlo, proprio come aveva fatto<br />

Adolf Hitler sette anni prima quando lo aveva convinto a firmare il patto di non<br />

aggressione con la Germania nazista per poi sorprenderlo con un attacco a tradimento.<br />

Quello che gli americani ignoravano era che Stalin guardava Crossroads con fiducia,<br />

sapendo che il suo programma nucleare procedeva a gonfie vele. In soli cinque mesi, il<br />

primo reattore nucleare capace di innescare la reazione a catena avrebbe raggiunto il<br />

punto critico 31 , preparando la strada alla prima bomba atomica russa. Ma ciò che non si è<br />

mai saputo è che Josif Stalin stava sviluppando un’altra arma segreta 32 per il suo<br />

arsenale, diversa dalla bomba atomica. Derivava quasi direttamente dall’inganno radio de<br />

<strong>La</strong> guerra dei mondi, qualcosa che avrebbe seminato il terrore nel cuore dei paurosi<br />

imperialisti spingendo gli americani in preda al panico a correre per le strade.<br />

Passarono dieci mesi. Era la notte del 29 maggio 1947 sul Rio Grande e scienziati,


ingegneri e tecnici del White Sands Proving Ground in New Mexico stavano ansiosamente<br />

dando i tocchi finali alla loro arma segreta, Hermes 33 . In origine il razzo lungo 7,5 metri e<br />

pesante 1.360 chilogrammi era stato battezzato V2, o Vergeltungswaffe 2, che in tedesco<br />

significa “rappresaglia”. Ma Hermes suonava meno malevolo, essendo il nome del<br />

messaggero degli dèi greci.<br />

Il razzo che adesso si trovava al Test Stand 33 apparteneva a Adolf Hitler 34 poco più di<br />

due anni prima. Era stato fabbricato dai lavoratori schiavi nelle stesse linee di produzione<br />

che avevano costruito i razzi usati dal Terzo Reich per terrorizzare gli abitanti di Londra,<br />

Anversa e Parigi durante la guerra. L’esercito statunitense aveva requisito quasi duecento<br />

V2 alla fabbrica tedesca di Peenemünde e li aveva spediti a White Sands il primo mese<br />

dopo la fine della guerra. Con un progetto parallelo e ancora più segreto denominato<br />

operazione Paperclip 35 – i cui dettagli rimangono ancora classificati nel 2011 – furono<br />

date nuove vite e nuovi nomi a 118 scienziati tedeschi esperti in missili, i quali vennero<br />

poi portati alla base missilistica. In seguito ne sarebbero arrivati centinaia di altri.<br />

Due di questi scienziati adesso stavano preparando Hermes per il test di lancio. Uno,<br />

Wernher von Braun 36 , era l’inventore del razzo: il primo missile balistico, o bomba volante<br />

mai realizzato. E il secondo, il dottor Ernst Steinhoff 37 , aveva progettato il sistema di<br />

guida del V2. Quella notte di primavera del 1947, il V2 si sollevò dalla rampa, all’inizio<br />

lentamente, mentre von Braun e Steinhoff osservavano con grande attenzione. Hermes<br />

consumò più di 450 chilogrammi di carburante per razzi nei primi due secondi e mezzo<br />

mentre saliva di 150 metri. I successivi 150 metri furono molto più facili, come pure i 300<br />

che seguirono. Il razzo prese velocità e le leggi della fisica entrarono in gioco: qualunque<br />

cosa può volare se la si fa muovere con velocità sufficiente. Adesso Hermes era in volo,<br />

sempre più in alto nel cielo notturno e diretto alla stratosfera. O almeno questo era il<br />

progetto. Pochi istanti dopo il missile alato invertì la rotta all’improvviso e in maniera<br />

inaspettata. Invece di puntare a nord verso l’area disabitata di 800.000 ettari 38 del White<br />

Sands Proving Ground, il razzo si diresse a sud verso il centro di El Paso, Texas.<br />

Il dottor Steinhoff stava osservando la traiettoria del missile con un telescopio da un<br />

posto di osservazione un chilometro e mezzo a sud della rampa di lancio e, dato che<br />

aveva progettato personalmente il sistema di guida del V2 quando lavorava ancora per<br />

Hitler, era la persona meglio preparata a riconoscere eventuali errori nel test. Nel caso in<br />

cui avesse individuato un lancio fuori traiettoria, avrebbe informato gli ingegneri<br />

dell’esercito, che avrebbero immediatamente interrotto l’afflusso di carburante ai motori<br />

del razzo mediante un controllo a distanza, facendolo cadere all’interno della base <strong>senza</strong><br />

conseguenze. Ma il dottor Steinhoff non disse nulla 39 quando il V2 fuori rotta compì un<br />

arco sopra El Paso e si diresse verso il Messico. Qualche minuto dopo, il razzo si schiantò<br />

nel cimitero di Tepeyac, cinque chilometri a sud di Juárez, una città di 120.000 abitanti.<br />

<strong>La</strong> violenta esplosione fece tremare praticamente tutti gli edifici di El Paso e Juárez,<br />

terrorizzandone gli abitanti 40 che «inondarono di telefonate ansiose gli uffici dei giornali, i<br />

posti di polizia e le stazioni radio» per sapere cos’era successo. Il missile lasciò un cratere<br />

largo quindici metri e profondo sette. Fu un miracolo che nessuno rimanesse ucciso.<br />

Gli ufficiali dell’esercito si precipitarono a Juárez per minimizzare l’accaduto mentre


furono inviati dei soldati messicani a presidiare il bordo del cratere. <strong>La</strong> missione, gli<br />

uomini e il missile erano tutti classificati top-secret; nessuno poteva sapere alcun<br />

dettaglio sulla faccenda. Gli investigatori misero a tacere i funzionari messicani ripulendo<br />

il sito dell’impatto e pagando i danni. Ma a White Sands sistemare le cose non era<br />

altrettanto facile. Il lavoro degli agenti dei servizi segreti fu reso difficilissimo dai sospetti<br />

di sabotaggio 41 di cui furono accusati gli scienziati tedeschi responsabili del progetto topsecret.<br />

All’epoca l’atteggiamento nei confronti degli ex scienziati del Terzo Reich che<br />

adesso lavoravano per gli Stati Uniti si poteva distinguere in due categorie. C’era chi<br />

sosteneva che «il passato è passato», una posizione sintetizzata dall’ufficiale responsabile<br />

dell’operazione Paperclip, Bosquet Wev, il quale affermava che preoccuparsi di “dettagli<br />

irrilevanti” relativi al comportamento passato degli scienziati tedeschi equivaleva a<br />

un’inutile perdita di tempo 42 . <strong>La</strong> logica di tale atteggiamento era che un Terzo Reich<br />

ormai dissolto non costituiva alcun pericolo per l’America, mentre lo stesso non poteva<br />

dirsi dell’esercito sovietico in pieno sviluppo… e perdipiù, se i tedeschi lavoravano per noi,<br />

non potevano lavorare per loro.<br />

Altri non erano d’accordo, e tra loro anche Albert Einstein. Cinque mesi prima<br />

dell’incidente di Juárez, Einstein e la neonata Federation of American Scientists<br />

(Federazione degli scienziati americani) si erano rivolti al presidente Truman: «Riteniamo<br />

questi individui potenzialmente pericolosi […]. Il passato di membri di spicco del partito<br />

nazista solleva la questione della loro idoneità a divenire cittadini americani e a occupare<br />

posizioni chiave nelle istituzioni industriali, scientifiche e educative degli Stati Uniti».<br />

Secondo Einstein, avere a che fare con criminali di guerra era antidemocratico e<br />

pericoloso.<br />

Mentre il dibattito pubblico continuava, iniziarono le indagini interne. E l’attività a White<br />

Sands andò avanti. Gli scienziati tedeschi avevano testato V2 per quattordici mesi e<br />

mentre erano in corso le indagini sull’incidente di Juárez altri tre missili lanciati dal Test<br />

Stand 33 si schiantarono oltre il perimetro della base: uno vicino ad Alamogordo, New<br />

Mexico, e un altro nei pressi di <strong>La</strong>s Cruces, sempre in New Mexico. Un terzo finì di nuovo<br />

nei dintorni di Juárez, in Messico. Gli scienziati tedeschi attribuirono quegli errori che<br />

avrebbero potuto trasformarsi in tragedie ai vecchi componenti dei V2. L’acqua di mare<br />

ne aveva corroso alcune parti durante il trasporto in nave dalla Germania. Ma in rapporti<br />

scritti top-secret, gli agenti dei servizi segreti dell’esercito stavano montando un caso che<br />

avrebbe attribuito la colpa agli scienziati tedeschi. L’unità di intelligence del dipartimento<br />

della Guerra che li teneva d’occhio aveva definito alcuni di loro come «sospettati di<br />

costituire un potenziale rischio per la sicurezza». Quando non lavoravano, gli uomini<br />

erano confinati in una sezione della base. Il club degli ufficiali era off-limits per tutti i<br />

tedeschi, inclusi i capi della squadra addetta ai razzi, Steinhoff e von Braun. Fu in<br />

quest’atmosfera di prove fallite e di sfiducia che accadde un evento eccezionale, un<br />

evento che a prima vista sembrava completamente slegato dai test missilistici.<br />

Durante la prima settimana di luglio del 1947, gli ingegneri del genio segnalatori<br />

iniziarono a tracciare due oggetti con notevoli capacità di volo che si muovevano sopra la<br />

parte sudoccidentale degli Stati Uniti. Ciò che rendeva straordinari quegli apparecchi 43


era il fatto che, nonostante volassero in avanti nel modo tradizionale, di tanto in tanto<br />

rimanevano sospesi in aria – ovunque si trovassero – prima di ricominciare ad avanzare.<br />

Quel tipo di tecnologia aerodinamica era assolutamente fuori della portata di qualunque<br />

progetto su cui stava lavorando l’aeronautica americana nell’estate del 1947. Quando<br />

molteplici fonti cominciarono a riferire le stesse cose, divenne chiaro che il radar non<br />

stava mostrando oggetti fantasma, bensì qualcosa di reale. <strong>La</strong> base dell’aeronautica<br />

militare di Kirtland, ubicata a nord del White Sands Proving Ground, intercettò gli oggetti<br />

volanti nelle sue vicinanze. Il comandante della base ordinò a un pilota decorato della<br />

Seconda guerra mondiale, Kenny Chandler, di decollare con un caccia 44 per localizzare e<br />

inseguire l’oggetto volante non identificato, un’evenienza mai rivelata prima d’ora.<br />

Chandler non vide mai ciò che gli era stato ordinato di cercare. Ma mentre Chandler<br />

perlustrava i cieli, uno degli oggetti volanti si schiantò vicino a Roswell, New Mexico.<br />

Immediatamente lo stato maggiore congiunto prese il comando e assunse il controllo<br />

della situazione, recuperando la carcassa del velivolo e parte del sistema di propulsione,<br />

incluso il sistema di alimentazione. Il velivolo non somigliava per niente a un aereo<br />

convenzionale 45 . Non aveva né coda né ali. <strong>La</strong> fusoliera era rotonda, con una cupola alla<br />

sommità. Nei memorandum dei servizi segreti militari declassificati nel 1994 veniva<br />

definito “disco volante”. <strong>La</strong> cosa più allarmante era un fatto rimasto segreto fino a oggi:<br />

all’interno del disco c’era un marchio molto terrestre, ossia la scrittura russa. Le<br />

maiuscole dell’alfabeto cirillico erano state stampate 46 , o incise in rilievo, in un anello che<br />

correva all’interno del veicolo.<br />

In un momento critico i militari americani videro prendere corpo le loro peggiori paure.<br />

L’esercito russo doveva aver messo le mani su ingegneri aerospaziali tedeschi più capaci<br />

di Ernst Steinhoff e Wernher von Braun, ingegneri che con ogni probabilità avevano<br />

messo a punto quei velivoli anni prima per la Luftwaffe. I russi semplicemente non<br />

potevano aver sviluppato da soli quella tecnologia così avanzata. Le riserve di armi<br />

dell’Unione Sovietica e la comunità di scienziati erano state decimate durante la guerra;<br />

la nazione aveva perso più di 20 milioni di uomini. <strong>La</strong> maggior parte degli scienziati russi<br />

ancora vivi avevano trascorso la guerra nei gulag. Ma i russi, al pari degli americani, degli<br />

inglesi e dei francesi, avevano preso come bottino di guerra gli scienziati migliori e più<br />

brillanti di Hitler, e se n’erano serviti per progredire nel periodo postbellico. E adesso, nel<br />

luglio del 1947, si scopriva con orrore che il leader supremo dell’Unione Sovietica era<br />

riuscito chissà come non solo a penetrare nello spazio aereo americano vicino al confine<br />

con l’Alaska 47 , ma a sorvolare parecchie delle installazioni militari più sensibili nella parte<br />

occidentale degli Stati Uniti. Stalin aveva ottenuto questo risultato con tecnologia<br />

straniera di cui l’aeronautica militare americana non sapeva nulla. Era un’incursione così<br />

plateale, così antitetica alla diffusa percezione di una sicurezza nazionale forte, che<br />

includeva la capacità dell’esercito di difendersi da attacchi aerei, che i massimi livelli<br />

dell’intelligence militare si attivarono e presero il controllo della situazione. <strong>La</strong> prima cosa<br />

che fecero fu iniziare a ritrattare l’originale comunicato stampa della base<br />

dell’aeronautica militare di Roswell, quello che affermava che un «oggetto volante […] è<br />

atterrato in un ranch nei pressi di Roswell», per poi sostituirlo con il secondo comunicato<br />

stampa, quello che diceva che a schiantarsi era stato un pallone meteorologico,


nient’altro. <strong>La</strong> storia del pallone meteorologico è rimasta la versione ufficiale fino a oggi.<br />

I timori erano legittimi: paura che la Russia possedesse tecnologia antigravità per<br />

volare, paura che la loro flotta aerea fosse in grado di sfuggire ai radar americani e che<br />

potesse infliggere all’America un colpo devastante. <strong>La</strong> domanda più preoccupante che<br />

angustiava lo stato maggiore congiunto all’epoca era: e se i velivoli russi funzionassero a<br />

energia atomica 48 ? O peggio, se disperdessero particelle radioattive, come una moderna<br />

bomba sporca? Nel 1947 gli Stati Uniti erano ancora convinti di avere il monopolio della<br />

bomba atomica in quanto arma trasportabile. Ma già nel giugno 1942 Hermann Göring,<br />

comandante in capo della Luftwaffe, aveva presieduto il consiglio di ricerca del Terzo<br />

Reich sulla fisica nucleare che studiava un aereo denominato Amerika Bomber 49 ,<br />

progettato per sganciare una bomba sporca sulla città di New York. Tutti quegli scienziati<br />

potevano essere al servizio della Russia. Il Central Intelligence Group, il predecessore<br />

istituzionale della CIA, non sapeva ancora che una spia infiltrata al laboratorio nazionale di<br />

Los Alamos, un uomo di nome Klaus Fuchs, aveva sottratto i progetti della bomba e li<br />

aveva dati a Stalin. O che la Russia aveva già testato da due anni la propria bomba<br />

atomica. Subito dopo l’incidente, tutto quello su cui poteva basarsi lo stato maggiore<br />

congiunto erano ipotesi del Central Intelligence Group su quale tecnologia nucleare<br />

potesse avere la Russia.<br />

Per i militari era sconcertante il solo fatto che lo spazio aereo del New Mexico fosse<br />

stato violato. Quella zona del paese era la regione più delicata degli Stati Uniti in materia<br />

di armi. Il White Sands Proving Ground, oggi denominato White Sands Missile Range<br />

ospitava i sistemi segreti di lancio delle armi. Il laboratorio nucleare poco lontano, il<br />

centro di Los Alamos, era il luogo dove gli scienziati avevano sviluppato la bomba<br />

atomica e dove adesso stavano lavorando a cariche nucleari migliaia di volte più potenti.<br />

Fuori Albuquerque, in un impianto denominato Sandia Base, una catena di montaggio<br />

trasformava le cariche nucleari di Los Alamos in bombe sempre più piccole. Settanta<br />

chilometri a sudovest, all’aeroporto militare di Roswell, il 509 th Bomb Wing (509° stormo<br />

bombardieri) era l’unico stormo di bombardieri a lungo raggio equipaggiati per<br />

trasportare e sganciare bombe nucleari.<br />

Da complicata la situazione divenne critica quando fu rivelato che c’era stato un<br />

secondo incidente. Gli scienziati dell’operazione Paperclip Wernher von Braun e Ernst<br />

Steinhoff, ancora indagati per la caduta del razzo a Juárez, furono convocati per la loro<br />

esperienza 50 . Vennero coinvolti anche parecchi altri scienziati dell’operazione Paperclip<br />

specializzati in medicina aeronautica. Le prove di qualunque cosa fosse ciò che si era<br />

schiantato a Roswell, New Mexico, nella prima settimana di luglio del 1947 furono<br />

raccolte dai servizi tecnici dello stato maggiore congiunto e secretati così<br />

clandestinamente <strong>51</strong> da dare l’impressione che si stessero seguendo i protocolli stabiliti<br />

per il trasporto dell’uranio all’inizio del progetto Manhattan.<br />

Il primo ordine del giorno era determinare da dove provenisse la tecnologia. Lo stato<br />

maggiore congiunto formò un gruppo d’élite che lavorava agli ordini diretti del G-2 (il<br />

vicedirettore) dell’intelligence militare per dare avvio a un progetto top-secret<br />

denominato operazione Harass 52 . Sulla base della testimonianza degli scienziati di


Paperclip 53 , gli agenti dei servizi segreti militari erano convinti che il disco volante fosse<br />

l’invenzione di due ex ingegneri aeronautici del Terzo Reich, Walter e Reimar Horten, che<br />

adesso lavoravano per l’esercito russo. Furono emanati ordini. <strong>La</strong> caccia all’uomo era<br />

cominciata 54 .<br />

Quando l’America e la Russia si erano contese gli scienziati alla fine della guerra, chissà<br />

come nessuno si era accorto dell’importanza nella progettazione di velivoli<br />

all’avanguardia dei due ingegneri aerospaziali 55 . I fratelli avevano inventato numerosi<br />

apparecchi della categoria ala volante, ovvero aerei costituiti solo dall’ala e quindi privi di<br />

fusoliera e impennaggi, tra cui l’Horten 229 o Horten IX, un aereo <strong>senza</strong> coda messo a<br />

punto in un’installazione segreta a Baden-Baden durante la guerra. Gli scienziati di<br />

Paperclip al Wright Field riferirono agli investigatori dell’intelligence militare delle voci<br />

secondo cui Hitler aveva sviluppato un aereo ultraveloce progettato dai fratelli con la<br />

forma di un disco. Forse, aggiunsero, si stava costruendo un modello Horten più<br />

avanzato 56 prima della resa della Germania, il che significava che se anche Stalin non<br />

aveva i fratelli Horten, era molto probabile che fosse entrato in possesso dei loro<br />

progetti.<br />

Il disco volante che si era schiantato a Roswell aveva la tecnologia più avanzata di<br />

qualunque cosa l’aeronautica militare americana avesse mai visto. Il sistema di<br />

propulsione era un enigma. Che cosa faceva andare così veloce quell’apparecchio? Come<br />

riusciva a essere tanto invisibile da ingannare i radar? Il disco era comparso brevemente<br />

sugli schermi radar dell’esercito e poi era scomparso di colpo. L’incidente di Roswell era<br />

accaduto qualche settimana prima del National Security Act (Legge sulla sicurezza<br />

nazionale), il che significava che non esisteva alcuna Central Intelligence Agency in grado<br />

di occuparsi dell’indagine. E così centinaia di agenti del Counter Intelligence Corps (CIC)<br />

provenienti dal comando europeo dell’esercito americano furono spediti in Germania a<br />

cercare chiunque avesse informazioni su Walter e Reimar Horten. Gli agenti rintracciarono<br />

e interrogarono parenti, colleghi, professori e conoscenti dei fratelli con un’urgenza che<br />

non si vedeva dai tempi dell’operazione Alsos, nel corso della quale le forze alleate<br />

avevano cercato informazioni sugli scienziati atomici di Hitler e i suoi programmi nucleari<br />

durante la guerra.<br />

Un fascicolo di oltre trecento pagine dei documenti dei servizi segreti militari rivela<br />

molti dei dettagli dell’operazione Harass. I documenti sono stati declassificati nel 1994,<br />

dopo che un ricercatore di nome Timothy Cooper inoltrò una richiesta 57 in base al<br />

Freedom of Information Act (Legge sulla libertà d’informazione). Un memorandum<br />

intitolato Guida dell’intelligence aerea per supposti aerei del tipo “disco volante”,<br />

spiegava nel dettaglio agli agenti del CIC i parametri della tecnologia del disco volante<br />

che i militari stavano cercando, caratteristiche trovate nel velivolo caduto a Roswell.<br />

Estrema manovrabilità e apparente capacità antigravità 58 ; forma somigliante a un ovale o a un disco con una cupola<br />

sulla sommità; capacità di scomparire rapidamente mediante alta velocità o completa disintegrazione; capacità di<br />

raggrupparsi molto in fretta in formazione serrata quando si tratta di più di un velivolo; capacità di movimento elusivo<br />

che indica la possibilità di essere manovrato manualmente o forse da un controllo a distanza.<br />

<strong>La</strong> caccia ai fratelli Horten condotta dal Counter Intelligence Corps nel 1947-1948


assume talvolta i contorni di un romanzo di spie e altre quelli di una caccia ai fantasmi. Il<br />

primo vero indizio venne dal dottor Adolf Smekal di Francoforte, il quale fornì al CIC una<br />

lista di nomi di possibili informatori. Agli agenti fu riferita una contraddittoria serie di<br />

presunti fatti: Reimar viveva sotto falso nome nella Prussia orientale; Reimar viveva a<br />

Göttingen, in quella che era stata la zona britannica; Reimar era stato rapito<br />

«presumibilmente dai russi» verso la fine del 1946. Se volete sapere dov’è Reimar, disse<br />

uno degli informatori, dovete prima trovare Hannah Reitsch, la famosa aviatrice che<br />

viveva a Bad Hauheim. Quanto a Walter, lavorava come consulente per i francesi; l’ultima<br />

volta era stato visto a Francoforte che cercava di trovare un impiego all’università; era a<br />

Dessau; veramente, era in Russia; era in Lussemburgo, o forse in Francia. Uno scienziato<br />

tedesco trasformatosi in informatore fece una ramanzina agli agenti del CIC. Se volevano<br />

davvero sapere dove fossero i fratelli Horten, disse, e di che cos’erano capaci, non<br />

avevano che da chiedere agli scienziati di Paperclip che vivevano al Wright Field 59 .<br />

I l CIC fu sommerso dalle trascrizioni ordinatamente battute a macchina e piene di<br />

dettagli intricati degli interrogatori con i colleghi e i parenti dei fratelli Horten. Gli agenti<br />

dell’intelligence militare passarono mesi a inseguire indizi, ma la maggior parte delle<br />

informazioni li riportò al punto di partenza. Nell’autunno del 1947, le prospettive di<br />

localizzare i fratelli sembravano scarse finché, in novembre, gli agenti del CIC ebbero un<br />

colpo di fortuna. Un ex pilota collaudatore della Messerschmitt di nome Fritz Wendel 60<br />

fornì una testimonianza di prima mano che sembrava concreta. I fratelli Horten stavano<br />

davvero lavorando a un disco volante a Heiligenbiel, nella Prussia orientale, subito dopo<br />

la guerra, disse Wendel. L’aeroplano era lungo dieci metri e aveva la forma di una<br />

mezzaluna. Non aveva coda. Il prototipo era progettato per essere pilotato da un uomo<br />

sdraiato a pancia in giù. Raggiungeva un’altitudine massima di 3.657 metri. Wendel<br />

disegnò degli schizzi del velivolo a forma di disco, come fece anche un secondo<br />

informatore tedesco, denominato professor George, il quale descrisse un modello Horten<br />

più recente come «molto simile a una torta priva di una grossa fetta» 61 e progettato per<br />

ospitare più di un uomo di equipaggio. Il modello più recente volava più alto e più veloce<br />

– fino a 1.920 chilometri orari – perché era spinto da razzi invece che da motori jet. <strong>La</strong><br />

cabina era probabilmente pressurizzata per i voli ad alta quota.<br />

Gli americani fecero pressioni su Fritz Wendel per saperne di più. Poteva rimanere<br />

fermo in volo 62 ? Non che lui sapesse. Sapeva se i velivoli potevano volare in formazione<br />

serrata 63 ? Wendel disse che non aveva idea. Nell’apparecchio erano previsti «sistemi di<br />

fuga ad alta velocità» 64 ? Wendel non ne era sicuro. Il disco volante poteva essere<br />

comandato a distanza 65 ? Sì, Wendel disse che sapeva di esperimenti di radioguida<br />

condotti dalla Siemens & Halske nella sua fabbrica di Berlino. Gli agenti chiesero a<br />

Wendel se avesse sentito parlare di tecnologie antigravità. No. Wendel aveva qualche<br />

idea degli scopi tattici di un simile velivolo 66 ? Wendel rispose di non averne idea.<br />

<strong>La</strong> successiva serie di informazioni fondate giunse da un ingegnere specialista in razzi<br />

di nome Walter Ziegler 67 . Durante la guerra, Ziegler aveva lavorato presso il costruttore<br />

di automobili Bayerische Motoren Werke, o BMW, che aveva fatto da copertura per la<br />

ricerca più avanzata sui razzi. Lì Ziegler aveva fatto parte di un team incaricato di


sviluppare caccia di nuova generazione alimentati da razzi. Ziegler raccontò una storia<br />

agghiacciante che diede agli investigatori un indizio importante. Una sera, circa un anno<br />

dopo la guerra, nel settembre del 1946, quattrocento uomini del suo ex gruppo 68 della<br />

BMW erano stati invitati da alcuni militari russi a una cena favolosa. Gli scienziati esperti in<br />

razzi avevano mangiato e bevuto e, alcune ore dopo, erano stati riportati a casa. <strong>La</strong><br />

maggior parte erano ubriachi. Parecchie ore dopo, tutti e quattrocento erano stati<br />

svegliati nel cuore della notte dai loro ospiti russi e informati che avrebbero fatto un<br />

viaggio. Perché Ziegler non fosse con loro non fu chiarito. Ai tedeschi venne detto di<br />

prendere moglie, figli e tutto quello che sarebbe servito per un lungo viaggio. Andavano<br />

bene anche le amanti e gli animali domestici. Non era una situazione in cui si potesse<br />

dire di no, spiegò Ziegler. Gli scienziati e le loro famiglie furono fatti salire su un treno e<br />

portati in una cittadina fuori Mosca, dov’erano rimasti da allora, costretti a lavorare su<br />

progetti militari segreti in condizioni spaventose. Secondo Ziegler, era in<br />

quell’installazione russa top-secret, la cui esatta ubicazione era sconosciuta, che gli<br />

scienziati tedeschi stavano sviluppando razzi e altre tecnologie avanzate sotto la<br />

supervisione russa. Si trattava della versione sovietica degli scienziati dell’operazione<br />

Paperclip. Era possibilissimo, aggiunse Ziegler, che anche i fratelli Horten stessero<br />

lavorando per i russi laggiù.<br />

Per nove lunghi mesi, gli agenti del CIC batterono a macchina un memorandum dopo<br />

l’altro riferendo varie teorie su dove fossero i fratelli Horten, per cosa potessero essere<br />

stati progettati i loro dischi volanti e quale indizio dovesse essere seguito o meno. Poi,<br />

dopo sei mesi di indagini, il 12 marzo 1948, arrivò una notizia bomba. I fratelli Horten<br />

erano stati trovati 69 . In un memorandum al comando europeo del 970° CIC, il maggiore<br />

Earl S. Browning Jr spiegava: «I fratelli Horten sono stati trovati e interrogati dalle<br />

agenzie americane». Dopotutto, probabilmente i russi avevano trovato i disegni dell’ala<br />

volante. «È opinione di Walter Horten che i disegni dell’Horten IX possano essere stati<br />

scoperti dai soldati russi alla fabbrica di vagoni ferroviari Gotha» diceva il memorandum.<br />

Ma un secondo memorandum, intitolato Estratti su Horten, Walter, offriva qualche<br />

dettaglio in più. Le informazioni dell’ex pilota collaudatore della Messerschmitt Fritz<br />

Wendel relative al velivolo dei fratelli Horten <strong>senza</strong> ali, <strong>senza</strong> coda e a forma di disco che<br />

aveva spazio per più di un membro dell’equipaggio venivano confermate. «L’opinione di<br />

Walter Horten è che quando i russi occuparono la Germania esistesse un numero<br />

sufficiente di modelli di ala volante a differenti stadi di progettazione, prototipi che<br />

possono aver consentito ai russi di fabbricare un disco volante.»<br />

Non c’è alcuna menzione di Reimar Horten, l’altro fratello, in nessuna delle centinaia di<br />

pagine di documenti rilasciati a Timothy Cooper in seguito alla sua richiesta fatta in base<br />

al Freedom of Information Act, nonostante sia confermato il fatto che entrambi i fratelli<br />

furono interrogati e individuati. Né vi è alcun cenno di cosa disse o non disse Reimar<br />

Horten riguardo al modello più avanzato di dischi volanti Horten. Ma uno dei<br />

memorandum accennava all’“Horten X” e un altro faceva riferimento all’“Horten 13” 70 .<br />

Non sono stati forniti altri dettagli e una richiesta del 2011 basata sulla stessa legge fatta<br />

dall’autore è finita in un vicolo cieco.<br />

Il 12 maggio 1948 il quartier generale del comando europeo mandò al direttore dei


servizi segreti dell’esercito americano in Austria un memorandum enigmatico. «Walter<br />

Horten ha ammesso di aver avuto contatti con i russi» 71 diceva. Questa è l’ultima<br />

menzione dei fratelli Horten nei documenti declassificati dell’intelligence militare relativi<br />

all’operazione Harass.<br />

Qualunque altra cosa esista ufficialmente sui fratelli Horten e il loro disco volante<br />

all’avanguardia continua a rimanere coperto da segreto nel 2011 e i rottami dell’incidente<br />

di Roswell finirono rapidamente nelle zone più oscure del governo. Sarebbero rimasti alla<br />

base dell’aeronautica militare Wright-Patterson per circa quattro anni 72 . Da lì, sarebbero<br />

stati mandati segretamente a ovest per essere legati a doppio filo a un’installazione<br />

segreta ubicata nel mezzo del deserto del Nevada. Nessuno tranne una manciata di<br />

persone avrebbe avuto la minima idea del fatto che si trovassero lì.


Capitolo 3<br />

LA BASE SEGRETA 1<br />

Era una nebbiosa serata del 19<strong>51</strong> e Richard Mervin Bissell era seduto nel suo salotto 2 a<br />

Washington, quando arrivò una visita inaspettata. Era un uomo di nome Frank Wisner. I<br />

due non si erano mai visti prima ma, secondo Bissell, Wisner apparteneva «alla nostra<br />

cerchia intima di persone», la quale comprendeva diplomatici, uomini di stato e spie.<br />

All’epoca, Bissell ricopriva la posizione di responsabile delle finanze del piano Marshall, il<br />

fondamentale programma americano di aiuti economici avviato nel 1948 che prevedeva<br />

di versare tredici miliardi di dollari all’Europa distrutta dalla guerra. Bissell era la massima<br />

autorità relativamente alle questioni economiche. Di Frank Wisner Bissell sapeva solo che<br />

era un funzionario civile di altissimo livello della neonata CIA.<br />

Wisner, ex atleta olimpico, un tempo era considerato affascinante. Durante la guerra<br />

aveva lavorato come spia per l’Office of Strategic Services (OSS) e si vociferava che fosse<br />

l’amante della principessa Caradja 3 di Romania. Adesso, sebbene non ancora<br />

quarantenne, Wisner aveva perso i capelli, la forma fisica e il suo bell’aspetto a causa di<br />

ciò che in seguito si sarebbe rivelata una malattia mentale unita all’alcolismo. Nel corso<br />

della chiacchierata vicino al caminetto nel salotto di Washington, Bissell fu informato che<br />

Wisner era l’uomo a capo della divisione della CIA denominata Office of Policy<br />

Coordination (OPC). All’epoca non si sapeva granché dell’agenzia di intelligence<br />

americana, perché la CIA esisteva solo da tre anni e mezzo. Quanto al misterioso ufficio<br />

chiamato OPC 4 , pochissimi erano a conoscenza del suo vero scopo. In occasione di un<br />

cocktail Bissell aveva sentito dire che l’OPC era «impegnato nella lotta al comunismo con<br />

mezzi segreti». In realtà, quell’ufficio dal nome apparentemente innocuo era il centro di<br />

potere che coordinava tutte le operazioni coperte dell’agenzia, sia quelle clandestine sia<br />

quelle paramilitari. L’ufficio era stato costituito dall’ex segretario alla marina James<br />

Forrestal, che era anche il segretario di stato alla Difesa.<br />

Quella sera del 19<strong>51</strong> Wisner disse a Bissell che l’OPC aveva bisogno di denaro. «Mi<br />

chiese di aiutarlo a finanziare le operazioni coperte dell’OPC prelevando una modesta<br />

somma dai fondi per il piano Marshall» 5 spiegò in seguito Bissell. Consapevole della<br />

natura ambigua della richiesta di Wisner, Bissell chiese maggiori dettagli, ma Wisner<br />

rifiutò, sostenendo che aveva già detto tutto quello che poteva dire. Assicurò tuttavia al<br />

suo interlocutore che la richiesta era stata approvata da Averell Harriman, il potente<br />

uomo politico, finanziere, ex ambasciatore a Mosca e, soprattutto, superiore di Bissell al<br />

piano Marshall. «Se avessi nutrito dei dubbi, avrei potuto controllare la storia di Wisner


ivolgendomi a [Harriman]» ricordò Bissell. Ma non ne aveva. E così, <strong>senza</strong> esitazioni,<br />

Richard Bissell acconsentì a stornare del denaro dal piano Marshall per dirottarlo verso<br />

l’Office of Policy Coordination della CIA. Questo fatto, finora sconosciuto ai più, spiega<br />

come furono reperiti i fondi per le prime operazioni segrete della CIA. Richard Bissell era la<br />

mano invisibile.<br />

Parimenti preoccupato per le necessità dell’America nell’ambito dell’intelligence era il<br />

colonnello Richard Leghorn. <strong>La</strong> finta battaglia navale nucleare denominata operazione<br />

Crossroads del 1946 l’aveva spinto ad agire. Leghorn presentò allo stato maggiore<br />

congiunto dei documenti in cui sosteneva che sorvolare l’Unione Sovietica per avere<br />

informazioni sui suoi armamenti avrebbe potuto rivelarsi una mossa decisiva e non<br />

soltanto un ripiego. Percorse i corridoi del Pentagono con le sue carte subito dopo<br />

Crossroads, nel 1946, e di nuovo nel 1948, ma inutilmente. Poi scoppiò un altro conflitto.<br />

<strong>La</strong> Guerra di Corea è stata spesso definita la guerra dimenticata. Semplificando molto, si<br />

trattò di un conflitto tra la Corea del Nord e la Corea del Sud, ma fu anche la prima prova<br />

di forza tecnica e di prodezza scientifica che si giocò tra le due squadre avversarie di<br />

scienziati aeronautici di origine tedesca. Adesso una delle squadre lavorava per l’America,<br />

gli scienziati di Paperclip, e l’altra era al servizio dell’Unione Sovietica, e le battaglie<br />

aeree nei cieli sopra la Corea si svolsero tra i Sabre F-86 americani e i MIG-15 di<br />

fabbricazione sovietica, in entrambi i casi apparecchi progettati da tedeschi che erano<br />

stati al servizio di Adolf Hitler.<br />

Quando fu dichiarata la guerra alla Corea, il colonnello Leghorn fu richiamato in servizio<br />

attivo. In qualità di comandante del settore dei sistemi di ricognizione del Wright Air<br />

Development Center di Dayton, Ohio, Leghorn aveva l’incarico di pianificare le missioni<br />

dei piloti americani che dovevano penetrare nelle zone interdette al volo della Corea del<br />

Nord e della Manciuria per fotografare depositi di armi e basi missilistiche. Gli aerei spia<br />

americani erano affiancati da caccia che avevano il compito di proteggerli, ma i MIG<br />

nemici riuscirono comunque ad abbatterne un numero mai reso noto. Leghorn considerò<br />

quelle tragiche perdite come un’ulteriore opportunità di sostenere le proprie<br />

argomentazioni a favore dello spionaggio dai cieli. I MIG potevano volare a un’altitudine<br />

massima di 13.700 metri, il che significava che se gli Stati Uniti avessero realizzato un<br />

aereo spia capace di oltrepassare i 18.000 metri, il velivolo sarebbe stato intoccabile.<br />

Dopo la firma dell’armistizio, nel 1953, Leghorn tornò a Washington 6 per sottoporre di<br />

nuovo agli ufficiali dell’aeronautica la sua idea.<br />

Uno degli uomini che poteva essere interessato era il generale di corpo d’armata<br />

Donald L. Putt, il comandante dell’esercito i cui uomini si erano impadroniti dell’istituto<br />

aeronautico di Hermann Göring a Volkenrode appena prima della fine della guerra, nel<br />

corso dell’operazione Lusty 7 . Putt aveva portato segretamente in America uno dei primi<br />

gruppi di scienziati tedeschi, tra cui gli specialisti in razzi Wernher von Braun e Ernst<br />

Steinhoff. Adesso controllava i frutti del lavoro degli scienziati dal suo ufficio al<br />

Pentagono. Putt era stato promosso vicecapo di gabinetto per la ricerca e lo sviluppo al<br />

Pentagono e le tre stellette sul petto gli davano grande potere e influenza sul futuro<br />

militare dell’America in campo aeronautico. Tuttavia Putt, dopo aver ascoltato 8 l’idea di


Leghorn relativa a un aereo spia, disse subito di non essere interessato. L’aeronautica<br />

militare non era impegnata a realizzare aerei con una duplice funzione, velivoli in grado<br />

di trasportare apparecchiatura fotografia in aggiunta alle armi. Inoltre, gli aerei militari<br />

erano corazzati, aggiunse Putt, cosa che li rendeva pesanti. Qualunque esperto di volo<br />

all’inizio degli anni Cinquanta sapeva che quegli aerei non avrebbero mai potuto<br />

raggiungere i 18.000 metri.<br />

Richard Leghorn non si fece scoraggiare. Scavalcò Putt e si rivolse a una persona che<br />

occupava una posizione più elevata, il comandante dello Strategic Air Command, il suo<br />

vecchio nemico dei tempi dell’operazione Crossroads, il generale Curtis LeMay.<br />

Nell’inverno del 1954, a LeMay furono presentati i primi veri disegni dell’aereo spia da<br />

alta quota di Leghorn, sviluppati dalla Lockheed Corporation. Se Putt aveva mostrato<br />

semplice disinteresse 9 , LeMay si sentì insultato. <strong>La</strong>sciò la riunione affermando che tutta la<br />

faccenda dello spionaggio dai cieli gli faceva solo perdere tempo.<br />

Ma c’era un altro gruppo di uomini che Eisenhower ascoltava, ossia il gruppo<br />

selezionato di scienziati che facevano parte del consiglio scientifico del presidente, amici<br />

e colleghi del colonnello Richard Leghorn dai tempi del MIT. Fra loro c’erano James R.<br />

Killian Jr, presidente del MIT, e Edwin H. <strong>La</strong>nd, l’eccentrico milionario che aveva appena<br />

inventato la Polaroid e l’istantanea. I consiglieri scientifici del presidente avevano un’idea.<br />

<strong>La</strong>sciar perdere l’aeronautica militare: i generali tendevano a essere burocrati privi di<br />

fantasia che vivevano con i paraocchi. Perché non rivolgersi invece alla Central<br />

Intelligence Agency? L’agenzia era costituita di uomini il cui unico scopo era lo<br />

spionaggio. Di sicuro sarebbero stati interessati a un progetto di spionaggio dai cieli. A<br />

differenza dell’aeronautica militare, ragionarono Killian e <strong>La</strong>nd 10 , la CIA aveva accesso ai<br />

fondi segreti del presidente. L’unica cosa che serviva davvero al progetto di spionaggio<br />

aereo era un leader o un santo protettore. Venne fuori che avevano in mente qualcuno.<br />

Era il febbraio del 1954. Un brillante economista che era stato responsabile delle finanze<br />

del piano Marshall era appena entrato a far parte della CIA come assistente particolare del<br />

direttore Allen Dulles. Si chiamava Richard Bissell ed era il candidato perfetto per il<br />

progetto di spionaggio aereo.<br />

Da piccolo Bissell era ossessionato dalla storia e dalla guerra. Quando aveva dieci anni,<br />

i suoi genitori lo portarono a visitare i campi di battaglia della Francia settentrionale e fu<br />

lì, mentre fissava i campi privi di vegetazione sconvolti dai bombardamenti, che Bissell fu<br />

sopraffatto per la prima volta da quella che in seguito avrebbe descritto come «la<br />

sensazione che la Prima guerra mondiale fosse stata un cataclisma» 11 .<br />

Nonostante appartenesse a una famiglia privilegiata, negli anni in cui frequentò le<br />

superiori alla Groton e poi l’università a Yale Bissell fu perseguitato da un profondo<br />

sentimento di inadeguatezza. Ma dietro la scarsa autostima c’erano una grande forza di<br />

volontà e una nascente fiducia in se stesso che sarebbero emerse poco dopo il<br />

compimento dei ventun anni. Durante un fine settimana insieme a degli amici di famiglia<br />

su una montagna in Connecticut chiamata Pinnacle Rock, Bissell cadde da un dirupo alto<br />

venti metri. Quando si risvegliò all’ospedale, aveva una leggera amnesia. Ma non appena<br />

riuscì a rimettersi in piedi, cosa che richiese mesi, <strong>senza</strong> dirlo a nessuno tornò nel luogo


dell’incidente. E si arrampicò di nuovo sulla cima. «Mi tremavano le mani» spiegò Bissell<br />

ricordando quella seconda ascesa, ma «fui felice di averlo fatto e di sapere che non avrei<br />

dovuto farlo di nuovo.» Grazie a una caduta quasi mortale, Bissell acquistò sicurezza in se<br />

stesso. Subito dopo il college, nel 1932, andò in Inghilterra, dove prese una laurea alla<br />

London School of Economics. Quindi tornò a Yale per un dottorato, dove scrisse complessi<br />

trattati economici alla velocità stupefacente di venti pagine al giorno. I colleghi iniziarono<br />

ad ammirarlo, soprannominandolo “computer umano”. <strong>La</strong> sua mente, dicevano,<br />

funzionava «come una macchina». Le aule dove teneva lezione si fecero affollatissime.<br />

Alla fine, le sue doti di economista attirarono l’attenzione del presidente del MIT James<br />

Killian, il quale assunse Bissell 12 . Adesso, nel 1954, pochi anni dopo la chiacchierata<br />

accanto al camino con Frank Wisner, James Killian si rivolse di nuovo a Richard Bissell per<br />

affidargli la responsabilità di uno dei progetti più segreti e ambiziosi della storia della CIA,<br />

il progetto dell’aereo spia U-2. Il nome in codice era Aquatone.<br />

Nell’inverno del 1955 Richard Bissell e il suo collega della CIA Herbert Miller, il massimo<br />

esperto di armi nucleari sovietiche dell’agenzia, erano in volo sopra l’Ovest degli Stati<br />

Uniti a bordo di un Beechcraft Bonanza V35 <strong>senza</strong> insegne alla ricerca di una zona dove<br />

costruire una base segreta 13 per i test, l’unica del genere sul territorio americano. Solo un<br />

pugno di agenti della CIA e un colonnello dell’aeronautica militare di nome Osmond<br />

“Ozzie” Ritland sapevano cosa stessero facendo gli uomini su quell’aereo. Gli ordini di<br />

Bissell, che provenivano direttamente dal presidente Eisenhower, erano di trovare un<br />

luogo segreto dove costruire un’installazione per il nuovo cruciale aereo dell’agenzia:<br />

l’apparecchio che avrebbe tenuto d’occhio gli sviluppi del programma nucleare dell’Unione<br />

Sovietica. Insieme agli uomini della CIA c’era l’esperto in aerodinamica più importante del<br />

paese, Clarence “Kelly” Johnson della Lockeed Corporation, l’uomo incaricato di<br />

progettare e costruire il velivolo.<br />

Johnson sedeva nella parte posteriore del Beechcraft con alcune mappe geologiche<br />

aperte sulle ginocchia mentre l’aereo faceva rotta da Burbank, California, e volava sopra<br />

il deserto del Mojave diretto in Nevada. Stavano cercando il bacino prosciugato di un lago<br />

chiamato Groom <strong>La</strong>ke, nei pressi del Nevada Test Site, i confini del quale erano stati<br />

stabiliti nel luglio del 1950 da Holmes e Narver durante il progetto top-secret Nutmeg che<br />

aveva portato alla scelta del Nevada come poligono nucleare dell’America continentale. Ai<br />

comandi del piccolo apparecchio c’era il leggendario pilota collaudatore Tony LeVier.<br />

LeVier aveva una vaga idea di dove fosse diretto perché il suo collega della Lockeed Ray<br />

Goudey l’aveva portato al Groom <strong>La</strong>ke per una missione di esplorazione solo poche<br />

settimane prima. In quell’occasione, Goudey aveva trasportato degli scienziati atomici 14<br />

dalla California al poligono e una volta era persino atterrato al Groom <strong>La</strong>ke per mangiare<br />

il suo pranzo al sacco.<br />

«Abbassandoci per dare un’occhiata più da vicino, vedemmo una pista di atterraggio<br />

provvisoria,» ricordò in seguito Bissell «il genere di struttura realizzata in diverse zone<br />

degli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale per i piloti in addestramento che<br />

avrebbero potuto trovarsi nelle condizioni di dover effettuare un atterraggio<br />

d’emergenza.» Il grande bacino prosciugato di forma circolare era una pista naturale


perfetta e LeVier atterrò <strong>senza</strong> problemi. Gli uomini scesero e si misero a camminare,<br />

discutendo di quanto fosse pianeggiante il terreno e dando calci ai vecchi bossoli<br />

abbandonati in mezzo ai sassi. A nord, la Bald Mountain torreggiava sulla valle, offrendo<br />

una barriera naturale, e a sudovest c’era un analogo riparo offerto da una catena<br />

montuosa chiamata Papoose. Secondo Bissell, «il Groom <strong>La</strong>ke era perfetto per i nostri<br />

scopi».<br />

Bissell sapeva benissimo che il Groom <strong>La</strong>ke era separato solo da una collina dal<br />

poligono nucleare del governo, il che significava che, per quanto riguardava la<br />

segretezza, la CIA non avrebbe potuto trovare posto migliore negli Stati Uniti.<br />

«Raccomandai a Eisenhower 15 di aggiungere una porzione del terreno adiacente, incluso<br />

il Groom <strong>La</strong>ke, al Nevada Test Site dell’Atomic Energy Commission» riferì Bissell nelle sue<br />

memorie, scritte l’anno in cui morì. Quattro mesi dopo il volo di ricognizione, l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

aveva i suoi primi residenti. Si trattava di quattro piloti collaudatori della Lockheed, una<br />

ventina tra meccanici e ingegneri della stessa società, una manciata di agenti della CIA<br />

che fungevano anche da guardie della sicurezza e un gruppetto di uomini del tenente<br />

colonnello Ritland.<br />

In origine la base consisteva di un hangar e di tende montate su pedane di legno.<br />

Talvolta, quando c’era molto vento, le tende venivano strappate via 16 . I temporali erano<br />

frequenti e rendevano inutilizzabile il bacino prosciugato del lago, temporaneamente<br />

allagato da tre centimetri di pioggia. Non appena tornava il sole, l’acqua evaporava in<br />

poco tempo e i piloti collaudatori potevano ricominciare a volare. L’elettricità era fornita<br />

da un generatore diesel. C’erano un cuoco e una mensa di fortuna. Ci volle un altro mese<br />

prima di avere delle docce semidecenti.<br />

Agli uomini furono dati stivali da lavoro, per proteggersi dai serpenti a sonagli 17 , ed<br />

elmetti con la torcia da indossare di notte. Quando il sole tramontava dietro le montagne,<br />

il cielo diventava viola, poi grigio e in men che non si dica era buio pesto. I rumori<br />

notturni erano il frinire dei grilli e l’ululato dei coyote, alla radio si sentivano quasi<br />

soltanto interferenze e la tv era un lontano ricordo. <strong>La</strong> città più vicina, <strong>La</strong>s Vegas, aveva<br />

solo 35.000 abitanti e distava 120 chilometri. Di notte il cielo dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era una distesa<br />

di stelle.<br />

Ma dietro l’apparenza da Selvaggio West l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> nascondeva un’anima che veniva<br />

dritta da Washington. L’ U-2 era un aeroplano segreto costruito sulla base di ordini coperti<br />

del presidente degli Stati Uniti. Nel 1955 il budget del progetto era di 22 milioni di dollari,<br />

equivalenti a 180 milioni del 2011.<br />

Ogni U-2 arrivava all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> dallo stabilimento della Lockheed di Burbank, smontato e<br />

nascosto nella pancia di un aereo da trasporto C-124. <strong>La</strong> fusoliera appuntita e le lunghe<br />

ali sottili erano avvolte da teli bianchi per evitare qualunque sguardo indiscreto.<br />

«All’inizio, montavamo l’aereo all’interno dell’hangar in modo che nessuno lo vedesse<br />

prima che si alzasse in volo» ricorda Bob Murphy, uno dei primi meccanici della Lockheed<br />

della base. A partire dal momento in cui la CIA rese operativa la propria installazione al<br />

Groom <strong>La</strong>ke, furono messi in atto protocolli severissimi riguardo a chi aveva necessità di<br />

essere informato – e di cosa. Tutti gli elementi del progetto furono suddivisi in “sensitive<br />

compartmented information” (SCI, informazioni classificate del governo degli Stati Uniti).


«Non avevo idea di come fosse l’aeroplano finché non lo vidi volare sopra di me» dice la<br />

guardia della sicurezza Richard Mingus.<br />

Mettere a punto l’U-2 fu un lavoro da sogno per l’audace pilota collaudatore Ray<br />

Goudey. «Avevo imparato a pilotare un aereo prima ancora di avere la patente» spiega<br />

Goudey. Da ragazzino, Goudey si era unito al circo volante e aveva volato con la celebre<br />

brigata di Sammy Mason. Dopo la guerra, entrò a far parte della temeraria squadra aerea<br />

degli Hollywood Hawks, dove diventò una leggenda grazie al suo avvitamento in volo<br />

rovescio che sfidava le leggi della fisica. Nel 1955 aveva 33 anni ed era pronto a calmarsi,<br />

in termini relativi ovviamente.<br />

Preparare per la CIA il nuovo aereo spia della Lockheed non era un compito poi così<br />

difficile per un pilota come Goudey. Eppure l’U-2 era un aereo insolito, con ali talmente<br />

lunghe che si incurvavano quando era parcheggiato sull’asfalto del Groom <strong>La</strong>ke. Per<br />

evitare che le ali piene di carburante strisciassero per terra durante il decollo, i meccanici<br />

erano costretti a corrergli a fianco mentre rullava, sollevando enormi nuvole di polvere<br />

dal fondo del lago e ricoprendo tutto quanto di sabbia finissima. L’involucro di alluminio<br />

dell’aereo era sottile come carta, spesso solo 0,05 centimetri, il che significava che il<br />

velivolo era fragile a terra e delicatissimo da pilotare. Se si volava troppo piano, l’aereo<br />

andava in stallo. Se lo si spingeva a velocità troppo elevata, le ali venivano letteralmente<br />

strappate via. A complicare le cose c’era il fatto che una velocità troppo bassa a una<br />

determinata altitudine diventava troppo elevata a una quota diversa. <strong>La</strong> stessa variabile<br />

entrava in gioco 18 quando il peso dell’U-2 cambiava per il consumo di carburante. Per<br />

queste ragioni, all’inizio i voli fatti dai collaudatori furono limitati a un raggio di 320<br />

chilometri dal centro del Groom <strong>La</strong>ke. Le probabilità di un incidente erano alte e la CIA<br />

aveva la necessità di tenere segreto qualunque rottame dell’U-2.<br />

«All’inizio, non facevamo altro che volare tutto il giorno» ricorda Goudey. «Dormivano,<br />

ci svegliavamo, mangiavamo e volavamo.» Presto la base si ampliò e arrivarono altre<br />

cento persone. Furono portati dei capanni Quonset della marina e furono scavati altri due<br />

pozzi per l’acqua. Il comandante Bob Yancey trovò un tavolo da biliardo e un proiettore<br />

da 16 millimetri a <strong>La</strong>s Vegas; adesso gli uomini potevano fare altro oltre che ammirare le<br />

stelle. A settembre, alla base c’erano duecento uomini appartenenti a tre diverse<br />

organizzazioni: un terzo erano della CIA, un terzo dell’aeronautica militare e un terzo della<br />

Lockheed. Ognuno di loro aveva in mente lo stesso obiettivo, ovvero far sì che l’U-2<br />

volasse a 21.000 metri di quota. Era un compito formidabile, qualcosa che nessuna<br />

aeronautica al mondo era riuscita a fare.<br />

Tutti i lunedì Ray Goudey volava da Burbank al Groom <strong>La</strong>ke insieme a Bob Murphy, un<br />

meccanico della Lockheed giovane ed entusiasta che stava seduto nel sedile del<br />

passeggero accanto a lui. Per tutta la settimana Murphy lavorava sul motore dell’U-2<br />

mentre Goudey e gli altri piloti collaudatori cercavano di raggiungere la quota stabilita. I<br />

piloti indossavano tute parzialmente pressurizzate progettate apposta, attillate come<br />

mute da sub, con la maggior parte dei collegamenti posti all’esterno; ci volevano due<br />

medici aeronautici per aiutare un pilota a indossare quella tuta. Era obbligatorio<br />

sottoporsi alla preparazione per respirare ossigeno puro, il che significava passare due<br />

ore sdraiati su una poltrona reclinabile 19 . Il procedimento serviva a eliminare l’azoto dal


sangue, riducendo così il rischio di malattia da decompressione ad alta quota.<br />

In quei primi giorni all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> si scrisse la storia e furono stabiliti record. «Fui il primo<br />

a oltrepassare i 19.800 metri di quota, ma non era previsto che fossi io a farlo» racconta<br />

Goudey. «Il primo volo ad alta quota era stato assegnato a Bob Mayte, ma ebbe dei<br />

problemi alle orecchie. Così ci andai io.» Ecco come Goudey finì per essere il primo pilota<br />

ad aver mai raggiunto quell’altitudine e ad averla mantenuta per un periodo di tempo<br />

piuttosto lungo. Un evento degno di nota registrato negli archivi della Lockheed e tuttavia<br />

tenuto segreto fino al 1998, quando il programma U-2 venne finalmente declassificato.<br />

Goudey spiega com’era volare a quella quota: «Ero sopra il Nevada e riuscivo a vedere<br />

l’oceano Pacifico, lontano quasi cinquecento chilometri».<br />

Ray Goudey fu anche il primo pilota a fare esperienza di un’avaria ai motori a 19.800<br />

metri, un evento potenzialmente catastrofico dato che il fragile U-2 aveva un solo motore.<br />

Quando successe a Goudey, lui scese planando per 1.200 metri e riuscì a far ripartire il<br />

motore usando una tecnica di accensione in volo nota come “windmilling start” (“mulino a<br />

vento”, che sfrutta la velocità dell’aria per far girare il motore e rimetterlo in moto). «A<br />

quel punto si piantò di nuovo» continua Goudey. Fece abbassare l’aereo di altri 9.000<br />

metri e riuscì a rimettere in moto il jet, e a farlo rimanere acceso. Una volta atterrato, fu<br />

compito di Bob Murphy 20 capire che cos’era successo al motore. Com’è ovvio, nel 1955<br />

nessun meccanico al mondo aveva l’esperienza necessaria per risolvere un problema di<br />

combustione su un motore che si era inspiegabilmente spento a 19.800 metri di quota.<br />

Bob Murphy era un meccanico collaudatore di venticinque anni dotato di un<br />

atteggiamento ottimista e della capacità di individuare praticamente qualsiasi problema<br />

del motore di un aeroplano, qualità che nell’inverno del 1956 gli fecero ottenere la<br />

promozione a capo dei meccanici. «Il fascino di quel lavoro era l’aspetto pratico delle<br />

cose» ricorda Murphy di quel periodo al Groom <strong>La</strong>ke. «Non c’era alcuna interferenza<br />

governativa, il che ci consentiva di fare quello che andava fatto.» Esisteva solo un uomo<br />

che in qualche modo controllava l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, e quell’uomo era Richard Bissell, o il signor B,<br />

com’era noto tra il personale della base 21 . <strong>La</strong> maggior parte del lavoro di Bissell<br />

consisteva nel far sì che l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> funzionasse come un’organizzazione o, per dirla con le<br />

sue parole, «affrontare le questioni politiche implicate nella realizzazione di quell’aereo<br />

radicalmente innovativo». Facendo la spola tra Washington e l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, Bissell sembrava<br />

godersi la base di cui era responsabile. «Si aggirava per l’installazione con fare<br />

misterioso» racconta Bob Murphy. «Compariva brevemente ai bordi del lago prosciugato<br />

per salutare i piloti e i meccanici e per guardar volare l’U-2» continua Murphy. «Il signor B<br />

esprimeva sempre entusiasmo per quello che stavamo facendo e poi scompariva di nuovo<br />

a bordo di qualche aereo <strong>senza</strong> insegne.» Murphy, tuttavia, si preoccupava molto poco<br />

del Cliente, il nome in codice che la Lockheed usava per la CIA. Era troppo impegnato a<br />

lavorare con i piloti collaudatori, spesso con la responsabilità di due o tre voli nello stesso<br />

giorno. «Il mio lavoro consisteva nell’aiutare i piloti a controllare gli strumenti di bordo, a<br />

portare l’aereo a 21.000 metri di quota, a pilotarlo per nove o dieci ore di seguito e infine<br />

a fare in modo che iniziasse a scattare fotografie. Amavamo quel mestiere ed era quello<br />

che facevamo un giorno dopo l’altro.»<br />

Il compito dei piloti collaudatori della Lockheed consisteva nel mettere a punto l’U-2 il


più in fretta possibile, in modo da poterlo consegnare al pilota istruttore della CIA Hank<br />

Meierdierck 22 , il quale avrebbe poi addestrato i piloti operativi dell’agenzia, reclutati nelle<br />

diverse basi dell’aeronautica sparse per il paese. L’ambizioso progetto di Bissell era di<br />

sorvolare l’Unione Sovietica nel giro di un anno. I progressi dei comunisti nel costruire<br />

bombe a idrogeno e missili a lungo raggio avevano suscitato gravi preoccupazioni nella<br />

CIA, come pure il sorvolo sovietico degli Stati Uniti occidentali – e l’incidente –, entrambi<br />

messi velocemente a tacere. <strong>La</strong> rete di spionaggio, o HUMINT, dietro la Cortina di Ferro<br />

versava in condizioni disastrose. <strong>La</strong> notizia positiva per l’agenzia era che non esisteva un<br />

Cielo di Ferro. Lo spionaggio aereo era il mezzo per garantire la sicurezza dell’America.<br />

L’U-2 era la miglior chance di cui la CIA disponeva per ottenere informazioni decisive<br />

sull’Unione Sovietica, considerando che una sola fotografia avrebbe fornito la stessa<br />

quantità di informazioni di circa diecimila spie sul terreno.<br />

Il presidente Eisenhower incaricò la CIA dello spionaggio aereo perché, come scrisse in<br />

seguito, il programma di ricognizione aerea doveva essere condotto in «modo non<br />

convenzionale» 23 . In altri termini, ciò significava che Eisenhower voleva tenerlo segreto o<br />

nascosto al Congresso 24 e a chiunque altro fatta eccezione per un ristretto gruppo di<br />

persone che avevano necessità di esserne informate. Voleva inoltre che l’U-2 fosse<br />

pilotato da un uomo che non indossasse un’uniforme. Prima dell’U-2 non esisteva alcun<br />

precedente di una nazione impegnata a spiarne regolarmente un’altra dal cielo in tempo<br />

di pace. Il presidente temeva che se si fosse scoperta una missione dell’U-2, i sovietici – e<br />

forse il mondo intero – avrebbero potuto interpretarlo come un atto di aperta ostilità. Se<br />

l’aereo fosse stato pilotato da un uomo della CIA, il presidente avrebbe perlomeno potuto<br />

negare il coinvolgimento dell’esercito statunitense.<br />

Nonostante l’apparente elusività, il signor B aveva un assoluto controllo di tutto quello<br />

che succedeva all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Soprattutto, era riuscito a far sì che la base in mezzo al<br />

deserto fosse un’organizzazione indipendente 25 , convincendo il presidente Eisenhower a<br />

cancellare l’U-2 dall’organigramma della CIA. «Il progetto divenne l’attività più separata e<br />

autonoma all’interno dell’agenzia» scrisse Bissell del suo territorio sovrano al Groom<br />

<strong>La</strong>ke. «<strong>La</strong>voravo dietro una barriera di segretezza che proteggeva dalle interferenze le<br />

mie decisioni.» Il Development Project Staff (Gruppo del progetto di sviluppo), che era<br />

l’innocuo nome in codice dell’operazione segreta U-2, era l’unica divisione della CIA ad<br />

avere un proprio ufficio comunicazioni. Bissell riteneva che gli osservatori del governo<br />

fossero intrusi non necessari e disse ai colleghi che il Congresso e le sue commissioni<br />

avrebbero semplicemente impedito che fosse fatto quello che andava fatto. In questo<br />

modo, Bissell ottenne che il suo progetto all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> funzionasse con notevole efficienza.<br />

Tutti i mesi sintetizzava le attività della base segreta in un rapporto di cinque pagine 26<br />

destinato al presidente. Ma l’ampio raggio d’azione di Bissell e l’enorme potere che<br />

esercitava sul primo progetto di spionaggio della nazione gli guadagnarono l’inimicizia di<br />

un generale di cui era notoriamente pericoloso suscitare la rabbia: Curtis LeMay.<br />

Sebbene la CIA fosse responsabile del progetto Aquatone nel suo insieme, le operazioni<br />

relative all’U-2 erano frutto della cooperazione tra l’agenzia, l’aeronautica militare e la<br />

Lockheed Corporation. <strong>La</strong> Lockheed aveva costruito il velivolo e fornito i primi piloti


collaudatori nonché i meccanici. L’aeronautica militare aveva l’incarico di supportare le<br />

operazioni, fornendo alla CIA qualunque cosa di cui avesse bisogno, dai caccia agli<br />

smontagomme. Richard Bissell, tuttavia, aveva esercitato il proprio potere fin da subito,<br />

scegliendo come partner del progetto Aquatone la Lockheed e non l’aeronautica militare.<br />

Bissell lavorò fianco a fianco con Kelly Johnson della Lockheed per mettere a punto l’U-2<br />

coinvolgendo l’aeronautica il meno possibile. In realtà, l’aeronautica fu pressoché<br />

esclusa 27 dalle prime fasi del progetto. Quando la Lockheed aveva già realizzato il primo<br />

U-2 e l’aveva fatto testare al Groom <strong>La</strong>ke dai suoi piloti collaudatori, il comandante<br />

dell’ufficio ricerca e sviluppo dell’aeronautica non aveva mai sentito parlare di un aereo<br />

chiamato U-2 né di una base aerea battezzata <strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Quell’aperta mancanza di<br />

considerazione mandò su tutte le furie molti generali, alcuni dei quali maturarono del<br />

risentimento nei confronti della CIA. Eppure alla fine del 1955 decine di uomini<br />

dell’aeronautica in servizio attivo erano stati assegnati all’operazione U-2. Ormai era<br />

iniziato l’addestramento dei piloti e numerosi U-2 eseguivano diverse missioni pratiche al<br />

giorno, mentre la CIA metteva a punto il progetto Aquatone per compiere operazioni<br />

oltremare; a quel punto l’esperienza dell’aeronautica era assolutamente necessaria.<br />

Richard Bissell, e non Curtis LeMay, era adesso il comandante de facto di un nutrito<br />

gruppo di ufficiali e di soldati dell’aeronautica. LeMay era comprensibilmente arrabbiato 28 .<br />

All’inizio dell’autunno 1955 tra i due uomini scoppiò un conflitto e il presidente<br />

Eisenhower fu costretto a intervenire. LeMay aveva iniziato a fare domande sul perché<br />

l’avessero escluso dal progetto. Adesso toccava al presidente decidere chi fosse<br />

ufficialmente responsabile dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e dell’U-2. Bissell voleva a tutti i costi continuare a<br />

essere il capo del prestigioso programma. «Era un’impresa eccitante e di assoluta priorità<br />

sottoscritta non solo dal presidente ma anche da moltissimi scienziati di primo piano»<br />

scrisse Bissell nelle sue memorie. LeMay sostenne che l’aeronautica militare dovesse<br />

essere responsabile di tutti i progetti riguardanti aeroplani, il che suonava perlomeno<br />

ironico, visto il fatto che LeMay aveva osteggiato il progetto U-2 fin dall’inizio.<br />

Alla fine, la decisione del presidente 29 finì per fondarsi sull’unica qualità significativa<br />

che la CIA possedeva e l’aeronautica no: la negazione plausibile. Se a capo del progetto<br />

fosse stata la CIA, in caso di abbattimento di un U-2 il governo avrebbe potuto sostenere<br />

che il progetto dell’aereo spia non esisteva. I piloti dell’aeronautica militare volavano con<br />

l’uniforme, ma i piloti dell’U-2 che lavoravano per la CIA indossavano abiti civili. <strong>La</strong> storia<br />

di copertura per le missioni sarebbe stata la ricerca meteorologica; o almeno, quello era il<br />

piano. E così, alla fine di ottobre del 1955, la disputa fu risolta dal presidente Eisenhower,<br />

il quale ordinò al capo di stato maggiore dell’aeronautica Nathan Twining di passare alla<br />

CIA il controllo sul progetto di spionaggio aereo e sull’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Il compito dell’aeronautica<br />

militare, disse il presidente Eisenhower, era di fornire tutto il necessario supporto<br />

operativo per far avanzare il progetto.<br />

Uno dei compiti dell’aeronautica era quello di gestire i voli per e dall’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Dal<br />

momento che il progetto era segretissimo, Bissell non voleva che il personale andasse e<br />

venisse dalla base in automobile oppure vivesse a <strong>La</strong>s Vegas. Per come la vedeva Bissell,<br />

gli uomini informati del progetto avrebbero attirato molto di più l’attenzione spostandosi<br />

in auto dentro e fuori “la città del peccato” di quanto non avrebbero fatto vivendo da


un’altra parte e viaggiando in aereo. Gli abitanti di <strong>La</strong>s Vegas avevano amici nella zona,<br />

mentre i forestieri non li avevano. Il che significava che tutti i giorni un aereo da trasporto<br />

C-54 portava i lavoratori dall’aeroporto della Lockheed di Burbank, California, all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e<br />

li riportava indietro. Ray Goudey e Bob Murphy si erano goduti per quattro mesi il<br />

privilegio di andare avanti e indietro da Burbank al “Ranch” sull’apparecchio di Goudey,<br />

ma adesso avrebbero dovuto fare i pendolari con il C-54 come tutti gli altri.<br />

Bob Murphy era un esperto della meccanica del C-54. Aveva lavorato con<br />

quell’apparecchio in Germania durante il ponte aereo del 1948-1949, la prima grave crisi<br />

della Guerra Fredda. Da una base militare di Wiesbaden, Murphy si era occupato della<br />

manutenzione dei C-54 che trasportavano a Berlino carbone e altri beni di prima<br />

necessità. Facendo la spola tra Burbank e il Ranch, Bob Murphy chiacchierava spesso con<br />

George Pappas 30 , il pilota militare esperto in missioni segrete addetto alla navetta.<br />

<strong>La</strong> sera del 16 novembre 1955 Pappas stava portando Murphy, Ray Goudey e un altro<br />

pilota della Lockheed di nome Robert Sieker dal Ranch a Burbank perché potessero<br />

partecipare a una festa aziendale al Big Oaks Lodge di Bouquet Canyon. Bob Murphy si<br />

sarebbe fermato solo per la serata, perché il mattino del giorno successivo avrebbe<br />

dovuto prendere la prima navetta pilotata da Pappas per tornare al Ranch. Ma Murphy<br />

bevve troppo e non si svegliò in tempo. Mentre lui dormiva, undici uomini assegnati al<br />

progetto Aquatone di Richard Bissell camminavano sull’asfalto dell’aeroporto di Burbank e<br />

salivano a bordo del C-54 dove Pappas, il copilota Paul E. Winham e un assistente di volo<br />

di nome Guy. R. Fasolas si stavano preparando a decollare diretti all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. <strong>La</strong><br />

destinazione del volo scritta sul diario di bordo diceva «pista di atterraggio di<br />

Watertown». Poco più di un’ora dopo il decollo, Pappas ruppe il silenzio radio che gli era<br />

imposto e chiese aiuto per conoscere la sua posizione. Dove si trovava in quel momento,<br />

da qualche parte a nord di <strong>La</strong>s Vegas, stava nevicando forte e Pappas era preoccupato di<br />

essere fuori rotta. Alla base dell’aeronautica militare di Nellis un sergente di nome Alfred<br />

Arneho captò l’enigmatica trasmissione. Non c’era traccia di alcun volo militare né civile<br />

previsto in quella zona a quell’ora. Arneho rimase in attesa di una risposta, ma non ve ne<br />

furono. Stupefatto, scrisse un’annotazione sul registro. Pochi minuti dopo l’aereo di<br />

Pappas si schiantò contro la cima di granito del monte Charleston, uccidendo tutti i<br />

passeggeri. Se Pappas fosse stato più alto di soli novanta metri, avrebbe evitato la<br />

montagna 31 .<br />

In California, Bob Murphy si svegliò in preda al panico. Guardò l’orologio e si rese conto<br />

di aver perso il volo per l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> da tre ore. Era furioso con se stesso. Ubriacarsi e non<br />

sentire la sveglia erano cose completamente estranee al suo carattere. Non aveva mai<br />

perso un giorno di lavoro nei quattro anni alla Lockheed. Non era mai arrivato in ritardo.<br />

Murphy sapeva che non aveva senso andare all’aeroporto; l’aereo era decollato da ore. Si<br />

ricompose e uscì per andare a far colazione. Era seduto in una caffetteria e ascoltava la<br />

radio quando la musica venne interrotta da un notiziario straordinario. Un aereo da<br />

trasporto C-54 si era appena schiantato sul monte Charleston, a nord di <strong>La</strong>s Vegas.<br />

L’annunciatore disse che le informazioni erano incomplete ma che molto probabilmente<br />

tutti i passeggeri erano rimasti uccisi. Murphy seppe all’istante che l’aereo era il C-54 sul<br />

quale avrebbe dovuto trovarsi se avesse sentito la sveglia.


Sopraffatto dal dolore e dall’incredulità, Murphy tornò al suo appartamento. Camminò<br />

avanti e indietro per un po’. Quindi decise di cercare un bar per bere qualcosa. «Mentre<br />

aprivo la porta, quel tizio della Lockheed stava per bussare» spiega Murphy<br />

sessantaquattro anni dopo. «Lo guardai e lui mi guardò e divenne bianco come un cencio.<br />

Ero sulla lista dei passeggeri di quell’aeroplano. L’ufficiale di sicurezza sulla pista mi<br />

aveva segnato come se mi fossi imbarcato. Il tizio della Lockheed veniva a informare i<br />

miei familiari che ero morto. Invece ero lì.»<br />

Quattrocento chilometri a est, sulla cima del monte Charleston, i rottami dell’aereo<br />

stavano ancora bruciando. Il fumo dell’incendio era visibile fino a Henderson, 16<br />

chilometri a sud di <strong>La</strong>s Vegas. Quel pomeriggio, un gruppo di giornalisti della CBS erano in<br />

viaggio sulla Highway 158, diretti al luogo dell’incidente, quando incapparono in un posto<br />

di blocco militare. Soldati armati dissero ai giornalisti che un aereo militare si era<br />

schiantato durante una missione di routine diretto alla base di Indian Springs. <strong>La</strong> strada<br />

per il Kyle Canyon era chiusa. Nel frattempo, Bissell aveva fatto decollare gli U-2 dall’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> per localizzare il punto esatto del velivolo: una prima “missione” imprevista e non<br />

troppo ortodossa per l’aereo spia, scattata per circostanze tragiche. Ma c’erano valigette<br />

piene di documenti segreti che andavano recuperate e le capacità di localizzazione dell’U-<br />

2 erano accurate. A localizzare i resti del C-54 fu Hank Meierdierck, l’istruttore incaricato<br />

di addestrare gli uomini della CIA a pilotare l’U-2.<br />

L’incidente fu il primo di una serie di tragedie aree collegate all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> che si<br />

sarebbero verificate nei dieci anni successivi. Gli incidenti aerei, già di per sé sensazionali,<br />

rischiano di far scoprire l’operazione e, tra investigatori e media locali, le possibilità che<br />

filtri qualcosa sono innumerevoli. Quel primo schianto aereo sul monte Charleston costituì<br />

per la CIA un precedente dai risvolti inaspettati. L’agenzia fece quello che fa sempre: mise<br />

immediatamente in sicurezza il sito dell’incidente e si inventò una storia di copertura da<br />

ammanire alla stampa. Ma poi si verificò una svolta interessante, un avvenimento<br />

completamente fuori del controllo della CIA. Avida di una storia e in mancanza di fatti<br />

concreti, la stampa mise insieme una propria versione degli eventi del tutto imprecisa.<br />

Uno dei giornali più importanti della città, il «<strong>La</strong>s Vegas Review Journal», riferì che<br />

l’incidente veniva tenuto segreto perché gli uomini a bordo erano molto probabilmente<br />

scienziati nucleari che lavoravano a un progetto top-secret di nuove armi al Nevada Test<br />

Site. I giornalisti smisero di fare domande e la storia di fantasia venne rapidamente<br />

accettata come un fatto. <strong>La</strong> CIA avrebbe imparato da questa esperienza: poteva sfruttare<br />

a proprio vantaggio i pregiudizi dell’opinione pubblica come pure il desiderio dei mezzi<br />

d’informazione di raccontare una storia. I civili potevano diffondere inconsapevolmente<br />

una significativa disinformazione per conto dell’agenzia.<br />

Nel gergo della CIA esistono due tipi di strategie di depistaggio: copertura e<br />

disinformazione. <strong>La</strong> copertura serve a convincere che qualcosa di vero in realtà è falso; la<br />

disinformazione mira a far credere che una cosa falsa è invece vera. In altri termini, la<br />

copertura nasconde la verità mentre la disinformazione diffonde informazioni false.<br />

Quando la CIA propaga notizie false, vuole sempre depistare. Quando la stampa racconta<br />

storie false che aiutano a mantenere segrete informazioni classificate, la CIA si mette<br />

comoda e sorride. <strong>La</strong> verità sull’incidente di monte Charleston, che rappresenta la più


grave perdita del vite umane in un singolo evento del progetto U-2, rimase celata<br />

all’opinione pubblica fino al 2002, quando la CIA ammise il disastro aereo 32 . Fino a quel<br />

momento, persino le famiglie degli uomini a bordo del C-54 non avevano idea che i loro<br />

cari stessero lavorando a un progetto segreto della CIA quando erano morti.<br />

In seguito al disastro, all’aeronautica militare fu tolto il compito di trasportare il<br />

personale all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Per i successivi diciassette anni, i voli da e per la base sarebbero<br />

stati condotti dalla Lockheed. Intorno al 1972, la CIA cominciò ad affidare il controllo<br />

dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> all’aeronautica militare e il dipartimento della Difesa fu incaricato dei voli di<br />

collegamento. Ma piuttosto che usare apparecchi militari per andare e venire da<br />

un’installazione clandestina, la Difesa affidò il compito alla società EG&G. Tutto tornava.<br />

Nel 1972 la EG&G era diventata così potente e affidabile agli occhi dei massimi livelli<br />

governativi che fu persino incaricata di progettare alcuni dei sistemi di sicurezza per<br />

l’aereo presidenziale, l’Air Force One 33 .


Capitolo 4<br />

I SEMI DI UNA COSPIRAZIONE 1<br />

Non appena gli U-2 cominciarono a volare fuori dai confini dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, il quartier<br />

generale della CIA venne inondato da rapporti di avvistamenti di UFO 2 da parte di piloti di<br />

aerei di linea e di controllori del traffico aereo. In seguito sarebbero stati verniciati di<br />

nero per confondersi con il cielo, ma all’epoca gli U-2 erano color argento, il che<br />

significava che le ali lunghe e brillanti riflettevano la luce dell’atmosfera inducendo gli<br />

abitanti della California, del Nevada e dello Utah a credere che fossero UFO. Bastava la<br />

quota a cui volavano per allarmare le persone. A metà degli anni Cinquanta gli aerei di<br />

linea stavano fra i 3.000 e i 6.000 metri, mentre gli U-2 raggiungevano i 20.000 metri. Poi<br />

bisognava considerare la forma del tutto inusuale dell’aereo: le ali erano lunghe quasi il<br />

doppio della fusoliera, il che rendeva gli U-2 simili a croci volanti 3 .<br />

Nel 1955, il fenomeno UFO negli Stati Uniti risaliva a sette anni prima. <strong>La</strong> moderna follia<br />

degli “oggetti volanti non identificati” era iniziata il 12 giugno 1947, quando un pilota<br />

specialista in ricerca e salvataggio di nome Kenneth Arnold aveva visto sette dischi<br />

volanti sfrecciare nel cielo dello stato di Washington mentre era in missione per cercare<br />

un aereo precipitato. Circa due settimane dopo ci fu l’incidente di Roswell 4 . Alla fine del<br />

mese, i mezzi d’informazione avevano riferito più di 850 avvistamenti di UFO. Le voci sui<br />

dischi volanti erano sulla bocca di tutti gli americani e l’ansia dell’opinione pubblica stava<br />

crescendo: i cittadini volevano delle risposte dall’esercito.<br />

Secondo uno studio sugli UFO condotto dalla CIA, declassificato nel 1997, l’aeronautica<br />

militare aveva in corso due progetti. Uno era segreto: in origine era denominato progetto<br />

Saucer, e più tardi fu chiamato progetto Sign 5 ; l’altro era un’aperta campagna di<br />

pubbliche relazioni denominata progetto Grudge 6 . Lo scopo di quest’ultimo era<br />

«convincere l’opinione pubblica che gli UFO non erano nulla di straordinario o insolito» e<br />

per farlo gli ufficiali dell’aeronautica andavano alla tv e alla radio per smentire i resoconti<br />

sugli UFO. Gli avvistamenti erano in realtà pianeti, meteore, persino «grossi chicchi di<br />

grandine», affermavano gli uomini dell’aeronautica, negando decisamente che gli UFO<br />

fossero qualcosa di malvagio o di extraterrestre. Ma i loro sforzi servirono a ben poco.<br />

Con la corsa agli armamenti in pieno svolgimento, l’idea che il mondo finisse in un<br />

olocausto nucleare esercitava una forte influenza psicologica su molti americani e aveva<br />

suscitato un dibattito pubblico sull’Armageddon e l’apocalisse. Nel 19<strong>51</strong> nelle sale uscì il<br />

film di Hollywood Ultimatum alla Terra che parlava di alieni in procinto di distruggere il<br />

pianeta. Due anni dopo la trasposizione cinematografica de <strong>La</strong> guerra dei mondi vinse un


Oscar. Anche il celebre psichiatra Gustav Jung intervenne nel dibattito, pubblicando un<br />

libro nel quale sosteneva che gli UFO erano lo specchio individuale di un’ansia collettiva<br />

suscitata dalla paura dell’annichilimento nucleare. Gli avvistamenti continuarono,<br />

alimentando il vivo interesse sia dell’aeronautica sia della CIA.<br />

All’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> gli analisti non si rallegrarono per niente del fatto che l’U-2 fosse stato<br />

ripetutamente scambiato per un UFO, ma la questione andava affrontata. Alla CIA vi era il<br />

sentimento diffuso che gli agenti dell’intelligence avessero cose più importanti da fare che<br />

occuparsi dell’isteria collettiva riguardante strani oggetti nel cielo. Secondo i documenti<br />

declassificati, la CIA mise comunque in piedi un dipartimento clandestino di raccolta dati<br />

sugli UFO, sebbene con riluttanza. L’atteggiamento secondo cui gli agenti segreti erano<br />

superiori a faccende di bassa lega come gli avvistamenti di UFO era diffusissimo all’interno<br />

della CIA e proveniva dai massimi livelli. Il direttore Allen Dulles era un aristocratico dalla<br />

testa ai piedi, una spia della vecchia scuola cresciuto all’Office of Strategic Services, il<br />

servizio segreto militare operativo durante la Seconda guerra mondiale. Dulles preferiva<br />

la figura della spia gentiluomo e disprezzava la tecnologia in genere 7 , un’attitudine che lo<br />

aveva indotto a delegare il controllo dell’aereo spia U-2 a Richard Bissell. Quanto ai<br />

problemi degli UFO, Dulles assegnò l’incarico a un ex collega dell’OSS, Todos M. Odarenko.<br />

<strong>La</strong> divisione UFO 8 fu messa all’interno dell’ufficio di fisica, diretto da Odarenko. Secondo<br />

una monografia della CIA declassificata nel 1997, quasi subito Odarenko «cercò di liberarsi<br />

della responsabilità di monitorare i resoconti degli avvistamenti». Eppure l’importanza<br />

degli UFO per la CIA non avrebbe potuto costituire preoccupazione di sicurezza nazionale<br />

maggiore.<br />

<strong>La</strong> documentazione riguardante oggetti volanti non identificati che Allen Dulles aveva<br />

ereditato dal suo predecessore, il generale Walter Bedell Smith 9 , era – e rimane – uno<br />

dei fascicoli più segreti della storia della CIA. Dato che è ancora coperto da segreto, non<br />

c’è modo di sapere quante informazioni Bedell Smith abbia condiviso con il proprio<br />

successore. Ma è probabile che lo stesso Bedell Smith appartenesse alla categoria di<br />

coloro per i quali i progetti più segreti dell’intelligence militare, incluso il disco volante<br />

recuperato a Roswell, erano informazioni strettamente necessarie 10 . Al momento<br />

dell’incidente, nel luglio 1947, Bedell Smith era ambasciatore in Unione Sovietica 11 .<br />

Durante la ricerca dei fratelli Horten nel corso dell’operazione Harass, Bedell Smith era<br />

comandante della 1 a armata a Governors Island, New York 12 , il luogo da cui gli scienziati<br />

di Paperclip venivano monitorati, valutati e destinati a lavori di ricerca e di ingegneria. E<br />

quando i rottami lasciarono la base dell’aeronautica Wright-Patterson per essere portati<br />

nel deserto del Nevada, Bedell Smith era il direttore della CIA. <strong>La</strong> quantità di informazioni<br />

strettamente necessarie cui Bedell Smith aveva accesso riguardo ai progetti paralleli<br />

segreti messi in piedi dall’agenzia rimane uno dei grandi enigmi dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Walter Bedell Smith diresse la CIA dal 1950 al 1953, e c’erano pochi uomini di cui il<br />

presidente Harry Truman e il generale a cinque stelle Dwight Eisenhower si fidassero di<br />

più. Anni prima, quando Eisenhower era comandante in capo delle truppe alleate in<br />

Europa durante la Seconda guerra mondiale, Bedell Smith era il suo capo di stato<br />

maggiore. Bedell Smith era così potente che allorché fu necessario richiamare all’ordine<br />

George S. Patton, l’ingrato compito ricadde su di lui. Quando i nazisti si arresero alle forze


alleate, fu Bedell Smith a stabilire le condizioni della resa.<br />

Fin dall’inizio della Guerra Fredda, il generale Bedell Smith combatté i russi dal circolo<br />

di potere più ristretto d’America. Era stato ambasciatore in Unione Sovietica durante la<br />

presidenza Truman dal 1946 al 1948, una posizione che lo rendeva eccezionalmente<br />

qualificato per ricoprire l’incarico di secondo direttore della CIA. In quel periodo<br />

l’intelligence in Russia era un obiettivo prioritario per la CIA e non c’era niente che il<br />

governo americano sapesse di quello che stavano tramando i russi di cui Bedell Smith non<br />

fosse informato. Il dilemma che si pose a Smith quando assunse il ruolo di direttore<br />

dell’agenzia il 21 agosto 1950 era che pochissime persone alla CIA potevano avere<br />

accesso alle informazioni strettamente necessarie che lui aveva riguardo agli oggetti<br />

volanti non identificati. <strong>La</strong> documentazione declassificata finora suggerisce che Bedell<br />

Smith pretese che tutti i suoi sottoposti accettassero quello che la sua personale<br />

esperienza con i russi e gli “UFO” gli aveva insegnato: i comunisti erano il male e l’idea<br />

che gli UFO provenissero da altri pianeti non era altro che il parto di menti terrorizzate e<br />

paranoiche. Il generale Smith respinse sommariamente l’idea che i dischi volanti 13 fossero<br />

extraterrestri e diresse la politica della CIA in accordo a tale posizione. «Assurdo» scrisse<br />

in un memorandum del 1952. A differenza di Dulles, Bedell Smith supervisionò di persona<br />

le implicazioni per la sicurezza nazionale relative agli UFO.<br />

Per un razionalista come il generale Smith «le cose strane nei cieli si registrano da<br />

centinaia di anni». Il che è vero: gli oggetti volanti non identificati sono vecchi almeno<br />

quanto la Bibbia. In alcune traduzioni dell’Antico Testamento un riferimento alla “ruota di<br />

Ezechiele” descrive un veicolo simile a un disco che sfreccia nei cieli. Durante il Medioevo,<br />

compaiono dischi volanti in diverse forme d’arte 14 , come i dipinti e i mosaici. In alcune<br />

stampe inglesi a partire dal 1783, gli esempi preferiti degli ufologi, due degli uomini del<br />

re sono sulla terrazza del castello di Windsor e guardano piccoli dischi volanti che<br />

passano sullo sfondo; i ricercatori non sono riusciti a capire a cosa potessero riferirsi.<br />

Al pari del consigliere scientifico del presidente, Vannevar Bush, il direttore della CIA<br />

Walter Bedell Smith era preoccupato soprattutto della capacità del governo di mantenere<br />

il controllo. A questo scopo, ritenne che la CIA dovesse esercitare un’azione decisiva nei<br />

confronti dell’isteria collettiva relativa agli UFO. Durante la direzione di Bedell Smith, e<br />

secondo i documenti declassificati, la CIA sostenne che i sovietici stavano mettendo a<br />

punto un piano malvagio. Era già successo una volta, a Roswell. Per fortuna, in<br />

quell’occasione lo stato maggiore congiunto era riuscito a coprire la verità con la storia<br />

del pallone meteorologico. Ma poteva verificarsi di nuovo un episodio di propaganda<br />

segreta, una grandiosa simulazione dell’arrivo di UFO mirata a paralizzare il sistema di<br />

difesa aerea del paese, cosa che avrebbe reso gli Stati Uniti vulnerabili a un attacco<br />

sovietico dal cielo. I continui avvistamenti di UFO che allarmavano i cittadini stavano<br />

iniziando ad assomigliare al ragazzino che grida al lupo 15 , ammonì il direttore della CIA.<br />

Per lavorare sul problema dell’isteria da UFO, nel 1952 Bedell Smith costituì<br />

ufficialmente un gruppo della CIA denominato Psychological Strategy Board (Commissione<br />

di strategia psicologica) e gli assegnò il compito di stilare una serie di raccomandazioni<br />

relative ai «problemi legati agli oggetti volanti non identificati» per il National Security<br />

Council, il principale organo degli Stati Uniti preposto a esaminare la sicurezza nazionale.


Il gruppo di discussione dello Psychological Strategy Board voluto da Bedell Smith stabilì<br />

che l’opinione pubblica americana era eccessivamente incline al «comportamento isterico<br />

di massa» 16 e che la predisposizione a credere agli UFO era una minaccia per la sicurezza<br />

nazionale che aumentava di anno in anno. Da un punto di vista psicologico, la credulità<br />

degli americani probabilmente si sarebbe rivelata «pericolosa per l’autorità costituita».<br />

Qualunque ulteriore simulazione di UFO da parte di Stalin avrebbe potuto provocare lo<br />

stesso caos suscitato dalla trasmissione radio de <strong>La</strong> guerra dei mondi.<br />

L a CIA di Bedell Smith disse alla National Security Council che per questa ragione la<br />

paura dei dischi volanti doveva essere screditata. L’unico modo per contrastare ciò che<br />

Bedell Smith era convinto fosse «propaganda ostile intelligente» dei russi era che la CIA<br />

intraprendesse azioni coperte. L’agenzia suggerì di mettere in atto una campagna<br />

educativa cooptando elementi dei «mass media quali televisione, cinema e articoli<br />

popolari». <strong>La</strong> CIA propose anche di coinvolgere pubblicitari, lobby degli affari e «persino la<br />

Disney per diffondere il messaggio». Uno dei progetti era presentare in tv storie reali di<br />

UFO e poi dimostrare che erano false. «Come nei giochi di prestigio» dissero i membri del<br />

gruppo «lo smascheramento avrebbe per effetto un calo di interesse del pubblico nei<br />

confronti dei dischi volanti», analogamente a ciò che succede quando viene svelato il<br />

trucco a chi crede nella magia.<br />

Quale azione abbia realmente messo in atto la CIA rimane ancora coperto da segreto,<br />

nel 2011, ma uno dei problemi inaspettati che si presentarono all’agenzia di Bedell Smith<br />

fu il fatto che la stampa americana si mostrò del tutto disinteressata ad assecondare i<br />

suoi piani. I media avevano altri programmi. Le storie di UFO facevano vendere i giornali e<br />

nella primavera del 1952 gli editori della rivista «Life» 17 stavano preparandosi a<br />

pubblicare un importante scoop sui dischi volanti. I giornalisti della testata aveva saputo<br />

che l’aeronautica militare aveva fascicoli top-secret sugli UFO nonostante le continue<br />

smentite al riguardo. Era una notizia sensazionale che probabilmente avrebbe fatto<br />

andare a ruba le copie della rivista. Una settimana prima dell’uscita dello scoop,<br />

l’aeronautica militare scoprì casualmente cosa bolliva in pentola e, con una mossa intesa<br />

a minimizzare la portata della rivelazione di «Life», decise di ribaltare la politica tenuta<br />

per cinque anni e di partecipare a sorpresa a un convegno sugli UFO a Los Angeles, in<br />

California.<br />

Per comprendere quanto fu radicale il voltafaccia dell’aeronautica è necessario sapere<br />

come si era comportata nei cinque anni precedenti, da quando aveva avviato le<br />

campagne simultanee e contraddittorie del progetto Sign (per svolgere indagini sugli UFO)<br />

e del progetto Grudge (la campagna di pubbliche relazioni intesa a convincere la nazione<br />

che l’aeronautica non aveva alcun interesse per gli UFO). Degli 850 avvistamenti riferiti dai<br />

mezzi d’informazione nel mese di luglio del 1947, almeno 150 avevano preoccupato gli<br />

ufficiali dell’intelligence militare al punto che furono trascritti in rapporti e mandati agli<br />

agenti della Technical Intelligence Division (Divisione tecnica dei servizi segreti)<br />

dell’aeronautica di Wright Field per essere analizzati. Sei mesi dopo, nel gennaio 1948, il<br />

generale Nathan Twining, capo del Technical Service Command (Comando del servizio<br />

tecnico) dell’aeronautica, avviò il progetto Sign: originariamente denominato progetto


Saucer 18 , fu il primo di numerosi gruppi di ricerca segreti sugli UFO creati all’interno<br />

dell’aeronautica. Al progetto Sign lavoravano centinaia di persone con il compito di<br />

raccogliere, esaminare e analizzare i dettagli delle migliaia di avvistamenti di UFO, mentre<br />

nel frattempo l’aeronautica continuava a negare di essere impegnata in alcunché di<br />

simile.<br />

Nei circoli militari, lontano dalle orecchie e dagli occhi dell’opinione pubblica, gli ufficiali<br />

erano acutamente consapevoli che «la sola esistenza dell’interesse ufficiale<br />

dell’aeronautica» avrebbe alimentato l’isteria relativa agli UFO e che quindi occorreva<br />

porre termine al programma di pubbliche relazioni denominato Grudge. Il 27 dicembre<br />

1949 l’aeronautica annunciò ufficialmente che non vedeva motivo di continuare le<br />

indagini sugli UFO e che pertanto avrebbe posto termine al progetto. Nel frattempo, i<br />

programmi di studio sull’argomento proseguivano a pieno regime. Nel 1952 l’aeronautica<br />

diede vita a un’altra organizzazione sugli UFO ancora più segreta, denominata progetto<br />

Blue Book. Il fatto che l’aeronautica nascondesse all’opinione pubblica ciò che stava<br />

realmente facendo in quest’ambito sarebbe diventato in seguito uno degli argomenti<br />

decisivi per gli ufologi convinti che gli UFO fossero extraterrestri.<br />

Gli avvistamenti sembravano non aver fine. Oltre ai dischi volanti, un numero crescente<br />

di cittadini riferirono di aver visto nel cielo luci brillanti di colore verdastro, cosa che<br />

preoccupava particolarmente l’aeronautica perché molti di questi avvistamenti erano<br />

avvenuti in New Mexico, nei pressi di installazioni militari sensibili come Los Alamos,<br />

Sandia e White Sands. Tra i testimoni oculari di queste “palle di luce verde”, che venivano<br />

riferite fin dalla fine degli anni Quaranta, c’erano scienziati e astronomi degni di fede.<br />

L’aeronautica li registrò nella categoria nota come “palle di fuoco verdi” 19 . Nel 1949 la<br />

Geophysics Research Division (Divisione di ricerca geofisica) dell’aeronautica avviò<br />

appositamente il progetto Twinkle per indagare su questi fenomeni collegati alla luce.<br />

Furono installate postazioni di osservazione nelle basi dell’aeronautica sparse per il<br />

paese, dove i fisici effettuarono misurazioni di frequenza elettromagnetica usando<br />

l’equipaggiamento di laboratorio del genio segnalatori. L’aeronautica consegnò in segreto<br />

macchine fotografiche da 35 millimetri agli addetti al controllo del traffico aereo e chiese<br />

loro di fotografare qualunque cosa insolita. Tutta l’operazione venne portata avanti in<br />

base a protocolli top-secret: mentre i fascicoli del progetto Twinkle e del progetto Blue<br />

Book si facevano sempre più voluminosi con il passare dei mesi, gli ufficiali<br />

dell’aeronautica continuavano a dire ai membri del Congresso 20 che non esisteva alcuna<br />

documentazione del genere.<br />

Gli investigatori dell’aeronautica pian piano trovarono spiegazioni agli UFO. Un gruppo di<br />

scienziati assegnati alla base dell’aeronautica di Holloman, che si trovava al White Sands<br />

Missile Range e ospitava i membri dell’operazione Paperclip, stabilì che molti<br />

avvistamenti erano scie di vapore del razzo V2. Altri avvistamenti corrispondevano a<br />

meteore, raggi cosmici e pianeti visibili nel cielo. Un altro gruppo di studio concluse che di<br />

alcuni avvistamenti erano responsabili gli uccelli, generalmente «stormi di gabbiani o<br />

oche». Ma il numero di avvistamenti era eccessivo. Secondo un rapporto della CIA<br />

riguardante gli UFO intitolato Studies in Intelligence e declassificato nel 1997, nel 19<strong>51</strong><br />

l’aeronautica militare aveva fatto indagini segrete su un numero di resoconti compreso


tra ottocento e mille. Nel 1952 il numero era salito a millenovecento. L’impresa era<br />

titanica. Gli addetti alla raccolta dati incontrarono centinaia di cittadini: a tutti fu detto di<br />

non rivelare di aver parlato con l’aeronautica militare e fu chiesto di firmare dichiarazioni<br />

di riservatezza. Classificate per decenni, queste indagini hanno prodotto oltre un metro<br />

cubo di fascicoli, all’incirca 74.000 pagine. Ma per ogni cento o duecento avvistamenti che<br />

potevano essere spiegati, ce n’erano sempre alcuni inspiegabili, quantomeno per i<br />

supervisori degli addetti alla raccolta dati dell’aeronautica i quali non avevano accesso a<br />

informazioni strettamente necessarie. Tra questi investigatori, e in alcuni casi persino tra<br />

i loro superiori, cominciarono a nascere i semi del sospetto, al punto che in seguito molti<br />

avrebbero cambiato partito passando tra le schiere degli ufologi.<br />

Alla fine, l’aeronautica fece sapere le proprie conclusioni al National Security Council 21 :<br />

«Quasi tutti gli avvistamenti nascono da una o più delle tre cause seguenti: isteria e<br />

allucinazioni di massa; fraintendimento di oggetti noti; trucchi». Gli avvistamenti che non<br />

potevano essere spiegati in questo modo risalirono la catena di comando, dove furono<br />

interpretati da un pugno di persone autorizzate a essere informate. Alla metà degli anni<br />

Cinquanta, tra costoro vi era il gruppo scelto della CIA che lavorava alle dipendenze di<br />

Todos Odarenko, analisti incaricati di far corrispondere i voli degli U-2 con i fenomeni<br />

inspiegabili dell’aeronautica militare. Ma per quanti avvistamenti si riuscissero a spiegare,<br />

rimaneva ancora inspiegabile la madre di tutti gli oggetti volanti non identificati: il<br />

sinistro velivolo precipitato a Roswell. Tutto ciò che riguardava quel disco volante doveva<br />

rimanere celato a chiunque tranne pochi eletti. Se gli americani avessero scoperto<br />

qualcosa sul velivolo o su quello che il governo stava facendo al riguardo sarebbe<br />

scoppiato uno scandalo.<br />

Agli analisti della CIA e al personale dell’aeronautica militare che lavoravano insieme sul<br />

problema UFO fu spiegato chiaramente che l’opinione pubblica non doveva sapere niente<br />

dell’ossessione del governo per gli oggetti volanti non identificati. Erano ordini che<br />

provenivano dall’alto. <strong>La</strong> truppa non aveva necessità di essere informata sul perché le<br />

cose stessero così. I sottoposti si limitavano a eseguire gli ordini, come fecero i due<br />

ufficiali dell’aeronautica del progetto Blue Book, il colonnello Kirkland e il tenente E.J.<br />

Ruppelt, spediti ad assistere al convegno sugli UFO in California, fianco a fianco con<br />

persone convinte che i dischi volanti provenissero dallo spazio. Queste persone, alcuni<br />

degli ufologi più importanti del paese, erano membri di un gruppo chiamato Civilian<br />

Saucer Investigations (CSI, Indagini civili sui dischi volanti) di Los Angeles.<br />

Il 2 aprile 1952, appena una settimana prima che la storia sensazionale di «Life»<br />

arrivasse in edicola, Kirkland e Ruppelt sedevano in una sala conferenze del Mayfair Hotel<br />

insieme ai più noti cacciatori di UFO dell’epoca. Fu un evento mediatico di enorme portata,<br />

con giornalisti del «Time», di «Life», del «The Los Angeles Mirror» e della Columbia<br />

Pictures tra il pubblico. Gli ufficiali dell’aeronautica placarono gli ufologi dicendo che<br />

anche loro erano preoccupati degli UFO e offrendosi di «tenerli informati». In cambio,<br />

disse l’aeronautica, avrebbero “passato” alle Civilian Saucer Investigations alcuni «casi<br />

che avrebbero potuto interessare» all’organizzazione perché li esaminassero. Quando gli<br />

scienziati insistettero per avere autorizzazioni in modo da poter accedere a dati top-


secret, l’aeronautica iniziò a tergiversare. «Non vedo perché non dovremmo lavorare<br />

insieme» disse il colonnello Kirkland, eludendo la domanda. «Penso che sarebbe da<br />

stupidi non farlo.» Ruppelt offrì un contentino: i membri del CSI avrebbero potuto<br />

chiamare l’aeronautica gratis.<br />

Il 7 aprile 1952 «Life» pubblicò la storia di copertina intitolata Un caso di dischi volanti<br />

interplanetari. Il servizio di sedici pagine iniziava con la rivelazione esclusiva<br />

dell’aeronautica militare. Sotto la firma, si leggeva: «L’aeronautica militare è ora pronta<br />

ad ammettere che molti avvistamenti di dischi e di palle di fuoco rimangono ancora<br />

inspiegabili; “Life” ha scoperto prove scientifiche che esiste un caso di dischi volanti<br />

interplanetari». L’articolo era accurato e partiva dall’ipotesi secondo cui gli UFO potevano<br />

davvero essere extraterrestri. Ma c’era una seconda ragione che aveva spinto<br />

l’aeronautica a partecipare al congresso di ufologi. Il Psychological Strategy Board della<br />

CIA aveva detto al National Security Council che era prioritario «monitorare i gruppi privati<br />

di ufologi [come] il Civilian Flying Saucer Investigators di Los Angeles» e così gli ufficiali<br />

dell’aeronautica erano stati mandati al congresso di Los Angeles 22 per via delle pressioni<br />

segrete della CIA.<br />

L’agenzia era interessata soprattutto a una persona del comitato del CSI, ovvero uno<br />

scienziato di Paperclip di nome Walter Riedel. Seduto al centro, di fronte al pubblico della<br />

conferenza al Mayfair Hotel, il dottor Riedel era una contraddizione vivente. Quando<br />

sorrideva, rivelava la mancanza di uno dei denti davanti che gli era stato fatto saltare con<br />

un pugno nel 1945 alla prigione della Gestapo di Stettino. Riedel era rimasto incarcerato<br />

parecchie settimane insieme al collega di Peenemünde Wernher von Braun e durante la<br />

guerra era stato a capo dell’ufficio di Hitler incaricato di progettare il missile V2. I soldati<br />

americani che lo sorvegliavano nella prigione della Gestapo lo avevano picchiato dopo<br />

che gli agenti dell’intelligence militare li avevano informati che oltre a progettare il V2<br />

Riedel aveva lavorato alle bombe batteriologiche di Hitler 23 . Era stato nel corso degli<br />

interrogatori seguiti a quella rivelazione che Riedel aveva perso il dente davanti.<br />

Alla fine della guerra Riedel, come Wernher von Braun, voleva a tutti i costi che<br />

l’esercito americano lo reclutasse per lavorare ai progetti missilistici negli Stati Uniti. <strong>La</strong><br />

Germania non aveva più esercito, per non parlare di un programma missilistico, il che<br />

significava che Riedel era rimasto <strong>senza</strong> lavoro. Era noto che i russi odiavano i tedeschi e<br />

che trattavano come schiavi gli scienziati che avevano prelevato e portato in Unione<br />

Sovietica. Un’offerta da parte degli americani sarebbe stata il biglietto vincente anche se i<br />

loro soldati ti avevano fatto saltare un dente a pugni.<br />

Nel gennaio del 1947 il dottor Riedel entrò a far parte dell’operazione Paperclip. Il suo<br />

passato impegno nel progettare missili chimici e bombe batteriologiche fu cancellato in<br />

nome della scienza. <strong>La</strong> condizione per una nuova vita invece della possibile comparsa<br />

come imputato a Norimberga fu quella di obbedire alle richieste dell’esercito americano.<br />

Ma il comportamento da mascalzone di Riedel, il quale solo pochi anni dopo era diventato<br />

un aperto sostenitore degli ufologi, dimostra come in alcuni casi gli scienziati di Paperclip<br />

fossero poco controllabili. E così Riedel comparve al congresso sugli UFO, contribuendo ad<br />

alimentare l’isteria degli americani riguardo ai dischi volanti. Aveva collaborato all’articolo<br />

di «Life» ed era citato per aver detto di essere «assolutamente convinto che [gli UFO]


provengono dallo spazio». Se questo non diffondeva quello che il direttore della CIA<br />

chiamava atteggiamento isterico, cos’altro avrebbe potuto farlo? Riedel non era un<br />

vecchio scienziato missilistico qualunque che si era fatto intervistare dalla rivista più<br />

popolare d’America. Quando gli avevano chiesto quale fosse la sua professione, aveva<br />

detto ai giornalisti di «Life» che era «impegnato in attività segrete per conto degli Stati<br />

Uniti».<br />

Quello che si sa della carriera americana del dottor Riedel è che era iniziata a Fort<br />

Bliss, in Texas, ma che pochi anni dopo il governo l’aveva misteriosamente lasciato<br />

andare a lavorare come ingegnere per la North American Aviation. Correva voce che<br />

c’erano stati “problemi” 24 con altri scienziati dell’operazione Paperclip al White Sands<br />

Missile Range. Una volta approdato nel settore privato, aveva guadagnato molta più<br />

libertà, visto che non era più sul libro paga del governo. Chiaramente era apprezzato<br />

dalla North American Aviation: l’azienda lo promosse direttore della ricerca sui motori dei<br />

razzi. Ma non appena si era svincolato dalla tutela governativa, Riedel si era rivelato una<br />

vera e propria spina nel fianco per la CIA. Un anno dopo la conferenza sugli UFO, l’agenzia<br />

teneva ancora sotto stretta osservazione i movimenti del dottor Riedel. All’inizio del 1953<br />

la CIA seguì Riedel a una delle sue conferenze a Los Angeles, dove apprese con sconcerto<br />

che lo scienziato e i suoi colleghi ufologi stavano per «realizzare una “messinscena” 25<br />

sull’area di Los Angeles progettata per testare la reazione e l’affidabilità dell’opinione<br />

pubblica in genere a fenomeni aerei insoliti». L’accenno al piano arrivò alle orecchie dei<br />

massimi livelli dell’agenzia e fece scattare l’allarme 26 . In un memorandum segreto datato<br />

9 febbraio 1953, declassificato nel 1993, il direttore dell’Office of Scientific Intelligence<br />

(Ufficio dell’intelligence scientifica) della CIA esprimeva rabbia nei confronti di Riedel e del<br />

suo comportamento, ma dato che non faceva più parte dell’operazione Paperclip,<br />

l’agenzia poteva fare ben poco oltre che tener d’occhio i suoi movimenti e quelli degli<br />

uomini a lui legati.<br />

L a CIA aveva seguito anche un collega di Riedel di nome George P. Sutton, pure lui<br />

scienziato missilistico della North American Aviation e ufologo. Quando Sutton tenne una<br />

conferenza intitolata Missili dietro la Cortina di Ferro, la CIA apprese sbalordita che il<br />

gruppo sembrava saperne più sugli avvistamenti nell’Unione Sovietica di tutti quanti gli<br />

agenti segreti dell’agenzia incaricati di monitorare lo stesso fenomeno.<br />

Fin da quando aveva preso servizio nel 1950, Bedell Smith aveva espresso frustrazione<br />

per il fatto che la CIA riusciva ad avere pochissime informazioni sul fenomeno degli UFO<br />

all’interno dell’Unione Sovietica. A quanto sembrava, Josif Stalin impediva ai giornali di<br />

pubblicare alcunché sull’argomento. Tra il 1947 e il 1952 gli analisti della CIA che<br />

monitoravano la stampa sovietica trovarono un’unica menzione degli UFO in un editoriale<br />

che si riferiva brevemente al fenomeno negli Stati Uniti. Dunque come faceva il gruppo di<br />

Riedel a saperne di più della CIA?<br />

Seriamente preoccupata, l’agenzia ordinò agli uomini dell’operazione Paperclip che si<br />

erano occupati di Riedel di rimetterlo in riga. Il suo referente «suggerì educatamente e<br />

forse indirettamente al dottor Riedel di dimettersi da membro ufficiale del CSI». Ma<br />

l’ostinato Riedel rifiutò di desistere. Quali furono le conseguenze di quell’atto di<br />

disobbedienza non è chiaro. Se Riedel e i suoi amici ufologi misero o meno in atto la loro


messinscena e come riuscissero ad avere informazioni sugli UFO e sui razzi sovietici dietro<br />

la Cortina di ferro rimane secretato nel fascicolo di Riedel della documentazione relativa<br />

all’operazione Paperclip, la maggior parte della quale è ancora classificata, persino dopo<br />

più di mezzo secolo.<br />

Nel 1957, secondo la monografia della CIA intitolata CIA’S Role in the Study of UFOs (“Il<br />

ruolo della CIA nello studio degli UFO”), gli U-2 erano responsabili di oltre la metà degli<br />

avvistamenti registrati negli Stati Uniti continentali. Odarenko non era riuscito a<br />

“liberarsi” delle sue responsabilità in materia e aveva invece cominciato a lavorare alla<br />

politica della CIA relativa ai dischi volanti. Inviò un memorandum segreto al direttore<br />

dell’Office of Scientific Intelligence enumerando come secondo lui l’agenzia avrebbe<br />

dovuto affrontare i resoconti sugli avvistamenti 27 :<br />

– tenere documentazione aggiornata sugli UFO: «tenersi aggiornati sugli avvistamenti di<br />

oggetti volanti non identificati»;<br />

– negare che la CIA stesse tenendo documentazione aggiornata sugli UFO affermando che<br />

«il progetto [era] inattivo»;<br />

– separare gli UFO spiegabili, ovvero i voli degli U-2, da quelli inspiegabili: «tenere<br />

separati i riferimenti a fenomeni riconoscibili e spiegabili da quelli che cadono sotto la<br />

definizione di “oggetti volanti non identificati”».<br />

Nei decenni successivi, gli sforzi della CIA per tenere nascosto al Congresso e<br />

all’opinione pubblica il proprio interesse per gli UFO avrebbero scoperchiato un vaso di<br />

Pandora e sollevato dubbi sulla credibilità dell’agenzia. «Il fatto che la CIA abbia nascosto<br />

il proprio interesse [per gli UFO] contribuì in misura rilevante alle accuse di cospirazione e<br />

occultamento delle informazioni che le furono mosse in seguito» scrisse Gerald K. Haines,<br />

lo storico del National Reconnaissance Office spesso considerato l’esperto della CIA in<br />

materia. Ma per scrollarsi di dosso la spinosa questione degli UFO Allen Dulles intraprese<br />

una campagna di “guerra psicologica” personale. Quando arrivavano lettere di cittadini<br />

preoccupati riguardo agli avvistamenti, la politica della CIA era di ignorarle. Quando le<br />

lettere provenivano da gruppi di ufologi, la politica della CIA era di monitorare gli<br />

appartenenti al gruppo. Quando le lettere erano di membri del Congresso o senatori,<br />

come quella del parlamentare dell’Ohio Gordon Scherer del settembre 1955, la politica<br />

della CIA consisteva nel rispondere con una missiva educata in cui il direttore Dulles<br />

spiegava che gli UFO erano un problema che riguardava le forze dell’ordine e che<br />

all’agenzia era esplicitamente precluso il compito di mantenere l’ordine pubblico. Di sicuro<br />

queste lettere danno un’immagine di Dulles come di un funzionario arrogante 28 , ma<br />

hanno grande valore per i collezionisti appassionati di UFO, i quali sostengono che sono la<br />

prova del sinistro occultamento di informazioni riguardanti velivoli extraterrestri messo in<br />

atto dall’agenzia. Comunque sia, il fascino esercitato dagli UFO sull’opinione pubblica si<br />

dimostrò molto più tenace di quanto la CIA si fosse aspettata; il cittadino medio non ne<br />

aveva mai abbastanza di informazioni sui misteriosi oggetti che solcavano i cieli. E più<br />

notizie gli si davano, più ne voleva e più domande faceva. Non ci volle molto perché gli<br />

americani si convincessero che la CIA stava nascondendo qualcosa, il che, naturalmente,


era proprio quello che stava facendo.


Capitolo 5<br />

LE INFORMAZIONI<br />

STRETTAMENTE NECESSARIE 1<br />

Tutto quello che accade all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, quando sta accadendo, è classificato come<br />

informazione TS/SCI, ovvero informazione top-secret/sensitive compartmented:<br />

un’enigmatica politica di segretezza con protocolli anch’essi top-secret 2 . «I manuali per la<br />

classificazione TS/SCI sono anch’essi classificati» dice Cargill Hall, storico emerito del<br />

National Reconnaissance Office; questa agenzia di spionaggio governativa è così segreta<br />

che persino il suo nome è rimasto top-secret dal momento della sua nascita, nel 1958, a<br />

quando fu declassificata, nel 1992. Nel 2011 la maggior parte degli americani continuano<br />

a non sapere che cosa sia l’NRO o cosa faccia, né che si tratta di un’organizzazione<br />

coinvolta nelle attività dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, perché queste sono informazioni classificate.<br />

Le informazioni classificate TS/SCI garantiscono che gli estranei non sappiano nulla e che<br />

gli addetti ai lavori abbiano solo le informazioni strettamente necessarie (need-to-know).<br />

In una frase diventata famosa, Winston Churchill disse della Russia: « Si tratta di un<br />

indovinello, avvolto in un mistero all’interno di un enigma». Lo stesso può dirsi dell’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong>. Nella seconda parte, meno nota, dell’affermazione, Churchill concluse: «Ma forse c’è<br />

una chiave; e la chiave è l’interesse nazionale della Russia». Dovendo fare i conti con un<br />

regime totalitario come quello dell’Unione Sovietica, dove non era un problema<br />

mantenere i segreti, l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> aveva bisogno di mettere in campo tecniche di<br />

secretazione altrettanto efficaci per salvaguardare l’U-2. Era nell’interesse nazionale<br />

dell’America farlo, poiché i servizi segreti basati sugli agenti non stavano funzionando.<br />

«Otteniamo pochissime informazioni significative dalle operazioni coperte condotte con il<br />

metodo classico all’interno della Russia» si lamentavano i consiglieri scientifici del<br />

presidente 3 in un rapporto segreto sulla sicurezza nazionale del 1954, nel quale<br />

esprimevano l’urgenza che «la scienza e la tecnologia migliorino l’efficienza della nostra<br />

intelligence».<br />

Ottennero quello che desideravano all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Usando protocolli di segretezza in stile<br />

sovietico per le proprie operazioni, e mettendo in pratica tali tattiche nel deserto del<br />

Nevada, la CIA sentì di poter rendere pan per focaccia all’arcinemico per quanto<br />

riguardava l’elemento sorpresa. Neppure gli equipaggi degli aerei da trasporto<br />

dell’aeronautica militare avevano idea di dove stessero andando quando si dirigevano<br />

verso la base. Un pilota addetto a missioni segrete avrebbe volato in base a certe<br />

coordinate sul deserto del Mojave e contattato una particolare frequenza UHF denominata


Sage Control 4 . Qui una voce gli avrebbe fornito coordinate via via più precise,<br />

concludendo con un’autorizzazione ad atterrare in un punto in mezzo alle montagne dove<br />

nessuno sapeva che esistesse una pista. Le luci della pista venivano accese solo quando<br />

l’aereo si trovava a poche centinaia di metri da terra.<br />

Anche i piloti della CIA venivano tenuti all’oscuro con metodi analoghi. Accuratamente<br />

selezionati dalla base dell’aeronautica militare di Turner, in Georgia, e da quella di<br />

Bergstrom, in Texas, gli uomini non avevano idea di dove stessero andando a lavorare<br />

quando accettavano l’impiego. In retrospettiva sembra facile riconoscere la mano della<br />

CIA, ma alla fine del 1955, a soli sette anni dall’istituzione dell’agenzia, non era così.<br />

«Sembrava la scena di un romanzo di spie» 5 ricorda Hervey Stockman. «Mi diedero un<br />

appuntamento dicendo di presentarmi alla stanza 215 dell’Austin Hotel e di bussare alla<br />

porta esattamente alle tre e un quarto. Un tizio di bell’aspetto con indosso un abito di<br />

tweed dal taglio perfetto mi aprì e disse: “Si accomodi, Hervey…”. Quello fu il mio primo<br />

contatto con l’agenzia.»<br />

Hervey Stockman era uno dei piloti più esperti d’America. Era tanto impavido quanto<br />

gentile, un uomo che si era innamorato degli aeroplani la prima volta che ne aveva<br />

pilotato uno all’Army Air Corps, la forza aerea americana durante la Seconda guerra<br />

mondiale, poco dopo aver lasciato le comodità dell’università di Princeton per combattere<br />

contro i nazisti. Quando arrivò all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per essere addestrato, parte del primo gruppo<br />

di sette piloti di U-2 denominato Detachment A (Distaccamento A), aveva già effettuato<br />

168 missioni di combattimento in due teatri bellici, il secondo conflitto mondiale e la<br />

Guerra di Corea.<br />

L’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> «era la giungla» dice Stockman. «Vivevamo in roulotte, tre in ognuna, a<br />

quanto ricordo. Dal Groom <strong>La</strong>ke non potevamo scrivere a casa né telefonare.» Quando il<br />

gruppo di Stockman arrivò, nel gennaio del 1956, alla base c’erano «probabilmente una<br />

cinquantina di persone». Le roulotte erano posizionate in modo che si potesse arrivare<br />

agli hangar a piedi e «c’era un edificio per l’addestramento, sempre una roulotte» proprio<br />

lì accanto, dove Stockman trascorreva la maggior parte del tempo. Ricorda la sala mensa<br />

come una delle uniche strutture permanenti della base oltre agli hangar. «Eravamo in<br />

mezzo al deserto» dice Stockman. «Per tornare alla civiltà dipendevi in tutto e per tutto<br />

dall’aereo. Passava qualche veicolo sulla strada, ma erano tutti accuratamente<br />

sorvegliati. Personale della sicurezza ovunque.»<br />

Anche le identità dei piloti erano tenute nascoste 6 . «Avevamo tutti degli pseudonimi. Il<br />

mio era Sampson… odiavo quel nome, perciò chiesi: “Posso chiamarmi Sterritt? Sterritt mi<br />

suona meglio. Sono piccolo e Sterritt mi sembra più adatto”. E quelli: “Fa’ pure. Se vuoi<br />

chiamarti Sterritt, va bene”. Ma per i loro registri ero Sampson. I registri sono ancora là…<br />

in cantina. E riportano il nome Sampson. L’agenzia stava attentissima a queste cose.» I<br />

piloti venivano sorvegliati durante il tempo libero, non tanto per vedere cosa gli uomini<br />

avrebbero fatto quanto per essere sicuri che gli agenti del KGB non li stessero osservando.<br />

Ai piloti del Detachment A vennero assegnati appartamenti a Hollywood, California, dove<br />

risiedevano ufficialmente. Nei fine settimana socializzavano al Brown Derby Restaurant.<br />

«Era un luogo di ritrovo e quelli della sicurezza potevano tenerci d’occhio» spiega<br />

Stockman. Il lunedì mattina, quando era il momento di tornare all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, si riunivano al


Derby perché «era uno dei pochi posti aperti alle cinque del mattino». Da lì gli uomini<br />

attraversavano in auto il Cahuenga Pass sulle colline di Hollywood, diretti all’aeroporto di<br />

Burbank, dove si imbarcavano su un aereo della Lockheed che li avrebbe portati alla base<br />

segreta. «All’epoca non sapevamo del coinvolgimento della Lockheed nel progetto»<br />

chiarisce Stockman. «Anche questo ci veniva tenuto nascosto. Ci chiamavano gli “autisti”.<br />

Per un mucchio di ragioni. Non credo che nessuno di noi capisse davvero il perché, ma<br />

sostanzialmente eravamo quello, per la miseria, autisti. Non eravamo eroi.» Le uniche<br />

informazione strettamente necessarie per gli autisti riguardavano come pilotare l’aereo.<br />

Una volta Stockman chiese ai suoi superiori come avrebbe dovuto comportarsi nel caso<br />

fosse stato abbattuto e catturato. «In effetti, ci dissero che se fossimo stati catturati<br />

avremmo potuto star zitti oppure dire tutto. Dato il nostro basso rango di “guidatori” non<br />

sapevamo granché.» Disse che durante l’addestramento «non veniva pronunciato<br />

nemmeno il nome Groom <strong>La</strong>ke».<br />

Dall’altra parte del pianeta, i russi erano impegnati a mettere a punto la loro forma di<br />

spionaggio. Se esisteva un doppio comunista dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, questo era una remota<br />

installazione top-secret 65 chilometri a nordest di Mosca chiamata NII-88 7 . Qui uno<br />

scienziato missilistico di nome Sergej Korolëv, il Wernher von Braun dell’Unione Sovietica,<br />

lavorava a un progetto che presto avrebbe inferto un duro colpo alla scienza militare<br />

americana e avrebbe dato un impulso decisivo alla corsa agli armamenti e alla gara per<br />

la conquista dello spazio. Temendo che la CIA potesse assassinare lo scienziato chiave del<br />

progetto sovietico, Stalin dichiarò che il nome di Sergej Korolëv era un segreto di stato 8 ,<br />

segreto che fu mantenuto fino alla morte di Korolëv, avvenuta nel 1966. A lui ci si riferiva<br />

sempre come al Capo Progettista, in modo analogo a come Richard Bissell era conosciuto<br />

solo come il signor B al di fuori della CIA. E se gli addetti ai lavori chiamavano l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> il<br />

Ranch, così l’NII-88 era noto a chi vi lavorava come l’Ufficio. Al pari dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, nemmeno<br />

l’NII-88 compariva sulle mappe. Prima della Rivoluzione russa, l’NII-88 era stato un piccolo<br />

villaggio chiamato Podlipki, esattamente come la zona del Groom <strong>La</strong>ke un tempo era una<br />

piccola area mineraria denominata Groom Mine. Entrambe le installazioni all’inizio non<br />

erano che gruppi di tende e magazzini, accessibili solo a una ristretta élite governativa.<br />

Entrambe sarebbero diventate basi da milioni di dollari dove sarebbero stati realizzati e<br />

testati sistemi di spionaggio da miliardi di dollari 9 , ognuna con l’unico scopo di<br />

sopravanzare tecnicamente quello che veniva fatto dall’altra parte.<br />

Nel 1956 la CIA sapeva solo che l’NII-88 era il luogo dove la Russia teneva decine degli<br />

scienziati tedeschi catturati dopo la guerra costringendoli a lavorare <strong>senza</strong> risparmiarsi su<br />

progetti segreti. Si trattava della versione sovietica degli scienziati dell’operazione<br />

Paperclip 10 e tra questi uomini vi erano anche i quattrocento esperti di missili che erano<br />

stati fatti ubriacare e poi prelevati nel cuore della notte, proprio come aveva detto l’ex<br />

pilota della Messerschmitt Fritz Wendel.<br />

L a CIA venne a sapere dell’esistenza dell’NII-88 alla fine del 1955, quando i sovietici<br />

decisero di aver spremuto abbastanza gli ex scienziati del Terzo Reich e iniziarono a<br />

rimandarli a casa. Quando la CIA scoprì il programma di rimpatrio, colse al volo


l’opportunità di spionaggio e diede il via a un progetto denominato operazione Dragon<br />

Return 11 . Gli agenti della CIA furono spediti in Germania per dare la caccia agli scienziati<br />

che avevano lavorato in Russia e ottennero parecchie informazioni, tra cui dati tecnici sui<br />

progressi sovietici nell’ambito della tecnologia radio, dell’elettronica e della progettazione<br />

di sistemi d’arma. Ma con grande frustrazione delle spie americane, quando chiesero<br />

dell’NII-88 gli scienziati rimpatriati sostennero di non avere idea di cosa stesse davvero<br />

succedendo in quel posto. A quanto pare l’NII-88, come l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, funzionava con rigidi<br />

protocolli sulle informazioni strettamente necessarie, e gli scienziati tedeschi non erano<br />

stati autorizzati ad avere quel genere di informazioni. Tutto quello che potevano dire agli<br />

agenti della CIA era che gli scienziati e gli ingegneri più qualificati di Mosca stavano<br />

lavorando a qualcosa di segretissimo. A differenza di quanto accadeva in America, dove<br />

gli scienziati tedeschi erano responsabili del programma missilistico più riservato al White<br />

Sands Missile Range, le loro controparti tedesche in Russia erano state relegate in<br />

secondo piano. Senza alcuna informazione concreta su ciò che si stava preparando all’NII-<br />

88, la CIA dovette limitarsi a fare ipotesi. <strong>La</strong> conclusione fu che i russi stavano mettendo a<br />

punto missili balistici intercontinentali, o ICBM, che avrebbero potuto raggiungere gli Stati<br />

Uniti volando ad altissima quota.<br />

<strong>La</strong> minaccia missilistica doveva essere affrontata, e in fretta. Nel 1956 i media<br />

ricordavano costantemente agli americani il catastrofico pericolo rosso. Nel gennaio di<br />

quell’anno, un numero della rivista «Time» uscì con un servizio di copertina dedicato alla<br />

tecnologia missilistica sovietica, illustrato dal disegno di un razzo dalle sembianze umane,<br />

completo di occhi e cervello, che trasportava una bomba nucleare sopra un’importante<br />

città americana. Gli esperti del giornale affermavano che in poco più di cinque anni i russi<br />

avrebbero vinto la corsa agli armamenti. Gli editori della rivista si spinsero fino a<br />

profetizzare un attacco nucleare sull’oceano Pacifico che avrebbe causato l’arrivo sopra gli<br />

Stati Uniti di «una nube di morte radioattiva sospinta dal vento». A far sembrare il<br />

pericolo ancora peggiore erano le continue sparate del premier sovietico. «Sforniamo<br />

razzi come salsicce» dichiarò alla tv Nikita Chrušcëv. Se l’Unione Sovietica fosse riuscita a<br />

costruire gli IBCM, come si temeva, allora i russi avrebbero potuto montare una testata<br />

nucleare sui missili e colpire qualunque punto degli Stati Uniti. «Sono sicurissimo che<br />

molto presto avremo un missile teleguidato con una testata nucleare in grado di colpire<br />

qualunque punto del pianeta» si vantò Chrušcëv poco tempo dopo la comparsa<br />

dell’articolo di «Time».<br />

Mentre i sovietici concentravano i loro sforzi sullo sviluppo della tecnologia missilistica,<br />

il potente generale LeMay aveva convinto lo stato maggiore congiunto che la cosa<br />

migliore per gli Stati Uniti erano i bombardieri a lungo raggio. LeMay non si peritava di<br />

esprimere il proprio disprezzo per i missili, al contrario: vi si opponeva con arroganza. Il<br />

massimo responsabile della ricerca e sviluppo di LeMay, il generale Thomas S. Power,<br />

disse agli ufficiali del Pentagono che i missili «non sono in grado di affrontare gli<br />

imprevisti» 12 come invece fa il pilota di un bombardiere. Mentre lo stato maggiore<br />

congiunto stava decidendo se fosse meglio avere un arsenale di missili o di bombardieri,<br />

le linee produttive di Sandia, in New Mexico, continuavano a sfornare testate nucleari a<br />

velocità sbalorditiva. Dieci anni prima, nel 1946, lo stock atomico degli Stati Uniti


ammontava a due bombe atomiche. Nel 1955, la scorta era salita a 2.280. Il motivo per<br />

cui LeMay si opponeva al programma missilistico era ovvio: se il Pentagono avesse<br />

iniziato a finanziare la fabbricazione di missili in grado di montare testate nucleari, i suoi<br />

bombardieri avrebbero perso d’importanza. Già così, gli stavano portando via fondi e<br />

uomini per quell’assurdità di progetto di spionaggio dal cielo capeggiato da Richard Bissell<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

All’inizio del 1956, l’aeronautica militare ribatté alla guerra delle parole di Chrušcëv con<br />

il genere di risposta che il generale LeMay conosceva meglio: minacce, intimidazioni e<br />

uso della forza. LeMay mise insieme quasi mille bombardieri B-47 13 per un attacco<br />

simulato alla Russia con aerei in grado di trasportare ordigni nucleari. I piloti decollarono<br />

da basi aeree in Alaska e in Groenlandia, si diressero sopra l’Artide e sorvolarono i confini<br />

sovietici prima di fare inversione e tornarsene a casa. Dev’essere stata un’esperienza<br />

terrificante per i russi, i quali non avevano idea che i bombardieri di LeMay avessero<br />

ordine di invertire la rotta. Con un’ulteriore provocazione, il 21 marzo 1956, i piloti di<br />

LeMay iniziarono a effettuare missioni top-secret per l’operazione Home Run 14 ,<br />

classificata fino al 2001. Dalla base di Thule, in Groenlandia, LeMay diede ordine che<br />

versioni modificate del bombardiere americano più veloce, il B-47, sorvolassero il circolo<br />

polare artico e si inoltrassero sulla tundra siberiana russa per spiare. Lo scopo era di far<br />

capire all’ELINT (Electronic Signals Intelligence, “Spionaggio di segnali elettronici”) come<br />

funzionassero i radar sovietici costringendoli a usarli. Quando i russi iniziavano a seguire<br />

con il radar i bombardieri di LeMay, i tecnici raccoglievano le informazioni per poi<br />

decifrarle una volta tornati in patria. Interrogato su questo genere di rischiose<br />

provocazioni, LeMay sottolineò: «Con un pizzico di fortuna in più, avremmo potuto<br />

scatenare la Terza guerra mondiale».<br />

Sam Pizzo lavorò come navigatore nel corso delle operazioni di spionaggio dello<br />

Strategic Air Command, pianificando i voli sulle installazioni nucleari, i siti missilistici, le<br />

infrastrutture navali e le postazioni radar. Le 156 missioni furono eseguite dal 21 marzo al<br />

10 maggio 1956 nella zona in cui il territorio russo si affaccia sull’oceano Artico, il che<br />

significava ventiquattro ore al giorno di buio totale. <strong>La</strong> temperatura esterna variava tra i -<br />

37 e i -56 °C. Sam Pizzo ricorda queste missioni della Guerra Fredda: «Ambarchik, Tiksi,<br />

Novaja Zemlja, erano questi i territori che coprivamo. Era quello il vero obiettivo. Le<br />

missioni non avvenivano a dodici miglia dalla costa, per studiare la propagazione delle<br />

onde elettromagnetiche [come veniva detto]. Noi entravamo».<br />

Un numero imprecisato di piloti furono abbattuti. Si credeva che parecchi fossero<br />

sopravvissuti all’espulsione solo per essere catturati dai sovietici e rinchiusi nei gulag.<br />

Tutti quanti sapevano che una condanna al gulag era un destino peggiore della morte. Le<br />

missioni erano a tal punto top-secret, spiegò Pizzo, che pochissimi a Thule avevano idea<br />

di dove fossero diretti i piloti. In qualità di navigatore, Pizzo faceva parte del gruppo<br />

ristretto che pianificava nel dettaglio le rotte di volo. Sorvolare l’Artide richiedeva una<br />

particolarissima esperienza, conoscenze differenti da quelle necessarie per qualunque<br />

altra zona del pianeta. All’estremità della terra i campi magnetici subiscono fluttuazioni<br />

radicali, il che significa che le bussole semplicemente non funzionano. I navigatori come<br />

Sam Pizzo usavano foto astronomiche della stella Polare per tracciare le rotte. Un’abilità


che a Sam Pizzo tornò utile anche in seguito, quando entrò a far parte del personale<br />

dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Mentre l’operazione Home Run andava avanti, la CIA era preoccupata che le aggressive<br />

missioni del generale LeMay costituissero una minaccia per la sicurezza nazionale. «I<br />

leader sovietici possono essersi convinti 15 che gli Stati Uniti abbiano davvero intenzione di<br />

attaccarla militarmente in un prossimo futuro» disse al presidente nell’inverno del 1956<br />

un nervoso comitato della CIA. E i consiglieri scientifici di Eisenhower gli dissero che le<br />

missioni degli U-2 sulla Russia non potevano aspettare. Herbert Miller, l’esperto di armi<br />

nucleari sovietiche della CIA, spiegò che nessun altro progetto «è in grado di farci ottenere<br />

così rapidamente una maggior quantità di informazioni vitali con rischi e costi tanto<br />

bassi».<br />

I primi voli degli U-2 furono pianificati per fotografare le installazioni dove l’agenzia era<br />

convinta che la Russia stesse costruendo i suoi bombardieri, le testate nucleari e i missili<br />

terra-aria. E i piloti degli U-2 avrebbero cercato l’ubicazione della misteriosa installazione<br />

denominata NII-88. Avendo completato l’addestramento all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, quattro distaccamenti<br />

di piloti erano pronti a partire, preparati a penetrare in profondità nel territorio sovietico,<br />

dove avrebbero potuto fotografare metà dei 16,8 milioni di chilometri quadrati della<br />

Russia continentale. Ma dovevano farlo in fretta.<br />

Il presidente Eisenhower era seriamente preoccupato 16 . «Temo che se uno di questi<br />

aerei viene abbattuto [corriamo] il rischio di far scoppiare una guerra nucleare» scrisse<br />

nel suo diario della Casa Bianca. Richard Bissell assicurò al presidente 17 che non c’era<br />

alcuna possibilità che un U-2 venisse abbattuto e pochissime che venisse individuato da<br />

un radar. Inoltre, aggiunse Bissell, se anche l’ U-2 fosse stato abbattuto, molto<br />

probabilmente si sarebbe disintegrato nell’impatto con il suolo, uccidendo il pilota e<br />

distruggendo il velivolo.<br />

Lo show dell’aria di Mosca del 24 giugno 1956 fu un presagio del fatto che le promesse<br />

al presidente non sarebbero state mantenute. In un’ostentazione di etichetta, il premier<br />

sovietico Nikita Chrušcëv invitò generali dell’aeronautica di ventotto delegazioni straniere,<br />

tra cui Nathan Twining, il capo di stato maggiore dell’aeronautica statunitense.<br />

Nonostante tutta la fanfara e le spacconate dei bombardieri e dei caccia che sfrecciavano<br />

nei cieli, l’episodio più significativo si verificò qualche ora dopo, a un tavolo da picnic di<br />

legno del Gorkij Park. Intorno al tavolo sedevano il generale Twining e i capi delle<br />

delegazioni inglese e francese, intenti ad ascoltare un lungo e noioso discorso di<br />

Chrušcëv. A metà della tirata, il premier sovietico alzò il bicchiere di vodka e fece un<br />

brindisi in “difesa della pace”. Anni dopo, il colonnello russo in pensione Alexander Orlov<br />

riferì 18 cos’era accaduto in seguito: «Nel mezzo del brindisi [Chrušcëv] si girò verso il<br />

generale Twining e disse: “Oggi le abbiamo mostrato i nostri aerei. Ma le piacerebbe<br />

vedere i nostri missili?”». Scioccato dall’offerta, il generale Twining replicò: «Sì». E<br />

Chrušcëv ribatté: «Prima mi faccia vedere il suo aeroplano e la smetta di mandare intrusi<br />

nel nostro spazio aereo». Chrušcëv si riferiva ai bombardieri del generale LeMay che<br />

sorvolavano il circolo polare artico. «Abbatteremo gli ospiti non invitati 19 . Prenderemo


tutti i vostri [aerei]. Sono bare volanti!»<br />

Fu un momento terribilmente imbarazzante sottolineato dal brusco cambiamento di<br />

tono del volubile leader sovietico, il quale dopo aver brindato alla pace si era messo a<br />

parlare di abbattere aerei americani. Il generale Twining era stato messo in una<br />

posizione difficile. Le cose peggiorarono quando Chrušcëv si guardò attorno per vedere le<br />

reazioni dei suoi commensali e scoprì un attaché militare americano che versava tra i<br />

cespugli il contenuto del suo bicchiere. «Io parlo di pace e amicizia e cosa fa il suo<br />

attaché militare?» gridò Chrušcëv all’ambasciatore Charles Bohlen, dopodiché pretese che<br />

l’attaché facesse un brindisi di punizione. Quando l’uomo ebbe ingollato la vodka,<br />

Chrušcëv si alzò e se andò in fretta. Se il leader sovietico pensava che gli americani nel<br />

parco stessero cercando di offenderlo, due settimane dopo si sarebbe infuriato ancora di<br />

più 20 , quando venne a sapere che la CIA aveva mandato un U-2 proprio sopra il Cremlino<br />

per scattare fotografie della casa dove abitava.<br />

A Washington l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> aveva un complemento per il progetto U-2, un ufficio al quinto<br />

piano di un edificio anonimo della CIA in 1.717 H Street. L’ufficio servì da centro di<br />

comando per le prime missioni segrete del progetto Aquatone. Fu da quel luogo<br />

clandestino che, poco dopo la mezzanotte del 3 luglio 1956, Richard Bissell fece una<br />

storica telefonata su una linea sicura. Chiamò la base segreta degli U-2 di Wiesbaden, in<br />

Germania Ovest, e diede al comandante l’autorizzazione a procedere. <strong>La</strong>ggiù, in una<br />

stanza vicina, Hervey Stockman stava seduto inalando ossigeno puro da un respiratore<br />

mentre un medico aeronautico gli monitorava i livelli di azoto nel sangue. Fuori dalla<br />

porta, uomini della CIA armati di mitragliatori montavano la guardia 21 . Data la differenza<br />

di fuso orario, nel posto dove si trovava Stockman era già la mattina dopo, ovvero<br />

l’anniversario dell’indipendenza americana. <strong>La</strong> nazione aveva centottant’anni. Se tutto<br />

fosse andato per il verso giusto, Stockman stava per diventare il primo pilota a penetrare<br />

nello spazio aereo della Cortina di Ferro. Avrebbe volato fino a Leningrado, avrebbe virato<br />

sulla costa e sarebbe tornato indietro, immortalando per sempre il suo nome come quello<br />

del primo uomo che aveva sorvolato l’Unione Sovietica a bordo di un U-2.<br />

Stockman e il suo U-2 decollarono da Wiesbaden poco dopo le sei del mattino: il pilota<br />

e l’aereo salivano verso il cielo con un’inclinazione spaventosa. In un minuto l’U-2<br />

raggiunse la notevole quota di 4.600 metri, in un’ascesa così verticale che agli uomini a<br />

terra, non abituati all’aeroplano, dev’essere sembrato che Stockman fosse sul punto di<br />

capovolgersi ed entrare in stallo. A metà della salita Stockman tenne brevemente l’aereo<br />

in posizione orizzontale per consentire ai propri fluidi corporei e ai fluidi contenuti nei<br />

serbatoi del carburante di espandersi e ritrovare l’equilibrio. Una volta un pilota era salito<br />

di quota troppo in fretta e i serbatoi erano esplosi. L’uomo era rimasto ucciso. Dopo<br />

alcuni altri minuti di ascesa, Stockman raggiunse la quota di crociera. Il cielo sopra di lui<br />

era nero e riusciva a vedere le stelle. Sotto di lui, la terra s’incurvava. Sarebbe stato un<br />

viaggio di otto ore e mezza <strong>senza</strong> un sorso d’acqua né cibo. Nell’alloggiamento<br />

dell’apparecchiatura fotografica c’era una macchina Hycon da 227 chilogrammi<br />

equipaggiata con gli obiettivi più avanzati mai realizzati negli Stati Uniti. Per dimostrare<br />

quanto fosse precisa la macchina, Bissell aveva fatto volare un U-2 dal Groom <strong>La</strong>ke fino


alla fattoria del presidente Eisenhower in Pennsylvania. Da 21.600 metri di quota, gli<br />

apparecchi fotografici dell’U-2 erano riusciti a scattare fotografie nitide delle vacche del<br />

presidente 22 mentre si abbeveravano.<br />

«Era previsto che attivassi le macchine fotografiche quando fossi arrivato a<br />

Leningrado» ricorda Stockman. «Dovevo sorvolarla fotografando installazioni navali e un<br />

paio di basi aeree che erano tutte parte di ciò che eravamo stati indotti a credere potesse<br />

ospitare bombardieri a lungo raggio.» Ma non c’era nessun bombardiere a lungo raggio 23 .<br />

Saltò fuori che il famoso “bomber gap” (superiorità aerea di bombardieri) era falso. Le<br />

riprese effettuate da Stockman nel corso del primo volo sulla Russia fornirono alla CIA<br />

informazioni decisive su un tema che era stato oggetto di aspro dibattito. Subito dopo che<br />

le pellicole della macchina fotografica di Stockman furono esaminate, l’esperto di<br />

armamenti russi Herbert Miller scrisse un memorandum trionfante 24 al presidente<br />

Eisenhower, spiegando quante «nuove scoperte sono venute alla luce». Con il volo di<br />

Stockman la CIA acquisì un milione e trentacinquemilaseicento chilometri quadrati di<br />

copertura. «Furono scoperti molti nuovi aeroporti in precedenza sconosciuti, complessi<br />

industriali di dimensioni finora insospettate… I caccia nelle cinque basi più importanti che<br />

sono state fotografate erano parcheggiati in file ordinate come per un’ispezione formale o<br />

una parata.» Quello che più stupiva Miller era l’attualità delle informazioni. «Sappiamo<br />

che i cannoni delle batterie antiaeree sorvolate erano in posizione orizzontale invece che<br />

rivolti in alto e “pronti a sparare”. Sappiamo che era in corso il raccolto e che si lavorava<br />

nelle piccole fattorie.» Quelle immagini indicavano «le intenzioni, gli obiettivi e le qualità<br />

reali dell’Unione Sovietica». Hervey Stockman commenta: «Il ritratto era quello di un<br />

popolo che non era tutto dedito a preparare la guerra. I russi conducevano una vita<br />

normale, sicché dietro quella “Cortina di ferro” non era tutto un rullare di tamburi e<br />

movimento di carri armati e chissà che altro ci si immaginava. Si occupavano dei loro<br />

affari».<br />

Le foto di Stockman entusiasmarono la CIA e giustificarono l’intero progetto U-2, come<br />

rivelava la raffica di memorandum top-secret datati 17 luglio 1956. «Per la prima volta<br />

siamo davvero in grado di comprendere quello che succedeva in Unione Sovietica il 4<br />

luglio 1956» scrisse Miller. Ma per quanto il volo di Stockman si fosse rivelato una manna<br />

per la CIA, le conseguenze furono disastrose per i rapporti tra il presidente Eisenhower e<br />

Nikita Chrušcëv. Nonostante le assicurazioni di Bissell, gli U-2 venivano intercettati dai<br />

sistemi sovietici di difesa aerea nel momento stesso in cui comparivano sugli schermi<br />

radar. Dopo aver sviluppato la pellicola della macchina fotografica di Stockman, gli<br />

analisti di immagini della CIA stabilirono che i russi avevano fatto oltre venti tentativi di<br />

intercettare l’aereo. «C’erano fotografie di caccia MIG-17 e MIG-19 che tentavano<br />

disperatamente di raggiungere l’U-2 solo per essere costretti a scendere a una quota dove<br />

l’atmosfera era abbastanza densa da consentire la riaccensione dei motori che si erano<br />

spenti a causa della mancanza di ossigeno» disse l’analista della CIA Dino Brugioni all’«Air<br />

Space Magazine» dopo la declassificazione del progetto U-2, nel 1998.<br />

Quando Chrušcëv seppe che gli americani l’avevano tradito, andò su tutte le furie.<br />

Dopo il picnic al Gorkij Park, Chrušcëv aveva accettato di trascorrere il Quattro Luglio alla<br />

Spaso House, la residenza ufficiale dell’ambasciatore Charles Bohlen, che si trovava a


pochi passi dal Cremlino. Quando fu informato che mentre lui festeggiava il giorno<br />

dell’indipendenza americana con l’ambasciatore, un U-2 volava altissimo sopra la Russia,<br />

si sentì umiliato. «Gli americani si fanno beffe della nostra impotenza» disse al figlio<br />

Sergej 25 , che aveva ventun anni e aspirava a diventare progettista di missili. Ma oltre<br />

all’affronto personale a Chrušcëv, il volo dell’U-2 aveva messo in grandissima difficoltà la<br />

macchina militare sovietica. I MIG non riuscirono nemmeno ad avvicinarsi all’aereo spia<br />

che volava chilometri sopra la quota massima consentita ai caccia russi, proprio come<br />

aveva previsto il colonnello Leghorn. Nel 1956 i missili terra-aria sovietici non avevano<br />

gittata sufficiente a colpire un aereo che viaggiava praticamente nella stratosfera. L’aereo<br />

spia americano aveva volato impunemente sopra la Russia. E se si fosse venuto a sapere,<br />

l’Unione Sovietica sarebbe parsa debole.<br />

Soppesando le alternative – mettere in difficoltà il proprio esercito, mettere in<br />

imbarazzo il presidente americano o tacere – Chrušcëv optò per il silenzio, almeno per<br />

quanto riguardava la stampa internazionale. Di conseguenza, le prime missioni degli U-2<br />

rimasero un segreto tra i due paesi. Ma logoravano un rapporto già fragilissimo.<br />

Eisenhower intimò alla CIA di sospendere tutti i voli nello spazio aereo russo fino a nuovo<br />

ordine. Peggio ancora, il presidente disse a Richard Bissell che aveva «perso entusiasmo»<br />

per il programma di spionaggio dai cieli dell’agenzia 26 .<br />

All’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> Richard Bissell aveva i suoi grattacapi. Preoccupato che il presidente stesse<br />

per cancellare il progetto U-2, ingaggiò una squadra per analizzare 27 le probabilità che i<br />

sovietici abbattessero un aereo spia. Le notizie erano scoraggianti: i russi stavano<br />

aggiornando la tecnologia dei missili terra-aria così rapidamente che nel giro di diciotto<br />

mesi sarebbero stati in grado di farli arrivare a 21.000 metri di quota. Bissell decise che<br />

l’unico modo per mantenere attivo il progetto era rendere l’U-2 invisibile ai radar sovietici<br />

inventando un qualche genere di vernice radar-assorbente. Bissell ne parlò con Kelly<br />

Johnson della Lockheed, il quale gli disse che verniciare l’U-2 era una pessima idea 28 . <strong>La</strong><br />

vernice avrebbe appesantito il velivolo e l’U-2 riusciva a volare a quote così alte solo<br />

perché era molto leggero, gli spiegò Johnson. Il peso aggiuntivo rappresentato dalla<br />

vernice avrebbe comportato una perdita di altitudine pari a 460 metri. Bissell non volle<br />

sentire ragioni, sicché si rivolse al consigliere scientifico del presidente, James Killian, e<br />

gli disse di formare un gruppo di esperti in grado di mettere a punto una vernice radarassorbente<br />

per la CIA. Gli scienziati, che lavoravano all’università di Harvard e al Lincoln<br />

<strong>La</strong>boratory del MIT ed erano noti come il “gruppo di Boston”, dissero a Bissell che<br />

potevano dargli quello che voleva. Era un’idea radicale mai sperimentata prima.<br />

Nell’estate del 1956 Richard Bissell aveva un altro problema serio, ovvero il generale<br />

LeMay. Impressionato dalle prestazioni dell’aereo spia, adesso LeMay tramava per avere<br />

il controllo dell’U-2. Sotto l’egida di un progetto denominato Dragon <strong>La</strong>dy, LeMay ordinò<br />

una flotta di 31 U-2 appositamente per l’aeronautica militare. Per tenere segreta la cosa<br />

al Congresso, l’aeronautica militare trasferì il denaro alla CIA 29 , il che significava che<br />

mentre tentava di tener testa al tentativo di usurpazione di LeMay, Bissell doveva<br />

contemporaneamente fare da tramite tra l’aeronautica e la Lockheed per gli U-2<br />

leggermente modificati. Insieme ai nuovi aerei destinati all’aeronautica ci fu anche la


ichiesta di più “guidatori”, il che comportò l’arrivo all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> di altri due gruppi di piloti:<br />

quelli ingaggiati per le missioni della CIA e altri scelti per quelle dell’aeronautica. Tra i<br />

prescelti 30 per le missioni dell’aeronautica c’era Anthony “Tony” Bevacqua.<br />

«Devo essere stato l’unico pilota di U-2 dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> che da bambino non si era mai<br />

costruito un aeromodello» ricorda Bevacqua. Lui, invece, passava il suo tempo a divorare<br />

libri. <strong>La</strong> lettura ossessiva di tascabili, di solito quelli di Zane Grey o Erle Gardner, lo aiutò<br />

a superare la paura che non sarebbe stato in grado di leggere l’inglese, come suo padre.<br />

Figlio di immigrati siciliani, nell’inverno del 1957, a ventiquattro anni, Bevacqua era il<br />

pilota più giovane del Groom <strong>La</strong>ke. Ma prima di arrivare alla base della CIA, l’affascinante<br />

e vigoroso Bevacqua era stato compagno di stanza di un altro pilota giovane e audace il<br />

cui nome avrebbe presto fatto il giro del mondo.<br />

Bevacqua e Francis Gary Powers erano due piloti dalla forte personalità appartenenti al<br />

508 th Strategic Fighter Wing (508° stormo caccia strategici) della base di Turner, in<br />

Georgia. Vivevano in una casa in affitto con quattro camere da letto a poco più di tre<br />

chilometri dall’ingresso principale della base. Entrambi avevano pilotato per quasi due<br />

anni caccia a reazione F-84 quando un giorno Powers, che tutti chiamavano Frank,<br />

scomparve. «Corse voce che Frank si fosse unito a qualche progetto segreto» dice<br />

Bevacqua «ma erano solo chiacchiere, nulla cui prestar fede seriamente.» Alcuni mesi<br />

dopo Bevacqua fu avvicinato da un caposquadriglia che gli chiese se voleva offrirsi<br />

volontario per «un interessante progetto di volo».<br />

«Relativo a cosa?» chiese Bevacqua. L’uomo replicò di potergli dire solo che riguardava<br />

il volo e che Bevacqua avrebbe dovuto lasciare l’aeronautica ma in seguito sarebbe<br />

potuto tornare. Il progetto, gli fu detto, aveva bisogno di “un volontario”. Era importante,<br />

aggiunse l’uomo, con una sfumatura di mistero nella voce. Bevacqua accettò.<br />

Fu portato con un aereo alla Berger Brothers Company, ubicata in un edificio anonimo<br />

di New Haven, in Connecticut, non lontano dall’università di Yale, zeppo di donne che<br />

cucivano busti e reggiseni. Che cosa ci faceva lì? si chiese. Lo fecero passare in mezzo<br />

alle postazioni delle sarte e lo condussero in una stanza sul retro. L’improbabile fornitore<br />

aveva una copertura perfetta per il lavoro che faceva per la CIA: fabbricare indumenti<br />

intimi femminili. In realtà l’azienda, in seguito ribattezzata David Clark Company, aveva<br />

già dato prova della propria utilità migliaia di volte. Durante la Seconda guerra mondiale<br />

realizzava paracadute per l’USAAF e per i piloti della marina.<br />

In una stanza segreta sul retro, dietro le linee dove si cuciva biancheria intima, a Tony<br />

Bevacqua furono prese le misure per una tuta adatta al volo ad alta quota realizzata<br />

apposta per lui. Per la durata del suo contratto Bevacqua avrebbe dovuto controllare<br />

strettamente il peso. Una tuta della misura sbagliata avrebbe significato la morte del<br />

pilota e l’inevitabile perdita dell’aereo. Bevacqua comprendeva il concetto di informazioni<br />

strettamente necessarie ed era consapevole che gli era proibito chiedere a cosa servisse<br />

la tuta. Ma ne sapeva abbastanza di tute semipressurizzate per capire che qualunque<br />

aereo fosse quello che doveva pilotare, avrebbe volato ad altitudini estremamente<br />

elevate.<br />

<strong>La</strong> tappa successiva fu alla base dell’aeronautica Wright-Patterson per una batteria di<br />

test fisici e psicologici. Qui Bevacqua si sottopose a una serie di prove di resistenza.


Alcune gli erano familiari, ma altre erano strane in modo eccitante. Tutti i piloti di U-2<br />

venivano messi in una camera ipobarica per simulare la situazione di trovarsi nella cabina<br />

di pilotaggio con indosso una tuta da cui dipendeva la loro vita. A 19.000 metri di quota,<br />

nel sangue si formano delle bolle perché non c’è sufficiente pressione atmosferica per<br />

consentire all’ossigeno di passare dai polmoni al sangue. C’era un altro test chiamato la<br />

“fornace” in cui i piloti degli U-2 venivano lasciati in una stanza significativamente più<br />

calda di una sauna bollente. A Bevacqua questa prova venne risparmiata, ma gli<br />

pomparono liquidi in tutti gli orifizi, prima acqua e poi un olio minerale. Molti piloti di U-2<br />

venivano attaccati a strane macchine e altri sottoposti a elettroshock. A Bevacqua toccò<br />

quello che lui definì il terrificante test del cadavere. Ricordò di «essere stato messo in uno<br />

spazio ristretto, le braccia incrociate sul petto come se fossi in una bara all’obitorio. Mi<br />

era assolutamente impossibile muovere le estremità. Mi venne detto di trattenere il<br />

respiro più a lungo che potevo».<br />

<strong>La</strong> prova successiva fu un esperimento di congelamento. Bevacqua, e il resto degli<br />

americani, ignoravano che la divisione della scuola di medicina aeronautica a Wright-<br />

Patterson 31 , responsabile dei test sui piloti degli U-2, era guidata da medici<br />

dell’operazione Paperclip, persone con un passato controverso. L’aeronautica militare<br />

stava chiudendo un occhio sui trascorsi di quegli scienziati per ottenere ciò che voleva,<br />

ossia il raggiungimento delle parti più alte dell’atmosfera e dello spazio cosmico.<br />

Nel 1980 la giornalista Linda Hunt pubblicò un articolo sul «Bulletin of the Atomic<br />

Scientists» rivelando pubblicamente per la prima volta che parecchi degli scienziati<br />

tedeschi aerospaziali di primo piano che lavoravano in America avevano prestato la loro<br />

opera nei campi di concentramento nazisti 32 , dove avevano ottenuto dati di medicina<br />

aeronautica conducendo esperimenti atroci 33 su migliaia di ebrei, polacchi, zingari e altre<br />

persone considerate rifiuti umani. All’articolo ne seguirono molti altri, sia sui quotidiani sia<br />

sulla stampa specializzata, i quali documentarono in che modo era stata condotta<br />

l’operazione Paperclip e sollevavano importanti interrogativi riguardo a quanto il governo<br />

sapeva del sordido passato di quegli uomini. <strong>La</strong> questione fu trattata in modo<br />

approfondito ma le sue implicazioni erano così atroci che spesso venne ignorata<br />

dall’opinione pubblica. L’idea che l’esercito americano e gli agenti dei servizi segreti<br />

militari fossero passati sopra a crimini di guerra e crimini contro l’umanità in nome del<br />

progresso della scienza era, e continua a essere, odiosa. Probabilmente è per questa<br />

ragione che il governo federale non ha mai declassificato completamente i fascicoli<br />

relativi all’operazione Paperclip. Nel 1999 un comitato governativo ha reso accessibili<br />

126.000 pagine di documenti classificati sugli ex scienziati tedeschi, ma ha rivelato che<br />

esistono oltre 600 milioni di pagine ancora coperte da segreto 34 che aspettano di «essere<br />

rese pubbliche». Da allora non è stato fatto alcun passo avanti significativo.<br />

Nel marzo del 1957 Bevacqua superò finalmente i test e arrivò all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, dove le<br />

condizioni di vita erano migliorate. Le tende di tela erano stata sostituite da capanni<br />

Quonset. C’erano docce funzionanti. <strong>La</strong> sala mensa era stata ampliata e qualcuno aveva<br />

costruito un bar artigianale. Ma i protocolli relativi ai voli erano rimasti identici a quelli del<br />

periodo in cui Ray Goudey e altri cercavano di capire come portare in quota un U-2.<br />

L’addestramento che Tony Bevacqua ricevette all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era diverso da qualunque altra


cosa avesse mai visto in una base dell’aeronautica. Il metodo che la CIA usava per<br />

addestrare gli uomini a pilotare un U-2 era quanto di più radicale e non ortodosso 35 un<br />

pilota militare potesse immaginare. Alla base di Turner Bevacqua aveva imparato a<br />

pilotare gli F-84 nel modo in cui lo si faceva nell’aeronautica militare, il che significava<br />

studiare diligentemente i manuali dell’apparecchio, poi far pratica con un simulatore di<br />

volo, in seguito pilotare un aereo scuola e infine salire su un aeroplano insieme a un<br />

istruttore. All’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, non esistevano manuali dell’U-2, né simulatori di volo, aerei scuola<br />

o istruttori. «Gli U-2 originali avevano un solo posto e un unico motore, il che significava<br />

che l’istruttore della CIA ti faceva lezione con i piedi ben piantati per terra» dice Bevacqua.<br />

Si pilotava quel bizzarro aereo spia segreto <strong>senza</strong> alcuna procedura, per non parlare delle<br />

regole di base. «In sostanza, un pilota istruttore ti impartiva una lezione. Dopodiché ti<br />

davano un pezzo di cartone con una checklist sulla faccia anteriore e grafici del<br />

carburante e dell’ossigeno su quella posteriore. A quel punto decollavi. E questo era<br />

quanto.»<br />

Questo aspetto, unito ai protocolli di segretezza, rendeva l’esperienza dei piloti all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> qualcosa di completamente fuori dell’ordinario. Nessuno tranne il suo vecchio collega<br />

della base di Turner, Francis Gary Powers, conosceva la reale identità di Tony Bevacqua.<br />

All’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era identificato solo da un numero e dal nome di battesimo. <strong>La</strong> sua famiglia<br />

non aveva idea di dove fosse e per decenni non avrebbe saputo nulla delle sue missioni<br />

segrete. Pochissime persone erano al corrente della destinazione degli U-2: non veniva<br />

rivelata neppure ai piloti. Quello che invece tutti sapevano era che nel caso un pilota<br />

fosse stato abbattuto in territorio nemico sarebbe stato torturato per estorcergli<br />

informazioni. Il che significava che meno sapevi, meglio era per tutti quelli coinvolti nella<br />

missione.<br />

Bevacqua non vedeva l’ora di volare. Per quel piccolo gruppo di piloti – solo il<br />

venticinque per cento dei candidati passavano i test fisici – una missione sull’U-2 era<br />

investita della sacralità dell’orgoglio nazionale. Tony Bevacqua viveva il sogno americano<br />

e al tempo stesso lo proteggeva. Non era un uomo capace di dimenticare nemmeno per<br />

un momento quanto fosse fortunato. «Sfrutta sempre al massimo le tue occasioni» gli<br />

aveva detto suo padre quando era bambino. Tony Bevacqua aveva fatto proprio quello.<br />

Non avrebbe potuto chiedere un’occasione migliore. Era uno dei più importanti piloti di<br />

aerei spia dell’America. Stava dando una mano a salvare il mondo libero.<br />

Nell’inverno del 1957 il gruppo di Boston aveva messo a punto la vernice radarassorbente<br />

chiesta da Richard Bissell, il quale la diede agli ingegneri della Lockheed<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e disse loro di verniciare la fusoliera di parecchi U-2. Bissell comprese perché<br />

Kelly Johnson disapprovasse quell’idea che, sosteneva, faceva assomigliare gli U-2 a “dirty<br />

birds” (uccelli sporchi). Ma le pressioni del presidente non gli consentivano di lasciar<br />

spazio a simili argomenti. Per valutare la capacità di sfuggire ai radar dei dirty birds,<br />

Bissell diede l’incarico di misurare gli echi radar a un’altra società, la EG&G.<br />

<strong>La</strong> EG&G è un enigma in sé. A partire dal 1947, era il contractor della difesa più potente<br />

della nazione di cui nessuno aveva mai sentito parlare. Per molti aspetti, ciò rimane vero<br />

ancora nel 2011. L’anonimato era intenzionale e fu coltivato perché fosse più facile


mantenere i segreti. In origine denominata Edgerton, Germeshausen, and Grier, all’inizio<br />

la EG&G era una piccola società di ingegneria diretta da tre professori del MIT. Nel 1927, il<br />

dottor Harold “Doc” Edgerton aveva inventato lo stop-motion, che usava un’altra delle<br />

sue invenzioni brevettate, la lampada stroboscopica. Tra i celebri scatti di Edgerton in<br />

stop-motion 36 c’erano quello del proiettile che trapassa una mela, della goccia d’acqua<br />

che cade su un bancone e di un colibrì immobilizzato in volo. <strong>La</strong> EG&G ottenne i primi<br />

incarichi per la difesa di cui si abbia notizia durante la Seconda guerra mondiale, quando<br />

le lampade stroboscopiche di Doc Edgerton e i bulbi dei flash fotografici vennero utilizzati<br />

per illuminare il terreno nel corso delle missioni notturne di ricognizione, rendendo<br />

obsoleti i razzi illuminanti. Grazie a Doc Edgerton, piloti come il colonnello Richard<br />

Leghorn furono in grado di fotografare la Normandia prima dello sbarco.<br />

Kenneth J. Germeshausen 37 lavorava sulla teoria delle pulsazioni ad alta energia al MIT.<br />

Ottenne più di cinquanta brevetti, fra cui un buon numero relativo ai radar. Insieme al<br />

terzo socio, Herbert Grier, Germeshausen aveva messo a punto il sistema di innesco delle<br />

bombe nucleari sganciate su Hiroshima e Nagasaki. I tre professori avevano ottenuto i<br />

contratti per il progetto Manhattan grazie all’affiliazione con Vannevar Bush, l’ex preside<br />

della facoltà di ingegneria al MIT e in seguito responsabile del progetto.<br />

Oltre al sistema di innesco per le bombe atomiche, che era basato su un semplice<br />

sistema relè di commutazione del segnale denominato DN-11, la EG&G ebbe l’incarico dalla<br />

Difesa di scattare milioni di fotografie in stop-motion delle esplosioni nucleari nel Pacifico<br />

e al Nevada Test Site. Fu da queste fotografie, e solo da queste, che gli scienziati della<br />

EG&G furono in grado di stabilire per l’Atomic Energy Commission e il dipartimento della<br />

Difesa l’esatta potenza di una bomba nucleare esplosa. Per decenni la maggior parte dei<br />

progetti di ingegneria più segreti 38 relativi ai test delle armi atomiche furono affidati alla<br />

EG&G. Negli anni Sessanta, quando furono necessarie squadre speciali per raccogliere le<br />

scorie nucleari prodotte da questi test, i contratti furono affidati di nuovo alla EG&G. Ci si<br />

fidava di loro implicitamente, e le operazioni della EG&G erano per loro natura clandestine.<br />

<strong>La</strong>voravano anche in altri campi, come ad esempio i test radar. All’inizio degli anni<br />

Cinquanta, la EG&G dirigeva un’installazione radar ubicata circa cinquanta chilometri a sud<br />

dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, a Indian Springs. Si sa pochissimo di quel periodo o di quello su cui la<br />

società stava lavorando, dal momento che i dati sono ancora classificati nei fascicoli<br />

riservati della EG&G. Su ordine di Bissell, nel 1957 la EG&G accettò di installare una base<br />

radar 39 nei dintorni dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per misurare gli eco radar del progetto dirty birds. In una<br />

monografia della CIA dedicata agli U-2, declassificata nel 1998, la stazione radar della<br />

EG&G appena fuori dal Groom <strong>La</strong>ke è descritta come «poco più che una serie di strumenti<br />

radar e una roulotte contenente gli equipaggiamenti» dove gli ingegneri potevano<br />

registrare i dati e analizzare i risultati. Eppure l’ubicazione esatta di questa “piccola<br />

installazione” è stata cancellata dalla documentazione declassificata relativa all’U-2.<br />

Perché? <strong>La</strong> parola chiave è “EG&G”. Rendere pubbliche troppe informazioni sulla EG&G<br />

poteva inavvertitamente scoperchiare un vaso di Pandora. Nessuno, eccetto un’élite, ha<br />

necessità di essere informato su dove sono ubicate le installazioni della EG&G all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>,<br />

soprattutto se si trovano fuori dai confini della base.<br />

E così, nell’aprile del 1957, con gli specialisti della EG&G che intercettavano gli echi


adar del suo aereo, il pilota collaudatore della Lockheed Robert Sieker 40 portò uno degli<br />

U-2 verniciati di fresco nei cieli sopra il Groom <strong>La</strong>ke. Gli ordini erano di provare a quale<br />

altitudine riusciva a portare l’aereo. Sieker decollò dall’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e volò per quasi<br />

centocinquanta chilometri <strong>senza</strong> incidenti quando all’improvviso, in una valle nei pressi di<br />

Pioche, la vernice del gruppo di Boston fece surriscaldare l’aereo, lo mandò in vite e infine<br />

lo fece schiantare al suolo. Sieker era riuscito a eiettarsi ma rimase ucciso da un rottame<br />

che lo colpì alla testa. Kelly Johnson aveva ragione: era una pessima idea cercare di<br />

modificare l’U-2. Le squadre di ricerca della CIA ci misero quattro giorni a localizzare il<br />

corpo di Sieker e i rottami dell’aeroplano. L’incidente aveva attirato l’occhio vigile della<br />

stampa, e la storia di copertura, ovvero che si trattava di un velivolo per la ricerca<br />

meteorologica, era un po’ logora. Il titolo del «Chicago Daily Tribune» recitava: Il segreto<br />

avvolge il jet da alta quota; il Lockheed U-2 chiamato Super Ficcanaso.<br />

Un pilota era morto e la vernice radar-assorbente aveva reso l’U-2 più pericoloso, non<br />

più invisibile. Bissell sapeva di dover agire in fretta. Stava perdendo il controllo del<br />

progetto dell’aereo spia e di tutto quello che aveva creato all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. <strong>La</strong> sua idea, in<br />

parte geniale e in parte arrogante, fu di chiedere al presidente un aereo spia<br />

completamente nuovo. <strong>La</strong> CIA aveva bisogno di un velivolo migliore, più veloce, più<br />

avanzato tecnologicamente che superasse i limiti scientifici e ingannasse i radar sovietici<br />

facendogli credere di non esistere. Il nuovo aereo spia che Bissell aveva in mente<br />

avrebbe volato più alto di 21.000 metri e avrebbe avuto caratteristiche di invisibilità fin<br />

dalla progettazione. Bissell stava facendo una grossa scommessa con la sua richiesta<br />

miliardaria. Sottoporre all’attenzione del presidente un progetto di aereo spia segreto<br />

completamente nuovo in un momento in cui il capo dello stato era sconvolto dai risultati<br />

di quanto era stato fatto all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> fino a quel momento era pura follia o genio, a<br />

seconda dei punti di vista. Ma Richard Bissell aveva appena iniziato a esporre al<br />

presidente i suoi piani per l’ambizioso nuovo progetto quando il paese si ritrovò nel bel<br />

mezzo di una crisi di sicurezza nazionale. Il 4 ottobre 1957 i sovietici lanciarono in orbita<br />

il primo satellite della storia, una sfera argentata del peso di 85 chilogrammi chiamata<br />

Sputnik 1. Ecco qual era il segreto a cui stava lavorando Sergej Korolëv all’NII-88.<br />

Sulle prime, la Casa Bianca cercò di minimizzare il fatto che i sovietici avevano battuto<br />

gli americani nella gara alla conquista dello spazio. Eisenhower, che si trovava nella sua<br />

casa di campagna nel Connecticut per il fine settimana, non commentò subito<br />

l’avvenimento. Ma la mattina successiva, il «New York Times» strillava un titolo a lettere<br />

maiuscole a tutta pagina, una prima pagina in genere riservata alle dichiarazioni di<br />

guerra.<br />

I SOVIETICI MANDANO UN SATELLITE NELLO SPAZIO; ORBITA ATTORNO AL GLOBO A 28.800 CHILOMETRI<br />

ORARI; LA SFERA INTERCETTATA IN QUATTRO PASSAGGI SOPRA L’AMERICA.<br />

Il lancio di un satellite significava che i russi avevano un razzo dotato di propulsione<br />

sufficiente a colpire un bersaglio in qualunque parte del mondo. Con tanti saluti alla<br />

convinzione che Wernher von Braun e Ernst Steinhoff fossero gli scienziati più competenti<br />

del mondo. «Mentre emetteva il suo segnale nello spazio 41 , lo Sputnik 1 provocò una crisi<br />

di fiducia che travolse la nazione come un incendio alimentato dal vento» ricordò in


seguito il consigliere scientifico di Eisenhower, James Killian. I giornalisti inglesi del<br />

«Guardian» ammonirono: «Dobbiamo essere preparati a sapere [dalla Russia] com’è la<br />

faccia nascosta della luna». I reporter francesi erano propensi a credere che l’America<br />

fosse «disillusa e amareggiata» dalla schiacciante sconfitta nella gara per la conquista<br />

dello spazio. I francesi sottolinearono la disfatta scientifica degli Stati Uniti. «Gli<br />

americani non sono abituati a essere umiliati in campo scientifico» recitava l’articolo di<br />

«Le Figaro». Dal momento che l’opinione pubblica era all’oscuro del progetto della CIA<br />

riguardante l’aereo spia U-2, gli americani erano convinti che con lo Sputnik i russi adesso<br />

potessero conoscere tutti i segreti dell’America mentre loro rimanevano all’oscuro di quelli<br />

dei sovietici. Per ventun giorni, lo Sputnik orbitò attorno alla Terra alla velocità di quasi<br />

trentamila chilometri orari, finché finalmente il suo segnale radio si affievolì e scomparve.<br />

Per decidere quale fosse il miglior comportamento da tenere, il presidente si rivolse ai<br />

suoi consiglieri scientifici. Nel mese che seguì il lancio dello Sputnik, fu creata una nuova<br />

posizione per James Killian, assistente particolare del presidente per la scienza e la<br />

tecnologia, e per i due anni successivi Killian avrebbe incontrato il presidente quasi tutti i<br />

giorni. Fu un momento decisivo per Richard Bissell. Per quanto deprimenti fossero<br />

sembrate le sue prospettive all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> solo un mese prima, la notizia dello Sputnik fu,<br />

ironicamente, una buona notizia per la CIA. James Killian adorava Richard Bissell; erano<br />

amici da più di dieci anni. Subito dopo la messa in orbita dello Sputnik, Killian e Bissell si<br />

ritrovarono di nuovo 42 a lavorare insieme. Solo che questa volta non insegnavano<br />

economia agli studenti universitari. I due uomini lavoravano gomito a gomito per lanciare<br />

il formidabile aereo spia da miliardi di dollari 43 , che sarebbe stato costruito e testato<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Adesso i progressi scientifici e tecnologici per scopi militari 44 erano in cima<br />

alla lista di priorità del presidente. Con al suo fianco James Killian, Bissell si ritrovò<br />

inaspettatamente nella straordinaria posizione di ottenere praticamente tutto quello che<br />

voleva dal presidente degli Stati Uniti. E finché ciò che Richard Bissell realizzava all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> poteva umiliare i russi e dimostrare loro chi comandava, ciò significava budget<br />

illimitato, infinita manodopera, completa segretezza e totale controllo.


Capitolo 6<br />

INCIDENTI ATOMICI 1<br />

Richard Bissell una volta disse che mettere l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> all’interno di un poligono nucleare<br />

avrebbe tenuto alla larga i curiosi. Con l’operazione Plumbbob, una serie di test atomici<br />

condotti nel 1957 che comportarono trenta esplosioni nucleari consecutive 2 , ottenne più<br />

di quanto si aspettasse. Con la corsa agli armamenti in pieno svolgimento, il dipartimento<br />

della Difesa aveva deciso che era solo questione di tempo prima che un aereo con a<br />

bordo una bomba atomica si schiantasse 3 sul territorio americano, provocando un<br />

disastro radioattivo <strong>senza</strong> precedenti nella storia. Nel ventunesimo secolo, questo genere<br />

di arma si definirebbe una bomba sporca.<br />

<strong>La</strong> prospettiva della bomba sporca costituiva una minaccia sempre più grave per la<br />

sicurezza interna del paese, un’eventualità che il Pentagono voleva rendere meno<br />

pericolosa facendo in modo che l’America testasse per prima lo scenario da incubo.<br />

Occorreva farlo in un ambiente controllato, lontano dagli occhi dell’opinione pubblica, in<br />

totale segretezza. Nessuno estraneo al progetto, assolutamente nessuno, poteva saperlo.<br />

I funzionari dell’Armed Forces Special Weapons Project (Progetto sulle armi speciali delle<br />

forze armate) decisero che il posto perfetto era l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> 4 , all’interno dello spazio aereo<br />

della terra dei sogni, sette o otto chilometri a nordovest del Groom <strong>La</strong>ke. Se la bomba<br />

sporca fosse stata fatta esplodere al di fuori del perimetro legale del Nevada Test Site,<br />

addio segretezza. Per quanto riguardava l’arma in questione, c’era un prerequisito<br />

apocalittico con cui nessun governo aveva mai avuto a che fare in precedenza. Gli addetti<br />

a provare l’ordigno avevano bisogno di «un sito che potesse essere abbandonato per<br />

ventimila anni» 5 .<br />

L’Atomic Energy Commission, l’aeronautica militare statunitense e la EG&G avrebbero<br />

lavorato insieme all’operazione identificata dal nome in codice 57 Project (e in seguito<br />

Progetto 57) per simulare lo schianto di un aereo con una testata nucleare XW-25, un<br />

incidente in cui particelle radioattive si sarebbero “accidentalmente” disperse sul terreno.<br />

<strong>La</strong> zona attorno al sito del finto incidente sarebbe stata contaminata dal plutonio che,<br />

secondo gli scienziati, aveva un tempo di dimezzamento di 24.100 anni. All’epoca, gli<br />

esperti non avevano idea degli effetti sugli esseri viventi e sulle cose della dispersione<br />

accidentale di plutonio nell’atmosfera. Il 57 Project era un test che avrebbe fornito dati<br />

decisivi in questo senso. C’erano ulteriori prerequisiti che avevano inizialmente ristretto il<br />

terreno utilizzabile a quello del Nevada Test Site. Il luogo non doveva presentare «alcuna<br />

contaminazione preesistente» 6 , essere ragionevolmente pianeggiante e coprire


un’estensione di circa centotrenta chilometri quadrati. L’ideale sarebbe stata la valle di un<br />

lago prosciugato, «preferibilmente un sito dove vi fossero consistenti correnti d’aria<br />

create dalla pre<strong>senza</strong> di montagne e valli». Doveva essere il più lontano possibile da<br />

occhi curiosi ma, cosa più importante di tutte, doveva essere un posto dove era<br />

impossibile che l’opinione pubblica potesse venire a sapere che si stava prendendo anche<br />

solo in considerazione uno scenario del genere, per non parlare di prepararne uno. Fu<br />

deciso che nei comunicati stampa ci si sarebbe riferiti al 57 Project come a un “test di<br />

sicurezza” 7 , nient’altro. Con un dottore di nome James Shreve Jr responsabile di tutto<br />

quanto, il progetto aveva un’aura quasi salutare.<br />

All’inizio fu preso in considerazione il bacino prosciugato del Papoose <strong>La</strong>ke, quasi dieci<br />

chilometri a sud del Groom <strong>La</strong>ke, appena fuori del perimetro del Nevada Test Site. Ma i<br />

campioni di terreno prelevati dagli esperti rivelarono tracce di plutonio dovute alle<br />

esplosioni nucleari condotte all’interno del sito nel 19<strong>51</strong>, nel 1952 e nel 1953 otto<br />

chilometri a ovest, in un altro lago asciutto chiamato Frenchman Flat. A complicare<br />

ulteriormente le cose, il Papoose <strong>La</strong>ke era oggetto di contesa tra l’Atomic Energy<br />

Commission e due contadini locali, i fratelli Stewart. <strong>La</strong> disputa riguardava otto vacche<br />

morte 8 che erano al pascolo al Papoose <strong>La</strong>ke nel marzo del 1953 quando nelle vicinanze<br />

era stata fatta esplodere una bomba nucleare da 24 chilotoni denominata Nancy. Nancy<br />

aveva causato un fallout radioattivo sul bestiame in tutta la regione. Sedici cavalli dei<br />

fratelli Stewart erano morti per avvelenamento acuto da radiazioni, insieme alle vacche.<br />

<strong>La</strong> commissione aveva pagato agli Stewart 9 trecento dollari a cavallo, ma si rifiutava<br />

ostinatamente di risarcirli per le vacche. Anzi, un tenente colonnello del Veterinary Corps<br />

(corpo veterinario) dell’esercito, Bernard F. Trum, aveva scritto ai contadini una lunga<br />

lettera piena di paroloni sostenendo che non c’era «nulla che indicasse che [l’esplosione]<br />

fosse stata la vera causa della morte [delle vacche]». <strong>La</strong> commissione insisteva che la<br />

morte degli animali era «un caso da manuale […] di deficienza di vitamina A».<br />

I fratelli Stewart non si fecero convincere e chiesero una spiegazione comprensibile. Nel<br />

1957, mentre gli esperti di armi stavano decidendo dove eseguire il Progetto 57, la<br />

disputa era ancora irrisolta. Temendo che qualunque attenzione rivolta al Papoose <strong>La</strong>ke<br />

potesse riaccendere la controversia con i fratelli Stewart, i funzionari cancellarono la zona<br />

dalla lista dei possibili siti.<br />

L’attenzione si concentrò su un’ampia porzione di terreno pianeggiante nella valle del<br />

Groom <strong>La</strong>ke, la stessa area dove la CIA stava portando avanti il progetto U-2. Lì, a<br />

nordovest dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, c’era un appezzamento di terra perfettamente pianeggiante di 41<br />

chilometri quadrati, un territorio relativamente vergine che nessuno usava. Una ricerca<br />

d’archivio stabilì che tutti i diritti di pascolo dell’area erano “estinti”, ovvero che ai<br />

contadini e agli allevatori locali era già proibito consentire al bestiame di entrare nella<br />

zona. Poi gli addetti alla pianificazione del test fecero una ricognizione aerea del Groom<br />

<strong>La</strong>ke 10 .<br />

Il dipartimento della Difesa, che controllava l’area per conto dell’aeronautica militare, e<br />

l’Atomic Energy Commission, l’organizzazione civile che controllava il poligono, conclusero<br />

un accordo sull’utilizzo della zona. Come nel caso dell’inafferrabile <strong>Area</strong> <strong>51</strong>, anche questo<br />

pezzo di terra si trovava appena fuori dei confini legali del Nevada Test Site, in direzione


nordest. Ciò significava che il 57 Project ricadeva nella categoria delle operazioni militari,<br />

cosa che poteva contribuire a sottrarlo alle rivelazioni ufficiali dell’Atomic Energy<br />

Commission, proprio come il fatto di definirlo un test di sicurezza. Chiunque si trovasse a<br />

controllare i test nucleari pericolosi semplicemente non avrebbe saputo dove guardare.<br />

Alla fine, la scelta della zona permise addirittura al Progetto 57 di essere escluso dalle<br />

mappe ufficiali del Nevada Test Site 11 . Nel 2011 la situazione non è cambiata.<br />

Nel marzo del 1957, l’area fu isolata da un cordone in preparazione al Progetto 57. <strong>La</strong><br />

testata nucleare fu trasportata in aereo 12 dai laboratori Sandia in New Mexico alla pista di<br />

atterraggio dello Yucca <strong>La</strong>ke nella zona test e trasferita all’edificio 11, dove sarebbe<br />

rimasta fino al giorno dell’esplosione. Dal momento che avevano bisogno di una<br />

denominazione ai fini di tenere della documentazione, i funzionari decisero di chiamarla<br />

<strong>Area</strong> 13.<br />

Richard Mingus era stanco 13 . Il ventiquattrenne originario dell’Ohio stava facendo doppi<br />

turni all’hotel Sands da tre anni e quattro mesi, da quando aveva lasciato la prima linea<br />

della Guerra di Corea. Sposati da poco, Mingus e la moglie Gloria aspettavano il primo<br />

figlio. Il ristorante del Sands era di prima categoria: Richard Mingus era orgoglioso di<br />

lavorare lì. Una volta gli era persino capitato di servire Elizabeth Taylor e Eddie Fisher. Ma<br />

arrivato all’estate del 1956, la novità di sentir cantare celebrità come Frank Sinatra, Dean<br />

Martin e Sammy Davis Jr era passata in secondo piano rispetto all’incertezza economica<br />

del lavoro di cameriere.<br />

Guardandosi indietro, Mingus riflette su quel periodo della sua vita. «Era impossibile<br />

sapere cosa ti riservasse il futuro» dice. Quell’estate Richard e Gloria Mingus ricevettero<br />

un duro colpo. Il parto fu prematuro e il bambino morì in ospedale. Non avevano<br />

assicurazione sanitaria e i conti da pagare dopo la tragedia erano troppo alti per Richard.<br />

Gloria era disperata. «Avevo bisogno di un lavoro sicuro che coprisse i costi delle cure<br />

ospedaliere» spiega Mingus. «Era venuto il momento di trovarmi una professione. Così<br />

chiesi a uno dei camerieri del Sands se sapesse che cercavano qualcuno.» Mingus scoprì<br />

che il governo federale assumeva guardie della sicurezza. <strong>La</strong> mattina dopo percorse<br />

Second Avenue e Bonanza Street per andare a fare richiesta d’impiego.<br />

Mingus attese in una lunga fila insieme a centinaia di altri aspiranti per quelle che gli<br />

sembrarono ore. Il Nevada Test Site, che si trovava oltre cento chilometri a nordovest,<br />

offriva lavoro. Si diceva che pagassero bene. I test atomici, che erano iniziati cinque anni<br />

prima, nel 19<strong>51</strong>, avevano portato decine di milioni di dollari di indotto per l’economia di<br />

<strong>La</strong>s Vegas. <strong>La</strong> città aveva accettato i test soprattutto per quella ragione. Eppure era<br />

passato più di un anno dall’operazione Teapot, nel corso della quale erano stati fatti<br />

esplodere dodici ordigni, compresa una bomba nucleare sganciata da un aereo. Le<br />

controversie sul fallout, in particolare quello dello stronzio-90, il sottoprodotto della<br />

fissione dell’uranio e del plutonio, erano diventate di dominio pubblico. Per un certo<br />

periodo tra gli abitanti della zona si era addirittura parlato della possibilità di chiudere il<br />

poligono nucleare. Mentre faceva la fila, Mingus ebbe la sensazione che la chiusura del<br />

sito fosse lontanissima dal vero. E aveva ragione: gli addetti alla pianificazione dei test


stavano lavorando a pieno ritmo per realizzare la serie di test atomici più imponente mai<br />

avvenuta sul suolo degli Stati Uniti.<br />

Mingus rimase in coda per un sacco di tempo. Finalmente, un sergente gli prese le<br />

impronte digitali e gli chiese se avesse esperienza militare. Quando Mingus rispose che<br />

aveva combattuto in Corea, il sergente annuì in segno di approvazione e lo mandò in una<br />

stanza separata. Negli anni Cinquanta, <strong>La</strong>s Vegas era una città frequentata soprattutto da<br />

giocatori d’azzardo, truffatori e gente in cerca di fortuna. Il fatto che Mingus fosse un ex<br />

soldato congedato con onore lo rendeva il candidato ideale per il governo, che cercava<br />

uomini onesti cui rilasciare l’autorizzazione top-secret necessaria per un impiego<br />

riguardante gli armamenti nucleari. Mingus riempì moduli e rispose a una batteria di<br />

domande. Nel giro di poche ore gli venne offerto un lavoro. Cosa dovesse fare<br />

esattamente non era chiaro, ma la paga era oltre il doppio di quello che i camerieri più<br />

bravi guadagnavano in una serata eccezionale al Sands. Ancora più importante, gli veniva<br />

offerta una copertura sanitaria, il sogno di Gloria. Avrebbe potuto iniziare non appena<br />

fosse arrivata la sua autorizzazione top-secret, per cui ci sarebbero potuti volere cinque<br />

mesi.<br />

Richard Mingus non aveva idea che stava per diventare una delle prime guardie della<br />

sicurezza della Federal Services assegnate all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. O che il primo test nucleare per cui<br />

gli sarebbe stato chiesto di lavorare sarebbe stato il Progetto 57, la prima bomba sporca<br />

dell’America 14 .<br />

Dalle prime esplosioni atomiche dell’operazione Crossroads, nel 1946, fino all’apertura<br />

del Nevada Test Site, nel 19<strong>51</strong>, l’America aveva testato le sue armi nucleari sugli atolli e<br />

nelle isole dell’oceano Pacifico dove, in un’estesa area aperta grande all’incirca due volte<br />

il Texas, il Pentagono aveva tutta la privacy che voleva. Le isole Marshall erano a un<br />

milione di chilometri dalla psiche degli americani, cosa che rendeva facile mantenere il<br />

segreto. Ma il Pacific Proving Ground 15 era un incubo per il Pentagono in termini di<br />

movimentazione di migliaia di persone e di milioni di tonnellate di equipaggiamento<br />

avanti e indietro dagli Stati Uniti per ogni serie di test. Sorvegliare quei trasporti militari<br />

diretti nel Pacifico implicava una mobilitazione quasi bellica. <strong>La</strong> nave che trasportava il<br />

materiale nucleare ospitava a bordo anche il fior fiore dei fisici, degli scienziati e degli<br />

ingegneri nucleari degli Stati Uniti. Il prezioso cargo doveva essere costantemente<br />

sorvegliato dal cielo e scortato da cacciatorpediniere da guerra mentre navigava a<br />

zigzag 16 sull’oceano. Quando il dottor Edward Teller, l’immigrato ungherese padre della<br />

bomba a idrogeno, iniziò a chiedere un poligono nucleare 17 in America per rendere le<br />

cose più facili a tutti, da Washington non si levò quasi nessuna voce contraria. I funzionari<br />

del Pentagono, dell’Armed Forces Special Weapons Project 18 e dell’Atomic Energy<br />

Commission si dissero tutti d’accordo con Teller e cominciarono a fare pressioni sul<br />

presidente perché autorizzasse un poligono continentale.<br />

<strong>La</strong> scienza procede per tentativi ed errori, spiegò il dottor Teller. Via via che le bombe<br />

nucleari diventavano più potenti, che gli ordigni passavano da chilotoni a megatoni, gli<br />

scienziati del laboratorio nazionale di Los Alamos si ritrovavano a dover affrontare le<br />

discrepanze tra i calcoli teorici – le equazioni scritte sulla carta – e i risultati reali prodotti


dalle armi. Se il Pacific Proving Ground era lo stadio olimpico delle bombe atomiche, gli<br />

scienziati avevano bisogno di una palestra locale, un luogo dove mantenere in forma e<br />

sviluppare nuove idee. Il Nevada sarebbe perfetto, concordarono tutti quanti. Dista solo<br />

due ore di aereo da Los Alamos, New Mexico, niente in confronto alla settimana di<br />

viaggio che ci voleva per portare la gente al Pacific Proving Ground.<br />

Nel 1950, uno studio di fattibilità denominato progetto Nutmeg 19 stabilì per il<br />

presidente Truman che un’ampia zona del Nevada meridionale, una delle aree non<br />

costiere meno popolate del paese, era il posto ideale per testare armi atomiche negli<br />

Stati Uniti continentali. Il Nevada Test and Training Range divenne rapidamente un’area<br />

controllata dal governo di 12.000 chilometri quadrati. Lì c’erano «condizioni ottimali 20 dal<br />

punto di vista meteorologico e logistico» spiegava lo studio. Inoltre, c’era una pista di<br />

atterraggio a soli 11 chilometri dall’ingresso del poligono, in una base aerea del governo<br />

chiamata Indian Springs.<br />

Prima di diventare un poligono nucleare, il Nevada Test Site era stato un paradiso<br />

naturale. Negli anni Trenta, il dipartimento dell’Interno aveva dichiarato la zona riserva<br />

faunistica. Ma nel 1942 l’America fece il suo ingresso nella Seconda guerra mondiale e<br />

tutta la zona fu vietata al pubblico per essere usata dal dipartimento della Guerra.<br />

L’esercito installò un poligono convenzionale sulla porzione di territorio che in seguito<br />

avrebbe incluso il Nevada Test Site, l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e la base aerea di Nellis. Era un posto<br />

ideale per addestrare i mitraglieri di bordo, lontano dal pubblico e punteggiato di bacini<br />

lacustri prosciugati, perfetti per la pratica del tiro al bersaglio e l’atterraggio degli aerei.<br />

Dopo la fine della guerra, il poligono fu chiuso e i suoi edifici lasciati a deteriorarsi. Ma<br />

l’esercito mantenne i diritti sulla zona per un possibile uso futuro. Tale uso divenne chiaro<br />

quando 540 ettari, ossia circa un quarto dell’area offlimits, furono frazionati e denominati<br />

Nevada Test Site. Il 27 gennaio 19<strong>51</strong>, alle 5.45 del mattino, un bombardiere B-50D<br />

dell’aeronautica sganciò la prima bomba atomica sul suolo americano nel bacino di un<br />

lago asciutto chiamato Frenchman Flat, all’interno del Nevada Test Site.<br />

Edward Teller apprezzava la vicinanza del Nevada e si riferiva alle esplosioni compiute<br />

in quella zona come ai test “rapidi”. Quasi immediatamente l’Atomic Energy Commission<br />

creò un secondo laboratorio nucleare, il <strong>La</strong>wrence Radiation <strong>La</strong>boratory di Livermore, con<br />

lo scopo di entrare in competizione 21 con il laboratorio nucleare di Los Alamos. Poco dopo<br />

la nascita del centro di Livermore, gli scienziati di Los Alamos avevano iniziato a sfidare<br />

l’establishment militare riguardo a quale dovesse essere il futuro della bomba nucleare.<br />

Indifferente a quello che avevano da dire i creatori della bomba atomica, il dipartimento<br />

della Difesa reagì sviluppando Livermore. <strong>La</strong> competizione stimola la produttività;<br />

maggiore è la rivalità, più accesa sarà la competizione. In effetti, non ci volle molto<br />

perché le due strutture iniziassero a farsi la guerra per ottenere contratti sulle armi e<br />

fondi per gli studi di fattibilità. E i contratti si ottenevano inventando prototipi di nuove<br />

armi. Il dottor Teller sostenne la necessità di sperimentare con particolari “vettori”, come<br />

l’isotopo radioattivo dell’idrogeno, il trizio, che avrebbe potuto aumentare ancora la<br />

potenza delle bombe. Se uno scienziato o il suo laboratorio riuscivano a sostenere con<br />

argomentazioni sufficienti la necessità di testare una cosa del genere, l’Armed Forces<br />

Special Weapons Project e l’Atomic Energy Commission trovavano subito i fondi per farlo.


L’obiettivo era singolare: ottenere bombe della massima potenza con le dimensioni più<br />

ridotte possibili, in modo da poterle montare sul muso appuntito di uno dei missili<br />

progettati da Wernher von Braun.<br />

In soli cinque anni, dal gennaio 19<strong>51</strong> al gennaio 1956, al Nevada Test Site furono fatte<br />

esplodere 49 bombe nucleari, portando a 85 il totale delle esplosioni atomiche in<br />

atmosfera degli Stati Uniti. Fu a quel punto che Richard Mingus entrò a far parte della<br />

forza di sicurezza del Nevada Test Site e dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, giusto in tempo per l’operazione<br />

Plumbbob, la più imponente e ambiziosa serie 22 di test di armi nucleari degli Stati Uniti<br />

fino a quel momento. Il primo dei trenta test di Plumbbob in programma era il Progetto<br />

57.<br />

Nel piatto deserto del Nevada, Richard Mingus iniziò a lavorare nella sicurezza nucleare<br />

top-secret sentendosi come un pesce nell’acqua. Amava i protocolli formali e il modo in<br />

cui tutto era ordinato. «Mi feci una reputazione di duro» ricorda Mingus. Dalle checklist ai<br />

codici radio, al Nevada Test Site e all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> funzionava tutto con una precisione militare<br />

che non avrebbe potuto essergli più congeniale. Ciò che altri avrebbero potuto trovare<br />

noioso, ovvero passare lunghe ore a guardia di armi nucleari in un’estesa installazione nel<br />

bel mezzo del deserto, per Mingus era entusiasmante. Superò l’addestramento di tiro a<br />

pieni voti. Studiava i manuali con tale impegno che finì per piazzarsi tra i migliori dei<br />

compagni. Gli eccellenti risultati fecero sì che fosse uno degli unici cinque uomini scelti<br />

per sorvegliare la base top-secret sulla collina dalla Yucca Flat. <strong>La</strong> prima cosa che i<br />

dipendenti della Federal Services Incorporated imparavano era che bisognava riferirsi<br />

all’installazione unicamente come “base Delta”. Il canale radio che Mingus e i colleghi<br />

usavano poteva essere udito dalle guardie di tutto il poligono 23 . Mingus ricordava come<br />

tutto all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> funzionasse secondo protocolli d’informazione top-secret/sensitive<br />

compartmented. «Nemmeno il mio sergente era autorizzato a salire la collina per andare<br />

a Delta. Era il mio superiore ma per lui non era strettamente necessario sapere cosa<br />

stavo facendo lì» spiega Mingus. «Così, la prima volta che mi recai in auto sul posto ero<br />

curioso, guardavo fuori dal finestrino… chiedendomi cosa ci fosse davanti a me. Quando<br />

arrivammo, scoprii che non c’era nulla di fantastico. Solo una pista di atterraggio nel<br />

deserto. In seguito ci dissero che il sito era chiamato anche Watertown, ma che non<br />

avremmo mai dovuto usare quella parola. Alla radio ci riferivamo sempre alla nostra<br />

posizione chiamandola Delta.» Il primo giorno a Delta, alias <strong>Area</strong> <strong>51</strong>, Richard Mingus e i<br />

suoi quattro colleghi furono accolti da un rappresentante della sicurezza della CIA al<br />

cancello che guardava verso ovest. «Ci portò all’interno dell’area. Andammo dritti<br />

all’edificio dell’amministrazione, che era una piccola struttura di legno con un centralino<br />

telefonico su una scrivania. Il sergente mi guardò, indicò una sedia e disse: “Dick, quella<br />

è la tua postazione”.» Mingus si sentì intimidito. «Ero solo un ragazzo di campagna,<br />

guardai il telefono e pensai: “È il punto più caldo dell’avamposto, il luogo dove arrivano<br />

tutte le comunicazioni della CIA”. Non avevo mai usato un centralino prima e sapevo che<br />

se volevo tenermi il lavoro avrei dovuto imparare alla svelta. Presto capii che c’era tutto il<br />

tempo per imparare. Il telefono non suonava quasi mai. Rispondevo dicendo: “Trentadue,<br />

trentadue”. Non c’erano molte chiamate. E quando qualcuno telefonava chiedeva sempre


della stessa persona, un nome [generico] come Joe Smith, il nome in codice del<br />

comandante della base.»<br />

All’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> Mingus e i suoi colleghi facevano i turni a rotazione a quattro postazioni di<br />

sentinella: l’edificio amministrativo, la cima di un serbatoio dell’acqua alto 23 metri, e i<br />

cancelli est e ovest. Le postazioni ai cancelli erano usate per controllare l’accesso all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> da terra. In più di un’occasione, Mingus respinse quelli che lui chiama “ficcanaso<br />

dell’aeronautica”, persone che «solo perché avevano i gradi pensavano di poter entrare».<br />

<strong>La</strong> postazione in cima al serbatoio dell’acqua veniva usata per tener d’occhio il cielo.<br />

«Facevamo attenzione soprattutto a cose come elicotteri solitari o piccoli aerei, cose<br />

così» ricorda Mingus. Durante quel periodo, le guardie della sicurezza conobbero molti dei<br />

piloti degli U-2. «Volavano così bassi che potevo vederli in faccia. Si divertivano a<br />

sorvolare le nostre postazioni. Ronzavano sopra di noi e dopo essere atterrati facevano<br />

sempre una battuta sul fatto che non volevano beccarci a dormire sul posto di lavoro.»<br />

Richard Mingus faceva la guardia all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> da poco più di un mese quando gli<br />

scienziati di Los Alamos e gli ingegneri della EG&G iniziarono i preparativi finali per il<br />

Progetto 57 all’<strong>Area</strong> 13. Un supervisore al Nevada Test Site chiese a Mingus se voleva<br />

fare un bel po’ di straordinari per le settimane successive. Gli stavano chiedendo di<br />

lavorare sia all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> sia all’<strong>Area</strong> 13 per mantenere la sicurezza. Un bel po’ di<br />

straordinari significavano paga doppia e Mingus accettò. Finalmente fu decisa la data<br />

dello “sparo”, il 3 aprile. “Sparo”, come Mingus non tardò a capire, era il gergo della<br />

commissione per “detonazione nucleare”. Come richiesto da un accordo tra l’Atomic<br />

Energy Commission e lo stato del Nevada, il dipartimento della Difesa preparò un breve<br />

comunicato per la stampa. «Nell’aprile 1957 il dottor James Shreve Jr [sta] conducendo<br />

un test di sicurezza segretissimo» si leggeva sul «<strong>La</strong>s Vegas Sun». L’opinione pubblica<br />

non aveva idea che il dipartimento della Difesa e l’Atomic Energy Commission avrebbero<br />

simulato un incidente aereo con una testata nucleare XW-25 scatenando una detonazione<br />

con esplosivi ad alto potenziale nell’<strong>Area</strong> 13. Né l’avevano le persone coinvolte nel<br />

programma U-2 che vivevano nei capanni Quonset pochi chilometri a est. Gli scienziati<br />

prevedevano che la testata avrebbe rilasciato particelle radioattive di plutonio, ma dal<br />

momento che un test come quello del Progetto 57 non era mai stato fatto prima, in realtà<br />

non avevano alcuna idea precisa di ciò che sarebbe successo 24 .<br />

Gli operai disposero 25 4.000 collettori di fallout attorno a un rettangolo di 16 chilometri<br />

per 25. Si trattava di contenitori di forma circolare in acciaio zincato, detti contenitori<br />

adesivi, che erano stati spruzzati con una resina appiccicosa e dovevano servire a<br />

catturare campioni delle particelle di plutonio rilasciate nell’atmosfera. Sessantotto<br />

stazioni di analisi dell’aria equipaggiate con filtri in carta furono disseminate su una<br />

superficie di 180 chilometri quadrati. <strong>La</strong> detonazione accidentale di una testata nucleare<br />

in un’area urbana sarebbe stata molto più catastrofica di quella in una zona desertica<br />

remota come il Groom <strong>La</strong>ke, e il dipartimento della Difesa voleva testare come la<br />

superficie di una città avrebbe reagito alla contaminazione da plutonio, così furono<br />

disposti sul terreno finti marciapiedi, canaletti di scolo e pietre da pavimentazione<br />

stradale. Furono fabbricati qualcosa come 140 blocchi di asfalto e di cemento liscio, che<br />

poi vennero sparpagliati sul terreno. Per vedere come si sarebbero contaminati i veicoli


esposti al plutonio, tra i cespugli di ginepro e gli alberi di Giosuè furono parcheggiati auto<br />

e camion. Mentre si avvicinava il giorno zero, Mingus vide intensificarsi i preparativi.<br />

Enormi palloni per la raccolta di campioni d’aria furono ancorati al suolo e sospesi a varie<br />

altezze sopra l’<strong>Area</strong> 13; alcuni erano a 15 metri da terra e altri a 300 metri, e davano la<br />

sensazione di stare al circo. 9 asinelli, 109 cani, 10 pecore e 31 topi bianchi furono messi<br />

in gabbie davanti al luogo dell’esplosione. Le fotocamere rapatronic della EG&G avrebbero<br />

immortalato la nube radioattiva fin dalle prime frazioni di secondo della detonazione. A<br />

poche centinaia di metri dalla postazione di Mingus fu eretto un edificio in legno per la<br />

decontaminazione. Non era nulla di che, solo una baracca di legno «piena di<br />

equipaggiamento per le radiazioni e abbigliamento protettivo 26 , cubicoli per le docce […]<br />

con uno scaldabagno da milletrecento litri e uno spogliatoio con panche e ganci per gli<br />

abiti». Pochi giorni prima della data prevista, gli operai installarono «una passerella di<br />

legno larga settanta centimetri» e la ricoprirono di carta da pacchi.<br />

Il giorno dell’esplosione arrivò e se ne andò <strong>senza</strong> che succedesse nulla. Tutte le<br />

detonazioni nucleari dipendono dalle condizioni meteorologiche; era Madre Natura ad<br />

avere l’ultima parola sull’ora zero, non i funzionari dell’Armed Forces Special Weapons<br />

Project del Pentagono. Nel caso del Progetto 57 ci fu un problema di condizioni meteo via<br />

l’altro. Era aprile nel deserto, il che significava venti forti, pioggia battente e spesse<br />

nuvole. Per parecchi giorni il cielo minacciò neve. <strong>La</strong> seconda settimana di aprile il vento<br />

soffiò così forte che un dirigibile ancorato 20 chilometri a sud, alla Yucca Flat, si schiantò<br />

al suolo e si afflosciò. Il 19 aprile uno dei palloni del Progetto 57 si disancorò 27 ,<br />

costringendo il generale Starbird a mandare un telegramma a Washington per avvertire<br />

di una possibile catastrofe di immagine pubblica. «Un pallone di sette metri che si<br />

trascina dietro sessanta metri di cavo d’acciaio spesso tre millimetri è stato trascinato via<br />

dall’<strong>Area</strong> 13 alle 22.55 del 19 aprile u.s.» si leggeva nel laconico memorandum di<br />

Starbird. <strong>La</strong> sua «miglior stima è che il pallone si romperà da solo e cadrà all’interno dei<br />

confini del poligono di tiro di <strong>La</strong>s Vegas» e di conseguenza passerà inosservato. Ma il<br />

generale Starbird e tutti quelli coinvolti nel progetto sapevano che se il pallone fosse<br />

uscito dai confini del poligono, l’intera operazione Plumbbob sarebbe stata a rischio di<br />

cancellazione. Fortunatamente per Starbird, il pallone si schiantò al suolo all’interno del<br />

Nevada Test and Training Range.<br />

L’idea di servirsi di palloni nei test nucleari fu adottata per la prima volta in questa<br />

operazione. Nella tredicesima delle trenta esplosioni di Plumbbob previste nella<br />

primavera e nell’estate del 1957 un pallone avrebbe portato l’ordigno nucleare lontano<br />

dal suolo. In precedenza per alloggiare la bomba venivano costruite costose torri<br />

metalliche dalle quali le guardie come Richard Mingus passavano ore a lanciare<br />

aeroplanini di carta. «Avevi bisogno di qualcosa per tenere occupata la mente e<br />

distoglierla dal pensiero che la bomba cui facevi la guardia era viva e avrebbe potuto<br />

cancellare una città» dice Mingus. Per portare gli ingegneri come O’Donnell a quell’altezza<br />

– le torri in genere erano alte 90, 150 o 210 metri – in modo che potessero cablare la<br />

bomba occorreva costruire rudimentali montacarichi, anch’essi molto costosi. Una<br />

detonazione per mezzo di un pallone era molto meno dispendiosa e inoltre produceva<br />

una quantità assai inferiore di radioattività rispetto al metallo vaporizzato. Per l’opinione


pubblica, tuttavia, la sicurezza di agganciare le bombe nucleari a un pallone faceva<br />

sorgere l’ovvia domanda: cosa sarebbe successo se il pallone fosse stato trascinato via?<br />

Finalmente, nelle prime ore del mattino del 24 aprile il tempo migliorò e fu dato il via<br />

libera al Progetto 57. Alle 6.27, ora locale, la testata nucleare fu innescata manualmente<br />

da un addetto della EG&G 28 , simulando un incidente aereo <strong>senza</strong> far schiantare sul serio<br />

un velivolo. Il fallout era previsto verso nord 29 . Quando la polvere della piccola nube<br />

radioattiva si depositò, il plutonio era sparso su un’area di 358 ettari adiacente al Groom<br />

<strong>La</strong>ke. Mingus dice: «Non fu spettacolare. Non ci fu una grande palla di fuoco. Ma la<br />

quantità di radiazioni era enorme, il che la rendeva disgustosa. Ricordo quanto fosse<br />

sporco».<br />

<strong>La</strong> bomba era sporca sul serio 30 . Il plutonio, se inalato, è uno degli elementi più letali<br />

che l’uomo conosca. A differenza di altre radiazioni che il corpo riesce a sopportare a<br />

bassi dosaggi, come per esempio i raggi X, un milionesimo di grammo di plutonio può<br />

uccidere un essere umano se raggiunge i suoi polmoni. Secondo una richiesta fatta nel<br />

1982 dalla Defense Nuclear Agency per un “estratto” non classificato del rapporto<br />

originale 31 , la maggior parte del quale resta segreta e riservata, i test del Progetto 57<br />

confermarono agli scienziati che se una persona inala plutonio «esso si distribuisce<br />

soprattutto nelle ossa e rimane lì indefinitamente per tutta la durata della vita umana. È<br />

impossibile sottrarsi ai suoi effetti perché l’emivita alfa del plutonio-239 32 è dell’ordine di<br />

ventimila anni». Questi dati erano il risultato di numerosi test eseguiti sugli asini, i cani,<br />

le pecore e i topi morti che erano stati esposti alla bomba sporca. Allora perché Richard<br />

Mingus non era morto?<br />

Lo stesso rapporto rivelava che «i campioni di aria indicavano elevate concentrazioni di<br />

plutonio in sospensione notevolmente lontano in direzione sottovento» 33 . Il plutonio è un<br />

veleno paradossale. Può essere toccato <strong>senza</strong> conseguenze letali. Poiché emette<br />

particelle alfa, la forma più debole di radiazioni, è possibile evitare che il plutonio penetri<br />

nell’organismo semplicemente con uno strato di carta o uno strato di pelle. Parimenti<br />

incongruo è il fatto che il plutonio non è necessariamente letale se ingerito. «Una volta<br />

nello stomaco, la permanenza nel corpo è breve, poiché [le particelle] sono espulse come<br />

materiale inerte <strong>senza</strong> essere praticamente assimilate» dice un altro rapporto. In<br />

sostanza, il plutonio è mortale per gli uomini e gli animali solo se le particelle<br />

raggiungono la parte bassa dell’apparato respiratorio.<br />

Mingus non respirò nessuna particella mentre faceva turni di dieci-dodici ore a guardia<br />

di una desolata estensione di terra tra l’<strong>Area</strong> 13 e l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, sorvegliando due dei progetti<br />

più classificati della storia americana del secondo dopoguerra: il Progetto 57 e Aquatone,<br />

gli U-2. Mentre passavano le settimane e le particelle di plutonio del Progetto 57 si<br />

depositavano sul terreno desertico, Mingus vide uomini di Sandia, della Reynolds Electric<br />

and Engineering Company e della EG&G entrare e uscire dal sito contaminato.<br />

Indossavano mascherine e sigillavano con il nastro adesivo i punti in cui gli abiti<br />

toccavano la pelle. Passavano oltre un piccolo cartello di metallo che diceva NON ENTRARE,<br />

AREA CONTAMINATA trasportando contenitori, nutrendo gli animali ancora vivi e rimuovendo<br />

quelli morti o moribondi. Sostituivano i filtri esauriti con altri nuovi e poi tornavano al<br />

laboratorio e all’obitorio degli animali del Nevada Test Site. Nel frattempo, Mingus


osservava in alto i piloti degli U-2 fare i loro ultimi voli di prova, accumulando quante più<br />

ore di volo possibili prima delle missioni vere. Presto quei piloti sarebbero stati mandati<br />

oltreoceano, assegnati a basi segrete per compiere missioni pericolose che tecnicamente<br />

non esistevano e di cui l’opinione pubblica non avrebbe saputo nulla per decenni.<br />

I dati ottenuti dal Progetto 57 confermarono al dipartimento della Difesa quello che già<br />

sapeva. «Il plutonio ha un’emivita di ventiquattromila anni. Non scompare.» Una volta<br />

infiltrato nel suolo, tende a rimanere dov’è. «Ci sono pochi esempi di riduzione del<br />

plutonio nel tempo. Esiste una scarsa tendenza a cambiare posizione (profondità) con il<br />

passare del tempo.» A patto che una persona non inali particelle di plutonio, e a patto<br />

che il plutonio non entri nella circolazione sanguigna o nelle ossa, una persona può<br />

attraversare un ambiente zeppo di plutonio e vivere fino a ottant’anni; Richard Mingus ne<br />

è un esempio.<br />

Dopo un anno dall’esplosione della bomba sporca, gli scienziati erano soddisfatti dei<br />

loro dati preliminari e il Progetto 57 si esaurì. <strong>La</strong> zona dell’<strong>Area</strong> 13 fu recintata con del<br />

semplice filo spinato. Sui paraurti e sui cofani dei veicoli dell’Atomic Energy Commission<br />

furono attaccati adesivi con scritto MATERIALI CONTAMINATI , dopodiché vennero seppelliti. Gli<br />

indumenti contaminati con «materiale che emette radiazioni alfa furono sigillati in sacchi<br />

di plastica e sotterrati nell’area contaminata». Eppure, nell’estate del 1958 il direttore del<br />

Progetto 57, il dottor James Shreve, firmò un rapporto molto preoccupante – uno di quelli<br />

classificati come segreto e riservato – notando che il gruppo addetto alle misurazioni<br />

aveva fatto un’osservazione potenzialmente letale: i vermi contaminati dal plutonio<br />

dell’<strong>Area</strong> 13, o gli uccelli che avevano mangiato quei vermi, a un certo punto del futuro<br />

sarebbero potuti arrivare in un giardino lungo la strada o sugli alberi di un altro campo.<br />

«L’idea di un progetto completamente separato sull’ecologia dell’<strong>Area</strong> 13 è venuta in<br />

mente a [nome illeggibile] nell’estate del 1957» scrisse Shreve «ma il gruppo AEP/UCLA che<br />

avrebbe potuto logicamente intraprendere questa ricerca era troppo impegnato con<br />

l’operazione Plumbbob per considerare di poterlo fare.» Le 29 bombe nucleari rimanenti<br />

del progetto Plumbbob avrebbero avuto la precedenza su qualunque genere di tentativo<br />

mirante a limitare i danni causati dalla prima serie di test. Nel deserto, uomini con uno<br />

straordinario potere e calendari punitivi lavoravano <strong>senza</strong> alcuna vera supervisione.<br />

Bisognò aspettare la fine del 1998 perché all’<strong>Area</strong> 13 fosse rimosso lo strato superficiale<br />

di terreno. A quel punto, i vermi della zona, e gli uccelli che quei vermi avevano<br />

mangiato, avevano trasportato il terreno contaminato dal plutonio a chissà quale distanza<br />

per oltre quarant’anni.<br />

Messo da parte il problema della contaminazione da plutonio, l’Armed Forces Special<br />

Weapons Project iniziò a darsi da fare con le rimanenti serie di test nucleari in atmosfera<br />

del 1957. Era una manna per l’economia di <strong>La</strong>s Vegas, poiché portava milioni di dollari in<br />

risorse e lavoro. Ciascun test costò circa tre milioni di dollari – che al cambio del 2011<br />

equivalgono a 76 milioni – sebbene sia impossibile sapere a che cosa si riferisse<br />

esattamente questa cifra.<br />

Durante l’operazione Plumbbob quasi settemila civili ricevettero autorizzazioni di<br />

sicurezza per lavorare al poligono, mentre un numero di impiegati del dipartimento della<br />

Difesa compreso tra 14.000 e 18.000 (le cifre ufficiali discordano) partecipò al progetto.


Tuttavia, nonostante tutto il denaro riversato su <strong>La</strong>s Vegas, il dibattito sul fallout<br />

minacciò di cancellare i test. Soltanto due settimane prima che il Progetto 57<br />

contaminasse con il plutonio 358 ettari di terreno attorno al Groom <strong>La</strong>ke, il premio Nobel<br />

Linus Pauling fece una dichiarazione che spaventò l’opinione pubblica e rischiò di far<br />

saltare i test. Pauling disse 34 che come conseguenza delle detonazioni nucleari l’un per<br />

cento dei bambini nati l’anno successivo avrebbero presentato gravi difetti congeniti.<br />

L’Atomic Energy Commission rispose facendo mettere in evidenza sui mezzi<br />

d’informazione le opinioni dei propri specialisti. Il dottor C.W. Shilling, vicedirettore di<br />

biologia e medicina dell’AEC, schernì Pauling sostenendo che «i bagni troppo caldi possono<br />

danneggiare le ghiandole sessuali umane tanto quanto il fallout radioattivo assorbito<br />

negli ultimi cinque anni a causa dei test atomici». In retrospettiva, si tratta di un errore<br />

grossolano, ma all’epoca era quello che gli americani volevano credere.<br />

Quasi tutti i giornali del paese si occuparono del dibattito, spesso presentando opinioni<br />

diametralmente opposte in articoli impaginati uno accanto all’altro. Ci furono proteste in<br />

tutta Europa. Il Giappone cercò di far cancellare i test. Il primo ministro indiano<br />

Jawaharlal Nehru definì i test una “minaccia” e, in un appello personale al presidente<br />

Eisenhower, dichiarò che se non fossero stati interrotti la Terra sarebbe stata gettata in<br />

un «pozzo di disastri». Lo scienziato sovietico Fedorov accusò pubblicamente gli Stati<br />

Uniti di sviluppare un’arma che avrebbe causato siccità e inondazioni. Per contrastare la<br />

campagna mirante a fermare i test, l’Atomic Energy Commission mise in campo la<br />

macchina della propaganda. Personaggi pittoreschi come Willard Frank Libby, uno dei<br />

massimi scienziati dell’agenzia soprannominato il “Wild Bill della bomba atomica”,<br />

insistettero che «la scienza è come l’arte. Bisogna dedicarvisi altrimenti si perde<br />

l’ispirazione. I test sono un rischio minimo». Alla fine i sostenitori delle armi atomiche<br />

l’ebbero vinta. Quando venne annunciato che la serie Plumbbob aveva ricevuto<br />

l’approvazione del presidente, il comunicato stampa descrisse i 24 test nucleari (gli altri<br />

sei erano denominati “test di sicurezza”) come «test a basso potenziale», assicurando che<br />

nessuno avrebbe superato i «trenta chilotoni». I sei “test di sicurezza” non venivano<br />

menzionati. <strong>La</strong> potenza delle bombe fatte esplodere nel Pacifico (che si calcolava in<br />

megatoni) aveva distorto il concetto di distruzione atomica. <strong>La</strong> bomba di Hiroshima, che<br />

aveva ucciso 70.000 persone all’istante e un numero compreso fra 30.000 e 50.000 a<br />

causa dell’avvelenamento da radiazioni nei giorni immediatamente successivi, era<br />

potente meno della metà di ciò che il governo statunitense adesso definiva “basso<br />

potenziale”.<br />

I test erano importanti, disse il presidente ai cittadini. Il governo aveva necessità di<br />

compilare la propria «enciclopedia delle informazioni nucleari». L’esercito aveva bisogno<br />

che i soldati si esercitassero in “manovre” su un campo di battaglia nucleare e di<br />

osservare come gli uomini si comportavano nell’eventualità di un conflitto atomico. Il<br />

governo doveva sapere: a che distanza poteva essere condotta una jeep militare<br />

attraverso l’onda d’urto dell’esplosione? Che effetti avrebbe avuto una detonazione<br />

atomica su una collina? E in una valle? Che effetti si sarebbero registrati su elicotteri,<br />

dirigibili e aeroplani che volavano vicini a un fungo atomico? Il Pentagono se lo<br />

chiedeva 35 e aveva bisogno di scoprirlo. E così, nel deserto quasi spopolato del Nevada


meridionale, i test Plumbbob andarono avanti come previsto.<br />

Dopo il Progetto 57, la prima esplosione nucleare della serie a formare un fungo<br />

atomico fu denominata “Boltzmann” e avvenne il 28 maggio 1957. Aveva una potenzialità<br />

di 12 chilotoni, più o meno la stessa della bomba di Hiroshima, e causò l’evacuazione<br />

temporanea del personale dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> 36 , distante 17,5 chilometri. <strong>La</strong> bomba fu descritta<br />

in un comunicato stampa semplicemente come un «dispositivo del laboratorio scientifico<br />

di Los Alamos». Il 9 giugno 1957 il «New York Times» pubblicò il «programma parziale»<br />

dei test atomici dell’operazione Plumbbob in modo che i turisti desiderosi di vedere un<br />

fungo atomico potesse pianificare il proprio itinerario. «È il momento migliore della storia<br />

per il passatempo inedito ma nondimeno onorevole dell’osservazione della bomba<br />

atomica» disse il «New York Times». Secondo Richard Mingus, sembrava che gli ufficiali di<br />

grado elevato della CIA all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> non concordassero con l’affermazione dell’autorevole<br />

quotidiano. «Dopo che un’esplosione fece tremare davvero la zona, alcuni di loro<br />

saltarono su un aereo privato e se la filarono a tutta velocità.» Un rapporto declassificato<br />

nel 1993 riportava i danni: «L’esplosione ha deformato le porte degli hangar, ha mandato<br />

in frantumi le finestre nella sala mensa e ha rotto una griglia di ventilazione nel<br />

dormitorio». Il personale dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> fu evacuato di nuovo. Né Richard Bissell né la sua<br />

squadra erano preparati a simili effetti e di certo non li ritenevano normali. Se l’agenzia<br />

abbia protestato o si sia lamentata rimane classificato, ma gli U-2 furono spostati in fretta<br />

a nord, alla base di Edwards in California, e nascosti negli hangar. Nulla avrebbe fermato<br />

l’Atomic Energy Commission e i suoi test. L’operazione Plumbbob era in pieno<br />

svolgimento.<br />

Poi arrivò la bomba Hood.<br />

Era la notte del 5 luglio 1957. Richard Mingus si stava apprestando a raggiungere il<br />

poligono per prendere servizio, preparandosi per quello che sapeva sarebbe stato un<br />

giorno lunghissimo. L’esplosione era grossa; così grossa che la commissione aveva già<br />

evacuato tutti dall’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Erano rimasti solo i guardiani. <strong>La</strong> mattina della bomba Hood,<br />

Mingus imboccò la Highway 95 e percorse gli oltre cento chilometri che lo separavano dal<br />

cancello principale di Camp Mercury, all’estremità meridionale del poligono. Era circa l’una<br />

e mezzo di mattina. <strong>La</strong> detonazione era prevista per il mattino presto, all’<strong>Area</strong> 9. Sul<br />

sedile accanto al suo Mingus aveva il pranzo, che Gloria gli preparava sempre mettendolo<br />

in un piccolo portavivande di legno. Dentro c’erano un sandwich, un apriscatole e una<br />

lattina del cibo preferito di Mingus: lo spezzatino di carne. Dopo aver oltrepassato i<br />

cancelli del poligono, Mingus parcheggiò e trasferì le sue cose su un camion dell’Atomic<br />

Energy Commission. Poi percorse la strada familiare che lo portava da Camp Mercury al<br />

punto di controllo. Prima si fermò al magazzino del ghiaccio, dove riempì d’acqua una<br />

tanica da venti litri aggiungendo un grosso pezzo di ghiaccio. «Le dimensioni della bomba<br />

Hood erano un’informazione classificata, ma tutti sapevano che sarebbe stata davvero<br />

grossa» spiega Mingus.<br />

Cinque chilometri a nord, all’<strong>Area</strong> 9, l’esercito avrebbe condotto centinaia di test<br />

durante e immediatamente dopo l’esplosione. Settanta maiali di razza Chester White con<br />

indosso uniformi militari furono chiusi in gabbie piazzate a poca distanza dal punto zero. I


maiali erano stati anestetizzati per evitare il dolore delle ustioni da radiazioni beta.<br />

L’esercito voleva stabilire quale stoffa avrebbe resistito meglio all’esplosione di una<br />

bomba atomica. Molto più arretrati, sdraiati in trincee, si trovavano cento soldati, che<br />

avrebbero preso parte a esperimenti scientifici della durata di ventiquattro ore. In<br />

documenti classificati che ho ottenuto, gli scienziati si riferivano a questi esperimenti<br />

chiamandoli progetto Indoctrination 37 . Una commissione sulle risorse umane conduceva<br />

questi test sui soldati per stabilire come avrebbero reagito psicologicamente di fronte<br />

all’esplosione di una bomba nucleare. <strong>La</strong> commissione 38 voleva studiare la “psicologia del<br />

panico” e poi mettere a punto “programmi di ingegneria emotiva” per i soldati da usare in<br />

futuro.<br />

Un secondo battaglione di 2.100 soldati era stato dispiegato in una posizione ancora<br />

più arretrata, all’<strong>Area</strong> 4 e all’<strong>Area</strong> 7, con il compito di simulare «un attacco da parte di<br />

forze nemiche 39 contro <strong>La</strong>s Vegas, della durata di quattro giorni». Un chilometro e mezzo<br />

a sud, 250 marines avrebbero eseguito esercitazioni combinate aria-terra usando un<br />

trattore anfibio chiamato LVTP5, evoluzione del veicolo da sbarco LVT impiegato nel<br />

Pacifico nel corso della Seconda guerra mondiale, un «mostro corazzato capace di portare<br />

i marines sulla spiaggia <strong>senza</strong> che si bagnassero i piedi». Partecipavano alle manovre<br />

anche decine di elicotteri. Erano presenti divisioni mediche, incaricate di studiare la<br />

“biologia dell’esplosione” per stabilire gli effetti primari e secondari di mattoni, legno e<br />

vetro scagliati in aria. Erano stati costruiti diversi tipi di edifici per capire quali avrebbero<br />

resistito meglio a una detonazione nucleare: legno o cartongesso; muratura o metallo;<br />

tegole di amianto o tetto catramato. <strong>La</strong> Federal Civilian Defense Administration<br />

(Amministrazione federale per la difesa civile) stava testando diversi tipi di rifugi e<br />

gallerie sotterranee. Una delle strutture misurava 27 metri per 27 e aveva una porta<br />

rinforzata pesante un centinaio di tonnellate montata su una rotaia.<br />

Richard Mingus era al posto di controllo quando la bomba Hood esplose con tutta la<br />

potenza dei suoi 74 chilotoni. Quasi subito dopo la detonazione, arrivò una chiamata per<br />

il capo di Mingus, il sergente May. C’era un grosso problema di sicurezza, dissero a May.<br />

L’Atomic Energy Commission si era dimenticata di far sorvegliare l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e May aveva<br />

bisogno che Mingus si recasse immediatamente all’installazione evacuata. «Quando il<br />

sergente May mise giù il telefono si girò verso di me e disse: “Vai al deposito<br />

antiradiazioni, prendi un contatore Geiger e raggiungi prima che puoi l’edificio 23”.»<br />

Mingus obbedì agli ordini. Saltò sul camion dell’Atomic Energy Commission e si diresse a<br />

tutta velocità verso l’edificio 23.<br />

A essere classificato non era solo il potenziale di Hood; lo era anche il fatto che,<br />

nonostante l’Atomic Energy Commission avesse dichiarato che non stava testando bombe<br />

termonucleari, Hood era una bomba all’idrogeno. Hood era sei volte più potente della<br />

bomba sganciata su Hiroshima e nel 2011 rimane l’ordigno più potente mai fatto<br />

esplodere sul territorio continentale degli Stati Uniti. Il lampo della detonazione fu visibile<br />

dal Canada al Messico e fino a 800 miglia dalla costa. «L’esplosione fu così potente che<br />

mentre illuminava l’oscurità che precede l’alba fu avvertita e vista nella maggior parte<br />

dell’Ovest degli Stati Uniti» riferì la United Press International. L’onda d’urto ci mise 25<br />

minuti ad arrivare a Los Angeles, 560 chilometri a ovest. Più o meno nel momento in cui


l’esplosione si faceva sentire a Los Angeles, Richard Mingus arrivò all’edificio 23, un<br />

robusto bunker di cemento che ospitava gli addetti alla sicurezza radioattiva durante le<br />

esplosioni. In lontananza, Mingus vide che un’ampia zona del deserto era in fiamme 40 .<br />

«Sai cos’è Delta?» gli chiese l’uomo che stava nell’edificio 23.<br />

«Ho lavorato lì molte volte» rispose Mingus.<br />

«Prendi un altro dei tuoi e vai là» disse l’uomo. «Cercati una zona con le radiazioni più<br />

basse e metti un posto di blocco tra il poligono e Delta.» L’Atomic Energy Commission<br />

poteva anche aver evacuato tutti gli uomini dall’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per il test nucleare, ma sul posto<br />

rimanevano edifici interi pieni di informazioni segrete. Il fatto che l’installazione non fosse<br />

fisicamente sorvegliata da una guardia era stata una svista. Adesso a Richard Mingus<br />

veniva chiesto di tappare la falla nella sicurezza.<br />

Mingus guidò velocemente attraverso il poligono diretto a nord, verso l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. «Tutta<br />

la Bandit Mountain era in fiamme» spiega Mingus, riferendosi alle basse colline tra il<br />

Papoose <strong>La</strong>ke e la Yucca Flat. «Si vedevano bruciare gli alberi di Giosuè.» Mingus<br />

continuò a guidare, andando più veloce che poteva <strong>senza</strong> schiantarsi. Ma per raggiungere<br />

la sua destinazione doveva passare dritto in mezzo al punto zero. «Sulla strada c’erano<br />

rocce e massi giganteschi scagliati dall’esplosione» racconta Mingus. «Avevo i finestrini<br />

chiusi e guidavo a rotta di collo e il contatore Geiger era impazzito. Avevo paura di<br />

andare troppo veloce e di avere un incidente proprio lì, il che non sarebbe stato il<br />

massimo. Al posto di guardia tre ottantacinque il contatore Geiger gracchiava in modo<br />

assordante. Ricordo chiaramente che leggeva otto virgola cinque rad [non esattamente<br />

una quantità sicura]. Avevamo già disattivato quella postazione a causa della bomba e<br />

adesso faceva troppo caldo per stare lì, perciò risalii la collina in direzione dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.»<br />

Quando Mingus arrivò al Groom <strong>La</strong>ke il contatore Geiger finalmente smise di strepitare.<br />

Erano passati circa quindici minuti da quando la bomba era esplosa. Avendo raggiunto i<br />

15.000 metri d’altezza, a quel punto il fungo era già fluttuato sopra l’<strong>Area</strong> 13 e l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Molto probabilmente adesso era da qualche parte sopra lo Utah. «Quando mi fermai<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, sembrava una città fantasma» ricorda Mingus. «Installai una postazione<br />

rivolta verso ovest. Potevo vedere lontano. L’altra guardia arrivò subito dopo. Lui si mise<br />

alla torre di controllo e io rimasi nel camion, parcheggiato sulla strada con il muso rivolto<br />

a ovest.» Mingus era a meno di sedici chilometri dal punto zero, dove la bomba era<br />

esplosa soltanto un’ora prima. L’onda d’urto aveva investito l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> con tale violenza da<br />

deformare le porte di metallo di parecchi degli edifici rivolti a occidente, incluso un<br />

hangar della manutenzione e un magazzino di scorte. <strong>La</strong> cenere radioattiva pioveva dal<br />

cielo. Eppure, nonostante il fallout nucleare, la sicurezza aveva la precedenza. Mingus<br />

bevve dalla tanica e aspettò che il fumo dell’esplosione si diradasse. Mangiò il sandwich<br />

che Gloria gli aveva preparato e guardò bruciare le colline. Dopo parecchie ore, prese la<br />

lattina di stufato e l’aprì con l’apriscatole che Gloria non dimenticava mai di mettergli nel<br />

portavivande. Mingus scese dal camion e aprì il cofano. Mise la lattina sul blocco motore e<br />

la mescolò con un cucchiaio. Si scaldò nel giro di pochi minuti. Mingus tornò al camion per<br />

controllare che la radio funzionasse. «Delta è sicuro» disse prima di mettersi comodo per<br />

mangiare lo stufato. Per il resto della giornata e buona parte della notte, ogni mezz’ora lo<br />

chiamavano alla radio dal punto di controllo per chiedergli se era tutto “okay”. Ogni volta,


Mingus diceva al suo capo che il Groom <strong>La</strong>ke era sicuro. Non vide un’anima tutto il giorno.<br />

Quando si fece buio, il fuoco aveva divorato tutto e gli alberi di Giosuè erano scheletri<br />

fumanti. Il territorio del poligono era stato scelto bene: per la maggior parte c’erano solo<br />

cespugli di creosoto e sabbia. Le piante erano bruciate e la sabbia, dopo essere stata<br />

sottoposta a una temperatura di quasi 3.000 °C, si era fusa in pezzetti di vetro. Tra il<br />

fallout e i danni alle strutture, l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era diventata inabitabile 41 . Dopo Hood,<br />

l’installazione classificata brulicante di attività si era trasformata in una città fantasma nel<br />

giro di una notte, un po’ com’era accaduto alle città minerarie che l’avevano preceduta un<br />

secolo prima. Il futuro della base segreta era, quasi alla lettera, appeso a un filo.


Capitolo 7<br />

DA CITTÀ FANTASMA A CITTÀ<br />

DEL BOOM 1<br />

Dopo la serie di test Plumbbob, l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> diventò una città fantasma. Si sa pochissimo di<br />

cosa successe alla base della CIA nel periodo che va dall’estate del 1957 all’estate del<br />

1959. Secondo Richard Mingus, all’installazione del Groom <strong>La</strong>ke vivevano un paio di<br />

custodi, marito e moglie. Non è stato possibile trovare alcuna traccia dei loro nomi. Si sa<br />

solo che dopo la sospensione delle operazioni all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> causata dall’operazione<br />

Plumbbob, addetti dell’Atomic Energy Commission percorsero le colline e le vallate muniti<br />

di contatori Geiger per misurare il fallout radioattivo 2 . Per quanto sia impossibile<br />

immaginarselo oggi, all’epoca non esistevano tute di protezione per chi lavorava in<br />

ambienti contaminati da armi di distruzione di massa. Gli addetti setacciarono il deserto<br />

indossando tutte bianche da laboratorio e scarpe da lavoro 3 , in cerca delle particelle del<br />

fallout radioattivo. Secondo documenti dell’Atomic Energy Commission resi pubblici nel<br />

1993, i resti radioattivi erano costituiti da pezzi di metallo le cui dimensioni variavano<br />

dalla capocchia di uno spillo alla punta di una matita 4 .<br />

Con grande sorpresa degli scienziati nucleari 5 , i test con le armi atomiche rivelarono<br />

che talvolta nei primi millisecondi successivi all’esplosione l’energia sprigionata dalla<br />

reazione atomica scagliava pezzi della torre che sosteneva la bomba lontani dal calore<br />

intenso, intatti, prima che potessero essere vaporizzati. Questi frammenti altamente<br />

radioattivi venivano quindi trasportati dalla nube e depositati in luoghi come il Groom<br />

<strong>La</strong>ke, dove gli addetti dell’Atomic Energy Commission riuscivano a localizzarli servendosi<br />

di magneti 6 . Mentre gli uomini misuravano il fallout, i progettisti andavano avanti 7 con i<br />

preparativi per la successiva serie di test atomici, che avrebbe avuto luogo l’autunno<br />

successivo. L’operazione Hardtack II avrebbe avuto dimensioni persino maggiori di<br />

Plumbbob, in termini di numero di esplosioni. Dal 12 settembre al 30 ottobre 1958 furono<br />

fatte esplodere ben 37 bombe nucleari: dalla cima di alte torri, in gallerie e pozzi, sul<br />

terreno e appese a palloni. Il punto zero delle esplosioni sarebbe stato alle Aree 3, 5, 7,<br />

8, 9, 12 e 15, tutte entro un raggio di 30 chilometri dall’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Pressoché abbandonata dalla CIA e lasciata in balia degli elementi, l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> che un<br />

tempo ferveva di attività assunse un aspetto sinistro, postapocalittico. Le guardie del<br />

poligono facevano occasionali perlustrazioni, ma tutto il materiale classificato era stato<br />

portato via. Mentre il paesaggio arido era esposto al fallout, gli animali 8 attorno al Groom<br />

<strong>La</strong>ke soffrivano terribilmente. Cavalli selvatici, cervi e conigli vagavano attorno agli


hangar abbandonati e alle basi aeree deserte ricoperti di ustioni da radiazioni beta: le<br />

lesioni cutanee causate dall’avvelenamento radioattivo di cui avevano sofferto moltissime<br />

persone e animali a Hiroshima e Nagasaki dopo la guerra. Fu sempre in questo periodo<br />

che si verificarono rare violazioni dello spazio aereo ristretto sopra l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Il 28 luglio<br />

1957 un pilota della Douglas Aircraft Company di nome Edward K. Current fece quello che<br />

definì un atterraggio di emergenza sull’ex pista di volo degli U-2 9 nei pressi del Groom<br />

<strong>La</strong>ke. Il signor Current disse ai funzionari dell’Atomic Energy Commission che lo<br />

interrogarono che stava compiendo un volo di prova da una parte all’altra del paese<br />

quando si era perduto e aveva finito il carburante. Fu trattenuto per una notte e poi<br />

rilasciato. Il giorno dopo, contrariamente alle sue abitudini, la Nevada Test Organization<br />

emanò un comunicato stampa affermando che un pilota privato era atterrato per errore<br />

sulla «pista di Watertown». Il signor Current non parlò mai pubblicamente della sua<br />

strana visita e rimane l’unico civile che, oltre a essere atterrato non invitato all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> su<br />

un aereo privato, è sceso e se n’è andato in giro.<br />

Nel frattempo, a Washington, Richard Bissell aspettava l’approvazione presidenziale per<br />

pianificare altri voli con gli U-2 che stazionavano in basi segrete della CIA oltreoceano. E<br />

sulla West Coast, a Burbank, California, Kelly Johnson della Lockheed era impegnatissimo<br />

a disegnare progetti per il nuovo aereo spia. Se Johnson fosse riuscito ad assicurarsi il<br />

contratto della CIA cui stava lavorando insieme a Bissell, probabilmente la Lockheed<br />

avrebbe passato il decennio successivo all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Ma quello di cui Johnson aveva<br />

davvero bisogno a quel punto era un mago dell’area equivalente radar.<br />

Era il settembre 1957 e Edward Lovick era 10 alla postazione di pattern d’antenna della<br />

Lockheed impegnato in prove con gli echi radar quando fu avvicinato da Kelly Johnson<br />

che voleva parlargli. Lovick, che all’epoca aveva 38 anni, era noto fra i colleghi come<br />

l’uomo radar. <strong>La</strong> tecnologia radar era ancora piuttosto recente, ma all’epoca Lovick ne<br />

sapeva più di chiunque altro alla Lockheed.<br />

«Le piacerebbe lavorare su un progetto interessante?» gli chiese il capo. Nei suoi otto<br />

anni e mezzo alla Lockheed, Lovick non aveva mai visto Kelly Johnson. Il progetto sul<br />

quale gli stava chiedendo di lavorare, disse Johnson a Lovick, sarebbe durato sei<br />

settimane. Invece andò avanti 32 anni. Sebbene all’epoca Lovick non ne avesse idea, lo<br />

stavano invitando a entrare nel gruppo classificato della Lockheed, denominato<br />

ufficialmente Advanced Development Projects (Progetti di sviluppo avanzato), ma<br />

ribattezzato Skunk Works. Nel 1957 il suo principale cliente era la CIA.<br />

Lovick ottenne l’autorizzazione top-secret e venne informato riguardo all’U-2. Seppe<br />

della morte di Robert Sieker all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, avvenuta solo quattro mesi prima. «Il mio primo<br />

compito alla Lockheed era diretta conseguenza di quella tragedia» ricorda Lovick. <strong>La</strong><br />

morte di Sieker giocò un ruolo inaspettato nell’invenzione dell’applicazione militare più<br />

significativa del ventesimo secolo e fece sì che Ed Lovick divenisse celebre come il padre<br />

dello stealth 11 . Quello che il gruppo di Boston aveva tentato – aggiungere caratteristiche<br />

di invisibilità a un aereo esistente per mezzo di una speciale vernice – si era dimostrato<br />

inefficace. Ma presto Lovick e la sua squadra scoprirono che l’invisibilità si poteva<br />

ottenere se la si progettava fin dall’inizio.<br />

«Lo scopo dello stealth, o tecnologia antiradar» spiega Lovick «è di impedire al nemico


di vedere un aereo, di individuarlo sul radar, e perciò di abbatterlo. L’obiettivo è<br />

ingannare le difese antiaeree del nemico mimetizzandosi o nascondendosi.» Il<br />

camuffamento è uno dei pilastri fondamentali della forza militare fin da quando l’uomo ha<br />

inventato le prime armi. Gli U-2 della Lockheed venivano individuati dall’Unione Sovietica<br />

perché non avevano camuffamento né tecnologia antiradar, sicché i russi non solo li<br />

vedevano ma erano in grado di seguirli per tutta la rotta.<br />

Per sopravanzare i sovietici, Richard Bissell immaginò un nuovo aereo spia capace di<br />

sfuggire ai loro radar. <strong>La</strong> CIA voleva un aereo con un’area equivalente radar così bassa da<br />

essere quasi invisibile, sulla base dell’assunto che i russi non avrebbero potuto sollevare<br />

obiezioni a qualcosa che non sapevano nemmeno esistesse.<br />

L’aereo sarebbe stato radicalmente diverso 12 da qualunque cosa si fosse mai vista<br />

prima. Avrebbe sconfitto la tecnologia radar sovietica su tre fronti: altitudine, velocità e<br />

invisibilità. L’aereo doveva volare a oltre 27.000 metri di quota e alla velocità <strong>senza</strong><br />

precedenti di 3.575 chilometri orari, o Mach 3. Alla fine degli anni Cinquanta, che un<br />

aereo potesse volare anche solo a una velocità di Mach 2 era inaudito. <strong>La</strong> velocità offriva<br />

copertura. Nell’eventualità in cui un velivolo che viaggiava a Mach 3 fosse stato<br />

individuato da un radar, la velocità avrebbe reso estremamente difficile abbatterlo. Un U-<br />

2, che volava a circa 800 chilometri orari, sarebbe stato visto da un’installazione di missili<br />

sovietici SA-2 circa dieci minuti prima che fosse a portata di tiro, e sarebbe rimasto a<br />

portata di tiro per ben cinque minuti. Un aereo che viaggiava a Mach 3 sarebbe stato<br />

individuato da un radar sovietico meno di 120 secondi prima che arrivasse a portata di<br />

tiro e sarebbe rimasto nel raggio d’azione della contraerea per meno di 20 secondi. Una<br />

volta chiusa quella finestra temporale 13 , sarebbe stato troppo vicino perché un missile<br />

sovietico potesse colpirlo. Il missile non avrebbe potuto inseguirlo perché, anche se<br />

all’epoca la velocità massima dei missili era di Mach 3,5, una volta arrivato nella<br />

stratosfera perdeva in velocità e precisione 14 . Abbattere un aereo che volava a una<br />

velocità tripla rispetto a quella del suono a 27.000 metri di quota equivaleva a cercare di<br />

colpire un proiettile che passava sfrecciando a 27 chilometri di distanza con un altro<br />

proiettile.<br />

<strong>La</strong> Lockheed era fiduciosa riguardo all’elemento velocità, ma non aveva l’incarico di<br />

costruire i motori jet, affidato alla Pratt & Whitney. Anche l’altitudine era fattibile; la<br />

Lockheed era riuscita a far volare l’U-2 a 21.000 metri di quota. L’invisibilità era la<br />

caratteristica che avrebbe posto più problemi, ed era anche quella più importante per la<br />

CIA. Per creare lo stealth, Lovick e la sua squadra dovevano risolvere dettagli<br />

particolarissimi dell’eco radar 15 .<br />

«Il radar funziona come un pipistrello» spiega Lovick. «Il pipistrello stridisce e il suono<br />

colpisce un insetto. Il suono torna indietro e il pipistrello misura la distanza dall’insetto<br />

attraverso gli echi che riceve.» Dunque, come si può fare in modo che l’insetto assorba il<br />

segnale? «Per risolvere il problema noi, alla Lockheed, creammo una superficie che<br />

avrebbe deviato gli echi radar. Dovevamo rifletterli in una direzione diversa rispetto ai<br />

radar dei sovietici. Avremmo potuto farlo anche assorbendo gli echi radar, come un<br />

pannolino assorbe i liquidi. In teoria era semplice. E invece scoprimmo che era un<br />

problema piuttosto complesso da risolvere.»


Lovick risolveva problemi da quando era bambino a Falls City, Nebraska, durante la<br />

Depressione. A diciotto anni pubblicò il suo primo articolo sul radar sulla rivista «Radio-<br />

Craft». Portato a credere che avrebbe potuto lavorare nell’ambito della tecnologia radar,<br />

scrisse alla Lockheed Corporation nella lontana California chiedendo che lo assumessero.<br />

<strong>La</strong> Lockheed rifiutò. Così accettò un lavoro a salario minimo come riparatore di<br />

apparecchiature radio alla locale Montgomery Ward, una cosa che a 91 anni considera<br />

ancora una favolosa opportunità di carriera. «Quello che imparai alla Montgomery Ward,<br />

facendo un lavoro che oggi qualcuno potrebbe considerare un vicolo cieco, avrebbe<br />

giocato un ruolo importante nel mio futuro con gli aerei spia.» Vale a dire, che da ciò che<br />

non funziona si possono imparare almeno altrettante cose che da ciò che funziona.<br />

Per capire come ingannare il radar, Lovick tornò al principio dei tentativi ed errori che<br />

aveva coltivato da ragazzino. Iniziò a progettare e a sorvegliare la costruzione della<br />

prima camera anecoica della Lockheed per testare modelli dei nuovi aerei spia proposti<br />

dagli Skunk Works. «Una camera anecoica è uno spazio chiuso ricoperto da materiali che<br />

assorbono energia, nella quale si ottiene come effetto secondario la silenziosità» spiega<br />

Lovick. Nella stanza c’è un silenzio tale che se una persona si trova da sola tra le sue<br />

quattro mura può udire il sangue scorrergli nelle vene. Solo in un ambiente così<br />

strettamente controllato il fisico e il suo team avrebbero potuto testare in modo accurato<br />

come un modello in scala uno a venti avrebbe risposto ai fasci radar diretti verso di esso.<br />

<strong>La</strong> falegnameria della Lockheed costruì fragili modellini per i fisici, simili a quelli con cui<br />

giocano i bambini. Lovick e i suoi applicavano con grande cura materiali radar-assorbenti<br />

ai modellini, poi li sospendevano nella camera anecoica per testarli. Sulla base dei<br />

risultati dell’eco radar, la forma e il progetto dell’aeroplano spia sarebbero stati<br />

modificati. Come pure il suo nome. Nel corso dei mesi successivi, il numero di progetti<br />

dell’Archangel-1 16 sarebbe aumentato esponenzialmente e avrebbe implicato undici<br />

modifiche sostanziali. Ecco perché alla fine la denominazione ufficiale dell’aereo fu<br />

Archangel-12, o A-12.<br />

Mentre immaginava e progettava il nuovo aereo spia della Lockheed, Edward Lovick<br />

accompagnò più volte Kelly Johnson a Washington, dove i due uomini incontravano<br />

Richard Bissell e i consiglieri scientifici del presidente per illustrare i progressi fatti e<br />

partecipare a riunioni riguardanti l’aereo. Il presidente Eisenhower lo chiamava “the Big<br />

One”. In quelle occasioni Bissell, che Lovick conosceva solo come signor B, bersagliava<br />

Kelly Johnson con domande tecniche sull’invisibilità, o “scarsa visibilità”, cui Lovick aveva<br />

il compito di rispondere. «Parlavamo dei dati ottenuti dalla camera anecoica, che stava<br />

funzionando benissimo» ricorda Lovick. «Ma il Cliente voleva sempre di più. Non importa<br />

quanto poco visibili ci sembrassero i nostri modelli, il Cliente voleva sempre che fossero<br />

meno visibili.» Il che significava lavoro in più. In una fase finale del progetto, gli esperti di<br />

aerodinamica degli Skunk Works e la squadra specializzata in radar avrebbero aggiunto<br />

alla fusoliera delle sezioni laterali inclinate verso il basso, rendendo il velivolo simile a un<br />

cobra con le ali. Adesso l’aereo aveva la pancia piatta e un’area equivalente radar ridotta<br />

del 90 per cento. Ma Richard Bissell voleva un aereo spia ancora più invisibile. Lovick<br />

aveva bisogno di un laboratorio in scala reale e Johnson ebbe un’idea: tornare all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong>.


Johnson incontrò in via privata un funzionario di cui non si conosce il nome per cercare<br />

di convincere la CIA a consentire a un gruppetto di scienziati e ingegneri della Lockheed di<br />

tornare all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per testare dei prototipi. Soltanto lì, sostenne Johnson, il suo gruppo<br />

avrebbe potuto fare ciò che era necessario per soddisfare le pretese della CIA di avere un<br />

aereo invisibile. Nel corso di questa intensa fase di progettazione, e nonostante la<br />

segretezza, la Lockheed non era l’unica società impegnata su quell’obiettivo. Non si<br />

sapeva ancora chi avrebbe ottenuto il contratto dell’agenzia per costruire il velivolo<br />

destinato a sostituire l’U-2. Al governo federale piaceva alimentare la competizione tra i<br />

contractor della difesa, il che significava che in lizza c’era anche la Convair, la quale<br />

sperava di assicurarsi il contratto della CIA da centinaia di milioni di dollari. Johnson<br />

sapeva che ridurre la visibilità dell’aereo era la sua carta migliore per vincere la gara. Il<br />

permesso venne concesso e alla fine dell’estate del 1959 cinquanta addetti degli Skunk<br />

Works tornarono all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> 17 .<br />

Era arrivato il momento di testare un prototipo in scala reale 18 del primo aereo stealth<br />

della storia. «Il 31 marzo cominciammo a costruire un prototipo a grandezza reale e un<br />

montacarichi che lo sollevasse a quindici metri da terra per le prove radar» scrisse<br />

Johnson in documenti declassificati nel luglio del 2007. Ciò che Johnson immaginava<br />

come un “montacarichi” alla fine sarebbe diventato il leggendario pilone dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, o<br />

palo per i test radar.<br />

Gli ingegneri della Lockheed si portavano dietro un modello dell’aeroplano così<br />

dettagliato che avrebbe potuto essere facilmente scambiato per un aereo vero. Per<br />

ottenere risultati radar il più accurati possibile, il modello doveva rappresentare fin nei<br />

minimi particolari l’aereo reale, dalla dimensione dei rivetti all’inclinazione delle sezioni<br />

laterali della fusoliera. Per realizzarlo ci erano voluti più di quattro mesi. Quando l’aereo<br />

di legno, con i 31 metri di fusoliera e i 17 di ali, fu pronto, venne messo in una cassa di<br />

legno per essere trasferito all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Il trasporto non era cosa da poco e la strada da<br />

Burbank all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> doveva essere predisposta in anticipo. L’imballaggio era stato<br />

realizzato apposta per farlo assomigliare a un generico trasporto eccezionale, ma le<br />

dimensioni erano più eccezionali di qualunque trasporto eccezionale. Prima del viaggio<br />

furono inviate delle squadre per togliere i segnali stradali che erano di ostacolo e tagliare<br />

gli alberi. In alcuni punti fu necessario livellare la strada.<br />

Non è dato sapere che genere di bonifica venne eseguita all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> prima dell’arrivo<br />

della squadra della Lockheed addetta a testare l’invisibilità dell’aereo. Erano passati<br />

dodici mesi da quando nella zona adiacente era stata fatta esplodere l’ultima bomba<br />

atomica, nome in codice Titania 19 . Se ci fu una formale decontaminazione dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> o<br />

una valutazione di quali fossero i livelli di radiazioni e se fosse sicuro tornarci sono<br />

informazioni che rimangono classificate. Comunque sia, il test radar della Lockheed era<br />

soltanto temporaneo; la CIA non aveva ancora avuto l’approvazione del presidente per<br />

procedere con l’A-12. Il gruppetto degli Skunk Works si sistemò nei capanni Quonset dove<br />

erano vissuti i piloti e gli ingegneri dell’U-2.<br />

A partire dall’autunno del 1959, un C-47 della Lockheed trasportava ingegneri e<br />

meccanici da Burbank all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> tutti i lunedì mattina e li riportava a casa il pomeriggio<br />

del venerdì. Era la prima esperienza di Ed Lovick a quello che – così gli avevano detto –


era il Paradise Ranch. Visto il ruolo chiave di Lovick in quella fase del progetto, lui<br />

viaggiava su un bimotore Cessna, in genere da solo con il pilota. Detestava l’avanti e<br />

indietro, perché i gas di scarico del Cessna gli davano la nausea. Ma una volta arrivato e<br />

sceso dall’aereo si immergeva completamente nel lavoro. A Burbank, nel silenzio della<br />

camera anecoica, Lovick aveva testato modellini di aeroplani grandi come una scarpa. Il<br />

prototipo in scala reale avrebbe rivelato i risultati di due anni di lavoro. «L’unico modo per<br />

ottenere informazioni accurate su come si sarebbe comportato un aereo di dimensioni<br />

reali in un test radar era sottoporre il modello dell’A-12 al fascio radar» spiega Lovick.<br />

Sul bordo del lago asciutto, gli scienziati montavano l’aereo sul palo alto 17 metri e<br />

posto al centro di una piattaforma di cemento che si muoveva su e giù da una cavità<br />

ricavata nel sottosuolo del deserto. «Su un lato della piattaforma c’era una sala di<br />

controllo sotterranea. Vicino al bordo della piattaforma c’erano un anemometro e una<br />

banderuola segnavento, fuori dalla visuale» ricorda Lovick. Le antenne radar, manovrate<br />

e monitorate dalla EG&G, si trovavano a un chilometro e mezzo dal palo. «Il naso del<br />

modello veniva puntato verso il basso in modo che il radar vedesse la pancia dell’aereo,<br />

nello stesso modo in cui l’avrebbero vista i sovietici. Era un procedimento elaborato che<br />

portava via un sacco di tempo» continua Lovick. «Il modello che veniva sottoposto a test<br />

doveva essere tenuto in un hangar alla base lontano almeno un chilometro e mezzo. Lo<br />

portavano avanti e indietro usando speciali carrelli.»<br />

Sul finire del 1959, la CIA non sapeva quanto fosse avanzata la tecnologia satellitare dei<br />

sovietici e se fossero già in grado di scattare fotografie dallo spazio. <strong>La</strong> preoccupazione di<br />

essere spiati complicava ulteriormente il lavoro all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Ogni membro del gruppo di<br />

Lovick 20 teneva in tasca un piccolo diagramma con i passaggi del satellite sovietico, il che<br />

spesso significava lavorare a ore strane, talvolta di notte. «Voleva anche dire un mucchio<br />

di tecnici che correvano qua e là» spiega Lovick. «I satelliti ci passavano sopra la testa<br />

spesso. Mettere un aereo sul pilone del test radar richiedeva diciotto minuti. Altri diciotto<br />

ce ne volevano per tirarlo giù. Rimaneva una finestra temporale ben definita per colpirlo<br />

con il fascio radar e annotare i dati.» Non appena i tecnici avevano finito, tiravano giù<br />

l’aereo e lo riportavano in tutta fretta nell’hangar.<br />

A parte il lavoro, la cosa che Lovick ricorda in maniera più vivida del periodo passato al<br />

Ranch era quanto fossero estreme le condizioni meteo. Di notte, gli uomini erano<br />

costretti a indossare pesanti cappotti e cappelli di lana. Ma durante il giorno si potevano<br />

toccare i quarantotto gradi. «Una volta vidi un coyote dare la caccia a un coniglio:<br />

entrambi camminavano» racconta Lovick.<br />

Nel dicembre del 1959, il presidente fu aggiornato sullo stato dell’A-12. Ansioso di<br />

andare avanti, Eisenhower era anche consapevole dell’assegno da centinaia di migliaia di<br />

dollari che avrebbe dovuto staccare per la Lockheed prelevando il denaro dai suoi fondi<br />

discrezionali per una flotta di dodici aerei spia. Eisenhower disse a Richard Bissell che<br />

aveva deciso di chiedere alla Lockheed di mostrargli i risultati di un ultimo test<br />

concentrato particolarmente sulla tecnologia di elusione radar. Bissell era stato informato<br />

che l’A-12 della Lockheed sarebbe apparso ai radar nemici più grosso di un uccello ma più<br />

piccolo di un uomo. Tuttavia non gli era ancora stato detto di un problema che Lovick e la<br />

sua squadra non riuscivano a risolvere mentre provavano il modello all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Spiega


Lovick: «I gas di scarico dei due giganteschi motori jet dell’aereo erano impossibili da<br />

nascondere. Ovviamente non potevamo coprire le aperture con materiale mimetico.<br />

Durante le prove, le onde radar finivano vicino al punto in cui si sarebbero trovati i<br />

motori, si riflettevano e apparivano come acqua spruzzata da una lattina. Avevamo<br />

provato schermi e grate metalliche. Niente funzionava». Kelly Johnson era convinto che la<br />

CIA avrebbe accettato quel difetto progettuale. «Ike vuole un aereo costruito da Mandrake<br />

in persona» 21 disse Johnson alla squadra e aggiunse che il presidente si sarebbe<br />

accontentato di qualcosa di meno. Si sbagliava.<br />

Con la richiesta finale del presidente sul tavolo, accontentarsi di qualcosa di meno non<br />

era più un’opzione. In un ultimo viaggio a Washington, Kelly Johnson avrebbe spiegato a<br />

Bissell l’esatta natura del problema. «L’incontro si tenne in un vecchio edificio fatiscente<br />

di Washington, in una sala conferenze con una parete a specchio» ricorda Lovick.<br />

«Insieme al signor B c’erano Killian e [Edwin] Din <strong>La</strong>nd.» Johnson riferì alla CIA il<br />

problema di nascondere i gas di scarico dei motori dell’A-12, e spiegò come<br />

rappresentasse una debolezza per l’intero concetto di invisibilità dell’aeroplano. «Bissell<br />

andò su tutte le furie. In quel periodo mi ero sentito così a mio agio a lavorare per Kelly<br />

che non credo avessi capito quanto la situazione fosse seria fino a quell’incontro. Bissell<br />

minacciò di cancellare il contratto se qualcuno non avesse trovato una soluzione.» Fu un<br />

momento di grande tensione. «Sapevo che erano stati persi più di cento uomini nel<br />

tentativo di guardare oltre la cortina. Abbattuti sopra la Russia, uccisi o dichiarati dispersi<br />

in missioni di addestramento. Mi resi conto che c’era un grave problema relativo alla<br />

raccolta di informazioni. Prima di allora la maggior parte delle mie preoccupazioni erano<br />

state quello di uno scienziato in laboratorio. [Lì invece] capii quanto fosse brutta la<br />

situazione nel mondo esterno al laboratorio e quanto fosse importante l’aereo. Compresi<br />

che il problema con i gas di scarico dei motori andava risolto.»<br />

In quella sala conferenze Edward Lovick decise si parlare di un’idea cui pensava da<br />

decenni, ossia «come ionizzare i gas» dice, riferendosi al processo in base al quale la<br />

carica elettrica di un atomo viene cambiata radicalmente. «Suggerii che aggiungendo<br />

cesio 22 al carburante, i gas di scarico si sarebbero ionizzati, cosa che probabilmente li<br />

avrebbe resi invisibili al radar. Avevo pensato al cesio perché allo stato gassoso sarebbe<br />

stato l’elemento chimico più facile da ionizzare.» Se questa complessa ionizzazione<br />

avesse funzionato – e Lovick ne era convinto – il risultato sarebbe equivalso a mettere<br />

una spugna nella lattina con dentro un tubo di drenaggio. Invece di essere riflesso, il<br />

fascio radar sarebbe stato assorbito. «Bissell fu entusiasta dell’idea» dice Lovick,<br />

aggiungendo che il suggerimento fu sostenuto caldamente dalla maggior parte dei<br />

consulenti del Cliente. Poi nacque un’animata discussione tra gli esperti del presidente, e<br />

Lovick ebbe la sensazione che avessero capito pochissimo di quello che stava<br />

proponendo. Alla fine, sarebbe toccato a Lovick stabilire i risultati; in seguito la sua teoria<br />

si dimostrò corretta. <strong>La</strong> sua idea rimane tuttora una componente fondamentale della<br />

tecnologia stealth e nel 2011 è ancora classificata.<br />

<strong>La</strong> Lockheed ottenne il contratto. Lovick si guadagnò una gratifica natalizia strepitosa e<br />

l’A-12 un nome in codice, Oxcart. Quantomeno ironico che il mezzo di trasporto più veloce<br />

del mondo 23 fosse stato battezzato con il nome di quello più lento, “carro trainato da


uoi”. Il 26 gennaio 1960 Bissell comunicò a Johnson che la CIA stava autorizzando la<br />

consegna di dodici aerei. Furono scritte le specifiche: Mach 3,2 (2.064 nodi, 3.822<br />

chilometri orari, 1.061 metri al secondo); raggio d’azione 4.120 miglia nautiche (7.630<br />

chilometri); altitudine 25.755-29.748 metri. L’aereo sarebbe stato cinque volte più veloce<br />

dell’U-2 e avrebbe volato quasi cinquemila metri più alto. Gli Skunk Works avrebbero<br />

avviato la produzione ed era necessario approntare un’installazione per i voli di prova.<br />

C’era solo un posto equipaggiato per far volare un aereo spia che doveva rimanere<br />

nascosto al mondo, inclusi i membri del Congresso, e quel posto era l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Era il gennaio del 1960 e per la prima volta da quando le bombe atomiche avevano<br />

devastato la zona nell’estate del 1957, l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era di nuovo operativa 24 . Solo che<br />

questa volta la CIA e l’aeronautica militare si occupavano fianco a fianco di un velivolo più<br />

grande, più veloce e quasi cinque volte più costoso dell’U-2. Il progetto avrebbe coinvolto<br />

un numero dieci volte maggiore di persone e, com’era accaduto nel caso dell’U-2, la CIA<br />

assoldò lavoratori dal vicino Nevada Test Site 25 , uomini già muniti di autorizzazioni topsecret.<br />

Il nuovo aereo aveva due necessità immediate: una pista di rullaggio molto più<br />

lunga e depositi di carburante da cinque milioni di litri. <strong>La</strong> costruzione della pista e dei<br />

depositi iniziò subito 26 . Dovettero essere fatti arrivare milioni di litri di calcestruzzo<br />

unitamente a materiali da costruzione sufficienti per una piccola città. Un trasporto di<br />

quella mole attraverso il poligono avrebbe attirato troppa attenzione sul progetto, così fu<br />

costruita una nuova strada che dava accesso al Groom <strong>La</strong>ke da nord. I fornitori<br />

lavorarono di notte, riasfaltando quasi trenta chilometri di strada che attraversava il<br />

minuscolo villaggio di Rachel, Nevada, in modo che le autocisterne che ogni mese<br />

trasportavano 1,9 milioni di litri di carburante speciale non distruggessero il fondo<br />

stradale con il loro peso.<br />

L’A-12 Oxcart era un’autocisterna volante 27 . Il serbatoio aveva una capacità di 42.000<br />

litri ed era la sezione più grande dell’aereo. Il carburante richiedeva accorgimenti in<br />

precedenza sconosciuti. Durante il rifornimento, che sarebbe avvenuto in volo, a quote e<br />

velocità minori, la temperatura del carburante sarebbe scesa a -67 °C. A Mach 3 avrebbe<br />

toccato i 140,5 °C, una temperatura a cui il carburante convenzionale bolle ed esplode.<br />

Per consentirgli di sopportare questo genere di fluttuazioni, il JP-7 fu progettato in modo<br />

da mantenere una tensione di vapore così bassa da rendere impossibile incendiarlo con<br />

un fiammifero. Ciò diede origine a una lunga serie di scherzi in cui le persone informate<br />

lasciavano cadere un fiammifero acceso in un bidone pieno di JP-7 e si godevano il fuggi<br />

fuggi di chi non era al corrente di quella caratteristica. Il carburante richiedeva anche<br />

l’estrema professionalità dell’uomo che fu scelto come responsabile della squadra addetta<br />

al rifornimento, il sergente dell’aeronautica Harry Martin.<br />

Per questa ragione Martin fu uno dei primi a tornare alla base segreta pressoché<br />

deserta. «Gli inverni erano gelidi al Groom <strong>La</strong>ke» ricorda Martin, con temperature che<br />

scendevano di parecchio sotto lo zero. «Vivevo in una roulotte mezza distrutta riscaldata<br />

a cherosene. Non ho mai sgobbato così duro in vita mia come quel primo inverno all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong>.» Martin non aveva idea su cosa stesse lavorando, ma aveva capito al volo che era


qualcosa di grosso quando era stato svegliato nel cuore della notte da un generale a due<br />

stelle. «Mi disse che avevamo un compito importante. Pensai: “Se un generale è in piedi<br />

a lavorare a quest’ora, allora sto sveglio anch’io”. <strong>La</strong>vorare all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> è stato il periodo<br />

più entusiasmante della mia carriera.»<br />

L’A-12 era originale in ogni senso, il che significava che ogni due per tre saltava fuori<br />

qualche nuova esigenza mai affrontata prima. <strong>La</strong> pista di rullaggio lunga 2.600 metri<br />

dovette essere costruita pezzo per pezzo perché le piste standard dell’aeronautica non<br />

andavano bene per l’Oxcart. Le sezioni longitudinali dovevano essere molto più larghe e i<br />

giunti che le univano dovevano correre paralleli al rullaggio dell’aereo, non perpendicolari<br />

come accadeva normalmente. Si iniziò la costruzione di nuovi hangar, pronti a<br />

nascondere quella che sarebbe diventata nota come “la piccola forza aerea” della CIA 28 .<br />

Far volare l’Oxcart 29 richiedeva a sua volta una piccola flotta di aerei: caccia F-104, aerei<br />

da addestramento, aerei da trasporto e un elicottero per le operazioni di soccorso.<br />

Dato che l’Oxcart volava cinque volte più veloce dell’U-2, l’agenzia aveva bisogno di<br />

molto più spazio aereo riservato all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Viaggiando a 3.520 chilometri orari un pilota<br />

di Oxcart avrebbe avuto bisogno di 300 chilometri solo per invertire la rotta 30 . Ciò<br />

significava chiudere all’accesso degli estranei altri 15.360 ettari di terreno attorno alla<br />

base, consentendo alla Federal Aviation Administration (Agenzia federale per l’aviazione<br />

civile) di estendere lo spazio aereo vietato da 130 a 1140 chilometri quadrati. Agli<br />

impiegati della FAA (Federal Aviation Administration) vennero date istruzioni di non fare<br />

domande su oggetti in volo sopra i 12.000 metri di quota. Lo stesso accadde al NORAD 31 , il<br />

North American Aerospace Defense Command (Comando di difesa aerospaziale del Nord-<br />

America).<br />

Mentre la base veniva preparata per la consegna dei dodici aerei, sul letto del lago<br />

asciutto all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> proseguivano i test sul pilone. E la CIA continuava a temere che i russi<br />

stessero osservando dallo spazio. Dall’altra parte dell’oceano, al NII-88, Sergej Korolëv<br />

aveva progettato un satellite spia denominato Oggetto D, ma la CIA non sapeva di cosa<br />

fosse capace esattamente. Era in corso anche il lancio di una serie di satelliti spia<br />

chiamati Zenit, una versione modificata della navicella spaziale Vostok che era stata<br />

equipaggiata con macchine fotografiche per riprendere le installazioni militari americane<br />

dallo spazio. I russi provavano grande piacere a sbattere in faccia al dipartimento di stato<br />

quello che avevano saputo. Una volta, usando canali diplomatici, fecero pervenire alla CIA<br />

un semplice schizzo 32 dell’esatta forma dell’aereo spia top-secret della Lockheed,<br />

lasciandoli a chiedersi sbalorditi come il nemico avesse potuto ottenere<br />

quell’informazione, visto che il personale addetto alle operazioni era stato attentissimo a<br />

evitare i ficcanaso orbitanti dei sovietici. Forse c’era un doppiogiochista? <strong>La</strong> CIA, sempre<br />

paranoica riguardo alle infiltrazioni del KGB, si preoccupava che ci fosse una spia all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong>. Alla fine fu Lovick a capire: i russi usavano satelliti a infrarossi. Nel calore del deserto,<br />

che d’estate poteva toccare i <strong>51</strong>,6 °C, il modello dell’aereo lasciava un’impronta termica<br />

sull’asfalto mentre i tecnici aspettavano di issarlo sul pilone. Lo schizzo era la copia di<br />

quella sagoma.<br />

Mentre i russi guardavano dallo spazio, la CIA continuava a monitorare e interpretare le<br />

reazioni sovietiche al suo programma di ricognizione aerea. Memorandum del maresciallo


capo dell’artiglieria Sergej Varentsov 33 rivelavano il crescente furore dei sovietici per la<br />

velocità con cui gli Stati Uniti stavano facendo progressi con l’aereo spia. Varentsov<br />

lamentava che il programma russo era fermo alla tecnologia della Seconda guerra<br />

mondiale. Da una parte, queste erano buone notizie per la CIA. Nel mondo dello<br />

spionaggio dai cieli, i sovietici erano stati costretti ad arroccarsi in un posizione di difesa.<br />

Ma era anche un’arma a doppio taglio. I russi non facevano progressi nel programma di<br />

ricognizione area perché tutti i loro sforzi erano concentrati sullo sviluppo di tecnologia<br />

missilistica terra-aria 34 . Se i nemici capitalisti avessero continuato a volare sopra la<br />

Russia, Nikita Chrušcëv era implacabilmente deciso ad abbatterli.


Capitolo 8<br />

IL GIOCO DEL GATTO CON IL TOPO<br />

FINISCE IN UNA DÉBÂCLE 1<br />

Francis Gary Powers non dormiva mai bene la notte prima di una missione. Quando arrivò<br />

la sveglia, alle due del mattino del 1° maggio 1960, Powers era particolarmente ansioso.<br />

Il volo era già stato rimandato due volte. Nell’antica città di Peshawar, Pakistan, faceva<br />

un caldo opprimente e Powers aveva passato la notte in un’amaca appesa nell’hangar<br />

dell’installazione segreta della CIA; tra l’afa e il rumore, aveva dormito a tratti. Le false<br />

partenze avevano aggiunto un elemento d’incertezza alla situazione. Gary Powers si alzò<br />

e si fece una doccia. Maggio era il mese più caldo in Pakistan: non erano ancora le cinque<br />

del mattino ma il sole era già alto e arroventava l’aria. Dopo pochi minuti Powers sarebbe<br />

stato di nuovo in un bagno di sudore 2 . Si vestì e fece colazione, <strong>senza</strong> smettere di<br />

pensare alla missione decisiva che lo aspettava. L’agenzia non aveva mai tentato prima<br />

un volo su tutta l’Unione Sovietica, dal confine meridionale nei pressi del Pakistan al<br />

margine settentrionale vicino al circolo polare artico. Da lì, Powers avrebbe portato il suo<br />

U-2 in direzione di una base segreta della CIA in Norvegia e sarebbe atterrato. Nessun<br />

pilota dell’agenzia era mai decollato e atterrato in due località diverse a bordo di un U-2.<br />

Quella missione rivestiva particolare importanza per la CIA. Powers avrebbe raccolto<br />

informazioni fotografiche vitali su due siti chiave. Il primo era il cosmodromo Tyuratam, la<br />

base di lancio missilistica più attiva dell’Unione Sovietica: Tyuratam era la Cape<br />

Canaveral russa 3 , da dove era stato messo in orbita lo Sputnik. Per anni la CIA aveva<br />

saputo di una sola base di lancio a Tyuratam, ma adesso correva voce che ce ne fossero<br />

due, e la missione di un U-2 in aprile aveva rivelato preparativi per un lancio imminente:<br />

quello che la CIA voleva sapere era esattamente di che cosa. Dopo Tyuratam, Powers<br />

avrebbe sorvolato la Siberia diretto a un’installazione di Plesetsk 4 , 300 chilometri a sud di<br />

Archangelsk, nel circolo polare artico. Si pensava che Plesetsk fosse la nuovissima base<br />

sovietica per il lancio di missili ed era pericolosamente vicina all’Alaska. Powers avrebbe<br />

percorso in volo la distanza record di oltre 6.000 chilometri, 4.600 dei quali nei cieli<br />

dell’Unione Sovietica, passando nove logoranti ore in territorio nemico, offrendo ai<br />

sovietici un bel po’ di tempo per cercare di abbatterlo. Impossibile invertire la rotta.<br />

Immaginate un aereo spia russo che vola indisturbato sugli Stati Uniti dalla East Coast<br />

alla West Coast e scatta fotografie che avrebbero fornito dettagli a intervalli di 75 metri 5<br />

da oltre 21.000 metri di quota.<br />

Dopo colazione Powers sedette nell’hangar aspettando il controllo finale delle


condizioni meteo. Madre natura aveva sempre l’ultima parola: un leggero cambiamento<br />

del vento avrebbe significato mandare nuovamente all’aria la missione prevista per quella<br />

mattina. Magari non sarebbe stata cancellata, ma li avrebbe costretti ad aggiornare in<br />

tutta fretta le mappe di navigazione. L’attesa era un’agonia, eppure era anche<br />

necessaria. Se gli obiettivi da fotografare fossero stati nascosti dalle nuvole, le immagini<br />

scattate dall’U-2 sarebbero state inutili. I navigatori dovevano calcolare quando e se il<br />

tempo sarebbe stato sereno. Mentre Powers era seduto ad aspettare, il suo superiore, il<br />

colonnello Shelton, attraversò il pavimento di cemento dell’hangar e gli fece cenno di<br />

volergli parlare 6 .<br />

Il colonnello Shelton allungò la mano e aprì il pugno: al centro del palmo c’era una<br />

grossa moneta d’argento. «Vuoi il dollaro d’argento?» chiese a Powers. Quello che<br />

Shelton gli stava offrendo non era una normale moneta, bensì un’invenzione della CIA che<br />

nascondeva un sottile ago avvelenato. L’ago, che il pilota poteva estrarre semplicemente<br />

mettendo una mano in tasca e passando un dito sul bordo della moneta, era ricoperto di<br />

una sostanza marrone appiccicosa chiamata “curaro”, il veleno letale che in Amazzonia<br />

usano per i proiettili delle cerbottane. Una puntura dell’ago e il pilota sarebbe morto nel<br />

giro di pochi secondi.<br />

Gary Powers era uno dei piloti di U-2 più esperti dell’agenzia. Aveva compiuto 27<br />

missioni, fra cui alcune sulla Cina. Una volta gli si era spento il motore dell’aereo sopra la<br />

Russia e aveva rischiato di morire, ma era riuscito a farcela. Gli avevano offerto la<br />

moneta con il veleno molte volte, e ogni volta l’aveva rifiutata. Ma il 1° maggio 1960<br />

Powers inaspettatamente la accettò e se la fece scivolare nella tasca della tuta di volo. In<br />

seguito si sarebbe chiesto se non fosse una premonizione 7 di quello che stava per<br />

succedere.<br />

Alle 5.20 del mattino venne il momento di partire. Il sergente addetto<br />

all’equipaggiamento lo legò nella cabina di pilotaggio dell’U-2. Due uomini tennero una<br />

maglietta sospesa sopra la testa di Powers per ripararlo dal sole accecante e dal caldo<br />

mentre lui scambiava codici radio con il funzionario dell’agenzia. I piloti sapevano di non<br />

dover mai usare la radio quando sorvolavano territori vietati, ma ascoltavano con<br />

attenzione i codici che avrebbero ricevuto. Un unico clic significava procedere. Tre clic<br />

significava invertire la rotta e tornare alla base. Sotto il pesante casco il sudore gli colava<br />

in faccia, facendolo sentire profondamente a disagio. Finalmente arrivò il colonnello<br />

Shelton per gli ultimi aggiornamenti. Adesso il volo di Powers aspettava l’autorizzazione<br />

del presidente Eisenhower in persona. Un ritardo dell’ultimo minuto come questo non si<br />

era mai verificato prima e Powers si convinse che il volo sarebbe stato cancellato di<br />

nuovo. Invece, alle 6.20 un ufficiale dell’intelligence diede un segnale. I due uomini che<br />

reggevano la maglietta sopra la testa di Powers scesero dalle scalette; il sergente<br />

addetto all’equipaggiamento chiuse la calotta, sigillandolo nell’aeroplano; e Gary Powers<br />

fu autorizzato al decollo.<br />

Si staccò da terra e prese a salire con l’inclinazione e la velocità straordinarie che erano<br />

caratteristiche dell’U-2. Dopo qualche minuto raggiunse una quota dove la temperatura<br />

esterna era di <strong>51</strong> °C sotto zero; adesso non sudava più. Inserì il pilota automatico per<br />

poter scrivere qualche appunto nel diario di bordo. L’attesa era sempre di una noia


mortale, ma spariva immediatamente, sostituita dall’eccitazione di essere in volo. Powers<br />

annotò: «Velivolo n. 360, uscita n. 4.154, 0126 tempo medio di Greenwich». Aspettò di<br />

udire il singolo clic che l’avrebbe autorizzato a procedere. Dopo che l’ebbe ricevuto, si<br />

sistemò per quelle che credeva sarebbero state tredici ore di volo. <strong>La</strong> sua missione<br />

doveva essere la più profonda incursione dell’agenzia in territorio sovietico mai compiuta.<br />

A Mosca, 19.200 chilometri a est, era ancora buio quando il premier Nikita Chrušcëv si<br />

sedette sul letto, svegliato dallo squillo del telefono 8 . Era il ministro della Difesa<br />

Malinovskij. Un aereo che volava ad alta quota aveva attraversato il confine con<br />

l’Afghanistan ed era diretto nella Russia centrale, disse Malinovskij. Chrušcëv andò su<br />

tutte le furie. Proprio quel giorno. Il Primo Maggio era la festa nazionale russa. Le strade<br />

erano pavesate di bandiere e nastri per la parata celebrativa. Poteva significare solo una<br />

cosa, disse in seguito Chrušcëv al figlio Sergej: Eisenhower lo stava mettendo di nuovo in<br />

ridicolo. Il tallone d’Achille del leader sovietico era la sua mancanza d’istruzione; aveva<br />

lasciato la scuola in quarta elementare per lavorare nelle miniere di carbone. Pressoché<br />

analfabeta, Chrušcëv odiava la sensazione che il capo del governo di un altro paese<br />

stesse cercando di farlo passare per stupido.<br />

Chrušcëv era convinto che gli americani fossero falsi soprattutto durante le festività.<br />

Quattro anni prima, il Quattro Luglio, gli americani lo avevano ingannato con il primo volo<br />

dell’aereo spia. Se quella missione era stata un calcio nelle costole, quella odierna era un<br />

pugno in faccia 9 . «Si stava profilando una situazione molto spiacevole» 10 spiegò il<br />

colonnello Orlov in una ricostruzione storica dell’incidente scritta per la CIA nel 1998.<br />

Orlov, che aveva trascorso gran parte dei suoi 46 anni di carriera militare con<br />

l’aeronautica militare russa, era stato testimone oculare degli eventi; era al posto di<br />

comando di Mosca quando Gary Powers fu abbattuto. «<strong>La</strong> parata del Primo Maggio<br />

doveva svolgersi a metà di quella stessa mattinata, e come sempre i capi del partito, del<br />

governo e delle forze armate vi avrebbero partecipato» disse Orlov. «In altre parole, nel<br />

momento esatto in cui stava per iniziare una parata il cui scopo era dimostrare al mondo<br />

la superiorità militare sovietica, un aereo straniero non ancora identificato sorvolava il<br />

cuore del paese e le difese aeree russe sembravano incapaci di abbatterlo.»<br />

«Tirate giù quell’aereo con ogni mezzo» urlò Chrušcëv al ministro della Difesa.<br />

All’aeronautica militare sovietica scattò l’allarme. I generali radunarono in tutta fretta i<br />

caccia per lanciarli all’inseguimento di Powers. In Siberia, gli ufficiali dell’aeronautica<br />

furono convocati alle loro postazioni con l’ordine di abbattere la spia americana. Era una<br />

questione di orgoglio nazionale. Gli ordini venivano da Nikita Chrušcëv in persona.<br />

Nella piccola cabina di pilotaggio dell’U-2, Gary Powers proseguiva la sua missione. Era<br />

in volo da un’ora e mezza. Le condizioni meteo erano peggio del previsto ma i clic alla<br />

radio indicavano che doveva andare avanti. Sulla maestosa catena dell’Hindu Kush le<br />

nuvole si innalzavano sopra le vette alte 7.600 metri e la copertura nuvolosa rendeva<br />

difficile a Powers capire dove si trovasse esattamente. Volava a 21.000 metri di quota e<br />

sopra di lui era buio pesto. In circostanze normali avrebbe usato le stelle per orientarsi,<br />

ma quel giorno le guide celesti erano inaffidabili: le mappe di cui disponeva erano state


tracciate per un decollo alle sei del mattino, ma lui era partito alle 6.26. E così per<br />

rimanere in rotta poteva contare solo su una bussola e un sestante. Grazie a un varco tra<br />

le nuvole riuscì a stabilire di essere a sudest del lago d’Aral, sopra l’Uzbekistan. Cinquanta<br />

chilometri a nord c’era il suo primo obiettivo: il cosmodromo Tyuratam.<br />

Resosi conto di trovarsi leggermente fuori rotta, Powers stava correggendo la<br />

traiettoria quando vide la scia di un jet sotto di lui. «Si muoveva veloce, a velocità<br />

supersonica, parallelo a me ma nella direzione opposta» scrisse Powers nelle sue<br />

memorie intitolate Operation Overflight pubblicate nel 1970. Dopo cinque minuti seppe di<br />

essere inseguito da almeno un MIG. Poi vide un altro aereo che volava nella sua stessa<br />

direzione. «A quel punto ero sicuro che mi stessero seguendo sul radar e che stessero<br />

trasmettendo le mie coordinate al caccia.» Ma il MIG era molto più basso dell’U-2 e non<br />

costituiva una vera minaccia. Protetto dall’altitudine, Powers continuò la sua missione:<br />

era certo di essere fuori tiro. Prima oltrepassò gli Urali, un tempo considerati il confine<br />

naturale tra Est e Ovest, e poi proseguì diretto a Sverdlovsk, duemila chilometri<br />

all’interno della Russia. Sverdlovsk giocava un ruolo importante nel sistema industriale<br />

bellico sovietico perché era lì che venivano fabbricati carri armati e missili. Era anche il<br />

luogo dove i russi portavano avanti il loro programma di armi biologiche 11 di cui all’epoca<br />

del volo di Powers la CIA non sapeva ancora nulla.<br />

Nei pressi di Sverdlovsk Powers effettuò una virata di novanta gradi, dirigendosi verso<br />

quello che sembrava un aeroporto non segnato sulla mappa. All’improvviso comparvero<br />

enormi nuvole temporalesche, oscurandogli la visione. Mise in funzione la macchina<br />

fotografica: non aveva idea di stare per fotografare un’installazione segreta chiamata<br />

Kyshtym 40, nella quale si produceva materiale nucleare e si fabbricavano armi atomiche.<br />

Kyshtym 40 era la controparte sovietica 12 di quello che Los Alamos e Sandia messi<br />

insieme rappresentavano per l’America.<br />

A terra, una batteria di missili terra-aria a difesa di Kyshtym stava seguendo l’aereo di<br />

Powers. Alle 8.53 ora locale, il comandante della contraerea ricevette l’ordine ufficiale.<br />

«Distruggere il bersaglio» 13 disse l’ufficiale. Fu lanciato un missile SA-2 a velocità Mach 3.<br />

Sull’U-2, Powers stava scrivendo delle annotazioni di routine – altitudine, ora, lettura degli<br />

strumenti – quando all’improvviso avvertì un tonfo sordo e fu investito da un accecante<br />

lampo arancione. «L’aereo ebbe un violento scossone, mandandomi a sbattere contro le<br />

pareti della cabina di pilotaggio» scrisse Powers in seguito. «Pensai di aver perso<br />

entrambe le ali. Quello che rimaneva dell’aereo iniziò a precipitare a vite, solo al<br />

contrario, con il muso rivolto verso l’alto.» Mentre l’U-2 cadeva fuori controllo, la tuta<br />

pressurizzata di Powers si gonfiò, incastrandolo nella cabina. L’aereo stava per<br />

schiantarsi. Doveva eiettarsi. Nella posizione in cui si trovava, se avesse premuto il<br />

pulsante per eiettarsi si sarebbe tranciato entrambe le gambe. Doveva uscire dall’aereo e<br />

attivare il meccanismo che l’avrebbe fatto esplodere una volta che l’avesse abbandonato,<br />

ma era acutamente consapevole di non potersi eiettare <strong>senza</strong> amputarsi le gambe. Per<br />

un uomo che di rado aveva avuto paura, Gary Powers era sull’orlo del panico.<br />

All’improvviso, in mezzo al caos, gli vennero in mente tre parole: “Fermati e pensa” 14 .<br />

Un vecchio amico pilota una volta gli aveva detto che se si fosse trovato in un pasticcio,<br />

tutto quello che doveva fare era “fermarsi e pensare”. Il ricordo risaliva ai tempi


dell’addestramento all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, quando gli U-2 non avevano il seggiolino eiettabile.<br />

All’epoca uscire dall’aereo era una faccenda che toccava al pilota, non a un dispositivo<br />

meccanico. Powers allungò la mano verso l’alto e sganciò la calotta dell’abitacolo che volò<br />

via perdendosi nell’oscurità. <strong>La</strong> forza centrifuga dell’aeroplano in vite lo risucchiò<br />

all’istante nell’atmosfera. Perlomeno era libero; adesso doveva aprire il paracadute. In<br />

quel momento si rese conto con orrore di essere ancora attaccato all’aereo con i tubi<br />

dell’ossigeno. Powers cercò di riflettere sul da farsi, ma la forza di gravità era troppo<br />

grande. Non c’era niente che potesse fare. Il suo destino non era più nelle sue mani.<br />

Svenne.<br />

A 3.200 chilometri di distanza, alla postazione di ascolto della National Security Agency<br />

in Turchia, gli operatori intercettarono la conversazione degli operatori radar sovietici di<br />

Kyshtym 40 che cercavano di abbattere l’U-2 di Powers. L’ NSA aveva già partecipato a<br />

molte missioni dell’aereo spia: era loro compito equipaggiare gli U-2 della CIA con sistemi<br />

di ascolto, registratori speciali che raccoglievano informazioni di intelligence, o ELINT. Gli<br />

operatori dell’NSA capirono che qualcosa non andava nel momento stesso in cui udirono un<br />

pilota sovietico di MIG, quello che stava dando la caccia a Powers da una quota inferiore,<br />

parlare con gli addetti ai missili di Kyshtym 40. «Sta virando a sinistra» 15 disse il pilota<br />

russo, aiutando gli uomini della difesa aerea a individuare con esattezza la posizione di<br />

Powers. Alcuni istanti dopo, gli uomini dell’NSA sentirono 16 Kyshtym 40 dire che l’U-2 era<br />

scomparso dai loro schermi.<br />

L’NSA mandò immediatamente un messaggio alla Casa Bianca contrassegnato come<br />

CRITICO. Nel frattempo, al comando di Mosca, il colonnello Orlov ricevette un rapporto<br />

urgente dalla Siberia: l’aereo spia americano era stato abbattuto. Era stato lanciato un<br />

missile e l’U-2 era scomparso dagli schermi radar. <strong>La</strong> notizia era stata trasmessa a<br />

Chrušcëv per telefono, e il leader sovietico aveva chiesto prove concrete. <strong>La</strong> Casa Bianca<br />

inviò una nota alla CIA che fu ricevuta dall’assistente speciale di Bissell, Bob King. «Bill<br />

Bailey non è tornato a casa» 17 , le parole in codice con cui Richard Bissell seppe<br />

dell’accaduto.<br />

Sopra Sverdlosk, Francis Gary Powers era in caduta libera. In qualche modo, era<br />

riuscito a staccarsi dall’aereo che precipitava. Mentre scendeva fluttuando verso terra,<br />

Powers notò una piccola automobile che percorreva una strada sterrata nella sua stessa<br />

direzione, come se lo seguisse. Finalmente toccò il suolo. L’auto si fermò e ne scesero<br />

degli uomini che si misero ad aiutarlo. Uno si occupò del paracadute, un altro gli diede<br />

una mano a rimettersi in piedi. Una terza persona prese il pacco di sopravvivenza di<br />

Powers e ne estrasse la pistola. Attorno a lui si affollavano circa cinquanta persone. Gli<br />

uomini fecero cenno a Powers di seguirli. Lo fecero sedere sul sedile del passeggero di un<br />

camion e partirono.<br />

Sembravano amichevoli. Uno di loro gli offrì una sigaretta. L’emblema sul pacchetto<br />

raffigurava un cane. Prendendolo, Powers si rese conto dell’incredibile ironia di tutto<br />

quanto. <strong>La</strong> marca era <strong>La</strong>ika 18 e l’emblema era quello della cagnetta mandata nello<br />

spazio. <strong>La</strong>ika aveva volato a bordo dello Sputnik 2, il secondo satellite russo lanciato dal<br />

cosmodromo di Tyuratam, l’obiettivo della CIA che Powers aveva fotografato meno di<br />

un’ora prima.


Con l’aereo spia U-2 e i missili SA-2, gli americani e i sovietici avevano giocato al gatto<br />

con il topo: inseguimenti continui, apparenti catture e ripetute fughe. Adesso il gioco era<br />

finito. Powers, come il topo, era stato preso. Ma c’era una seconda catastrofe, anche<br />

peggiore. Quando lo staff della Casa Bianca aveva saputo che l’U-2 di Powers era stato<br />

abbattuto, tutti pensarono che fosse morto. Si trattava di un’assuzione basata su “fatti”<br />

d e l l a CIA. Richard Bissell aveva assicurato personalmente al presidente che<br />

nell’improbabile eventualità che un missile SA-2 fosse riuscito a raggiungere un U-2 e ad<br />

abbatterlo, il pilota non sarebbe sopravvissuto. «Credevamo che se un U-2 fosse stato<br />

abbattuto 19 in territorio sovietico, tutto ciò su cui i russi avrebbero potuto mettere le mani<br />

sarebbe stato il rottame di un aereo» spiegò in seguito Bissell. E così, convinti che Gary<br />

Powers fosse morto, la Casa Bianca negò che l’aeroplano stesse compiendo una missione<br />

di spionaggio, contraddicendo le accuse lanciate pubblicamente da Chrušcëv. Per cinque<br />

giorni, la Casa Bianca affermò 20 che Gary Powers stava raccogliendo dati meteorologici<br />

ad alta quota per conto del National Advisory Committee for Aeronautics, o NACA.<br />

Ma Chrušcëv aveva le prove 21 , che presto avrebbe reso pubbliche. Con un gesto<br />

teatrale 22 , il 5 maggio riunì tutti i 1.300 membri del Soviet Supremo nella sala conferenze<br />

del Cremlino e si rivolse loro da un palco. Gli Stati Uniti si stanno prendendo gioco della<br />

Madre Russia, dichiarò. Avevano mandato aerei spia sull’Unione Sovietica per quasi<br />

quattro anni. Per sottolineare la gravità di ciò che era accaduto, Chrušcëv fece<br />

un’analogia pregnante. «Immaginate che cosa sarebbe successo se un aereo sovietico<br />

fosse comparso sopra New York, Chicago o Detroit. Avrebbe significato lo scoppio di una<br />

guerra!» Tra mormorii di orrore, Chrušcëv spiegò come l’Unione Sovietica avesse<br />

inizialmente usato canali diplomatici per protestare contro i voli dell’aereo spia. Disse che<br />

aveva chiesto al Consiglio di sicurezza dell’ONU di prendere provvedimenti, ma che non<br />

era stato fatto nulla. Solo quattro giorni prima, continuò, il Primo Maggio, si era verificata<br />

un’altra missione di spionaggio illegale. Solo che questa volta i sovietici erano riusciti ad<br />

abbattere l’aereo. Il pubblico ruppe in esclamazioni di giubilo. Poi arrivò al nocciolo della<br />

questione, formulando una domanda che era anche una provocazione, com’era nel suo<br />

stile. «Chi ha inviato questo aereo oltre la frontiera sovietica?» chiese. «È stato il<br />

comandante in capo americano che, come tutti sanno, è il presidente? Oppure i<br />

responsabili di questo atto di aggressione sono stati i militaristi del Pentagono <strong>senza</strong> che<br />

il presidente ne fosse a conoscenza? Se i militari americani possono intraprendere simili<br />

azioni di loro iniziativa, il mondo dovrebbe cominciare a preoccuparsi seriamente.» A quel<br />

punto il pubblico di Chrušcëv stava battendo i piedi sul pavimento.<br />

Dall’altra parte dell’oceano, il presidente Eisenhower continuava a ignorare che Gary<br />

Powers fosse vivo e che stesse parlando con gli uomini che lo avevano catturato. Tutto<br />

quello che la Casa Bianca e la CIA sapevano era che i sovietici erano in possesso del<br />

rottame di un U-2. Chrušcëv aveva architettato una trappola pericolosa, e il presidente<br />

Eisenhower ci finì dritto dentro. <strong>La</strong> Casa Bianca mandò nella sala stampa il suo addetto<br />

Walter Bonney, il quale salutò i giornalisti e raccontò una menzogna alla nazione. L’aereo<br />

per le ricerche meteorologiche di Gary Powers avrebbe dovuto sorvolare la Turchia, e<br />

invece era finito fuori rotta. Due giorni dopo, il 7 maggio, Chrušcëv fece scattare la<br />

trappola. «Compagni» disse al Soviet, riunito per un secondo discorso rivelatore. «Devo


confidarvi un segreto.» Sorrise. «Quando vi ho parlato due giorni fa, ho deliberatamente<br />

evitato di dirvi che abbiamo i resti dell’aeroplano e abbiamo anche il pilota che è<br />

piuttosto vivo e vegeto» disse Chrušcëv. Per gli Stati Uniti era un disastro diplomatico<br />

della peggior specie.<br />

Il presidente era in trappola. Se avesse negato di sapere cosa stavano facendo i suoi<br />

“militaristi”, sarebbe sembrato disinformato riguardo al proprio esercito. Se avesse<br />

ammesso di aver autorizzato personalmente il volo di Powers, sarebbe apparso chiaro<br />

che aveva mentito dicendo che l’aereo abbattuto faceva ricerche meteorologiche e non<br />

spionaggio. Il comandante in capo era talmente demoralizzato dalla posizione<br />

insostenibile in cui si trovava che quando entrò nella Sala Ovale, due giorni dopo, disse<br />

alla sua segretaria Ann Whitman: «Vorrei tanto potermi dimettere» 23 . Spiare la Russia e<br />

violare lo spazio aereo sovietico era una cosa; mentire dopo esser stato colto con le mani<br />

nel sacco avrebbe fatto apparire il presidente americano come un bugiardo agli occhi del<br />

mondo. Nel 1960, ci si aspettava che i presidenti americani dicessero la verità; non c’era<br />

alcun precedente di menzogne.<br />

Chrušcëv pretese delle scuse dalla sua nemesi. Eisenhower non avrebbe ceduto 24 .<br />

Scusarsi non avrebbe fatto altro che scoperchiare il vaso di Pandora. C’erano troppe<br />

missioni di spionaggio perché si potessero rendere pubbliche: gli U-2 avevano sorvolato la<br />

Russia in almeno ventiquattro occasioni e poi c’erano le centinaia di voli dei bombardieri<br />

del generale LeMay. Rivelare il pericoloso gioco del gatto con il topo che era andato<br />

avanti in segreto – in un’epoca in cui le armi termonucleari di ambedue le parti erano<br />

pronte a essere usate – avrebbe verosimilmente scioccato e spaventato la popolazione<br />

molto più del fatto di avere un presidente bugiardo. Un sondaggio nazionale rivelò che<br />

oltre la metà degli americani adulti erano convinti di avere più probabilità di morire in<br />

una guerra atomica contro la Russia che di vecchiaia. Così Eisenhower prese la decisione<br />

di concentrare l’attenzione solo sulla missione di Gary Powers e di confessare di averla<br />

autorizzata personalmente. Fu «la prima volta che una nazione ammetteva<br />

pubblicamente 25 di essere impegnata nello spionaggio» osservò il massimo esperto di<br />

foto scattate dagli U-2 dell’epoca, Dino Brugioni.<br />

Anche Chrušcëv poteva giocare al gatto con il topo. E lo fece mettendo a segno una<br />

pericolosa mossa offensiva. Nell’estate del 1960 aveva autorizzato l’installazione di una<br />

base militare sovietica 26 a Cuba. L’isola, a sole 90 miglia dalla costa della Florida, era alle<br />

porte dell’America. Il piano di Chrušcëv era di mettere testate nucleari a distanza di tiro<br />

da Washington. In quel modo, i missili sovietici potevano essere lanciati dall’Avana e<br />

cancellare dalla faccia della Terra la capitale degli Stati Uniti in soli 25 minuti 27 . Chrušcëv<br />

stava dimostrando a Eisenhower che anche lui sapeva giocare al gatto con il topo.<br />

Subito dopo essere stato abbattuto e recuperato dai sovietici, Gary Powers fu portato in<br />

aereo da Sverdlovsk a Mosca e rinchiuso in una cella della Lubjanka, la prigione che<br />

fungeva anche da quartier generale del KGB. Qui iniziarono gli interrogatori. Powers aveva<br />

già deciso una tattica: avrebbe detto ai russi la verità, ma «con limiti precisi». Il KGB<br />

voleva sapere dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Dov’era stato addestrato a pilotare gli U-2? chiesero a Powers.<br />

Secondo le sue memorie, disse al KGB che l’addestramento si era svolto in una base della


West Coast chiamata Watertown. Powers scrisse che i sovietici credevano che Watertown<br />

fosse in Arizona e che gli fecero vedere una cartina dello stato, chiedendogli di indicare<br />

l’esatta ubicazione della base. Non è chiaro se i sovietici stessero ingannandolo o se<br />

Powers stesse dicendo ai suoi lettori la verità ma «con limiti precisi». Comunque sia, le<br />

trascrizioni del processo che si tenne nell’agosto del 1960, declassificate dalla CIA nel<br />

1985, rivelarono che i sovietici sapevano esattamente dove fosse Watertown e che si<br />

trovava all’interno del Nevada Test Site. Durante il processo a Powers 28 , il procuratore<br />

generale sovietico Rudenko chiese ai compagni giudici se conoscessero «la deposizione<br />

che l’accusato Powers ha reso durante le indagini preliminari e qui davanti alla corte sui<br />

preparativi per i voli con l’aereo U-2 al poligono di <strong>La</strong>s Vegas nel deserto del Nevada» 29 e<br />

poi sostenne che la base era usata dalla CIA per «l’addestramento nell’uso di uno speciale<br />

aereo da ricognizione». Prima della pubblicazione del presente libro non si era capito che<br />

il KGB era chiaramente a conoscenza dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> durante il processo a Powers.<br />

Inoltre, il processo rivelò che i sovietici avevano un quadro del funzionamento interno<br />

dell’industria bellica americana e del suo sistema di contractor della difesa molto più<br />

chiaro di quanto credesse la CIA. Rudenko nominò la “società Lockheed” dicendo che era il<br />

costruttore dell’U-2. Sostenne l’esistenza del «poligono di tiro di <strong>La</strong>s Vegas», alias <strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong>, e parlò dell’aereo spia della Lockheed come l’esemplificazione di ciò che definì una<br />

“cospirazione criminale” 30 tra «un’importante società capitalistica americana, un centro di<br />

spionaggio e ricognizione e l’esercito degli Stati Uniti». Nel suo discorso al Comitato degli<br />

affari internazionali dell’URSS, Rudenko aveva identificato correttamente i tre attori del<br />

triangolo dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>: contractor della difesa, comunità dei servizi segreti e Pentagono.<br />

Dopo un processo durato tre giorni, i sovietici stabilirono che Gary Powers, sorpreso a<br />

spiare la Russia, rivelava gli Stati Uniti per quello che erano: “un nemico della pace”.<br />

Powers fu condannato a dieci anni di prigione. Il presidente Eisenhower fu bollato come<br />

un «seguace di Hitler», 31 l’insulto peggiore nel lessico sovietico. Nel 1941 Hitler aveva<br />

ingannato il predecessore di Chrušcëv, Josif Stalin, e il risultato erano stati venti milioni di<br />

morti russi. Paragonando Eisenhower a Hitler, Chrušcëv stava mandando un messaggio<br />

chiaro: la diplomazia era fuori gioco. L’imminente vertice Est-Ovest in programma a Parigi<br />

fu cancellato. Poteva andare peggio?<br />

Il National Advisory Committee for Aeronautics diramò un comunicato stampa<br />

identificando Watertown come un’installazione per la formazione dei piloti degli U-2 32 , ma<br />

affermando falsamente che non era più utilizzata come base di addestramento. I russi<br />

sapevano che la dichiarazione serviva a gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica<br />

americana e non dell’intelligence sovietica, il KGB. <strong>La</strong> CIA sapeva che i sovietici avevano<br />

informazioni di primissima mano sull’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> nella persona di Gary Powers, e non solo<br />

immagini fotografiche dell’installazione riprese dai satelliti che avevano mandato in<br />

orbita.<br />

Mentre la Casa Bianca assorbiva le ricadute dell’affare Gary Powers, la CIA e<br />

l’aeronautica militare erano occupatissime a lavorare sul sostituto dell’U-2 al Ranch 33 . <strong>La</strong><br />

pista lunga 2.590 metri, denominata 14/32 e ritenuta la più lunga del mondo, era finita,<br />

completata da un’estensione semicircolare di tre chilometri e duecento metri chiamata


Hook, che avrebbe offerto al pilota dell’A-12 spazio extra per manovrare nel caso la pista<br />

non fosse bastata. Erano stati costruiti quattro nuovi hangar, chiamati 4, 5, 6 e 7. Gli ex<br />

hangar degli U-2, le cui porte metalliche erano state deformate dall’esplosione atomica,<br />

furono convertiti in zone di manutenzione e officine. Unità abitative della marina,<br />

centoquaranta in tutto, erano state trasportate alla base e sistemate in file ordinate. Lo<br />

spaccio era stato ampliato, come anche il cinema e la caserma dei pompieri. Richard<br />

Bissell si era fatto costruire dei campi da tennis 34 ed erano stati fatti progetti per una<br />

piscina olimpica. Lo spazio aereo dell’intera regione ottenne una propria designazione, R-<br />

4808N, separata da quella che in precedenza era denominata <strong>Area</strong> riservata P-275 35 ;<br />

comprendeva il Nevada Test Site, l’<strong>Area</strong> 13 e l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. <strong>La</strong> CIA stava solo aspettando che<br />

la Lockheed consegnasse gli A-12.<br />

Alla Lockheed, ciascun aereo da Mach 3 veniva letteralmente forgiato a mano, pezzo<br />

per pezzo, un aeroplano alla volta. <strong>La</strong> produzione del velivolo, secondo Richard Bissell,<br />

«richiese un’apposita base industriale. Dovettero essere inventati nuovi attrezzi, vernici,<br />

prodotti chimici, cavi, oli, motori, carburanti, persino viti speciali al titanio. Quando la<br />

Lockheed finì di costruire l’A-12, aveva progettato e fabbricato tredici milioni di pezzi<br />

diversi» 36 . Fu soprattutto il titanio a costituire un ostacolo 37 . Era l’unico metallo in grado<br />

di resistere al calore sviluppato da un aereo che volava a Mach 3: da 260 a 315 °C di<br />

temperatura sulla superficie della fusoliera e quasi 540 nelle parti vicine ai motori. Ciò<br />

significava che la lega di titanio doveva essere pura; circa il novantacinque per cento di<br />

quello che la Lockheed aveva ricevuto all’inizio 38 dovette essere scartato. Il titanio era<br />

anche sensibilissimo al cloro, una cosa che gli ingegneri della Lockheed non avevano<br />

capito subito. Durante l’estate, quando i livelli di cloro nell’acquedotto di Burbank<br />

venivano innalzati per combattere le alghe, agli Skunk Works i pezzi dell’aereo iniziarono<br />

misteriosamente a corrodersi. Alla fine si scoprì il problema e la squadra che lavorava agli<br />

Skunk Works fu costretta a usare acqua distillata. Dopodiché saltò fuori che il titanio era<br />

sensibile anche al cadmio, la sostanza con cui erano rivestiti la maggior parte degli<br />

attrezzi della Lockheed. Si dovettero rifare da capo intere cassette degli attrezzi e<br />

centinaia di pezzi furono gettati via. Il problema successivo aveva a che fare con l’energia<br />

elettrica. <strong>La</strong> galleria del vento di Burbank prelevava troppa elettricità dalla rete locale. Se<br />

un giornalista avesse scoperto la cosa, avrebbe iniziato a fare domande scomode. <strong>La</strong> NASA<br />

offrì a Kelly Johnson un’installazione alternativa con una galleria del vento nella California<br />

settentrionale, vicino al deserto del Mojave, e alla fine gli ingegneri della Lockheed si<br />

trasferirono lì per eseguire i test a tarda notte, con il favore delle tenebre. <strong>La</strong> natura<br />

complessa di tutto quello che riguardava Oxcart non faceva che ritardare la consegna<br />

prevista.<br />

All’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, la preoccupazione continuava a essere l’invisibilità. I risultati dei test radar<br />

al pilone erano promettenti, ma mentre Oxcart faceva progressi, li facevano anche i<br />

sovietici con le contromisure per abbatterlo. <strong>La</strong> Russia stava investendo miliardi di rubli 39<br />

nella tecnologia dei missili terra-aria e la CIA scoprì presto che la nuova nemesi dell’Oxcart<br />

era un sistema denominato Tall King. Ottenere dati decisivi sulle esatte capacità di Tall<br />

King prima che l’Oxcart gli si avvicinasse era diventato una priorità assoluta per l’agenzia.<br />

Per comprendere il nuovo sistema sovietico, la CIA diede avvio a un esoterico


programma di ricerca e sviluppo denominato progetto Palladium. Il progetto, che aveva a<br />

che fare con l’ELINT, avrebbe avuto ramificazioni a Cuba e alla fine si sarebbe spostato<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Nel 1960 «c’erano molti funzionari della CIA convinti che ELINT fosse una<br />

parolaccia» 40 ricorda Gene Poteat, l’ingegnere responsabile del progetto Palladium che<br />

era nato con l’Office of Scientific Intelligence della CIA. Poteat fu uno dei pionieri che<br />

contribuì a cambiare la mentalità interna all’agenzia. «Avevamo bisogno di conoscere la<br />

sensibilità dei ricevitori radar sovietici e l’efficienza dei loro operatori» spiega Poteat.<br />

Visto che Chrušcëv usava Cuba come base militare nell’emisfero occidentale, la CIA<br />

intravide un’opportunità. «Quando i sovietici andarono a Cuba con i loro missili e i sistemi<br />

radar a essi associati, ci venne offerta un’occasione d’oro per misurare la sensibilità del<br />

sistema di rilevamento dell’SA-2» dice Poteat. Per farlo, la CIA aveva bisogno di una<br />

batteria di maghi dei missili. Tra costoro, c’era T.D. Barnes.<br />

Thorntorn “T.D.” Barnes era un elemento prezioso per la CIA a un’età in cui la maggior<br />

parte degli uomini non si sono nemmeno laureati. Sposato a diciassette anni con la sua<br />

fidanzatina del liceo, Doris, Barnes divenne un mago dell’elettronica autodidatta che<br />

comprava televisori rotti, li aggiustava e li rivendeva a cinque volte il prezzo a cui li aveva<br />

acquistati. In questo modo, passò dalla povertà estrema – era cresciuto in un ranch del<br />

Texas Panhandle (le ventisei contee più settentrionali del Texas) <strong>senza</strong> elettricità né<br />

acqua corrente – a poter offrire alla mogliettina una casa da sogno prima di raggiungere<br />

l’età del voto.<br />

A diciassette anni, Barnes mentì sull’età per unirsi alla Guardia Nazionale e poter<br />

combattere in Corea. Sognava di diventare un ufficiale dell’esercito. Due anni dopo fu<br />

mandato al 38° parallelo per difendere la regione insieme a una compagnia di fanteria<br />

inglese e turca. In Corea Barnes iniziò la sua carriera nell’intelligence dalla gavetta.<br />

«Sedevo in cima a una collina e controllavo se c’erano soldati nemici. Se li vedevo<br />

arrivare, il mio compito era informare la base via radio» ricorda Barnes. Adorava<br />

l’esercito. Le cose che imparò da soldato lo accompagnarono per tutta l’esistenza. Una<br />

volta, in Corea, alla base fu portato in tutta fretta un soldato ferito. Barnes sentì dire che<br />

l’uomo aveva bisogno di essere portato in ospedale, ma dato che la benzina<br />

scarseggiava, tutti i veicoli dovevano essere autorizzati da un superiore. Senza ufficiali a<br />

portata di mano, Barnes temette che il soldato potesse morire se non avesse agito in<br />

fretta, così firmò l’autorizzazione usando il nome del suo superiore. «Stavo rischiando di<br />

beccarmi una nota di demerito» spiega Barnes. <strong>La</strong> sua decisione attirò l’attenzione<br />

dell’ufficiale di grado più elevato della base, il general maggiore Carl Jark, e in seguito gli<br />

procurò una menzione al merito. Alla fine della guerra Jark indirizzò Barnes verso i radar<br />

e l’elettronica. «Mi suggerì di andare a Fort Bliss e di farmi un’istruzione lì» racconta<br />

Barnes. Così T.D. e Doris Barnes andarono in Texas, dove l’esistenza di T.D. sarebbe<br />

cambiata completamente. E non ci volle molto prima che i suoi eccezionali talenti<br />

attirassero l’attenzione della CIA.<br />

Barnes adorava imparare. A Fort Bliss frequentò lezioni sui missili Nike Ajax e Nike<br />

Hercules di giorno e lezioni alla Texas Western University di sera per i successivi quattro<br />

anni e mezzo. Si trattava dei missili messi a punto dieci anni prima dagli scienziati di


Paperclip, sviluppati a partire dal V2 tedesco. A Fort Bliss, Barnes lesse articoli scientifici<br />

scritti dagli ex scienziati nazisti e qualche volta i tedeschi facevano lezione. «Nessuno<br />

pensava sul serio che fossero ex nazisti» dice Barnes. «Erano gli esperti. Adesso<br />

lavoravano per noi e noi imparavamo da loro.» All’inizio del 1960 Barnes era un vero<br />

esperto di missili. Talvolta, quando un missile non partiva al White Sands Missile Range,<br />

mandavano lui a disarmarlo. «Mi avvicinavo al missile, toglievo il pannello e scollegavo i<br />

cavi dell’innesco» ricorda Barnes. «Quando si è giovani, non si pensa mai a quanto siano<br />

pericolose certe cose.» Tra la formazione accademica e l’esperienza sul campo, Barnes<br />

sviluppò un eccezionale talento in un campo esoterico che la CIA stava appena iniziando a<br />

esplorare: ELINT. Ecco perché a ventitré anni fu reclutato dall’agenzia 41 per partecipare a<br />

un “gioco del pollo” * top-secret con i russi che faceva parte del progetto Palladium.<br />

Sebbene Barnes all’epoca non lo sapesse, il lavoro che stava facendo riguardava sistemi<br />

di contromisure elettroniche che in seguito sarebbero stati installati a bordo dell’A-12<br />

Oxcart.<br />

L’aviazione militare americana ebbe le sue origini alla base di Fort Bliss nel 1916,<br />

quando la prima squadriglia aerea la usò come postazione temporanea mentre dava la<br />

caccia a Pancho Villa nel vicino Messico. Adesso, quasi mezzo secolo dopo, la base,<br />

chiamata Biggs, apparteneva allo Strategic Air Command e ospitava bombardieri pesanti<br />

come i B-52 Stratofortress. A partire dal 1960, l’installazione divenne anche una base<br />

temporanea per le missioni segrete della CIA facenti parte del progetto Palladium, e<br />

quello stesso anno T.D. Barnes si ritrovò in piedi sull’asfalto del campo d’aviazione di<br />

Biggs a guardare un gruppo di uomini dell’aeronautica che caricavano con delicatezza un<br />

missile Hawk nella stiva di un aereo. Credevo che le armi stessero nell’alloggiamento<br />

apposito, pensò Barnes. Ma il progetto a cui partecipava era insolito, pericoloso e topsecret.<br />

Per Barnes le informazioni relative al quadro generale non erano strettamente<br />

necessarie e sapeva che era meglio non fare domande. Così, si arrampicò nella stiva e<br />

sedette di fianco al missile. «Avevamo tolto la punta e anche parte dell’involucro. Il<br />

missile era appoggiato su un banco all’interno dell’aereo. Il mio compito consisteva<br />

nell’osservare la risposta elettronica» spiega Barnes. L’aeroplano e l’equipaggio<br />

decollarono dalla base e fecero rotta verso Cuba. Il piano prevedeva di volare lungo il<br />

confine dello spazio aereo cubano <strong>senza</strong> entrarvi. Alcuni istanti prima di sconfinare, il<br />

pilota avrebbe rapidamente invertito la rotta e sarebbe tornato alla base. A quel punto,<br />

gli esperti radar russi che lavoravano nelle postazioni cubane avrebbero attivato i loro<br />

sistemi per seguire l’aereo americano e dei caccia MIG si sarebbero alzati in volo per<br />

reagire. Il compito del progetto Palladium era raccogliere dati di intelligence elettronica<br />

dai segnali emessi dalle stazioni radar e dai MIG. Si trattava del primo passo per scoprire<br />

come creare un sistema di interferenza per l’A-12 all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

I cubani e i loro patroni russi non sapevano se gli americani stessero facendo un altro<br />

gioco del pollo o se si trattasse di un atto di guerra. «I MIG sovietici si sarebbero lanciati<br />

contro di noi» racconta Barnes. «All’epoca la tecnologia ECM [Electronic countermeasure,<br />

“contromisure elettroniche”] e ECCM [Electronic counter-countermeasure, “controcontromisure<br />

elettroniche”] era ancora nuova sia per l’aereo sia per il missile. Avremmo<br />

trasmesso un segnale Doppler da un simulatore radar che avrebbe detto ai loro piloti di


caccia che erano diventati l’obiettivo di un missile. Quando i piloti sovietici avessero<br />

attivato il loro ECM contro di noi, il mio compito consisteva nello stare seduto lì a guardare<br />

come rispondeva l’ECCM del nostro missile. Se il segnale sovietico avesse interferito con il<br />

missile mandandolo fuori rotta, avrei regolato l’ECCM dell’arma per stabilire in che modo<br />

fosse possibile evitare il segnale ECM sovietico.» Sebbene primitiva per gli standard<br />

odierni, quello che stavano facendo Barnes e gli agenti dell’NSA che erano insieme a lui<br />

sull’aereo gettò le primissime basi della guerra elettronica. «All’interno dell’aereo,<br />

avremmo registrato le frequenze che a Fort Bliss sarebbero state riascoltate per<br />

l’addestramento e la progettazione. Una volta ottenuto quello che volevamo, alzammo il<br />

culo in tutta fretta per evitare un reale contatto con gli aerei sovietici.»<br />

Le informazioni che Barnes e i suoi colleghi stavano raccogliendo sopra Cuba<br />

cominciarono a riempire i vuoti di quello che in precedenza non si sapeva. Tornati a Fort<br />

Bliss, Barnes e gli altri avrebbero interpretato quello che l’NSA aveva captato delle<br />

trasmissioni ECM russo-cubane che avevano registrato durante il volo. Ascoltando le<br />

risposte sovietiche decrittate alle mosse dei nemici, la CIA apprese che cosa i russi<br />

vedevano e che cosa non vedevano sui loro schermi radar. Questa tecnologia divenne<br />

una delle componenti principali nello sviluppo futuro della tecnologia stealth e delle<br />

contromisure elettroniche, e fu la ragione che in seguito portò Barnes a lavorare all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> per conto della CIA. Per l’aeronautica militare fu l’inizio di una nuova era di guerra<br />

dell’informazione.<br />

Anche se l’aereo militare americano con a bordo una squadra di ingegneri e di agenti<br />

dell’NSA e un missile Hawk nascosto nella stiva invertì la rotta all’ultimo momento, appena<br />

prima di violare lo spazio aereo cubano, secondo Barnes «ci furono delle ripercussioni».<br />

«Li spaventò a morte e provocò un’escalation.» Nel gennaio del 1961, Chrušcëv riunì un<br />

gruppo di diplomatici cubani alla loro ambasciata di Mosca. «In questo momento da Cuba<br />

arrivano notizie allarmanti, notizie secondo cui i capitalisti americani stanno preparando<br />

un attacco diretto su Cuba» disse il leader sovietico. Barnes è convinto che Chrušcëv<br />

«potesse riferirsi al casino che avevamo fatto con i nostri missili Hawk diretti contro i loro<br />

aerei». Comunque fosse, Chrušcëv aveva una ragione valida. Ma il volubile dittatore<br />

aveva le sue difficoltà ad attenersi ai fatti: la disinformazione era una caratteristica<br />

distintiva della macchina propagandistica sovietica.<br />

A una stanza piena di diplomatici cubani, molti dei quali sapevano che le cose stavano<br />

in un altro modo, Chrušcëv dichiarò: «Quel che è peggio, [gli americani] stanno cercando<br />

di far credere che a Cuba si stiano installando delle basi missilistiche dell’Unione<br />

Sovietica, o addirittura che ci siano già. Il che, come tutti sanno, è una schifosa<br />

menzogna. Non c’è nessuna base militare sovietica a Cuba». In realtà, era proprio quello<br />

che i sovietici stavano facendo. «Naturalmente noi sapevamo benissimo come stavano le<br />

cose e il 3 gennaio 1961 l’America ruppe i rapporti diplomatici con Cuba» precisa Barnes.<br />

Dieci giorni dopo, la CIA riunì il suo Special Group, una commissione segreta interna al<br />

National Security Council con funzioni di supervisione sulle attività coperte dell’agenzia.<br />

Venne presa la decisione formale secondo cui il regime di Castro «dev’essere<br />

rovesciato» 42 . L’uomo incaricato di assicurarsi che ciò accadesse era Richard Bissell. Oltre<br />

a essere il funzionario di grado più elevato della CIA allo Special Operations Group, Bissell


era anche l’uomo più degno di fiducia agli occhi di John F. Kennedy, il brillante nuovo<br />

presidente. Prima dell’insediamento, un membro del gruppo di transizione della Casa<br />

Bianca aveva chiesto a Kennedy quale fosse l’uomo dei servizi segreti di cui si fidava di<br />

più. «Richard Bissell» aveva risposto <strong>senza</strong> esitazioni Kennedy 43 .<br />

Il titolo ufficiale di Bissell adesso era Deputy Director of Plans (Vicedirettore dei piani).<br />

Per quanto suonasse innocua, la qualifica era in realtà un eufemismo che stava per “Capo<br />

delle operazioni coperte della CIA”. Ciò significava che Bissell era responsabile del servizio<br />

clandestino dell’agenzia, ovvero delle sue operazioni paramilitari. In precedenza l’ufficio<br />

era noto come Office of Policy Coordination, o OPC. In qualità di Deputy Director of Plans,<br />

Richard Bissell avrebbe fatto molto più che giocare alla spia gentiluomo dai cieli. Le<br />

operazioni paramilitari della CIA versavano sangue. Nel corso di queste operazioni<br />

anticomuniste coperte morirono centinaia di uomini, dall’Ungheria alla Grecia all’Iran, e<br />

tutte dovettero essere pianificate, dettagliate e approvate dal vicedirettore.<br />

Occupare quella posizione implicava dei presagi sinistri che Richard Bissell non intuì, o<br />

che scelse di non vedere. L’uomo che aveva sostituito era Frank Wisner, il suo vecchio<br />

amico e l’uomo che l’aveva introdotto nella CIA. Wisner era stato Deputy Director of Plans<br />

dall’agosto del 19<strong>51</strong> al gennaio del 1959, ma alla fine dell’estate del 1958 il lavoro si era<br />

dimostrato psicologicamente troppo pesante per lui: Frank Wisner aveva iniziato a<br />

manifestare i primi segni della pazzia. Secondo Tim Weiner la diagnosi fu mania psicotica.<br />

Medici e farmaci non servirono a nulla. Frank Wisner uscì dal manicomio come uno<br />

zombie e continuò a lavorare come capo dell’ufficio di Londra della CIA. Era un uomo finito<br />

e non resistette molto oltreoceano. Entrò e uscì dal manicomio per anni finché nel 1962<br />

fu costretto al pensionamento. Il 29 ottobre 1965 Wisner era nella sua tenuta di<br />

campagna e si stava preparando per andare a caccia con il suo vecchio amico della CIA,<br />

Joe Bryan, quando prese un fucile dalla rastrelliera e si piantò una pallottola in testa 44 .<br />

Per alcuni la pressione del ruolo di vicedirettore dei piani per la CIA poteva rivelarsi<br />

pericolosa quanto un fucile carico.<br />

Mentre gli operai continuavano a darsi da fare per preparare l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> all’arrivo<br />

dell’Oxcart, Richard Bissell si concentrò sugli ordini di sbarazzarsi di Fidel Castro. Nel 1961<br />

l’agenzia aveva deciso che Bahía de Cochinos, o Baia dei Porci 45 , era il posto perfetto per<br />

lanciare il suo “piano paramilitare”. <strong>La</strong> piccola porzione di costa sul versante meridionale<br />

dell’isola era praticamente disabitata e nei pressi c’era il notevole vantaggio di «una pista<br />

di atterraggio non lontana dalla spiaggia».<br />

Di sicuro l’U-2 avrebbe potuto essere utile per raccogliere informazioni 46 , decise Bissell.<br />

Dopo l’abbattimento di Gary Powers, il presidente Eisenhower aveva promesso<br />

pubblicamente che non ci sarebbero più state missioni spia sulla Russia, ma quella<br />

promessa non includeva vicini comunisti pericolosi come Cuba. Nella sua nuova posizione<br />

di vicedirettore, Bissell aveva già usato gli U-2 per avere informazioni: le fotografie<br />

dell’aereo spia erano state utili nel pianificare operazioni paramilitari in <strong>La</strong>os e nella<br />

Repubblica Dominicana. E a Cuba le fotografie scattate dagli U-2 dell’agenzia avevano<br />

rivelato importanti dettagli sul terreno alle spalle della spiaggia della Baia dei Porci. Gli<br />

analisti delle immagini stabilirono che la terra paludosa della zona sarebbe stata difficile


da attraversare a meno che i commandos non si addestrassero appositamente. Quanto<br />

all’ammaraggio, da oltre 21.000 metri di quota lo specchio d’acqua della Baia dei Porci<br />

appariva piatto e confortevole. Ma poiché le macchine fotografiche non potevano<br />

riprendere quello che si nascondeva sotto la superficie, Bissell non aveva idea del fatto<br />

che appena sotto il pelo dell’acqua c’era una barriera corallina letale che in seguito<br />

avrebbe ostacolato in maniera decisiva lo sbarco dei commandos.<br />

Centinaia di pagine, declassificate dopo trent’anni, rivelano la mano del mago<br />

dell’economia Bissell nella progettazione dell’operazione paramilitare, che definì con cura<br />

maniacale. Vista tutta l’organizzazione e la pianificazione, l’operazione avrebbe potuto<br />

essere un successo. Ma ci sono molte ragioni per cui fallì tanto tragicamente. Quando<br />

l’operazione della Baia dei Porci fu terminata, centinaia di esiliati cubani anticastristi<br />

addestrati dalla CIA erano rimasti uccisi all’arrivo o lasciati a morire sulla spiaggia<br />

dell’insenatura. Quelli che sopravvissero furono incarcerati e in seguito restituiti agli Stati<br />

Uniti dietro il pagamento di una somma di denaro. Quando la storia divenne di pubblico<br />

dominio, si vennero a sapere anche le ultime parole del comandante Pepe San Roman<br />

prima di essere fatto prigioniero: «Dobbiamo avere appoggio aereo nelle prossime ore<br />

altrimenti verremo spazzati via. Sotto pesante attacco da parte di caccia MIG e carri<br />

armati». Pepe San Roman pregò Richard Bissell di aiutarli. «Tutti i gruppi sono<br />

demoralizzati […]. Sono convinti di essere stati ingannati.» Alla fine della giornata, il<br />

mondo di Richard Bissell aveva cominciato a crollare irrimediabilmente. <strong>La</strong> Baia dei Porci<br />

sarebbe stata la sua rovina.<br />

C’erano un sacco di persone da incolpare, ma quasi tutta la responsabilità fu addossata<br />

alla CIA. Negli anni successivi si è chiarito che la stessa colpa si sarebbe dovuta attribuire<br />

al dipartimento della Difesa, al dipartimento di stato e al presidente Kennedy. Poco prima<br />

di morire, Richard Bissell accusò del fallimento della missione il suo antico rivale, il<br />

generale Curtis LeMay 47 . Bissell si lamentò del fatto che se il generale LeMay avesse<br />

fornito adeguata copertura aerea 48 come aveva promesso, molto probabilmente la<br />

missione avrebbe avuto successo. Il Pentagono ha storicamente attribuito il mancato<br />

invio da parte di LeMay dei bombardieri B-26 sulla Baia dei Porci a una «confusione con i<br />

fusi orari» 49 . Bissell interpretò il pasticcio sul piano personale, convinto che LeMay fosse<br />

stato motivato dal desiderio di vendetta. Che provasse risentimento nei confronti di<br />

Bissell per l’U-2 e l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Qualunque ne sia stata la ragione, erano morte oltre trecento<br />

persone e 1.189 guerriglieri anticastristi, abbandonati a loro stessi, erano finiti in carcere.<br />

<strong>La</strong> rivalità tra Bissell e LeMay era finita, e la Baia dei Porci avrebbe costretto il primo a<br />

lasciare l’incarico governativo nel febbraio del 1962. Ci furono numerose reazioni del<br />

governo in seguito al fiasco. Una di esse è stata tenuta segreta fino a ora, vale a dire che<br />

il presidente Kennedy mandò l’ispettore generale della CIA dell’epoca, Lyman B.<br />

Kirkpatrick Jr 50 , all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per scrivere un rapporto sulla base. Più in particolare, il<br />

presidente voleva capire quali altri disastri potessero riservare le attività di Richard Bissell<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

A peggiorare una situazione già tesa fu il fatto che secondo alcuni resoconti anche<br />

Kirkpatrick nutriva del risentimento. Prima della Baia dei Porci, Richard Bissell era in lizza<br />

per succedere ad Allen Dulles in qualità di direttore della CIA, e otto anni prima Lyman


Kirkpatrick aveva occupato la stessa agognata posizione. Ma, come Bissell, Kirkpatrick era<br />

finito fuori gara a pochi passi dal traguardo. L’esclusione di Kirkpatrick non era stata<br />

causata da un suo comportamento ma da un avvenimento tragico sul quale non aveva<br />

avuto controllo. Durante una missione dell’agenzia in Asia, nel 1952, Lyman Kirkpatrick<br />

contrasse la poliomielite <strong>51</strong> e rimase paralizzato dalla vita in giù. Confinato su una sedia a<br />

rotelle per il resto della vita, fu relegato al ruolo di burocrate di secondo piano 52 .<br />

In un mondo di nobili aerei spia e di intelligence altamente tecnologica, la burocrazia<br />

era considerata un lavoro da scribacchini, necessario ma di basso livello. Eppure, quando<br />

JFK mandò l’ispettore generale della CIA all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, il destino e il futuro della base segreta<br />

che Richard Bissell aveva costruito nel deserto del Nevada erano nelle mani di Lyman<br />

Kirkpatrick.<br />

* Il gioco del pollo (Chicken game), anche se in italiano sarebbe meglio dire gioco del coniglio (in inglese per tacciare di<br />

pavidità qualcuno gli si dà del pollo), è una configurazione della teoria dei giochi a somma non nulla. L’informazione è<br />

completa e vi partecipano due giocatori che agiscono contemporaneamente. L’esemplificazione classica è basata sulla<br />

sfida del film Gioventù bruciata in cui due ragazzi fanno una corsa automobilistica lanciando simultaneamente le auto<br />

verso un dirupo. Se entrambi sterzano prima di arrivarvi, faranno una magra figura con i pari; se uno sterza e l’altro<br />

continua per un tratto di strada maggiore, il primo farà la figura del coniglio, mentre il secondo guadagnerà il rispetto dei<br />

pari. Se entrambi continuano sulla strada, moriranno. [N.d.T.]


Capitolo 9<br />

LA BASE TORNA ALLA VITA 1<br />

In qualità di responsabile delle attrezzature e dell’equipaggiamento all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> 2 , Jim<br />

Freedman era un’autorità. «Il mio lavoro consisteva nel fornire servizi a tutti i differenti<br />

gruppi presenti nell’area» spiega Freedman. «Inclusi la CIA, l’aeronautica militare, la EG&G,<br />

l a REECo [Reynolds Electric and Engineering] e persino Howard Hughes… pochissimi<br />

sapevano che aveva un suo hangar al Ranch.» Che cosa stesse facendo esattamente<br />

Hughes all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> rimane ancora classificato nel 2011, ma Freedman spiega le<br />

dinamiche in gioco. «Alla CIA piaceva alimentare la competizione tra i gruppi. Ecco perché<br />

avevamo la Kodak e la Polaroid, la Lockheed e la North American, la EG&G e Hughes.<br />

Erano tutti contractor esclusivi per ragioni di sicurezza. Ma la concorrenza faceva sì che la<br />

gente stesse in campana.» Jim Freedman fece da collegamento tra i diversi gruppi dal<br />

1960 al 1974. Se a uno scienziato serviva uno strumento qualsiasi, se un ingegnere aveva<br />

bisogno di un oscilloscopio o se un esperto radar voleva un pezzo di nastro magnetico,<br />

era compito di Freedman procurarglielo, e in fretta. Premessa indispensabile del suo<br />

lavoro era il fatto che Freedman sapeva come mantenere un segreto. Aveva<br />

autorizzazioni e permessi top-secret ed era in forze alla EG&G dal 1953. «Obbedivamo a<br />

una regola che diceva: “Quello che vieni a sapere qui, non farlo uscire da qui”. Era<br />

semplicissima» dice Freedman. «Non si poteva parlare. Se lo facevi perdervi il posto e<br />

finivi sulla lista nera. Così mia moglie e la mia famiglia erano convinti che riparassi tv.»<br />

Com’era successo in occasione del progetto Manhattan, anche nel caso di Oxcart le<br />

varie operazioni in corso all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> erano compartimentate, sicché ogni persona<br />

coinvolta lavorava in obbedienza a rigidi protocolli relativi alle informazioni strettamente<br />

necessarie. Gli uomini addetti al radar non avevano idea di quelli che lavoravano all’ELINT,<br />

i quali a loro volta non sapevano nulla di quello che stavano facendo le squadre di<br />

soccorso. Ciascuno conosceva solo il suo pezzetto. Pochissimi – ufficiali con ruoli direttivi<br />

– avevano al massimo idea di una parte del puzzle. Ma qualcuno doveva pur fungere da<br />

collegamento tra tutti questi pezzi, e fu così che Freedman divenne la persona che ne<br />

sapeva più di tutti su quello che accadeva all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Conosceva anche la pianta della base. <strong>La</strong> maggior parte degli addetti erano confinati<br />

nell’edificio, o negli edifici, in cui lavoravano, in quello in cui dormivano e nella mensa,<br />

dove tutti mangiavano insieme. In qualità di addetto ai collegamenti dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>,<br />

Freedman «andava in posti di cui credo che la gente non conoscesse nemmeno<br />

l’esistenza».<br />

Il primo lavoro di Freedman all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era consistito nell’installare radio nei veicoli


della EG&G durante i test nucleari. In seguito, gli venne insegnata l’arte di cablare le<br />

bombe atomiche. Negli anni Cinquanta Freedman prese parte a decine di test nucleari<br />

insieme ad Al O’Donnell, in qualità di membro della squadra che armava e faceva<br />

detonare le bombe sia al poligono dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> sia al Pacific Proving Ground. «Sono<br />

persino sopravvissuto allo schianto di un elicottero nelle isole Marshall» aggiunge<br />

Freedman. Nel 1957 la EG&G venne a sapere che Freedman aveva studiato fotografia dopo<br />

la scuola superiore e lo assegnò a una squadra incaricata di fotografare le esplosioni<br />

nucleari. Ma nel 1960 era entrato in vigore il trattato sul bando dei test nucleari e le<br />

esplosioni erano state spostate nel sottosuolo, sicché la vita di Freedman subì quella che<br />

lui stesso definì «una svolta <strong>senza</strong> chiasso».<br />

Un pomeriggio era seduto in un magazzino della EG&G di <strong>La</strong>s Vegas, intento a pulire<br />

l’attrezzatura fotografica. «Pensavo a quanto in fretta diventasse noioso il lavoro d’ufficio<br />

quando entrò il mio capo e disse: “Ehi, Jim, vuoi andare a lavorare a un progetto<br />

segreto?”.» Freedman non esitò. «Risposi di sì, perché sembrava interessante, e mi<br />

ritrovai all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Non ne avevo mai sentito parlare prima. Non avevo idea che si<br />

trovasse proprio al di là della collina del Nevada Test Site dove avevo lavorato per così<br />

tanti anni. Nessuno per cui non fossero informazioni strettamente necessarie ne<br />

conosceva l’esistenza.» Quando Freedman arrivò all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, ebbe la sensazione di<br />

«mettere piede sulla faccia oscura della luna. Si conosce la parte illuminata della luna;<br />

be’, in termini relativi, era così per il poligono nucleare. L’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era l’altra faccia, quella<br />

nascosta». Il lavoro che era iniziato con un contratto a breve termine nel dicembre del<br />

1960 sarebbe durato per i quattordici anni successivi.<br />

Un giorno, alla fine dell’estate del 1961, solo due mesi dopo che la Baia dei Porci era<br />

diventata di dominio pubblico, Jim Freedman stava camminando per la base con in mano<br />

una lista di lavori da svolgere. Era rimasto colpito dalla banalità e dallo scarso contenuto<br />

tecnico del compito più importante che gli era stato assegnato quella settimana. In un<br />

mondo dominato da scienza e apparecchi tecnologici all’avanguardia legati allo<br />

spionaggio, il supervisore voleva che Freedman aiutasse i carpentieri dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> a<br />

trovare maggiori quantità di assi di legno. «Gli operai stavano trasformando dei gradini in<br />

una rampa» spiega. «Succedeva ovunque nella base. Un sacco di scalini stavano<br />

diventando un sacco di rampe e ricordo di aver pensato che stavano spendendo un<br />

mucchio di soldi per consentire a qualcosa di basso e su ruote di muoversi per la base.»<br />

Freedman sapeva di non dover fare domande. «Ma quando atterrò un piccolo aereo e ne<br />

emerse un uomo in sedia a rotelle, vidi il mio capo, Werner Weiss della CIA, avvicinarsi al<br />

velivolo sulla pista. E guardandoli mentre si salutavano capii quanto quell’uomo fosse<br />

importante per la CIA. Aveva i capelli color argento. Una figura davvero memorabile su<br />

una sedia a rotelle. Per anni lo cercai alla tv.» Freedman non lo vide mai in televisione,<br />

ma l’uomo era Lyman Kirkpatrick, ispettore generale dell’agenzia. Mandato all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per<br />

ordine del presidente, a quanto si sa Kirkpatrick è l’unico ispettore generale della CIA ad<br />

aver mai visitato la base. Nonostante il fatto che fosse confinato su una sedia a rotelle,<br />

Kirkpatrick riuscì a ispezionare meticolosamente l’irregolare terreno desertico. Dopo che<br />

ebbe esaminato i vari edifici chiese di essere portato in automobile ai confini più lontani<br />

della base, dove individuò ciò che ritenne una falla nella sicurezza. «Il perimetro elevato


e irregolare a nordest dell’area operativa 3 , che ho ispezionato di persona, non è sotto il<br />

controllo del governo» scrisse Kirkpatrick nel suo rapporto, che è stato declassificato nel<br />

2004 ma da allora è stato rimosso dagli archivi della biblioteca della CIA. «È oggetto di<br />

una contesa relativa a delle concessioni minerarie, almeno una delle quali viene visitata<br />

periodicamente dal suo proprietario» annotò Kirkpatrick riferendosi alle miniere Black<br />

Metal e Groom. «Parecchie delle zone oggetto di disputa sono edifici vuoti o cantine che<br />

unitamente al terreno in generale offrono un’eccellente opportunità di penetrazione a<br />

estranei esperti e determinati» mise in guardia. In qualità di ispettore generale della CIA,<br />

Kirkpatrick era preoccupato del fatto che la base non fosse «rigorosamente protetta<br />

contro il sabotaggio», in particolare mediante «violazione aerea». Nel gioco del gatto con<br />

il topo tra Unione Sovietica e Stati Uniti, la tensione era perennemente alta. Prima c’era<br />

stato l’abbattimento di Gary Powers, nel maggio del 1960. Meno di un anno dopo si era<br />

verificata la fallita operazione della CIA alla Baia dei Porci. Il presidente era stato avvertito<br />

che probabilmente i sovietici stavano preparando una ritorsione per entrambi quegli<br />

incidenti. L’ex presidente Eisenhower disse a Kennedy che «il fallimento della Baia dei<br />

Porci spingerà i russi 4 a fare qualcosa che altrimenti non avrebbero fatto» e Lyman<br />

Kirkpatrick avvertì che i sovietici avrebbero potuto prendere in considerazione<br />

un’operazione di sabotaggio ai danni dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Sarebbe stato uno schiaffo in pieno<br />

viso, mirante a colpire l’ufficio del presidente agli occhi dell’opinione pubblica. Dopo Gary<br />

Powers, la Casa Bianca aveva promesso che l’installazione di Watertown sarebbe stata<br />

chiusa. Dopo il fiasco della Baia dei Porci, il presidente aveva promesso di tenere sotto<br />

stretto controllo le attività coperte della CIA. Qualunque menzione pubblica dell’esistenza<br />

dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> avrebbe rivelato che la CIA, l’aeronautica militare e i contractor della difesa<br />

stavano lavorando fianco a fianco su un progetto segreto per sorvolare di nuovo la<br />

Russia, tutto a dispetto delle smentite presidenziali. Se la nazione fosse venuta a sapere<br />

del progetto dell’aereo spia Mach 3 in corso all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, che cosa avrebbe pensato delle<br />

promesse del presidente? L’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era un obiettivo 5 a rischio, disse l’ispettore generale.<br />

Poco tempo dopo che Lyman Kirkpatrick ebbe consegnato il suo rapporto sull’<strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

Richard Bissell diede le dimissioni 6 . Prima, però, gli avevano offerto un incarico di minore<br />

importanza, in qualità di direttore dell’ufficio scienza e tecnologia. Ma in quel ruolo le<br />

informazioni strettamente necessarie dovute a Bissell sarebbero state drasticamente<br />

ridotte e nell’ambiente della CIA una simile eventualità equivaleva a un insulto. Bissell<br />

preferì lasciare l’agenzia.<br />

Senza Richard Bissell cosa ne sarebbe stato dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>? E chi avrebbe guidato il<br />

programma di ricognizione Oxcart? <strong>La</strong> decisione su chi dovesse sostituire Bissell fu<br />

demandata nientemeno che al presidente Kennedy. Era in carica da meno di un anno e<br />

già doveva occuparsi dei terremoti interni alla CIA. Il nuovo segretario alla Difesa di<br />

Kennedy era un uomo di nome Robert McNamara, un intellettuale con una laurea in<br />

economia a Harvard che aveva ottenuto la Legion of Merit durante la Seconda guerra<br />

mondiale per aver fatto analisi delle bombe incendiarie rimanendo seduto dietro una<br />

scrivania. Adesso, nel ruolo di segretario alla Difesa, dopo la Baia dei Porci, McNamara<br />

sostenne che il Pentagono avrebbe dovuto assumere il controllo di tutti i progetti di


spionaggio aereo. McNamara era a capo delle forze militari ed era convinto che<br />

l’aeronautica dovesse occuparsi di qualunque veicolo dotato di ali. L’opinione pubblica<br />

non aveva più fiducia nella CIA, disse al presidente.<br />

Ma James Killian e il suo collega Edwin <strong>La</strong>nd, membri della commissione presidenziale<br />

esperta di intelligence estera, dissero al presidente che la cosa migliore per la sicurezza<br />

nazionale era lasciare che la CIA continuasse a occuparsi del progetto di spionaggio<br />

aereo 7 all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Ciò che era successo sotto la direzione di Bissell era deplorevole,<br />

dissero, suggerendo che era stata solo colpa sua se le cose erano andate com’erano<br />

andate 8 . Sostennero che la CIA rimaneva l’agenzia con le caratteristiche più adatte per<br />

condurre in porto un progetto di spionaggio dai cieli. Se ciò non fosse stato possibile,<br />

aggiunsero Killian e <strong>La</strong>nd, allora bisognava rimettere in discussione tutto. Una delle idee<br />

era che la CIA avrebbe potuto dare il meglio di sé collaborando 9 con l’aeronautica militare.<br />

Il presidente Kennedy si disse d’accordo e il 6 settembre 1961 creò un protocollo secondo<br />

il quale il vicedirettore della CIA e il sottosegretario all’Aeronautica avrebbero lavorato<br />

insieme per dirigere tutti i progetti di spionaggio dai cieli e di ricognizione aerea sotto<br />

l’egida del National Reconnaissance Office, un’agenzia segreta interna al dipartimento<br />

della Difesa di McNamara. Il quartier generale del NRO fu stabilito a Washington, un<br />

piccolo ufficio con personale ridotto ma un consistente numero di uomini ambiziosissimi e<br />

disposti a tutto pur di ottenere una fetta di potere. L’organizzazione mantenne una<br />

facciata pubblica, un’identità <strong>senza</strong> coperture chiamata Office of Space Systems (Ufficio<br />

dei sistemi spaziali), ma nessuno a parte una ristrettissima élite seppe dell’esistenza del<br />

NRO fino al 1992.<br />

Dopo la Baia dei Porci e le dimissioni, Richard Bissell fu allontanato dai centri del<br />

potere di Washington come un appestato. In un batter d’occhi quelli che per anni erano<br />

stati i suoi più accesi sostenitori si trasformarono nei detrattori più accaniti. Il peggiore di<br />

tutti fu James Killian. Potentissimo consigliere del presidente, Killian aveva cercato Bissell<br />

in due occasioni: la prima volta nel 1946, perché lavorasse al dipartimento di economia<br />

de l MIT, e la seconda nel 1954, quando gli aveva chiesto di dirigere il progetto di<br />

spionaggio con gli U-2 della CIA. Per quasi vent’anni Killian aveva considerato Bissell non<br />

solo un collega, ma un amico. Dopo la Baia dei Porci, gli voltò le spalle. Sfoderando una<br />

faccia tosta degna di rilievo, Killian disse allo storico della CIA Donald E. Welzenbach che<br />

era rimasto profondamente sconvolto nell’apprendere del ruolo di Bissell nelle operazioni<br />

coperte della CIA. In un rapporto per la CIA comparso su «Studies in Intelligence»,<br />

Welzenbach scrisse: «Killian considerava la scienza e la tecnologia quasi come una<br />

religione, qualcosa di sacro che andava preservato dalla contaminazione da parte di<br />

coloro che avrebbero potuto farne cattivo uso per scopi perversi. In tale categoria<br />

rientravano le operazioni coperte e il “gioco sporco” che Dick Bissell 10 aveva condotto<br />

quando era a capo della CIA».<br />

Si trattava di ipocrisia bella e buona. James Killian era intento ai suoi personali<br />

giochetti sporchi, cosa rimasta segreta fino a oggi. A differenza di Richard Bissell, Killian<br />

era il potente capo dei consiglieri scientifici del presidente Eisenhower, e non fu colto sul<br />

fatto. Ma in retrospettiva è persino difficile definire scienza ciò che faceva in nome della<br />

cosiddetta sacralità della ricerca. Verso la fine del 1958 Killian organizzò e supervisionò


due dei test nucleari più pericolosi nella storia della bomba atomica, e poi cercò di<br />

nasconderne le tracce. Due ordigni termonucleari, denominati Teak e Orange 11 , ciascuno<br />

della spaventosa potenza di 3,8 megatoni, furono fatti detonare nella stratofera sopra<br />

l’atollo di Johnston, a 1.200 chilometri dalle Hawaii. Teak esplose a 76.800 metri di<br />

altitudine e Orange a 43.000 metri, esattamente alla quota in cui si trova lo strato di<br />

ozono 12 . Con il senno di poi, si trattò di un’idea assurda. Killian era responsabile dei test e<br />

la motivazione 13 per autorizzarli fu che nel caso in futuro i russi avessero fatto esplodere<br />

una bomba nucleare ad alta quota, gli scienziati americani avrebbero saputo cosa<br />

cercare.<br />

Ma invece di essere difficile da individuare, si scoprì che una bomba nucleare fatta<br />

esplodere nello strato di ozono era immediatamente riconoscibile per i suoi effetti<br />

terrificanti e catastrofici. Le palle di fuoco sprigionate da Teak e Orange bruciarono la<br />

retina di qualunque essere vivente sprovvisto di occhiali protettivi nel raggio di 360<br />

chilometri dall’esplosione, tra cui centinaia di scimmie e di conigli che Killian aveva<br />

autorizzato a caricare su aeroplani che avevano volato nei pressi della zona del test. Agli<br />

animali era stata bloccata la testa 14 in modo che fossero costretti a guardare la<br />

detonazione atomica. Da Guam all’isola di Wake a Maui, il cielo da azzurro si fece rosso,<br />

bianco e grigio, creando un’aurora di 3.360 chilometri lungo il meridiano geomagnetico.<br />

Le comunicazioni radio di gran parte della regione del Pacifico si interruppero.<br />

«Per poco non creammo un buco nello strato di ozono» spiega Al O’Donnell, l’ingegnere<br />

della EG&G che nel corso di dodici anni a partire da Crossroads aveva cablato un centinaio<br />

di bombe atomiche, comprese Teak e Orange. O’Donnell si trovava sull’isola di Johnston,<br />

1.150 chilometri a sudovest di Honolulu, il 1° agosto 1958, quando Teak esplose. A causa<br />

di un’“avaria” al sistema missilistico Redstone (che portava la testata nucleare sul<br />

bersaglio), il vettore prese una traiettoria verticale e scoppiò direttamente sopra il luogo<br />

dove stavano O’Donnell e gli altri membri della squadra che aveva il compito di armare e<br />

innescare l’ordigno, mentre era previsto che esplodesse circa quaranta chilometri a sud.<br />

In una registrazione su pellicola <strong>censu</strong>rata dell’evento, si vedono uomini in ciabatte da<br />

spiaggia e pantaloncini che corrono a cercare riparo mentre una palla di fuoco<br />

sbalorditiva brucia nel cielo sopra le loro teste. «Fu terrificante» sospira O’Donnell,<br />

ricordando quella circostanza catastrofica mezzo secolo dopo. Si può cogliere una punta<br />

di rassegnazione nella sua voce quando aggiunge: «Ma ormai ci eravamo abituati. Le<br />

bombe erano diventate troppo grosse». Nei primi dieci millisecondi che seguirono<br />

l’esplosione, la palla di fuoco di Teak raggiunse un diametro di 16 chilometri, un<br />

potenziale sufficiente a cancellare Manhattan. Dopo un secondo era diventata larga 64<br />

chilometri, abbastanza per radere al suolo tutti e cinque i distretti della città di New York.<br />

Non che Killian non fosse consapevole del rischio di distruggere parte dello strato di<br />

ozono. «Tra la fine del 1957 e l’inizio del 1958 fu sollevata la questione se le radiazioni<br />

ultraviolette emesse da Teak e Orange avrebbero potuto “creare un buco” nello strato<br />

naturale di ozono» 15 afferma uno studio del 1976 firmato dal laboratorio nazionale di Los<br />

Alamos. Ma «le discussioni che precedettero il test furono inconcludenti» e il progetto<br />

andò avanti comunque. «Si sostenne che anche nel caso di completa distruzione dello<br />

strato di ozono in un’area avente un raggio di 50 chilometri, la perdita di ozono sarebbe


stata solo 0,00002 dell’ammontare globale. Il “buco” si sarebbe prontamente richiuso<br />

grazie alla turbolenza causata dalla bomba e ai movimenti dei gas nell’atmosfera.» Ciò<br />

che successe in seguito è ancora più incredibile. «Dopo i test, a questo problema non fu<br />

prestata praticamente nessuna attenzione, evidentemente perché non furono fatte<br />

osservazioni spettacolari o insolite (a causa di mancanza di prove in un senso o<br />

nell’altro).» A quanto pare, a nessuno venne in mente di chiedere all’esperto che quel<br />

giorno si trovava sull’atollo di Johnston, Wernher von Braun.<br />

Nei filmati dell’archivio governativo, si può vedere von Braun mentre osserva il missile<br />

Redstone 16 che aveva progettato portare la bomba nella stratosfera, dove sarebbe<br />

esplosa. Con un paio di occhiali da aviatore, una camicia hawaiana e un’abbronzatura da<br />

tropici, von Braun sembra più un playboy che uno scienziato missilistico. Ma rimase così<br />

scioccato dall’esplosione di Teak che se ne andò dall’isola prima del secondo test 17 . Von<br />

Braun non era uno che si spaventava facilmente: quando lavorava per Adolf Hitler, lui e il<br />

suo collega Ernst Steinhoff si presentavano 18 alla tana del lupo del Führer, la<br />

Wolffschanze, a bordo dell’aereo personale di Steinhoff per ragguagliare il dittatore sui<br />

progressi del V2. Eppure la potenza di Teak mise in fuga lo scienziato tedesco. Non<br />

appena furono ripristinate le comunicazioni radio, von Braun si dileguò. Non disse mai<br />

perché.<br />

I test ad alta quota di Killian non si fermarono lì. Due settimane dopo prese il via un<br />

altro progetto ultrasegreto denominato operazione Argus 19 . I test nucleari avevano<br />

conquistato lo spazio. «Argus fu un’operazione insolita» si legge in una sintesi della<br />

Defense Nuclear Agency risalente al 1993. «Fu completata in meno di sei mesi dopo<br />

l’approvazione presidenziale, e in totale segretezza. Per la prima volta missili a testata<br />

nucleare furono lanciati da navi.» Parole ambigue per mascherare un altro degli<br />

esperimenti segreti più estremi condotti dall’uomo. Il 27 e il 30 agosto e il 6 settembre<br />

1958 furono lanciate tre testate nucleari montate su missili X-17 dal ponte della Norton<br />

Sound mentre la nave da guerra si trovava al largo della costa del Sudafrica, nell’oceano<br />

Atlantico meridionale. I missili e le testate atomiche raggiunsero un’altitudine di circa 480<br />

chilometri prima di esplodere nello spazio. Questo “esperimento scientifico” era il parto<br />

della mente di un ascensorista greco diventato fisico, Nicholas Christofilos. Christofilos<br />

aveva convinto Killian 20 che un’eplosione nucleare al di sopra dell’atmosfera – ma<br />

all’interno del campo magnetico terrestre – avrebbe potuto produrre una pulsazione<br />

elettronica che ipoteticamente avrebbe dovuto danneggiare i sistemi di armamento dei<br />

missili balistici intercontinentali sovietici diretti verso gli Stati Uniti. Se anche il fenomeno<br />

atteso si produsse in dettagli ininfluenti, ovvero i dispositivi dei missili registrarono la<br />

“sensazione” della pulsazione prodotta dall’esplosione, Christofilos si sbagliava sulla<br />

possibilità che ciò avrebbe fermato davvero i missili nemici in arrivo. In altre parole, il<br />

test fallì.<br />

Per coprire le proprie tracce riguardo al totale spreco e all’assurdità dell’esperimento, il<br />

mese successivo al test Killian scrisse un memo al presidente Eisenhower tentando di<br />

enfatizzare la rapidità con cui era stata condotta l’operazione e la soddisfazione per<br />

averla mantenuta completamente segreta 21 .<br />

Quando il giornalista scientifico del «New York Times» Walter Sullivan consegnò a


mano a Killian una lettera 22 in cui gli diceva che il quotidiano era in possesso di<br />

informazioni su quei test segreti, la Casa Bianca adottò il solito atteggiamento. «Non<br />

confermare né smentire la fuga di notizie» 23 scrisse a Killian l’assistente particolare del<br />

presidente Karl G. Harr Jr in un memorandum segreto. «Se il “New York Times”, o<br />

qualcun altro, rende nota una parte sostanziale della storia» una possibile risposta<br />

sarebbe stata di dire che la Casa Bianca aveva rivelato «tutto ciò che era possibile dire<br />

<strong>senza</strong> compromettere la sicurezza della nazione.» Quanto alla flagrante violazione della<br />

politica della Casa Bianca di annunciare ogni test nucleare, la posizione di Killian doveva<br />

essere che «si è trattato di un esperimento scientifico nel quale è stata utilizzata una<br />

detonazione nucleare per inviare elettroni nel campo magnetico terrestre». Era la<br />

semantica ad autorizzare Killian a sostenere che un test nucleare non era un test<br />

nucleare. Con un ultimo ironico tocco, l’assistente particolare del presidente diceva a<br />

Killian che nel caso il «New York Times» avesse reso pubbliche le informazioni su Argus,<br />

un comitato di scienziati «avrebbe incontrato la stampa nell’auditorium della National<br />

Academy of Science allo scopo di enfatizzare gli aspetti scientifici dell’esperimento».<br />

I massimi consiglieri scientifici del presidente stavano davvero rendendo l’America più<br />

sicura? Oppure stavano abusando del loro potere con il presidente? Quel potere,<br />

sommato alla totale mancanza di controllo di cui godevano, aprì la strada alla<br />

militarizzazione americana dello spazio. A partire da Argus, i consiglieri scientifici del<br />

presidente avrebbero usato lo spazio come se fosse il loro laboratorio privato,<br />

conducendo test che un comitato di studio della Defense Nuclear Agency avrebbe più<br />

tardi bollato come «organizzati in modo rozzo e condotti frettolosamente». E lo fecero<br />

<strong>senza</strong> prendere minimamente in considerazione le potenziali conseguenze catastrofiche ai<br />

danni del pianeta, per non parlare dell’effetto che avrebbe avuto decenni dopo sulla corsa<br />

agli armamenti nello spazio. Secondo lo stesso rapporto, Killian era consapevole dei rischi<br />

e accettò la scommessa.<br />

In realtà, Killian e gli altri non avevano la minima idea di quello che sarebbe successo<br />

con l’esplosione della bomba nella stratosfera. «E non inclusero nelle loro equazioni ciò<br />

che sarebbe accaduto se avessero fallito» precisa O’Donnell. «Fummo fortunati. Quando<br />

Teak esplose proprio sopra le nostre teste all’isola di Johnston, pensammo di essere<br />

spacciati. Fu una gigantesca detonazione di un bianco accecante.» Gli uomini non ebbero<br />

collegamento radio per otto ore. Quando l’ammiraglio Parker dell’Armed Forces Special<br />

Weapons Project riuscì finalmente a raggiungere O’Donnell e il resto della squadra della<br />

EG&G via radio dal suo ufficio al Pentagono, le sue parole furono: «Siete ancora lì?» 24 .<br />

Se i cittadini americani erano all’oscuro dei test nello spazio con bombe termonucleari<br />

di svariati megatoni, i russi di sicuro non lo erano. E anche loro eseguirono test con armi<br />

<strong>senza</strong> precedenti. Il 30 ottobre 1961 l’Unione Sovietica fece esplodere la bomba nucleare<br />

più potente che si fosse mai vista. Denominata Zar, la bomba a idrogeno aveva un<br />

incredibile potenziale di 50 megatoni, all’incirca dieci volte la somma di tutti gli esplosivi<br />

utilizzati in sette anni di guerra durante il secondo conflitto mondiale, incluse entrambe le<br />

bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Zar fu fatta detonare nel Nord della<br />

Russia, rase al suolo interi villaggi nei dintorni e mandò in frantumi i vetri delle finestre a<br />

1.600 chilometri di distanza, in Finlandia. Chiunque avesse guardato l’esplosione nel


aggio di 640 chilometri sarebbe rimasto cieco. Il leader sovietico Nikita Chrušcëv disse<br />

all’assemblea delle Nazioni Unite che scopo del test era «mostrare a qualcuno la madre di<br />

Kuzka», ovvero chiarire chi comanda. Il mondo stava correndo verso la catastrofe. Gli<br />

aerei spia A-12 dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> avrebbero davvero fatto la differenza o lo spionaggio dai cieli<br />

si sarebbe rivelato nient’altro che una goccia nell’oceano?


Capitolo 10<br />

MAGHI DELLA SCIENZA,<br />

DELLA TECNOLOGIA<br />

E DELLA DIPLOMAZIA 1<br />

Harry Martin era immobile sulla pista, affascinato dalla bellezza dell’Oxcart. Con la sua<br />

fusoliera lunga e scintillante l’aeroplano assomigliava a un cobra con le ali. In qualità di<br />

sergente esperto di carburanti, Martin lavorava all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> sin dai primissimi giorni 2 del<br />

progetto Oxcart, quando ancora l’asfalto su cui si trovava in quel momento veniva steso.<br />

Adesso all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> stava succedendo qualcosa di grosso. L’Oxcart era arrivato ed era<br />

quasi pronto ad alzarsi in volo. Per oltre una settimana Martin aveva visto una sfilata di<br />

personalità che arrivavano e se ne andavano a bordo di jet dell’aeronautica militare. I<br />

generali si presentavano immancabilmente 3 all’hangar dove Martin lavorava perché era lì<br />

che tenevano l’aereo.<br />

Era il 25 aprile 1962. A poca distanza da dove si trovava Martin, il pilota collaudatore<br />

Louis Schalk faceva un riposino quando un uomo dell’agenzia gli mise una mano sulla<br />

spalla e disse: «Lou, svegliati!» 4 . L’Oxcart era pronto e Lou Schalk doveva pilotarlo. Due<br />

funzionari della divisione di supporto fisiologico aiutarono Schalk a indossare la tenuta di<br />

volo, che assomigliava a una normalissima tuta da lavoro. Non c’era bisogno di una tuta<br />

pressurizzata perché quel giorno Schalk avrebbe fatto solo una prova di rullaggio. Sulla<br />

pista, un meccanico portò una scaletta metallica e Schalk si arrampicò sullo strano aereo.<br />

Non c’era nessun altro a parte gli addetti ai lavori. John Parangosky, autore di una<br />

monografia segreta intitolata The Oxcart History e declassificata nel 1997, scrisse che un<br />

osservatore esterno sarebbe stato incapace di capire cosa stava succedendo. «Un non<br />

addetto ai lavori sarebbe rimasto sbalordito dall’aspetto del veicolo; forse avrebbe notato<br />

soprattutto la forma estremamente sottile e allungata, i due enormi motori a getto e le<br />

ali arretrate che sembravano troppo corte per sostenere l’aereo in volo.» Era un aereo<br />

rivoluzionario, scrisse Parangosky, in grado di volare a una velocità tre volte superiore a<br />

quella del suono per quasi cinquemila chilometri <strong>senza</strong> bisogno di fare rifornimento:<br />

ovvero di percorrere la distanza tra il Nevada e Washington in meno di un’ora. «Verso la<br />

fine della missione, quando il carburante diminuiva, poteva raggiungere una quota di<br />

quasi 30.000 metri.»<br />

Ma ovviamente non c’era nessun osservatore esterno all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. In quella bella<br />

giornata di aprile del 1962, il velivolo era l’unico A-12 Oxcart che la Lockheed aveva<br />

ultimato per la CIA.


Quanto alle notevoli prestazioni che l’aereo avrebbe dovuto avere secondo il progetto,<br />

per il momento rimanevano sulla carta. L’aereo era fatto da quasi 8.600 chili di titanio e<br />

montava milioni di dollari di equipaggiamento che nessuno sapeva ancora come far<br />

funzionare, di certo non a oltre 21.000 metri di quota. Come il suo predecessore, l’U-2,<br />

l’Oxcart era un aereo sprovvisto di manuale di istruzioni. A differenza dell’U-2, questo<br />

apparecchio era avanti di quarant’anni rispetto alla tecnologia dell’epoca. Alcuni dei<br />

record che avrebbe stabilito sarebbero rimasti imbattuti anche nel nuovo millennio.<br />

Lou Schalk accese i motori e iniziò ad avanzare lungo la pista per il test di rullaggio.<br />

Sorprendendo tutti, pilota compreso, l’aereo si alzò. Data la spaventosa potenza dei<br />

motori, il velivolo si staccò improvvisamente dalla pista, librandosi ad appena sessanta<br />

metri da terra. Stupefatto e scioccato, Kelly Johnson osservava l’A-12 dalla torre di<br />

controllo. «L’aereo iniziò a oscillare» 5 scrisse Johnson nei suoi appunti «con movimenti<br />

laterali orribili a vedersi.» Johnson temeva che il velivolo potesse schiantarsi prima<br />

ancora del volo ufficiale. Anche Schalk era sbalordito e non tentò di virare, decidendo<br />

invece di riportare a terra l’Oxcart il più in fretta possibile: il che significava atterrare nel<br />

bacino asciutto del lago a circa tre chilometri dalla fine della pista. Quando toccò terra,<br />

l’aereo sollevò un’enorme nuvola di polvere che lo nascose alla vista. Schalk fece girare<br />

l’aereo e tornò verso la torre di controllo, sempre avvolto in una nuvola di polvere e<br />

sabbia. Non appena arrivò gli ingegneri della Lockheed si precipitarono verso il velivolo.<br />

Kelly Johnson rivolse a Schalk solo quattro parole: «Che accidenti combini, Lou?» 6 . Per<br />

circa quindici, tesissimi minuti, Johnson aveva creduto che Lou Schalk avrebbe distrutto<br />

l’unico aereo Oxcart della CIA.<br />

Il giorno dopo Schalk pilotò di nuovo l’aereo, questa volta con la benedizione di Kelly<br />

Johnson, ma sempre in un volo non ufficiale. Harry Martin era sulla pista quando l’Oxcart<br />

decollò. «Era bellissimo. Sorprendente. Solo a guardarlo ti toglieva il fiato» ricorda Martin.<br />

«Ricordo di aver pensato: che meraviglia. E poi, all’improvviso, non appena Schalk si alzò<br />

in volo, l’aeroplano iniziò a perdere pezzi!» Gli ingegneri accanto a Martin si fecero<br />

prendere dal panico e lui credette che l’aereo si sarebbe schiantato 7 . Ma Lou Schalk lo<br />

tenne in aria. I pezzi che si erano staccati dall’aeroplano erano sottili lamiere<br />

appartenenti alla fusoliera di titanio, dette “filetti”, la cui as<strong>senza</strong> non aveva conseguenze<br />

sul volo a bassa quota. Schalk pilotò per quaranta minuti poi tornò all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>: missione<br />

compiuta per lui, ma non per gli ingegneri che passarono i quattro giorni successivi a<br />

perlustrare il Groom <strong>La</strong>ke nel tentativo di localizzare i pezzi dell’aereo per rimetterli al<br />

loro posto. Eppure fu una data storica per la CIA. Erano passati tre anni, dieci mesi e sette<br />

giorni da quando Kelly Johnson aveva presentato per la prima volta a Richard Bissell il<br />

suo progetto di un aereo spia capace di volare a Mach 3, ed ecco lì l’Oxcart, finalmente<br />

pronto per il suo primo volo ufficiale.<br />

I funzionari dell’agenzia arrivarono in aereo da Washington per assistere all’evento e<br />

festeggiare. Jim Freedman coordinò i trasporti tra l’aeroporto McCarran e il Ranch. Fu un<br />

avvenimento grandioso con un sacco di brindisi nel bar appena ultimato, l’House-Six. Un<br />

raro filmato di quella storica giornata 8 , girato dalla CIA, mostra uomini in completo che si<br />

aggirano per la pista di decollo dandosi gran pacche sulle spalle e indicandosi l’un l’altro<br />

l’incredibile velivolo. Poi guardano l’aereo decollare e svanire in lontananza. Schalk si


portò a 9.000 metri di quota, volò per 59 minuti nello spazio aereo riservato e poi ritornò<br />

a terra. Raggiunse la velocità massima di 640 chilometri orari. Tra gli spettatori c’era<br />

anche Richard Bissell, alto e dinoccolato, con indosso un abito scuro e in testa un fedora.<br />

Bissell era stato invitato ad assistere all’evento inaugurale come ospite di Kelly Johnson.<br />

Fu un gesto significativo: i due erano diventati amici e Kelly Johnson aveva agito<br />

intenzionalmente. «Kelly Johnson era una persona integra, come dimostra il fatto che si<br />

comportava in modo estremamente leale con quelli che considerava suoi amici» spiega<br />

Ed Lovick. Per Bissell quella gita all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> dev’essere stata dolceamara: fu l’ultima volta<br />

che mise piede nell’installazione che aveva diretto per conto della CIA fin da quando non<br />

era altro che un posto sperduto nel deserto. Richard Bissell non fu più invitato.<br />

E l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> avrebbe presto avuto un nuovo signore.<br />

Era una sera tardi dell’estate 1962 e Bud Wheelon 9 stava lavorando, dato che aveva<br />

appena accettato l’incarico di capo del Directorate of Science and Technology (Comitato<br />

direttivo della scienza e della tecnologia, DS&T) della CIA. Wheelon aveva appena trentatré<br />

anni ed era un brillante scienziato esperto di missili balistici e di spionaggio di segnali<br />

elettronici con una laurea al MIT. Era stato scelto 10 dai consiglieri scientifici del presidente<br />

Kennedy per ricoprire il ruolo che era stato di Richard Bissell in tutti i programmi di<br />

ricognizione dell’agenzia, il che comprendeva satelliti, operazioni con gli U-2 e il progetto<br />

Oxcart. Si trattava dell’incarico che Bissell aveva rifiutato, ma «in quel modo diventai il<br />

nuovo “signore dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>”» 11 spiega Wheelon.<br />

«Non avevo granché da fare la sera, così iniziai a leggere rapporti segreti che non<br />

avevo mai visto prima» dice Wheelon. Sebbene molti fossero privi di interesse, uno in<br />

particolare attirò la sua attenzione. «Mi fece preoccupare. All’epoca era in corso di<br />

elaborazione un National Intelligence Estimate [rapporto steso dal National Intelligence<br />

Council, che raccoglie il contributo di tutte le agenzie di intelligence degli USA] molto serio<br />

destinato al presidente Kennedy, il quale era incentrato sulla domanda: “I russi<br />

installeranno missili nucleari a Cuba?”. Mi era stato detto che il rapporto avrebbe concluso<br />

con una risposta negativa. Il Pentagono aveva stabilito che installare dei missili a Cuba<br />

fosse una mossa troppo azzardata per i sovietici e che non avrebbero osato tanto.»<br />

Il Pentagono aveva preso un granchio colossale. Mentre leggeva decine e decine di<br />

rapporti di intelligence, uno gli fece scattare un campanello d’allarme. «Una delle cose a<br />

cui bisogna stare attenti quando un informatore accusa una persona o uno stato sono le<br />

notizie false» spiega Wheelon. «Però uno di quei rapporti attirò la mia attenzione.<br />

L’informatore sosteneva di aver visto rimorchi lunghissimi e grossi autotreni scortati da<br />

jeep cariche di uomini della sicurezza sovietica. Quando quei convogli transitavano<br />

attraverso i villaggi, i cubani dirigevano il traffico in modo da farli passare. In Sudamerica<br />

spesso agli angoli delle strade ci sono le cassette della posta, che sono piuttosto grandi e<br />

fissate in cima a un palo. L’informatore aveva visto uno di quei grossi rimorchi che<br />

cercava di fare una curva <strong>senza</strong> riuscirci perché era bloccato da una cassetta delle lettere.<br />

Dal camion erano scesi alcuni sovietici i quali, <strong>senza</strong> perder tempo in convenevoli,<br />

avevano preso un cannello ossidrico dal retro del mezzo e avevano tolto di mezzo il palo<br />

che reggeva la cassetta. Quando lessi quel rapporto pensai che chiunque l’avesse scritto


non se l’era inventato; non erano dettagli che ci si potesse inventare. Qualunque cosa<br />

contenessero quei camion, era troppo importante per preoccuparsi del destino di una<br />

cassetta delle lettere.»<br />

Wheelon era convinto che nei camion ci fossero dei missili, missili a testata nucleare<br />

per la precisione. Benché all’epoca non lo sapesse, ne era convinto anche il suo nuovo<br />

capo, il direttore della CIA John McCone. Peccato che McCone non si trovasse a<br />

Washington bensì a Parigi in luna di miele. E così Wheelon si trovò a fronteggiare una<br />

responsabilità maggiore di quella solitamente demandata a un novellino. Preoccupato da<br />

quello che aveva letto, Wheelon chiese un incontro con il capo del National Intelligence<br />

Council, Sherman Kent. «Andai da lui e gli dissi: “Sherm, non sono un professionista<br />

dell’intelligence, ma a me sembra che esistano prove schiaccianti del fatto che laggiù ci<br />

sono dei missili”.» Sherman Kent lo ringraziò per il consiglio, ma spiegò che la<br />

commissione stava per presentare a Kennedy la conclusione opposta, ovvero che a Cuba<br />

non c’era traccia di missili sovietici.<br />

<strong>La</strong> crisi dei missili di Cuba è la storia di un conflitto tra gli Stati Uniti e l’Unione<br />

Sovietica, nonché il dramma che culminò in uno stallo tra le due superpotenze che<br />

rimasero sull’orlo della guerra termonucleare per dieci lunghissimi giorni. Ma è anche la<br />

storia di due antagonisti potentissimi, la CIA e l’aeronautica militare americana, e di come<br />

misero da parte la loro storica rivalità per collaborare ed evitare al mondo l’olocausto<br />

nucleare. Al pari di molte altre crisi della Guerra Fredda, anche la crisi dei missili di Cuba<br />

ebbe un legame con l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, e quel legame si chiamava U-2.<br />

Durante la crisi, la CIA e l’aeronautica lavorarono di concerto alla missione dell’U-2 che<br />

alla fine costrinse la Russia a cedere. In quell’occasione vi fu non solo una fruttuosa<br />

collaborazione tra i due attori chiave dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, ma si creò anche un precedente di<br />

cogestione del potere che funzionò molto bene per un certo periodo di tempo, finché il<br />

meccanismo non s’inceppò. Il successo dell’operazione fu dovuto agli sforzi diplomatici di<br />

un veterano dell’aviazione e di un novellino della CIA: la vecchia volpe era il generale Jack<br />

Ledford, la matricola Bud Wheelon.<br />

Il pomeriggio del 29 agosto 1962 un U-2 che volava sopra Cuba individuò otto basi<br />

missilistiche nella parte occidentale dell’isola, le quali ospitavano gli stessi SA-2 che<br />

avevano abbattuto Gary Powers due anni prima. <strong>La</strong> settimana successiva furono scoperte<br />

altre tre basi missilistiche, unitamente a un MIG-21 sovietico parcheggiato nel vicino<br />

aeroporto di Santa Clara. Da due mesi l’agenzia stava analizzando rapporti 12 che<br />

affermavano che era arrivato a Cuba un numero compreso tra quattromila e seimila<br />

persone provenienti dal blocco sovietico, tra cui 1.700 tecnici militari 13 . Ai cittadini cubani<br />

era proibito entrare nelle aree portuali dove navi russe stavano scaricando enormi casse,<br />

alcune grandi abbastanza da «contenere la fusoliera di un aereo o componenti di missili».<br />

Le implicazioni erano di tre ordini: primo, la Russia stava rafforzando l’esercito cubano;<br />

secondo, i sovietici stavano installando parecchie basi missilistiche; e terzo, i russi<br />

stavano mettendo in piedi stazioni di disturbo elettronico contro Cape Canaveral 14 in<br />

Florida e contro altre importanti installazioni americane. Il direttore della CIA, John<br />

McCone, aveva già riferito ai consiglieri militari del presidente di essere convinto che i


sovietici stessero preparando una trappola mortale usando i missili. Ma non c’era alcuna<br />

prova decisiva della pre<strong>senza</strong> di missili, ribatterono i militari. (Il Pentagono non dubitava<br />

che i sovietici volessero installare missili nucleari a Cuba; soltanto, non pensavano che<br />

l’avessero già fatto.) McCone partì per la sua luna di miele a Parigi 15 .<br />

Il mese successivo, settembre, le condizioni meteorologiche impedirono di avere<br />

informazioni fotografiche utili. Continuava a piovere oppure l’isola era nascosta da una<br />

pesante copertura nuvolosa. Finalmente, il 29 settembre una missione U-2 sull’Isola dei<br />

Pini (oggi Isola della Gioventù) e sulla Baia dei Porci rivelò la pre<strong>senza</strong> di un sito<br />

missilistico di cui si ignorava ancora l’esistenza. Furono convocati i massimi consiglieri del<br />

presidente: la CIA li avvertì che a Cuba potevano esserci altri pericoli e insistette perché<br />

fossero autorizzate ulteriori missioni con l’aereo spia per ottenere maggiori informazioni<br />

sulle installazioni militari dell’isola. Il segretario alla Difesa Robert McNamara e il<br />

segretario di stato Dean Rusk si opposero: non volevano un altro incidente come quello di<br />

Gary Powers 16 , sostennero. Ma il 5 e il 7 ottobre la CIA ottenne l’approvazione di<br />

Kennedy 17 per due missioni aggiuntive. Le informazioni ottenute erano difficili da<br />

ignorare: adesso su Cuba c’erano un totale di diciannove basi missilistiche, il che<br />

significava che sull’isola si trovava qualcosa di molto importante che i russi intendevano<br />

difendere. Il Pentagono non cedette: non c’era alcuna prova della pre<strong>senza</strong> di missili,<br />

dissero McNamara e Rusk. A complicare ulteriormente le cose, il capo dello stato<br />

maggiore congiunto, il generale LeMay, stava facendo pressioni per essere autorizzato a<br />

compiere attacchi preventivi 18 contro Cuba. Era una situazione instabile e incredibilmente<br />

pericolosa: se la CIA aveva ragione e sull’isola c’erano già missili a testata nucleare, allora<br />

i cosiddetti attacchi preventivi di LeMay avrebbero scatenato una guerra atomica invece<br />

di evitarla.<br />

L’agenzia aveva disperatamente bisogno di un mago della diplomazia, qualcuno in<br />

grado di convincere le istituzioni rivali a mettersi d’accordo per collaborare e costringere i<br />

sovietici a fare marcia indietro. <strong>La</strong> CIA e l’aeronautica militare avevano idee<br />

completamente diverse su quale fosse il passo successivo da fare: l’agenzia voleva<br />

raccogliere ulteriori informazioni con l’U-2 e l’aviazione voleva prepararsi alla guerra. Ci<br />

voleva una persona capace di mettersi nei panni di entrambe le parti con relativa<br />

oggettività, qualcuno in grado di vedere con chiarezza ambedue i lati del dilemma. In un<br />

raro momento di accordo, la CIA e l’aeronautica decisero che l’uomo giusto era il generale<br />

Jack Ledford. Solo poche settimane prima, McCone gli aveva offerto 19 il ruolo di direttore<br />

dell’Office of Special Activities (Ufficio delle attività speciali), il che significava che<br />

sarebbe stato il collegamento del Pentagono con la CIA all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Ledford si era appena<br />

laureato all’Industrial College of the Armed Forces (Istituto industriale delle forze armate)<br />

e stava pensando di trasferirsi a ovest, quando il suo vecchio superiore durante la<br />

Seconda guerra mondiale, il generale LeMay, lo aveva incoraggiato ad accettare l’incarico<br />

della CIA 20 .<br />

LeMay conosceva Ledford dai tempi della guerra nel Pacifico, quando Ledford era un<br />

pilota ai suoi ordini. Ex tuffatore olimpico, Ledford era alto, carismatico e affascinante.<br />

«Aveva un carisma contagioso. Era impossibile non esserne attratti» dice Wheelon.<br />

Naturalmente c’è la leggenda dell’incidente aereo di Ledford nel Pacifico durante la


Seconda guerra mondiale, con il contorno di immancabile eroismo 21 . Nel corso di un<br />

bombardamento sull’isola di Kyushu, in Giappone, l’aereo che pilotava fu attaccato da<br />

alcuni caccia giapponesi che colpirono sia il velivolo sia gli uomini a bordo. Il motorista di<br />

Ledford, il sergente maggiore Harry C. Miller, fu ferito alla testa. Il medico di bordo curò<br />

Miller e cercò di somministrare degli oppiacei a Ledford 22 , anche lui ferito, il quale rifiutò<br />

perché voleva rimanere lucido. Mentre l’aeroplano precipitava, Ledford e il medico<br />

aprirono un paracadute, tagliarono le corde e legarono la calotta al motorista esanime,<br />

quindi calarono l’uomo dall’alloggiamento del carrello. Poi si lanciò anche Ledford,<br />

ritardando l’apertura del paracadute in modo da essere al fianco di Miller quando fossero<br />

arrivati al suolo. Dato che Miller era svenuto, <strong>senza</strong> l’aiuto di Ledford probabilmente si<br />

sarebbe rotto la spina dorsale. Il medico raccontò in seguito quanto fosse rimasto stupito<br />

di veder funzionare l’arrischiato piano di Ledford.<br />

Vent’anni dopo, alla tavola rotonda convocata per la crisi dei missili, Ledford diede<br />

prova della stessa lungimiranza nel prevenire una situazione potenzialmente letale. <strong>La</strong><br />

prima cosa che fece fu sottoporre alla CIA e all’aeronautica un’analisi dettagliata delle<br />

possibilità che l’U-2 venisse abbattuto in volo. Le probabilità erano di una a sei, disse<br />

Ledford 23 . Spinse perché si attuasse la missione, sostenendo che era meglio sapere<br />

subito se c’erano davvero dei missili a testata nucleare a Cuba piuttosto che desiderare di<br />

averlo saputo in seguito, quando sarebbe potuto essere troppo tardi. Una volta messi sul<br />

tavolo quei freddi fatti, il nodo della discussione divenne chiaro. <strong>La</strong> materia del<br />

contendere non era se autorizzare o meno la missione di spionaggio dal cielo; si trattava<br />

invece di stabilire chi l’avrebbe condotta, se l’aeronautica o l’agenzia. Si scoprì che<br />

volevano farlo tutt’e due. Kennedy voleva che ai comandi dell’aereo ci fosse un pilota con<br />

indosso l’uniforme azzurra dell’aeronautica americana; il presidente aveva l’impressione<br />

che se un aereo spia della CIA 24 fosse stato abbattuto nei cieli di Cuba le conseguenze<br />

avrebbero potuto essere molto gravi, rinfocolando l’ostilità sorta riguardo all’incidente di<br />

Gary Powers. Ma il generale Ledford sapeva una cosa che il presidente ignorava, ovvero<br />

che gli U-2 della CIA era aerei più avanzati, che difficilmente avrebbero potuto essere<br />

abbattuti. Gli U-2 dell’agenzia volavano 1.500 metri più alti delle controparti<br />

dell’aeronautica, che erano appesantiti da sistemi di ricognizione aggiuntivi. Gli aerei<br />

della CIA avevano anche migliori sistemi di contromisure elettroniche, vale a dire mezzi<br />

più sofisticati per mandare fuori rotta i missili SA-2 lanciati contro di loro. E così Ledford<br />

fece un capolavoro diplomatico e convinse la CIA a prestare all’aeronautica i suoi preziosi<br />

U-2. Dato che era in gioco il destino del mondo libero, le due parti concordarono di<br />

lavorare insieme per risolvere la crisi.<br />

Il 14 ottobre un pilota dell’aeronautica ai comandi di un U-2 della CIA 25 riportò in patria<br />

un filmato di Cuba che la Casa Bianca doveva vedere. I fotogrammi mostravano missili a<br />

testata nucleare 26 forniti dall’Unione Sovietica e l’installazione di rampe missilistiche a<br />

Cuba. Quegli otto rotoli di pellicola riportati dall’aereo spia della CIA scatenarono la crisi<br />

dei missili di Cuba, portando il mondo più vicino a un conflitto atomico di quanto fosse<br />

mai stato. Diedero altresì una spinta decisiva ai lavori in corso all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Il Pentagono<br />

disse all’agenzia che voleva immediatamente un Oxcart da usare per sorvolare Cuba. Un<br />

rapporto della CIA relativo a Oxcart declassificato nel 2007 lo dice chiaramente: «Il


progetto Oxcart assunse all’improvviso un’importanza straordinaria e renderlo operativo<br />

divenne una delle massime priorità della nazione».


Capitolo 11<br />

CHE AEROPLANO? 1<br />

All’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, dove lavorava come pilota collaudatore, Kenneth Collins era conosciuto con il<br />

nome in codice di Ken Colmar 2 . «Stesso nome perché così rispondevi all’istante quando ti<br />

si rivolgevano» spiega Collins. «Colmar per la C, nel caso avessi qualcosa con sopra un<br />

monogramma.» Il suo indicativo di chiamata era Dutch 21, ma la maggior parte degli<br />

uomini della base lo chiamavano “uomo di ghiaccio”. Erano stati gli addetti alla tuta<br />

pressurizzata a tirar fuori quel soprannome. «Ero conosciuto per non mostrare alcuna<br />

emozione o irritazione neanche dopo un volo particolarmente pericoloso» ricorda Collins.<br />

Gli addetti alla tuta di volo potevano misurare la difficoltà di una missione dalla quantità<br />

di sudore presente sulla biancheria intima di un pilota quando lo aiutavano a spogliarsi.<br />

Quella di Collins era sempre asciutta.<br />

All’epoca, stare ai comandi di un Oxcart era il lavoro più ambito per un pilota<br />

dell’aeronautica americana. Ken Collins “faceva il pendolare” verso l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> tutte le<br />

settimane, volando dalla soleggiata California dove lui e gli altri piloti che adesso<br />

lavoravano per la CIA fingevano di vivere esistenze normali con le loro belle mogli e,<br />

possibilmente, qualche figlio. Durante il progetto Oxcart avere un matrimonio stabile e<br />

una famiglia era diventato un obbligo per i piloti della CIA, a differenza di quanto<br />

accadeva per l’U-2. <strong>La</strong> causa del cambiamento era stata la moglie alcolizzata di Gary<br />

Powers. All’agenzia erano convinti che mettesse a rischio la segretezza dell’intero<br />

progetto con il suo comportamento, che neppure loro erano in grado di controllare. Una<br />

volta Barbara Powers si mise in testa di andare a trovare il marito, assegnato a una base<br />

segreta in Turchia. Riuscì ad arrivare fino ad Atene 3 prima che gli agenti incaricati di<br />

sorvegliarla facessero sapere a Powers che avrebbe perso il posto se non avesse tenuto<br />

in riga la sua turbolenta moglie. A Ken Collins fu raccontata questa storia al suo primo<br />

colloquio al Pentagono. Taci, il nemico ti ascolta, gli fu ricordato; parlare poteva<br />

significare non solo una fuga di notizie, ma persino lo scoppio di una guerra nucleare.<br />

Collins scoprì inoltre che se fosse stato accettato nel programma segreto che si diceva<br />

avesse a che a fare con “viaggi nello spazio”, sua moglie sarebbe stata sottoposta a un<br />

esame psicologico.<br />

Collins e la famiglia furono trasferiti dalla loro casa nella Carolina del Sud in un<br />

sobborgo di Los Angeles chiamato Northridge. Ai vicini fu detto che il signor Collins<br />

lavorava per la Hughes Aircraft Company. Collins avrebbe dovuto riferire alla CIA di<br />

eventuali ficcanaso, e anche se qualche straniero avesse tentato di fare amicizia con la<br />

famiglia: l’agenzia avrebbe approfondito la faccenda.


Tutti i lunedì mattina Collins usciva di casa e si recava in auto all’aeroporto di Burbank,<br />

quattordici chilometri in direzione sudovest. Lì, lui e gli altri piloti di Oxcart salivano a<br />

bordo di aerei a elica Constellation diretti all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, mai più di due alla volta: una<br />

regola introdotta dopo il disastro del monte Charleston avvenuto otto anni prima. <strong>La</strong><br />

morte di quegli uomini chiave dell’aeronautica e dell’agenzia aveva rimandato di parecchi<br />

mesi il completamento del progetto U-2. Adesso, nel 1963, Oxcart era già in ritardo di<br />

oltre un anno rispetto al previsto. L’agenzia non poteva permettersi di perdere nemmeno<br />

un pilota. <strong>La</strong> procedura di valutazione da sola richiedeva diciotto mesi e per prendere<br />

familiarità con l’aereo ci voleva un altro anno.<br />

Dopo essere decollati da Burbank, Collins e i suoi colleghi volavano sopra il deserto del<br />

Mojave in direzione nordest, oltrepassavano il China <strong>La</strong>ke ed entravano nella Tikaboo<br />

Valley. Sorvolando lo spazio aereo riservato sopra il Nevada Test Site, Collins guardava<br />

fuori dal finestrino e prendeva nota della pre<strong>senza</strong> di un numero sempre maggiore di<br />

giganteschi crateri. <strong>La</strong> comparsa di un nuovo cratere dall’aspetto lunare aveva una<br />

frequenza pressoché settimanale adesso che i test nucleari avvenivano nel sottosuolo.<br />

Visto dall’alto, il paesaggio del poligono sembrava un campo di battaglia dopo<br />

l’apocalisse.<br />

L’agenzia non avrebbe potuto scegliere un pilota più appassionato. Raccogliere<br />

informazioni nel corso di pericolosi voli di ricognizione era la missione di Ken Collins; era<br />

la cosa che sapeva fare meglio. Sembrava spinto da un talento innato e protetto da una<br />

forza sconosciuta che lui chiamava destino. «Il destino è un cacciatore» dice Collins.<br />

«Quando arriva per te, non puoi sottrarti» e per qualche ragione non era ancora venuto il<br />

suo momento. Era una convinzione che Collins aveva maturato durante la Guerra di<br />

Corea, quando faceva voli di ricognizione e aveva visto morire tanti piloti esperti e<br />

coraggiosi. Che cosa, se non il destino gli aveva permesso di sopravvivere a 113 missioni<br />

di combattimento? Durante quelle missioni segrete, mentre penetrava in profondità nella<br />

Corea del Nord 4 , talvolta spingendosi fino al fiume Yalu, bersagliato dal fuoco dei MIG 5 , il<br />

giovane Collins aveva solo una macchina fotografica sul muso dell’aeroplano. Nel corso<br />

del conflitto gli furono assegnate la Distinguished Flying Cross 6 e l’ambita Silver Star al<br />

valore 7 , la terza decorazione militare più insigne che un membro dell’esercito possa<br />

ricevere. Entrambe le medaglie erano appuntate sul petto di Collins prima che compisse<br />

ventiquattro anni.<br />

Adesso però, in qualità di pilota di Oxcart, Collins teneva le medaglie in un cassetto e<br />

non ne faceva mai menzione. Come accade a molti veterani, la gloria costituiva un peso<br />

imbarazzante da portare di fronte alla morte di tanti compagni. Considerare il destino alla<br />

stregua di un cacciatore gli rendeva le cose più facili e gli consentì di superare la perdita<br />

del suo più caro amico, ex pilota del 15 th Tactical Reconnaissance Squadron (15 a<br />

squadriglia di ricognizione tattica), Charles R. “Chuck” Parkerson. I due uomini avevano<br />

compiuto insieme molte missioni, ma da una di esse Parkerson non fece ritorno.<br />

«Avevamo volato sopra la Corea del Nord ed eravamo tornati indietro fianco a fianco»<br />

racconta Collins. «Eravamo quasi a casa quando Parkerson mi chiamò via radio. Disse che<br />

il motore del suo RF-80 si era spento e che non riusciva a farlo ripartire. Vidi che stava<br />

perdendo quota in fretta e sapeva che presto si sarebbe schiantato.» Paracadutarsi in


territorio nemico significava morte certa. «Parkerson mi chiese che cosa fare» continua<br />

Collins. «Risposi: “Punta verso il mar Giallo e io ti verrò dietro”. Gli dissi di paracadutarsi<br />

nell’acqua; nel frattempo avrei inviato le sue coordinate alla base perché mandassero una<br />

squadra di soccorso.» Sembrava una buona idea, e Collins continuò a volare di fianco al<br />

compagno in direzione del mar Giallo. Parkerson si preparò a lanciarsi. «Ma c’era un<br />

problema» spiega Collins. «Il tettuccio del suo RF-80 era bloccato. Incastrato. Non si<br />

apriva e lui era intrappolato nell’aereo. Non c’era niente che potessi fare per il mio amico<br />

tranne continuare a volare al suo fianco fino alla fine.» Collins vide Parkerson ammarare<br />

nell’acqua e aspettò, guardando dall’alto mentre l’amico annegava. «Quando è la tua ora,<br />

non c’è niente da fare» conclude Collins.<br />

Dieci anni dopo, nel 1963, la Guerra di Corea apparteneva ormai al passato e all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> c’era un aeroplano da preparare. Quando l’aereo bielica passava sopra l’ultima catena<br />

di colline al limite orientale del Nevada Test Site appariva la pista di atterraggio del<br />

Groom <strong>La</strong>ke e Collins pensava al fatto che nessuno tranne i suoi colleghi piloti della CIA<br />

aveva idea di chi fosse veramente. Durante le missioni di addestramento, i documenti di<br />

volo identificavano Collins come un pilota meteorologico della NASA. Il suo velivolo<br />

dall’aspetto avveniristico era registrato in un aeroporto denominato Watertown Strip,<br />

Nevada. Non aveva mai con sé effetti personali sull’aereo. Quando il Constellation della<br />

Lockheed atterrava all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, gli uomini della sicurezza prendevano i suoi documenti e li<br />

chiudevano a chiave in una cassetta metallica. Tutti i venerdì, prima del volo pomeridiano<br />

che lo avrebbe riportato indietro, a Collins veniva restituita la sua identità.<br />

<strong>La</strong> sua missione di quel giorno, il 24 maggio 1963, sarebbe stata simile a tutte le altre.<br />

Adesso, all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, c’erano cinque Oxcart da collaudare 8 e Collins seguì <strong>senza</strong> sforzo la<br />

riunione preliminare con gli ingegneri della Lockheed, prendendo appunti mentali sui<br />

diversi compiti che avrebbe dovuto eseguire in volo. I tecnici volevano sapere come<br />

funzionavano determinati controlli del motore durante l’accelerazione e il volo a basso<br />

regime. Il test odierno sarebbe stato condotto a velocità subsonica, a poco più di 700<br />

chilometri orari, il che equivaleva a far sgranchire le zampe a un cavallo da corsa di razza.<br />

Sarebbe stata una missione breve sopra lo Utah e il Wyoming, prima di tornare alla base.<br />

Il pilota di caccia Donald Donohue sarebbe decollato seguendo Collins 9 a bordo di un F-<br />

101 Voodoo, quindi il compito sarebbe passato a Jack Weeks 10 , un altro pilota<br />

collaudatore di Oxcart.<br />

Per poco più di un’ora tutto sembrò normale. Dirigendosi verso Wendover, nello Utah,<br />

Collins notò davanti a sé un grande cumulonembo. Mentre lui rallentava, Jack Weeks<br />

segnalò che stava per tornare all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>; l’F-101 non era in grado di volare così lento.<br />

Inoltre, da quanto poteva capire, le cose sull’Oxcart sembravano filare lisce. Collins diede<br />

l’okay con un gesto della mano e si diresse verso la formazione nuvolosa.<br />

«All’improvviso l’altimetro parve impazzito 11 , segnalando una rapida diminuzione della<br />

velocità» ricorda Collins. Circondato dalle nuvole, Collins non aveva alcun riferimento<br />

visivo per stabilire la sua posizione. «Diedi gas per contrastare la diminuzione di velocità.<br />

Ma invece di ripondere, e <strong>senza</strong> alcun preavviso, l’aereo andò in stallo e si capovolse<br />

intrappolandomi nell’abitacolo. Poi entrò in vite piatta rovesciata.» Era impossibile


imettere in assetto l’A-12 Oxcart della CIA e l’aereo da milioni di dollari stava per<br />

schiantarsi.<br />

Collins non aveva idea della distanza dal suolo perché si trovava in un banco di nuvole,<br />

<strong>senza</strong> visibilità. Non sapeva neppure se si trovasse sopra delle montagne, il che avrebbe<br />

significato che aveva ancora meno tempo per eiettarsi. Abbassò la visiera e afferrò<br />

l’anello per l’eiezione posizionato tra le sue gambe. Si appoggiò saldamente al<br />

poggiatesta e tirò. Eiettarsi da un costosissimo e avveniristico aereo segreto non è una<br />

cosa che si dimentica facilmente, e Collins ricorda ancora i dettagli di quello che successe.<br />

«Il tettuccio dell’aereo volò via e scomparve, ma io ero ancora a testa in giù, con l’aereo<br />

sopra di me» spiega. «Dato che avevo azionato l’uscita d’emergenza, il seggiolino scattò<br />

all’indietro ed entrò in azione il sistema esplosivo, scagliandomi in avanti, lontano<br />

dall’aereo.» Prima Collins si separò dall’Oxcart, poi dal suo seggiolino. Quindi cominciò a<br />

cadere finché non si aprì un piccolo paracadute frenante. Durante tutta la sua lunga<br />

carriera era la prima volta che gli capitava di doversi lanciare. Mentre scendeva verso<br />

terra, cercò di capire in che stato si trovasse: era il Nevada o lo Utah? Il terreno<br />

sottostante sembrava desertico, con basse colline ma niente montagne; era ancora<br />

troppo in alto per distinguere la pre<strong>senza</strong> di strade. In lontananza vide il pesante aereo<br />

nero che precipitava fuori controllo, finché non scomparve. «Ricordo di aver visto una<br />

grande colonna di fumo nero alzarsi dal suolo desertico e di aver pensato: “Quello è il mio<br />

aeroplano”.» Solo che dell’Oxcart non rimaneva nient’altro che un ammasso di titanio<br />

fumante.<br />

All’improvviso Collins si accorse che il paracadute aveva ceduto e si ritrovò in caduta<br />

libera. <strong>La</strong> sua fortuna era finita? si chiese. Era venuta la sua ora? Ma altrettanto<br />

all’improvviso avvertì uno strattone e sopra di lui si allargò un altro paracadute, grande il<br />

doppio del precedente. Iniziò a fluttuare lentamente verso il suolo. Nessuno gli aveva<br />

detto che il sistema di eiezione dell’Oxcart prevedeva due paracadute separati. Il primo<br />

era abbastanza piccolo da rallentare la caduta del pilota e portarlo a una quota di 4.600<br />

metri. Poi il paracadute frenante si sarebbe staccato prima dell’apertura del secondo<br />

paracadute, del tipo che era più familiare alla maggior parte dei piloti.<br />

Adesso Collins riusciva a vedere delle strade e i cespugli di artemisia. Si chiese quanto<br />

ci sarebbe voluto perché lo localizzassero; quando Jack Weeks era tornato indietro, pochi<br />

minuti prima dell’incidente, l’Oxcart sembrava a posto, ma per via dei protocolli di<br />

segretezza Collins non si era messo in contatto radio con la base prima di eiettarsi. Aveva<br />

l’impressione di trovarsi da qualche parte a nord delle pianure salate del Salt <strong>La</strong>ke.<br />

Quando stava per toccare terra si rannicchiò e poi rotolò su se stesso. <strong>La</strong> sua mente<br />

correva avanti per stabilire quali fossero le prossime mosse.<br />

Si liberò del paracadute e iniziò a raccogliere tutte le cose su cui riuscì a mettere le<br />

mani. Sul deserto piovevano pagine del protocollo di volo e mappe di navigazione;<br />

mentre lui si affannava a recuperare i documenti top-secret, udì il rumore del motore di<br />

un’automobile. Alzò lo sguardo e vide un pickup che sobbalzava verso di lui su una pista<br />

sterrata. «Mentre si avvicinava, notai che a bordo c’erano tre uomini» ricorda Collins. «Il<br />

furgone si diresse verso di me e si fermò. Nel retro del pickup c’era il tettuccio<br />

dell’Oxcart.»


Gli uomini, che dovevano essere allevatori locali, si avvicinarono. Dato che il volo era<br />

subsonico, Collins non indossava la tuta pressurizzata che lo faceva sembrare un<br />

astronauta o un marziano, e che avrebbe suscitato molte più domande. Gli uomini gli<br />

chiesero se voleva un passaggio; dissero che sapevano esattamente dov’era caduto<br />

l’aereo e che se saltava in macchina ce l’avrebbero portato. Fino a quel momento nessun<br />

civile <strong>senza</strong> un’autorizzazione top-secret aveva mai visto l’Oxcart e Collins aveva severi<br />

ordini di far sì che le cose rimanessero tali. Era stato istruito su come comportarsi in un<br />

caso del genere e gli era stata fornita una storia architettata dall’agenzia che si adattava<br />

perfettamente alla vicinanza con il Nevada Test Site, e con la temperie di quegli anni.<br />

Collins disse agli allevatori che l’aereo era un caccia F-105 con a bordo un’arma nucleare.<br />

L’atteggiamento degli uomini cambiò di colpo e la disponibilità si trasformò in paura.<br />

«Diventarono nervosissimi e dissero che se volevo un passaggio avrei fatto meglio a<br />

decidermi alla svelta, perché non sarebbero rimasti a lungo nei dintorni di Wendover»<br />

racconta Collins.<br />

Gli uomini lo portarono alla più vicina stazione di polizia stradale, dove lui saltò giù dal<br />

pickup, recuperò il tettuccio dell’aereo e li guardò allontanarsi in tutta fretta. Si frugò in<br />

tasca e trovò il biglietto con scritto «Chiamare questo numero» e il numero di telefono.<br />

Insieme al foglietto c’era una moneta da dieci centesimi. Collins chiese all’agente di<br />

servizio dove poteva trovare il più vicino telefono pubblico e l’uomo gli indicò il retro<br />

dell’edificio. Usando la monetina della CIA Collins fece la telefonata che nessun pilota<br />

dell’agenzia avrebbe mai voluto fare. Poco più di un’ora dopo l’aereo privato di Kelly<br />

Johnson atterrò a Wendover, Utah, insieme a parecchi uomini della CIA. Dopo un breve<br />

scambio di informazioni per assicurarsi che stesse bene, Collins salì sull’aereo. Durante le<br />

due ore di volo fino alla clinica Lovelace, in New Mexico, nessuno proferì verbo. «Ci<br />

sarebbe stata occasione di parlare fin troppo in seguito» spiega Collins «con i registratori<br />

dell’agenzia che prendevano nota di tutto.» Un incidente in cui era coinvolto un aereo<br />

spia della CIA significava che qualcuno doveva dare delle spiegazioni.<br />

Intanto nella sala di controllo del Groom <strong>La</strong>ke il navigatore Sam Pizzo stava affrontando<br />

una gigantesca mole di lavoro 12 . <strong>La</strong> notizia dell’incidente di Collins era appena arrivata e<br />

toccava al colonnello Holbury, comandante del primo distaccamento del 1.129 th Special<br />

Activities Squadron (1.129 a squadriglia delle attività speciali), organizzare una squadra di<br />

recupero da mandare sul posto. «Addetti alla manutenzione, uomini della sicurezza,<br />

navigatori… salimmo tutti su camion e aerei e partimmo in direzione dello Utah» racconta<br />

Pizzo. Dato che Collins era vivo, adesso bisognava localizzare i pezzi dell’aereo, «ogni<br />

singolo dado, bullone e frammento di fusoliera». Il lavoro sarebbe stato condotto da un<br />

vecchio campo d’aviazione abbandonato a nordovest dei laghi asciutti, dove c’erano<br />

ancora le installazioni usate durante la Seconda guerra mondiale dai bombardieri che<br />

avevano sganciato le bombe su Hiroshima e Nagasaki. <strong>La</strong> sistemazione in quegli edifici<br />

deserti da tempo era rudimentale; non c’era acqua corrente né riscaldamento, il che<br />

significava che gli uomini del Groom <strong>La</strong>ke furono costretti a portarsi dietro cucine, brande<br />

ed equipaggiamento.<br />

Una volta localizzato il luogo dell’impatto, la squadra si mise a scavare. L’aereo,<br />

Articolo 123, non era esploso in volo, ma data la velocità con cui era precipitato al suolo


larghe sezioni erano finite sottoterra. Era importantissimo trovare tutti i pezzi della<br />

fusoliera in titanio. Il metallo era raro e costoso, e il fatto che l’aereo spia dell’agenzia<br />

fosse costruito a mano in titanio era un segreto custodito con cura. Se un giornalista o un<br />

abitante del posto avessero trovato anche il più piccolo frammento dell’aereo, ciò<br />

avrebbe fatto nascere delle domande sul materiale di cui era fatto che avrebbero potuto<br />

mettere a rischio la copertura dell’intero progetto Oxcart. Altrettanto critico per la<br />

sicurezza nazionale era assicurarsi che fosse mantenuto il segreto sui materiali radar<br />

assorbenti, noti come “compositi”, che ricoprivano tutto il velivolo. Se un pezzo dell’aereo<br />

fosse finito nelle mani sbagliate, le conseguenze sarebbero potute essere disastrose: i<br />

russi avrebbero scoperto il segreto dell’invisibilità.<br />

Per due giorni oltre cento uomini percorsero palmo a palmo il terreno, cercando i pezzi<br />

dell’aereo, e le carte e le mappe che Collins aveva con sé. «Alla fine avevamo perlustrato<br />

ogni centimetro della zona» ricorda Pizzo. Un enorme aereo da trasporto C-124 trasferì i<br />

pezzi dell’Oxcart all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. In un hangar sotto stretta sorveglianza gli uomini cercarono<br />

di rimettere insieme l’aereo pezzo per pezzo.<br />

L’allontanamento di Richard Bissell un anno prima aveva lasciato un enorme vuoto di<br />

potere alla base. Adesso gli uomini che lavoravano all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> avevano la sensazione che<br />

quel vuoto fosse stato riempito dagli alti papaveri dell’aeronautica militare 13 . Era<br />

perfettamente logico. <strong>La</strong>ddove l’U-2 in sostanza era stato un aliante a motore, l’A-12<br />

Oxcart era l’aereo più sofisticato, avveniristico e veloce del mondo. Per uomini che si<br />

erano consacrati alla potenza aerea – e ciò era vero per tutti coloro che appartenevano<br />

all’aeronautica militare – l’Oxcart supersonico era il massimo. L’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era diventata il<br />

fiore all’occhiello dell’aviazione, un luogo dove gli ufficiali potevano comandare la loro<br />

“personale forza aerea”, come ebbe a dire una volta il generale Paul Bacalis. Il che<br />

significava che i protetti del Pentagono, in genere eroi della Seconda guerra mondiale<br />

sopravvissuti a missioni rischiose e potenzialmente letali, venivano ricompensati con ruoli<br />

chiave alla base. Uomini come il colonnello Robert Holbury.<br />

Il titolo ufficiale di Holbury era comandante dello Special Activities Squadron di <strong>La</strong>s<br />

Vegas, la denominazione non classificata di Oxcart. Ex pilota di caccia durante il secondo<br />

conflitto mondiale, Holbury aveva ricevuto una menzione speciale dal generale Patton 14<br />

per aver compiuto un pericoloso volo di ricognizione a bassa quota sul fiume Saar, nella<br />

Germania occidentale, al quale era sopravvissuto nonostante fosse finito sotto un pesante<br />

fuoco nemico. Holbury era il comandante della base quando Collins distrusse il primo<br />

Oxcart. Nell’ambiente dell’aviazione, quando un aereo precipita, qualcuno deve prendersi<br />

la colpa. Spiega Collins: «Nella mentalità del SAC [Strategic Air Command], se si verifica<br />

un incidente il comandante della squadriglia se ne assume le conseguenze». Secondo<br />

Collins, invece, Holbury cercò di dare la colpa a lui. «Non voleva essere rimproverato;<br />

voleva avere una stelletta. Voleva diventare generale e così cercò di addossarmi la<br />

responsabilità. Dopo l’incidente, ancor prima dell’indagine, chiese che fossi licenziato.»<br />

Collins non era disposto ad accettarlo. Per sua fortuna, il costruttore dell’aereo, cioè<br />

Kelly Johnson, non era interessato a sapere di chi fosse la colpa, quanto piuttosto a<br />

scoprire cos’era andato storto. Ascoltando Collins raccontare l’accaduto nella riunione<br />

seguita all’incidente, non riuscì a capire quale fosse stata la causa del disastro. Si


chiedeva se per caso il pilota non avesse dimenticato qualcosa, o non stesse magari<br />

omettendo dei particolari. «Per me era chiaro che si era trattato di un problema<br />

meccanico e non di un errore del pilota» continua Collins. «Perciò quando Kelly Johnson<br />

mi chiese se fossi disposto a provare metodi non convenzionali come l’ipnosi e il siero<br />

della verità, risposi di sì. Avrei fatto qualunque cosa pur di arrivare alla verità.» Mentre la<br />

commissione del Pentagono conduceva un’indagine tradizionale, Collins si sottopose a<br />

modi tutt’altro che ortodossi per chiarire le cause dell’incidente.<br />

Nell’ufficio del medico aeronautico alla Lockheed, Collins fu fatto sedere davanti a un<br />

ipnotizzatore di Boston assunto dalla CIA, «un uomo piccolo e rotondetto con indosso un<br />

abito fantasioso» ricorda Collins. «Cercò in ogni modo di farmi cadere in trance, solo che<br />

non funzionò. Non credo si rendesse conto che ipnotizzare un pilota di caccia non era<br />

facile come pensava.» Poi a Collins fu iniettata una dose di tiopental sodico, conosciuto<br />

anche come siero della verità. Collins ricorda molto bene quella giornata. «Dissi a mia<br />

moglie Jane che sarei andato al lavoro per qualche ora, il che era quantomeno inusuale<br />

visto che era una domenica. Lo scopo del trattamento era capire se riuscivo a ricordare<br />

altri dettagli rispetto a quelli che avevo riferito nel primo incontro con la CIA. Eppure,<br />

anche con il siero della verità nelle vene, dissi esattamente le stesse cose che avevo già<br />

detto. Il siero della verità ha pesanti effetti collaterali e una volta finito il test facevo<br />

fativa a reggermi in piedi. Tre agenti della CIA mi accompagnarono a casa verso sera. Uno<br />

guidò la mia macchina e gli altri due mi portarono dentro e mi fecero sdraiare sul divano.<br />

Ero ancora intontito dai farmaci. Consegnarono le chiavi dell’auto a Jane e se ne<br />

andarono <strong>senza</strong> dire una parola.»<br />

Quando Collins si svegliò la mattina dopo, immaginò che l’unica conclusione di Jane<br />

sarebbe stata che il marito era uscito di domenica per andare a sbronzarsi. Sentendosi a<br />

disagio, le confessò la faccenda del siero della verità e aggiunse che non poteva dirle<br />

altro. Ma anche Jane aveva una storia da raccontare. Disse che non doveva spiegargli<br />

altro, perché si era fatta un’idea piuttosto chiara di quello che gli era successo al lavoro.<br />

Qualche giorno prima, raccontò, subito dopo l’incidente, l’amico di famiglia e collega di<br />

Collins Walt Ray aveva infranto il protocollo e aveva chiamato Jane dall’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per dirle<br />

che Ken si era lanciato dall’aereo ma stava bene. «Dov’è?» aveva chiesto Jane. Walt Ray<br />

aveva risposto che non lo sapeva, al che Jane aveva ribattuto: «E come fai a sapere che<br />

sta bene se non sai nemmeno dov’è?». Walt Ray non era stato in grado di replicare.<br />

Perciò, sbronza o no, Jane Collins era felicissima che il marito fosse vivo e a casa.<br />

Dopo una lunga indagine fu accertato che l’incidente era stato causato da un<br />

componente dell’aereo delle dimensioni di una matita, chiamato tubo di Pitot 15 . Il tubo di<br />

Pitot misura la velocità relativa tra velivolo e aria e di conseguenza controlla l’indicatore<br />

di velocità. A differenza di ciò che accade guidando un’auto, dove è possibile intuire la<br />

velocità relativa, nel caso di un aereo <strong>senza</strong> la lettura di un tachimetro è impossibile<br />

capire a quale velocità si sta andando, e <strong>senza</strong> questa informazione non si può atterrare.<br />

Quando Collins si infilò nella formazione nuvolosa, il tubo di Pitot reagì all’umidità<br />

presente e gelò. <strong>La</strong> velocità scorretta rilevata dal tachimetro provocò lo stallo dell’aereo,<br />

il quale a sua volta fece capovolgere l’Oxcart il quale alla fine precipitò.<br />

L’incidente di Ken Collins spinse la CIA a raddoppiare le misure di sicurezza relative alle


operazioni in corso all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Alla stampa fu comunicato che era precipitato un F-105 e<br />

ancora nel 2011 l’aeronautica militare continua a sostenere questa versione dei fatti.<br />

Preoccupata che la copertura potesse saltare, l’agenzia decise di preparare un rapporto<br />

su chi sapeva cosa riguardo all’Oxcart. Un analista fu incaricato di passare al setaccio tutti<br />

i fascicoli della CIA relativi a giornalisti, civili e persino personale dell’aeronautica in<br />

pensione, chiunque avesse dimostrato curiosità riguardo a quello che si supponeva<br />

succedesse all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. A partire dalla primavera del 1963, i casi degni di attenzione di<br />

ciò che la CIA definiva «conoscenza del progetto Oxcart al di fuori della comunità degli<br />

addetti ai lavori» aumentarono esponenzialmente. Questi documenti, declassificati nel<br />

2007 e mai resi pubblici in precedenza, dimostrano che la CIA aveva monitorato<br />

conversazioni telefoniche 16 di giornalisti che sembravano interessati a Oxcart.<br />

Particolarmente preoccupante per l’agenzia fu un articolo comparso sull’«Hartford<br />

Courant» che faceva riferimento allo “sviluppo segreto” del motore J-58. Un altro articolo,<br />

pubblicato sull’«Herald News» di Fontana, California, avanzava ipotesi sull’esistenza<br />

dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, definendola un «sito di progetti supersegreti». Una CIA sempre più<br />

sospettosa 17 faceva gli straordinari per controllare non solo i giornalisti, ma anche i<br />

normali cittadini, come il tassista di Los Angeles di cui parla un memorandum segreto con<br />

la dicitura “classificato”, il quale riferisce che l’uomo una volta aveva chiesto a un addetto<br />

della Pratt & Whitney se stava «recandosi in Nevada».<br />

Se aveva a cuore il futuro del programma riguardante gli aerei spia nella sua globalità,<br />

la CIA avrebbe fatto meglio a tener d’occhio l’aeronautica militare, che stava prendendo<br />

un controllo sempre più saldo delle operazioni quotidiane che si svolgevano alla base. E<br />

non è che non ci fossero stati dei segnali rivelatori. L’anno prima dell’incidente di Collins,<br />

l’aeronautica aveva deciso che voleva un programma analogo a Oxcart tutto suo.<br />

Esattamente com’era successo nel caso dell’U-2, il Pentagono si intromise nel territorio<br />

della CIA. Solo che nel caso dell’Oxcart l’aeronautica pretese non una, bensì tre varianti 18<br />

del velivolo. Una versione, l’YF-12A, sarebbe stata usata come aereo da attacco, con il<br />

vano destinato all’apparecchiatura fotografica trasformato in un alloggiamento in grado di<br />

ospitare due bombe nucleari da 250 chilotoni. <strong>La</strong> seconda variante avrebbe trasportato<br />

un drone nella parte posteriore. <strong>La</strong> terza era una versione biposto dello stealth della CIA,<br />

ma invece di essere progettato per eseguire missioni di ricognizione ad alta velocità e ad<br />

alta quota in territorio nemico in tempo di pace, aveva la funzione di andare a scattare<br />

foto immediatamente dopo un attacco nucleare da parte dell’America, per controllare se<br />

fossero stati mancati dei bersagli strategici. Denominato RS-71 Blackbird, questo velivolo,<br />

oggi famoso, fu oggetto di un curioso errore da parte del presidente Lyndon Johnson, che<br />

in un discorso pubblico invertì le lettere della sigla. Dato che il presidente di rado viene<br />

“corretto”, l’aeronautica cambiò nome all’aereo: ecco come nacque l’SR-71 Blackbird.<br />

(Originariamente le lettere stavano per “Reconnaissance/Strike”,<br />

“ricognizione/attacco” 19 .)<br />

Tutta la faccenda continuava a essere paradossale. Gli aerei supersonici dell’aviazione<br />

erano l’ultimissima versione dell’idea originale di Eisenhower, il quale aveva acconsentito<br />

che la CIA eseguisse missioni di spionaggio allo scopo di evitare un conflitto nucleare. <strong>La</strong><br />

nuova politica delle forze armate metteva in chiaro la differenza: la CIA si occupava dello


spionaggio e l’aeronautica della guerra.<br />

C’erano altri motivi in gioco, tra cui l’ego del generale LeMay. L’aeronautica aveva già<br />

speso ottocento milioni di dollari per mettere a punto il bombardiere B-70 20 , un massiccio<br />

aereo supersonico di forma triangolare dotato di otto motori che era stato la passione del<br />

generale LeMay sin dall’inizio, nel 1959. Quando fu proposta per la prima volta al<br />

Congresso una flotta di ottantacinque bombardieri strategici, LeMay, all’epoca capo dello<br />

Strategic Air Command, era stato accolto da un’ovazione. Ma l’abbattimento di Gary<br />

Powers nel maggio del 1960 aveva messo a nudo la vulnerabilità dei B-70 di LeMay, i<br />

quali volavano alla stessa quota degli U-2. Nel 1963 LeMay non era più capo del SAC… era<br />

capo dello stato maggiore congiunto di Kennedy. Nonostante fosse ormai chiaro che il B-<br />

70 non era un aereo funzionale, LeMay non era disposto a lasciar andare la sua adorata<br />

creatura <strong>senza</strong> combattere.<br />

Quando la CIA rivelò per la prima volta a Kennedy quanto volava alto e veloce l’A-12<br />

Oxcart, il presidente rimase sbalordito 21 . Secondo l’agente della CIA Norman Nelson,<br />

chiese immediatamente: «Sarebbe possibile convertirlo in un bombardiere a lungo raggio<br />

per sostituire il B-70?». LeMay era presente a quella conversazione e il pensiero di dover<br />

cedere il suo giocattolo all’agenzia lo fece andare su tutte le furie. Esercitò pressioni sul<br />

Pentagono a favore del progetto del B-70 e mise in piedi una campagna di pubbliche<br />

relazioni, promuovendo personalmente il bombardiere in interviste comparse su giornali<br />

come «Aviation Week» e «Reader’s Digest». Ma nel 1963 Kennedy era propenso a<br />

cancellare il progetto. In una nota di budget, lo definì «non necessario ed<br />

economicamente insostenibile» 22 . L’ordine originale di 85 esemplari era già stato ridotto<br />

a dieci, e adesso il Congresso lo portò a quattro 23 .<br />

LeMay era fuori di sé. Si recò da Washington a Burbank in aereo per vedere Kelly<br />

Johnson agli Skunk Works. Visto che erano rivali di lunga data, Johnson si dimostrò<br />

scettico quando LeMay gli chiese informazioni sull’A-12. Quando Johnson ebbe finito<br />

LeMay gli propose un accordo. «Voglio che mi prometta 24 di non opporsi più al B-70»<br />

disse. Se avesse acconsentito, LeMay avrebbe ordinato alla Lockheed 25 una versione<br />

intercettore dell’A-12 in aggiunta all’ordine preesistente. Per la società ciò avrebbe<br />

significato un’altra grossa fattura da presentare all’aeronautica militare. Sulle prime<br />

Johnson dubitò della sincerità di LeMay, ma cambiò idea poche settimane dopo, quando<br />

ricevette la visita del segretario alla Difesa McNamara con al seguito il vicesegretario.<br />

McNamara chiese informazioni sull’A-12 e prese «moltissimi appunti». Nel giro di qualche<br />

mese, il Pentagono ordinò altre venticinque varianti e aveva già un nome adatto per le<br />

sue versioni dell’aereo: Blackbird. “Black” perché il velivolo era stato sviluppato in segreto<br />

dalla CIA e “bird” * perché era in grado di volare. L’incontro fece scoppiare la lunga<br />

battaglia tra le due agenzie per il controllo dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e di qualunque veicolo<br />

governativo dotato di ali. Esattamente com’era successo con l’U-2: la CIA aveva fatto tutto<br />

il lavoro per mettere a punto il velivolo solo per vedersi sottrarre il controllo del progetto<br />

dal Pentagono.<br />

Al Ranch nessuno tranne i generali aveva idea che il programma Oxcart della CIA<br />

avesse nel Pentagono un formidabile rivale che ne minacciava l’esistenza. I piloti, gli


ingegneri, gli operatori, gli scienziati e i soldati dell’aeronautica facevano tripli turni su<br />

ventiquattr’ore per preparare la missione dell’Oxcart. Erano gli uomini che costituivano e<br />

sostenevano il 1.129 th Special Activities Squadron al Groom <strong>La</strong>ke.<br />

C’era voluto un sacco di tempo per costruire i motori a reazione J-58 della Pratt &<br />

Whitney, ma adesso erano pronti a volare. Nel gennaio del 1963 furono finalmente<br />

mandati al Ranch 26 . Quando i motori vennero accesi per la prima volta sorse una nuova<br />

serie di problemi: in un caso, gli ingegneri sospettarono che ci fosse un oggetto estraneo<br />

nel cuore del motore, che stava danneggiando le parti interne. I raggi X rivelarono la<br />

silhouette di una penna 27 caduta nella gondola durante il montaggio finale a Burbank. Da<br />

quel momento gli operai della Lockheed indossarono tute prive di taschini. Poi ci furono<br />

altri problemi. I motori funzionavano come giganteschi aspirapolvere; quando venivano<br />

accesi sulla pista, aspiravano qualunque oggetto si trovasse nelle vicinanze, tra cui sassi<br />

e viti metalliche. Per rimediare, gli operai dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> si trasformarono in uomini delle<br />

pulizie, scopando e aspirando l’asfalto della pista prima di ogni volo. Un compito noioso<br />

ma necessario.<br />

L’obiettivo successivo era far volare l’aereo a Mach 3. Quella velocità, quasi cinque<br />

volte superiore a quella di qualunque velivolo di linea, era un’impresa aerodinamica mai<br />

compiuta in precedenza. Farlo accelerare passando per le velocità più basse era un<br />

processo laborioso e pericoloso: i valori di progetto furono raggiunti gradualmente,<br />

mentre ogni giorno sorgevano nuovi e inaspettati problemi 28 . Quando l’aereo raggiunse le<br />

velocità più elevate, le temperature superiori ai 260 °C fecero fondere i componenti<br />

elettrici, molti dei quali dovettero essere riprogettati e ricablati. Si attribuisce a Chuck<br />

Yeager lo sfondamento della barriera del suono nel 1947, ma tutte le volte che un nuovo<br />

aereo si muove a velocità supersonica sorgono complicazioni. Nel caso dell’Oxcart, l’onda<br />

d’urto sonica provocò inaspettatamente una deformazione della fusoliera tale da<br />

compromettere in modo irrimediabile numerose componenti strutturali che dovettero<br />

essere riprogettate e sostituite.<br />

Alcuni traguardi furono raggiunti con una rapidità sorprendente. Nel luglio del 1963 Lou<br />

Schalk volò brevemente a Mach 3, per la gioia dell’agenzia. Eppure mantenere quella<br />

velocità per dieci minuti richiese altri sette mesi di lavoro. Ogni volo era come una<br />

missione operativa, con i navigatori che studiavano una rotta e facevano mappe giorni<br />

prima mentre testavano il sistema di navigazione interno dell’Oxcart, o INS. «Quando si<br />

vola a quella quota e a quella velocità, si ha bisogno di grossi riferimenti per convalidare<br />

le informazioni provenienti dall’INS» ricorda il navigatore Sam Pizzo. «Tutti i tradizionali<br />

riferimenti geografici, come le montagne e i fiumi, non andavano bene. L’Oxcart era<br />

troppo veloce. I piloti avevano bisogno di punti di riferimento delle dimensioni del Grand<br />

Canyon o dei Grandi <strong>La</strong>ghi» aggiunge. «È impossibile immaginare che territorio<br />

inesplorato fosse per un navigatore. Per quanta esperienza potessi avere, nulla era<br />

sufficiente a prepararti a lavorare con un aereo che andava due o tre volte più veloce di<br />

qualunque cosa mai vista prima.»<br />

<strong>La</strong> caratteristica intrinseca dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era che tutto ciò che vi accadeva, succedeva in<br />

grande. Dal momento che gli ordini provenivano direttamente dal presidente, e data la<br />

segretezza <strong>senza</strong> precedenti che circondava il progetto, tra gli uomini era diffuso il


profondo sentimento patriottico di lavorare per la difesa del mondo libero. Gli addetti<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> si prodigavano instancabilmente e con stupefacente ingenuità per superare<br />

ostacoli che avrebbero paralizzato la maggior parte delle persone. Eppure lo strano<br />

paradosso che stava dietro tutti gli sforzi che si facevano al Ranch era che il progetto<br />

Oxcart subiva l’influenza di imprevedibili eventi mondiali. Poteva essere sospeso a causa<br />

delle ultime notizie, come stava per succedere il 22 novembre 1963.<br />

Era tardo pomeriggio e aveva appena smesso di piovere; il capitano Donald Donohue<br />

stava lavorando con una squadra al lago asciutto. Un caccia F-101 era finito fuori pista 29 ,<br />

affondando in uno strato di argilla profondo parecchi centimetri. Insieme a un gruppo di<br />

ingegneri e di meccanici, Donohue cercava di posare delle lastre d’acciaio che avrebbero<br />

permesso di tirar fuori l’aereo impantanato nel terreno melmoso.<br />

«Comparve Pizzo» ricorda Donohue. «Era pallido e disse: “Ripulite e tornatevene a<br />

casa”. Be’, c’era qualcosa che non andava. Sam Pizzo non era mai così laconico. Poi<br />

aggiunse qualcosa tipo: “Vi chiameremo se avremo bisogno di voi”.»<br />

«Che diavolo succede?» chiese Donohue.<br />

«Il presidente Kennedy è appena stato assassinato a Dallas» disse Pizzo in tono<br />

solenne.<br />

Fu uno shock terribile, dice Donohue. «Il nostro comandante in capo. Morto? Lo ricordo<br />

come se fosse ieri. Pizzo aveva ragione. Fummo costretti a tornarcene a casa ad<br />

aspettare che la cosa si risolvesse. Quando [Lyndon] Johnson era vicepresidente, era<br />

all’oscuro dell’esistenza del progetto Oxcart. E non aveva idea dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.» Il futuro di<br />

Oxcart dipendeva dal nuovo presidente.<br />

Con Kennedy morto, Lyndon Johnson sarebbe stato informato 30 della base segreta<br />

della CIA dal direttore dell’agenzia John McCone l’ottavo giorno dopo l’insediamento. Fino<br />

ad allora, la decisione di Johnson riguardo all’aereo spia supersonico rimaneva un<br />

assoluto mistero. Il rapporto tra un nuovo presidente e la CIA è sempre fragile all’inizio.<br />

Quello che era successo a Kennedy con la Baia dei Porci aveva alzato la posta in termini<br />

di rischio per tutti i futuri presidenti degli Stati Uniti. Solo il tempo avrebbe detto se<br />

Lyndon Johnson sarebbe stato disposto ad autorizzare il completamento dell’aereo spia<br />

supersonico all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

* Black significa “nero” ma anche “in segreto”; bird significa “uccello”. [N.d.T.]


Capitolo 12<br />

COPRIRE LA COPERTURA 1<br />

Jim Freedman ricorda la prima volta che sollevò l’argomento degli UFO con il suo<br />

supervisore della EG&G all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Era più o meno la metà degli anni Sessanta e «gli UFO<br />

erano una faccenda piuttosto grossa» spiega Freedman. Gli avvistamenti di dischi volanti<br />

erano balzati agli onori delle cronache con una frenesia che non si vedeva dalla fine degli<br />

anni Quaranta. «Tra le altre dicerie avevo sentito dire che un UFO era finito a Wright-Pat e<br />

poi era stato portato in una zona remota del poligono» continua Freedman. «Pareva si<br />

trattasse dell’<strong>Area</strong> 22 2 . Un giorno ero in automobile con il mio supervisore e gli raccontai<br />

quello che avevo sentito, chiedendogli cosa ne pensasse. Be’, si limitò a fissare la strada.<br />

Poi si girò verso di me e disse: “Jim, non voglio sentirti mai più parlare di questo<br />

argomento, se vuoi tenerti il posto”.» Freedman si guardò bene dal sollevare di nuovo la<br />

questione.<br />

A metà degli anni Sessanta gli avvistamenti di oggetti volanti non identificati intorno<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> raggiunsero un picco <strong>senza</strong> precedenti, poiché l’A-12 Oxcart che decollava dal<br />

Groom <strong>La</strong>ke venne ripetutamente scambiato per un UFO. Era dall’epoca degli U-2 che sulle<br />

scrivanie degli analisti della CIA non arrivavano tanti rapporti sui dischi volanti. Il primo<br />

avvistamento si ebbe solo quattro giorni dopo il primo volo ufficiale dell’Oxcart, il 30<br />

aprile 1962. Mancavano pochi minuti alle dieci del mattino e un aereo razzo X-15 della<br />

NASA stava facendo un volo di prova nel corridoio aereo che va dal Dryden Flight Research<br />

Center, in California, a Ely, in Nevada, nello stesso momento in cui un A-12 stava<br />

effettuando un volo di collaudo nelle vicinanze, a una quota diversa. Dall’interno dell’X-15,<br />

il pilota collaudatore Joe Walker scattava fotografie, un compito che faceva parte della<br />

missione. L’X-15 non era un progetto classificato e la NASA spesso pubblicava le foto prese<br />

durante i voli, come fece con quelle scattate da Walker quel giorno. Ma l’agenzia spaziale<br />

non aveva osservato con attenzione le immagini e non si era accorta che nell’angolo di<br />

una delle fotografie compariva un piccolo “UFO”. In realtà si trattava dell’Oxcart, ma la<br />

stampa lo identificò come disco volante. Una teoria che gode di popolarità tra gli ufologi<br />

sul perché gli alieni dovrebbero visitare il nostro pianeta si basa sull’improvviso progresso<br />

tecnologico dei terrestri a partire dalla bomba atomica. Per costoro, ne consegue che l’X-<br />

15 – il primo veicolo con a bordo un uomo ad arrivare ai limiti dell’atmosfera (la quota più<br />

alta raggiunta da un X-15 è stata di 107.960 metri 3 sopra il livello del mare) – sarebbe<br />

particolarmente interessante per esseri provenienti da altri pianeti.<br />

Due settimane dopo l’incidente, John McCone ricevette un telex prioritario segreto<br />

sull’argomento, il quale affermava che «il 30 aprile l’A-12 era in volo 4 a novemila metri di


quota 0948 ora locale con un concomitante test dell’X-15» e che «dichiarazioni pubbliche<br />

menzionano oggetti non identificati ripresi su pellicola dal volo dell’X-15». Questo<br />

messaggio, declassificato solo nel 2007, illustra bene il genere di rapporti sugli UFO di cui<br />

la CIA era inondata all’epoca. Dall’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> sarebbero decollati in totale 2.850 voli Oxcart<br />

nell’arco di sei anni. Quante di queste missioni generarono avvistamenti UFO non è dato<br />

sapere, ma quelli che vedevano i dischi volanti causarono alla CIA lo stesso problema che<br />

avevano provocato nel decennio precedente con l’U-2, solo che in questo c’erano dettagli<br />

che sembravano ancora più inspiegabili. Nel caso dell’Oxcart, i piloti degli aerei di linea<br />

che sorvolavano il Nevada o la California guardavano in alto e vedevano la pancia<br />

scintillante dell’aereo che schizzava via sopra le loro teste, altissima e a una velocità tre<br />

volte quella del suono e pensavano: UFO. E come avrebbe potuto essere altrimenti?<br />

Quando l’Oxcart volava a 3.700 chilometri orari, significava che era all’incirca cinque volte<br />

più veloce di un aereo normale, una cosa inaudita all’epoca. <strong>La</strong> maggior parte degli<br />

avvistamenti di Oxcart avvenivano appena dopo il tramonto, quando la troposfera era<br />

avvolta dall’oscurità del crepuscolo. Ventisette chilometri più in alto, il sole splendeva<br />

ancora sull’Oxcart. Le grandi ali in titanio dell’aereo, unite alla parte posteriore della<br />

fusoliera di forma triangolare – che rifletteva i raggi solari più in alto di quanto si riteneva<br />

potessero volare gli aerei –, poteva comprensibilmente causare allarme.<br />

L a CIA affrontò la nuova ondata di avvistamenti in modo analogo a come si era<br />

comportata con l’U-2. Il colonnello Hugh “Slip” Slater, comandante dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> in quel<br />

periodo, spiega: «I piloti di linea riferivano gli avvistamenti 5 alla FAA. I voli venivano<br />

intercettati in California, o dovunque atterrassero, da agenti dell’FBI che facevano firmare<br />

ai passeggeri moduli perché non rivelassero accidentalmente quello che avevano visto».<br />

Fine della storia, o almeno così sperava la CIA. Ma l’interesse per gli UFO continuò ad<br />

aumentare e l’opinione pubblica riprese a fare pressioni sul Congresso per sapere se il<br />

governo federale era coinvolto in operazioni per tenere nascosti i dischi volanti. Quando i<br />

parlamentari chiedevano se l’agenzia c’entrava qualcosa, si sentivano rispondere<br />

invariabilmente di no.<br />

Il 10 maggio 1966, l’uomo più creduto d’America, Walter Cronkite, condusse un servizio<br />

speciale della CBS 6 dal titolo UFO: amici, nemici o fantasia? A un pubblico di milioni di<br />

americani, Cronkite annunciò che la CIA partecipava a un’operazione di copertura del<br />

governo riguardante gli UFO. L’agenzia aveva attivamente analizzato dati relativi ai dischi<br />

volanti nonostante lo avesse ripetutamente negato davanti al Congresso, sostenne<br />

Cronkite. Aveva ragione. L’agenzia si occupava degli avvistamenti fin dagli anni Cinquanta<br />

e mentiva regolarmente al riguardo. Non poteva rendere pubbliche le informazioni<br />

classificate del programma U-2 – la cui esistenza era stata rivelata dall’abbattimento di<br />

Gary Powers ma i cui dettagli rimasero per la maggior parte segreti fino al 1998 – né<br />

alcunché del programma Oxcart, il quale rimase top-secret fino al 2007. Da come l’aveva<br />

presentata Cronkite, la CIA sembrava un covo di bugiardi.<br />

Le cose si misero male per l’agenzia. Il programma di Cronkite aveva riaperto una<br />

delicata questione vecchia di dodici anni nota come “rapporto della commissione<br />

Robertson”, risalente al 1953. Il dottor Robertson comparve in un programma della CBS 7 e<br />

rivelò che l’indagine sugli UFO che portava il suo nome era in realtà stata sponsorizzata


dalla CIA a partire dal 1952, nonostante le ripetute smentite. <strong>La</strong> House Armed Services<br />

Committee tenne delle udienze sugli UFO 8 nel luglio 1966, durante le quali l’aeronautica<br />

militare additò la CIA come responsabile delle operazioni di copertura. «L’aeronautica<br />

militare […] chiese all’agenzia una declassificazione» 9 testimoniò il segretario<br />

all’aeronautica Harold Brown. Brown affermò che mentre non c’era alcuna prova che<br />

«stranieri provenienti dallo spazio» stessero visitando la Terra, era venuto il momento<br />

che la CIA facesse chiarezza sui suoi studi segreti riguardanti gli UFO.<br />

Secondo lo storico della CIA Gerald Haines 10 , «l’agenzia rimase arroccata sulle proprie<br />

posizioni. Karl H. Weber, vicedirettore dell’ OSI [Office of Scientific Intelligence], scrisse<br />

all’aeronautica che “siamo ansiosi che non sia data ulteriore pubblicità all’informazione<br />

secondo cui la commissione sarebbe stata sponsorizzata dalla CIA”». Le parole di Weber,<br />

commenta Haines, furono «avventate e poco sagge» perché l’aeronautica passò<br />

l’informazione a un giornalista di nome John Lear 11 , redattore scientifico della «Saturday<br />

Review». L’articolo del settembre 1966, intitolato Il controverso documento della CIA sugli<br />

UFO, accese un altro riflettore sulle attività di copertura dell’agenzia. Lear, il quale non<br />

credeva all’esistenza degli extraterrestri, chiese la pubblicazione del rapporto. <strong>La</strong> CIA<br />

ribatté che si trattava di informazioni classificate, e il ruolo dell’agenzia in questa<br />

faccenda rimane tuttora classificato.<br />

L’opinione pubblica non gradì quella mancanza di chiarezza. Il 1966 fu l’anno decisivo<br />

della guerra in Vietnam e la capacità del governo federale di dire la verità veniva messa<br />

in discussione. Continuarono le pressioni sul governo perché fossero rese pubbliche più<br />

informazioni. E così, ancora una volta, com’era già successo alla fine degli anni Quaranta,<br />

l’aeronautica fu “incaricata” ufficialmente di indagare sugli avvistamenti. <strong>La</strong> decisione di<br />

coinvolgere l’aeronautica, disse il Congresso, era dettata dalla volontà di controllare<br />

l’inaffidabile CIA. Una delle ironie di tutta la faccenda è che solo un pugno di generali<br />

dell’aeronautica erano a conoscenza dei voli dell’Oxcart all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, il che significa che per<br />

la maggior parte degli investigatori gli avvistamenti dell’A-12 erano davvero oggetti<br />

volanti non identificati. Come se non bastasse, numerosi membri di spicco<br />

dell’aeronautica militare che erano stati coinvolti nelle indagini sugli UFO adesso erano<br />

convinti che anche l’aviazione fosse impegnata in attività di copertura. Molti di loro<br />

lasciarono il servizio per scrivere libri dedicati agli UFO e sostenere il movimento di<br />

opinione pubblica che chiedeva al Congresso maggiori informazioni.<br />

Da oltre duecento anni, da quando è stato inventato il pallone aerostatico, gli uomini<br />

sono terrorizzati dagli oggetti volanti non identificati perché il fatto stesso che esistano li<br />

fa sentire vulnerabili agli attacchi dal cielo. Il caso de <strong>La</strong> guerra dei mondi non era certo<br />

un fenomeno unico nel suo genere. <strong>La</strong> prima ondata di panico legata agli UFO di cui è<br />

rimasta testimonianza si verificò nell’agosto del 1783, poco dopo che i due fratelli Joseph<br />

e Étienne Montgolfier si erano assicurati il sostegno del re di Francia per progettare un<br />

pallone ad aria calda, la versione settecentesca di un moderno contratto della difesa. Nel<br />

corso di uno dei primi test, un pallone incappò in un temporale e si schiantò in un piccolo<br />

villaggio francese chiamato Gonesse. I contadini del posto pensarono che il pallone fosse


un mostro che li stava attaccando dal cielo. Un disegno a inchiostro dell’epoca raffigura<br />

uomini armati di forconi e falci che fanno a pezzi il pallone caduto. Gli spettatori sullo<br />

sfondo scappano con le braccia alzate sopra la testa per la paura. <strong>La</strong> storia dimostra che<br />

qualunque forma di volo porta con sé il timore arcaico di un attacco dai cieli. Nel corso dei<br />

successivi due secoli queste paure sono state ricorrenti e si sono presentate in forme<br />

talvolta drammatiche.<br />

Nel cuore degli anni Sessanta, dopo vent’anni di motori a reazione, il timore degli<br />

oggetti volanti non identificati continuava a influenzare la cultura e l’industria. A quel<br />

punto milioni di americani erano giustamente convinti che diverse fazioni all’interno del<br />

governo fossero attivamente impegnate in attività di copertura del fenomeno UFO. Molti<br />

cittadini credevano che il governo stesse cercando di coprire l’esistenza di esseri<br />

extraterrestri; la gente non si rendeva conto che l’attenzione spasmodica rivolta ai<br />

marziani impediva loro di prendere in considerazione spiegazioni alternative, ovvero che<br />

si trattava di avvistamenti di velivoli avveniristici costruiti dall’uomo. Alla fine degli anni<br />

Sessanta, le due agenzie governative che erano il bersaglio della rabbia popolare – la CIA<br />

e l’aeronautica militare – si erano servite del segreto e della disinformazione per tenere<br />

nascosti all’opinione pubblica i loro progetti classificati. Dalle storie di copertura sugli<br />

incidenti aerei alle campagne di disinformazione sui programmi di studio degli UFO,<br />

entrambe le organizzazioni avevano intessuto una complessa ragnatela di bugie. Gli<br />

effetti di una campagna di disinformazione sulla gente normale sono esemplificati<br />

benissimo da una storia vera che risale all’alba del volo a reazione.<br />

Nel 1942, quando fu messo a punto per la prima volta il motore a getto, l’aeronautica<br />

militare voleva mantenere segreta la nuova forma di propulsione aerea finché l’esercito<br />

non fosse stato pronto a svelare la tecnologia. Fino all’avvento del motore a reazione, gli<br />

aeroplani funzionavano a elica e prima del 1942 per la maggior parte delle persone era<br />

impensabile che un aereo potesse volare <strong>senza</strong> delle pale rotanti fissate da qualche<br />

parte. Allo scopo di mantenere il segreto sulla tecnologia del motore a getto,<br />

l’aeronautica mise in piedi una campagna di disinformazione piuttosto innocua che<br />

coinvolgeva un gruppo di piloti militari. Ogni volta che un collaudatore portava in volo un<br />

jet Bell XP-59A sopra il lago asciutto di Muroc, nel deserto del Mojave, l’equipaggio<br />

attaccava un’elica finta al muso dell’aereo. I piloti del Bell avevano una porzione di spazio<br />

aereo in cui fare i test di volo, ma ogni tanto un pilota ai comandi di un P-38 Lightning si<br />

portava nei pressi della base per dare un’occhiata da vicino all’aeroplano. Il velivolo si<br />

lasciava dietro una scia di fumo, e alla fine nei bar frequentati dagli avieri cominciarono a<br />

circolare delle voci. I piloti volevano sapere che cosa gli stavano tenendo nascosto.<br />

Secondo lo storico della base aerea di Edwards, il dottor James Young, il collaudatore<br />

capo dell’XP-59A, un uomo di nome Jack Woolams, ebbe un’idea: ordinò una maschera da<br />

gorilla in un negozio di costumi di Hollywood. Al volo successivo, Woolams tolse l’elica<br />

finta dal muso dell’aereo e indossò la maschera da gorilla. Quando un P-38 Lightning si<br />

avvicinò per sbirciare, Woolams fece in modo che il pilota dell’altro apparecchio potesse<br />

guardare nella cabina del jet. L’uomo rimase sbalordito. Invece di vedere Woolams, vide<br />

un gorilla ai comandi di un aeroplano, perdipiù <strong>senza</strong> elica. Il pilota stupefatto atterrò e<br />

andò dritto al bar, dove sedette e ordinò un robusto drink. Quindi cominciò a raccontare


ai colleghi quello che aveva visto con i suoi occhi, ma quelli ribatterono che era ubriaco,<br />

che straparlava e che avrebbe fatto meglio ad andarsene a casa. Nel frattempo, l’idea<br />

della maschera da gorilla piacque anche ad altri piloti dell’XP-59A e in men che non si dica<br />

i colleghi di Woolams lo imitarono. Nel corso dei mesi successivi altri piloti di P-38 videro il<br />

gorilla ai comandi dell’aereo <strong>senza</strong> elica. Alcune versioni dell’accaduto sostengono che<br />

furono coinvolti persino degli psichiatri dell’aviazione, i quali spiegarono agli uomini del<br />

Lightning che un pilota di caccia sano di mente poteva essere disorientato dall’altitudine<br />

e credere di aver visto qualcosa che chiaramente non esisteva. Tutti sanno che un gorilla<br />

non può pilotare un aereo. Secondo il dottor Craig Luther, uno storico contemporaneo<br />

della base di Edwards, rimane dubbio se la storia degli psichiatri sia vera o meno e, in<br />

caso affermativo, se sapessero delle maschere. Ma per gli scopi di una campagna<br />

strategica di disinformazione una cosa è chiara: nessuno vuol esser preso per pazzo.<br />

Il rasoio di Ockham è un’idea attribuita a un francescano inglese del Trecento,<br />

Guglielmo di Ockham. Secondo questa teoria, quando si cerca la spiegazione di un<br />

fenomeno, bisogna chiedersi se la soluzione alternativa a quella principale è in grado di<br />

offrire una spiegazione migliore dei fatti oppure se è solo più complicata e perciò meno<br />

utile. In altri termini, quando un uomo si trova di fronte un enigma, la risposta dovrebbe<br />

essere più semplice e non più complicata dell’enigma stesso. Il rasoio di Ockham è spesso<br />

applicato al fenomeno degli oggetti volanti non identificati. Nel caso della storia del<br />

gorilla pilota, la vera spiegazione – che il gorilla era in realtà un pilota con indosso una<br />

maschera da gorilla – offriva la risposta più semplice a ciò che sembrava un fenomeno<br />

inspiegabile. <strong>La</strong> stessa cosa si può dire dell’incidente di Roswell. Ma ci sarebbero voluti<br />

decenni perché fossero rivelati maggiori dettagli.<br />

Una delle figure più enigmatiche 12 coinvolte nel mistero di Roswell fu il contrammiraglio<br />

Roscoe H. Hillenkoetter, il primo uomo a dirigere la CIA. Hillenkoetter guidò la Central<br />

Intelligence Agency dal 1° maggio 1947 al 7 ottobre 1950. Quando lasciò la CIA tornò alla<br />

sua carriera nella marina. Curiosamente, dopo aver lasciato anche la marina, alla fine<br />

degli anni Cinquanta, entrò a far parte del consiglio direttivo 13 di un gruppo di ricercatori<br />

UFO denominato National Investigation Committee on Aerial Phenomena (Comitato<br />

nazionale d’indagine sui fenomeni aerei). Quel ruolo era un paradosso: da un lato, infatti,<br />

si trovava lì per capire che cosa sapevano gli ufologi degli oggetti volanti non identificati,<br />

ma dall’altra simpatizzava con il loro lavoro. Hillenkoetter non credeva che gli UFO<br />

provenissero dallo spazio, però era consapevole del fatto che gli oggetti volanti non<br />

identificati erano un serio problema di sicurezza nazionale. Nel ruolo di direttore della CIA,<br />

Hillenkoetter sapeva che il disco volante di Roswell era stato mandato da Josif Stalin; ed<br />

era anche a conoscenza dei timori dello stato maggiore congiunto che quello che era<br />

successo una volta potesse succedere di nuovo. Per questo è curioso che nel febbraio del<br />

1960, con una rara esternazione da parte di un ex ufficiale di rango elevato, Hillenkoetter<br />

dichiarò pubblicamente al Congresso 14 di essere deluso dal modo in cui l’aeronautica si<br />

stava comportando riguardo alla questione degli UFO. Davanti alla Science and<br />

Astronautics Committee (Commissione per la scienza e l’astronautica) del Senato affermò<br />

che «dietro le quinte, ufficiali di alto grado dell’aeronautica sono seriamente preoccupati


per gli UFO. Ma attraverso il segreto ufficiale e il ridicolo, molti cittadini sono stati indotti a<br />

credere che gli oggetti volanti non identificati siano una stupidaggine». Aggiunse anche<br />

che «per nascondere i fatti l’aeronautica ha zittito il suo personale».<br />

Hillenkoetter rimase un membro di spicco del National Investigation Committee on<br />

Aerial Phenomena fino al 1962, quando misteriosamente diede le dimissioni 15 . Altrettanto<br />

sconcertante è che l’uomo che prese il suo posto e nel 1969 diventò capo del consiglio<br />

direttivo del comitato fosse Joseph Bryan III, il primo capo della guerra politica e<br />

psicologica della CIA. Si sa poco del vero ruolo di Bryan con gli ufologi 16 , perché i fascicoli<br />

sul suo lavoro all’agenzia rimangono ancora classificati, nel 2011.<br />

Alla metà degli anni Sessanta l’atteggiamento della CIA nei confronti degli UFO iniziò a<br />

cambiare. A partire dalla nascita del fenomeno, nel giugno del 1947, la CIA aveva<br />

mantenuto tre linee di pensiero sul fenomeno 17 : erano 1) aerei sperimentali; b) le<br />

farneticazioni di una mente paranoica; c) parte di una campagna di guerra psicologica<br />

condotta dall’Unione Sovietica per creare il panico tra la gente e instillare sfiducia nel<br />

governo. Ma nel 1966 una corrente interna alla CIA aggiunse una quarta ipotesi: forse gli<br />

UFO erano reali. Questo nuovo postulato nasceva dalla sorveglianza che la CIA 18 esercitava<br />

sull’Unione Sovietica, anch’essa nel bel mezzo di una rivoluzione riguardante gli UFO.<br />

Negli anni Quaranta e fino alla morte di Stalin nel 1953, gli analisti della CIA avevano<br />

trovato solo una menzione degli UFO nella stampa sovietica, in un editoriale pubblicato su<br />

un giornale moscovita nel 19<strong>51</strong>. Chrušcëv sembrava aver proseguito sulla stessa linea:<br />

nel periodo in cui rimase al potere, sulla stampa sovietica non comparve neppure una<br />

menzione del fenomeno. Ma stranamente, nel 1964, dopo la destituzione di Chrušcëv e la<br />

sua sostituzione con Leonid Brežnev, iniziarono a uscire articoli sugli UFO. Nel 1966<br />

Novosti, l’agenzia di stampa ufficiale russa, pubblicò una serie di articoli sull’argomento.<br />

Due scienziati di spicco dell’istituto aeronautico di Mosca non solo scrivevano di UFO ma<br />

erano in disaccordo, cosa alquanto insolita per gli intellettuali sovietici. Uno di loro, Villen<br />

Lyustiberg 19 , sosteneva che gli UFO erano una creazione del governo americano e che «gli<br />

Stati Uniti li pubblicizzano per distogliere la gente dai suoi fallimenti e dalla sua politica<br />

aggressiva» 20 . L’altro, il dottor Felix Zigel, era arrivato a credere 21 che esistessero<br />

davvero.<br />

Memorandum declassificati della CIA scritti in questo periodo rivelano il timore che se<br />

scienziati e astronomi sovietici di spicco erano convinti che gli UFO fossero reali, forse,<br />

dopotutto, i dischi volanti esistevano sul serio. Nel 1968 l’agenzia apprese che un<br />

generale dell’aeronautica sovietica, Porfiri Stoljarov, era stato nominato presidente di una<br />

nuova «sezione UFO della commissione dei cosmonauti dell’URSS» 22 a Mosca. Dopo aver<br />

saputo che la Russia aveva una commissione ufficiale sugli UFO, la CIA cominciò a mettere<br />

insieme in tutta fretta una propria scienza sull’argomento. Per la prima volta nella sua<br />

storia, l’agenzia americana di spionaggio ammise internamente che gli UFO potevano<br />

davvero venire dallo spazio. «L’ipotesi che gli UFO provengano da altri mondi 23 , che siano<br />

velivoli provenienti da altri pianeti, merita di essere presa in seria considerazione» si<br />

legge in un memorandum segreto che circolò tra gli analisti della CIA.<br />

Era stata l’originaria copertura del fenomeno – l’incidente del disco volante dei fratelli


Horten a Roswell – a creare quel mostro a più teste? Oppure era stato il segreto<br />

mantenuto attorno alla faccenda in seguito, quando si era continuato a lavorarci<br />

clandestinamente nel deserto del Nevada, nei pressi dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, a provocare una<br />

paranoia endemica tra gli analisti della CIA tale da indurli a credere che stessero<br />

mentendo anche a loro? E se l’oscuro segreto tenuto nascosto dal governo fosse che gli<br />

UFO provenivano davvero dallo spazio? Oppure un gruppo ristretto a conoscenza dei fatti<br />

alimentava esattamente questo genere di ipotesi tra gli analisti, perché era meglio che<br />

gli uomini andassero a caccia di fantasmi piuttosto che si mettessero sulle tracce del vero<br />

enigma rappresentato dall’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>?


Capitolo 13<br />

PER LE COSE SPORCHE E PERICOLOSE<br />

CI VOGLIONO I DRONI 1<br />

A partire dal 1963 la preparazione per le missioni Oxcart implicò durissime operazioni di<br />

addestramento alla sopravvivenza, molte delle quali si tenevano nelle zone desertiche<br />

intorno all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Per Ken Collins, la simulazione di un lancio notturno da un aereo<br />

precipitato nel deserto si trasformò un viaggio all’inferno. Collins era consapevole del<br />

genere 2 di sfida che lo aspettava mentre si trovava sull’asfalto al Groom <strong>La</strong>ke e guardava<br />

il sole scomparire dietro le montagne a ovest. Nel giro di pochi minuti sarebbe stato buio<br />

e la temperatura si sarebbe abbassata di parecchi gradi. Collins si arrampicò su un C-47 e<br />

notò che i finestrini erano oscurati. Né lui né gli altri piloti di Oxcart che partecipavano<br />

all’operazione avevano la minima idea di dove fossero diretti. «Salimmo a bordo e<br />

volammo per un po’» ricorda «finché atterrammo in un altro aeroporto nel deserto, in<br />

qualche posto remoto.» Gli uomini furono fatti scendere dall’aereo e presero posto su un<br />

pullmino, anche questo con i finestrini oscurati. Viaggiarono per chilometri, Collins pensò<br />

che stessero girando in tondo, e poi le porte del pullmino si aprirono rivelando quella che<br />

sembrava una zona desertica. «Ci dissero che eravamo in territorio nemico cinese. Di<br />

fuggire e sopravvivere meglio che potevamo. C’erano allarmi elettronici, filo spinato e<br />

cariche esplosive nel terreno.»<br />

Collins si mise a correre e si riparò sotto un cespuglio. Stava sdraiato a pancia in giù<br />

nel buio cercando di raccogliere le idee. Aveva già fatto una serie di prove di<br />

sopravvivenza durante l’addestramento Oxcart. Una volta lui e un altro pilota erano stati<br />

portati nelle Superstition Mountains in Arizona per un’esercitazione di sopravvivenza in<br />

montagna. «Quella volta avevamo pochissimo cibo, sacchi a pelo e una tenda minuscola.<br />

Camminammo e ci accampammo sulle montagne per cinque giorni. I primi tre furono<br />

piacevoli; ma la terza notte arrivò un fronte freddo portando pioggia gelata», rendendo le<br />

cose un po’ meno facili. Una seconda esercitazione aveva avuto luogo al Kings Canyon,<br />

nella Sierra Nevada. In quell’occasione Collins e un altro pilota erano stati costretti a<br />

vivere in mezzo alla neve per tre giorni; avevano scavato una buca e l’avevano rivestita<br />

di aghi di pino. <strong>La</strong> terza volta era stato portato in Florida, per una simulazione di<br />

sopravvivenza nella giungla 3 . «Mi lasciarono in una zona paludosa con un coltello e mi<br />

dissero che avrei dovuto cavarmela da solo per quattro giorni.» Collins ricorda<br />

chiaramente il cibo. «Avevo catturato delle tartarughe, ma era difficile aprirle, così la mia<br />

dieta furono i cuori di palma. Tagliavo la polpa dal centro del tronco. Era un cibo poco


nutriente, però bastava» dice. Ma la prova di sopravvivenza nel cuore del deserto all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> era un’altra faccenda. A differenza delle altre, in questo caso c’era anche la guerra<br />

psicologica da parte di finti nemici cinesi.<br />

Collins strisciò sul terreno nelle tenebre, cercando di evitare il filo spinato e soppesando<br />

la mossa successiva. Tirò fuori la bussola dal kit di sopravvivenza in modo da tracciare un<br />

percorso. «Strisciai lentamente in mezzo ai rovi, agli insetti e al fango per circa mezz’ora,<br />

quando all’improvviso urtai del filo spinato e feci scattare un allarme. Si accese un<br />

riflettore e dieci uomini cinesi in uniforme mi afferrarono e mi trascinarono verso una<br />

delle loro jeep.» Collins venne ammanettato e portato in auto a un altro veicolo, quindi fu<br />

condotto al cosiddetto quartier generale cinese per l’interrogatorio. Lo spogliarono e lo<br />

perquisirono. «Un medico esaminò tutti gli orifizi del mio corpo, dalla testa ai piedi…<br />

letteralmente», cosa che, secondo Collins, «serviva più a umiliarmi e a spezzare le mie<br />

difese morali che ad altro.» Nudo, fu condotto lungo un corridoio male illuminato e<br />

gettato in una cella di cemento in cui c’era solo un tavolaccio di legno. «Non avevo<br />

coperte, ero nudo e faceva un freddo terribile. Mi consegnarono un secchio che dovevo<br />

usare solo quando me lo dicevano loro.»<br />

Per giorni Collins fu sottoposto a torture simulate tra cui deprivazione del sonno,<br />

umiliazioni, escursioni termiche estreme e fame, sempre nudo, al freddo e sotto lo<br />

sguardo dei suoi carcerieri. Presto Collins cominciò ad avere le allucinazioni. Arrivava il<br />

momento dell’interrogatorio. Nudo, veniva condotto in una stanzetta da due guardie<br />

armate. Rimaneva in piedi di fronte agli aguzzini cinesi, che sedevano a una piccola<br />

scrivania. Quelli lo tormentavano con domande sul suo nome, sul grado e sul perché<br />

stesse spiando la Cina. Poi un giorno, invece di essere portato alla stanza degli<br />

interrogatori, gli dissero che era libero di andarsene.<br />

Ma il 1° novembre 1963 l’esperienza simulata vissuta da Collins succedesse davvero.<br />

Un pilota di U-2 della CIA di nome Yeh Changti 4 stava conducendo una missione di<br />

spionaggio sopra un’installazione nucleare in Cina quando venne abbattuto, preso<br />

prigioniero dal governo comunista e torturato. Yeh Changti faceva parte della 35 th Black<br />

Cat U-2 Squadron (35 a squadriglia U-2 Black Cat), un gruppo di piloti taiwanesi nazionalisti<br />

che conduceva missioni segrete di spionaggio per conto della CIA. Negli anni Sessanta i<br />

Black Cat eseguirono 5 quelle che si sarebbero dimostrate le missioni più letali dei<br />

cinquantacinque anni di storia dell’U-2, tutte partite da una base segreta denominata<br />

Taoyuan sull’isola di Taiwan. Quando nel 1998 la CIA declassificò la maggior parte del<br />

programma U-2, «non fu resa pubblica alcuna informazione su Yeh Changti 6 o i Black Cat»<br />

dice l’ex pilota Hsichun Hua. Nel 2011 il programma rimane interamente classificato.<br />

A differenza di quanto era successo con l’incidente di Gary Powers, la stampa<br />

americana rimase all’oscuro di queste missioni. Per la CIA ottenere informazioni sulle<br />

installazioni nucleari cinesi 7 era un’assoluta priorità di sicurezza nazionale. Il giorno in cui<br />

Yeh Changti fu abbattuto stava tornando da una missione di nove ore sulla terraferma,<br />

quando un missile terra-aria guidato agganciò il suo U-2. Il colonnello Slater era in<br />

collegamento radio con Yeh Changti proprio nel momento in cui era successo. «Gli stavo<br />

parlando quando lo sentii dire: “Sistema 12 attivo!”. Non udimmo altro.» Il missile colpì<br />

l’aereo e gli strappò via l’ala destra. Yeh Changti si eiettò dall’U-2 e il suo corpo fu colpito


in cinquantanove punti dai frammenti del missile. Arrivò a terra con il paracadute e<br />

svenne. Quando si svegliò era in un’installazione militare, “ospite” di Mao Zedong.<br />

Non era un’esercitazione. Yeh Changti fu torturato e tenuto prigioniero 8 per diciannove<br />

anni finché nel 1982 fu rilasciato <strong>senza</strong> chiasso. Vive fuori Houston, in Texas, da allora. <strong>La</strong><br />

CIA non sapeva che Yeh Changti era sopravvissuto all’abbattimento e a quanto pare non<br />

fece alcun tentativo di localizzarlo. Nel 1965 fu abbattuto un altro pilota Black Cat, il<br />

maggiore Jack Chang 9 , che fu tenuto prigioniero insieme a Yeh Changti. Dopo il rilascio, i<br />

due piloti raccontarono la loro terribile storia al compagno Hsichun Hua, che nel<br />

frattempo era diventato generale dell’aeronautica taiwanese. <strong>La</strong> CIA non ha dato alcuna<br />

medaglia né a Yeh Changti né al maggiore Jack Chang. L’abbattimento dei piloti Black<br />

Cat ebbe tuttavia importanti conseguenze su quello che l’agenzia e l’aeronautica militare<br />

avrebbero fatto in seguito all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. All’improvviso la messa a punto dei droni era<br />

diventata una priorità di sicurezza nazionale, dal momento che questi aerei <strong>senza</strong> pilota<br />

potevano essere guidati in remoto.<br />

I droni erano in grado di ottenere gli stessi risultati degli U-2 in termini di intelligence<br />

fotografica, ma <strong>senza</strong> il rischio che un pilota venisse catturato o ucciso. Idealmente, i<br />

droni potevano eseguire missioni che ricadevano in tre diverse categorie: monotone,<br />

sporche e pericolose 10 . <strong>La</strong> categoria “monotone” comprendeva lunghi voli durante i quali i<br />

piloti si stancavano per raggiungere remote aree del pianeta. “Sporche” erano le<br />

situazioni che avrebbero potuto implicare la pre<strong>senza</strong> di armi nucleari o biologiche.<br />

“Pericolose” erano le missioni su territori vietati quali l’Unione Sovietica, la Corea del Nord<br />

e la Cina, dove gli abbattimenti erano un rischio politico. <strong>La</strong> Lockheed si era assicurata un<br />

contratto per sviluppare velivoli di questo tipo alla fine del 1962. Dopo l’incidente di Yeh<br />

Changti, il programma ricevette un impulso decisivo. I test di volo del drone (nome in<br />

codice Tagboard) sarebbero stati eseguiti all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e, in modo alquanto ironico, la<br />

messa a punto dell’aereo <strong>senza</strong> pilota fu uno dei primi compiti assegnati al colonnello<br />

Slater dopo che ebbe lasciato Taoyuan e fu mandato alla base.<br />

«Il D-21 della Lockheed non era un drone qualunque, era il primo drone invisibile Mach<br />

3 al mondo» dice Ed Lovick, che lavorò al progetto. «L’idea era radicale perché avrebbe<br />

volato altrettanto veloce, se non più veloce, dell’A-12. <strong>La</strong> propulsione era data da uno<br />

statoreattore, il che significava che sfruttava un fenomeno di autocompressione dell’aria.<br />

Il drone doveva essere lanciato da un altro velivolo che si muoveva già più veloce del<br />

suono.» L’aereo-vettore A-12 fu denominato M-21 (dove “M” stava per mother, madre) e<br />

fu modificato in modo che ci fosse un secondo posto per l’operatore addetto al lancio del<br />

drone. Il drone fu battezzato D-21, dove “D” stava per daughter, figlia. Ma lanciare un<br />

aereo da un altro aereo a una velocità di 3.700 chilometri orari presentava i suoi<br />

problemi, primo fra tutti evitare che i due aerei si scontrassero tra loro durante<br />

l’operazione. Un’altra cosa che andava messa a punto con cura era il recupero del drone.<br />

«Il drone, progettato per sorvolare la Cina, avrebbe percorso la sua rotta scattando<br />

fotografie di ricognizione e poi si sarebbe diretto in mare aperto 11 .»L’idea era di far sì che<br />

il drone paracadutasse l’apparecchiatura, che comprendeva la macchina fotografica, la<br />

pellicola e i sensori radio, in modo che un secondo aereo potesse recuperarla. Poi il drone<br />

sarebbe precipitato nell’oceano e si sarebbe inabissato.


Collaudare questo procedimento all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> si tradusse nella perdita di un sacco di<br />

droni. Il colonnello Slater dirigeva le missioni di prova che si tenevano in quella che era<br />

chiamata area per le operazioni speciali, o Yuletide 12 , a nord dello spazio aereo del<br />

Groom <strong>La</strong>ke. Il colonnello Slater e Frank Murray seguivano l’M-21/D-21 a bordo di caccia e<br />

osservavano i lanci subsonici del drone. «Venivano lanciati e poi scomparivano» ricorda il<br />

colonnello Slater. L’elicotterista Charlie Trapp veniva mandato a cercarli insieme a una<br />

squadra di “pararescue”, paracadutisti specializzati in operazioni di ricerca e soccorso.<br />

«Anzitutto localizzavamo i droni persi. Poi calavo i pararescue con le corde. Loro<br />

assicuravano l’aereo con dei ganci da carico e portavamo fuori i droni dalla montagna in<br />

quel modo» spiega Trapp. «Delle volte era un casino, soprattutto se il drone era finito sul<br />

crinale di una montagna. Ci furono volte in cui i pararescue rischiarono di precipitare nei<br />

burroni 13 .» Quando il colonnello Slater ritenne che l’Oxcart e il drone fossero pronti per<br />

una prova a Mach 3, giunse il momento di aggiungere l’addestramento di sopravvivenza<br />

nell’oceano. Per ragioni di sicurezza pubblica, il piano era di lanciare il drone al largo della<br />

costa della California nel marzo del 1966 e per preparare i piloti il colonnello Slater li<br />

faceva nuotare tutti i giorni nella piscina della base, prima in costume e poi con addosso<br />

le tute pressurizzate. «Sollevavamo i piloti sopra l’acqua con un paranco e poi li<br />

lasciavamo cadere nella piscina. <strong>La</strong> prima volta la tuta si gonfiò non appena toccò<br />

l’acqua, sicché fu necessario modificarla» racconta Slater. Quando furono pronti per un<br />

vero ammaraggio in un grande specchio d’acqua, l’ufficiale della CIA di rango più elevato<br />

della base, Werner Weiss, fece in modo che la guardia costiera isolasse un’estesa<br />

porzione del lago Mead, il più grande bacino degli Stati Uniti, che si trova a est di <strong>La</strong>s<br />

Vegas.<br />

Slater ricorda bene l’addestramento dei piloti. «Eravamo a bordo di un piccolo<br />

motoscafo e avevamo previsto di sollevare i piloti con un paracadute ascensionale e poi<br />

di farli cadere in acqua con indosso la tuta pressurizzata. Il primo fu [il pilota dell’agenzia]<br />

Vojvodich. Le cose andarono lisce. Quando toccò a [Jack] <strong>La</strong>yton, si era alzato il vento.<br />

Quando <strong>La</strong>yton cadde in acqua, il motoscafo iniziò a trascinarlo e il paracadute si riempì<br />

d’acqua facendolo affondare. Urlai: “Fermi!” e dissi: “Perderemo qualcuno in questo<br />

modo!”.»<br />

Erano parole profetiche. <strong>La</strong> notte del 30 luglio 1966 la 1.129 th Special Activities<br />

Squadron al Groom <strong>La</strong>ke si preparò per eseguire il primo lancio ufficiale notturno del<br />

drone al largo della costa della California. Sulla pista dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, il capo collaudatore<br />

della Lockheed, Bill Park, stava per chiudere il tettuccio dell’Oxcart M-21 quando si<br />

avvicinò il colonnello Slater. «Gli dissi: “Bill, è una missione pericolosa”» ricorda Slater.<br />

«C’erano solo pochi centimetri fra il drone e la coda dell’A-12. Park lo sapeva. Lo<br />

sapevamo tutti. Dietro c’era Ray Torick 14 ; anche lui lo sapeva. Il tettuccio si chiuse e io<br />

salii a bordo di un altro aereo supersonico con cui avremmo seguito il test.» I due aerei<br />

volarono verso ovest finché non furono a centocinquanta miglia dalla costa della<br />

California. L’M-21 pilotato da Park si preparò al lancio del D-21. Una macchina fotografica<br />

a bordo del velivolo di Slater avrebbe ripreso il lancio con una pellicola da 16 millimetri.<br />

Sulla superficie buia dell’oceano era in attesa una nave per il recupero. Park avviò la<br />

procedura e lanciò l’M-21. Ma durante il distacco, il drone puntò il muso in basso invece


che in alto e spezzò in due l’aereo-vettore, anche se miracolosamente non colpì né Park<br />

né Torick, intrappolati nell’aereo.<br />

L’aereo precipitò per circa tremila metri prima che i due uomini riuscissero a eiettarsi.<br />

Vivi e fuori dal velivolo che precipitava bruciando, i due uomini fluttuarono attaccati ai<br />

loro paracadute, <strong>senza</strong> essere colpiti dai rottami che cadevano attorno a loro. Entrambi<br />

ammararono nell’acqua <strong>senza</strong> danni. Ma accadde una tragedia inaspettata: «<strong>La</strong> nave di<br />

recupero localizzò Bill Park, che stava bene. Ma quando raggiunsero Ray Torick, era<br />

rimasto intrappolato tra le funi del paracadute ed era annegato».<br />

Kelly Johnson ne fu sconvolto. «Sull’onda dell’emozione, cancellò impulsivamente 15<br />

l’intero progetto e restituì all’aeronautica e alla CIA i fondi ricevuti per la progettazione del<br />

drone» ha ricordato il vice di Johnson, Ben Rich, nelle sue memorie sugli Skunk Works<br />

pubblicate nel 1994. Rich chiese a Johnson il motivo di quella decisione. «Non voglio<br />

rischiare altri piloti né Blackbird. Non ne ho» rispose Johnson. Ma l’aeronautica non<br />

avrebbe rinunciato tanto in fretta al progetto e mise in piedi un altro programma per<br />

lanciare il drone dalla pancia di un B-52, che faceva capo allo Strategic Air Command. Il<br />

vicesegretario alla Difesa, Cyrus Vance, disse a Kelly Johnson: «Il progetto deve<br />

funzionare perché il governo non vuole che si ripeta mai più un incidente come quello di<br />

Gary Powers 16 . Tutti i voli di ricognizione su territori vietati saranno compiuti con satelliti<br />

o con droni».<br />

Tre anni dopo, nel 1969, il D-21 eseguì finalmente la sua prima missione sulla Cina,<br />

lanciato da un B-52. Il drone penetrò in Cina e sorvolò l’installazione nucleare di Lop Nur,<br />

ma poi andò fuori rotta dirigendosi sulla Siberia sovietica, finì il carburante e si schiantò.<br />

Si ipotizzò che il sistema di guida avesse smesso di funzionare sulla via del ritorno, e del<br />

drone non si seppe più niente. Almeno fino a vent’anni dopo. All’inizio degli anni Novanta<br />

un agente della CIA si presentò nell’ufficio di Ben Rich agli Skunk Works con un misterioso<br />

regalo per lui. «Lo riconosci, Ben?» 17 gli chiese porgendogli un pezzo di titanio. «Certo»<br />

rispose Rich. Quello che Rich teneva in mano era un pezzo del materiale composito<br />

rivestito della sostanza radar assorbente che Ed Lovick e la sua squadra avevano messo a<br />

punto per la Lockheed quarant’anni prima. Quando gli fu chiesto dove l’avesse preso,<br />

l’uomo della CIA spiegò che gli era stato regalato da un agente del KGB a Mosca. L’agente<br />

l’aveva avuto da un pastore siberiano il quale l’aveva trovato nella tundra mentre portava<br />

le pecore al pascolo. Secondo Rich «i russi erano convinti che quel pezzo obsoleto fosse<br />

l’ultima tecnologia in fatto di invisibilità. In un certo senso, era un bellissimo tributo al<br />

nostro lavoro sul Tagboard».<br />

L’uso dei droni in guerra risaliva al secondo conflitto mondiale. Joseph Kennedy Jr, il<br />

fratello maggiore del presidente, era morto nel corso di un’operazione segreta della<br />

marina americana contro i tedeschi. Denominata operazione Aphrodite 18 , aveva per<br />

obiettivo una base missilistica nazista pesantemente fortificata. Il piano prevedeva che<br />

Kennedy pilotasse un bombardiere B-24 modificato decollando dall’Inghilterra e<br />

sorvolando la Manica, mentre l’equipaggio avrebbe armato novemila chili di esplosivo<br />

stivati nella pancia dell’aereo. Una volta innescate le bombe, il pilota e l’equipaggio<br />

avrebbero dovuto lanciarsi. Subito dopo, un aereo che volava in appoggio avrebbe preso


il controllo del bombardiere guidandolo in remoto. Nel naso del bombardiere c’erano due<br />

telecamere che servivano a guidare il B-24 sul bersaglio.<br />

L’esplosivo utilizzato si chiamava Torpex, un composto chimico relativamente<br />

innovativo ed estremamente volatile. Alcuni istanti prima che Kennedy e l’equipaggio si<br />

paracadutassero, il Torpex prese fuoco e l’aereo esplose in volo, uccidendo gli uomini a<br />

bordo. <strong>La</strong> marina mise fine al progetto, ma l’idea di aerei <strong>senza</strong> piloti attrasse l’attenzione<br />

del generale dell’esercito Henry “Hap” Arnold. Il giorno della vittoria sul Giappone, il<br />

generale fece un’affermazione audace: «Forse la prossima guerra sarà combattuta da<br />

aerei <strong>senza</strong> equipaggio». Aveva sbagliato di quattro guerre, ma per il resto aveva<br />

ragione.<br />

L’idea che sta dietro l’impiego di aerei <strong>senza</strong> pilota durante un conflitto è semplice –<br />

salvare vite umane –, ma la prima applicazione del drone fu fatta per divertimento.<br />

Nikola Tesla aveva messo a punto la comunicazione <strong>senza</strong> fili nel 1893, anni prima che gli<br />

altri scienziati colleghi prendessero persino in considerazione la possibilità di fare una<br />

cosa simile. All’Electrical Exhibition del Madison Square Garden nel 1898, Tesla diede una<br />

dimostrazione in cui pilotò una barca di acciaio lunga dodici metri usando un controllo<br />

remoto via radio. Gli spettatori rimasero sbalorditi. <strong>La</strong> barca <strong>senza</strong> pilota di Tesla 19<br />

sembrò a molti più un’esibizione di magia che non la decisiva scoperta scientifica che<br />

invece era. Visionario come sempre, Tesla immaginò anche un’applicazione militare per la<br />

sua invenzione. «Chiamai un funzionario di Washington con l’intenzione di offrirgli<br />

l’informazione per il governo e lui scoppiò a ridere mentre io gli raccontavo che cos’ero<br />

riuscito a fare» scrisse Tesla. Quella reazione era comprensibile: all’epoca l’esercito usava<br />

ancora i cavalli. Anche l’amico Mark Twain intravide un futuro militare per il controllo<br />

remoto e si offrì di fare da agente a Tesla per promuovere il «terrore distruttivo che hai<br />

inventato». Twain suggerì che i tedeschi avrebbero potuto essere dei buoni clienti, visto<br />

che in quegli anni la Germania era il paese scientificamente più avanzato del mondo. Alla<br />

fine, nessun governo acquistò l’invenzione di Tesla né pagò per sfruttare i suoi brevetti. Il<br />

grande inventore morì <strong>senza</strong> un soldo in una camera d’albergo a New York nel 1943; a<br />

quel punto i tedeschi avevano ormai sviluppato per conto loro il controllo remoto e<br />

stavano seminando il terrore tra le forze di terra di tutta Europa. Il primo robot bellico<br />

tedesco era un piccolo carrarmato filoguidato chiamato Goliath. Goliath trasportava<br />

sessanta chilogrammi di esplosivo 20 e i nazisti lo mandavano contro i carrarmati e nei<br />

bunker nemici guidandolo a distanza. Furono costruiti ottomila Goliath che i nazisti<br />

usarono in battaglia, soprattutto sul Fronte Orientale, dove i soldati russi sopravanzavano<br />

numericamente i tedeschi. Data l’inferiorità numerica, i tedeschi dovevano risparmiare<br />

quanti più uomini possibile.<br />

In America l’aeronautica mise a punto il suo primo drone ufficiale dopo la guerra per<br />

impiegarlo nel corso dell’operazione Crossroads all’atollo di Bikini, nel 1946. I droni erano<br />

pilotati in remoto da un aereo di appoggio denominato Marmalade 21 che volava nelle<br />

vicinanze e venivano mandati nel fungo atomico. Per raccogliere campioni radioattivi, i<br />

droni erano stati equipaggiati con sacchetti per la raccolta dell’aria e filtri di carta.<br />

Controllare i droni in quelle condizioni era difficile: secondo dei memorandum<br />

declassificati relativi alle prestazioni di volo dei droni, all’interno del fungo atomico un


velivolo denominato Fox fu scagliato «duecento metri più in alto 22 rispetto alla sua rotta».<br />

«I portelloni delle bombe si deformarono, l’intero rivestimento interno dell’aereo bruciò e<br />

gli sportelli d’ispezione e le uscite d’emergenza furono strappati via.»<br />

Durante la seconda serie di test atomici, denominata operazione Sandstone 23 , che fu<br />

eseguito nell’aprile del 1948, i droni furono usati di nuovo per un compito ritenuto troppo<br />

pericoloso per gli uomini. Nel corso di un’esplosione da 18 chilotoni chiamata Zebra,<br />

tuttavia, un aereo con il pilota finì accidentalmente nel fungo atomico 24 e in seguito<br />

l’aeronautica decise che, poiché il pilota e l’equipaggio non avevano riportato «alcuna<br />

conseguenza negativa», al posto dei droni si sarebbero usati aerei pilotati da uomini 25 .<br />

Non è mai stato fatto uno studio accurato sulle conseguenze dell’esposizione a dosi tanto<br />

massicce di radiazioni durante l’esplosione di Zebra, né nel corso delle altre centinaia di<br />

test atomici. <strong>La</strong> maggior parte dei documenti relativi alla quantità di radiazioni cui furono<br />

esposti i piloti in quegli anni e a coloro che morirono di malattie legate alla radioattività<br />

sono probabilmente andati distrutti o persi. Ma quando il pilota dell’aeronautica militare<br />

finì per sbaglio nel fungo atomico di Zebra, l’incidente «diede avvio a una catena di eventi<br />

che ebbe come conseguenza l’uso di aerei con uomini a bordo per raccogliere i<br />

campioni».<br />

«Gli aerei pilotati da uomini erano semplicemente più efficienti» scrisse il colonnello<br />

Paul H. Fackler in uno studio storico declassificato nel 1986 riguardante la raccolta di<br />

campioni dai funghi atomici fatta per il comando dell’aeronautica. In qualità di addetto<br />

ufficiale alla sicurezza radioattiva, Fackler era in una posizione chiave. Anche il collega di<br />

Fackler, il colonnello Cody, si schierò per gli aerei con il pilota contro i droni. Cody<br />

sostenne che i campioni raccolti dai droni erano ottenuti a casaccio e «bisognava<br />

accontentarsi». Invece un pilota umano avrebbe potuto manovrare l’aereo in modo da<br />

«ottenere campioni delle parti più interessanti del fungo atomico». Qui la scelta delle<br />

parole nasconde un insidia: “più interessanti” era un eufemismo per “più radioattive”. Gli<br />

ufficiali dell’aeronautica decisero che per i test futuri la raccolta dei campioni sarebbe<br />

stata fatta sia da aerei con pilota sia da droni.<br />

Ci sarebbe stato bisogno di entrambi i tipi di aereo per un imminente test segretissimo<br />

previsto sul Pacifico nel 19<strong>51</strong>. L’operazione Greenhouse coinvolgeva un nuovo genere di<br />

arma nucleare, chiamata come “superbomba”. Si trattava di un ordigno termonucleare,<br />

conosciuto anche come bomba all’idrogeno, il cui nucleo avrebbe liberato la stessa<br />

energia sviluppata dal centro del Sole. Gli scienziati di Los Alamos spiegarono agli esperti<br />

di armi che il potere distruttivo di quella nuova tecnologia, chiamata fusione nucleare, era<br />

totalmente ignoto. <strong>La</strong> fusione prevede l’esplosione di una bomba nucleare all’interno di<br />

un’altra bomba nucleare, e gli scienziati in privato espressero il timore che potesse<br />

incendiarsi tutta l’atmosfera terrestre 26 . A quel punto la comunità dei fisici si divise tra<br />

coloro che volevano comunque andare avanti e coloro che invece sostenevano la<br />

necessità di fermarsi. <strong>La</strong> spinta alla creazione della bomba H era capeggiata dall’indomito<br />

dottor Edward Teller e appoggiata dagli esperti di armi del dipartimento della Difesa.<br />

L’opposizione era guidata da Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica e adesso<br />

rivale di Teller. Oppenheimer, il quale era convinto che sviluppare un’arma in grado di<br />

distruggere il mondo fosse immorale, si sarebbe visto togliere l’autorizzazione di sicurezza


a causa della sua presa di posizione. Secondo Al O’Donnell, l’ingegnere esperto in<br />

armamenti della EG&G che cablò molte delle superbombe di Teller nelle isole Marshall, ciò<br />

che era successo a Oppenheimer mandava un messaggio forte 27 a tutti quelli che erano<br />

coinvolti nel progetto: «Se vuoi tenerti il lavoro, non opporti alle decisioni» sulla base di<br />

principi morali. Alla fine, il partito di Teller vinse, e la prima bomba termonucleare del<br />

mondo andò avanti come previsto.<br />

I droni servivano per fare misurazioni dello spostamento d’aria e delle correnti<br />

all’interno dei funghi termonucleari 28 , e per raccogliere campioni dei frammenti<br />

radioattivi. Durante la serie di test Greenhouse, che non incendiò il pianeta, il primo<br />

drone andò fuori controllo e si schiantò in mare ancor prima di aver raggiunto il gambo<br />

del fungo atomico. Altre due missioni furono cancellate perché gli aerei non rispondevano<br />

ai comandi e un quarto velivolo riportò danni così gravi a causa dell’onda d’urto che<br />

precipitò sull’isola deserta di Bogallua 29 , dove si incendiò ed esplose. Al termine<br />

dell’operazione Greenhouse, l’aeronautica giunse definitivamente alla conclusione che i<br />

droni erano inaffidabili. «In seguito all’operazione Greenhouse, l’aeronautica militare e<br />

l’Atomic Energy Commission guardarono con più favore agli aerei con pilota per<br />

raccogliere campioni» scrisse nel 1963 uno storico della Defense Nuclear Agency.<br />

«Greenhouse fu l’ultima serie di test atomici nei quali furono usati droni a questo scopo.»<br />

Di conseguenza, quando si trattò di far esplodere il primo ordigno termonucleare in scala<br />

reale del mondo – una bomba dalla mostruosa potenza di 10,4 megatoni denominata in<br />

codice Mike – nella successiva serie di test dell’autunno 1952, l’operazione Ivy, si decise<br />

che sei piloti umani, tutti volontari, avrebbero volato dritto nel cuore del fungo<br />

radioattivo. A un altro gruppo di piloti fu assegnato il compito di dirigersi verso i margini<br />

più esterni delle zone in cui era previsto il fallout. Di questo gruppo faceva parte Hervey<br />

Stockman 30 il quale, quattro anni dopo, sarebbe stato il primo pilota della CIA a sorvolare<br />

l’Unione Sovietica a bordo di un U-2.<br />

In previsione delle missioni di raccolta di campioni della bomba Mike, i piloti fecero<br />

pratica all’aeroporto di Indian Springs, una cinquantina di chilometri a sud dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Gli uomini, tra cui Hervey Stockman, compirono missioni di volo 31 con le bombe nucleari<br />

fatte esplodere al Nevada Test Site per l’operazione Tumbler-Snapper della primavera del<br />

1952. «Fino a quel momento» spiega Stockman «gli scienziati avevano messo delle<br />

scimmie nelle cabine di pilotaggio 32 di droni controllati in remoto e poi li avevano fatti<br />

volare attraverso i funghi atomici. Poi iniziarono a interessarsi degli effetti delle radiazioni<br />

sugli esseri umani e si resero conto che, con le dovute cautele, avrebbero potuto usare<br />

degli uomini per quel genere di missioni.»<br />

L’aeronautica fece molti sforzi per cambiare la percezione che i piloti avevano di sé<br />

come cavie, almeno per la documentazione storica. Secondo una storia del programma<br />

destinato a raccogliere campioni dai funghi atomici, declassificata nel 1985, quando<br />

Stockman e i suoi colleghi partirono da Indian Springs diretti nelle Marshall per eseguire<br />

missioni riguardanti i funghi atomici delle bombe termonucleari, gli uomini avevano<br />

accettato «di star facendo qualcosa di utile […] non di fungere da cavie 33 com’erano<br />

convinti quando gli era stato chiesto per la prima volta di raccogliere i campioni».


Stockman la pensa in un altro modo: «In quei giorni 34 , non riflettevo granché sulla<br />

questione morale. Ero giovane. Veder esplodere quegli ordigni è scioccante. Ero molto<br />

impressionato» ricorda. «Le [bombe atomiche] fatte detonare al poligono in Nevada<br />

erano un’inezia paragonate a quei mostri nel Pacifico. Erano potenza bruta. Quando<br />

esplodevano attraversavano l’atmosfera della Terra e puntavano dritte nello spazio.»<br />

Dopo essere finalmente arrivati nel Pacifico, i piloti eseguirono «voli per familiarizzarsi<br />

e ripassare le procedure» nei giorni che precedettero il test di Mike. Ma niente avrebbe<br />

potuto preparare gli uomini alla realtà di un’esplosione termonucleare. Il collega di<br />

Stockman Jimmy P. Robinson era uno dei sei piloti 35 che si erano “offerti volontari” per<br />

attraversare il fungo atomico di Mike. Dal momento che la bomba aveva le dimensioni di<br />

un hangar, non era possibile definirla un’arma. Era così grande che fu costruita a partire<br />

dal suolo su un’isola, nella parte settentrionale dell’atollo Elugelab. Dato lo straordinario<br />

potenziale della bomba termonucleare, è stupefacente che poco dopo aver attraversato il<br />

gambo del fungo a bordo del suo F-84G, Robinson sia stato in grado di comunicare<br />

lucidamente via radio con il suo comandante, che si trovava a 40 chilometri di distanza,<br />

su Eniwetok. «<strong>La</strong> luce era rossa, come all’interno di una fornace» disse Robinson secondo<br />

la documentazione. Quindi descrisse come gli indicatori dei suoi strumenti radio stessero<br />

girando impazziti, «come la lancetta dei secondi di un orologio». Dopo essere passato nel<br />

fungo una seconda volta, Robinson riferì che il suo «aereo era andato in stallo e in vite».<br />

Il pilota automatico si disinserì e la radio smise di funzionare, ma il coraggioso pilota<br />

continuò a volare secondo le istruzioni. Girò in cerchio e poi attraversò il gambo del fungo<br />

e la parte superiore della nube, per circa quattro ore. Solo quando fu il momento di<br />

rifornirsi, Robinson si rese conto che la pulsazione elettromagnetica della bomba<br />

termonucleare aveva mandato in avaria il suo radioricevitore, il che significava che gli era<br />

impossibile localizzare l’aerocisterna.<br />

Robinson si mise in contatto radio con la torre di controllo su Eniwetok perché lo<br />

aiutassero. «Circa 155 chilometri a nord dell’isola, [Robinson] riferì di aver captato un<br />

segnale su Eniwetok» secondo i documenti ufficiali declassificati nel 1986, da dove il<br />

nome di Robinson è stato cancellato. A quel punto gli rimanevano solo 300 litri di<br />

carburante e ci si mise il brutto tempo: «Scrosci di pioggia gli bloccavano la visuale».<br />

L’indicatore segnò che il carburante era finito e il motore si spense. «Quando si trovava a<br />

3.000 metri di quota, la torre di Enitowek pensò che sarebbe potuto atterrare, aveva<br />

l’isola in vista» scrisse un investigatore dell’aeronautica assegnato al caso. Ma non poteva<br />

planare perché il suo aereo era rivestito di piombo per proteggerlo dalle radiazioni. A<br />

1.500 metri di quota Robinson riferì che non ce l’avrebbe fatta e che si sarebbe lanciato.<br />

A meno di sei chilometri dalla pista di Eniwetok e a una quota compresa tra 150 e 250<br />

metri l’aereo di Robinson si capovolse e precipitò in mare. «Circa un minuto dopo [un]<br />

elicottero era sul posto» scrisse l’investigatore. Ma era troppo tardi. L’elicotterista trovò<br />

solo «una chiazza d’olio, un guanto e diverse mappe». Il corpo di Robinson e il suo aereo<br />

erano colati a picco come una pietra. Il corpo non fu mai recuperato e la sua famiglia<br />

avrebbe saputo com’era morto solo nel 2008, dopo che l’aeronautica militare si decise<br />

infine a rispondere alle innumerevoli richieste fatte sulla base del Freedom of Information<br />

Act.


All’isola Eugelab la polvere si stava posando dopo che l’immensa bomba Mike era<br />

esplosa liberando l’indescrivibile potenzialità dei suoi 10,4 megatoni, circa il doppio del<br />

previsto. Eugelab non esisteva più. <strong>La</strong> bomba termonucleare aveva vaporizzato l’intera<br />

terra emersa, spedendo nella stratosfera ottanta milioni di tonnellate di corallo<br />

polverizzato che poi sarebbero ricadute sotto forma di pioggia. Uno degli uomini che<br />

assistette al test indossando occhiali di protezione era Al O’Donnell, che aveva armato,<br />

cablato e fatto detonare la bomba dalla sala di controllo della USS Estes, ancorata 40<br />

miglia al largo dell’atollo. O’Donnel dice che assistere all’esplosione di Mike fu<br />

un’esperienza terrificante. «Era una di quelle davvero grosse» 36 afferma l’uomo che i<br />

colleghi avevano soprannominato Pistolero per aver armato 186 bombe nucleari. <strong>La</strong> palla<br />

di fuoco di Mike aveva un diametro di cinque chilometri; il diametro di quella sganciata su<br />

Hiroshima era stato di cinquecento metri 37 . Quando i piloti sorvolarono il punto zero dopo<br />

il test, rimasero scioccati nello scoprire che l’isola era scomparsa. Fotografie da satellite<br />

scattate nel 2011 mostrano un cratere nero pieno d’acqua dove un tempo sorgeva l’isola.


Capitolo 14<br />

DRAMMA NEL DESERTO 1<br />

Prima di diventare presidente degli Stati Uniti, Lyndon Baines Johnson amava guidare per<br />

la campagna del Texas sulla sua Lincoln Continental con la capote abbassata. Secondo il<br />

suo biografo Randall B. Woods, a Johnson piaceva anche tenere un fucile carico sul sedile<br />

accanto al suo, cosa che gli permetteva di raggiungerlo velocemente per sparare ai cervi.<br />

<strong>La</strong> sera del 4 ottobre 1957 l’allora senatore stava intrattenendo un gruppo di cacciatori<br />

entusiasti nella propria tenuta di campagna, nella sala da pranzo del capanno da caccia<br />

rivestito di vetri alto dodici metri e con l’aria condizionata 2 che chiamava la “torre dei<br />

cervi”. Tutt’attorno al capanno c’erano potenti riflettori che potevano essere accesi con un<br />

semplice interruttore accecando gli ignari cervi che si erano avvicinati a pascolare e che<br />

divenivano così facili prede.<br />

Era una giornata importante per Johnson, che avrebbe segnato una svolta destinata a<br />

influenzare il resto della sua vita. Il 4 ottobre 1957 i russi lanciarono lo Sputnik e il<br />

senatore diede avvio a una zelante crociata anticomunista. Quella stessa sera, dopo che<br />

gli ospiti se ne furono andati e lo staff di camerieri di colore ebbe messo a posto, Johnson<br />

si ritirò nella propria stanza da letto con una convinzione che aveva appena maturato.<br />

«Che io sia dannato 3 se dormirò mai sotto una luna rossa» disse alla moglie, <strong>La</strong>dy Bird.<br />

All’epoca Johnson non era un senatore qualunque, bensì il capo della maggioranza<br />

democratica, cosa che lo rendeva il legislatore più potente degli Stati Uniti. Poche ore<br />

dopo il lancio dello Sputnik, Johnson colse l’occasione e la sfruttò a fini politici. I russi<br />

erano una minaccia per l’esistenza dell’America, dichiarò: «Presto ci lanceranno 4 bombe<br />

dallo spazio come ragazzini che tirano pietre alle auto dai cavalcavia dell’autostrada».<br />

Per molti americani la reazione di Johnson era più facile da capire della risposta<br />

apparentemente sotto tono di Eisenhower. Prima di diventare presidente, Eisenhower<br />

aveva fatto il soldato e in qualità di ex comandante delle forze alleate in Europa nel corso<br />

della Seconda guerra mondiale aveva affrontato parecchie minacce letali. Aveva guidato<br />

lo sbarco in Normandia e comandato le forze alleate durante l’ultima grande offensiva<br />

tedesca, quella delle Ardenne, il che significava che lui e i suoi uomini avevano sparato a<br />

ben altro che a cervi accecati dai riflettori. Nell’ottobre del 1957 era convinto che il<br />

satellite russo da 85 chilogrammi non costituisse motivo di panico 5 o allarme.<br />

<strong>La</strong> nazione la pensava in modo completamente diverso. L’opinione prevalente tra gli<br />

americani era che lo Sputnik fosse un grave pericolo. Il satellite era percepito come una<br />

minaccia sinistra, un presagio di altri mali che sarebbero arrivati dal cielo, mentre il


quattro per cento della popolazione sosteneva di aver visto lo Sputnik con i proprio occhi.<br />

In realtà, spiega lo storico Matthew Brzezinski, «l’oggetto che avevano visto molto<br />

probabilmente 6 era l’involucro del razzo lungo 30 metri che [il progettista dello Sputnik<br />

Sergej] Korolëv aveva astutamente rivestito di prismi riflettenti e che seguiva a 960<br />

chilometri di distanza il satellite da 56 centimetri», il quale in realtà avrebbe potuto<br />

essere individuato solo da una persona munita di un potente telescopio. Forte<br />

dell’allarme popolare, il senatore Lyndon Johnson stigmatizzò l’inerzia di Eisenhower,<br />

chiedendo un’«indagine a tutto campo ed esaustiva» per capire come avessero fatto i<br />

russi a battere gli americani nella conquista dello spazio. In questo modo Johnson si<br />

costruì la fama di inflessibile oppositore del comunismo. Tuttavia, <strong>senza</strong> volerlo, divenne<br />

un sostenitore della difesa missilistica e dell’industria militare. Alla fine, ciò l’avrebbe<br />

costretto a essere uno degli uomini che promossero la guerra del Vietnam.<br />

Erano passati sei anni e un mese dallo Sputnik e Lyndon Johnson era presidente. Sette<br />

giorni dopo l’assassinio di Kennedy, Johnson sedeva nello studio ovale con il direttore<br />

della CIA 7 John McCone che lo metteva al corrente dell’Oxcart e dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Si<br />

entusiasmò per l’aereo spia dell’agenzia, ma non per le ragioni che ci si sarebbe potuti<br />

aspettare. Un particolare attrasse soprattutto l’attenzione del neopresidente: la velocità<br />

dell’aereo. All’epoca il mondo era ancora convinto che i russi detenessero il record di<br />

velocità aerea, ovvero 2.679 chilometri orari. Quando Johnson seppe che gli uomini<br />

dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> avevano battuto ripetutamente quel record, desiderò renderlo pubblico:<br />

quale modo migliore di iniziare un mandato che umiliare i sovietici?<br />

In realtà, svelare il programma segreto di spionaggio aereo più costoso mai avviato<br />

allo scopo di competere con i russi non era la cosa più logica da fare per la sicurezza<br />

nazionale. Parlare pubblicamente dell’Oxcart avrebbe compromesso la posizione di<br />

dominio tecnologico dell’agenzia nello spionaggio dai cieli. Oxcart era in grado di volare in<br />

«qualunque luogo del pianeta» spiegò McCone. Era quasi “invisibile” ai radar sovietici,<br />

con un’«area equivalente radar dell’ordine di 1/1000 di quella di [un] aereo normale». Se<br />

McCone avesse avuto una sfera di cristallo, avrebbe potuto dire al presidente che l’Oxcart<br />

era così avanzato per l’epoca che i suoi record di altitudine e di velocità sarebbero rimasti<br />

imbattuti 8 persino nel nuovo millennio. Nello studio erano presenti anche il segretario alla<br />

Difesa Robert McNamara, il segretario di stato Dean Rusk e il consigliere per la sicurezza<br />

nazionale McGeorge Bundy, le tre persone più potenti dell’amministrazione. Tutti e tre<br />

concordarono con il presidente Johnson che rivelare l’Oxcart era un’idea magnifica 9 .<br />

<strong>La</strong> ragione di quel desiderio di trasparenza erano i piani dell’aeronautica, che mirava a<br />

escludere la CIA dalla faccenda una volta per tutte. Se il programma fosse stato reso<br />

pubblico, non ci sarebbe più stato alcun bisogno del segreto. Prima dell’assassinio di<br />

Kennedy, l’aeronautica aveva tramato nell’ombra cercando un modo per mettere le mani<br />

sull’Oxcart 10 . Quattro mesi prima il comandante dell’aviazione, il generale Schriever,<br />

aveva scritto un memorandum a Eugene Zuckert, segretario all’Aeronautica, suggerendo<br />

che «un incidente durante i test di volo potrebbe costringere a una spiegazione pubblica».<br />

L a CIA aveva avuto fortuna con Ken Collins, diceva il generale Schriever, ma se fosse<br />

precipitato un altro aereo spia segreto dell’agenzia «sarebbe [stato] estremamente<br />

difficile riuscire a tenerlo nascosto». Il sottotesto era che forse esisteva un modo con cui


l’aeronautica poteva contribuire alla rivelazione del programma. C’era anche un’altra<br />

opzione, che implicava «il coinvolgimento del presidente». Poche settimane prima della<br />

morte di Kennedy, l’aeronautica era andata da lui proponendogli di rendere pubblico<br />

Oxcart; Kennedy aveva replicato di non far nulla. Adesso sembrava che il presidente<br />

Johnson sarebbe stato molto più facile da manipolare.<br />

Per opporsi alle richieste dell’aeronautica McCone tentò una strategia diversa 11 ,<br />

facendo leva sull’aspetto economico della faccenda. Disse al presidente che più della<br />

metà del budget di Oxcart era stato già speso per produrre quindici aerei. Rivelare il<br />

programma in quel momento era una pessima idea, sostenne, non solo in termini di<br />

sicurezza nazionale ma anche perché sarebbe stato un enorme spreco di denaro. Johnson<br />

era d’accordo però voleva comunque umiliare i russi, così decise per un piano<br />

leggermente diverso. Attraverso un velo di mezze verità, avrebbe rivelato che a battere il<br />

record di velocità era stato l’YF-12, la versione dell’Oxcart progettata per l’aeronautica.<br />

All’aereo sarebbe stata assegnata una falsa copertura, il nome di fantasia A-11 12 .<br />

Rispettando le preoccupazioni di McCone riguardo alla sicurezza nazionale, il vero A-12 –<br />

la sua velocità, la sua quota operativa e la quasi invisibilità al radar – sarebbe rimasto<br />

top-secret finché la CIA non avesse declassificato il programma Oxcart, nel 2007.<br />

Tre mesi dopo, il 29 febbraio 1964, Johnson tenne una conferenza stampa nella sala<br />

dei trattati internazionali al dipartimento di stato. «Il record mondiale di velocità di un<br />

aereo 13 , detenuto dai sovietici, è stato ripetutamente battuto in segreto dall’… A-11»<br />

dichiarò il presidente dal podio, elettrizzato per aver rifilato una stoccata ai russi. All’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong>, colta di sorpresa dalla richiesta di mettere in piedi uno spettacolino presidenziale, la<br />

1.129 th Special Activities Squadron si affrettò a mandare un aereo alla base di Edwards in<br />

California per un evento stampa organizzato immediatamente dopo il roboante annuncio<br />

del presidente. Due YF-12 appartenenti all’aeronautica e in quel momento testati all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> furono fatti decollare in tutta fretta dal Groom <strong>La</strong>ke e messi in un hangar speciale a<br />

Edwards. Le superfici in titanio degli aerei erano così calde che fecero scattare il sistema<br />

antincendio a pioggia, ingannato dall’elevatissima temperatura del metallo. Mentre la<br />

conferenza stampa aveva inizio, gli aerei erano ancora sgocciolanti 14 ; ma tanto nessuno<br />

se ne accorse. Al pari del presidente, i giornalisti erano elettrizzati dall’idea della velocità<br />

Mach 3. Molto più importante fu il significato dell’avvenimento per la CIA: la rivalità tra<br />

l’agenzia e l’aeronautica militare per il controllo dell’Oxcart non era mai stata tanto<br />

accesa.<br />

Mentre i due dipartimenti erano ai ferri corti e si affrontavano <strong>senza</strong> esclusione di colpi,<br />

il destino dell’Oxcart era appeso a un filo. Il segretario alla Difesa Robert McNamara riferì<br />

in tono sprezzante al direttore della CIA John McCone che dubitava che l’Oxcart sarebbe<br />

mai stato usato. E se per caso fosse successo, aggiunse, «probabilmente si dovrebbe fare<br />

all’insaputa del presidente» 15 , alludendo all’abbattimento di Gary Powers. Un presidente<br />

non avrebbe mai più potuto essere coinvolto in una missione di spionaggio aereo della<br />

CIA. John McCone ribatté che aveva «tutte le intenzioni di usare l’Oxcart e che aveva<br />

informato il presidente in tal senso». McNamara poteva anche aver vinto la battaglia<br />

spingendo Lyndon Johnson a rivelare parte del programma Oxcart, ma McCone gli stava


facendo sapere che il Pentagono non aveva ancora vinto la guerra.<br />

Un secondo scontro tra le due agenzie riguardo al futuro dell’Oxcart, e di conseguenza<br />

dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, ebbe per oggetto i progressi nell’ambito della tecnologia dei satelliti e dei<br />

droni. McNamara disse a McCone che quelle due tecnologie avrebbero decretato la fine<br />

dell’oneroso programma Oxcart dell’agenzia. Eppure entrambi sapevano che al momento<br />

l’Oxcart era in grado di fare cose che i satelliti non potevano fare, sotto due aspetti<br />

diversi ma ugualmente importanti. Nei sei anni trascorsi dal lancio dello Sputnik, i satelliti<br />

erano stati perfezionati e le loro immagini spia erano di buona qualità, anche se non<br />

eccellenti. Ma i satelliti avevano un limite intrinseco in quanto strumenti di spionaggio:<br />

passavano a intervalli fissi, il che significava l’esclusione del fattore sorpresa. Un satellite<br />

medio impiegava novanta minuti per orbitare attorno alla Terra e gli analisti del NORAD<br />

sapevano benissimo quando sarebbe passato su una determinata località. Il veicolo<br />

ironicamente denominato Oxcart era veloce e versatile, agile e flessibile, in grado di<br />

effettuare missioni che il nemico non avrebbe mai potuto prevedere. Ma soprattutto, in<br />

termini di intelligence fotografica, non c’era nulla in grado di competere con quello che<br />

l’Oxcart era in grado di far avere al presidente: fogli da 75 centimetri di dettagli<br />

fotografici ripresi da 27 chilometri d’altezza.<br />

Mentre McNamara e McCone si facevano la guerra, per il presidente incombeva<br />

un’elezione. Nikita Chrušcëv, l’eterno antagonista, decise di rendere le cose difficili<br />

all’aggressivo texano. Durante la campagna elettorale dell’estate del 1964, un Chrušcëv<br />

sempre più bellicoso dichiarò che qualunque U-2 avesse sorvolato Cuba sarebbe stato<br />

abbattuto. <strong>La</strong> CIA vide la minaccia del leader sovietico come un’opportunità per<br />

dimostrare di che cos’era capace l’Oxcart e McCone fece pressioni sul presidente perché<br />

autorizzasse una missione ufficiale. Finalmente, il presidente approvò l’uso dell’Oxcart per<br />

l’operazione Skylark 16 , un piano che prevedeva di sorvolare Cuba se Chrušcëv avesse<br />

rivelato l’intenzione di installarvi nuovamente dei missili. Skylark costituì per la CIA una<br />

magnifica occasione per dare una dimostrazione di forza aerea e segnare un punto a suo<br />

favore contro l’aeronautica. L’unico problema era rappresentato dal fatto che l’Oxcart non<br />

era pronto.<br />

Kenneth Collins era ai comandi dell’aereo più veloce del mondo e lo stava portando a<br />

18.000 metri di quota. Per quel volo i navigatori avevano previsto che si dirigesse a nord<br />

verso il confine canadese, dove avrebbe dovuto invertire la rotta e tornare alla base.<br />

Secondo Ken Collins 17 collaudare l’Oxcart era il lavoro migliore del mondo. <strong>La</strong> maggior<br />

parte dei mestieri implicano una routine mentre per Collins ogni giorno all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

significava una nuova sfida con cui misurarsi. Tutto tranne che routine.<br />

Per mesi i piloti avevano testato il sistema idraulico, il sistema di navigazione e il<br />

sistema di controllo di volo dell’aereo. Dopo ogni prova, una squadra di ingegneri della<br />

Lockheed analizzava i dati di volo registrati. Al Groom <strong>La</strong>ke le modifiche erano all’ordine<br />

del giorno. Il cablaggio continuò a creare difficoltà finché non si trovarono dei materiali<br />

sostitutivi in grado di resistere a temperature superiori ai 400 °C. Un altro problema che<br />

ci volle un’eternità a risolvere fu la messa a punto del trietilborato (TEB), il refrigerante<br />

che impediva l’accensione dei postbruciatori del motore in partenza. Rimaneva un’altra


difficoltà, ovvero il temutissimo “unstart”, la riflessione dell’onda d’urto che provocava il<br />

blocco sonico del compressore del motore a reazione; non avendo più flusso il motore si<br />

spegneva.<br />

Mentre superava i 22.000 metri di quota, Collins guardò gli indicatori davanti a sé.<br />

All’esterno c’erano -56 °C e il gas di scarico usciva alla temperatura di 1.871 °C. Ciascuno<br />

dei due turbojet J-58 progettati 18 per l’Oxcart generava una potenza pari a quella di tutte<br />

e quattro le turbine del transatlantico da 80.000 tonnellate Queen Mary. Erano quei due<br />

reattori spaventosamente potenti a permettere all’aereo di volare così veloce e a quote<br />

tanto elevate. Ma la Queen Mary trasportava più di tremila passeggeri, l’Oxcart soltanto<br />

uno. Collins faceva affidamento sui motori: un malfunzionamento di uno dei due avrebbe<br />

significato la catastrofe. Con cautela aumentò la velocità da Mach 2,5 a Mach 2,8, una<br />

transizione particolarmente pericolosa che lo portava viaggiare a circa 3.220 chilometri<br />

orari, la velocità del proiettile di un fucile. Era il momento in cui l’aereo era sottoposto<br />

alle sollecitazioni maggiori; era anche il momento in cui era più probabile che si<br />

verificasse un “unstart”, ed era per quella ragione che Collins sperava che i motori<br />

dell’aereo non lo tradissero.<br />

Per i piloti non esisteva nulla di più terrificante di una simile eventualità. Per gli<br />

ingegneri non esisteva nulla che ne spiegasse la causa. Volando a una determinata<br />

inclinazione, in uno dei due motori J-58 poteva verificarsi inspiegabilmente un<br />

interruzione del flusso d’aria che lo faceva spegnere. A quella velocità, le prese d’aria<br />

aspiravano 283 metri cubi d’aria al secondo. Un ingegnere diceva che era come se due<br />

milioni di persone inspirassero tutte insieme; un “unstart” era come se tutte quelle<br />

persone rimanessero all’improvviso senz’aria. Durante i dieci secondi che ci volevano per<br />

correggere il problema – un motore spento, l’altro che generava una potenza sufficiente a<br />

far muovere un transatlantico – l’aereo sbandava violentemente da un lato. Il pilota<br />

veniva sbattuto contro la parete della cabina di pilotaggio mentre cercava<br />

disperatamente di far ripartire il motore. Il timore era che il pilota potesse svenire: in<br />

quel caso, addio pilota… e addio Oxcart.<br />

Mentre Collins accelerava a Mach 2,7 la terra sotto di lui sfrecciava alla sbalorditiva<br />

velocità di oltre 800 metri al secondo. <strong>La</strong> rotta stabilita dall’aereo passava lontano da<br />

centri urbani, ponti e dighe per ragioni di sicurezza. Una volta un pilota che sorvolava la<br />

Virginia occidentale aveva dovuto far ripartire un motore a novemila metri di quota. Il<br />

boom sonico aveva fatto crollare la ciminiera di una fabbrica e due operai erano morti<br />

schiacciati 19 . E se il pilota fosse stato costretto a lanciarsi, com’era successo a Collins nel<br />

1963, era necessario che ci fossero ampi spazi aperti disabitati visto che il velivolo si<br />

sarebbe schiantato al suolo. Con le sue quasi 56 tonnellate l’aereo aveva la stessa<br />

capacità di planare di una chiave inglese che cadeva dal cielo.<br />

Collins spinse l’Oxcart a Mach 2,8: altri 45 secondi e sarebbe stato fuori dalla zona di<br />

pericolo. Mancavano pochi secondi a Mach 3, il che significava quota di crociera. Ma a<br />

quel punto si verificò l’“unstart”. Nel giro di un istante l’aereo sobbalzò e sbandò con tale<br />

violenza che era come se il muso stesse cercando di mordersi la coda. Collins fu<br />

proiettato in avanti per il contraccolpo, sbatté la testa contro il vetro della cabina<br />

ammaccando il casco e per poco non svenne 20 . Mentre l’aereo cadeva Collins recuperò il


controllo e riavviò il motore. Il reattore dell’Oxcart ripartì quasi altrettanto in fretta di<br />

quanto si era spento.<br />

Le cose tornarono alla normalità. Dentro la tuta pressurizzata Collins sentiva il cuore<br />

martellargli nel petto. Il destino è davvero un cacciatore, pensò. Ti sta sempre alle<br />

calcagna, incalzandoti. Non era ancora giunta la sua ora, e sospirò di sollievo. Ma<br />

bisognava che qualcuno risolvesse quel problema ai motori. Una volta che ebbe di nuovo i<br />

piedi saldamente posati per terra, Collins discusse il problema dell’“unstart” con Bill Park,<br />

il capo collaudatore della Lockheed. Park era d’accordo con Collins: il problema ai motori<br />

era grave e occorreva risolverlo prima che qualcuno ci rimettesse la pelle. Park era il<br />

collegamento tra i piloti collaudatori e Kelly Johnson, che lo mandò dall’esperto di<br />

termodinamica, Ben Rich, perché lo aiutasse. Park aveva sperimentato di persona<br />

l’“unstart” e non aveva alcun problema a dare un ultimatum a Rich.<br />

Bill Park entrò nell’ufficio di Rich e andò dritto al punto. «Sistemalo» disse 21 . «Devi<br />

renderti conto di che cosa vuol dire.» I piloti erano convinti che l’unico modo per far<br />

capire a Ben Rich che cos’era davvero un “unstart” fosse di fargli provare lo scenario da<br />

incubo, e capitava che alla base ci fosse una versione biposto dell’Oxcart. L’aeronautica<br />

militare stava testando l’M-21/D-21 nei cieli sopra il Groom <strong>La</strong>ke e i piloti avevano visto il<br />

biposto fare avanti e indietro dall’hangar per tutta la settimana. Park disse a Rich che era<br />

venuto il momento di farsi un giretto a Mach 3.<br />

In quello che in seguito avrebbe definito «un folle momento di debolezza», Ben Rich<br />

accettò. Rich descriveva sé stesso come un secchione ebreo; privo di qualunque dote<br />

atletica, non aveva mai fatto parte della squadra di baseball della scuola. Era un mago<br />

della progettazione, non un ardito dell’aria. Non aveva mai volato a velocità supersonica<br />

prima di allora e non aveva assolutamente alcun desiderio di provare. Ma era l’ingegnere<br />

capo degli Skunk Works, perciò sistemare il problema dei reattori dell’Oxcart era compito<br />

suo. «D’accordo» disse.<br />

Prima di poter mettere piede sull’aereo più veloce del mondo, dovette passare una<br />

serie di test fisici. Non è che ci si può accomodare sul seggiolino e salire a 27.000 metri e<br />

passa di quota <strong>senza</strong> essere stato in una camera ipobarica con indosso una tuta<br />

pressurizzata. I medici aeronautici prepararono Rich per i test come facevano<br />

normalmente con i piloti. Rich superò i test fisici e alcune prove di stress, ma quando<br />

arrivò il momento della camera di decompressione – quella che simulava l’eiezione a<br />

15.000 metri – le cose non andarono come previsto. Non appena la porta si chiuse dietro<br />

di lui, fu preso dal panico. «Avevo l’affanno come un maratoneta e urlavo: “Fatemi uscire<br />

di qui!”» ricordò in seguito 22 . Senza neppure essersi avvicinato alla simulazione di ciò che<br />

significava volare a Mach 3, per non parlare di fare esperienza di un “unstart” a quella<br />

velocità, nelle sue memorie Ben Rich ammise che era quasi morto di paura.<br />

Ma il risultato era stato ottenuto lo stesso: Rich si dedicò anima e corpo a risolvere il<br />

problema. Come moltissime sfide ingegneristiche che gli scienziati si trovarono davanti<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, anche questa richiese notevole inventiva. Rich e la sua squadra non risolsero<br />

il problema, ma lo aggirarono in modo da ridurre il rischio per i piloti. Rich escogitò un<br />

controllo elettronico il quale faceva sì che, in caso di “unstart” di un motore, anche il<br />

secondo reattore perdesse potenza. Il sistema avrebbe quindi riavviato entrambi i motori


nello stesso momento. Dopo questa modifica, i piloti venivano avvisati dell’“unstart” da<br />

un acuto cicalino posto nella cabina. Fu così che poterono cancellare dall’elenco delle loro<br />

preoccupazioni l’eventualità di essere tramortiti a 3.200 chilometri orari.<br />

In aggiunta a queste difficoltà, c’era la questione delle contromisure elettroniche, o ECM.<br />

I rapporti analizzati a <strong>La</strong>ngley dicevano che se l’operazione Skylark fosse stata eseguita<br />

sopra Cuba, la velocità di crociera avrebbe dovuto essere di minimo Mach 2,8 perché<br />

c’era la concreta possibilità che i sistemi radar sovietici sull’isola riuscissero a individuare<br />

l’Oxcart e forse addirittura ad abbatterlo. Mentre gli uomini del progetto Palladium<br />

continuavano a lavorare sui metodi di interferenza, l’Office of Special Activities al<br />

Pentagono decise che la soluzione stava nel migliorare l’invisibilità. <strong>La</strong> sezione<br />

equivalente radar straordinariamente bassa dell’Oxcart doveva essere ulteriormente<br />

ridotta. Di conseguenza, Ed Lovick e la sua squadra furono richiamati all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

In un hangar nelle vicinanze del radar, Edward Lovick si mise a lavorare su un modello<br />

in scala uno a otto dell’Oxcart. In quello che sarebbe diventato noto come progetto<br />

Kempster-<strong>La</strong>croix, Lovick progettò un sistema che sembrava uscire dritto da Star Trek o<br />

d a 007. «Sui fianchi dell’aereo dovevano essere montati due giganteschi cannoni<br />

elettronici» racconta Lovick. I cannoni avrebbero «sparato una nube ionizzata larga sette<br />

metri e mezzo di particelle a elevata carica elettrica davanti al muso dell’aereo mentre<br />

sorvolava il territorio nemico». <strong>La</strong> nube gassosa, stabilì Lovick, avrebbe assorbito<br />

ulteriormente le onde elettromagnetiche provenienti dalle istallazioni di rilevamento<br />

radar al suolo.<br />

Servendosi del modellino, gli scienziati furono in grado di dimostrare che l’idea<br />

funzionava e a quel punto fu necessario costruire un modello in scala reale del Kempster-<br />

<strong>La</strong>croix. Collaudando il sistema su un aereo vero, gli scienziati scoprirono che la<br />

radiazione emessa dai cannoni elettronici sarebbe stata troppo pericolosa per i piloti. Così<br />

un’altra squadra di ingegneri mise a punto una protezione che gli uomini avrebbero<br />

potuto indossare sopra la tuta pressurizzata. Quando un pilota fece un volo di prova,<br />

disse che lo spessore dello schermo rendeva impossibile usarlo quando si era ai comandi<br />

di un aereo che andava a Mach 3. Poi, mentre Lovick stava cercando una soluzione,<br />

l’aeronautica militare cambiò idea. L’Oxcart era abbastanza invisibile, disse il Pentagono,<br />

e il progetto Kempster-<strong>La</strong>croix 23 fu abbandonato.<br />

Era perlomeno ironico. Non che l’aeronautica continuasse a cambiare idea, ma che ci si<br />

preoccupasse delle radiazioni. Nel 1964 il governo aveva fatto esplodere 286 bombe<br />

atomiche 24 nei pressi dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Un anno prima gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica<br />

avevano firmato il trattato sul bando parziale dei test nucleari che vietava i test in<br />

atmosfera, terrestri e sottomarini. L’iniziativa era in discussione da anni, ma i negoziati<br />

erano ripetutamente falliti. Adesso che era finalmente entrato in vigore, i test erano stati<br />

spostati nel sottosuolo. E comunque le due superpotenze non si fidarono a lungo del fatto<br />

che la controparte avrebbe rispettato l’accordo, e così dopo il trattato il numero di test<br />

mensili era in realtà aumentato; l’idea era di stare con le armi pronte nel caso una delle<br />

parti fosse venuta meno ai patti. Tra il settembre 1961 e il dicembre 1964 al Nevada Test<br />

Site fu fatto esplodere il numero record di 162 bombe all’interno di gallerie sotterranee e<br />

di pozzi. Quasi la metà di questi test provocarono il “rilascio accidentale di radioattività”


nell’atmosfera.<br />

Finalmente soddisfatta della sezione equivalente radar, la CIA decise di mettere in piedi<br />

un proprio ufficio dedicato alle contromisure elettroniche all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Nel 1963 il primo<br />

nucleo era costituito da due uomini della Sylvania, un’azienda più conosciuta per la<br />

fabbricazione di lampadine che non per l’attività top-secret che svolgeva per l’agenzia. «Il<br />

primo sistema di interferenza fu denominato Red Dog 25 ; in seguito fu ribattezzato Blue<br />

Dog» spiega Ken Swanson, il primo rappresentante ufficiale dell’ECM all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Il sistema<br />

Red Dog era progettato per individuare i missili terra-aria diretti contro l’Oxcart e poi per<br />

interferire con il loro sistema di guida mediante un impulso elettronico. Il lavoro era<br />

entusiasmante quando gli aerei volavano e si raccoglievano dati reali, ma se il sistema<br />

Red Dog falliva ed era necessario metterlo a punto, questo significava un sacco di tempi<br />

morti.<br />

Si trattava degli albori della guerra elettronica e non è che fossero disponibili mucchi di<br />

parti di ricambio per il Red Dog. Di conseguenza Ken Swanson lavorava molti lunghi fine<br />

settimana all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Dice che talvolta lui e i suoi colleghi della Sylvana avevano<br />

l’impressione di essere le uniche persone presenti alla base. <strong>La</strong> Sylvania costruì due<br />

sistemi ECM sulla EG&G Road, all’angolo meridionale del Groom <strong>La</strong>ke: uno per simulare il<br />

radar dell’SA-2 e il secondo per simulare il sistema di guida radar Fan Song dei missili<br />

terra-aria che era apparso nel Vietnam del Nord. Lo scopo era scoprire come si vedeva o<br />

– almeno così si sperava – non si vedeva l’Oxcart su quei radar. Una parte altrettanto<br />

importante del sistema era costituita dall’antenna radar che doveva essere installata sulla<br />

cima della Bald Mountain. Per farlo, la CIA si rivolse a uno dei migliori elicotteristi del<br />

paese, Charlie Trapp.<br />

«Mi stavo facendo i fatti miei in Carolina del Sud» racconta Trapp «quando mi<br />

chiamarono questi tizi dell’aeronautica militare e mi chiesero se volevo andare a pilotare<br />

un’unità di elicotteristi in Nevada, a centosessanta chilometri dalla città più vicina.<br />

Dissero che era importante e che avrei dovuto stare fermo in volo e atterrare a 2.750<br />

metri.» Trapp pensò che sembrava interessante 26 almeno quanto pericoloso e accettò.<br />

«Decollammo da Nellis su un [elicottero] H-43 e prima ancora che fossimo arrivati all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong>, dissero: “Per prima cosa facci vedere come atterri sulla cima di una montagna”, per<br />

dire quanto fu importante quell’abilità per i miei esordi alla base.» Per mesi Trapp<br />

trasportò cemento in secchi da 450 chilogrammi dall’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> alla cima della Bald<br />

Mountain. «Mi libravo in aria sopra la montagna e calavo l’equipaggiamento» spiega<br />

Trapp. «C’erano venti forti e serie tempeste di sabbia.» Finalmente Trapp trasportò<br />

l’antenna radar lunga più di trenta metri e una squadra di operai la mise in opera<br />

cementandola. Missione compiuta. «Facemmo un ottimo lavoro, al punto che la CIA ci<br />

diede delle medaglie dell’aviazione» dice Trapp.<br />

Tutte le volte che l’Oxcart decollava, era compito di Trapp librarsi di fianco alla pista a<br />

60 metri d’altezza «nel caso l’aereo precipitasse» spiega Trapp. «Sull’elicottero avevo<br />

equipaggiamento antincendio e con me c’erano sempre due pararescue, l’equivalente<br />

delle truppe d’élite della marina. Quella routine richiedeva un sacco di lavoro e io dissi al<br />

capo, il colonnello Holbury, che avrei potuto alzarmi in volo in meno di due minuti. Così le


egole cambiarono.» Trapp rimaneva in allerta nell’eventualità di un incidente, «il che<br />

significava andarmene in giro per l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> sull’unico golf cart della base». Il golf cart<br />

tornava utile di sera. «Facevamo un sacco di partite a poker all’House-Six» spiega Trapp.<br />

«Chi perdeva veniva spedito alla mensa a prendere i cheeseburger. Il tragitto era lungo<br />

ma con il golf cart andavi e venivi in cinque minuti.»<br />

Il passatempo preferito da tutti era però far volare modellini telecomandati. «C’erano<br />

due zone in cui era possibile far volare gli aeromodelli» dice Trapp. «Sull’erba del campo<br />

da golf e sull’asfalto della pista vicino al lago asciutto. Alcune volte i modellini si<br />

perdevano. Allora il tizio veniva da me e diceva: “Senti, Charlie, quando prendi l’elicottero<br />

non è che dai un’occhiata in giro se vedi il mio aeroplanino? Ha un’apertura alare di un<br />

metro e mezzo e le ali dipinte di giallo”. Trovavamo il modo di divertirci all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Eravamo costretti; non c’era l’ombra di una ragazza.»<br />

Frank Murray prendeva molto sul serio gli aeroplanini telecomandati. Era anche il pilota<br />

di caccia con più ore di volo del progetto Oxcart. «Frank era sempre seduto nella sua<br />

stanza a costruire modellini di aeroplano» ricorda il colonnello Slater. «Era il suo modo di<br />

divertirsi. O forse era l’unico uomo della base a non essere brillo alle undici di sera.» Ecco<br />

perché Murray aveva al proprio attivo tutte quelle ore di volo. «Se il figlio di qualcuno si<br />

faceva male nel bel mezzo della notte, il che accadeva più spesso di quanto si pensi, e a<br />

me serviva un pilota che decollasse dalla base in fretta, mi rivolgevo a Frank» spiega<br />

Murray. «Frank era sempre disponibile» aggiunge il colonnello Slater. «<strong>La</strong> maggior parte<br />

della gente ha bisogno di riposo tra un volo e l’altro. Frank no.»<br />

In qualità di pilota di caccia, Murray passava il tempo a seguire l’Oxcart con il suo F-<br />

101. Il Voodoo era un caccia supersonico biposto che l’aeronautica usava per<br />

accompagnare il decollo e l’atterraggio dell’Oxcart. «Volavamo insieme all’Oxcart nella<br />

zona delle operazioni speciali, o Yuletide, cioè lo spazio aereo a nord della base» spiega<br />

Murray. «L’agenzia ci faceva seguire l’Oxcart con il Voodoo finché non riuscivamo più a<br />

stargli dietro.» Il ruolo di Murray prevedeva un sacco di lavoro di routine e pochissima<br />

visibilità. «Ero un po’ invidioso dei piloti dell’Oxcart» confessa. «E come potrebbe essere<br />

altrimenti? Ma sul Voodoo ero felice. Per un ragazzo di campagna di San Diego, eseguire<br />

missioni di caccia per conto della 1.129 a era un’esperienza unica.»<br />

Murray pilotava l’F-101 facendo quasi tutto quello che era necessario fare in supporto<br />

alle operazioni Oxcart. I suoi compiti comprendevano volare contro i simulatori Red Dog,<br />

osservare le aerocisterne, supervisionare decollo e atterraggio e portare in giro i fotografi<br />

della Lockheed a scattare fotografie per la CIA. Ma le cose cambiarono in modo<br />

significativo quando il generale Ledford, capo dell’Office of Special Activities 27 al<br />

Pentagono, decise che voleva imparare a pilotare l’F-101 mentre supervisionava le attività<br />

alla base. «Il generale era stato un pilota di bombardieri durante la Seconda guerra<br />

mondiale ma non aveva mai pilotato un aereo come il Voodoo, che poteva raggiungere<br />

velocità comprese tra i 1.900 e i 2.000 chilometri orari. Quando si trattò di trovare un<br />

pilota istruttore, la scelta cadde su di me» racconta Murray.<br />

Adesso Murray doveva insegnare a pilotare un aereo supersonico a un leggendario eroe<br />

della Seconda guerra mondiale, un uomo che era anche il militare di grado più alto del<br />

programma Oxcart. «Al Ranch avevamo otto 101 e uno di essi era un biposto con due


cabine di pilotaggio e i doppi comandi. “Andiamo, Frankie” disse il generale. Salì nella<br />

cabina posteriore e decollammo.»<br />

Fu un periodo entusiasmante per Frank Murray. Non aveva immaginato che avrebbe<br />

potuto vivere un’esperienza simile. Solo pochi anni prima faceva parte dell’Air Defense<br />

Command e pilotava i Voodoo alla base di Otis; un giorno aveva visto un avviso<br />

interessante affisso alla bacheca che diceva: «<strong>La</strong> NASA cerca piloti di F-101». Pensò che<br />

lavorare per l’agenzia spaziale sarebbe stato divertente. Non aveva idea che fosse solo<br />

una copertura e che a cercare piloti per il programma Oxcart all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> non fosse la NASA<br />

bensì l’aeronautica militare. Murray fece richiesta e fu accettato. Si trasferì in Nevada con<br />

la famiglia e giurò di non dire a nessuno quello che faceva, neppure a sua moglie Stella.<br />

Ma sapeva che la sua famiglia sarebbe stata orgogliosissima di lui: per un ragazzo di<br />

campagna di San Diego era come aver comprato il biglietto vincente della lotteria.<br />

Mentre il progetto Oxcart veniva messo a punto, l’allargamento del conflitto in Vietnam<br />

con l’intervento dei comunisti del Nord stava diventando un vero e proprio incubo per il<br />

presidente Johnson. Nel 1957 si era conquistato l’appoggio del popolo dichiarando che il<br />

comunismo era la peggiore minaccia mondiale. In confronto all’Unione Sovietica e alle<br />

sue bombe termonucleari, Johnson considerava il Vietnam una questione di secondo<br />

piano. Ma il Vietnam era anche una delle tessere dell’imperante teoria del domino: se<br />

cadeva sotto il controllo comunista, avrebbe coinvolto tutta la regione. Il presidente<br />

Johnson aveva ereditato la guerra da Kennedy quando era ancora una crisi politica e non<br />

un conflitto aperto. <strong>La</strong> situazione era cambiata il secondo anno del suo mandato,<br />

nell’agosto 1964, con l’incidente del golfo del Tonchino. Il Pentagono aveva dichiarato che<br />

la marina aveva subìto un attacco a sorpresa contro il cacciatorpediniere Maddox da parte<br />

dei nordvietnamiti e la National Security Agency ne aveva le prove, sostenne McNamara.<br />

L’incidente permise a Johnson di fare pressioni sul Congresso perché approvasse la<br />

risoluzione del golfo del Tonchino con cui si autorizzava la guerra. (Nel 2005 la NSA ha<br />

reso pubblica una dettagliata confessione in cui ammette 28 che le informazioni di<br />

intelligence «furono distorte deliberatamente per suffragare l’idea che ci fosse stato un<br />

attacco».) Per vendicare l’attacco al Maddox, Johnson ordinò interventi aerei contro i<br />

nordvietnamiti, mandando i piloti della marina a bombardare il Vietnam del Nord. Furono<br />

abbattuti parecchi aerei americani e i nordvietnamiti catturarono i piloti come prigionieri<br />

di guerra.<br />

L’escalation del conflitto indusse il segretario alla Difesa Robert McNamara a cambiare<br />

completamente atteggiamento riguardo all’Oxcart 29 . Dopotutto, sostenne McNamara,<br />

l’aereo spia della CIA poteva avere un’utilità vitale per ottenere informazioni sul Vietnam<br />

del Nord. L’agenzia sapeva che i russi avevano iniziato a fornire ai comunisti<br />

nordvietnamiti missili terra-aria 30 che adesso stavano abbattendo i piloti americani. Sia<br />

l’aeronautica sia la CIA avevano compiuto missioni di ricognizione con gli U-2, scoprendo<br />

che le basi missilistiche erano ubicate attorno a Hanoi 31 . Ma il Pentagono aveva bisogno<br />

di informazioni più dettagliate sugli obiettivi. In giugno McNamara si sedette insieme alla<br />

CIA e iniziò a fare piani perché l’Oxcart fosse finalmente pronto per la sua prima missione.


Capitolo 15<br />

IL NON PLUS ULTRA<br />

DEL CIRCOLO ESCLUSIVO 1<br />

Nel corso degli anni Sessanta al Groom <strong>La</strong>ke capitava almeno una volta al mese – e<br />

sempre prima dell’alba – che il personale della base fosse buttato giù dal letto 2 da una<br />

violenta esplosione. Quando il fenomeno era cominciato, Ken Collins si svegliava di<br />

soprassalto con la sensazione che ci fosse un terremoto. Invece si trattava dell’esplosione<br />

sotterranea di una bomba nucleare, a pochi chilometri dagli alloggiamenti dei piloti<br />

dell’Oxcart. Dopo essere arrivata al capanno Quonset di Collins l’onda d’urto proseguiva la<br />

sua corsa attraverso la Emigrant Mountain Range con una potenza surreale e innaturale<br />

che faceva ululare i coyote.<br />

Dopo un po’ Collins si abituò a essere svegliato prima dell’alba e riusciva a<br />

riaddormentarsi <strong>senza</strong> problemi. Ma quella mattina c’era qualcosa di diverso: quelli che<br />

sentiva erano colpi alla porta, non il boato di un’esplosione. Collins aprì gli occhi:<br />

qualcuno stava davvero bussando alla porta del suo capanno Quonset. Si alzò e andò ad<br />

aprire. Si ritrovò davanti il colonnello Slater con un’espressione preoccupata che non gli<br />

era abituale; <strong>senza</strong> dare spiegazioni ordinò a Collins di mettersi la tuta di volo il più in<br />

fretta possibile. Era una richiesta stranissima, pensò Collins. L’alba era lontana: dietro le<br />

spalle del colonnello in piedi sulla porta poteva vedere che fuori era ancora buio. Per un<br />

momento pensò al peggio: l’America era forse entrata in guerra con i sovietici? Qual era<br />

la ragione di far decollare un Oxcart <strong>senza</strong> preavviso? Mentre si vestiva in fretta, Collins<br />

sentì il colonnello Slater svegliare il medico che stava nell’alloggio accanto al suo.<br />

Collins e Slater corsero verso l’hangar dell’Oxcart, dove Collins venne messo al corrente<br />

della situazione: aveva chiamato il Pentagono per dire che un pallone da ricognizione<br />

sovietico stava sorvolando gli Stati Uniti, spinto dal vento verso ovest. Collins doveva<br />

individuarlo, e alla svelta. Normalmente il medico aeronautico ci avrebbe messo due ore<br />

a far indossare a Collins la tuta di volo, ma quella mattina Collins sedeva nella cabina di<br />

pilotaggio dell’Oxcart dopo poco più di mezz’ora. Decollò dirigendosi a nord e poi a ovest,<br />

obbedendo agli ordini diretti del Pentagono di «cercare e localizzare» il pallone<br />

meteorologico sovietico sia a vista sia usando il radar.<br />

Dopo essere decollato Collins pensò che era come cercare un ago in un pagliaio.<br />

Com’era fatto un pallone da ricognizione russo? Che probabilità c’erano di avvistare un<br />

oggetto di quel tipo? Viaggiava a oltre 3.500 chilometri orari, ossia quasi mille metri al<br />

secondo, e se anche avesse visto il pallone, se lo sarebbe lasciato alle spalle in una<br />

frazione di secondo. Peggio ancora, cosa sarebbe successo se fosse davvero incappato


nel pallone? Nel caso in cui l’Oxcart avesse urtato qualcosa mentre volava a Mach 3,<br />

l’aereo sarebbe andato in pezzi all’istante e lui sarebbe stato fritto.<br />

Mentre volava in un punto imprecisato al centro del paese, Collins individuò un oggetto<br />

sul radar a circa 560 chilometri di distanza. Obbedendo alle istruzioni, girò attornò<br />

all’oggetto eseguendo la virata più stretta che gli era consentita a Mach 3, ovvero un<br />

cerchio di raggio pari a 640 chilometri. Non riuscì a vedere il pallone con i propri occhi.<br />

Quando tornò alla base, gli ingegneri si affrettarono a leggere le informazioni<br />

contenute nelle apparecchiature dell’Oxcart. L’incidente rimane tuttora classificato 3 . I<br />

militari americani non hanno mai ammesso che i sovietici abbiano violato lo spazio aereo<br />

statunitense, non importa se con un aereo o con un pallone. Collins non fece domande.<br />

Per un pilota era un imperativo: meno sapevi, meglio era 4 .<br />

In qualità di vicedirettore della CIA, Richard Helms era un grande sostenitore<br />

dell’Oxcart. Seguiva da vicino il programma insieme a Bud Wheelon, il cui impegno gli era<br />

valso la nomina a primo direttore della scienza e della tecnologia per l’agenzia. Adesso<br />

che non c’era più Richard Bissell, pochi uomini della CIA erano devoti al progetto<br />

dell’aereo spia all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> come Helms e Wheelon. Tuttavia, mentre Wheelon<br />

considerava la propria posizione nell’agenzia come qualcosa di temporaneo – aveva<br />

firmato un contratto di quattro anni, che onorò e poi lasciò la CIA –, Helms voleva fare<br />

carriera. Aveva lavorato gomito a gomito con Bissell sull’U-2 fin dall’inizio e sapeva che le<br />

fotografie aeree erano un’importantissima fonte di intelligence. Gli Stati Uniti avevano<br />

ottenuto più informazioni sulle potenzialità belliche sovietiche dalla loro prima missione U-<br />

2 che nei dieci anni precedenti dalle spie sul terreno. Sulla scorta della domanda di<br />

McNamara riguardo alla possibilità di usare l’Oxcart per missioni spia sul Vietnam del<br />

Nord, Helms si recò di persona all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per verificare le specifiche di progetto<br />

dell’aereo. Helms sapeva benissimo che l’aeronautica tramava per mettere da parte<br />

l’Oxcart a favore del suo aereo spia, l’SR-71 Blackbird. Se fosse riuscito a ottenere una<br />

missione per l’Oxcart, la CIA avrebbe avuto molte più probabilità di tenere in piedi il suo<br />

programma di spionaggio supersonico.<br />

Quasi tutti quelli che visitavano l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> si innamoravano della base nel deserto, e<br />

Helms non fece eccezione. Era impossibile resistere al fascino del potere e del prestigio<br />

incarnati dall’installazione segreta. Era la quintes<strong>senza</strong> del circolo esclusivo, esotico ed<br />

elitario. Adesso la base era il regno dell’aeronautica; la CIA era incaricata delle missioni,<br />

ma non c’erano missioni, il che non faceva che esasperare la sensazione di impotenza<br />

dell’agenzia. L’aeronautica militare controllava la maggior parte delle operazioni<br />

quotidiane della base, inclusi i voli di addestramento e i rifornimenti in aria, che tutti i<br />

membri della 1.129 th Special Activities Squadron eseguivano regolarmente in modo da<br />

mantenersi in perfetta efficienza.<br />

Nel corso della sua visita Helms tenne un profilo relativamente basso e trascorse la<br />

maggior parte del tempo sulla pista con i piloti e negli hangar con gli ingegneri. Durante i<br />

voli di collaudo, Helms si arrotolava le maniche della camicia e rimaneva sull’asfalto della<br />

pista mentre l’Oxcart decollava. Diceva che sembrava di stare nell’epicentro di un<br />

terremoto dell’ottavo grado e descriveva le grandi palle arancioni che uscivano dai motori


dell’Oxcart come «martelli infernali».<br />

Nonostante giocasse un ruolo chiave nella pianificazione e nell’esecuzione di operazioni<br />

coperte in Vietnam, Richard Helms non credeva che gli Stati Uniti sarebbero riusciti a<br />

vincere la guerra, una posizione che lo metteva in disaccordo con le alte sfere del<br />

Pentagono. Helms era convinto che il Vietnam stesse erodendo il consenso sulla<br />

necessità di vincere la Guerra Fredda, che lui riteneva la battaglia più importante in quel<br />

momento. Era un sostenitore dell’uso della tecnologia per sconfiggere i russi con lo<br />

spionaggio dai cieli tramite satelliti e aerei spia: ecco perché l’Oxcart gli piaceva così<br />

tanto. E a differenza dei funzionari del Pentagono e del dipartimento di stato, la maggior<br />

parte dei quali aveva sconsigliato al presidente di mandare altri aerei spia sull’Unione<br />

Sovietica, Helms, proprio come McCone, era convinto che il presidente dovesse fare<br />

esattamente quello. «L’unico peccato nello spionaggio è farsi prendere» 5 disse Helms una<br />

volta. Credeva che l’intelligence migliore fosse l’“intelligence obiettiva”. Le fotografie non<br />

avevano un’opinione e non potevano mentire 6 .<br />

Nel dicembre del 1965, mentre Richard Helms si trovava all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, l’Oxcart fu<br />

finalmente dichiarato operativo. I festeggiamenti erano d’obbligo. Uno dei piloti si offrì di<br />

andare con un C-130 Hercules a prendere del pesce alla base dell’aeronautica di<br />

Westover 7 , in Massachusetts, dove Werner Weiss aveva frigoriferi pieni di aragoste,<br />

ostriche e granchi pronti per essere portati all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Le operazioni coperte con budget<br />

favolosi prevedevano anche benefit culinari.<br />

Dato che la base era segretissima e fortemente compartimentata, la mensa era l’unico<br />

posto dove gli uomini stavano tutti assieme, <strong>senza</strong> distinzioni. Gli assistenti tecnici<br />

sedevano gomito a gomito con i generali a tre e quattro stelle in visita all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, ma<br />

alla fine del pasto, gli uomini si sarebbero nuovamente separati. Quelli dell’aeronautica<br />

andavano all’House-Six a giocare a dadi, bersi un drink e raccontare storie di guerra.<br />

Quando era alla base Richard Helms faceva una capatina al bar per un bicchiere. Era un<br />

grande conversatore ma evitava quasi sempre di parlare di sé e di rado discuteva della<br />

Seconda guerra mondiale. Nel 1945 era un giovane agente dell’OSS e lavorava nella<br />

Berlino postbellica. Era uno degli uomini chiave dell’operazione Paperclip; Helms aveva il<br />

compito di trovare un gruppo di ex scienziati nazisti e di offrire loro un posto in progetti<br />

segreti negli Stati Uniti, i quali comprendevano armi biologiche, razzi e stealth. Anni dopo<br />

avrebbe giustificato il proprio operato sostenendo che se gli scienziati non fossero andati<br />

a lavorare in America, sarebbero andati a lavorare per “loro”. Helms sapeva cose che gli<br />

altri non sapevano; all’agenzia era l’uomo che manteneva i segreti.<br />

Nel 1975, quando trapelarono delle voci riguardo al fatto che la CIA aveva condotto un<br />

programma denominato MKULTRA 8 – che implicava esperimenti di controllo mentale con<br />

droghe come l’LSD – fu chiesto a Helms di testimoniare. In un’udienza davanti al<br />

Congresso, Helms affermò che aveva dato ordine di distruggere tutta la documentazione<br />

due anni prima, nel 1973.<br />

Nell’organigramma labirintico dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, che assegnava a ciascun uomo un posto<br />

preciso, nessuno era più importante del comandante della base per i progressi del<br />

progetto dell’aereo spia, un ruolo affidato a un ufficiale dell’aeronautica il cui stipendio


era pagato dalla CIA. Nel 1965 la posizione era occupata dal colonnello Slater. Slater era il<br />

comandante ideale: era astuto, dotato di spirito pratico ed era un eccellente ascoltatore,<br />

cosa che lo differenziava nettamente dal suo predecessore, il colonnello Holbury. Slater<br />

era apprezzato dai piloti soprattutto perché era divertente; non sarcastico, ma pronto a<br />

quel genere di battute che ricordavano agli uomini di non prendere il loro lavoro sempre<br />

tanto sul serio. Una delle prime cose che aveva fatto dopo aver preso il comando della<br />

base era stato appendere un cartello all’House-Six su cui erano elencate le “regole<br />

elementari di volo al Groom <strong>La</strong>ke di Slip Slater”. Le regole erano solo tre:<br />

– cerca di stare al centro dell’aria;<br />

– non avvicinarti ai bordi;<br />

– i bordi dell’aria si riconoscono per la comparsa di terreno, edifici, mare, alberi e spazio<br />

interstellare. Volare lì è molto più difficile.<br />

Tutti conoscevano le storie della carriera di pilota di Slater: le missioni contro i tedeschi<br />

durante la Seconda guerra mondiale, le missioni in qualità di comandante di<br />

distaccamento per i Black Cat e naturalmente la volta in cui era riuscito a far planare per<br />

centosessanta chilometri il suo aereo con un motore in avaria nel bel mezzo di un<br />

uragano, nel 1946. In qualità di giovane eroe appena tornato dalla guerra, Slater era<br />

stato scelto dall’aeronautica militare per pilotare un P-80 Shooting Star nuovo di zecca in<br />

una missione di addestramento dalla base di March alla Giamaica. Il P-80 era il primo<br />

caccia a reazione usato dall’aeronautica in un’epoca in cui i jet in America erano ancora<br />

una relativa novità. «Ero un centinaio di miglia al largo di Key West quando il motore si<br />

spense. Ero proprio a nord di Cuba, flagellata da un uragano. <strong>La</strong> turbina era in avaria e il<br />

bruciatore si era spento, così virai e tornai planando verso Key West» ricorda Slater. In<br />

genere gli aerei a reazione non planano <strong>senza</strong> la spinta di un motore, almeno non se ai<br />

comandi non c’è un pilota esperto. Quando un motore a reazione perde tutta la potenza,<br />

di solito precipita. Slater sfruttò una corrente a getto per circa centosessanta chilometri<br />

sopra l’oceano Atlantico finché non trovò una pista abbandonata a Marathon Key, in<br />

Florida, e atterrò.<br />

Richard Helms era un fan di Slater e prima di lasciare l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per tornare a<br />

Washington, andò a congratularsi con lui per l’ottimo lavoro fatto allo scopo di rendere<br />

operativo l’Oxcart. Adesso Slater doveva essere pronto a volare anche lui a Washington<br />

per i ragguagli dell’ultimo momento sulle prestazioni dell’Oxcart. Nei mesi successivi,<br />

Slater e il generale Ledford sarebbero stati chiamati 9 a partecipare al comitato di<br />

revisione delle operazioni coperte top-secret della 303 Committee (Commissione 303)<br />

che assegnava le missioni all’Oxcart. (<strong>La</strong> 303 Committee sostituiva lo Special Operations<br />

Group, che era stato sotto la responsabilità di Bissell quando lavorava alla CIA.)<br />

Slater volò a Washington a bordo di un F-101 più volte di quante riesca a ricordarne.<br />

Nonostante l’appassionata difesa fatta dall’agenzia delle prestazioni della squadriglia di<br />

Oxcart, il Pentagono continuava a fare ostruzionismo. I chiarimenti offerti da Slater<br />

avevano scarso effetto sui riluttanti militari, i quali lo guardavano in cagnesco dato che<br />

era l’uomo responsabile di un programma di operazioni segrete da miliardi di dollari, una


gallina dalle uova d’oro che l’aeronautica militare voleva a tutti i costi sottrarre alla CIA.<br />

Ogni volta che l’agenzia proponeva una missione, il comitato di revisione repingeva la<br />

richiesta.<br />

All’inizio Slater trovò incredibile il fatto che l’aereo spia all’avanguardia fosse bloccato in<br />

uno stallo tra la CIA e l’aeronautica. In tutta la sua carriera il colonnello si era mosso<br />

<strong>senza</strong> difficoltà tra diversi comparti delle forze armate e servizi segreti, offrendo i suoi<br />

talenti dove erano più necessari. A ventidue anni, quando era un pilota di caccia, Slater<br />

aveva compiuto 84 missioni sulla Francia e sulla Germania a bordo di un P-47<br />

Thunderbolt. In seguito, in qualità di comandante dei Black Cat che compivano pericolose<br />

missioni sulla Cina, Slater aveva indossato <strong>senza</strong> problemi sia il cappello della CIA sia<br />

quello dell’aeronautica. Lo scopo comune era ottenere informazioni di intelligence; il<br />

colonnello Slater non capiva dove stesse la rivalità.<br />

Durante l’inverno del 1966, facendo avanti e indietro tra l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e il Pentagono, Slater<br />

ebbe un posto in prima fila per assistere alla lotta di potere tra l’aeronautica e l’agenzia.<br />

Il segretario alla Difesa Robert McNamara aveva cambiato di nuovo idea sull’utilità<br />

dell’Oxcart in Vietnam e aveva deciso di aspettare finché non fosse stato pronto l’SR-71.<br />

Ma Wheelon è convinto che «McNamara stesse rimandando la missione 10 dell’Oxcart di<br />

proposito. Era un accentratore e l’Oxcart non si adattava ai suoi progetti perché non era<br />

suo». A ogni mese che passava l’SR-71 Blackbird si avvicinava sempre di più a diventare<br />

operativo, e gli uomini responsabili del Blackbird erano ai suoi ordini. Non appena l’aereo<br />

spia dell’aeronautica fosse stato pronto, l’aereo spia della CIA pressoché identico sarebbe<br />

stato fuori dei giochi.<br />

Nel giugno del 1966 Richard Helms era stato nominato direttore della CIA. Diventato<br />

uno degli uomini più potenti di Washington, Helms fece notevoli pressioni in favore<br />

dell’Oxcart e in luglio i capi dello stato maggiore congiunto votarono per una missione sul<br />

Vietnam del Nord allo scopo di raccogliere informazioni riguardo alle basi missilistiche del<br />

paese. McNamara e il segretario di stato Dean Rusk puntarono di nuovo i piedi e di nuovo<br />

si opposero. Entrambi sostennero che portare aerei della CIA alla base americana di<br />

Okinawa, in Giappone, rappresentava un rischio politico troppo grosso. McNamara stava<br />

giocando la stessa carta che aveva giocato con John McCone quando quest’ultimo era<br />

direttore dell’agenzia, ovvero che se un aereo spia fosse stato abbattuto 11 nel corso di<br />

una missione di spionaggio, il presidente avrebbe dovuto fare i conti con la medesima<br />

crisi che si era trovato ad affrontare Eisenhower con l’incidente di Gary Powers.<br />

In agosto si tenne una votazione a favore o contro l’impiego dell’Oxcart alla pre<strong>senza</strong><br />

del presidente Johnson: la maggioranza votò contro 12 , e il presidente approvò la<br />

decisione. Il ghiaccio attorno all’Oxcart stava diventando pericolosamente sottile. Il<br />

colonnello Slater reagì come meglio sapeva fare: quando il gioco si faceva duro, i duri<br />

continuavano a volare. Tornato all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, era determinato a far sì che i suoi uomini<br />

rimanessero pronti per le missioni. Non c’era ragione che sapessero che il programma era<br />

sull’orlo del disastro. Chi avrebbe potuto immaginare che l’Oxcart rischiava di essere<br />

messo in soffitta prima ancora di aver compiuto la sua prima missione? Slater assegnò<br />

invece agli uomini un nuovo scopo. Voleva che accorciassero di sei giorni il tempo che la<br />

squadriglia impiegava per prepararsi da quando riceveva l’avviso per una missione a


quando si dispiegava oltreoceano. Il tempo previsto era di ventun giorni; adesso Slater<br />

voleva che fosse ridotto di quasi il 30 per cento 13 .<br />

I sei velivoli che sarebbero stati usati per la missione furono sottoposti a una nuova<br />

batteria di test di simulazione di volo. Il comandante Slater teneva alto il morale dei piloti<br />

e a bada il dissenso del Pentagono. Persino i contractor esterni furono incoraggiati a stare<br />

al passo: Slater mise una squadra di operai a scavare un lago. Cinquant’anni dopo, il<br />

bacino artificiale del Groom <strong>La</strong>ke si chiama ancora Slater <strong>La</strong>ke. Adesso che gli aerei<br />

volavano alla velocità massima e alla quota più alta, era venuto il momento di battere i<br />

record. Nel dicembre del 1966 uno dei piloti stabilì un record di velocità che sarebbe<br />

rimasto imbattuto anche nel ventunesimo secolo. Bill Park percorse 16.312 chilometri in<br />

poco più di sei ore a una media record di 2.671,5 chilometri orari. Park aveva sorvolato i<br />

quattro angoli dell’America 14 ed era tornato alla base in meno tempo di quello che la<br />

maggior parte degli uomini trascorrevano in ufficio ogni giorno. I piloti del progetto che<br />

desideravano spasmodicamente una missione avevano la sensazione che sarebbero<br />

potuti partire in qualunque momento. E poi, nel gennaio del 1967, accadde la tragedia.<br />

Il pomeriggio del 5 gennaio 1967 Walt Ray stava pilotando un Oxcart per un breve volo<br />

di prova. Al Ranch nevicava. Walt Ray stava oltrepassando la cittadina di Farmington,<br />

New Mexico, esattamente alle 15.22 quando abbassò lo sguardo e vide che la lancetta<br />

nera dell’indicatore del carburante si stava improvvisamente muovendo 15 verso sinistra<br />

troppo in fretta.<br />

«Ho una perdita di carburante e non so che cosa sta succendo» disse al colonnello<br />

Slater nelle cuffie 16 , rompendo il silenzio radio per comunicare su una frequenza riservata<br />

alle emergenze. <strong>La</strong> trascrizione sarebbe rimasta classificata fino al 2007. «Credo di<br />

potercela fare» disse Ray. Era a 210 chilometri dalla pista dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e volava a velocità<br />

subsonica per risparmiare carburante. Ma venti minuti dopo, sopra Hanksville, Utah, Ray<br />

dichiarò un’emergenza. Aveva portato l’aereo a 9.000 metri quando uno dei motori si era<br />

spento. L’aereo spia da 67 milioni di dollari era rimasto <strong>senza</strong> carburante.<br />

«Mi sto eiettando» 17 furono le ultime parole che Walt Ray disse al colonnello Slater.<br />

Quando Ray si eiettò, il seggiolino al quale era legato fu sparato via dall’aeroplano da<br />

un piccolo razzo. Le corde del paracadute si impigliarono nel poggiatesta e lui non riuscì a<br />

liberarsi del seggiolino 18 . Walt Ray cadde per 9.000 metri <strong>senza</strong> paracadute e si schiantò<br />

sul fianco di una montagna nei pressi di Leith, Nevada. Qualche secondo dopo l’ultima<br />

trasmissione del pilota, il comandante Slater diede ordine di far decollare tre aerei dalla<br />

base per andare a cercare Walt Ray e qualunque cosa fosse rimasta del suo aeroplano.<br />

Nessuno immaginava che il pilota di trent’anni fosse già morto. Oltre agli aerei di ricerca<br />

e salvataggio che si alzarono in volo dal Groom <strong>La</strong>ke, l’aeronautica mandò quattro velivoli<br />

e due elicotteri dalla base di Nellis. Il luogo dell’incidente doveva essere messo in<br />

sicurezza alla svelta, prima che qualunque civile arrivasse sul posto.<br />

Trascorsero ventitré ore <strong>senza</strong> che si trovasse traccia del pilota o dell’aereo. Fu fatto<br />

decollare un U-2 per fotografare la zona dove si credeva che Walt Ray si fosse lanciato.<br />

Mentre l’U-2 sfrecciava ad alta quota, Roger Andersen volava più basso, a bordo di un T-<br />

33 19 . Il terreno era accidentato ed era difficile vedere qualcosa. L’elicotterista Charlie


Trapp trovò prima l’aereo 20 . «Vidi delle lunghe strisce di pellicola sulla cima di un crinale»<br />

ricorda Trapp. «Atterrai dove riuscii e feci scendere i miei pararescue. Corsero verso<br />

l’Oxcart, quello che ne rimaneva, e quando tornarono indietro dissero: “Walt non c’è, e<br />

nemmeno il suo seggiolino”.» L’Oxcart era precipitato in una zona desertica sul versante<br />

di una montagna punteggiata di chaparral. Trapp e il suo equipaggio tornarono all’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> e con l’aiuto dei navigatori indicarono su una mappa al posto di comando tutti i posti<br />

dove Walt Ray poteva essere atterrato dopo l’eiezione. Quindi tornarono indietro e<br />

continuarono a cercare.<br />

Charlie Trapp trovò Walt Ray più in alto rispetto a dov’era precipitato l’Oxcart, a quasi<br />

cinque chilometri di distanza. «Vidi un riflesso di luce sul suo casco» racconta Trapp. «Era<br />

ancora sul suo seggiolino, sotto un grande cedro.» <strong>La</strong> zona fu delimitata e le strade<br />

sterrate che conducevano al luogo dell’incidente furono sbarrate e sorvegliate da guardie<br />

armate. Branchi di cavalli selvatici osservarono arrivare i camion e gli operai che li<br />

caricavano con i frammenti del jet per portarli al Groom <strong>La</strong>ke. L’operazione richiese nove<br />

giorni. Dopo un’indagine, fu stabilito che l’unica cosa che non andava sull’aereo spia era<br />

un indicatore del carburante difettoso. All’inizio, l’indicatore aveva erroneamente detto a<br />

Walt Ray che aveva abbastanza carburante per tornare all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, ma qualche minuto<br />

dopo gli aveva indicato che stava per rimanere a secco.<br />

<strong>La</strong> tragedia di un uomo può trasformarsi nell’occasione di un altro, e fu quello che<br />

successe a Frank Murray dopo la morte di Walt Ray. In seguito all’incidente il generale<br />

Ledford si recò alla base per prender parte all’indagine. Quando fu il momento di tornare<br />

a Washington, chiese a Frank Murray di portarlo in aereo. «Mentre eravamo in volo»<br />

ricorda Murray «Ledford mi disse alla radio: “Ti piacerebbe pilotare l’aereo?” 21 e io<br />

replicai: “Buttami nella mischia, capo”, e per quanto mi riguardava la selezione era<br />

finita.» A Murray fu assegnato l’indicativo di chiamata che era stato di Walt Ray, Dutch<br />

20. Adesso non era più un pilota di caccia, ma era entrato a far parte del team d’élite dei<br />

piloti di aerei spia.<br />

I funzionari del dipartimento della Difesa usarono a loro vantaggio la tragica morte di<br />

Walt Ray e la perdita di un altro aereo della CIA. L’ufficio budget e quello del segretario<br />

alla Difesa si incontrarono in segreto, <strong>senza</strong> rappresentanti dell’agenzia. Nella riunione<br />

sottolinearono il fatto che l’operazione coperta da parecchie centinaia di milioni di dollari<br />

della CIA aveva prodotto quindici aerei, cinque dei quali erano già precipitati. I due uffici<br />

presentarono i loro risultati al presidente Johnson, accompagnati dalla raccomandazione<br />

che il programma Oxcart fosse “dismesso”.<br />

Richard Helms era furibondo. In una lettera di otto pagine indirizzata al presidente 22 ,<br />

disse a Johnson che il pensionamento dell’Oxcart sarebbe stato uno scandaloso spreco di<br />

una risorsa importante 23 . <strong>La</strong> CIA aveva diretto meticolosamente e con successo 453<br />

missioni spia con gli U-2 in trenta paesi ostili e solo una di esse, l’abbattimento di Gary<br />

Powers, aveva provocato un incidente internazionale, disse Helms. Ma quell’evento in<br />

realtà portava argomenti a sostegno del fatto 24 che doveva essere la CIA, e non<br />

l’aeronautica militare, a dirigere il programma di aerei spia, spiegò Helms. I russi non<br />

avevano messo in atto ritorsioni contro gli Stati Uniti proprio perché Powers era un<br />

agente dell’intelligence e non un soldato. Alla fine Powers era stato rilasciato in cambio di


una spia sovietica. Helms perorò ulteriormente il suo punto di vista sostenendo che, a<br />

differenza dei militari, la CIA «non controlla nessuna arma nucleare 25 , il che esclude<br />

qualunque ipotesi che un subordinato possa scatenare una guerra atomica». Helms aveva<br />

ragione. Ma il presidente avrebbe visto le cose allo stesso modo 26 ?<br />

Il mese successivo, nel febbraio del 1967, il colonnello Slater fu di nuovo convocato a<br />

Washington: era la quinta volta in sei mesi. In una stanza piena di membri della 303<br />

Committee, gli fu detto che il programma Oxcart sarebbe stato definitivamente chiuso a<br />

partire dal 1° gennaio 1968. Non c’era spazio per le discussioni; il destino dell’Oxcart era<br />

stato deciso, il caso era chiuso. Slater ricevette istruzioni di tornare all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> 27 e di<br />

tenere pronta la sua squadriglia operativa mentre l’SR-71 Blackbird passava gli ultimi test<br />

di volo. Anche se il colonnello era un uomo dell’aeronautica, il suo cuore batteva per il<br />

programma Oxcart della CIA. Slater era il comandante e in quel momento l’Oxcart era<br />

innegabilmente l’aereo più avanzato del mondo.<br />

Il colonnello Slater si era recato a Washington a bordo di un F-101 e sulla via del ritorno<br />

si fermò alla base di Wright-Patterson per fare rifornimento. Mostrò i propri documenti di<br />

identificazione e saltò la fila, passando davanti a un generale a due stelle 28 . Mentre tutti<br />

lo fissavano chiedendosi chi fosse, Slater considerò l’ironia di tutto quanto. Nel giustificare<br />

perché l’Oxcart doveva essere messo in pensione, la 303 Committee aveva affermato che<br />

l’Oxcart era l’esempio dei costi eccessivi delle operazioni coperte della CIA. Dal punto di<br />

vista di Slater, a parte alcuni dettagli superflui, l’Oxcart valeva ogni centesimo speso<br />

dall’agenzia. Gli ostacoli tecnici superati dall’Oxcart avrebbero probabilmente<br />

impressionato gli scienziati e gli ingegneri per altri trent’anni. <strong>La</strong> cosa che gli sarebbe<br />

bruciata di più era il tradimento dell’incredibile sensazione di vittoria condivisa da tutti<br />

coloro che avevano lavorato al progetto. Ma così vanno le cose, pensò Slater. L’Oxcart<br />

non avrebbe mai compiuto una missione e gli americani probabilmente non avrebbero<br />

mai saputo che cosa la CIA era stata capace di fare, in totale segretezza, al Groom <strong>La</strong>ke,<br />

non per molto tempo, almeno.<br />

Era un errore cancellare l’Oxcart, rifletté. Ma sapeva che la sua opinione non contava. Il<br />

suo ruolo era quello di comandante della base: sarebbe tornato all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e avrebbe<br />

eseguito gli ordini, come fa ogni bravo militare.<br />

Tre mesi dopo, in un piacevole giorno di primavera del maggio del 1967, il colonnello<br />

Slater decise di prendere l’Oxcart per un ultimo volo. Alcuni dei piloti avevano alle spalle<br />

quattrocento ore di volo sull’aereo spia; Walt Ray ne aveva 358 quando era morto, ma il<br />

colonnello ne aveva solo dieci. Perché non mettersi ai comandi dell’aereo<br />

scientificamente più avanzato del mondo per farsi un giro quando ancora ne aveva la<br />

possibilità? Presto l’Oxcart sarebbe scomparso nel cimitero degli aerei sperimentali,<br />

lasciato a ricoprirsi di polvere in qualche hangar isolato di Palmdale, in California, dove<br />

nessuno l’avrebbe mai più pilotato. Slater andò da Werner Weiss 29 per chiedergli se<br />

poteva organizzargli un ultimo volo con l’aereo supersonico.<br />

«Consideralo cosa fatta» gli disse Weiss.<br />

Dopo il decollo Slater portò rapidamente l’aereo a 21.000 metri di quota. Aveva<br />

dimenticato quanto fosse leggero l’Oxcart; aveva una struttura simile a quella di una


farfalla, cosa che consentiva ai piloti di portarlo tanto in alto. Viaggiare a Mach 2,5<br />

causava il surriscaldamento della cabina: era come stare dentro un forno caldissimo. Se<br />

Slater si fosse sfilato un guanto e avesse toccato il finestrino, si sarebbe procurato<br />

un’ustione di secondo grado. Accelerò per portare l’Oxcart a Mach 3 e a 27.000 metri di<br />

quota, coprendo i 1.120 chilometri che lo separavano da Billings, in Montana, in circa<br />

ventitré minuti.<br />

Si credeva erroneamente che a quella velocità e quell’altitudine il pilota potesse<br />

guardare fuori dal finestrino e dare un’occhiata. Sbagliato. Anche quando si raggiungeva<br />

la quota di crociera, bisognava tenere gli occhi fissi su ogni indicatore, oscillatore e<br />

strumento del quadro di comandi. Troppe cose potevano andare storte.<br />

Il colonnello Slater si diresse verso il confine canadese, dove fece una virata a sinistra e<br />

seguì il confine statunitense fino allo stato di Washington. Qui eseguì un’altra virata a<br />

sinistra e si diresse verso l’Oregon e la California. Infine portò l’aereo a 7.600 metri di<br />

quota e si preparò per il rifornimento previsto. Qualche minuto dopo incontrò il KC-135<br />

della 903 rd Air Refueling Squadron (903 a squadriglia di rifornimento in volo) che era<br />

decollato dalla base di Beale nella contea di Yuga, California.<br />

Il rifornimento in volo era una delle operazioni più pericolose per un pilota di Oxcart.<br />

Per collegare il tubo del carburante all’aerocisterna, l’aereo doveva volare a una velocità<br />

compresa tra 560 e 720 chilometri orari, così lento da riuscire a malapena a rimanere in<br />

aria. <strong>La</strong> questione della velocità era un problema anche per l’aerocisterna. Il KC-135 era<br />

costretto ad andare al massimo della sua potenza solo per riuscire a mantenersi in<br />

assetto con l’Oxcart. Era sempre un’operazione snervante, complicata dal fatto che il<br />

colonnello Slater ricevette una chiamata sulla frequenza d’emergenza esattamente in<br />

quel momento. Qualunque cosa fosse successa all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per meritare quella chiamata<br />

d’emergenza, molto probabilmente non era una buona notizia.<br />

Slater rispose. Era il colonnello Paul Bacalis, l’uomo che aveva sostituito Ledford nel<br />

ruolo di direttore dell’Office of Special Activities della CIA. Bacalis disse a Slater che era<br />

arrivata una chiamata urgente per lui dal Pentagono e che doveva tornare<br />

immediatamente all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

«Sto facendo rifornimento» disse.<br />

«<strong>La</strong>scia perdere» replicò Bacalis.<br />

«Non può aspettare?» chiese Slater.<br />

«No» rispose Bacalis. «Dove sei?»<br />

«Sopra la California» disse Slater.<br />

«Dirigiti in mare aperto, scarica il carburante e torna alla base» gli ordinò il colonnello<br />

Bacalis.<br />

Slater scaricò 18.000 litri di carburante e lo guardò evaporare nell’atmosfera. Era<br />

fondamentale che gliene rimanessero 38.000 litri per tornare a casa, non molti di più ma<br />

assolutamente non di meno. Poco carburante, e avrebbe fatto la fine di Walt Ray. Troppo,<br />

e l’aereo avrebbe potuto rompere i freni durante l’atterraggio e finire fuori pista. Adesso<br />

Slater doveva invertire la rotta e tornare alla base. Volando a una velocità pari a tre volte<br />

quella del suono, l’Oxcart aveva bisogno di 300 chilometri di spazio solo per virare. E così<br />

Slater fece fare una stretta virata all’aereo, dal largo della costa di Big Sur fino a Santa


Barbara.<br />

Quando arrivò all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, Werner Weiss e il colonnello Bacalis lo stavano aspettando<br />

nel suo ufficio. Sorridevano. Il colonnello Bacalis fece il numero del Pentagono e passò la<br />

cornetta a Slater. Mentre il telefono squillava, Bacalis lo mise al corrente di quello che<br />

stava succedendo.<br />

Slater non riusciva a credere alle proprie orecchie.<br />

«Il presidente ha dato il via libera all’Oxcart» gli disse Bacalis «stanno arrivando gli<br />

ordini.» Fu allora che giunse la sfida finale: Bacalis chiese a Slater se poteva preparare i<br />

suoi uomini in quindici giorni.


Capitolo 16<br />

L’OPERAZIONE BLACK SHIELD<br />

E LA STORIA SEGRETA<br />

DELLA USS PUEBLO 1<br />

Richard Helms faticò non poco a farsi accettare nel circolo ristretto del presidente<br />

Johnson, il quale una volta gli aveva detto di non aver «mai capito del tutto l’utilità<br />

dell’intelligence» 2 . Ma alla fine riuscì a ottenere l’agognato posto a tavola ai pranzi<br />

presidenziali del martedì, nel corso dei quali Johnson e i suoi consiglieri più stretti<br />

parlavano di politica. Gli altri chiamavano quegli incontri i “martedì dell’obiettivo” 3 perché<br />

si faceva un gran discutere di quale città del Vietnam del Nord bombardare. Nel 1967 le<br />

battaglie aeree infuriavano nei cieli sopra Hanoi e Haiphong, con un numero talmente<br />

elevato di piloti americani abbattuti rispetto a quelli nemici che il rapporto era di nove a<br />

uno. Il Pentagono non era riuscito a localizzare le basi nel Vietnam del Nord da cui<br />

partivano i missili terra-aria responsabili di quella situazione, nonostante le stesse<br />

cercando da anni. A partire da gennaio erano state compiute 37 missioni con gli U-2,<br />

come pure centinaia di voli a bassa quota con i droni dell’aeronautica, eppure il<br />

Pentagono non aveva idea di dove si trovassero esattamente. C’erano anche altri timori:<br />

girava voce che i russi stessero fornendo ai nordvietnamiti missili terra-terra con una<br />

gittata sufficiente a colpire i soldati americani di stanza nel Sud.<br />

Il che spiegava come mai l’Oxcart, di cui era già stata fissata la cancellazione, aveva<br />

miracolosamente ottenuto la sua missione… nel corso di un “martedì dell’obiettivo”. Il 16<br />

maggio 1967 Helms giocò l’ultima carta a favore dell’adorato aereo spia, a cui si lavorava<br />

da nove anni ma che era a un passo dall’essere messo da parte per sempre. Helms disse<br />

al presidente 4 che impiegandolo per missioni sul Vietnam del Nord, gli strateghi<br />

avrebbero ottenuto fotografie ad alta risoluzione delle basi missilistiche che stavano<br />

cercando. «Fotografie dettagliate, non cerchi confusi» garantì a Johnson. Il segretario alla<br />

Difesa McNamara, il quale tramava con tutti i mezzi a sua disposizione perché<br />

l’aeronautica prendesse il controllo della ricognizione aerea, aveva giurato che l’SR-71<br />

Blackbird era quasi pronto. Ma la missione doveva essere fatta subito, ribatté Helms: era<br />

già maggio e a giugno il Sudest asiatico sarebbe stato nel pieno del monsone. Le<br />

condizioni meteo erano fondamentali per ottenere buone fotografie, continuò Helms; le<br />

macchine fotografiche non potevano vedere attraverso le nuvole. Il presidente Johnson si<br />

convinse; prima del dessert autorizzò il dispiegamento dell’Oxcart della CIA alla base di<br />

Kadena su Okinawa, in Giappone.


Era un trionfo per l’agenzia. <strong>La</strong> mattina successiva ebbe inizio il ponte aereo dall’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> a Kadena. <strong>La</strong> 1.129 th Special Activities Squadron veniva dispiegata per l’operazione<br />

Black Shield. Quattrocentocinquanta tonnellate di equipaggiamento, 260 uomini di<br />

supporto 5 , sei piloti e tre aerei erano diretti verso il Mar Cinese orientale. Nove anni dopo<br />

che Ed Lovick aveva presentato i suoi progetti dell’Oxcart, Kelly Johnson avrebbe scritto<br />

nel suo diario: «L’uccello sta per lasciare il nido» 6 .<br />

<strong>La</strong> base aerea di Kadena si trovava sull’isola di Okinawa subito a nord del Tropico del<br />

Cancro, nel Mar Cinese Orientale. Era un’isola tormentata da un passato terribile, con<br />

centinaia di migliaia di caduti in guerra. Okinawa era stata il terreno della battaglia più<br />

sanguinosa della storia; era lo stesso fazzoletto di terra dove ventidue anni prima le forze<br />

alleate avevano combattuto i giapponesi. Okinawa era l’ultima isola prima della<br />

terraferma e nel corso di 82 giorni nella primavera del 1945 la guerra del Pacifico<br />

raggiunse il suo apice. A Okinawa l’esercito americano lamentò 38.000 feriti e 12.000<br />

morti o dispersi; le perdite giapponesi ammontarono a cifre oggi inconcepibili: 107.000<br />

morti tra i soldati e 100.000 tra i civili. Quando il generale di corpo d’armata Ushijima<br />

Mitsuru finalmente capitolò, consegnando l’isola agli americani il 21 giugno 1945, fu così<br />

sopraffatto dalla vergogna che il giorno successivo si suicidò. Migliaia di abitanti di<br />

Okinawa provavano lo stesso sentimento e si gettarono dalle alte scogliere dell’isola.<br />

Quando la polvere della battaglia si fu posata, Okinawa apparteneva all’esercito degli<br />

Stati Uniti. Due decenni dopo, la situazione era rimasta immutata.<br />

Quando Ken Collins arrivò a Okinawa, la base di Kadena si estendeva su oltre il 10 per<br />

cento dell’isola e rappresentava il 40 per cento della fonte di reddito degli abitanti 7 . Alla<br />

1.129 th Special Activities Squadron fu assegnata una zona separata della base, il luogo da<br />

dove sarebbe stata lanciata l’operazione Black Shield. Nessuno doveva sapere che la<br />

squadriglia si trovava lì. I piloti erano stati istruiti di farsi notare il meno possibile 8 e<br />

vivevano in alloggiamenti di semplici capanni Quonset pressoché identici a quelli dell’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong>, anche se al posto del terreno arido del deserto lì c’erano prati di erba verde e fiori<br />

tropicali.<br />

<strong>La</strong> missione Oxcart era coperta e classificata, e non ci sarebbe stata «nessuna storia di<br />

copertura plausibile» 9 capace di spiegare l’andirivieni regolare dalla base di un aereo<br />

dalla forma strana che volava a Mach 3. Per questa ragione, lo stato maggiore congiunto<br />

suggerì che il comandante Slater «si concentrasse sulla sicurezza, non sulla copertura».<br />

Un’idea fu quella di «creare l’illusione che fosse in corso un qualche test ambientale o<br />

tecnico», ma nessuno credeva che la storia avrebbe retto. Nel giro di una settimana da<br />

quando il primo Oxcart era atterrato sulla pista di Kadena, un peschereccio russo dall’aria<br />

minacciosa entrò nel porto e gettò l’àncora in vista della lunghissima pista. «I russi<br />

sapevano che noi eravamo lì e noi sapevamo che loro sapevano che eravamo lì» ricorda il<br />

colonnello Slater.<br />

Per quanto sembrasse impossibile, la prima missione dell’Oxcart 10 sulla zona<br />

smilitarizzata del Vietnam del Nord fu portata a termine come promesso, solo quindici<br />

giorni dopo che Helms aveva compiuto il miracolo al pranzo del martedì. <strong>La</strong> missione fu


assegnata al pilota della CIA Mele Vojvodich, il quale decollò alle undici ora locale nel<br />

mezzo di un diluvio: il primo vero volo dell’Oxcart sotto la pioggia. Nei poco più di nove<br />

minuti che Vojvodich passò sopra il Vietnam del Nord, alla velocità di Mach 3,1 e a una<br />

quota di oltre 24.000 metri, l’Oxcart fotografò 70 delle 190 sospette basi di missili terraaria.<br />

Né i cinesi né i nordvietnamiti si accorsero di essere stati spiati.<br />

Dopo che la prima missione fu portata a termine, la pellicola venne mandata a un<br />

centro speciale per lo sviluppo nell’impianto Eastman Kodak di Rochester, New York. Ma<br />

quando l’intelligence fotografica arrivò 11 ai comandanti sul campo in Vietnam, le<br />

informazioni erano già vecchie di parecchi giorni. I nordvietnamiti spostavano le basi di<br />

lancio dei missili – sia quelle vere sia quelle finte – così velocemente che nessuno riusciva<br />

a stargli dietro. <strong>La</strong> CIA si rese conto che era necessario accelerare drasticamente il<br />

processo e allestì in tutta fretta un centro di sviluppo fotografico sulla terraferma<br />

giapponese. Ben presto i comandanti sul terreno ebbero in mano le informazioni<br />

ventiquattr’ore dopo le missioni Oxcart sul Vietnam del Nord.<br />

Eppure questo non impedì che i nordvietnamiti continuassero a spostare i missili e a<br />

evitare i raid di bombardamento. Erano aiutati dall’Unione Sovietica. «Ecco la ragione<br />

della pre<strong>senza</strong> di quel peschereccio nel porto vicino alla base di Kadena. Qualcuno<br />

osservava e prendeva nota ogni volta che ci alzavamo in volo» racconta Roger Andersen,<br />

il quale era stato assegnato alla postazione di comando della base con l’incarico di<br />

renderla operativa.<br />

A Kadena, gli addetti alle operazioni cercavano di ingannare le spie russe sul<br />

peschereccio volando di notte, e tuttavia delle prime sette missioni Black Shield, quattro<br />

furono «individuate e seguite» 12 . I nordvietnamiti riuscivano a prevedere l’arrivo degli<br />

Oxcart sulla base dell’ora in cui decollavano dalla base. Con quell’informazione passata<br />

loro dai russi, il sistema di guida radar Fan Song riusciva ad agganciare il radioricevitore<br />

dell’A-12. Il primo tentativo di abbattimento 13 si verificò durante la sedicesima missione<br />

dell’operazione Black Shield: nelle fotografie scattate dall’Oxcart si possono vedere le scie<br />

di condensazione di missili terra-aria sotto l’aereo. Fortunatamente per i piloti, i missili<br />

non riuscivano ad arrivare alla quota a cui volava l’Oxcart. Nel nuovissimo gioco del gatto<br />

con il topo l’aereo era in vantaggio: era veloce, alto e invisibile, e non poteva essere<br />

abbattuto. Ma il nemico sapeva della pre<strong>senza</strong> dell’aeroplano, il che significava che era<br />

ben lontano dall’essere invisibile come avevano previsto Richard Bissell e il presidente<br />

Eisenhower.<br />

Per i piloti americani che volavano sopra il Vietnam del Nord, il vero pericolo rimaneva<br />

in basso, a circa 14.000 metri, la quota a cui i missili terra-aria e i MIG stavano<br />

abbattendo gli aerei statunitensi al terrificante ritmo di nove contro uno. Ken Collins<br />

ricorda com’era la situazione all’epoca: «Durante Black Shield, noi eravamo relativamente<br />

al sicuro a 26.000 metri. Erano i piloti che volavano più bassi a rischiare davvero. Si<br />

trattava dei ragazzi con cui la maggior parte di noi era stata nell’aeronautica prima che ci<br />

dessero una ripulita e ci prendessero a lavorare per la CIA».<br />

Piloti straordinari come Hervey Stockman. Stockman era stato il primo uomo a<br />

sorvolare l’Unione Sovietica a bordo di un U-2, il 4 luglio 1956. Undici anni dopo, l’11<br />

giugno 1967, Stockman era sopra il Vietnam del Nord in cerca di informazioni sui depositi


di armi quando era rimasto coinvolto in un incidente in volo. Pilota eccezionalmente<br />

dotato e coraggioso, Stockman era alla 310 a missione di una carriera che aveva coperto<br />

tre guerre quando il suo caccia F-4C Phantom aveva urtato l’ala di un altro aereo 14 . Sia lui<br />

sia Ronald Webb sopravvissero all’eiezione e quando toccarono terra furono catturati dai<br />

soldati nordvietnamiti, picchiati e presi prigionieri. Stockman avrebbe passato i cinque<br />

anni successivi in una cella di due metri per due. Prima l’avevano tenuto nel famigerato<br />

Hanoi Hilton; in seguito sarebbe stato trasferito in una serie di prigioni una peggio<br />

dell’altra. Durante Black Shield la CIA assegnò ai piloti Oxcart missioni di ricerca dei piloti<br />

americani precipitati 15 sul Vietnam del Nord. Le macchine fotografiche dell’aereo<br />

scattarono migliaia di fotografie cercando informazioni sui luoghi di detenzione dove<br />

erano rinchiusi eroi come Hervey Stockman e centinaia di altri prigionieri di guerra, ma<br />

<strong>senza</strong> successo. I nordvietnamiti spostavano i loro ostaggi quasi altrettanto spesso dei<br />

missili.<br />

I piloti catturati divennero parte delle campagne di propaganda comunista contro<br />

l’Occidente. I prigionieri di guerra venivano picchiati, torturati, incatenati e trascinati<br />

davanti alle telecamere, spesso costretti a denunciare gli Stati Uniti. Se i comunisti<br />

volevano sollevare contestazioni in America, cosa che fecero, ci riuscirono sfruttando a<br />

fini propagandistici i piloti catturati. In tutti gli Stati Uniti l’opposizione alla guerra stava<br />

crescendo. <strong>La</strong> Casa Bianca e il Pentagono replicarono con la propaganda e informazioni<br />

errate. «Stiamo cominciando a vincere questa guerra» si vantò il vicepresidente Hubert<br />

Humphrey durante una trasmissione di Today sulla NBC nel novembre del 1967. Mentre<br />

udienze a porte chiuse della Senate Armed Services Committee (Commissione del Senato<br />

sulle forze armate) rivelavano che le campagne di bombardamento stavano avendo<br />

pochissima efficacia, se non addirittura nessuna, Humphrey disse all’America che c’erano<br />

più comunisti che deponevano le armi di quanti ce ne fossero che le prendevano; che i<br />

programmi di “purificazione” anticomunista in Vietnam andavano a gonfie vele. Verso la<br />

fine di quello stesso mese il comandante supremo degli Stati Uniti, il generale<br />

Westmoreland, si scavò la fossa con le proprie mani. Disse al National Press Club che i<br />

comunisti erano «incapaci di mettere in atto un’offensiva su larga scala»; che l’America<br />

avrebbe potuto perdere la guerra nel 1965, ma che adesso la stava vincendo. In<br />

un’intervista a «Time», Westmoreland si fece beffe dei comunisti definendoli deboli.<br />

«Spero che in qualche modo ci provino, perché ciò che cerchiamo è proprio lo scontro<br />

diretto» 16 dichiarò. Fu accontentato. Alla fine di gennaio i comunisti finsero di accettare<br />

un cessate il fuoco di tre giorni per celebrare l’anno nuovo, una ricorrenza che in<br />

vietnamita si chiama Tet Nguyen Dan, ma stavano facendo il doppio gioco. Il 31 gennaio<br />

1968 lanciarono un attacco a sorpresa alle forze armate americane nel Vietnam del Sud.<br />

<strong>La</strong> famigerata offensiva del Tet colse completamente di sopresa il Pentagono e suscitò<br />

una violenta protesta contro la guerra, rivelandosi un punto di svolta della sconfitta<br />

americana in Vietnam.<br />

Fu in quello stesso periodo che si verificò un’altra crisi decisiva nella quale l’Oxcart<br />

giocò un ruolo segreto i cui dettagli sono stati resi pubblici solo nel 2007. Nella nebbiosa<br />

mattinata del 23 gennaio 1968, circa 3.200 chilometri a nordest del Vietnam, la nave


americana USS Pueblo entrò nelle acque gelide al largo della Corea del Nord e gettò<br />

l’àncora. <strong>La</strong> storia di copertura voleva che la Pueblo stesse conducendo ricerche<br />

scientifiche, ma in realtà si trattava di una missione di spionaggio 17 , un’operazione<br />

congiunta dell’NSA e della marina con lo scopo di raccogliere informazioni mediante<br />

l’intercettazione e l’analisi di segnali (SIGINT). Oltre all’equipaggio regolare, a bordo<br />

c’erano 28 specialisti SIGINT che lavoravano a porte chiuse in una zona vietata della nave.<br />

Ancorata 15,8 miglia al largo dell’isola nordcoreana di Ung-do, tecnicamente la Pueblo<br />

era in acque internazionali.<br />

Il regime comunista della Corea del Nord non la vedeva in quel modo. <strong>La</strong> nave era<br />

abbastanza vicina perché fosse possibile intercettarne le comunicazioni sul porto di<br />

Wonson, il che la rendeva un obiettivo per l’esercito popolare coreano, il KPA. Quando uno<br />

dei membri dell’equipaggio della Pueblo rilevò sul radar che una nave del KPA si stava<br />

avvicinando, il capitano dell’incrociatore, Lloyd M. Bucher, andò sul ponte per dare<br />

un’occhiata. Quello che Bucher vide con il binocolo non era una semplice nave militare,<br />

ma un cacciatorpediniere con i lanciamissili puntati dritti sulla Pueblo. Bucher ordinò di<br />

segnalare tramite bandiere che la Pueblo stava conducendo una missione di ricerca<br />

idrografica, una storia a cui i nordcoreani ovviamente già non credevano. Nel giro di pochi<br />

minuti il maresciallo Gene <strong>La</strong>cy individuò all’orizzonte parecchie imbarcazioni più piccole:<br />

motosiluranti provenienti da Wonson. Quindi comparvero due MIG 18 .<br />

A quel punto il capitano Bucher aveva tra le mani un incubo di sicurezza nazionale. <strong>La</strong><br />

sua nave era zeppa di migliaia di documenti classificati, manuali di crittografia e<br />

macchine cifranti. Peggio ancora, sulla Pueblo c’era una macchina crittografica KW-7,<br />

l’equivalente della stele di Rosetta della cifratura navale. Il capitano prese in<br />

considerazione l’eventualità di affondare la nave 19 , operazione che avrebbe richiesto 47<br />

minuti, ma in seguito spiegò che se l’avesse fatto avrebbe certamente scatenato uno<br />

scontro a fuoco. <strong>La</strong> maggior parte delle zattere di salvataggio della Pueblo sarebbero<br />

state distrutte e in quelle acque gelide gli uomini sarebbero morti nel giro di qualche<br />

minuto. Bucher decise di filarsela.<br />

<strong>La</strong> nave nordcoreana issò una bandiera che segnalava: «Fermatevi o apriamo il fuoco».<br />

Il capitano Bucher segnalò in risposta: «Grazie per l’avvertimento. Stiamo lasciando la<br />

zona». Ma i nordcoreani aprirono il fuoco. Bucher fu ferito dalle schegge di uno shrapnel<br />

che lo colpirono a una gamba e alla schiena. Mentre la Pueblo si allontanava, i<br />

nordcoreani continuarono a sparare, uccidendo un marinaio americano di nome Duane<br />

Hodges. Nel frattempo, dietro la porta segreta, gli specialisti SIGINT distruggevano gli<br />

strumenti di cifratura con delle asce e ficcavano i documenti in un piccolo inceneritore.<br />

Nonostante la fretta e la rapidità con cui bruciavano le carte, il 90 per cento dei<br />

documenti rimase intatto 20 . Sessantun minuti dopo essere stato colpito, il capitano<br />

Bucher non aveva più il controllo della nave. L’esercito popolare coreano abbordò la<br />

Pueblo prendendo in ostaggio il capitano e gli 82 membri dell’equipaggio. Per la prima<br />

volta dopo 160 anni, un’imbarcazione americana era stata catturata da una nazione<br />

straniera. <strong>La</strong> scelta dei tempi non avrebbe potuto essere più infelice; l’America stava già<br />

perdendo un’altra guerra.<br />

Il presidente Johnson era furioso. Poche ore dopo la cattura della Pueblo, il Pentagono


iniziò segretamente a prepararsi per far guerra 21 alla Corea del Nord. Il giorno successivo<br />

McNamara convocò il consiglio di guerra per pianificare un attacco terrestre. «Il nostro<br />

obiettivo primario è riportare a casa gli uomini della Pueblo» disse McNamara,<br />

sottolineando che il piano doveva rimanere segretissimo: «Non una parola di quanto<br />

discusso in questa riunione deve uscire da qui». Fu messo a punto un imponente attacco<br />

aereo sulla Corea del Nord: una quantità pari a 15.000 tonnellate di bombe sarebbero<br />

state sganciate in appoggio alle forze di terra. Dato il gran numero di soldati e di avieri<br />

impegnati in Vietnam, per la guerra contro la Corea del Nord sarebbe stato necessario<br />

richiamare i riservisti. Fu preparato anche un massiccio ponte aereo strategico,<br />

denominato operazione Combat Fox. Nessuno sapeva che mancassero solo sei giorni<br />

all’offensiva del Tet. Una guerra con la Corea del Nord per la Pueblo sarebbe stato un<br />

conflitto difficilissimo da sostenere per gli Stati Uniti.<br />

Richard Helms suggerì che si poteva far decollare un Oxcart da Kadena per fotografare<br />

la costa della Corea del Nord e cercare di localizzare la Pueblo prima di decidere<br />

qualunque altra mossa. Per il momento, immediatamente dopo la cattura del<br />

cacciatorpediniere, non disponevano di alcuna informazione su dove fossero tenuti i<br />

marinai o su dove si trovasse la nave. Helms fece notare al presidente che se lo scopo<br />

era di riportare a casa gli 82 membri dell’equipaggio, era probabile che un attacco<br />

terrestre o aereo non sarebbero serviti dal momento che nessuno aveva idea del luogo in<br />

cui era tenuta la Pueblo. Una missione di ricognizione avrebbe inoltre permesso al<br />

Pentagono di capire se Pyongyang stesse mobilitandosi per una guerra in seguito<br />

all’incidente. Ma la cosa più importante di tutte era che la missione di spionaggio avrebbe<br />

dato alla crisi una necessaria pausa diplomatica.<br />

Tre giorni dopo l’arrembaggio alla Pueblo, il 26 gennaio, il pilota Jack Weeks decollò da<br />

Kadena per una sortita mirante a localizzare la nave. Dalle foto scattate in volo, gli Stati<br />

Uniti stabilirono l’esatta ubicazione del cacciatorpediniere 22 , ancorato nel porto ghiacciato<br />

della baia di Changjahwn. Prima di completare la missione ma comunque dopo aver<br />

scattato le fotografie necessarie, Jack Weeks ebbe problemi con l’aereo. Quando rientrò<br />

alla base, disse ai colleghi delle difficoltà 23 avute in volo ma non del successo della<br />

missione; le informazioni particolareggiate riguardanti la Pueblo erano così segrete che<br />

pochissimi sapevano 24 che le foto scattate durante il volo di Weeks avevano evitato la<br />

guerra con la Corea del Nord.<br />

«[L’Oxcart] localizzò in fretta la Pueblo catturata all’àncora nel porto di Wonson» rivelò<br />

nel 1994 Walt Rostow, il consigliere per la sicurezza nazionale di Johnson. «Così fummo<br />

costretti ad abbandonare qualunque piano di attaccarli con l’aviazione 25 . Sarebbe servito<br />

solo a uccidere un mucchio di gente, inclusi i nostri. Ma le foto scattate [dall’Oxcart]<br />

erano una prova che la nostra nave e i nostri uomini venivano tenuti in ostaggio. I<br />

coreani non potevano mentire su questo.» Il piano segreto del Pentagono contro la Corea<br />

del Nord fu ritirato e iniziarono i negoziati per il rilascio dell’equipaggio. Ma la<br />

sospettosissima amministrazione, che a quel punto era invischiata nelle ricadute politiche<br />

dell’offensiva del Tet, temeva che l’incidente della Pueblo potesse rivelarsi un altro<br />

doppio gioco dei comunisti. E se la Corea del Nord stava mobilitando segretamente le sue<br />

truppe per la guerra? Tre settimane e mezzo dopo, il 19 febbraio 1968, a Frank Murray fu


assegnata la seconda missione dell’Oxcart sopra la Corea del Nord 26 . Le fotografie<br />

scattate durante il volo indicavano che l’esercito della Corea del Nord non stava<br />

mobilitandosi. Ma a quel punto la Pueblo era in viaggio per Pyongyang, dove si trova<br />

ancora oggi: l’unica nave da guerra americana tenuta in ostaggio da una potenza<br />

straniera. Il capitano Bucher e i suoi uomini rimasero nelle mani dei nordcoreani per<br />

undici mesi, furono torturati, sottoposti a finte esecuzioni e indotti a confessare di essere<br />

spie finché furono finalmente rilasciati. Nel 2008 un giudice federale americano stabilì 27<br />

che la Corea del Nord avrebbe dovuto pagare 65 milioni di dollari di risarcimento a favore<br />

di parecchi membri dell’equipaggio, ma il governo di Pyongyang non ha mai risposto.<br />

Era passato un anno dall’inizio dell’operazione Black Shield. A Kadena era di nuovo<br />

primavera. Nei giorni liberi Ken Collins e il collega Jack Weeks indossavano le scarpe di<br />

tela e il costume da bagno per andare alla spiaggia. «Penso che Jack e io avessimo un<br />

rapporto diverso da quello con gli altri piloti. Non ci limitavano ad andarcene in giro<br />

insieme. Jack Weeks e io eravamo diventati amici» dice Collins 28 .<br />

I sei piloti di Oxcart dell’agenzia – Mele Vojvodich Jr, Jack W. Weeks, J. “Frank” Murray,<br />

Ronald J. “Jack” <strong>La</strong>yton, Dennis B. Sullivan e Kenneth B. Collins – avevano eseguito in<br />

totale ventinove missioni 29 : ventiquattro sul Vietnam del Nord, tre sulla Corea del Nord e<br />

due su Cambogia e <strong>La</strong>os, portando a localizzare e distruggere innumerevoli basi di missili<br />

terra-aria. Nonostante i timori del Pentagono, le fotografie non rivelarono neppure un<br />

missile terra-terra in grado di colpire le forze americane sul terreno. «Volavamo anche<br />

durante i bombardamenti dell’aeronautica americana, usando i sistemi di interferenza<br />

dell’Oxcart 30 per rendere inefficace la contraerea» ricorda Murray. Ma per quanto il<br />

programma Oxcart della CIA fosse un successo, il Blackbird dell’aeronautica era finalmente<br />

pronto. L’agenzia non poteva più competere con il Pentagono per le missioni a Mach 3 e il<br />

programma Oxcart giunse inevitabilmente al termine. I Blackbird stavano arrivando a<br />

Kadena per prendere il posto dell’Oxcart 31 . <strong>La</strong> versione biposto con le modifiche<br />

ricognizione/attacco, aveva ufficialmente vinto la battaglia tra la CIA e l’aeronatica<br />

militare per il controllo di qualunque tipo di veicolo provvisto di ali.<br />

A Washington, a porte chiuse, il segretario alla Difesa Robert McNamara disse al<br />

presidente Johnson di non credere più che si potesse vincere la guerra in Vietnam. <strong>La</strong><br />

cosa non piacque al presidente e nel febbraio del 1968 McNamara si dimise. Al suo posto<br />

fu nominato Clark Clifford il quale «ribadì la decisione di porre termine al programma A-<br />

2 32 e di mandare in pensione l’aereo». Gli uomini della 1.129 th Special Activities Squadron<br />

iniziarono a fare i bagagli per tornare all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Le missioni erano finite; era iniziata la<br />

fase discendente.<br />

Jack Weeks e Denny Sullivan furono incaricati di riportare un A-12 Oxcart all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>;<br />

Collins avrebbe eseguito i test finali sui motori da Kadena. Ma durante l’ultima settimana<br />

Jack Weeks si ammalò 33 , così Collins prese il suo posto. Con il cambiamento di<br />

programma, adesso a portare a casa gli A-12 sarebbero stati Collins e Sullivan, mentre a<br />

eseguire il test finale sul motore, il 4 giugno 1968, sarebbe stato Weeks, e non Collins<br />

come stabilito all’inizio.<br />

Collins e Sullivan tornarono all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per accumulare ore di volo in vista dell’ultimo


volo intercontinentale. Quando venne il momento di andare a Kadena, presero posto su<br />

un aereo a elica della Lockheed che li portò a Burbank e poi si imbarcarono su un volo di<br />

linea dalla West Coast a Tokyo. «Quella sera cenammo all’Hilton di Tokyo» ricorda<br />

Collins. «Finimmo di mangiare e stavamo tornando nelle nostre stanze quando sentimmo<br />

alla radio che Bobby Kennedy era stato assassinato a Los Angeles.» Scosso, Collins tornò<br />

nella hall per comprare un giornale, la versione in inglese del «Tokyo Times».<br />

«Nell’angolo destro della pagina c’era un trafiletto che attirò la mia attenzione. Il titolo<br />

diceva qualcosa tipo: “Incidente ad alta quota di un aeroplano dell’aeronautica militare<br />

americana”. Ebbi l’orribile sensazione di sapere che cosa significasse l’espressione “alta<br />

quota”.»<br />

Il giorno dopo Collins e Sullivan arrivarono a Kadena. Un autista dell’agenzia li andò a<br />

prendere all’aeroporto. Non appena la portiera si chiuse e gli uomini furono soli, l’autista<br />

si girò e disse in tono solenne: «Abbiamo perso un aereo».<br />

«Abbiamo perso un pilota» fu la replica di Collins.<br />

<strong>La</strong> missione di ricerca di Jack Weeks e del suo aereo fu assegnata all’ex pilota di U-2<br />

Tony Bevacqua. Dopo aver lasciato il Groom <strong>La</strong>ke 34 , nel 1957, Bevacqua aveva trascorso<br />

gli otto anni successivi pilotando l’U-2 in pericolose missioni di ricognizione e di raccolta di<br />

campioni in tutto il mondo, dall’Alaska all’Argentina. Durante la Guerra del Vietnam,<br />

Bevacqua eseguì voli di ricognizione su Hanoi con l’SR-71. (Durante uno di essi, il 26 luglio<br />

1968 35 , le fotografie scattate dal suo Blackbird mostravano due missili SA-2 diretti contro<br />

il suo aereo.) Ma quella che avrebbe ricordato per tutta la vita fu la missione che gli<br />

venne chiesto di eseguire il 5 giugno 1968, alla ricerca di Jack Weeks.<br />

Bevacqua era arrivato a Kadena il mese precedente, dopo essere stato selezionato per<br />

pilotare la versione dell’aeronautica dell’Oxcart, l’SR-71. «L’unica cosa che mi dissero quel<br />

giorno fu che c’era qualcuno disperso» racconta Bevacqua. «Non avevo bisogno di sapere<br />

altro. Ma credo fossi consapevole che si trattava di un pilota della CIA.» Il pilota caduto,<br />

gli fu detto, poteva essere da qualche parte nel mar Cinese meridionale, circa 520 miglia<br />

a est dell Filippine e 625 miglia a sud di Okinawa. «Quando partii, ero pieno di<br />

entusiasmo e pensavo: “Troverò questo ragazzo”. Ricordo l’aspettativa, la speranza che<br />

forse avrei visto una piccola zattera gialla che galleggiava da qualche parte in quel mare<br />

immenso.» E invece Bevacqua non vide altro che centinaia di miglia di mare aperto. «Era<br />

come cercare una goccia d’acqua nell’oceano» ricorda Bevacqua. Il giorno dopo la<br />

missione andò dagli analisti per chiedere se avessero trovato qualcosa sulle foto.<br />

«Dissero: “No, ci dispiace. Niente di niente”. Fine della storia» spiega Bevacqua.<br />

Jack Weeks era sparito. Svanito in mare. Non furono mai recuperati né il suo corpo né<br />

alcun pezzo dell’aereo. «Il destino è un cacciatore» dice pensoso Collins, ricordando la<br />

morte del suo amico. «Avrei dovuto pilotare io l’aereo quel giorno, ma Jack si ammalò e<br />

ci scambiammo i turni. Jack precipitò. Io sono ancora qui.»<br />

<strong>La</strong> 1.129 th Special Activities Squadron era giunta alla fine 36 . <strong>La</strong> CIA tenne una speciale<br />

cerimonia segreta all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> 37 per i piloti dell’Oxcart e le loro mogli. Alcuni vennero<br />

fotografati con il loro aereo ma non ricevettero copie dei ritratti da mettere nell’album o


da incorniciare. «Le foto finirono in una camera blindata» dice il colonnello Slater. «Ci<br />

dissero che avremmo potuto averne una copia quando, o se, il progetto fosse stato<br />

declassificato.» Roger Andersen ricorda quanto si fosse svolta in fretta l’operazione.<br />

«All’epoca, nel 1968, all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> erano in corso un sacco di altre operazioni, nessuna delle<br />

quali era per me un’informazione strettamente necessaria.» Andersen ebbe l’onore di<br />

pilotare l’ultimo aereo di supporto del progetto Oxcart, un T-33, per riportarlo alla base di<br />

Edwards. «Decollando dall’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, sapevo che mi sarebbe mancata» dice Andersen.<br />

«Anche dopo tutti questi anni, e dopo aver vissuto in tutto il mondo, posso dire che l’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> è diversa da qualunque altro posto sul pianeta.»<br />

Gli ufficiali di carriera dell’aeronautica o della CIA furono assegnati ad altri ruoli. Ken<br />

Collins fu reclutato dall’aeronautica per il programma SR-71. Dato che l’A-12 era<br />

classificato, nessuno dei nuovi colleghi sapeva che Collins aveva già alle spalle centinaia<br />

di ore di volo sull’aereo Mach 3. «<strong>La</strong> cosa lasciò molti di stucco. Sembrava che sapessi già<br />

come pilotare un aereo che si credeva appena costruito. Il mio passato non era<br />

un’informazione strettamente necessaria e non lo seppero per decenni», non finché il<br />

programma Oxcart non fu declassificato, nel 2007.<br />

Frank Murray si offrì volontario per combattere sul terreno, o almeno nei pressi, in<br />

Vietnam. «Durante Black Shield, nessuno aveva idea di dove mi trovassi. Più d’uno<br />

pensava che mi fossi imboscato per evitare la guerra. Decisi di tornare in Vietnam a<br />

pilotare aerei da combattimento.» Nel novembre del 1970, Murray fu mandato alla base<br />

aerea di Nakhon Phanom sul fiume Mekong di fronte al <strong>La</strong>os dove si offrì volontario per<br />

pilotare l’A-1 Skyraider, un aereo monoposto a elica che rappresentava un anacronismo<br />

nell’era del motore a reazione. «Raggiungeva una velocità di crociera di circa 260<br />

chilometri orari» racconta Murray. «Passai dal pilotare l’aereo più veloce del mondo a<br />

quello più lento. L’Oxcart rullava più veloce di quanto volasse l’A-1.» Data la lentezza<br />

dello Skyraider, l’aereo costituiva uno degli obiettivi più facili per i vietcong. «Spesso ci<br />

sparavano ma lo Skyraider era armato e io rispondevo al fuoco.» In un anno di servizio<br />

Murray, comandante della squadriglia, condusse 64 missioni di combattimento. Il ruolo<br />

più famoso dello Skyraider consisteva nello scortare gli elicotteri mandati a recuperare i<br />

soldati feriti sul campo. «<strong>La</strong> nostra missione era di fare da supporto ai Jolly Green Giant<br />

[gli elicotteri Sikorsky S-61]. Quell’anno recuperammo parecchi berretti verdi feriti in<br />

battaglia.»<br />

Il colonnello Slater fu nominato vicecomandante della 20 th Tactical Fighter Wing (20 a<br />

brigata aerea tattica) alla base di Wetherfield in Inghilterra. A detta di tutti era sulla<br />

buona strada per diventare generale dell’aeronautica americana. Poi ci fu la tragedia. <strong>La</strong><br />

figlia maggiore di Slater, Stacy, si trovava in luna di miele nella Sun Valley, in Idaho,<br />

quando l’aereo privato su cui volavano lei e il marito urtò una montagna e precipitò. Dopo<br />

aver passato ventiquattro ore sul versante ghiacciato dell’altura, Stacy Slater Bernhardt<br />

era rimasta paralizzata dalla vita in giù. <strong>La</strong> convalescenza sarebbe stata lunga e dolorosa,<br />

e gli esiti del tutto incerti. «Mia moglie Barbara e io dovevamo stare con nostra figlia, con<br />

la nostra famiglia, così chiesi di essere trasferito nuovamente negli Stati Uniti» dice il<br />

colonnello Slater. Per Slater, un militare di carriera, la decisione fu semplice. «Amore per<br />

la patria, amore per la famiglia.»


Dopo molti mesi la figlia si ristabilì con risultati che avevano del miracoloso (riuscì di<br />

nuovo a camminare con le stampelle). Il colonnello Slater fu assegnato alla base di<br />

Edwards, dove iniziò a pilotare la versione da combattimento dell’Oxcart, l’YF-12, il quale<br />

era equipaggiato per trasportare due bombe nucleari da 250 chilotoni. «Era bellissimo»<br />

dice Slater, l’inguaribile ottimista. «Mi era piaciuto lavorare per la CIA, ma in fondo al<br />

cuore sarei rimasto sempre un pilota di caccia.»


Capitolo 17<br />

I MIG DELL’AREA <strong>51</strong> 1<br />

“Ingegnerizzare qualcosa” significa applicare conoscenze scientifiche e tecniche per<br />

creare un oggetto o un dispositivo a partire da dei componenti. L’ingegneria inversa<br />

consiste nello smontare il prodotto realizzato da qualcun altro per capire com’è stato<br />

costruito o di quali parti è composto. Il concetto di ingegneria inversa è profondamente<br />

intrecciato alla leggenda che avvolge l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, e i teorici della cospirazione sostengono<br />

che gli ingegneri della base smontavano veicoli alieni in totale segretezza. Storicamente<br />

l’ingegneria inversa ha giocato un ruolo importante all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, come dimostrano i<br />

programmi un tempo classificati, tra i quali uno – che si svolse tra la fine degli anni<br />

Sessanta e gli anni Settanta – mirante a smontare i MIG russi.<br />

Ebbe inizio in una torrida mattina dell’agosto 1966, quando un colonnello dell’esercito<br />

iracheno di nome Munir Redfa 2 salì a bordo del suo MIG in una base aerea dell’Iraq<br />

meridionale e di diresse verso Baghdad. Redfa fece quindi un’improvvisa virata in<br />

direzione ovest e prese a volare a tutta velocità verso la Giordania. Il controllo di terra gli<br />

comunicò che era fuori rotta.<br />

«Torna subito indietro» 3 gli dissero. Ma Redfa si mise invece a volare a zigzag.<br />

Riconoscendo una manovra di disimpegno, un comandante dell’aeronautica irachena<br />

disse a Redfa che se non avesse invertito la rotta seduta stante, lo avrebbero abbattuto.<br />

Sfidando gli ordini, Redfa spense la radio e portò l’aereo a bassa quota. Per evitare di<br />

essere agganciato dal radar, in alcuni punti scese fino ad appena 230 metri dal suolo.<br />

Tornato in quota, Redfa sorvolò la Turchia dirigendosi poi verso il Mediterraneo. Ma la sua<br />

destinazione finale era lo stato nemico di Israele. Lì c’era ad aspettarlo un milione di<br />

dollari su un conto bancario di Tel Aviv.<br />

Mille chilometri a ovest il comandante dell’aeronautica israeliana, il general maggiore<br />

Mordechai Hod, aspettava con ansia la comparsa del puntolino sullo schermo radar che<br />

avrebbe rivelato il MIG di Redfa. Quando finalmente apparve, il generale Hod mandò un<br />

gruppo di Mirage con l’ala a delta per scortare Redfa in una base segreta nel deserto del<br />

Negev. Era un evento <strong>senza</strong> precedenti. Adesso Israele era la prima nazione democratica<br />

in possesso di un MIG-21 di fabbricazione russa, il caccia più formidabile non solo in Russia<br />

e nei paesi satelliti ma in tutto il mondo arabo.<br />

Il piano era stato preparato per anni, tre per l’esattezza, visto che risaliva al 1963,<br />

quando Meir Amit era diventato capo del Mossad. Amit incontrò gli esponenti<br />

dell’aeronautica israeliana 4 e chiese loro che cosa ritenessero sarebbe stato il contributo<br />

più grande che un’operazione di spionaggio internazionale potesse offrire alla sicurezza


nazionale. <strong>La</strong> risposta fu concisa, semplice e unanime: portaci un MIG. Le forze nemiche di<br />

Siria, Egitto, Giordania e Iraq avevano tutte MIG russi. Prima della defezione di Redfa, il<br />

Mossad aveva tentato due volte <strong>senza</strong> successo di mettere le mani sull’aeroplano. In un<br />

caso, un agente segreto armeno di origine egiziana conosciuto come John Thomas fu<br />

scoperto e messo a morte; lui e altri cospiratori furono impiccati in una pubblica piazza in<br />

Egitto.<br />

Per anni il Mossad aveva cercato un possibile candidato per la defezione. Finalmente,<br />

all’inizio del 1966, trovarono un uomo che si adattava al profilo: si chiamava Munir Redfa<br />

ed era un siriano cristiano che aveva già detto di sentirsi perseguitato perché<br />

apparteneva a una minoranza religiosa in una squadriglia di musulmani. Il Mossad mandò<br />

in missione a Baghdad una bellissima agente. All’inizio l’agente usò l’esca romantica<br />

attirando Redfa a Parigi con la promessa di una relazione d’amore. Una volta in Europa,<br />

lei gli rivelò quello che voleva davvero: in cambio di un MIG dell’aeronautica irachena<br />

Redfa avrebbe ottenuto un milione di dollari e una nuova identità per sé e per la sua<br />

famiglia. Redfa accettò.<br />

Adesso che erano entrati in possesso di un MIG, gli israeliani si misero al lavoro per<br />

comprendere i punti di forza e le debolezze del caccia in volo. Se fosse scoppiata una<br />

guerra, gli israeliani sarebbero stati eccezionalmente preparati al combattimento nei cieli.<br />

Il che è esattamente ciò che accadde nel giugno del 1967: quello che Israele aveva<br />

imparato dal MIG di Redfa consentì all’esercito di avere la meglio sulle forze aeree<br />

combinate di Siria, Egitto e Giordania durante la Guerra dei sei giorni.<br />

A Washington il capo della CIA Richard Helms fu informato della storia di Redfa da<br />

James Jesus Angleton 5 , il capo dell’agenzia a Tel Aviv. Angleton, che aveva studiato a<br />

Harvard e a Yale, lavorava nell’intelligence da venticinque anni. Morto nel 1987, rimane<br />

una delle spie più enigmatiche e bellicose della Central Intelligence 6 . È famoso per molte<br />

cose, tra cui l’idea che la macchina della propaganda sovietica lavorasse ventiquattr’ore<br />

al giorno, sette giorni su sette, per creare una «giungla di specchi» 7 sempre più estesa.<br />

Quella giungla, sosteneva Angleton, era il prodotto di una miriade di inganni e<br />

stratagemmi del KGB che un giorno avrebbero preso in trappola, confuso e sopraffatto<br />

l’Occidente. Angleton era convinto che i sovietici fossero in grado di manipolare la CIA per<br />

indurla a credere che le informazioni false erano vere e quelle vere false. L’incapacità<br />

dell’agenzia di distinguere la verità in una foresta di disinformazione sovietica sarebbe<br />

stata la rovina dell’America, dichiarava.<br />

James Jesus Angleton aveva presumibilmente altrettanti nemici all’interno dell’agenzia<br />

di quanti ne aveva nel KGB, ma Richard Helms si fidava di lui. Helms e Angleton si<br />

conoscevano dai tempi della Seconda guerra mondiale, quando lavoravano nell’unità di<br />

controspionaggio dell’OSS, l’X-2 8 . Negli anni Sessanta, oltre a fungere da collegamento tra<br />

la CIA e l’FBI, Angleton controllava i “resoconti” da Israele, cioè forniva a Helms quasi tutto<br />

quello che il direttore dell’agenzia sapeva del paese.<br />

Durante i negoziati per entrare in possesso del MIG, i cui dettagli rimangono classificati,<br />

Angleton ottenne ulteriori informazioni riguardo a Israele che passò a Helms, e che Helms<br />

passò al presidente. Tra le informazioni, una sembrava anticipare profeticamente la<br />

Guerra dei sei giorni: gli israeliani avevano detto al dipartimento di stato che i loro vicini


mediorientali costituivano una grave minaccia quando in realtà, spiegò Helms al<br />

presidente, Israele aveva il vantaggio tattico. Israele stava giocando la carta della<br />

debolezza per ottenere il sostegno militare dell’America. Helms disse anche che di<br />

recente aveva incontrato un ufficiale israeliano di grado elevato la cui visita interpretava<br />

come «un chiaro segno che la guerra potrebbe scoppiare in qualunque momento».<br />

Questo fatto, unito alle affermazioni di Angleton, significava che la guerra era molto<br />

probabilmente questione di giorni, concluse Helms. Quando Israele lanciò un attacco tre<br />

giorni dopo, la considerazione che Johnson aveva di Helms crebbe enormemente.<br />

Nel 1966 la storia della defezione di Redfa si guadagnò le prime pagine dei giornali di<br />

tutto il mondo. Ma quello che non fece notizia 9 fu ciò che successe quando Israele ebbe<br />

finito con il MIG: l’aereo di fabbricazione sovietica fu trasportato all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Il colonnello<br />

Slater, all’epoca comandante della base, ricorda che «arrivò nel cuore della notte,<br />

nascosto all’interno di un [aereo da trasporto] C-130, consegnato direttamente da agenti<br />

dei servizi segreti israeliani». Il grande successo di Israele era adesso un grosso colpo di<br />

fortuna anche per l’America. Per gli israeliani il MIG era il caccia più pericoloso nel mondo<br />

arabo; per gli americani era il piccolo aereo letale che aveva abbattuto tanti piloti<br />

americani in Vietnam. I russi avevano fornito al Vietnam del Nord caccia MIG-21 e piloti<br />

addestrati. Adesso che all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> c’era uno di quegli aerei, gli ingegneri dell’agenzia<br />

avevano per le mani tecnologia straniera importantissima. «Finalmente avremmo potuto<br />

capire come sconfiggere il MIG nei combattimenti aerei» spiega il colonnello Slater.<br />

Il percorso che portava all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era diverso per ciascuna delle persone coinvolte. Per<br />

T.D. Barnes ebbe inizio nel 1962, quando la CIA voleva mandarlo in Vietnam nel ruolo di<br />

“consigliere”. Barnes era appena tornato da Bamburg, in Germania, dove era stato inviato<br />

durante la crisi del Muro di Berlino con il compito di occuparsi delle basi di missili Hawk<br />

lungo il confine con la Cecoslovacchia. Erano passati due anni da quando aveva lavorato<br />

al progetto Palladium della CIA a Fort Bliss.<br />

«Dissi che avrei lavorato per l’agenzia. Ma avevo questo sogno di diventare ufficiale<br />

dell’esercito, il che significava che prima dovevo fare la scuola ufficiali. <strong>La</strong> CIA e l’esercito<br />

accettarono e mi consentirono di frequentare la scuola.» Durante l’addestramento alla<br />

sopravvivenza Barnes si fece male a un ginocchio e contrasse una rara infezione del<br />

sangue. «Per poco non mi uccise. Non avrei mai potuto combattere. Sono stato fortunato<br />

a essermela cavata» dice Barnes. Si riprese, ma a causa della malattia non poté recarsi in<br />

Vietnam per conto della CIA. Dopo dieci anni di servizio la sua carriera militare era finita.<br />

Barnes e sua moglie Doris si trasferirono in Oklahoma e comprarono una casa con il<br />

giardino per le loro due bambine. Un giorno Doris stava leggendo la pagina degli<br />

annunci 10 del giornale locale quando trovò una cosa interessante. «Un’impresa che si<br />

chiamava Unitech cercava specialisti in telemetria e radar in grado di lavorare a un<br />

progetto spaziale» ricorda Barnes.<br />

Barnes immaginò che la Unitech stesse raccogliendo curriculum vitae, «approntando un<br />

elenco di persone con le qualifiche necessarie per lavorare a un progetto altamente<br />

specializzato se fosse arrivato un contratto con, poniamo, la NASA». Barnes disse a Doris<br />

che non valeva neppure la pena di sprecare una telefonata. Doris disse che l’avrebbe


fatta comunque. «Due giorni dopo la nostra casa era in vendita, noi avevamo fatto i<br />

bagagli ed eravamo diretti in questo buco di posto nel deserto del Mojave, Beatty.»<br />

Beatty, Nevada. Abitanti circa 426, a seconda di chi voleva saperlo.<br />

Nel 1964 Beatty era un posto strano 11 . Si trovava poco meno di duecento chilometri a<br />

nordovest di <strong>La</strong>s Vegas e sorgeva su una striscia di terra tra la Valle della Morte e il<br />

poligono atomico del Nevada. Beatty aveva uno sceriffo: ottant’anni, grande tiratore con<br />

il fucile e quasi <strong>senza</strong> denti. Beatty aveva anche nove pompe di benzina, undici chiese, un<br />

aeroporto e un casino che si chiamava Vicky Star Ranch. Dietro la facciata, Beatty<br />

ospitava una collezione di agenzie federali dagli acronimi disparati, molte delle quali<br />

erano impegnate su diversi aspetti di varie operazioni coperte e non. «Nessuno sapeva<br />

cosa facevano gli altri a Beatty e dal momento che non erano informazioni strettamente<br />

necessarie, ci si asteneva dal fare domande» ricorda Barnes. Quarantacinque anni dopo<br />

non riusciva ancora a «immaginare che cosa si nascondesse dietro quelle pompe di<br />

benzina e quelle chiese».<br />

Come funzionassero le cose a Beatty e chi comandasse chi era lasciato in gran parte<br />

all’immaginazione. «Quando Doris e io arrivammo nella cittadina per la prima volta»<br />

racconta Barnes «ci fermammo alla stazione di servizio per fare un po’ di benzina. Uno dei<br />

personaggi del posto, una <strong>senza</strong>tetto che tutti chiamavano Panamint Anne, venne verso<br />

di noi e si appoggiò all’auto. Mi guardò, era estate, e disse: “Be’, fa più caldo che<br />

all’inferno, non è vero, Barnes?”. Pensai: “Come diavolo fa a sapere il mio nome?”.»<br />

Tecnicamente Barnes era stato assunto dalla Unitech, ma saltò fuori che, dopotutto,<br />

avevano davvero un contratto con la National Aeronautics and Space Administration, o<br />

NASA. «Comunque c’erano un sacco di altre agenzie che lavoravano sotto copertura»<br />

aggiunge Barnes. «Unitech era solo la targhetta sulla porta.»<br />

L’agenzia spaziale americana si era installata a Beatty alla metà degli anni Sessanta<br />

allo scopo di sviluppare programmi che avrebbero consentito lo sbarco dell’uomo sulla<br />

Luna. Ma prima che la NASA potesse metter piede sul corpo celeste più vicino alla Terra,<br />

doveva conquistare lo spazio e per farlo aveva bisogno dell’aiuto dell’aeronautica militare.<br />

E prima che la NASA potesse conquistare lo spazio, doveva raggiungere i limiti<br />

dell’atmosfera terrestre, che era la ragione per cui Barnes si trovava a Beatty. Era stato<br />

assunto per lavorare all’aereo razzo X-15, un prototipo che assomigliava più a un missile<br />

con le ali che a un aereo, e si comportava di conseguenza. Tutti i giorni Barnes saliva su<br />

un pullmino federale guidato da un impiegato dell’agenzia spaziale di nome Bill Houck,<br />

che faceva in tutto dieci fermate per portare al lavoro i membri della squadra segreta. Si<br />

dirigevano fuori città e facevano il breve percorso fino alla cima di una montagna<br />

ricoperta di chaparral dove un hangar grande all’incirca come un campo da tennis, tre<br />

roulotte e numerose antenne radar paraboliche costituivano l’avanzatissima postazione di<br />

tracciamento radar di Beatty. Un giorno dopo l’altro il team di dieci uomini, che<br />

annoverava maghi dell’elettronica e del radar, manovrava i sistemi all’avanguardia per<br />

tracciare l’X-15 mentre sfrecciava nei cieli sopra il Mojave diretto verso il limite<br />

dell’atmosfera, dopo essere partito dal Dryden Flight Research Center (Centro di ricerca<br />

aerea di Dryden) in California. Una volta l’aereo fu costretto a un atterraggio


d’emergenza sul letto di un lago asciutto non lontano da Beatty. Esisteva una legge che<br />

vietava il passaggio di rimorchi attraverso la Valle della Morte dopo il calar del sole nei<br />

fine settimana, e di conseguenza l’X-15 dovette trascorrere la notte nel vialetto dei<br />

Barnes. Per tutto il weekend le figlie di Barnes, di cinque e otto anni, non fecero che<br />

correre attorno al razzo che sembrava uscito da un film di James Bond, esclamando: «<strong>La</strong><br />

nave spaziale di papà!» 12 . Nessun altro a Beatty disse una parola.<br />

Per decollare l’X-15 veniva sganciato da un aereo madre, un B-52, e poi il suo motore a<br />

razzo lo sparava come un missile al confine tra l’atmosfera e lo spazio esterno. Dopo<br />

essere arrivato ai limiti dell’atmosfera, l’X-15 invertiva la rotta e “volava” alla base,<br />

raggiungendo velocità di Mach 6. Velocità di quel genere significavano una traiettoria<br />

incredibilmente irregolare. Nel giro di qualche mese Barnes diventò un esperto nel<br />

supporto ai voli ipersonici. Monitorava numerosi parametri, tra cui la telemetria, e<br />

rimaneva sempre stupito nel notare come ciascuno dei piloti rispondesse in maniera<br />

diversa allo stress fisico. «Da Beatty monitoravamo tutto: il battito cardiaco, la pressione<br />

e inoltre ogni cosa che succedeva al pilota e all’aeroplano.» In caso di incidente, la NASA<br />

aveva squadre di emergenza sparse in California, Nevada e Utah sui bacini di diversi laghi<br />

prosciugati dove l’X-15 sarebbe potuto atterrare se fosse stato necessario 13 . Uno era il<br />

Groom <strong>La</strong>ke. «Guardando i miei radar, sapevo che al Groom <strong>La</strong>ke era in corso qualcosa.<br />

Sullo schermo vedevo cose che non avrei dovuto vedere. Una di quelle “cose” andava<br />

davvero molto veloce. In seguito, quando mi fu detto che si trattava dell’Oxcart, capii<br />

cosa avevo visto. Ma a quell’epoca non erano informazioni strettamente necessarie per il<br />

mio ruolo, sicché non dissi una parola di quello che avevo visto al Groom <strong>La</strong>ke e nessuno<br />

fece domande» spiega Barnes.<br />

<strong>La</strong>vorare sull’X-15 era entusiasmante e impegnativo, dato che c’erano missioni<br />

sperimentali due volte alla settimana. Come accadeva con tantissimi dei primi progetti<br />

relativi al volo a velocità e a quote elevate, nel programma erano coinvolte agenzie<br />

diverse, non solo la NASA: l’aeronautica militare finanziava gran parte del progetto; la CIA<br />

non era interessata al volo nello spazio ma in compenso era interessatissima alla<br />

tecnologia dello statoreattore applicata all’X-15, che aveva voluto per il suo drone D-21.<br />

«Tutti si monitoravano reciprocamente, dal punto di vista tecnologico» dice Barnes. Per<br />

far funzionare l’intera operazione, esisteva una specifica rete radio per quelli coinvolti nel<br />

progetto. «C’erano persone provenienti dalla base di Vandenberg, dal White Sands Missile<br />

Range, da Dryden, e la CIA che non faceva che controllare quello che succedeva.»<br />

Anche se aveva solo ventisette anni, Barnes era lo specialista più esperto a Beatty. E<br />

quasi subito si accorse che sembrava esserci un grosso problema con il radar.<br />

«Tracciavamo l’X-15 con postazioni radar a Edwards, in California, e a Ely, in Nevada. Il<br />

mio radar a Beatty era a posto, ma notai che c’era un problema a Edwards e a Ely.<br />

Quando l’X-15 era parcheggiato sulla pista in una delle due basi, i radar rilevavano che<br />

era invece a 610 metri dal suolo.»<br />

Barnes andò sul canale radio 14 e riferì del problema al controllo di missione del Dryden<br />

Flight Research Center. Dryden attribuì la colpa al radar di Beatty, anche se il radar di<br />

Barnes rilevava l’esatta posizione dell’aereo. Parlando via radio, Barnes sostenne il suo<br />

punto di vista. Il capo della postazione di Beatty rimase scioccato dal fatto che Barnes


osasse sfidare i suoi superiori e gli lanciò un’occhiataccia. “<strong>La</strong>scia perdere” articolò<br />

silenziosamente. Barnes obbedì. Ma qualche tempo dopo, quando seppe che l’X-15 stava<br />

per essere revisionato e che non ci sarebbero stati voli per tre settimane, Barnes colse<br />

l’occasione. «Sarebbe il momento giusto per sistemare il vostro problema al radar» disse<br />

alla radio. In ascolto c’erano decine di ufficiali superiori. «Alla radio scese il silenzio»<br />

ricorda Barnes. «Il mio superiore si girò di scatto sulla sedia e mi fissò: “Responsabilità<br />

tua, Barnes” disse. Ma Dryden non mi diede retta. Dissero che il problema era inerente al<br />

radar. Che non poteva essere risolto.»<br />

Barnes aveva fatto amicizia con i piloti dell’X-15. Anche se non si erano mai incontrati di<br />

persona, tra loro si era sviluppato un forte legame: è comprensibile, data la quantità di<br />

tempo che passavano parlando alla radio durante i voli. Barnes teneva alla sicurezza dei<br />

piloti molto più di quanto si preoccupasse del fatto che il suo superiore lo giudicasse reo<br />

di insubordinazione. Così disse a Dryden esattamente quello che pensava: «<strong>La</strong>voro con i<br />

radar da abbastanza tempo per sapere che non esistono problemi inerenti al sistema»<br />

disse. «Il mio radar concorda con i dati dell’aereo. Se non sistemate il vostro radar, andrà<br />

a finire che uno di questi giorni ammazzerete un pilota.»<br />

Sul canale scese un silenzio di tomba. A Dryden la comunicazione era stata ascoltata<br />

dai piloti che si trovavano nella lobby. «Joe Walker si mise una cuffia e disse: “Effetto<br />

immediato, non ci saranno più voli dell’X-15 finché il problema non sarà risolto”.» A<br />

Dryden non avevano scelta. Per prima cosa si recarono alla stazione di Beatty con un T-<br />

33, dove eseguirono voli di calibratura per paragonare i dati radar con l’altimetro<br />

dell’aeroplano. Fecero la stessa cosa a Ely. Barnes aveva ragione. Il radar di Beatty<br />

funzionava correttamente. Benché i dati di entrambe le stazioni concordassero, il Dryden<br />

Flight Research Center e la stazione di tracciamento di Ely erano fuori di 640 metri. I<br />

radar furono smontati e rimontati, <strong>senza</strong> risultato. Alla fine si scoprì che si trattava di<br />

sistemi antiquati, risalenti alla Seconda guerra mondiale, e che non erano mai stati<br />

aggiornati con le modifiche che erano state invece apportate al radar di Beatty. <strong>La</strong><br />

Unitech ricevette una grossa gratifica natalizia e nessuno rimase ucciso.<br />

<strong>La</strong> cosa più significativa per Barnes fu che da qualche parte nell’etere delle operazioni<br />

segrete un uomo di nome John Grace aveva seguito tutta la vicenda. John Grace lavorava<br />

per la CIA e il nome Barnes gli fece suonare un campanello. Grace chiese ai suoi uomini di<br />

fare qualche ricerca su quell’uomo la cui eccezionale familiarità con i radar aveva salvato<br />

la situazione. Grace lo voleva in un progetto che stava per cominciare al Groom <strong>La</strong>ke,<br />

qualcosa di cui all’epoca persino Barnes era all’oscuro.<br />

<strong>La</strong>vorare a Beatty significava occuparsi di parecchie cose e Barnes aveva il compito di<br />

tracciare un secondo aereo, l’XB-70. Il programma sperimentale era tutto ciò che<br />

rimaneva dell’adorato bombardiere di LeMay, il B-70, che adesso il Congresso aveva<br />

cancellato nonostante fossero stati investiti quattro miliardi di dollari. <strong>La</strong> “X” davanti a “B-<br />

70” indicava che il bombardiere era stato trasformato in un banco di prova sperimentale<br />

per il trasporto supersonico. Era un aereo colossale, il velivolo a sei motori più veloce del<br />

mondo. L’8 giugno 1966 la missione prevedeva un’operazione fotografica incentrata<br />

sull’XB-70. Un F-4, un F-5, un T-38 e un F-104 avrebbero volato in formazione attorno


all’aereo. Barnes era incaricato di monitorare telemetria, radar e comunicazioni dalla<br />

postazione di tracciamento di Beatty. «<strong>La</strong> General Electrics aveva costruito i motori di<br />

tutti e sei gli aerei che volavano quel giorno» racconta Barnes. «Volevano una fotografia<br />

dei velivoli in formazione serrata per la copertina della pubblicazione destinata al meeting<br />

degli azionisti di quell’anno.»<br />

Era una bella giornata, con pochissima turbolenza. I sei aerei decollarono da Dryden e<br />

si diressero verso ovest. Circa mezz’ora dopo, i piloti iniziarono a mettersi in formazione<br />

sopra il deserto del Mojave. Usando il suo registratore Fischer personale, Barnes stava<br />

registrando le trasmissioni dei piloti. Per quell’operazione il pilota dell’X-15 Joe Walker,<br />

che Barnes conosceva bene, era ai comandi dell’F-104. Walker era accanto all’ala destra<br />

dell’XB-70 e stava tentando di mantenere il suo caccia in posizione quando la turbolenza<br />

creata dai sei motori dell’aereo gli creò delle difficoltà. «Walker si mise in comunicazione<br />

via radio e parlò molto chiaramente» ricorda Barnes. «Disse: “Mi oppongo alla missione.<br />

C’è troppa turbolenza e non ha alcun valore scientifico”.»<br />

Pochi secondi dopo si verificò una catastrofica collisione in volo 15 . «Sentimmo i piloti<br />

urlare: “Collisione! Collisione!” e io capii che sulle prime l’XB-70 non si era reso conto di<br />

essere stato colpito» ricorda Barnes. L’F-104 di Walker era finito contro l’aereo più grosso,<br />

aveva preso fuoco ed era esploso. Entrambi gli stablizzatori verticali dell’XB-70 si erano<br />

spezzati e l’aereo iniziò a precipitare. L’XB-70 entrò in vite e cominciò a perdere pezzi. Uno<br />

dei piloti, Al White, si eiettò; l’altro, il maggiore Carl Cross, rimase intrappolato nel<br />

velivolo e si schiantò nel deserto a pochi chilometri da Barstow, California. Poco dopo<br />

l’impatto l’aereo esplose.<br />

«Fu così maledettamente insensato» dice Barnes. «Una dannata fotografia.» Ma il<br />

peggio doveva ancora venire. «Un sacco di gente diede la colpa a Joe Walker. Facile, era<br />

morto. Naturalmente c’era il nastro con la registrazione di quando aveva detto che si<br />

opponeva alla missione. Che la turbolenza del dannato XB-70 stava risucchiando il suo<br />

aereo. Bill Houck, il controllore della NASA alla nostra stazione, mi chiese di dargli il nastro<br />

per mandarlo a Dryden. Una volta che ne entrarono in possesso» dice Barnes «lo fecero<br />

sparire <strong>senza</strong> dir nulla.»<br />

<strong>La</strong> tragedia dell’XB-70 mise praticamente fine al programma, e anche il progetto dell’X-<br />

15 stava giungendo al termine. Il lavoro di Barnes a Beatty era alle sue ultime battute,<br />

ma un pomeriggio ricevette una telefonata. Un uomo che si presentò come John Grace<br />

voleva sapere se gli sarebbe piaciuto lavorare a un “progetto interessante” non lontano<br />

da lì. «Grace disse che avrei fatto il pendolare da <strong>La</strong>s Vegas» racconta Barnes. Grace<br />

aggiunse che prima avrebbe dovuto ottenere un’autorizzazione top-secret. Di qualunque<br />

cosa di trattasse, sembrava entusiasmante. Barnes rispose: «Mi consideri dei suoi». T.D.<br />

Barnes era ufficialmente in procinto di andare al Groom <strong>La</strong>ke.<br />

Nel marzo del 1968, munito finalmente dell’autorizzazione top-secret, Barnes seppe che<br />

il suo nuovo datore di lavoro sarebbe stata la EG&G. Un “addestratore” gli diede istruzioni<br />

di recarsi in un hangar remoto e <strong>senza</strong> insegne dell’aeroporto McCarran per il suo primo<br />

giorno di lavoro. Lì Barnes fu accolto da un uomo che gli strinse la mano e lo scortò fino a<br />

un piccolo Constellation. «Non mi dissero niente su dove eravamo diretti e io ne sapevo<br />

abbastanza di operazioni coperte per non chiedere. Fu un volo tranquillo e silenzioso.


Appena prima che atterrassimo all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, sentii il pilota che diceva al copilota: “Hanno<br />

portato fuori la ciambella”. Quindi chiusero tutte le tendine dell’aereo, così quando<br />

atterrammo non riuscii a vedere nulla. Mi chiesi cosa fosse la ciambella. Non feci<br />

domande. Fui portato all’edificio Special Projects (Progetti speciali) della EG&G e<br />

presentato al gruppo. Il capo disse: “Qual è il tuo nome di battesimo?”. Io risposi: “T.D.”<br />

e lui: “Adesso non più. Qui ti chiami Thunder”.» Più tardi quello stesso giorno Barnes fu<br />

accompagnato all’interno di uno degli hangar della base. «Aprirono le porte. C’era un MIG<br />

russo. Dissero: “Ecco la ciambella”. Mi venne da ridere. I piloti che mi avevano portato<br />

alla base non avevano idea che la ragione per cui ero lì fosse proprio la ciambella.» Il MIG<br />

di Munir Redfa era stato soprannominato la ciambella perché il muso del caccia aveva<br />

un’apertura rotonda, proprio come una ciambella. Era il primo caccia sovietico avanzato a<br />

posare le ruote sul suolo americano.<br />

T.D. Barnes e gli ingegneri del gruppo Special Projects della EG&G iniziarono a smontare<br />

i l MIG del colonnello Redfa e poi a rimontarlo: ingegneria inversa 16 . Tutti i tecnici<br />

sapevano che era il modo migliore per capire com’era stato costruito qualcosa. Il gruppo<br />

d e l l a EG&G sembrava in possesso di un’esperienza all’avanguardia nel campo<br />

dell’ingegneria inversa di aeromobili. All’epoca nessuno ne conosceva il motivo e Barnes,<br />

appena arrivato, sapeva che era meglio non fare domande. Era entusiasta di quel lavoro.<br />

«Smontammo il MIG pezzo per pezzo. Parti della cabina di pilotaggio, giroscopi,<br />

oscillografo, indicatore del livello del carburante, radio… tutto quanto. Quindi lo<br />

rimontammo. Il MIG non aveva computer né fantastici sistemi di navigazione.» Barnes e la<br />

sua squadra erano <strong>senza</strong> parole. Com’era possibile che quel velivolo sovietico<br />

sconfiggesse i caccia americani più avanzati nei combattimenti aerei? Nessuno riusciva a<br />

spiegarselo. Così fu ideato un secondo progetto, la fase tattica Have Doughnut (“mangia<br />

la ciambella”). Durante Have Doughnut il MIG avrebbe condotto missioni tattiche contro<br />

aerei americani nei cieli sopra il Groom <strong>La</strong>ke. L’aeronautica disse di non essere<br />

interessata, ma la marina approfittò dell’occasione.<br />

«Smontarlo era stato il primo passo per capire come funzionava il MIG. Ma fu solo<br />

facendolo volare che riuscimmo davvero a comprendere come faceva a manovrare così<br />

veloce» dice Barnes. I piloti collaudatori eseguirono in totale 102 missioni con il MIG 17<br />

sopra il Groom <strong>La</strong>ke. I combattimenti simulati tra il MIG e i caccia americani furono<br />

all’ordine del giorno per un periodo di sei settimane nella primavera del 1968. Il<br />

programma (escluso il fatto che si svolse all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>) fu declassificato dalla Foreign<br />

Technology Division (Divisione di tecnologia straniera) dell’aeronautica militare<br />

nell’ottobre del 1997 e dalla Defense Intelligence Agency nel marzo del 2000. «Capimmo<br />

che bisognava attaccarlo immediatamente e abbatterlo prima che avesse la possibilità di<br />

manovrare. Ecco la chiave. Colpirlo alla prima occasione di farlo. Non c’erano seconde<br />

occasioni con un MIG» spiega Barnes. Le molte ore di volo mettono a dura prova<br />

qualunque velivolo, ma con un aereo nemico la cosa si complicava ulteriormente. «Dal<br />

momento che non avevamo pezzi di ricambio, le squadre di terra erano costrette a<br />

smontare i componenti e a fabbricarne di nuovi usando materie prime» dice Barnes. «Ma<br />

quando le due fasi, quella tecnica e quella tattica, giunsero al termine, avevamo svelato i<br />

segreti del MIG.»


Ci furono ripercussioni da parte sovietica. «Il fatto che avessimo un MIG all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> fece<br />

andare i russi su tutte le furie» spiega Barnes. «Per ritorsione mandarono ulteriori satelliti<br />

spia sulla base, talvolta uno ogni quarantacinque minuti.» A quel punto i russi avevano<br />

preso l’abitudine di monitorare l’attività di routine della base, la quale consisteva<br />

soprattutto di decolli e atterraggi di Oxcart e di qualche drone. Ma quando arrivò il MIG,<br />

sulla scena comparve anche la Foreign Technology Division dell’aeronautica militare, e<br />

con loro vari modelli di sistemi radar di fabbricazione sovietica prelevati in Medio Oriente.<br />

E allorché i russi scoprirono che gli ingegneri del Groom <strong>La</strong>ke stavano testando quei<br />

sistemi radar, decisero nuovamente di monitorare più da vicino la situazione usando i<br />

satelliti.<br />

I sistemi radar sovietici appena arrivati iniziarono a spuntare come funghi attorno ai<br />

margini occidentali del letto asciutto del Groom <strong>La</strong>ke e anche attorno allo Slater <strong>La</strong>ke,<br />

che si trovava circa un chilometro e mezzo a nordovest degli hangar principali. <strong>La</strong><br />

valutazione tecnica del radar fu affidata a Barnes, il quale chiese un missile Nike e rimase<br />

stupefatto dalla velocità con cui la sua richiesta fu esaudita. «Credo che la CIA sia andata<br />

a prendere un missile Nike alla mia vecchia base, Fort Bliss, esattamente il giorno dopo»<br />

dice Barnes. Con i radar sparsi per tutto il sito, incluso un radar per l’acquisizione dati che<br />

ruotava e cercava i bersagli in arrivo, uno smanettone come Barnes aveva di che tenersi<br />

impegnato. «Usavamo il Nike per tracciare i MIG e altri aerei in modo da analizzare come<br />

si comportava il loro ECM contro i radar funzionanti in banda X.» Quello che Barnes non<br />

sapeva era che quei sistemi radar erano stati acquisiti per l’imminente analisi della<br />

sezione equivalente radar di un aereo dell’aeronautica in fase di progettazione. Neppure i<br />

russi avevano idea di ciò che bolliva in pentola, ma erano comunque prevedibilmente<br />

contrariati a causa dei radar che erano stati loro sottratti e che adesso si trovavano sulle<br />

colline attorno al Groom <strong>La</strong>ke.<br />

«Eravamo inchiodati» dice Barnes. Per settimane il gruppo degli Special Projects non<br />

poté mettere in funzione neppure un radar; i russi monitoravano costantemente l’area.<br />

Barnes e il suo gruppo passavano il tempo a giocare d’astuzia con i sovietici. Dipinsero<br />

strane forme sull’asfalto della pista, «aerei improbabili dall’aspetto bizzarro», che poi<br />

riscaldavano con stufette portatili per ingannare i russi che scattavano foto a infrarossi<br />

delle attività in corso all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. «Ci divertivamo a immaginare che cosa pensassero i<br />

russi dei nostri nuovi aeroplani» racconta Barnes. Costretti a rimanere con le mani in<br />

mano, Barnes e il suo gruppo di ventitré specialisti in elettronica iniziarono a cercare altri<br />

modi per ammazzare il tempo. Escogitavano indovinelli. Facevano scommesse. Giocavano<br />

con miscele chimiche che facevano brillare nel buio le loro scarpe da tennis. Modificarono<br />

l’impianto elettrico del motore dell’auto di servizio dello Special Projects Group in modo<br />

che il primo che l’avesse guidata si sarebbe preso una serie di scosse a basso voltaggio.<br />

Montarono un’antenna tv altissima sui loro alloggiamenti sperando di prendere le<br />

trasmissioni di <strong>La</strong>s Vegas, ma incapparono invece in un canale internazionale spagnolo.<br />

«Per mesi non facemmo altro che guardare corride a Madrid» ricorda Barnes.<br />

Si trattava di un gruppo di specialisti messi assieme per lavorare su tecnologie radar<br />

pionieristiche, sicché quando finalmente si stancarono degli scherzi e dei combattimenti<br />

di tori, ricominciarono a dedicarsi alla soluzione dei problemi. All’inizio si tennero occupati


esaminando i dettagli presenti sulle stampate dei tracciati radar. Fu così che al Groom<br />

<strong>La</strong>ke si giunse per caso a una rivoluzionaria scoperta tecnologica. Il gruppo della EG&G<br />

trovò il modo di identificare specifici modelli di aereo sulla base di minime sfumature nei<br />

modelli dei tracciati radar rilevati dai diversi sistemi. <strong>La</strong> scoperta fu resa possibile dal<br />

fatto che il gruppo si ritrovava ad avere a disposizione parecchie bande radar differenti, il<br />

che consentiva di confrontare i risultati, e un’intera flotta di velivoli militari che servivano<br />

per la fase tattica dello studio del MIG.<br />

Quello che normalmente sarebbe stata un’avventura tecnica volta a individuare le<br />

contromisure elettroniche contro gli aerei nemici si trasformò in un importantissimo<br />

successo che avrebbe avuto un ruolo di primo piano nello sviluppo futuro della tecnologia<br />

stealth. Studiando i dettagli, Barnes e i suoi colleghi capirono che cosa il nemico riusciva<br />

a vedere e che cosa invece non vedeva sui suoi schermi radar in patria.<br />

Quest’informazione fu poi condivisa con la Lockheed durante i test radar che la società<br />

condusse all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per sviluppare l’invisibilità. <strong>La</strong> tecnologia stava facendo per gli<br />

uomini ciò che gli uomini avevano sempre cercato di fare da soli; spiare il nemico significa<br />

imparare su di lui le stesse cose che lui conosce di sé. Ecco la decisiva scoperta tecnica.<br />

C’era anche una scoperta tattica altrettanto rilevante. Il progetto ultrasegreto sul MIG in<br />

corso all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> diede origine alla scuola di volo per piloti di caccia “Top Gun” 18 , un fatto<br />

che sarebbe rimasto segreto per decenni. Denominata ufficialmente United States Navy<br />

Fighter Weapons School, la scuola fu istituita un anno dopo l’arrivo del MIG, nel marzo del<br />

1967, a Miramar, in California. Piloti istruttori che avevano preso parte ai combattimenti<br />

aerei simulati contro il MIG di Munir Redfa iniziarono a addestrare i piloti della marina per<br />

sortite contro i MIG russi in Vietnam. Quando questi piloti Top Gun ripresero a volare nel<br />

Sudest asiatico, i risultati furono radicalmente diversi dal letale nove a uno registrato in<br />

precedenza. Gli equilibri si erano rovesciati 19 . Adesso i piloti americani abbattevano i<br />

nordvietnamiti nella proporzione di tredici a uno. Il MIG-21 di fabbricazione sovietica di cui<br />

gli americani erano riusciti a entrare in possesso si rivelò un colpo da maestro per la<br />

battaglia nei cieli. E ciò che seguì fu un reciproco scambio di favori: per ringraziare gli<br />

israeliani di averle fornito l’aereo più prezioso e sconosciuto dell’arsenale dell’arcinemico,<br />

l’America iniziò a fornir loro i caccia che li avrebbero aiutati a tenere a bada i rivali.


Capitolo 18<br />

FUSIONE DEL NOCCIOLO 11<br />

L’idea che sta dietro a un’installazione come l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> è che vi si possono condurre<br />

pericolosi test segreti <strong>senza</strong> troppi controlli o interferenze. Tale caratteristica fa sì che la<br />

storia vera dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> sia costellata di morti. Uno dei test più pericolosi mai compiuti<br />

alla base, nel 1957, fu il Progetto 57, l’esplosione della bomba sporca che ebbe luogo otto<br />

chilometri a nordovest del Groom <strong>La</strong>ke, in una zona chiamata <strong>Area</strong> 13. Eppure ciò che<br />

sarebbe potuto essere l’unico risultato positivo di quel test scandaloso, ovvero la lezione<br />

proveniente dalle operazioni di decontaminazione, venne ignorato finché non fu troppo<br />

troppo tardi.<br />

A differenza dei programmi riguardanti gli aerei spia che si svolgevano al Groom <strong>La</strong>ke, i<br />

quali tendevano ad avere un inizio ben preciso e un termine formale, il Progetto 57 venne<br />

abbandonato a metà. Se lo scopo di far detonare in segreto una bomba sporca fosse<br />

stato di capire che cosa sarebbe successo 2 se un aereo con una bomba nucleare a bordo<br />

fosse precipitato nei pressi di un luogo abitato da civili, ne consegue che l’Atomic Energy<br />

Commission avrebbe intrapreso seri sforzi per ottenere informazioni su come rimediare a<br />

un simile scenario da incubo dopo la catastrofe. Nulla di tutto ciò.<br />

Al contrario, circa un anno dopo l’esplosione, l’Atomic Energy Commission recintò l’<strong>Area</strong><br />

13 con il filo spinato, mise cartelli con scritto PERICOLO/VIETATO ENTRARE/MATERIALE NUCLEARE e<br />

andò avanti con il test successivo. L’affollata installazione della CIA otto chilometri<br />

sottovento sarebbe stata relativamente al sicuro, supposero gli scienziati nucleari e gli<br />

esperti di armi. Le particelle alfa sono pesanti e sarebbero rimaste nello strato<br />

superficiale del terreno dopo che la nube radioattiva si fosse posata. Inoltre, quasi<br />

nessuno era al corrente del progetto segretissimo, di certo non l’opinione pubblica, quindi<br />

chi avrebbe potuto protestare? Gli abitanti più vicini erano la manovalanza dell’agenzia al<br />

Groom <strong>La</strong>ke, e neppure loro sapevano nulla del Progetto 57. Gli uomini osservavano rigidi<br />

protocolli riguardanti le informazioni strettamente necessarie e, per quanto riguardava la<br />

commissione, le uniche informazioni strettamente necessarie per coloro che lavoravano<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> riguardavano il divieto di oltrepassare il filo spinato che circondava l’<strong>Area</strong> 13.<br />

Eppure i dati ottenuti da un tentativo volto alla decontaminazione sarebbero stati<br />

tremendamente utili, come emerse otto anni e otto mesi dopo il Progetto 57. <strong>La</strong> mattina<br />

del 17 gennaio 1966 si verificò una vera emergenza causata da una bomba sporca su<br />

Palomares, in Spagna. Un bombardiere dello Strategic Air Command che trasportava<br />

quattro bombe all’idrogeno 3 – con potenzialità comprese tra 70 chilotoni e 1,45 megatoni<br />

– era entrato in collisione con un’aerocisterna nei cieli sopra la campagna spagnola.


<strong>La</strong> mattina dell’incidente, un pilota dell’aeronautica e il suo equipaggio di sei uomini<br />

erano impegnati in un’esercitazione facente parte di Chrome Dome, un’operazione del SAC<br />

iniziata alla fine degli anni Cinquanta. In una dimostrazione di forza caratteristica della<br />

dottrina militare dell’epoca – una teoria denominata “Distruzione Mutua Assicurata” (MAD,<br />

Mutual Assured Destruction) – gli aerei se ne andavano in giro regolarmente per il<br />

pianeta trasportando bombe termonucleari. L’idea che stava dietro a tale dottrina era che<br />

se l’Unione Sovietica avesse attaccato a sorpresa gli Stati Uniti, i bombardieri del SAC<br />

sarebbero già stati in volo 4 per reagire colpendo Mosca con bombe atomiche, assicurando<br />

così la distruzione reciproca di entrambi i contendenti.<br />

Quella mattina, il bombardiere si allineò all’aerocisterna e aveva appena iniziato il<br />

rifornimento quando, nelle parole di <strong>La</strong>rry Messinger, «all’improvviso tutta quanta la<br />

dannata faccenda sembrò andare storta» 5 e i due aerei entrarono in collisione. Vi fu una<br />

gigantesca esplosione e gli uomini a bordo dell’aerocisterna furono inceneriti all’istante.<br />

In qualche modo Messinger, il suo copilota, il pilota istruttore e il navigatore riuscirono a<br />

eiettarsi dal bombardiere. I paracadute si aprirono e gli uomini scesero fluttuando,<br />

finendo in mare. Anche le quattro bombe nucleari, ciascuna abbastanza potente da<br />

radere al suolo Manhattan, erano dotate di paracadute, ma due non si aprirono. Una delle<br />

bombe con il paracadute atterrò nel letto di un fiume asciutto e in seguito fu recuperata<br />

relativamente intatta. Ma quando le due bombe <strong>senza</strong> paracadute toccarono il suolo, le<br />

loro cariche esplosive detonarono lasciando esposto il nucleo atomico. Il materiale<br />

radioattivo fu rilasciato sotto forma di plutonio in aerosol 6 il quale si sparse su un’area di<br />

260 ettari nella campagna attorno a Palomares, un dato coerente con la dispersione<br />

radioattiva del test del Progetto 57. <strong>La</strong> quarta bomba cadde in mare e non fu recuperata.<br />

All’epoca Palomares era una piccola comunità di pescatori e contadini in riva al<br />

Mediterraneo. Fortuna volle che il 17 gennaio fosse la festa di sant’Antonio, il patrono del<br />

villaggio, e così la maggior parte delle persone si trovava in chiesa invece che a lavorare<br />

nei campi.<br />

A ottomila chilometri di distanza, a Washington, il presidente Johnson seppe 7 del<br />

disastro mentre faceva colazione. Era nella sua camera da letto quando un membro dello<br />

staff della Situation Room della Casa Bianca bussò, entrò e lasciò una copia<br />

dell’informativa quotidiana di sicurezza. Sulla prima pagina, il presidente lesse gli<br />

aggiornamenti sulla Guerra del Vietnam; sulla seconda apprese dell’incidente di<br />

Palomares. L’informativa non faceva alcuna menzione della dispersione di plutonio né<br />

della bomba termonucleare persa, limitandosi a dire che «il 16 th Nuclear Disaster Team<br />

[(16 a squadra per i disastri nucleari)] era stato inviato sul posto». <strong>La</strong> denominazione della<br />

squadra inviata suonava molto ufficiale, ma negli archivi consultabili del dipartimento<br />

dell’Energia non è stato possibile trovare alcun documento che faccia riferimento alle<br />

altre quindici squadre che l’avevano preceduta o che esistevano contemporaneamente a<br />

essa. In realtà, il team era stato creato ad hoc, ovvero era stato messo assieme allo<br />

scopo di occuparsi dell’incidente di Palomares. Nel 1966 non esisteva alcuna squadra<br />

ufficiale d’intervento in caso di catastrofe nucleare 8 , e non ci sarebbe stata per altri nove<br />

anni, fino al 1975, quando il brigadier generale in pensione Mahlon E. Gates, allora


direttore del Nevada Test Site, creò il Nuclear Emergency Search Team ( NEST, Corpo<br />

speciale per l’emergenza atomica).<br />

Nel 1966 le condizioni a Palomares, Spagna, erano molto simili a quelle del Nevada<br />

Test Site in termini di geologia. Si trattava in entrambi i casi di territori collinosi, con<br />

fattori significativi quali suolo, sabbia e venti prevalenti. Ma dato che l’Atomic Energy<br />

Commission, dimostrando una stupefacente mancanza di lungimiranza, non aveva mai<br />

tentato di decontaminare la zona dell’<strong>Area</strong> 13 in cui aveva fatto esplodere la bomba<br />

sporca nove anni prima, il 16 th Nuclear Disaster Team stava sostanzialmente brancolando<br />

nel buio.<br />

Ottocento persone <strong>senza</strong> alcuna esperienza furono mandate a Palomares per dare una<br />

mano con la decontaminazione 9 . Gli uomini improvvisarono. Un gruppo mise in sicurezza<br />

la zona contaminata e preparò il terreno per rimuovere lo strato superficiale. Un secondo<br />

gruppo si mise all’opera per tentare di localizzare la bomba termonucleare andata persa,<br />

definita Broken Arrow * nel gergo del dipartimento della Difesa. Il gruppo che si occupava<br />

del plutonio disperso comprendeva “specialisti e scienziati” del laboratorio di Los Alamos,<br />

del laboratorio <strong>La</strong>wrence Radiation, di Sandia, della Raytheon e della EG&G. Era<br />

terribilmente ironico: le stesse aziende che avevano costruito le bombe atomiche e i cui<br />

addetti le avevano cablate, armate e fatte esplodere adesso venivano pagate per<br />

occuparsi del micidiale pasticcio. Si trattava del complesso industriale-militare in tutto il<br />

suo sinistro splendore.<br />

Nel corso dei tre mesi successivi gli operai lavorarono <strong>senza</strong> sosta per decontaminare la<br />

zona dal pericolosissimo plutonio. Quando l’operazione terminò, 1.400 tonnellate di<br />

terreno e vegetazione radioattivi erano state rimosse e trasportate all’impianto di<br />

Savannah River in Carolina del Sud per essere smaltite. <strong>La</strong> maggior parte del plutonio<br />

disperso nel terreno fu recuperato, ma la Defense Nuclear Agency alla fine ammise che<br />

«non sarebbe mai stata nota» 10 la quantità di particelle radioattive disseminate dal vento<br />

o ingerite dai vermi e trasportate chissà dove. Quando alla bomba persa, per<br />

quarantaquattro giorni il Pentagono si rifiutò di ammettere che era scomparsa,<br />

nonostante il fatto fosse stato ampiamente riportato. «Non so di nessuna bomba persa» 11<br />

disse all’Associated Press un funzionario del Pentagono. Solo dopo che l’ordigno fu<br />

recuperato dal fondo del mare il Pentagono disse che in realtà era scomparsa.<br />

Gli incidenti nucleari non finirono qui. Due anni e quattro giorni dopo si verificò un altro<br />

incidente aereo in cui rimase coinvolto un bombardiere del SAC che trasportava quattro<br />

bombe atomiche. Il 21 gennaio 1968 scoppiò un incendio a bordo di un B-52G in missione<br />

segreta sopra la Groenlandia 12 . Sei dei sette membri dell’equipaggio si lanciarono<br />

dall’aereo in fiamme, il quale passò rasente i tetti della base americana di Thule e<br />

precipitò sulla superficie ghiacciata della baia dell’isola di North Star. L’impatto fece<br />

detonare le cariche esplosive di almeno tre dei quattro ordigni termonucleari – un evento<br />

paragonabile allo scoppio di numerose bombe sporche – disseminando plutonio, uranio e<br />

trizio radioattivi su un’estesa porzione di banchisa. Sul sito dell’impatto scoppiò un<br />

secondo incendio 13 che bruciò i resti delle bombe, i rottami dell’aereo e il carburante.<br />

Dopo venti minuti di quell’inferno di fuoco il ghiaccio iniziò a sciogliersi. Una delle bombe


si inabissò e scomparve nel mare gelato 14 . Nel novembre del 2008 un’indagine della BBC<br />

scoprì che il Pentagono aveva abbandonato la quarta bomba nucleare al suo destino.<br />

Di nuovo, fu messo insieme un gruppo di emergenza per l’occasione; non c’era ancora<br />

alcun corpo speciale permanente per fronteggiare i disastri nucleari. Questa volta furono<br />

coinvolte cinquecento persone. Le condizioni ambientali erano quasi altrettanto<br />

pericolose del materiale radioattivo. <strong>La</strong> temperatura scendeva a 56 °C sotto zero e il<br />

vento soffiava a quasi 150 chilometri orari. L’equipaggiamento si congelò. In un<br />

documento segreto del SAC reso pubblico nel 1989 in seguito a una richiesta fatta in base<br />

al Freedom of Information Act, l’aeronautica militare dichiarava che i suoi sforzi sarebbero<br />

stati insignificanti 15 , mentre gli ufficiali prevedevano che la rimozione dei detriti<br />

radioattivi sarebbe stata «di circa il 50%» del totale. Per otto mesi, una squadra che si<br />

era autoribattezzata il “team del dottor Freezelove ** ” lavorò giorno e notte. Quando<br />

terminarono, degli aerei da trasporto portarono in Carolina del Sud 10.500 tonnellate di<br />

ghiaccio, neve e rottami dell’incidente.<br />

Al Nevada Test Site era nata una nuova industria specializzata nelle operazioni di<br />

decontaminazione successive agli incidenti nucleari. Ma prima di poter decontaminare<br />

alcunché, deve essere fatta una valutazione della quantità di radiazioni letali presenti, di<br />

dove si trovino esattamente e sotto quale forma. Nel deserto fecero la loro comparsa<br />

prototipi di nuovi strumenti per rilevare le radiazioni. Prima degli incidenti nucleari in<br />

Spagna e in Groenlandia, i dispositivi individuali per il rilevamento della radioattività si<br />

limitavano a strumenti portatili come i contatori Geyger, usati per esaminare le mani e i<br />

piedi degli operai e per cercare le radiazioni in aree ristrette. Adesso il Nevada Test Site<br />

fu inondato da innumerevoli aggeggi elettronici da testare in un mondo vittima di un<br />

incidente nucleare. Dopo il trattato sul bando parziale dei test nucleari del 1963, le<br />

esplosioni erano state spostate sottoterra, ma spesso questi test sotterranei<br />

“affioravano”, rilasciando enormi pennacchi di radiazioni dalle spaccature della crosta<br />

terrestre. Il poligono nucleare era il luogo perfetto per provare l’equipaggiamento perché<br />

nello strato superficiale del terreno c’era abbondanza di plutonio, americio, cesio 16 ,<br />

cobalto, europio, stronzio e trizio, per non parlare della radioattività presente nell’aria.<br />

Prima arrivarono nuovi strumenti portatili, come una valigetta denominata Neutron<br />

Detector Suitcase, un prototipo messo a punto dalla EG&G, che fu seguito da mezzi più<br />

avanzati per la rilevazione della radioattività, tra cui veicoli di terra. Lo Sky Scanner,<br />

sviluppato dal laboratorio <strong>La</strong>wrence di Livermore, percorreva le strade sterrate del<br />

poligono misurando la radioattività che fuoriusciva dal sottosuolo. Il veicolo aveva una<br />

parabola e assomigliava al furgoncino di un’équipe della tv, solo che all’interno era pieno<br />

di equipaggiamento in grado di stabilire la quantità di fallout nell’atmosfera. Poi<br />

arrivarono velivoli ad ala fissa per pattugliare il cielo sopra il sito dell’incidente. Usati per<br />

individuare il fallout fin dall’epoca dell’operazione Crossroads, adesso erano equipaggiati<br />

con dispositivi di rilevamento della radioattività all’avanguardia e tuttora classificati.<br />

Tutto questo segnò la nascita di una nuova e fiorente tecnologia militare che sarebbe<br />

diventata uno dei business più importanti e più segreti del ventunesimo secolo.<br />

Denominata telerilevamento 17 , è la capacità di riconoscere livelli di radioattività a<br />

distanza per mezzo della radiazione ultravioletta, infrarossa e di altri sistemi di


ilevamento.<br />

Nel giro di un decennio dai disastrosi incidenti di Palomares e di Thule, l’EG&G avrebbe a<br />

tal punto dominato il mercato della rilevazione di radiazioni che il laboratorio costruito al<br />

Nevada Test Site per questo scopo inizialmente fu chiamato EG&G Remote Sensing<br />

<strong>La</strong>boratory 18 (<strong>La</strong>boratorio di telerilevamento EG&G). Dopo l’11 settembre, il laboratorio<br />

gemello, alla base aerea di Nellis a <strong>La</strong>s Vegas, venne denominato Remote Sensing<br />

<strong>La</strong>boratory e fu dotato di strumenti di rilevamento e individuazione per tutti i tipi di armi<br />

di distruzione di massa. Questa installazione sarebbe diventata assolutamente critica per<br />

la sicurezza nazionale, al punto che nel 2011 T.D. Barnes dice che «solo due persone a<br />

Nellis hanno l’autorizzazione ad accedere alle informative classificate riguardanti il<br />

Remote Sensing <strong>La</strong>b». Barnes è membro della squadra di supporto della base<br />

dell’aeronautica militare di Creech/Nellis e del suo consiglio militare civile. Ma negli anni<br />

Sessanta, tre installazioni nucleari – Los Alamos, <strong>La</strong>wrence Radiation e Sandia – e una<br />

società privata – la EG&G – occupavano una posizione del tutto privilegiata per<br />

interpretare gli avvenimenti. Se avessero continuato a verificarsi incidenti nucleari, quei<br />

quattro centri si sarebbero assicurati i contratti del governo per la decontaminazione 19 .<br />

L a EG&G eseguiva misurazioni delle radiazioni 20 e monitorava le nubi radioattive per<br />

l’Atomic Energy Commission dal 1946. Per decenni la EG&G Energy Measurements aveva<br />

mantenuto il controllo della maggior parte della documentazione sulla rilevazione di<br />

radiazioni a partire dal primo test postbellico all’atollo di Bikini. Poiché molte di queste<br />

informazioni furono originariamente acquisite in obbedienza ai rigidissimi protocolli di<br />

segretezza dell’Atomic Energy Commission – si trattava cioè di informazioni born<br />

classified – sono rimaste in larga parte classificate da allora. Non possono essere<br />

trasferite a un’altra autorità. Per decenni ciò ha significato che non c’era nessun altro in<br />

grado di far concorrenza alla EG&G nel campo del telerilevamento. I vertici dell’azienda<br />

non vogliono dire quanto sia coinvolta oggi in questo campo 21 .<br />

I documenti degli archivi della EG&G sono così segreti che l’accesso può essere negato<br />

persino al presidente degli Stati Uniti, come accadde a Clinton nel 1994 22 . Un anno prima,<br />

una giornalista di nome Eileen Welsome aveva scritto un servizio di quarantacinque<br />

pagine per l’«Albuquerque Tribune» rivelando che a partire dagli anni Quaranta l’Atomic<br />

Energy Commission aveva iniettato segretamente del plutonio in cavie umane <strong>senza</strong> che<br />

costoro ne fossero consapevoli. Quando il presidente Clinton lo venne a sapere, creò una<br />

commissione consultiva sugli esperimenti radioattivi sull’uomo per avere accesso ai<br />

segreti dell’Atomic Energy Commission e renderli pubblici. In parecchi ambiti la<br />

commissione voluta dal presidente riuscì a rivelare verità scomode, ma in altri fallì. In<br />

almeno un caso, relativo a un progetto segreto condotto all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, alla commissione fu<br />

rifiutato l’accesso ai documenti custoditi dalla EG&G e dall’AEC sulla base della<br />

giustificazione che non erano informazioni strettamente necessarie per il presidente 23 .<br />

Anche in un altro caso, quello riguardante il programma di razzi nucleari alle Jackass Flats<br />

dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, la commissione non fu in grado di rendere pubblica la verità. Si ignora se ciò<br />

sia avvenuto perché la commissione non ebbe accesso alla documentazione presente<br />

nell’archivio EG&G o perché, pur avendola potuta consultare, scelse di non divulgare i fatti.<br />

Al contrario, ciò che accadde alle Jackass Flats, molto tempo dopo che i test nucleari


erano stati messi fuori legge in tutto il mondo, merita un’unica riga 24 nel rapporto finale<br />

della commissione consistente in ben 937 pagine zeppe di altri test che hanno implicato<br />

“rilasci intenzionali” vicino a insediamenti umani. «Ai poligoni dell’AEC in Nevada e Idaho,<br />

materiali radioattivi furono rilasciati nel corso di test sulla sicurezza di bombe, reattori<br />

nucleari, e prototipi di razzi e aeroplani nucleari» sono le parole inoffensive del rapporto.<br />

Se l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> ebbe un doppio al poligono nucleare, dovrebbe essere l’<strong>Area</strong> 25, che si<br />

estende su 580 chilometri quadrati. L’area desertica piatta e sabbiosa deve il suo nome ai<br />

tempi della corsa all’oro, quando i minatori avevano l’abitudine di legare i loro asini ***<br />

agli alberi della pianura mentre cercavano il prezioso metallo nelle montagne circostanti.<br />

Come l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, le Jackass Flats sono circondate da catene di montagne su tre dei quattro<br />

lati, cosa che le rende entrambe luoghi nascosti all’interno di una zona controllata dal<br />

governo. A differenza dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, la quale tecnicamente non esiste, nel corso degli anni<br />

Cinquanta e Sessanta le Jackass Flats mantennero un’irrepresensibile facciata pubblica.<br />

Quando il presidente Kennedy visitò il Nevada Test Site nel 1962, si recò alle Jackass<br />

Flats per promuovere i programmi dei viaggi nello spazio in corso nell’area. Ma come<br />

accadeva per la maggior parte dei progetti nucleari dell’epoca, all’opinione pubblica<br />

veniva raccontata solo una parte della storia. Alle Jackass Flats venivano condotti progetti<br />

segreti, e sotterranei, di cui i cittadini non sapevano nulla.<br />

All’inizio l’<strong>Area</strong> 25 era il posto perfetto per lanciare una nave spaziale a propulsione<br />

nucleare che avrebbe portato l’uomo su Marte e ritorno in soli 124 giorni. <strong>La</strong> nave<br />

spaziale sarebbe stata gigantesca, alta sedici piani e pilotata da un equipaggio di 150<br />

uomini 25 . Il progetto Orion sembrava un veicolo spaziale uscito dritto da un romanzo di<br />

fantascienza, solo che era vero. Era l’idea di un ex progettista di armi di Los Alamos di<br />

nome Theodore Taylor, un uomo che considerava lo spazio come l’ultima “nuova<br />

frontiera”.<br />

Per molto tempo, a partire dall’inizio degli anni Cinquanta, Taylor progettò bombe<br />

nucleari per il Pentagono finché non cominciò a nutrire dubbi sulle motivazioni del<br />

dipartimento della Difesa. <strong>La</strong>sciò l’impiego governativo, almeno ufficialmente, e andò a<br />

lavorare per la General Atomics a San Diego, la divisione nucleare del contractor della<br />

difesa General Electric, dove iniziò a progettare navi spaziali a propulsione atomica. Ma<br />

per costruire un veicolo capace di raggiungere Marte erano necessari fondi federali e nel<br />

1958 la General Atomics sottopose l’idea al nuovo gruppo di ricerca per la scienza e la<br />

tecnologia del presidente Eisenhower, l’Advanced Research Project Agency ( ARPA, Agenzia<br />

per i progetti di ricerca avanzata). Oggi l’agenzia è conosciuta come DARPA, dove la D sta<br />

per “difesa”.<br />

All’epoca sviluppare tecnologia di volo spaziale avanzata significava avvalersi di<br />

scienziati come Wernher von Braun per progettare razzi a propulsione chimica in grado di<br />

portare l’uomo sulla Luna in una capsula delle dimensioni di un’automobile. Poi arrivò<br />

Taylor con la proposta di costruire una nave spaziale per andare su Marte grande come<br />

un palazzo di uffici, grazie all’energia nucleare. Per il capo dell’ARPA Roy Johnson, l’idea di<br />

Taylor fu amore a prima vista. «Sembra che tutti quanti facciano piani 26 per stoccare<br />

carburante, carburante e ancora carburante allo scopo di mandare in orbita un pisello, ma


pare che tu faccia sul serio» disse a Taylor nel 1958.<br />

Alla General Atomics furono dati un anticipo di un milione di dollari, un progetto<br />

classificato con il nome in codice Orion e un’installazione di massima sicurezza per<br />

eseguire i test all’<strong>Area</strong> 25 del Nevada Test Site, nelle Jackass Flats. Il motivo per cui la<br />

nave spaziale di Taylor aveva bisogno di un posto segretissimo e non poteva essere<br />

lanciata da Cape Canaveral come gli altri razzi e le altre navicelle, era che Orion sarebbe<br />

stata alimentata da duemila bombe nucleari “di piccole dimensioni”.<br />

All’<strong>Area</strong> 25, lontano da occhi indiscreti, la gigantesca nave spaziale di Taylor sarebbe<br />

stata lanciata da torri alte 75 metri. Il lancio avrebbe provocato l’innalzarsi di una colonna<br />

di energia nucleare rilasciata dalle bombe. Ma quando l’aeronautica militare assunse il<br />

controllo del progetto, aveva in mente una cosa completamente diversa. L’ARPA e<br />

l’aeronautica ripensarono Orion trasformandola in una nave da guerra spaziale. Dalla sua<br />

posizione altissima sopra il pianeta, una USS Orion poteva essere usata per lanciare<br />

attacchi contro obiettivi nemici impiegando missili nucleari. Grazie alla tecnologia di<br />

propulsione atomica, la nave spaziale era in grado di compiere veloci manovre difensive,<br />

evitando qualunque missile russo eventualmente diretto contro di essa. Avrebbe potuto<br />

resistere all’esplosione di una bomba da un megatone da una distanza di soli 150 metri.<br />

Per un certo periodo, all’inizio degli anni Sessanta, l’aeronautica credette che Orion<br />

sarebbe stata invincibile. «Chiunque costruirà Orion controllerà la Terra!» 27 dichiarò il<br />

generale Thomas S. Power dello Strategic Air Command. Ma nessuno la costruì. Dopo il<br />

bando dei test nucleari in atmosfera nel 1963, il progetto fu sospeso a data da destinarsi.<br />

Sempre desiderose di mandare l’uomo su Marte, la NASA e l’aeronautica rivolsero la<br />

propria attenzione ai razzi a propulsione atomica. Da quel momento in avanti non ci<br />

sarebbero più state esplosioni nucleari in atmosfera alle Jackass Flats, almeno non<br />

ufficialmente. L’energia nucleare richiesta per la navicella diretta su Marte sarebbe stata<br />

fornita da un reattore volante, con barre di carburante racchiuse tra pareti abbastanza<br />

leggere per poter viaggiare nello spazio ma comunque sufficienti a evitare di friggere gli<br />

astronauti. Il progetto fu denominato NERVA, l’acronimo di Nuclear Engine for Rocket<br />

Vehicle Application (Motore nucleare per applicazione su veicoli a razzo). L’installazione<br />

aveva un nome pubblico, anche se nessun cittadino normale avrebbe potuto recarvisi: si<br />

chiamava Nuclear Rocket Test Facility di Jackass Flats. Per dirigere il programma fu<br />

creato un ufficio congiunto NASA/AEC, denominato Space Nuclear Propulsion Office (SNPO,<br />

Ufficio per la propulsione nucleare spaziale) 28 .<br />

Per T.D. Barnes, occuparsi del reattore nucleare NERVA era un po’ azzardato, dato che le<br />

sue competenze riguardavano i missili e le tecnologie radar. Ma quando, alla fine degli<br />

anni Sessanta, il lavoro all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> iniziò a scarseggiare, Barnes, che faceva parte della<br />

squadra Special Projects della EG&G, fu mandato all’<strong>Area</strong> 25 a lavorare al progetto NERVA.<br />

Anche se NERVA era stato presentato al Congresso come un programma pubblico, tutti i<br />

suoi dati erano classificati, come pure le attività quotidiane all’<strong>Area</strong> 25. <strong>La</strong> postazione di<br />

lavoro di Barnes non avrebbe potuto essere più nascosta alla vista: si trovava sottoterra,<br />

costruita nel fianco di una montagna 29 che si innalzava ai margini del piatto paesaggio<br />

desertico. Tutte le mattine Barnes e i suoi colleghi provvisti di autorizzazioni di sicurezza<br />

che vivevano a <strong>La</strong>s Vegas o nei dintorni parcheggiavano l’auto all’ingresso del Nevada


Test Site, a Camp Mercury, e da lì venivano portati alle Jackass Flats da pullmini<br />

dell’Atomic Energy Commission.<br />

Tutti gli addetti entravano da un piccolo portone nel fianco della montagna, «che<br />

sembrava l’ingresso del pozzo di una vecchia miniera, anche se un filo più moderno»<br />

racconta Barnes, ricordando «grandi porte d’acciaio ed enormi condotti per l’aria che<br />

provenivano dalla cima dell’altopiano ed entravano nella galleria». All’interno il tunnel di<br />

cemento era lungo e dritto, e proseguiva nelle viscere della terra «a perdita d’occhio». I<br />

documenti dell’Atomic Energy Commission indicano che il tunnel era lungo 350 metri 30 .<br />

Barnes dice che era illuminato a giorno e pulitissimo. «C’erano condotti per l’aria a vista<br />

per tutta la lunghezza del tunnel e parecchie passerelle di metallo sovrapposte che<br />

venivano usate per trasportare oggetti pesanti dentro e fuori la montagna» racconta. «Il<br />

soffitto era alto circa due metri e mezzo e c’era spazio per non più di due uomini che<br />

camminavano affiancati.»<br />

Nel cuore del tunnel Barnes incontrava un’ultima serie di porte chiuse. Al di là di esse<br />

c’era una successione di stanze fortemente illuminate piene di scrivanie. «Avvicinandosi<br />

alla fine del tunnel, si entrava in una grande stanza sotterranea occupata interamente da<br />

amplificatori elettronici, circuiti discriminatori, dispositivi di multiplazione e banchi di<br />

strumentazione hi-tech allineati lungo le pareti.» Di fronte alle apparecchiature<br />

elettroniche c’era un ingegnere «di solito con un carrello zeppo di strumenti di<br />

misurazione elettronica che tarava e riparava i circuiti» spiega Barnes. Questi uomini si<br />

stavano preparando per quelli che sarebbero stati test in atmosfera, in scala reale, di un<br />

motore a propulsione nucleare. Per poter verificare che il NERVA fosse davvero in grado di<br />

portare su Marte una nave spaziale piena di astronauti a una distanza compresa tra 54,4<br />

e 401,3 milioni di chilometri (a seconda della posizione dei due pianeti nella rispettiva<br />

orbita), la NASA e l’AEC dovevano prima far funzionare il motore a pieno regime per lunghi<br />

periodi di tempo sulla Terra. Per testare quel genere di potenza <strong>senza</strong> che il motore<br />

finisse nello spazio, fu bloccato su un banco di prova e posizionato al contrario.<br />

Per ciascun test, una locomotiva guidata a distanza 31 avrebbe portato il reattore al<br />

banco di prova dal bunker di cemento e piombo dove veniva tenuto, chiamato E-MAD, che<br />

distava cinque chilometri. «Scherzavamo sul fatto che la locomotiva delle Jackass Flats<br />

era la più lenta del mondo» racconta Barnes. «L’unica cosa che evitava la fusione del<br />

nocciolo del reattore mentre viaggiava lungo i binari avanti e indietro dall’E-MAD al banco<br />

di prova era l’idrogeno liquido in cui era immerso.» Il treno non andava mai a più di otto<br />

chilometri orari. «Una scintilla e sarebbe esploso tutto quanto» spiega Barnes. A -195 °C<br />

l’idrogeno liquido è uno degli esplosivi più instabili e pericolosi del mondo. James A.<br />

Dewar, autore di To the End of the Solar System: The Story of the Nuclear Rocket, è<br />

ancora più preciso: «Un centesimo della scarica elettrostatica che si crea 32 strisciando i<br />

piedi su un tappeto e poi toccando un muro può incendiare l’idrogeno». Per descrivere a<br />

cosa assomigliavano le installazioni esterne delle Jackass Flats, Barnes le paragona a<br />

Cape Kennedy. «Immaginate una torre di alluminio alta 37 metri che si erge da una<br />

piattaforma di cemento circondata da un profondo acquedotto. Aggiungete alcuni<br />

giganteschi serbatoi sferici simili a thermos contenenti ciascuno qualcosa come 986.000<br />

litri di idrogeno liquido e avrete un’idea dello scenario che si poteva vedere alle Jackass


Flats» dice Barnes. In alcune fotografie dell’AEC risalenti agli anni Sessanta si vedono dei<br />

binari che corrono lungo l’acquedotto di cemento e scompaiono in un’apertura sotto l’alta<br />

torre metallica. «Il convoglio ferroviario portava il reattore nucleare fino al banco di prova<br />

e lo sollevava in posizione per mezzo di bracci idraulici controllati a distanza» spiega<br />

Barnes. «Nel frattempo, noi stavamo tutti sottoterra a osservare il reattore attraverso<br />

speciali finestre rivestite di piombo, facendo misurazioni e rilevando dati mentre il motore<br />

funzionava.» L’installazione era seppellita all’interno della montagna non solo per evitare<br />

i satelliti spia sovietici 33 , ma anche per proteggere Barnes e i suoi colleghi dalle radiazioni<br />

emesse dal reattore NERVA. «Due metri di terra rappresentano un ottimo scudo contro<br />

l’avvelenamento radioattivo» dice Barnes.<br />

Quando era alla massima potenza, il motore nucleare funzionava a una temperatura di<br />

2.300 K 34 , ovvero 2.027 °C, il che significava che doveva essere continuamente<br />

raffreddato con l’idrogeno liquido. «Mentre il motore funzionava il canyon si trasformava<br />

in un inferno perché l’idrogeno caldo si incendiava immediatamente non appena entrava<br />

in contatto con l’aria» continua Barnes. Questi test di motori nucleari per i razzi rimasero<br />

segreti fino agli anni Novanta, quando un giornalista di nome Lee Davidson,<br />

caporedattore a Washington del «Deseret News» dello Utah, offrì al pubblico i primi<br />

dettagli. «Il Pentagono ha rilasciato le informazioni dopo che ho fatto una richiesta sulla<br />

base del Freedom of Information Act» 35 dice Davidson. A sua volta, Davidson informò i<br />

lettori di fatti in precedenza sconosciuti: «Inchiodato al suolo, il motore ruggiva […]<br />

scaricando verso l’alto un invisibile pennacchio di idrogeno che era appena stato fatto<br />

passare attraverso un reattore a fissione nucleare surriscaldato». Facendo ulteriori<br />

ricerche, scoprì che negli anni Sessanta, dopo che gli abitanti di Caliente, Nevada, si<br />

erano lamentati della pre<strong>senza</strong> di iodio 131 – uno degli isotopi radioattivi più pericolosi<br />

che si trovano nei prodotti della fissione nucleare – nell’acquedotto della loro città,<br />

funzionari dell’Atomic Energy avevano negato che fossero in corso test nucleari. Al<br />

contrario, avevano dato la colpa ai cinesi, sostenendo che «i prodotti della fissione<br />

provengono con ogni probabilità da un test atomico in atmosfera compiuto dalla Cina». In<br />

realtà, era stato condotto un test del motore NERVA all’<strong>Area</strong> 25 solo tre giorni prima che<br />

fossero eseguite le analisi dell’acqua.<br />

Se l’opinione pubblica avesse saputo dei test NERVA quando erano in corso,<br />

probabilmente li avrebbe percepiti come un’imminente catastrofe nucleare. Che è<br />

esattamente quello che successe. «Los Alamos voleva un reattore fuori controllo» 36 ha<br />

scritto Dewar, il quale oltre a essere uno scrittore è un funzionario di lunga data dell’ AEC,<br />

«un picco di potenza fino all’esplosione [del reattore].» Dewar ne spiega la ragione: «Se<br />

Los Alamos avesse avuto dati sull’incidente più devastante possibile 37 , avrebbe potuto<br />

calcolare con precisione altri scenari e prendere adeguate misure preventive». E così, il<br />

12 gennaio 1965, si lasciò che il motore nucleare denominato in codice Kiwi si<br />

surriscaldasse. Videocamere ad alta velocità registrarono l’evento. <strong>La</strong> temperatura salì<br />

«oltre i 4.000 °C finché [il reattore] esplose 38 , sparando in cielo carburante e<br />

illuminandosi di tutti i colori dell’arcobaleno» ha scritto Dewar. Frammenti di carburante<br />

con una radioattività letale e pesanti fino a 70 chilogrammi 39 schizzarono in aria come


proiettili; un pezzo da 40 chilogrammi atterrò a oltre 400 metri di distanza.<br />

Quando l’esplosione si esaurì, si alzò una nube radioattiva che «si stabilizzò a 790<br />

metri» dove fu raggiunta da un aereo della EG&G «equipaggiato con dispositivi per la<br />

raccolta di campioni sulle ali» 40 . <strong>La</strong> nube rimase sospesa e iniziò a muoversi verso est,<br />

quindi verso ovest. «Si diresse sopra Los Angeles 41 e in mare aperto» ha spiegato Dewar.<br />

I dati completi delle misurazioni della radioattività eseguite dalla EG&G rimangono<br />

classificati.<br />

Il test, reso pubblico come un “test di sicurezza”, provocò un incidente internazionale.<br />

L’Unione Sovietica sostenne che era una violazione del trattato sul bando parziale dei test<br />

nucleari del 1963, il che ovviamente era la verità. Ma l’AEC aveva ottenuto quello che<br />

voleva, «dati accurati su cui basare i calcoli» 42 ha scritto Dewar, aggiungendo che «il test<br />

sopì molte preoccupazioni riguardo un incidente catastrofico». In particolare, l’AEC e la<br />

NASA adesso sapevano che «nell’eventualità di un simile incidente sulla rampa di lancio<br />

[l’esplosione] avrebbe provocato la rapida morte di chiunque si trovasse a 30 metri dal<br />

punto zero, seri danni e forse un esito letale per chiunque stesse a 120 metri di distanza<br />

e una dose [di radiazioni] pericolosa a 300 metri».<br />

Dal momento che è difficile credere che le organizzazioni coinvolte non sapessero già<br />

queste cose, rimane la domanda: che dati stava davvero cercando l’Atomic Energy<br />

Commission? L’uomo responsabile del progetto all’epoca, il direttore dello Space Nuclear<br />

Propulsion Office Harold B. Finger, cui nel 2010 è stato chiesto di commentare l’accaduto,<br />

ha risposto: «Non ricordo quel test in particolare 43 . È stato tanto tempo fa».<br />

Cinque mesi dopo, nel giugno del 1965, il disastro successe sul serio, questa volta<br />

ufficialmente non pianificato. Un’altra incarnazione del motore nucleare, nome in codice<br />

Phoebus 44 , stava funzionando a pieno regime da dieci minuti quando «all’improvviso finì<br />

l’idrogeno liquido 45 [e] si surriscaldò in un batter d’occhi» ha scritto Dewar. Com’era<br />

accaduto con l’“esplosione” pianificata di cinque mesi prima, il reattore prima espulse in<br />

atmosfera grossi frammenti del suo carburante radioattivo, poi «il resto si fuse assieme,<br />

come sotto l’azione di un gigantesco saldatore» ha spiegato Dewar. I non addetti ai lavori<br />

la chiamerebbero “fusione del nocciolo”. <strong>La</strong> causa dell’incidente fu un indicatore difettoso<br />

su uno dei serbatoi di idrogeno liquido: l’indicatore diceva che rimaneva un quarto di<br />

idrogeno mentre in realtà il serbatoio era vuoto.<br />

Dopo l’incidente di Phoebus la zona delle Jackass Flats era così radioattiva che neppure<br />

le squadre HAZMAT con le tute protettive integrali poterono entrare nell’area per sei<br />

settimane 46 . Non è disponibile alcuna informazione su cosa successe ai lavoratori che si<br />

trovavano sottoterra. All’inizio, Los Alamos cercò di usare dei robot per eseguire la<br />

decontaminazione, ma secondo Dewar erano «lenti e inefficienti». Alla fine furono<br />

mandati degli uomini alla guida di aspiratori montati su camion per recuperare le<br />

particelle letali. Fotografie declassificate dell’AEC mostrano i lavoratori con indosso tute di<br />

protezione e maschere antigas che raccolgono i frammenti radioattivi servendosi di<br />

lunghe pinze di metallo 47 . Al pari di molti funzionari dell’Atomic Energy Commission,<br />

Dewar interpretò l’incidente come «un mezzo per raggiungere alcuni obiettivi». Per<br />

quanto «certamente sfortunato, non pianificato, non voluto e imprevisto» era convinto


che «definire l’incidente “catastrofico” falsa il significato della parola». Per completare il<br />

processo di decontaminazione ci vollero due mesi nel corso dei quali furono impegnate<br />

quattrocento persone.<br />

Che cosa accadde a NERVA alla fine? Quando Barnes vi lavorò nel 1968, il progetto era<br />

parecchio avanzato. Ma i viaggi spaziali erano in declino. Nel 1970 l’infatuazione del<br />

pubblico per la prospettiva di mandare un uomo su Marte aveva subìto una brusca eclissi.<br />

I fondi si esaurirono e i progetti della NASA cominciarono a essere chiusi. «Sviluppammo il<br />

razzo» dice Barnes. «Abbiamo la tecnologia per mandare l’uomo su Marte in questo<br />

modo. Ma dal punto di vista ambientale non avremmo mai potuto usare un razzo a<br />

propulsione nucleare sulla Terra a causa della possibilità che esplodesse durante il<br />

decollo. Così NERVA si avviò alla sua fase finale.» Dipende da cosa si intende per “fase<br />

finale”. Il presidente Nixon cancellò il programma che terminò ufficialmente il 5 febbraio<br />

1973 48 . Parecchie persone che hanno lavorato all’installazione delle Jackass Flats dicono<br />

che la fine del progetto del razzo nucleare fu un drammatico cataclisma, qualcosa che<br />

non è mai stato reso pubblico prima. «Sappiamo che al governo piace testare gli incidenti<br />

in anticipo» dice Barnes. Darwin Morgan, portavoce della National Nuclear Security<br />

Administration (Amministrazione per la sicurezza nucleare nazionale), Nevada Site Office,<br />

dice che non ci fu alcun test finale 49 . «Una cosa simile sarebbe stato un evento troppo<br />

clamoroso per poter essere “coperto”» sostiene Morgan. «Ho parlato alle persone dei<br />

nostri archivi classificati. Non hanno niente.»<br />

I dati suggeriscono il contrario. Nello studiare l’<strong>Area</strong> 25 per stabilire in che modo ex<br />

operai e fornitori dell’AEC con il cancro possano essere stati esposti a dosi potenzialmente<br />

letali di radiazioni, gli investigatori del National Institute for Occupational Safety and<br />

Health (Istituto nazionale per la sicurezza e la salute sul lavoro) hanno scoperto che in<br />

realtà alle Jackass Flats esplosero «due reattori nucleari». «A causa della distruzione di<br />

due reattori nucleari 50 e del trasporto di materiale radioattivo, l’area fu largamente<br />

contaminata con uranio arricchito, niobio, cobalto e cesio» hanno concluso gli autori del<br />

rapporto, nel 2008.<br />

I dati completi relativi agli ultimi test condotti sul razzo nucleare NERVA rimangono<br />

classificati come “dati riservati” e il dipartimento dell’Energia si è ripetutamente rifiutato<br />

di rendere pubblica la documentazione. I documenti dell’Atomic Energy Commission sono<br />

«ben organizzati e completi <strong>51</strong> ma sfortunatamente la maggior parte sono classificati o<br />

tenuti in zone di sicurezza che limitano l’accesso al pubblico» ha scritto Dewar. Quanto<br />

alla documentazione dello Space Nuclear Propulsion Office, Dewar ha sostenuto che<br />

«molti veterani dello SPNO sono convinti che i dati siano stati distrutti dopo l’abolizione<br />

dell’ufficio, nel 1973» e che «in particolare, i fascicoli cronologici di Harold Finger, Milton<br />

Klein e David Gabriel, direttori dello SPNO, sarebbero di inestimabile valore» per stabilire<br />

la storia completa del progetto NERVA. Quando gli è stato chiesto un commento, Harold<br />

Finger ha chiarito di aver lasciato il posto di direttore del programma nel 1968. «Non sono<br />

a conoscenza di nessuna fusione del nocciolo» ha detto, suggerendo che il suo ex vice<br />

Milton Klein avrebbe potuto saperne di più 52 . «Ho lasciato il posto di direttore del<br />

programma nel 1971» ha dichiarato Klein «e non ho alcuna informazione su ciò che<br />

accadde a NERVA alla fine.»


Nel gennaio del 2002, nell’ambito del Nevada Environmental Restoration Project<br />

(Progetto per il recupero ambientale del Nevada), la National Nuclear Security<br />

Administration ha condotto uno studio relativo alla proposta di decontaminazione<br />

dell’<strong>Area</strong> 25. Il rapporto ha rivelato che all’epoca erano ancora presenti i seguenti<br />

elementi radioattivi 53 : «cobalto-60 (Co-60); stronzio-90 (Sr-90); ittrio-90 (Y-90); niobio-<br />

94 (Nb-94); cesio-137 (Cs-137); bario-137m (Ba-137m); europio-152, 154 e 155 (Eu-152,<br />

Eu-154 ed Eu-155); uranio-234, 235, 238 (U-234, U-235, U-238); plutonio-239/240 (Pu-<br />

239/240) e americio-241 (Am-241)» e che la contaminazione «può essere percolata nel<br />

suolo sottostante» 54 .<br />

A ventotto anni di distanza dalla controversa conclusione di NERVA alle Jackass Flats,<br />

poco dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre, il terreno radioattivo dell’<strong>Area</strong> 25 è<br />

stato impiegato a un nuovo scopo 55 quando il dipartimento della Sicurezza interna e<br />

l’esercito hanno cominciato a tenervi esercitazioni di addestramento, incluse quelle su<br />

come affrontare una decontaminazione in seguito a un attacco terroristico con un’arma<br />

nucleare. T.D. Barnes ha fatto da consulente per parecchie di queste iniziative.<br />

Il portavoce della NNSA Darwin Morgan ha discusso l’addestramento riguardante le armi<br />

di distruzione di massa in corso al poligono in un video governativo che si può vedere<br />

all’Atomic Testing Museum di <strong>La</strong>s Vegas. «È un’esperienza di altissimo livello per le<br />

squadre di primo soccorso» 56 ha detto Morgan «perché nell’area c’è vera radioattività che<br />

non si può trovare da nessun’altra parte.» Eppure la National Nuclear Security<br />

Administration si rifiuta di dare dettagli più precisi su come, esattamente, si sia giunti ad<br />

avere questa “vera radioattività”.<br />

Forse, all’inizio degli anni Settanta, l’Atomic Energy Commission pensava che, un<br />

giorno, in un’installazione nucleare di una città americana, si sarebbe potuta benissimo<br />

verificare una fusione del nocciolo 57 . Se fosse accaduto, sarebbe stato un bene sapere<br />

che cosa aspettarsi. Nel 1972 l’industria dell’energia nucleare aveva conosciuto cinque<br />

“anni di boom” 58 , secondo gli archivi dell’AEC. In mancanza di qualunque quadro<br />

normativo, la commissione aveva promosso e sviluppato “unità” di reattori nucleari 59 , nel<br />

cui nucleo si trova il combustibile che fornisce energia alle centrali nucleari. Alla fine del<br />

1967 la commissione aveva dislocato 30 unità in tutto il paese. L’anno successivo quel<br />

numero salì a 91 ed entro il 1972 i reattori nucleari nelle centrali di cui l’AEC era<br />

responsabile erano diventati 160.<br />

Sei anni dopo la conclusione del programma NERVA alle Jackass Flats, il 28 marzo 1979,<br />

all’impianto nucleare di Three Mile Island per poco non si fuse il nocciolo. Il nucleo del<br />

reattore nucleare si fuse parzialmente a causa della mancanza di refrigerante. A quanto<br />

pare gli addetti furono incapaci di reagire. «Le persone sembravano confuse da una<br />

situazione che non era spiegata nei manuali, divisi tra logica e procedure operative<br />

standard, indecisi in mancanza di un forte potere esecutivo» si legge in un rapporto del<br />

1980 sul disastro, preparato dal gruppo speciale d’indagine della neonata Nuclear<br />

Regulatory Commission (Commissione normativa in materia nucleare). Anche se all’<strong>Area</strong><br />

25 erano stati condotti test che ricreavano incidenti analoghi, il “potere esecutivo”,<br />

ovvero l’Atomic Energy Commission, evidentemente non aveva condiviso le informazioni


con i partner delle centrali nucleari.<br />

Nello stesso periodo in cui si verificò l’incidente di Three Mile Island, nelle sale di tutto<br />

il paese arrivava un film intitolato Sindrome cinese. <strong>La</strong> pellicola parlava di un intrigo<br />

governativo per tenere segreto un imminente disastro nucleare causato dalla fusione del<br />

nocciolo, con Jane Fonda nel ruolo della giornalista decisa a rivelare la verità. Sebbene<br />

agli spettatori fosse chiaro che si trattava di finzione, il film era stato girato con grande<br />

attenzione ai dettagli tecnici. Il gruppo speciale d’indagine della Nuclear Regulatory<br />

Commission stabilì che la combinazione dei due eventi – quello reale e quello sullo<br />

schermo – aveva provocato una tempesta di fuoco mediatica. Il fatto che l’incidente fosse<br />

avvenuto sotto i riflettori dei mezzi d’informazione, si legge nel rapporto, «potrebbe<br />

essere la miglior garanzia che non succederà di nuovo» 60 . <strong>La</strong> cosiddetta isteria di massa<br />

dell’opinione pubblica, temuta per decenni dall’élite governativa, dopotutto fece gli<br />

interessi dei cittadini. A Three Mile Island, la tempesta di fuoco dei media e la reazione<br />

del pubblico funzionarono da “controlli e contrappesi” democratici laddove il governo<br />

federale aveva fallito.<br />

Per quanti incidenti nucleari fai-da-te l’AEC avesse potuto prevedere, non avrebbe<br />

potuto immaginare ciò che accadde il 24 gennaio 1978, quando un satellite spia russo a<br />

propulsione nucleare precipitò 61 sul suolo americano, in Canada. Gli analisti del NORAD<br />

stavano tracciando il Cosmos 954 da quando era stato lanciato, il 18 settembre 1977, ma<br />

dopo tre mesi i movimenti del satellite spia avevano cominciato a suscitare sempre<br />

maggiore allarme. Il satellite sovietico era stato progettato per tracciare i sottomarini<br />

americani che si muovevano negli abissi e il NORAD sapeva che il veicolo spaziale era<br />

lungo 14 metri e pesava 4,4 tonnellate; per mandare in orbita un simile carico era<br />

necessaria una quantità formidabile di energia, molto probabilmente nucleare.<br />

Nel dicembre del 1977 gli analisti stabilirono che il satellite russo stava uscendo<br />

dall’orbita, avvicinandosi sempre di più alla Terra a ogni rotazione di novanta minuti<br />

attorno al globo. I calcoli indicavano che, a meno che i russi non riuscissero a controllare<br />

il satellite, con ogni probabilità nel giro di un mese Cosmos sarebbe rientrato<br />

nell’atmosfera precipitando da qualche parte nell’America settentrionale. Il consigliere per<br />

la sicurezza nazionale del presidente Carter, Zbigniew Brzezinski, fece pressioni su Mosca<br />

per avere informazioni riguardo a cosa ci fosse esattamente sul satellite che stava per<br />

schiantarsi. I russi risposero che il Cosmos 954 trasportava 50 chilogrammi di uranio 235<br />

altamente arricchito.<br />

Durante la crisi Richard Mingus lavorava al centro di comando per le emergenze del<br />

dipartimento dell’Energia, ubicato a <strong>La</strong>s Vegas. Il centro aveva il compito di monitorare<br />

l’informazione pubblica sull’imminente disastro nucleare, obbedendo alle direttive della<br />

CIA. Secondo un rapporto segreto dell’agenzia declassificato nel 1997, fu deciso di non<br />

informare l’opinione pubblica 62 . Cercare di prevedere la reazione dei cittadini all’incidente<br />

di un satellite nucleare era come «giocare a baseball di notte con le luci spente» 63 scrisse<br />

l’analista della CIA Gus Weiss, perché immaginare «i risultati di [Cosmos] 954 sarebbe<br />

equivalso a stabilire il vincitore di un incidente ferroviario». L’agenzia sapeva<br />

esattamente che cosa sarebbe successo, e cioè che «il satellite stava cadendo con a<br />

bordo un reattore acceso». <strong>La</strong> CIA era anche convinta che «una fuga di informazioni a


tinte forti avrebbe potuto turbare il pubblico in modi imprevedibili». Questa informazione<br />

non è mai stata resa pubblica in precedenza.<br />

«C’era grande tensione» 64 ricorda Richard Mingus, il quale passò parecchi giorni a<br />

rispondere al telefono al centro di comando per le emergenze. Nel 1978 il NEST 65 (Nuclear<br />

Emergency Search Team, Corpo speciale per le emergenze nucleari) era finalmente<br />

addestrato ad affrontare disastri nucleari. L’uomo responsabile del corpo era il brigadier<br />

generale Mahlon E. Gates, che era anche il direttore del Nevada Test Site. Secondo<br />

Gates, «il nucleo dell’attività legata al NEST fu stabilito all’interno della EG&G 66 , che aveva<br />

la responsabilità della logistica generale» per il personale del laboratorio nucleare e per<br />

gli uomini assegnati al NEST dal governo federale. <strong>La</strong> squadra rimase in attesa<br />

all’aeroporto McCarran, «pronta a partire nel momento stesso in cui la cosa fosse<br />

precipitata» dice Mingus. «Il nostro compito al centro di comando per le emergenze era di<br />

evitare che gli americani si facessero prendere dal panico.» L’unica cosa che Brzezinski<br />

aveva detto pubblicamente era che l’America stava affrontando un «problema dell’era<br />

spaziale» 67 . Mingus è convinto che sia stata la mossa giusta. «Il satellite era ancora<br />

piuttosto in alto, non c’era pericolo radioattivo finché non toccava davvero terra. Ma<br />

immagini il panico se la gente, o il sindaco di una città, avesse iniziato a chiedere<br />

l’evacuazione dei centri urbani sulla base di congetture su dove sarebbe precipitato il<br />

satellite alla successiva orbita di novanta minuti.» Mingus dice che al centro di comando<br />

si aveva la sensazione che se fosse successo, avrebbe potuto scatenarsi il panico come in<br />

<strong>La</strong> guerra dei mondi 68 .<br />

Quando il Cosmos 954 finalmente precipitò, si schiantò su un’ampia superficie<br />

ghiacciata nel cuore della tundra canadese, il Great Slave <strong>La</strong>ke, 1.600 chilometri a nord<br />

del Montana. All’aeroporto McCarran una serie di furgoni del NEST <strong>senza</strong> insegne – che<br />

dovevano assomigliare a furgoni da panettiere 69 ma erano pieni di strumentazione per il<br />

rilevamento della radioattività – entrò nella pancia di un gigantesco C-130 da trasporto e<br />

si preparò a dirigersi a nord. Tra il personale NEST c’erano le solite figure del complesso<br />

militare-industriale nucleare: scienziati e ingegneri di Los Alamos, Livermore, Sandia e<br />

EG&G. Troy Wade era l’ufficiale federale di grado più elevato 70 mandato sul sito<br />

dell’incidente. Ripensando a quei momenti, dice: «<strong>La</strong> cosa che ci preoccupava di più era il<br />

carburante radioattivo. Se cade qualcosa che pesa tonnellate, è impossibile prevedere<br />

dove e a che distanza finiranno i frammenti, tra cui tutto quel carburante».<br />

Per questa ragione, il primo passo era misurare la radioattività dall’aria. Wade e gli<br />

addetti al telerilevamento della EG&G caricarono un piccolo elicottero nella pancia del C-<br />

130, a fianco dei furgoncini, e fecero rotta verso la tundra canadese. Nell’ambito<br />

dell’operazione Morning Light, gli uomini del NEST esaminarono palmo a palmo un<br />

corridoio largo 80 chilometri e lungo 1.280 cercando frammenti radioattivi. «Era molto<br />

prima dell’avvento del GPS. Non c’erano montagne da usare per orientarsi» dice Wade. «I<br />

piloti non avevano alcun punto di riferimento. Là fuori c’erano solo neve e ghiaccio.<br />

Temperature di quasi 45 °C sotto zero.» Dall’alto avevano il supporto di un U-2<br />

dell’aeronautica 71 .<br />

Dopo parecchi mesi, il 90 per cento dei frammenti del Cosmos erano stati recuperati.


Nell’analisi successiva all’incidente, gli uomini del NORAD stabilirono che se il satellite<br />

avesse compiuto un’altra orbita prima di cadere, la sua traiettoria l’avrebbe portato a<br />

schiantarsi da qualche parte sulla East Coast 72 .<br />

* O ltre al termine Empty Quiver (“faretra vuota”) che indica il furto o lo smarrimento di un ordigno nucleare, il<br />

Pentagono classifica gli incidenti occorsi a ordigni nucleari secondo un ordine crescente di gravità: Blunt Sword (“spada<br />

spuntata”), Bent Spear (“lancia piegata”), Broken Arrow (“freccia spezzata”). I primi due livelli riguardano la scomparsa di<br />

aerei, navi, sottomarini ecc. con a bordo ordigni nucleari; incidenti come questi possono, al massimo, provocare una<br />

grave contaminazione ambientale. Molto più gravi sono invece quelli classificati come Broken Arrow, che avrebbero<br />

potuto, cioè, determinare l’esplosione accidentale degli ordigni nucleari. [N.d.T.]<br />

** Letteralmente “Gelamore”. Si tratta di un esplicito riferimento al dottor Stranamore (nell’originale “Strangelove”)<br />

protagonista dell’omonimo film di Stanley Kubrick (1964). [N.d.T.]<br />

*** Jackass significa infatti “asino” e Jackass Flats vuol dire letteralmente “pianure dell’asino”. [N.d.T.]


Capitolo 19<br />

IL COMPLOTTO LUNARE<br />

E ALTRE LEGGENDE DELL’AREA <strong>51</strong> 1<br />

Il 20 luglio 1969 2 , a 400.000 chilometri dal Nevada Test Site, con meno di 94 secondi di<br />

carburante disponibile, Neil Armstrong e il copilota Buzz Aldrin stavano andando incontro<br />

a morte quasi certa mentre si avvicinavano al Mare della Tranquillità sulla Luna. Il<br />

sistema automatico di guida del loro modulo lunare, il celebre Eagle, li stava portando in<br />

un cratere grande come un campo da calcio disseminato di irregolari formazioni rocciose.<br />

Se fossero precipitati lì sarebbero morti di sicuro. Il sistema di guida consumava prezioso<br />

carburante a ogni secondo che passava; <strong>senza</strong> pensarci due volte Neil Armstrong lo<br />

disinserì, assunse il controllo manuale dell’Eagle e, come avrebbe detto agli uomini del<br />

centro di controllo della NASA a Houston, Texas, pochi istanti dopo, iniziò a «pilotare<br />

manualmente sopra il terreno roccioso per trovare un’area adatta» all’allunaggio. Quando<br />

finalmente Armstrong riuscì a portare il modulo sulla superficie della Luna, nel serbatoio<br />

erano rimasti soltanto venti secondi di carburante.<br />

<strong>La</strong> pratica rende perfetti e <strong>senza</strong> dubbio le centinaia di ore che Armstrong aveva<br />

passato a pilotare 3 veicoli sperimentali come l’aereo razzo X-15, in situazioni pericolose e<br />

spesso potenzialmente letali, avevano contribuito a prepararlo a eseguire un atterraggio<br />

riuscito sulla Luna. Come è avvenuto per la maggior parte dei successi emblematici<br />

ottenuti dal governo americano, in particolare quelli scientifici, per portare sulla Luna gli<br />

astronauti dell’Apollo 11 e altri cinque equipaggi (Apollo 12, 14, 15, 16 e 17) furono<br />

necessarie centinaia di migliaia di ore di lavoro da parte di migliaia di uomini sparsi in<br />

decine di centri di ricerca e di collaudo, per non parlare dei razzi chimici progettati da<br />

Wernher von Braun. Pochi sanno che per prepararsi a fare una vera passeggiata sulla<br />

superficie lunare gli astronauti si recarono al Nevada Test Site 4 , dove camminarono a<br />

lungo nei crateri provocati dalle esplosioni atomiche, impratichendosi con il tipo di<br />

geologia che avrebbero potuto trovare sull’inospitale terreno del nostro satellite. <strong>La</strong> loro<br />

guida era Ernie Williams 5 dell’Atomic Energy Commission.<br />

«Passai tre giorni con gli astronauti alle Aree 7, 9 e 10 durante l’addestramento,<br />

parecchi anni prima che andassero sulla Luna» racconta Williams. Negli anni Sessanta gli<br />

astronauti erano celebri come rockstar e Williams ricordava l’avvenimento come se fosse<br />

successo il giorno prima. «Indossavano tute e portavano sulla schiena attrezzatura che<br />

simulava quella vera. Avevano telecamere montate sul casco e camminavano dentro e<br />

fuori i crateri di subsidenza. Era un terreno ripido, roccioso» spiega.


«Li accompagnai nel 1965 e di nuovo cinque anni dopo, quando tornarono» ricorda<br />

Williams. <strong>La</strong> seconda volta avevano con loro un Lunar Roving Vehicle 6 per capire come<br />

sarebbe stato guidare sulla Luna. Gli astronauti furono portati al cratere Schooner che si<br />

trova sulla Pahute Mesa, nell’<strong>Area</strong> 20. «Li prelevammo alla pista di atterraggio della<br />

Pahute e portammo loro e il veicolo nel cratere, dove il terreno era parecchio<br />

accidentato» spiega Williams. «Alcune delle rocce disseminate sul fondo erano alte tre<br />

metri. Uno degli astronauti disse: “Se sulla Luna ci imbattiamo in cose del genere non<br />

andremo molto lontano”.» Williams ricorda che gli astronauti impararono a riparare uno<br />

pneumatico forato sulla Luna.<br />

«<strong>La</strong> NASA aveva testato l’LRV in un sacco di posti pianeggianti» spiega Williams. «Ma<br />

prima che arrivasse da noi e fosse guidato nei crateri, il mezzo non aveva esperienza<br />

reale di terreni accidentati. Gli astronauti fecero anche un gran camminare» aggiunge<br />

Williams. Una delle richieste degli astronauti dell’Apollo che avrebbero guidato il LVR<br />

durante la missione sulla Luna fu che avrebbero dovuto essere in grado di tornare a piedi<br />

al modulo nel caso il veicolo avesse smesso di funzionare.<br />

I crateri di cui parlava Williams sono crateri di subsidenza, sottoprodotti geologici dei<br />

test atomici sotterranei 7 . Quando una bomba nucleare viene messa in un profondo pozzo<br />

verticale, come accadde in centinaia di casi al poligono (da non confondersi con i test in<br />

galleria), l’esplosione vaporizza il terreno circostante e liquefa la roccia. Raffreddandosi,<br />

la roccia liquefatta solidifica sul fondo della cavità e il terreno soprastante collassa,<br />

creando il cratere. Le gigantesche formazioni di roccia vetrificata e i frammenti che<br />

rimangono assomigliano a ciò che si trova sul fondo dei crateri lunari. <strong>La</strong> somiglianza<br />

geologica è così stretta che in trascrizioni vocali inviate sulla Terra durante le missioni<br />

Apollo 16 e Apollo 17 gli astronauti si riferirono ai crateri del Nevada Test Site in due<br />

occasioni 8 . A 400.000 chilometri dal nostro pianeta, meravigliato di fronte a un cratere<br />

lunare disseminato di rocce, Young chiese al compagno Charles M. Duke Jr: «Ti ricordi a<br />

cosa assomiglia? A Schooner». Stava riferendosi al cratere atomico dell’<strong>Area</strong> 20. Durante<br />

Apollo 17, mentre guardava i monti Haemus, Harrison H. Schmitt parlò dei crateri della<br />

Buckboard Mesa dell’<strong>Area</strong> 19. Quando Ernie Williams udì quel paragone ebbe una<br />

sensazione bellissima 9 . Ma nei teorici del complotto lunare, che sono milioni, fece nascere<br />

il seme del sospetto. Secondo costoro, i nastri telemetrici di Schmitt, le fotografie lunari,<br />

le rocce lunari – in breve, tutto ciò che ha a che fare con le missioni Apollo – sarebbero<br />

state tutte dimostrazioni di una quantità sempre crescente di complotti legati al viaggio<br />

dell’uomo sulla Luna.<br />

Appena due mesi dopo il ritorno di Armstrong e Aldrin 10 , nacque un complotto “UFO<br />

sulla Luna”. Il 29 settembre 1969, a New York, l’ultimo numero della rivista «National<br />

Bulletin» uscì dalle rotative con un titolo scioccante: Finta interruzione delle<br />

comunicazioni nasconde la scoperta dell’Apollo 11. <strong>La</strong> Luna è una base UFO. L’autore<br />

dell’articolo, Sam Pepper, sosteneva di essere venuto in possesso di una trascrizione di<br />

ciò che la NASA aveva <strong>censu</strong>rato nella trasmissione dal vivo proveniente dalla Luna, ossia<br />

che c’erano degli UFO. Diversi gruppi di ufologi fecero pressioni sul Congresso perché<br />

prendesse un’iniziativa, e parecchi parlamentari scrissero alla NASA sollecitando un<br />

chiarimento. «L’incidente […] non c’è stato» replicò il vicedirettore degli affari legali della


NASA in un memorandum del gennaio 1970.<br />

Gli ufologi continuarono a scrivere storie sostenendo che la Luna era una base degli UFO<br />

extraterrestri 11 . Nella maggior parte dei casi la NASA si limitò a ignorarli. Ma alla metà<br />

degli anni Settanta un regista da poco diventato famoso, Steven Spielberg, decise di fare<br />

un film sugli alieni che vengono a visitare la Terra. Mandò ai funzionari dell’agenzia<br />

spaziale la sceneggiatura di Incontri ravvicinati del terzo tipo, aspettandosi che<br />

l’avrebbero sponsorizzato. Invece la NASA rispose con un’arrabbiata lettera di venti pagine<br />

in cui si opponeva al film. «Mi ero aspettato sostegno da loro» disse Spielberg in<br />

un’intervista del 1978 12 «ma quando lessero la sceneggiatura andarono su tutte le furie,<br />

ritenendo che il film sarebbe stato pericoloso. Credo che sia stato soprattutto perché Lo<br />

squalo aveva convinto un sacco di gente che ci fossero squali nei cessi e nelle vasche da<br />

bagno, non solo negli oceani e nei fiumi. Temevano che sarebbe successa la stessa cosa<br />

con gli UFO.» <strong>La</strong> minoranza degli ufologi era una cosa, ma Steven Spielberg aveva milioni<br />

di fan al cinema: era una versione moderna di Orson Welles.<br />

Esattamente nello stesso periodo, un altro teorico della cospirazione lunare condivise<br />

con il pubblico americano le proprie idee, che non implicavano la pre<strong>senza</strong> di UFO. Nel<br />

1974 un uomo di nome William Kaysing pubblicò a proprie spese un libro intitolato We<br />

Never Went to the Moon: America’s Thirty Billion Dollar Swindle (“Non siamo mai andati<br />

sulla luna. Una truffa da 30 miliardi di dollari”). Kaysing divenne noto come il padre della<br />

teoria del complotto lunare con queste tre domande 13 :<br />

– Come fa a sventolare la bandiera americana se sulla Luna non c’è vento?<br />

– Perché nelle foto lunari non si vedono le stelle?<br />

– Perché non c’è un cratere da esplosione dove è atterrato il modulo lunare dell’Apollo?<br />

Kaysing, che è morto nel 2005, ha affermato spesso che il suo scetticismo nacque<br />

quando lavorava come analista e ingegnere a Rocketdyne, la società che aveva<br />

progettato i razzi Saturn che avevano permesso all’uomo di andare sulla Luna. Mentre<br />

guardava l’allunaggio in diretta alla tv, disse di aver avuto «l’impressione 14 che quello che<br />

veniva mostrato non fosse reale». In seguito, iniziò a esaminare con attenzione le foto<br />

dell’allunaggio in cerca della prova di una messinscena. Da allora le tre domande di<br />

Kaysing hanno fatto presa su milioni di persone che continuano a insistere che la NASA non<br />

mandò l’uomo sulla Luna. <strong>La</strong> teoria del complotto lunare ha conosciuto fasi alterne di<br />

popolarità, ma nel 2011 non dà segno di volersi estinguere.<br />

Nell’agosto del 2001 Kaysing fu intervistato da Katie Couric al programma Today 15 . A<br />

quella data la teoria di Kaysing si era trasformata arrivando a coinvolgere l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Spesso fu citato per aver sostenuto che gli allunaggi dell’Apollo erano stati ripresi in uno<br />

studio cinematografico allestito alla base. «L’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> è una delle installazioni più<br />

strettamente sorvegliate degli Stati Uniti» disse Kaysing, e chiunque tentasse di visitarla<br />

«avrebbe potuto essere colpito e ucciso <strong>senza</strong> preavviso. Per una buona ragione… i set<br />

della Luna sono ancora lì.»<br />

Nel ventunesimo secolo una nuova generazione di teorici della cospirazione hanno<br />

seguito le orme di Kaysing per rivelare quello che sostengono essere l’inganno della NASA.


Come nel gioco Acchiappa la talpa, non appena un elemento della teoria del complotto<br />

sembra essere stato sconfessato ne emerge subito un altro: dai nastri telemetrici<br />

mancanti al vero e proprio omicidio. <strong>La</strong> formidabile agenzia spaziale americana è stata<br />

provocata al punto che nel 2002 incaricò lo storico dei voli nello spazio Jim Oberg perché<br />

scrivesse un libro per ribattere punto per punto alle domande e ai dubbi dei teorici della<br />

cospirazione. Quando la notizia del progetto filtrò sui media, la NASA fu messa così sotto<br />

pressione che rinunciò al progetto 16 .<br />

L’idea che l’allunaggio fosse un falso nacque in un periodo di profonda sfiducia nei<br />

confronti del governo americano. Nel 1974 per la prima volta nella storia un presidente<br />

diede le dimissioni. Nel 1975 la CIA ammise di aver portato avanti programmi di controllo<br />

della mente 17 , parecchi dei quali avevano implicato esperimenti su esseri umani con<br />

pericolose droghe illegali. Poi, in aprile, cadde Saigon. Il generale sentimento di<br />

malcontento e di sfiducia fu esarcebato dal fatto che mentre il governo si era dimostrato<br />

capace di parecchie azioni scellerate non era tuttavia riuscito a vincere la guerra del<br />

Vietnam, nel corso della quale erano morti 58.193 americani 18 .<br />

Poco dopo la pubblicazione del libro di Kaysing (ristampato ancora oggi), uscì un film di<br />

Hollywood sullo stesso tema: Capricorn One di Peter Hyams raccontava la storia di un<br />

falso atterraggio della NASA su Marte. Ci si mise persino James Bond, facendo riferimento<br />

a un complotto lunare in Una cascata di diamanti. In seguito la teoria del falso allunaggio<br />

rimase per decenni una delle basi irrinunciabili per i sostenitori del complotto, ma con il<br />

diffondersi di internet negli anni Novanta la nozione di complotto lunare riemerse e alla<br />

fine arrivò anche ai media tradizionali. Nel febbraio del 2001, Fox Tv trasmise un<br />

programma di un’ora in stile documentaristico dal titolo Conspiracy Theory: Did We <strong>La</strong>nd<br />

on the Moon? (“Teoria del complotto: siamo andati sulla Luna?”) e il dibattito si riaccese<br />

in tutto il mondo, dando vita a una versione da ventunesimo secolo della burla lunare.<br />

Nel settembre del 2002 Buzz Aldrin, il secondo uomo sulla Luna 19 , accettò di essere<br />

intervistato da Far Eastern Tv, perché «sembravano veri giornalisti» spiega Aldrin. Buzz<br />

era la figura con il profilo più elevato tra i dodici astronauti dell’Apollo che camminarono<br />

sulla Luna e rilasciava regolarmente interviste. Ex pilota di caccia, aveva condotto 66<br />

missioni di combattimento e abbattuto due MIG-15 nella Guerra di Corea. Era anche un<br />

fisico laureato al MIT, cosa che gli consentiva di parlare con grande competenza dello<br />

spazio esterno. Seduto nella suite del Luxe Hotel di Berverly Hills, nell’autunno del 2002,<br />

non ci mise molto a capire che qualcosa non quadrava quando gli intervistatori della tv<br />

cominciarono a fargli domande sulla teoria del complotto. «Cercai di riportare il discorso a<br />

una legittima discussione sullo spazio» dice Aldrin. Invece gli uomini gli fecero vedere uno<br />

spezzone del documentario di Fox sul falso allunaggio. Aldrin è convinto che «le teorie del<br />

complotto sono uno spreco di tempo ed energia per tutti quanti», così si alzò per<br />

andarsene. «Mi sono occupato di scienza esatta, di rendez-vous nello spazio e di<br />

meccanica orbitale, sicché essere avvicinato da qualcuno che suggerisce seriamente che<br />

Neil, Mike e io non siamo mai andati davvero sulla Luna, ma che tutta la missione è stata<br />

recitata in uno studio da qualche parte, be’, è una delle cose più assurde che abbia mai<br />

sentito» dice Aldrin.<br />

Poi, nella hall dell’albergo, un omone sui trentacinque anni gli si avvicinò e cercò di


attaccare discorso. L’uomo, che si chiamava Bart Sibrel, era insieme a una troupe. «Ehi,<br />

Buzz, come stai?» lo apostrofò Sibrel mentre le telecamere riprendevano la scena. Aldrin<br />

salutò e si diresse verso l’uscita. Sibrel gli corse dietro, facendo altre domande. Poi tirò<br />

fuori una grossa Bibbia e iniziò ad agitarla sotto il naso dell’ex astronauta. «Giuri sulla<br />

Bibbia che hai davvero camminato sulla Luna?» Aldrin, che all’epoca aveva settantadue<br />

anni, disse: «Voi teorici del complotto non sapete di cosa parlate» e si girò per<br />

allontanarsi. L’uomo iniziò a urlare insulti e lanciare accuse. «<strong>La</strong> tua vita è tutta una<br />

menzogna!» gridò. «Ed eccoti qui a far soldi rilasciando interviste su cose che non hai mai<br />

fatto!» Sibrel gli si piazzò davanti, sbarrandogli la strada. Aldrin, che era accompagnato<br />

dalla figliastra, tornò all’albergo e chiese al portiere di chiamare la polizia. «Sei un<br />

vigliacco, Buzz Aldrin!» urlò l’uomo. «Sei un bugiardo! Un ladro!» Aldrin dice che perse la<br />

pazienza: «Forse fu il cadetto di West Point che era in me, o forse il pilota di caccia. O<br />

forse ne avevo semplicemente avuto abbastanza della sua aggressività… Gli tirai un<br />

pugno». Il secondo uomo sulla Luna colpì il teorico del complotto dritto alla mascella,<br />

mentre le telecamere riprendevano tutto quanto.<br />

In brevissimo tempo il video veniva trasmesso dai notiziari, dalla CNN, da Jay Leno e<br />

David Letterman. Il commentatore politico della CNN Paul Begala si congratulò con Aldrin<br />

per aver tenuto testa ai teorici del complotto. Ma milioni di persone in tutti gli Stati Uniti<br />

erano d’accordo con i teorici del complotto i quali erano convinti che l’allunaggio fosse<br />

una messinscena. Per il quarantesimo anniversario della storica missione dell’Apollo 11,<br />

nel 2009, sondaggi condotti in America, Inghilterra e Russia rivelarono che circa il 25 per<br />

cento delle persone intervistate 20 erano convinte che l’allunaggio non fosse mai<br />

avvenuto. Molti dissero di credere che fosse una messinscena girata all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Nel 2011 la teoria del complotto lunare è una delle tre cospirazioni che si dice siano<br />

state orchestrate all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Le altre due riguardano UFO e alieni fatti prigionieri 21 , e un<br />

sistema di tunnel e bunker sotterranei che si suppone colleghino l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> ad altre<br />

installazioni militari e laboratori nucleari del paese. Ognuna di queste teorie contiene<br />

degli elementi di verità, e ognuna è percepita in modo diverso dalle tre agenzie<br />

governative che ne sono il bersaglio: la NASA, la CIA e il dipartimento della Difesa. In tutte<br />

le teorie c’è un importante indizio della verità che sta dietro l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Michael Schratt, che scrive libri e gira per il paese tenendo conferenze sui tentativi di<br />

nascondere la verità all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, sostiene che l’installazione segreta è «direttamente<br />

collegata al complesso della base [aeronautica] di Edwards e al Plant 42 di Palmdale<br />

mediante una navetta sotterranea sviluppata dalla Rans Corporation e da altri [intorno<br />

al] 1960». Schratt dice inoltre che l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> è «molto probabilmente collegata alla base<br />

dell’aeronautica di Wright-Patterson in Ohio» nello stesso modo. «I tunnel sono stati<br />

scavati da una talpa alimentata con un motore nucleare 22 che può avanzare di quasi<br />

cinque chilometri al giorno» afferma Schratt. «Questi tunnel portano anche, mediante un<br />

treno sotterraneo, ad altre installazioni militari dove i capi del governo andranno a vivere<br />

dopo un evento nucleare» come ad esempio la Terza guerra mondiale.<br />

In realtà, per decenni sono state scavate gallerie sotterranee, denominate tunnel N,<br />

tunnel P e tunnel T 23 , vicino all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, ovvero al Nevada Test Site. <strong>La</strong> galleria di 350


metri alle Jackass Flats, realizzata nelle Calico Mountains, attraverso cui gli scienziati e gli<br />

ingegneri di NERVA come T.D. Barnes accedevano alle loro postazioni di lavoro è solo un<br />

esempio di tunnel sotterraneo al Nevada Test Site. Il complesso NERVA all’<strong>Area</strong> 25 è stato<br />

smantellato e “disattivato”, secondo il dipartimento dell’Energia 24 , ma altrove nel<br />

poligono esistono decine di gallerie. Negli anni Sessanta, un tunnel scavato nel granito<br />

della Rainier Mesa, nell’<strong>Area</strong> 12, scendeva a più di 1.370 metri di profondità. In America<br />

esistono molti tunnel e bunker governativi analoghi, ma fu la rivelazione del bunker di<br />

Greenbrier 25 da parte del reporter del «Washington Post» Ted Gup nel 1992 a scatenare<br />

una tempesta di teorie del complotto legate a rifugi antiatomici per l’élite di governo. Dal<br />

1992 questi bunker segreti sono stati accolti nelle teorie del complotto riguardanti ciò che<br />

accade all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Il bunker di Greenbrier si trova nelle Allegheny Mountains, 400 chilometri a sudovest<br />

della capitale degli Stati Uniti. A partire dal 1959, il dipartimento della Difesa diresse la<br />

costruzione di un complesso di 10.500 metri quadrati a 240 metri di profondità sotto l’ala<br />

del lussuoso resort Greenbrier a cinque stelle, in Virginia Occidentale. Questo bunker<br />

segreto, ultimato nel 1962, doveva essere il luogo dove il presidente e alcuni membri del<br />

Congresso si sarebbero rifugiati dopo un attacco nucleare. Il bunker di Greenbrier aveva<br />

dormitori, una mensa, camere di decontaminazione e un ospedale con trentacinque<br />

medici. «Segretezza, negare di essere a conoscenza dell’esistenza del rifugio di fronte a<br />

potenziali nemici, era la massima priorità di tutta l’operazione» 26 disse alla PBS Paul<br />

Bugas, ex sovrintendente sul campo del bunker di Greenbrier, quando gli fu chiesto<br />

perché l’installazione fosse stata tenuta segreta all’opinione pubblica. Molti cittadini<br />

concordano con la premessa, i teorici del complotto no. Loro non credono che il governo<br />

mantenga i segreti per proteggere la popolazione. I teorici del complotto credono che i<br />

capi di governo stiano solo cercando di proteggere se stessi.<br />

I tunnel e i bunker sotterranei del Nevada Test Site sono forse le camere sotterranee<br />

più complesse mai costruite dal governo federale negli Stati Uniti continentali. <strong>La</strong> maggior<br />

parte di essi si trova nell’<strong>Area</strong> 12, ubicata poco più di 25 chilometri a ovest dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> in<br />

una catena montuosa che si chiama Rainier Mesa. A partire dal 1957, squadre di minatori<br />

che lavoravano ventiquattro ore su ventiquattro sette giorni su sette realizzarono enormi<br />

complessi di gallerie nella roccia vulcanica e granitica. Per completare un singolo tunnel ci<br />

volevano in media dodici mesi 27 . <strong>La</strong> maggior parte delle gallerie correvano all’incirca 400<br />

metri sottoterra, ma alcune raggiungevano i 1.600 metri di profondità. All’interno di<br />

queste cavità gigantesche, larghe in media tre metri, l’Atomic Energy Commission e il<br />

dipartimento della Difesa hanno fatto esplodere almeno 67 bombe nucleari 28 . Qui i<br />

militari avevano testato le esplosioni atomiche e gli effetti delle radiazioni su qualunque<br />

cosa, dai musi dei missili ai satelliti. Una serie denominata esperimenti Piledriver aveva<br />

studiato la capacità di resistenza 29 a un attacco nucleare di bunker sotterranei rinforzati.<br />

Con i test Hardtack si era tentato di capire come «distruggere obiettivi nemici [quali] silos<br />

per missili 30 e centri di comando» usando bombe con potenzialità di megatoni. All’interno<br />

dei tunnel T gli scienziati avevano creato camere a vuoto per simulare lo spazio esterno,<br />

passando poi a eseguire quei pericolosi test nella stratosfera della fine degli anni


Cinquanta denominati in codice Teak e Orange. E il dipartimento della Difesa aveva<br />

persino testato come uno stock di armi nucleari immagazzinate in un bunker sotterraneo<br />

avrebbe resistito a un’eplosione atomica.<br />

Richard Mingus ha passato parecchio tempo all’interno di questi complessi sotterranei,<br />

sorvegliando molte delle bombe nucleari 31 usate nei test prima che venissero fatte<br />

detonare. Nei cinquant’anni di lavoro al poligono, erano gli incarichi che a Mingus<br />

piacevano di meno. «I tunnel erano polverosi, sporchi, bisognava mettersi grossi scarponi<br />

perché non si faceva che camminare su frammenti di roccia» spiega Mingus. «L’aria era<br />

viziata e irrespirabile. C’erano un sacco di persone impegnate nei lavori più disparati.<br />

Carpentieri, saldatori… Per terra c’erano quindici centimetri di residui di lavorazione.» <strong>La</strong><br />

maggior parte dell’equipaggiamento veniva trasportato su binari, il che spiega almeno in<br />

parte la convinzione dei teorici del complotto che vi fossero treni sotto l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, benché<br />

costoro siano convinti che servissero a portare avanti e indietro dal Nevada alla East<br />

Coast l’élite di governo. In realtà, secondo i documenti dell’Atomic Energy Commission, il<br />

dipartimento della Difesa costruì il sistema di treni nei tunnel per trasportare pesante<br />

attrezzatura militare.<br />

A differenza dei test in atmosfera o di quelli nei pozzi verticali che lasciavano crateri<br />

lunari, per i test nucleari eseguiti nei tunnel T la bomba era la prima cosa a comparire<br />

sulla scena. «<strong>La</strong> bomba veniva cementata alla fine del tunnel, in un locale chiamato<br />

camera zero» dice Mingus. «Era a circa un chilometro di distanza.» Mingus detestava<br />

quegli incarichi all’interno delle gallerie perché gli ricordavano una parte della sua vita<br />

precedente che avrebbe preferito dimenticare. «Da bambino lavoravo nelle miniere di<br />

carbone» racconta. Ma per quanto potesse essere ansioso un uomo messo a sorvegliare<br />

delle bombe nucleari, Mingus rimaneva calmo. Dice che le miniere di carbone della sua<br />

infanzia erano molto più pericolose. «All’epoca non esistevano perforatrici elettriche, così<br />

mio fratello e io scavavamo a mano. Dovevi stare in ginocchio in quelle strette gallerie<br />

larghe un metro e così basse da non potersi alzare in piedi. Come esplosivo usavamo<br />

polvere nera, non dinamite. Mettevamo la polvere nel buco, la comprimevamo con una<br />

sbarra di ferro, usavamo una miccia che sembrava fatta di carta igienica, le davamo<br />

fuoco, correvamo via e poi aspettavamo che il fumo si diradasse. Certe cose non le<br />

dimentichi neppure se vuoi» dice Mingus.<br />

Prima del trattato sul bando parziale dei test nucleari del 1963 il Pentagono seguì la<br />

politica di annunciare pubblicamente i test di armi atomiche, in genere una o due ore<br />

prima dell’ora prevista per l’esplosione. Dopo il bando, il Pentagono adottò la politica<br />

esattamente contraria 32 : le informazioni relative ai test sotterranei adesso erano tenute<br />

segrete. Ci sarebbe stato un annuncio pubblico del test solo se uno scienziato prevedeva<br />

che a <strong>La</strong>s Vegas, poco più di cento chilometri a sud, si sarebbe avvertita una scossa<br />

simile a quella di un terremoto. E così, dal 1963 fino all’ultimo test del 1992, ci furono<br />

circa 800 esplosioni sotterranee. Alla fine degli anni Novanta, decenni dopo che la prima<br />

perforatrice era penetrata nella roccia al Nevada Test Site, le bombe nucleari, i minatori e<br />

l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> erano diventati un tutt’uno. Come molte leggende metropolitane riguardanti la<br />

base segreta, anche quella dei tunnel sotterranei aveva presto spunto da fatti reali.


Data la fantasia dimostrata dai sostenitori del complotto, è sorprendente che sia<br />

sfuggito loro l’unico elemento di verità che collega le tre principali teorie riguardanti la<br />

base segreta. Secondo costoro, l’agenzia che ha orchestrato la cospirazione relativa alla<br />

cattura di UFO e alieni è la CIA; nel caso del falso allunaggio responsabile dell’imbroglio è<br />

la NASA; quanto ai bunker e ai tunnel sotterranei, l’entità maligna sarebbe il dipartimento<br />

della Difesa. Eppure l’unica agenzia che gioca un ruolo reale negli avvenimenti da cui<br />

hanno preso spunto tutte e tre le teorie è l’Atomic Energy Commission.<br />

Come mai ai teorici del complotto è sfuggita questa connessione? Perché l’Atomic<br />

Energy Commission si è sottratta al minuzioso esame che merita? <strong>La</strong> verità è sepolta nel<br />

deserto al Nevada Test Site. Per usare la metafora del maestro delle spie James<br />

Angleton, è lì che si può trovare una “giungla di specchi”. Nel corso della Guerra Fredda<br />

l’Atomic Energy Commission creò una personale giungla di specchi nel deserto del<br />

Nevada, basata su mezze verità e menzogne belle e buone. <strong>La</strong> commissione ha fatto in<br />

modo che l’opinione pubblica si allontanasse sempre più dalla verità non mediante<br />

“specchi”, bensì apponendo il timbro “dati riservati”, “segreto” e “confidenziale” sui<br />

documenti, in modo da sottrarli agli occhi dei cittadini. Le teorie del complotto relative<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> nate durante la Guerra Fredda – quelle popolate di alieni, pilotate da UFO,<br />

ubicate in città sotterranee e in set cinematografici della Luna – contribuiscono tutte<br />

quante a far sì che l’Atomic Energy Commission eviti che la gente sappia le verità<br />

segrete.<br />

Non è un caso che l’agenzia che sta dietro ad alcuni dei progetti più segreti e pericolosi<br />

portati avanti nel deserto – al Nevada Test and Training Range, al Nevada Test Site e<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> – abbia cambiato nome quattro volte 33 . All’inizio, durante la Seconda guerra<br />

mondiale, si era chiamata progetto Manhattan. Poi, nel 1947, fu ribattezzata Atomic<br />

Energy Commission, o AEC. Nel 1975 l’agenzia fu denominata Energy Research and<br />

Development Administration (ERDA, Amministrazione per la ricerca e lo sviluppo<br />

dell’energia). Nel 1977 cambiò di nuovo nome, questa volta si chiamava dipartimento<br />

dell’Energia, «il dipartimento del governo con la missione di promuovere la tecnologia e<br />

le innovazioni a essa collegate 34 negli Stati Uniti», definizione che la fa opportunamente<br />

sembrare più simile alla Apple che non all’agenzia federale responsabile della<br />

fabbricazione di settecento bombe nucleari. Infine, nel 2000 il settore relativo alle armi fu<br />

ribattezzato per la quarta volta: National Nuclear Security Administration, o NNSA, un<br />

dipartimento interno al dipartimento dell’Energia, il DOE. Nell’agosto del 2010, anche il<br />

Nevada Test Site ha cambiato nome: adesso si chiama Nevada National Security Site<br />

(NNSS, Sito per la sicurezza nazionale del Nevada).<br />

Da quando il National Security Act del 1947 riorganizzò il governo dopo la guerra, il<br />

dipartimento della Difesa, la CIA, l’esercito, la marina e l’aeronautica hanno tutti<br />

mantenuto il loro nome originale. I direttivi dei dipartimenti di stato, del <strong>La</strong>voro, dei<br />

Trasporti, della Giustizia e dell’Istruzione hanno lo stesso nome che avevano quando<br />

furono creati. Il Federal Bureau of Investigation ha cambiato denominazione solo una<br />

volta da quando è nato formalmente, nel 1908 35 : allora si chiamava Bureau of<br />

Investigation, o BOI. Continuando a ribattezzare l’agenzia che si occupa di armi nucleari il<br />

governo federale spera forse che gli scellerati segreti dell’Atomic Energy Commission si


limitino a scomparire? Quel che è certo è che molta documentazione ha fatto<br />

esattamente questa fine.<br />

Durante la Guerra Fredda l’Unione Sovietica non aveva il monopolio dell’inganno. Nel<br />

1995, dopo che il presidente Clinton ebbe ordinato all’Advisory Committee on Human<br />

Radiation Experiments di indagare nei segreti conservati dall’Atomic Energy Commission,<br />

furono scoperti documenti scioccanti. In un memorandum datato 1° maggio 1995 36 , il<br />

titolo scelto dalla commissione di Clinton per riassumere il protocollo di segretezza<br />

dell’AEC fu: «Politica ufficiale di classificazione per nascondere l’imbarazzo». Uno dei<br />

documenti più compromettenti portati alla luce dallo staff di Clinton fu un memorandum<br />

del settembre del 1947 proveniente dal direttore generale dell’AEC John Derry,<br />

ribattezzato “memorandum Derry”, in cui l’Atomic Energy Commission stabiliva: «Tutta la<br />

documentazione e la corrispondenza 37 in materia di politiche e di procedure, la cui<br />

conoscenza potrebbe compromettere o causare imbarazzo all’Atomic Energy Commission<br />

e/o ai suoi contractor» dovevano essere classificate segrete o riservate.<br />

<strong>La</strong> commissione scoprì anche un documento in cui si leggeva: «[…] vi sono una gran<br />

quantità di carte che non violano la sicurezza, ma possono provocare notevoli grattacapi<br />

al comparto assicurativo dell’Atomic Energy Commission» 38 . In altre parole, la<br />

commissione ha classificato molti documenti perché non voleva essere perseguita<br />

legalmente. Un problema particolare, continuava il memorandum, sorgeva «dalla<br />

declassificazione di dati medici riguardanti gli esperimenti sugli esseri umani fatti<br />

finora» 39 . Al fine di trovare un modo per aggirare la difficoltà, la commissione chiese un<br />

parere al proprio comparto assicurativo. <strong>La</strong> conclusione fu che se bisognava declassificare<br />

qualcosa, prima lo si sarebbe dovuto «riformulare o <strong>censu</strong>rare» 40 in modo da non<br />

incorrere in conseguenze legali.<br />

I teorici del complotto condividono su internet le teorie, gran parte delle quali implica<br />

cospirazioni governative. È quantomeno ironico che internet, originariamente denominato<br />

“programma internet del DARPA”, sia stato lanciato nel 1969 dalla Defense Advanced<br />

Research Projects Agency (che all’inizio si chiamava ARPA) come un mezzo per consentire<br />

ai militari di comunicare per via digitale durante la Guerra del Vietnam. Nel 2011 si stima<br />

che nel mondo ci siano 1,96 miliardi di utenti internet 41 – quasi un terzo della<br />

popolazione del pianeta – e il sito web americano più popolare dedicato al complotto è<br />

AboveTopSecret.com. Secondo l’amministratore delegato Bill Irvine, il sito ha cinque<br />

milioni di visitatori al mese. AboveTopSecret.com possiede all’incirca 2,4 milioni di pagine<br />

di contenuti, tra cui 10,6 milioni di post personali.<br />

Da un sondaggio compiuto nel 2011 su 25.000 utenti di AboveTopSecret.com è emerso<br />

che al secondo posto tra i filoni di discussione più popolari c’è la teoria riguardante gli UFO<br />

e gli extraterrestri all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Ma in cima alla classifica si trova una cosa chiamata New<br />

World Order (NWO, Nuovo ordine mondiale). Bill Irvine dice che l’idea ha avuto una<br />

diffusione “impressionante” negli ultimi due anni e afferma che funge da trait d’union per<br />

numerose teorie del complotto, incluse quelle che coinvolgono l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

<strong>La</strong> premessa della teoria del nuovo ordine mondiale 42 è che un’oligarchia ristretta e<br />

potentissima di uomini aspira a ottenere il dominio del pianeta sotto un unico governo


totalitario. Alcuni sostenitori della teoria parlano di Quarto Reich, perché sono convinti<br />

che sarà simile al Terzo Reich tedesco, con tanto di eugenetica, militarismo e controllo<br />

orwelliano delle vite private dei cittadini. Per quanto possa sembrare strampalata, la<br />

teoria ha a che fare con il segreto originario dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>: la vera ragione per cui il<br />

governo americano non può ammettere l’esistenza della base.


Capitolo 20<br />

DALLE MACCHINE FOTOGRAFICHE<br />

ALLE ARMI: L’AERONAUTICA MILITARE<br />

PRENDE IL COMANDO 1<br />

Che cosa è successo all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> negli anni Ottanta? <strong>La</strong> maggior parte dei progetti è<br />

tuttora classificata e si sa pochissimo altro. Prima d’ora non era mai stato rivelato che in<br />

questo periodo alla base fu sfiorata una catastrofe di proporzioni enormi 2 – in particolare,<br />

la leggenda che circonda l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> non ne fa cenno. L’accaduto riguardò un attacco aereo<br />

simulato 3 alla postazione di guardia che separa il Nevada Test Site dall’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. C’erano<br />

in ballo armi semiautomatiche e una bomba nucleare, e la situazione fu così seria da<br />

coinvolgere sia la Casa Bianca sia il Pentagono.<br />

Una delle minacce potenziali più serie all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> in termini di attacco nemico<br />

proverrebbe da un aereo che vola a bassa quota o da un elicottero. «L’elicottero sarebbe<br />

il velivolo più adatto» dice Barnes. «Mentre un aeroplano verrebbe individuato molto<br />

prima di raggiungere l’obiettivo, un elicottero potrebbe essere trasportato da un camion e<br />

poi fatto decollare a breve distanza dalla zona vietata. In quel caso, l’elicottero<br />

riuscirebbe a oltrepassare le protezioni di sicurezza prima che qualunque aereo della base<br />

potesse alzarsi in volo.» Ecco perché, allo scopo di prepararsi a fronteggiare simili<br />

pericoli, le guardie della sicurezza come Richard Mingus partecipavano spesso a prove di<br />

contrattacco usando come bersaglio grandi palloni pieni di elio che volavano a bassa<br />

quota. «I palloni simulavano gli elicotteri» spiega Mingus. Per i test venivano usati<br />

antiquati V-100 Commando, i blindati militari completi di mitragliatrici residuati della<br />

Guerra del Vietnam. Dotati di quattro ruote motrici, alti e con un’eccellente manovrabilità,<br />

i blindati anfibi portavano su per la montagna Mingus e la sua squadra di professionisti<br />

pesantemente armati finché il terreno non diventava troppo impervio.<br />

«Parcheggiavamo il mezzo, facevamo il resto del tragitto di corsa con le mitragliatrici,<br />

arrivavamo in cima alla montagna e sparavamo a quei palloni meteo. Nella squadra di<br />

commando c’erano sempre un autista, un superiore e un servente. Ciascuno di noi aveva<br />

una posizione ben precisa. Uno teneva il punteggio.» I punteggi erano importanti perché<br />

la posta in gioco era altissima. Il Nevada Test Site era l’installazione dove si faceva<br />

esplodere il numero più alto di bombe atomiche al mondo e aveva trent’anni di storia di<br />

sicurezza impeccabile, come l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>: ecco perché la falla di cui fu testimone Mingus si<br />

dimostrò tanto dirompente.<br />

Era una giornata di caldo torrido durante la presidenza Reagan, quel genere di giornate


al poligono in cui le persone sapevano di non dover toccare le superfici metalliche a meno<br />

di non voler rimediare un’ustione. Mingus pensa che fosse il 1982 ma non ne è sicuro,<br />

dato che l’avvenimento non venne annotato di proposito nel registro del dipartimento<br />

dell’Energia. Mingus era stato promosso a coordinatore delle operazioni di sicurezza del<br />

laboratorio <strong>La</strong>wrence di Livermore. All’epoca in cui venne sfiorata la catastrofe, il<br />

personale di sicurezza di rango inferiore stava scortando un ordigno nucleare lungo la<br />

Rainier Mesa Road. <strong>La</strong> bomba, una delle diciotto 4 fatte esplodere sottoterra al Nevada<br />

Test Site nel 1982, doveva essere calata in un pozzo sotterraneo. <strong>La</strong> squadra della<br />

sicurezza composta da cinque uomini 5 viaggiava dietro il mezzo su cui si trovava la<br />

bomba, un veicolo blindato apposito, facendo attenzione a rimanere a breve distanza<br />

dall’ordigno nucleare, come prevedeva il protocollo. «C’erano un autista, un superiore, un<br />

armiere alla torretta, un servente addetto a caricare la mitragliatrice e a non farla<br />

inceppare, e due tiratori scelti» spiega Richard Mingus. Tra la bomba e gli uomini della<br />

scorta c’è sempre una certa distanza: «Uno dei tiratori scelti ha i lacrimogeni e l’altro un<br />

lanciagranate. È possibile usare entrambe le armi a spalla oppure tenendole all’altezza<br />

della vita. Avrebbero centrato un bersaglio lontano cinquanta o settantacinque metri<br />

perché se si viene attaccati e bisogna sparare, si ha bisogno di una certa distanza.<br />

Altrimenti i gas lacrimogeni finiscono negli occhi del tiratore».<br />

Quando la squadra della sicurezza e la bomba nucleare arrivarono al punto zero<br />

stabilito, un team di ingegneri e gruisti iniziò le operazioni di scarico e di posizionamento<br />

della bomba in un buco profondo circa 250 metri. Calare una bomba nucleare innescata in<br />

un pozzo del diametro di un metro e mezzo richiedeva la straordinaria abilità di un unico<br />

tecnico che manovrava una pesante gru metallica. Non si potevano commettere errori. <strong>La</strong><br />

gru faceva scendere l’ordigno di 30 metri alla volta, un passo che nel gergo del poligono<br />

viene chiamato “picco”. Soltanto dopo il secondo picco, ovvero quando la bomba si<br />

trovava a 60 metri di profondità, due uomini della squadra di sicurezza avrebbero potuto<br />

lasciare l’area; fino a quel momento la bomba veniva considerata non sicura.<br />

Negli ultimi venticinque anni Richard Mingus aveva fatto parte della squadra di<br />

sicurezza al punto zero decine di volte, ma quella mattina del 1982 stava coordinando le<br />

operazioni di Livermore dall’interno di un edificio denominato “centro di controllo” che si<br />

trovava nell’<strong>Area</strong> 6, a 16 chilometri dalla bomba. L’ordigno stava per raggiungere il<br />

secondo picco quando si scatenò il caos.<br />

«Ero seduto alla mia scrivania al centro di controllo quando arrivò una telefonata»<br />

racconta. «Dick Stock, l’ingegnere che supervisionava l’esplosione al punto zero disse al<br />

telefono: “Siamo sotto attacco all’edificio di assemblaggio!”.» Negli anni Ottanta, l’edificio<br />

di assemblaggio era il posto dove i componenti della bomba venivano accoppiati al<br />

materiale nucleare. Dal momento che quella settimana erano previsti parecchi test,<br />

Mingus sapeva che probabilmente c’erano altre bombe nell’edificio dell’<strong>Area</strong> 27. «Dick<br />

Stock disse di aver sentito l’informazione alla radio che gli uomini della sicurezza<br />

portavano» alla cintura.<br />

Nei ventisei anni in cui ha lavorato al poligono, Richard Mingus è passato da addetto<br />

alla sicurezza a coordinatore delle operazioni di Livermore. Dopo la morte del padre, nel<br />

1941, Mingus aveva lasciato la scuola superiore per lavorare nelle miniere di carbone.


Alla fine tornò a scuola, prese un diploma e si arruolò nell’aeronautica per andare a<br />

combattere nella Guerra di Corea. Al poligono Mingus aveva fatto la gavetta. Per anni, nel<br />

caldo torrido delle estati e nel gelo degli inverni, aveva lavorato a progetti classificati nel<br />

deserto sempre a guardia di bombe nucleari e di test che implicavano la dispersione del<br />

micidiale plutonio. Alla metà degli anni Sessanta aveva risparmiato abbastanza denaro<br />

facendo gli straordinari da potersi permettere una casa per la sua famiglia, in cui adesso<br />

c’era il bambino che lui e Gloria avevano sempre sognato di avere. Alla metà degli anni<br />

Settanta Mingus poté comprare una seconda casa, un capanno da caccia nei boschi.<br />

All’inizio degli anni Ottanta aveva ottenuto così tante promozioni da avere la qualifica di<br />

GS-12, che nella gerarchia degli impiegati federali è solo tre gradini sotto il livello<br />

massimo, GS-15. «Avevo frequentato la scuola di orientamento per le armi nucleari alla<br />

base di Kirkland e avevo passato una serie di corsi avanzati» dice Mingus. «Ma niente, e<br />

intendo dire proprio niente, può prepararti all’esperienza di essere convinto che il<br />

materiale nucleare di cui hai la responsabilità sia sotto attacco.»<br />

Nel corso di quella mattina caotica, Mingus si rese conto che l’unica cosa da fare era<br />

concentrarsi sulla bomba nel pozzo. «Pensai: “Dick Stock ha detto che la bomba è quasi<br />

al secondo picco. Noi siamo sotto attacco qui”. Poi mi chiesi: “Che cos’è meglio?”. Se<br />

qualcuno avesse puntato una pistola alla tempia del gruista e gli avesse detto: “Tirala<br />

fuori”, si sarebbero impadroniti di una bomba innescata. Sapevo di dover prendere una<br />

decisione. Era più sicuro tirar su la bomba oppure continuare a calarla nel pozzo? Decisi<br />

che era meglio avere un grosso problema al punto zero che da qualche altra parte e così<br />

diedi l’ordine. Dissi: “Continuate a calare l’ordigno”.»<br />

Mingus parlò velocemente con Joe Behne 6 , il direttore del test, di quello che stava<br />

succedendo. I due concordarono che Mingus avrebbe dovuto telefonare al capo della<br />

sicurezza del dipartimento dell’Energia, una donna di nome Pat Williams. «Lei mi disse:<br />

“Sì, abbiamo sentito la stessa cosa e dobbiamo presumere la stessa cosa. Per quanto ne<br />

so, siamo sotto attacco”» ricorda Mingus.<br />

Poi Mingus chiamò <strong>La</strong>rry Ferderber, il manager del <strong>La</strong>wrence Radiation di Livermore al<br />

Nevada Test Site. «Due minuti dopo Ferderber conferma la stessa cosa: “Ho sentito che<br />

siamo sotto attacco”.» Mingus e Behne avviarono la procedura prevista dal protocollo.<br />

«Joe e io discutemmo se scendere in cantina e distruggere i documenti cifrati che si<br />

trovavano lì. Poi decidemmo che era troppo presto. Quando guardi fuori e vedi i ragazzi<br />

sparare, come sulla Pueblo, allora è il momento di distruggere le cose. Non prima.»<br />

Invece Mingus telefonò a Bill Baker, l’uomo a capo dell’edificio di assemblaggio. Con la<br />

conferma dell’attacco da parte del portavoce del dipartimento dell’Energia e del manager<br />

del poligono, Mingus doveva muoversi in fretta. «Chiesi a Bill Baker che cosa stava<br />

succedendo» ricorda. «E lui rispose, calmissimo: “Qui va tutto bene. Sto guardando dalla<br />

finestra. Vedo il capitano Williams in piedi lì fuori”.» Mingus riagganciò e si rimise a<br />

discutere con Joe Behne. «Dissi a Joe: “Non possiamo prestar fede a quello che dice. Può<br />

essere stato costretto. Magari aveva un coltello alla gola o una pistola puntata alla<br />

testa”.»<br />

Nel frattempo, pochi chilometri a est, un elicottero si librava sopra il posto di guardia<br />

tra il poligono e l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, mentre gli uomini a bordo sparavano con armi


semiautomatiche. Ma i proiettili erano a salve e sull’elicottero c’erano guardie della<br />

Wackenhut Security, non nemici dello stato. <strong>La</strong> Wackenhut Security aveva deciso di<br />

mettere in atto un attacco simulato a un punto d’accesso all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per testare eventuali<br />

debolezze nel sistema di sicurezza. Comportandosi in modo incredibilmente<br />

irresponsabile 7 , non si erano preoccupati di informare il dipartimento dell’Energia dei loro<br />

piani.<br />

Al centro di controllo dell’<strong>Area</strong> 6 arrivò una telefonata sull’apparecchio di Richard<br />

Mingus. Era Pat Williams, la donna a capo della sicurezza del dipartimento dell’Energia.<br />

«Fu brevissima» racconta Mingus. «Disse: “Era un test e noi non lo sapevamo”. Poi<br />

riagganciò.» Mingus era sbalordito. «Se ripenso a tutti i miei anni di carriera, devo dire<br />

che è stata una delle cose più terrificanti che mi siano mai capitate. È stato come se quel<br />

giorno a capo del poligono ci fossero dei mocciosi.» Mingus non scrisse alcun rapporto<br />

dell’incidente; continuò invece a lavorare. «Avevamo una bomba nucleare da calare nel<br />

pozzo e da far detonare.» Il direttore del test Joe Behne è convinto che la<br />

documentazione esista. «So che è nei registri. Non si trattò di un incidente di poco conto»<br />

racconta. «Per quelli di noi che erano presenti quel giorno fu quasi incredibile, solo che<br />

eravamo convinti che fosse reale, che il punto zero fosse stato attaccato da un nemico in<br />

assetto di guerra. L’incidente dev’essere nei registri. Arrivarono telefonate a un sacco di<br />

persone.»<br />

Lontano dal poligono nucleare la calma non tornò così in fretta. Il dipartimento<br />

dell’Energia informò l’FBI, il quale informò il Pentagono e la Casa Bianca che l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> era<br />

sotto attacco. Furono messi in allerta i sottomarini con le testate nucleari, il che<br />

significava che adesso i missili da crociera Tomahawk erano puntati sul Nevada Test Site<br />

e sull’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. <strong>La</strong> crisi fu evitata prima che le cose subissero un’ulteriore escalation, ma ci<br />

mancò un pelo. Troy Wade era al Pentagono all’epoca e disse a Mingus che «ricorda<br />

quanto si andò vicini al disastro». Le guardie della Wackenhut Security persero il posto,<br />

ma al pari di molte cose successe all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, la stampa non ne seppe nulla. L’incidente è<br />

venuto alla luce solo con la pubblicazione di questo libro.<br />

<strong>La</strong> bomba nucleare di cui Mingus era responsabile era innescata e non sicura, il che<br />

significa che un vero attacco al poligono nucleare in quel momento avrebbe potuto offrire<br />

a un nemico la possibilità di impadronirsi dell’arma. Ma c’era un’altra ragione per cui quel<br />

giorno i sottomarini con le testate nucleari furono messi in allerta: la natura<br />

estremamente delicata di un progetto segreto che l’aeronautica stava sviluppando<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. L’aereo top-secret che veniva collaudato era l’invenzione più importante<br />

dell’aeronautica militare statunitense da quando l’esercito aveva inaugurato la sua<br />

divisione aerea nel 1907. Parcheggiato sulla pista dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> c’era l’ F-117 Nighthawk, il<br />

primo bombardiere stealth americano.<br />

L’F-117 avrebbe cambiato radicalmente il modo in cui l’America combatteva le guerre.<br />

Come ha spiegato un funzionario della Lockheed a un banchetto in onore dell’F-117<br />

nell’aprile del 2008: «Prima dell’avvento dello stealth, gli strateghi dovevano stabilire<br />

quante missioni erano necessarie per colpire un singolo obiettivo. Dopo l’invenzione del<br />

bombardiere F-117 stealth, le cose sono cambiate. Adesso la domanda è: quanti obiettivi


possono essere colpiti in una sola sortita?».<br />

Il fisico della Lockheed Ed Lovick ha lavorato a tutte le versioni del bombardiere<br />

stealth, che ha esordito all’inizio degli anni Settanta con il prototipo Harvey, che deve il<br />

suo nome al coniglio invisibile di un film con James Stewart. Le qualità stealth di Harvey<br />

furono originariamente messe a punto usando regoli e calcolatrici 8 , lo stesso metodo<br />

usato per l’A-12 Oxcart. Solo con la comparsa del computer mainframe, nel 1974, quegli<br />

strumenti sarebbero divenuti obsoleti. «Due ingegneri della Lockheed, Denys Overholser<br />

e Dick Scherrer, si resero conto che si sarebbe potuto progettare un aereo stealth<br />

sfruttando alcuni dei risultati dei calcoli computerizzati» dice Lovick. «Nel 1974 i computer<br />

erano relativamente nuovi e la maggior parte di essi era grande come un’automobile. Il<br />

nostro computer alla Lockheed funzionava a schede perforate e aveva meno di 60 K di<br />

memoria.» Tuttavia il computer poteva fare ciò che gli uomini non riuscivano a fare,<br />

ovvero calcoli infiniti.<br />

«<strong>La</strong> nozione che stava dietro il programma del computer implicava specchi che<br />

riflettevano specchi» spiega Lovick. Il matematico Bill Schroeder si mise al lavoro per<br />

scrivere il software originario della Lockheed, denominato Echo. «Progettammo pannelli<br />

piatti e sfaccettati e facemmo in modo che agissero come specchi per deviare le onde<br />

radar» dice Lovick. «Era un’idea radicale e funzionò.»<br />

<strong>La</strong> successiva incarnazione progettuale dell’F-117 Nighthawk vide la luce nel 1974 e fu<br />

denominata Hopeless Diamond: il nome era dovuto al fatto che assomigliava all’Hope<br />

Diamond, il diamante maledetto, e al fatto che gli ingegneri della Lockheed non avevano<br />

molte speranze che sarebbe riuscito davvero a volare * . Dopo che il progetto dell’Hopeless<br />

Diamond fu sottoposto a una serie di revisioni, diventò un modello in scala reale<br />

dell’aereo e fu ribattezzato Have Blue. T.D. Barnes fu incaricato dei test radar del<br />

prototipo pilota del bombardiere stealth all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. «<strong>La</strong> Lockheed ce lo consegnò e noi lo<br />

mettemmo sul pilone» racconta Barnes. «Aveva un aspetto stranissimo, rozzo e in realtà<br />

assomigliava moltissimo al sottomarino di Ventimila leghe sotto i mari. Avevamo il<br />

compito di osservarlo con il radar da tutte le angolazioni per capire come compariva sugli<br />

schermi.» <strong>La</strong> tecnologia radar era progredita in modo considerevole dai primi tempi della<br />

Guerra Fredda. «All’inizio era visibile come un vecchio fienile» dice Barnes. Così il modello<br />

dell’Have Blue fu riportato agli Skunk Works per ulteriori messe a punto. Parecchi mesi<br />

dopo all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> arrivò una nuova versione del modello. «<strong>La</strong> Lockheed aveva cambiato la<br />

forma dell’aeroplano e un sacco di angolazioni dei pannelli. Quando lo mettemmo sul<br />

pilone ci apparve come una cosa delle dimensioni di un corvo.» Ci fu un’altra serie di<br />

modifiche, dopodiché l’aereo tornò di nuovo all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. «Lo mettemmo sul pilone e<br />

l’unica cosa che riuscimmo a vedere fu il pilone.» Era giunto il momento di presentare la<br />

versione finale di Have Blue all’aeronautica, con la speranza di ottenere il contratto per<br />

costruire il primo bombardiere stealth americano.<br />

Il direttore della scienza e dell’ingegneria degli Skunk Works, Ed Martin, andò da Lovick<br />

per avere qualche consiglio. «Ed Martin mi chiese come pensavo che l’aereo sarebbe<br />

apparso sugli schermi nemici. Gli spiegai che se l’Oxcart compariva come un oggetto<br />

grande all’incirca quanto un uomo, l’Have Blue sarebbe apparso ai radar come una sfera<br />

di metallo di un centimetro, all’incirca la dimensione di un cuscinetto a sfere 9 .»Ed Martin


si entusiasmò per l’analogia di Lovick. Un cuscinetto a sfere. Era qualcosa che si poteva<br />

visualizzare. Prima che Martin partisse per Washington, Ed Lovick andò nell’officina della<br />

Lockheed e prese un sacchetto di cuscinetti a sfere. Voleva che Martin avesse un<br />

riferimento concreto da mostrare agli uomini dell’aeronautica. «In seguito seppi che il<br />

confronto con il cuscinetto a sfere era stato così efficace che i clienti avevano cominciato<br />

a far rotolare le palline color argento sul tavolo della riunione. L’analogia è diventata<br />

leggendaria e spesso viene usata ancora oggi per illustrare visivamente l’invisibilità dell’F-<br />

117, che ha una firma radar ad alta frequenza piccola come un cuscinetto a sfere.» Nel<br />

1976 la Lockheed ottenne il contratto e iniziò immediatamente a costruire due Have Blue<br />

nel leggendario edificio 82 degli Skunk Works. L’uomo responsabile<br />

dell’ingegnerizzazione, della fabbricazione e dell’assemblaggio 10 della coppia di<br />

bombardieri invisibili era Bob Murphy, la stessa persona che ventun anni prima aveva<br />

iniziato la sua carriera con indosso una tuta da lavoro all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, alle dipendenze di Kelly<br />

Johnson come meccanico capo dell’U-2.<br />

Collaudare un bombardiere sarebbe stata una cosa radicalmente diversa rispetto a<br />

testare un aereo spia, e l’F-117 era il primo bombardiere a comparire all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per le<br />

prove di volo. In particolare, sarebbe stato necessario testare la precisione dell’aereo<br />

nello sganciare le bombe sull’obiettivo. Per quasi venticinque anni la CIA e l’aeronautica<br />

militare avevano fatto volare nel Box aerei spia e droni. Ma al Groom <strong>La</strong>ke non c’era<br />

abbastanza terreno pianeggiante per sganciare bombe 11 . Poi c’era la questione del<br />

rumore: all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> erano in corso parecchi progetti e non tutto il personale era al<br />

corrente dell’F-117.<br />

Ci voleva un altro sito e l’aeronautica militare si rivolse al dipartimento dell’Energia, in<br />

precedenza Atomic Energy Commission. Fu stabilito un accordo che consentiva<br />

all’aeronautica di usare un piccolo poligono preesistente poco conosciuto 12 che l’Atomic<br />

Energy Commission aveva impiegato per decenni <strong>senza</strong> che nessuno lo sapesse. Era nel<br />

cuore del deserto, all’interno del Nevada Test and Training Range: ubicato poco più di<br />

110 chilometri a nordovest dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, il Tonopah Test Range si trovava quasi nella<br />

Valle della Morte e dal 1957 era utilizzato come poligono e base di lancio missilistica dai<br />

laboratori Sandia. Il dipartimento dell’Energia non ebbe problemi a ritagliare una porzione<br />

top-secret all’interno dei 1.615 chilometri quadrati del poligono per il nuovo bombardiere<br />

dell’aeronautica. Al fine di coprire qualunque traccia, il secondo sito segreto fu chiamato<br />

<strong>Area</strong> 52. Al pari dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, l’esistenza dell’<strong>Area</strong> 52 non è mai stata ammessa<br />

ufficialmente.<br />

L’avamposto scarsamente popolato di Tonopah, Nevada, era stato uno dei maggiori<br />

produttori di oro e argento. Nel 1903 dalle miniere della zona furono estratti 86 milioni di<br />

dollari di metalli preziosi, l’equivalente di quasi due miliardi attuali, e al volgere del<br />

secolo 30.000 persone erano accorse nella città del deserto in cerca di fortuna. Poi,<br />

praticamente dalla sera alla mattina e in modo analogo a moltissime città coinvolte nella<br />

corsa all’oro, Tonopah decadde. Nel giro di dieci anni rimanevano solo poche famiglie,<br />

appena sufficienti a non farla diventare una città fantasma. Quando un gruppo di<br />

specialisti di armi di Sandia arrivò nella zona quarant’anni dopo, nel 1956, si entusiasmò:<br />

Tonopah era il posto perfetto per «test segreti [che] potevano essere condotti in


sicurezza e lontano da sguardi indiscreti» 13 .<br />

Tra il 1957 e il 1963 Sandia sganciò 680 bombe e lanciò 555 razzi da quello che adesso<br />

veniva chiamato ufficialmente, anche se segretamente, avamposto di Tonopah dei Sandia<br />

National <strong>La</strong>boratories. Nel 1963 i laboratori avevano condotto una serie di test top-secret<br />

di dispersione del plutonio analoghi al Progetto 57 portato avanti al Groom <strong>La</strong>ke solo<br />

pochi anni prima. L’operazione Roller Coaster 14 era consistita nel raccogliere dati biologici<br />

su trecento animali posti sottovento rispetto alle nubi di plutonio in aerosol sprigionate<br />

dall’esplosione di tre bombe sporche. Tonopah era così remota rispetto all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e al<br />

Nevada Test Site, di per sé già remoti e vietati, che nessuno ne ha mai neppure sentito<br />

parlare.<br />

Nell’ottobre del 1979 all’<strong>Area</strong> 52 iniziò la costruzione delle infrastrutture di supporto per<br />

l’F-117 Nighthawk 15 , realizzate sul modello dell’analoga installazione presente all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Furono messe in opera piste di decollo e di rullaggio nonché hangar per la manutenzione<br />

uguali a quelli dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, impiegando lavoratori già muniti di autorizzazioni di sicurezza<br />

per il Nevada Test Site. Furono installate sedici roulotte ed eretti parecchi edifici<br />

accessori.<br />

L’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e l’<strong>Area</strong> 52 lavorarono in tandem per rendere operativo l’ F-117. Quando si<br />

verificò l’attacco simulato al posto di guardia dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, nel 1982, i voli di collaudo<br />

dell’F-117 16 – che avvenivano solo di notte – erano già in pieno svolgimento. Per alcune<br />

settimane infuriò un dibattito su come il comportamento folle di un pugno di uomini della<br />

Wackenhut Security avesse quasi fatto scoprire un aereo da un miliardo di dollari e due<br />

installazioni militari top-secret che erano rimaste segrete per trent’anni. Un numero di<br />

persone stimato intorno a diecimila erano riuscite a non far trapelare nulla del progetto<br />

del bombardiere stealth. Tutti quanti brontolarono scontenti e venne dato un secco<br />

ordine di procedere ma poi, due anni dopo, il programma rischiò nuovamente di venire<br />

alla luce quando un generale dell’aviazione infranse i protocolli e decise di farsi un giretto<br />

su uno dei preziosi MIG dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

<strong>La</strong> morte del tenente generale Robert M. Bond 17 il 26 aprile 1984 nell’<strong>Area</strong> 25 del<br />

Nevada Test Site fu una tragedia che si sarebbe potuta evitare. Con al suo attivo 257<br />

missioni di combattimento, 44 in Corea e 213 in Vietnam, Robert M. Bond era un pilota<br />

pluridecorato rispettato da molti. All’epoca dell’incidente, era vicecomandante dell’Air<br />

Force Systems Command alla base di Andrews, in Maryland, cosa che lo rendeva un<br />

personaggio di alto livello nel programma F-117 in corso all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Nel marzo del 1984 il<br />

generale Bond si recò all’installazione segreta per vedere come procedevano le cose e<br />

quella prima visita filò liscia. Ma oltre a essere impressionato dall’F-117 Nighthawk, il<br />

generale Blond rimase affascinato dal progetto sui MIG ancora in corso all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Nei<br />

quindici anni passati da quando la CIA aveva messo le mani sul MIG-21 di Munir Redfa,<br />

l’agenzia e l’aeronautica avevano acquisito una flotta di aerei di fabbricazione russa, tra<br />

cui un MIG-15, un MIG-17 e, più di recente, il MIG-23 supersonico. «Lo chiamavamo Flogger<br />

[fustigatore]» dice Barnes. «Era un aereo velocissimo, quasi Mach 3. Ma era eccentrico.<br />

Difficile da pilotare. Poteva ucciderti se non eri addestrato bene.»<br />

Il mese seguente, Bond tornò all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e chiese di poter pilotare il MIG-23. «Si


discusse sull’opportunità di consentire al generale di pilotare l’aereo» 18 spiega Barnes.<br />

«Ogni ora di volo con un aereo sovietico era preziosa. Non avevamo pezzi di ricambio e<br />

non potevamo permetterci di usarlo inutilmente. Di solito un pilota si sarebbe addestrato<br />

per almeno due settimane prima di pilotare un MIG. Invece il generale Bond si limitò a<br />

starsene seduto sull’aereo mentre un istruttore gli diceva: “Fai questo, fai quello”.» In<br />

altre parole, invece di sottoporsi a due settimane di addestramento, il generale Bond fece<br />

pesare la sua autorità.<br />

Solo poche ore più tardi, il generale Bond era nella cabina di pilotaggio del MIG e volava<br />

sopra il Groom <strong>La</strong>ke. Sembrava che andasse tutto bene, ma non appena fu sopra il<br />

Nevada Test Site si mise in contatto con la torre sul canale d’emergenza. «Sono fuori<br />

controllo» disse agitatissimo. Il MIG volava a circa Mach 2,5. «Devo lanciarmi, sono fuori<br />

controllo» furono le ultime parole del generale. Il MIG era entrato in vite e stava<br />

precipitando. Bond si eiettò dall’aereo ma a quanto pare rimase ucciso dal sottogola del<br />

casco che gli spezzò il collo. Il generale e l’aereo si schiantarono alle Jackass Flats<br />

dell’<strong>Area</strong> 25, dove il terreno era ancora fortemente contaminato dopo che erano stati<br />

condotti i test NERVA.<br />

<strong>La</strong> morte del generale rischiava di rendere pubblici cinque segreti, ossia il programma<br />

MIG, il programma F-117, l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, l’<strong>Area</strong> 52 e le esplosioni dei reattori nucleari alle<br />

Jackass Flats. A differenza della morte dei piloti della CIA assegnati all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, che<br />

poteva essere fatta passare per un generico incidente nel corso dell’addestramento, la<br />

morte di un generale doveva essere spiegata nei dettagli. Se la stampa avesse fatto<br />

troppe domande, avrebbe potuto mettere in moto un’indagine federale. Bisognava<br />

rivelare uno dei programmi per tenere nascosti gli altri. Il Pentagono decise di rendere<br />

pubblico il programma dei MIG. Senza clamore, fu fatta “trapelare” l’informazione che<br />

Bond era morto ai comandi di un MIG-23 sovietico, badando a sottolineare che il<br />

Pentagono era riuscito a ottenere il caccia dagli alleati in Europa Orientale, in Medio<br />

Oriente e in Asia. Il giornalista che fece lo “scoop” era Fred Hoffman, un esperto di cose<br />

militari 19 dell’Associated Press: «Il governo è sempre riluttante a parlare di tali<br />

acquisizioni per timore di mettere in imbarazzo gli alleati, ma sulla questione si sono<br />

accesi i riflettori dopo che un generale a tre stelle dell’aeronautica è rimasto ucciso il 26<br />

aprile in un incidente aereo in Nevada che è stato subito messo a tacere» scrisse<br />

Hoffman, aggiungendo: «Fonti che parlano a patto di rimanere anonime hanno indicato<br />

che il MIG-23, l’aereo da guerra sovietico più avanzato mai caduto in mani americane, è<br />

stato fornito dall’Egitto».<br />

Grazie a questa parziale copertura, i segreti dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, dell’<strong>Area</strong> 52, dell’<strong>Area</strong> 25 e<br />

dell’F-117 erano salvi. Ci sarebbero voluti altri quattro anni prima che l’opinione pubblica<br />

avesse idea dell’esistenza dell’F-117 Nighthawk. Nel novembre del 1988 la divulgazione di<br />

una foto sgranata dell’aereo a forma di freccia dall’aspetto futuristico sbalordì gli<br />

americani, colti completamente di sorpresa nonostante il fatto che le diverse varianti<br />

dell’F-117 volassero all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e all’<strong>Area</strong> 52 da ben undici anni 20 .<br />

Nel 1974 l’agenzia aveva ceduto il controllo dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Alcuni addetti ai lavori<br />

sostengono che la transizione avvenne nel 1979, ma dal momento che l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>


ufficialmente non esiste, l’aeronautica non dirà ufficialmente quando si è verificato il<br />

passaggio del testimone. Di sicuro doveva essere già accaduto all’epoca in cui era in<br />

corso il programma del bombardiere stealth: l’F-117 era il Sacro Graal dei progetti segreti<br />

del Pentagono e durante quel periodo l’aeronautica militare dominava l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. <strong>La</strong> CIA<br />

non si occupava di bombe e quindi la sua pre<strong>senza</strong> alla base si ridusse ai minimi termini.<br />

Negli anni Settanta il lavoro dell’agenzia si concentrò per la maggior parte sugli aerei<br />

<strong>senza</strong> pilota, i droni. Hank Meierdierck, l’uomo che aveva scritto il manuale dell’U-2<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, era responsabile di uno di questi progetti, iniziato verso la fine del 1969.<br />

Denominato in codice Aquiline 21 , l’aereo <strong>senza</strong> pilota lungo 1,8 metri era mascherato in<br />

modo da assomigliare a un’aquila o a una poiana in volo. Nel muso era montata una<br />

piccola telecamera, mentre sotto le ali c’erano equipaggiamento fotografico e sensori per<br />

la raccolta di campioni. Alcuni addetti ai lavori dicono che era stato progettato sia per<br />

rilevare la radioattività nell’aria sia per missioni di spionaggio elettronico, il cosiddetto<br />

ELINT. Ma Gene Poteat, il primo funzionario della CIA a essere assegnato al National<br />

Reconnaissance Office, offre una versione diversa delle cose. «I satelliti spia che<br />

passavano sopra il mar Caspio ci avevano trasmesso immagini di una gigantesca<br />

imbarcazione dalla forma strana e dotata di più motori. Nessuno sapeva a che cosa<br />

servisse, ma si può star certi che la CIA voleva scoprirlo. Ecco perché fu messo a punto<br />

l’Aquiline» 22 rivela Poteat. «Per scattare primi piani del veicolo in modo da capire che<br />

cosa fosse e come intendessero usarlo i sovietici. Lo chiamavamo il mostro del mar<br />

Caspio» spiega. Il progetto Aquiline è tuttora classificato, ma nel settembre del 2008 la<br />

rivista «BBC News» uscì con un articolo su un aliscafo sovietico della Guerra Fredda<br />

denominato Ekranoplan 23 , che è esattamente ciò che l’Aquiline doveva spiare.<br />

All’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> Hank Meierdierck scelse il suo vecchio amico Jim Freedman perché lo<br />

assistesse sul progetto del drone 24 . «Volava basso ed era progettato per seguire le linee<br />

di comunicazione nei paesi stranieri allo scopo di intercettare i messaggi» dice Freedman.<br />

«Credo che volessero lanciarlo da un sottomarino ancorato in porto.» <strong>La</strong> squadra<br />

dell’Aquiline era formata da tre piloti addestrati a controllare il drone in remoto, e<br />

Freedman avrebbe dovuto fornire supporto operativo. «Hank riuscì a farlo volare» ricorda<br />

Freedman. Le cose andavano a rilento e «il drone continuava a schiantarsi». Il<br />

programma terminò quando il contractor della difesa, la McDonnell Douglas, fece<br />

un’offerta che secondo Meierdierck sforava il budget di una cifra astronomica 25 . <strong>La</strong><br />

McDonnell Douglas non contrattava sulle offerte, così Hank consigliò alla CIA di cancellare<br />

il progetto Aquiline, cosa che – sostiene – l’agenzia fece.<br />

I progetti della CIA riguardanti veicoli <strong>senza</strong> pilota stavano diventando sempre più<br />

ambiziosi. Molti, come Aquiline, coinvolsero solo una manciata di persone. Ma altri furono<br />

portati avanti su scala piuttosto ampia. Nel luglio del 1974 la divisione Special Activities<br />

della CIA archiviò un memorandum relativo all’accordo stretto con l’aeronautica per un<br />

progetto all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> che prevedeva l’uso di cinque hangar. Lo storico del volo spaziale<br />

Peter Merlin, che ha scritto monografie per la NASA, spiega: «Si prevedeva che il progetto<br />

top-secret, con un nome in codice classificato, sarebbe durato circa un anno. Al poligono<br />

furono assegnate in permanenza sei persone, che arrivavano a venti nei brevi periodi di<br />

attività più intensa». L’aeronautica militare assegnò a uso esclusivo della CIA gli hangar


dal 13 al 17, che si trovavano all’estremità meridionale della base. Nessuno sa a quale<br />

misterioso progetto lavorasse l’agenzia e la documentazione è tuttora classificata;<br />

secondo alcune voci si trattava di un drone Mach 5 o Mach 6.<br />

Alcune operazioni in corso al Groom <strong>La</strong>ke negli anni Settanta avevano a che fare con la<br />

volontà della CIA di riuscire a individuare gli impianti per la costruzione di armi di<br />

distruzione di massa, tra cui armi biologiche e chimiche, prima che diventassero<br />

pienamente operativi. <strong>La</strong> CIA pensava che il modo ideale per farlo consistesse<br />

nell’installare sensori a terra in grado di “annusare” l’aria. Fin dagli anni Cinquanta<br />

l’agenzia aveva lavorato alla messa a punto di droni con sensori capaci di individuare la<br />

pre<strong>senza</strong> di armi di distruzione di massa 26 monitorando i cambiamenti nell’aria, nel suolo<br />

e nel consumo di energia di una determinata zona. I primi tentativi erano stati fatti<br />

usando i piloti degli U-2 27 , i quali erano costretti a lasciare la sicurezza dell’alta quota per<br />

volare pericolosamente bassi e sparare nel terreno sensori montati su aste metalliche. Ma<br />

queste missioni, parte dell’operazione Tobasco, rischiavano di essere scoperte 28 . Parecchi<br />

piloti di U-2 erano già stati abbattuti. Dal momento che i delicati sensori dovevano essere<br />

posizionati con cura nelle immediate vicinanze degli impianti per la produzione di armi,<br />

l’ideale era usare droni invisibili che volavano a bassa quota.<br />

Decenni prima che qualcuno tornasse a interessarsi ai droni, la CIA li considerava<br />

strumenti dalle infinite potenzialità. Ma per sviluppare la tecnologia dei droni ci volevano<br />

soldi e nel 1975 una commissione del Senato che indagava sulle attività illegali all’interno<br />

dell’agenzia, presieduta dal senatore Frank Church e nota come “commissione Church”,<br />

arrecò notevoli danni all’immagine pubblica della Central Intelligence 29 . I budget furono<br />

ridotti. Durante la presidenza di Jimmy Carter, iniziata nel 1977, i fondi a disposizione<br />

della CIA furono i più bassi di tutti i tempi e l’agenzia non andò molto lontano con i suoi<br />

progetti sui droni, almeno non fino al 1979. Alla fine di quell’anno l’agenzia venne a<br />

sapere di un incidente letale con l’antrace accaduto in un «probabile impianto per la<br />

ricerca, la produzione e lo stoccaggio di armi biologiche» 30 a Sverdlovsk. <strong>La</strong> CIA stabilì che<br />

l’incidente di Sverdlovsk aveva provocato la morte di un centinaio di persone che avevano<br />

inalato le spore dell’antrace. L’accaduto diede un certo impulso ai progetti sui droni, ma<br />

<strong>senza</strong> il sostegno dell’aeronautica gli aerei <strong>senza</strong> pilota erano percepiti in larga misura<br />

come i giocattoli dell’agenzia.<br />

Per venticinque anni, dal 1974 al 1999, la CIA e l’aeronautica collaborarono di rado ai<br />

progetti sui droni portati avanti all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Tale mancanza di cooperazione era evidente<br />

e fu sintetizzata con poche parole in un’intervista rilasciata a «Time» dal segretario alla<br />

Difesa Robert Gates nell’aprile del 2008. Gates disse che quando era a capo dell’agenzia,<br />

nel 1992, aveva scoperto che «l’aeronautica non avrebbe contribuito a finanziare un<br />

veicolo <strong>senza</strong> pilota». Le cose cambiarono nell’inverno del 2000, quando le due<br />

organizzazioni tornarono a lavorare assieme sul progetto di un nuovo drone all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>:<br />

un progetto che avrebbe cambiato per sempre il volto della guerra e che portava nella<br />

direzione indicata dal generale Henry “Hap” Arnold quando, il giorno della vittoria contro<br />

il Giappone, aveva predetto che in futuro i conflitti sarebbero stati combattuti da aerei<br />

<strong>senza</strong> pilota. Nel 2000, il futuro era adesso.<br />

Il progetto prevedeva di modificare un drone da ricognizione della CIA, il Predator,


equipaggiandolo con missili anticarro, gli Hellfire 31 , forniti dall’esercito. L’obiettivo era un<br />

terrorista sfuggente e ambiguo che la CIA stava pensando di assassinare. Viveva in<br />

Afghanistan e si chiamava Osama bin <strong>La</strong>den 32 .<br />

* Hopeless significa “<strong>senza</strong> speranza, disperato”. [N.d.T.]


Capitolo 21<br />

RIVELAZIONE 1<br />

Era il gennaio del 2001, nove mesi prima dell’attacco terroristico dell’11 settembre, e il<br />

direttore del centro antiterrorismo della CIA, Cofer Black, aveva un problema serio.<br />

L’agenzia stava valutando l’ipotesi di assassinare Osama bin <strong>La</strong>den con il Predator, ma<br />

fino a quel momento il veicolo <strong>senza</strong> pilota era stato impiegato solo per la ricognizione,<br />

non per eliminazioni autorizzate. Dal momento che era necessario unire le due tecnologie<br />

– il drone e il missile di precisione a guida laser – gli ingegneri e gli esperti di<br />

aerodinamica erano in difficoltà 2 . In particolare, erano preoccupati del fatto che la<br />

propulsione del missile mandasse fuori rotta il drone o il missile stesso; e la CIA aveva<br />

bisogno di un’arma ad altissima precisione con scarse probabilità di danni collaterali. Un<br />

conto era uccidere un terrorista, ma ammazzare altre persone nelle vicinanze sarebbe<br />

stato tutto un altro paio di maniche, soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica. Questa<br />

nuova tecnologia di drone armato veniva testata all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>; gli sviluppi del programma<br />

sono tuttora classificati. Dopo aver ottenuto risultati passabili, sia la CIA sia l’aeronautica<br />

erano fiduciose nel fatto che i missili lanciati dal drone sarebbero riusciti a raggiungere il<br />

bersaglio.<br />

Nel frattempo era sorta un’altra difficoltà, questa volta non nel deserto, ma a<br />

Washington. L’amministrazione appena eletta del presidente George W. Bush si era resa<br />

conto di non avere una strategia politica riguardo alle eliminazioni autorizzate di terroristi<br />

con i droni. Osama bin <strong>La</strong>den era noto per aver architettato gli attentati suicidi del 1988<br />

alle ambasciate americane in Kenya e in Tanzania, nei quali erano rimaste uccise 225<br />

persone, tra cui alcuni cittadini statunitensi. Era stato la mente dell’attacco suicida al<br />

cacciatorpediniere Cole e aveva dichiarato ufficialmente guerra agli Stati Uniti. Ma<br />

un’eliminazione autorizzata da parte di un’agenzia americana era un’azione illegale 3 ,<br />

secondo l’ordine esecutivo 12.333 del presidente Ronald Reagan, e dato che la situazione<br />

richiedeva una seria analisi, furono coinvolti i legali del dipartimento di stato.<br />

C’era un’unica via d’uscita possibile a sostegno dell’operazione, ed era il fatto che l’FBI<br />

aveva messo una taglia sulla testa dell’uomo. Nel febbraio del 2001 il dipartimento di<br />

stato diede il via libera all’operazione. Poi i legali del dipartimento avvisarono la CIA che<br />

c’era un altro problema, lo stesso che aveva spedito il drone all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> per i test sul<br />

campo, vale a dire i potenziali danni collaterali. Il dipartimento di stato aveva bisogno di<br />

sapere quanti membri della famiglia di bin <strong>La</strong>den e residenti al complesso di edifici che la<br />

CIA intendeva colpire potevano rimanere uccisi in un attacco portato da un drone. Il<br />

compound di bin <strong>La</strong>den si chiamava Tarnak Farm ed era noto che parecchi membri di


famiglie mediorientali di alto rango vi andavano in visita.<br />

Per determinare quali sarebbero stati i danni collaterali, la CIA e l’aeronautica si unirono<br />

per portare a termine un insolito progetto edile 4 ai margini dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> 5 . Costruirono un<br />

modello in scala reale del complesso di Osama bin <strong>La</strong>den in Afghanistan sul quale testare<br />

gli effetti di un attacco con un drone. Ma mentre i tecnici erano al lavoro, il direttore della<br />

CIA George Tenet decise 6 che uccidere Osama bin <strong>La</strong>den con un Predator armato di un<br />

missile Hellfire sarebbe stato un errore. Fu una decisione di cui la CIA si sarebbe pentita.<br />

Subito dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, il Pentagono si rese conto che<br />

aveva bisogno dei droni per combattere la guerra al terrore, il che significava che aveva<br />

bisogno dell’aiuto della CIA. Per decenni, l’aeronautica militare aveva storto il naso<br />

davanti agli aerei <strong>senza</strong> pilota. L’orgoglio dell’aviazione erano sempre stati i piloti, non i<br />

robot. Ma per tutto quel tempo la CIA aveva continuato a fare ricerche, a sviluppare e a<br />

far progredire la tecnologia dei droni all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. A partire dal 1995, l’agenzia aveva<br />

portato a termine oltre seicento missioni di ricognizione durante il conflitto in Bosnia. Nel<br />

1999 i suoi droni avevano fornito informazioni di intelligence alle forze della NATO 7 nel<br />

corso della campagna aerea sul Kosovo, raccogliendo dati, individuando obiettivi e<br />

tenendo d’occhio i campi profughi dei kosovari albanesi. Il Predator della CIA aveva<br />

aiutato gli strateghi a interpretare il caos del campo di battaglia nel conflitto dei Balcani.<br />

Adesso l’aeronautica militare aveva bisogno dell’aiuto della CIA per entrare in Afghanistan<br />

con gli aerei <strong>senza</strong> pilota.<br />

<strong>La</strong> prima missione di ricognizione condotta mediante droni nella guerra al terrore 8 partì<br />

da Kabul, Afghanistan, soltanto una settimana dopo l’11 settembre, il 18 settembre 2001.<br />

Tre settimane più tardi, il primo Predator armato con un Hellfire volò sopra Kandahar. Le<br />

regole della guerra aerea erano cambiate dalla sera alla mattina. I bombardieri stealth<br />

dell’America non sarebbero mai stati mandati a localizzare Osama bin <strong>La</strong>den e i suoi<br />

comandanti in capo che si nascondevano nelle basi sulle montagne. Adesso il compito di<br />

scovare e uccidere l’uomo più ricercato del mondo spettava ai droni <strong>senza</strong> pilota.<br />

Sebbene i droni fossero stati sviluppati e collaudati all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, all’<strong>Area</strong> 52 e a Indian<br />

Springs per quasi cinquant’anni, il mondo venne a sapere della loro esistenza solo nel<br />

novembre del 2002, quando un attacco in Yemen finì in apertura dei notiziari di tutto il<br />

mondo. Qaed Salim Sinan al-Harethi era un ricercato. Cittadino yemenita e ufficiale di<br />

alto grado di Al-Qaida, al-Harethi era stato una delle menti dell’attentato all’USS Cole di<br />

due anni prima. <strong>La</strong> mattina del 2 novembre 2002 al-Harethi e altri cinque uomini stavano<br />

attraversando in auto la grande estensione desertica della provincia di Marib, nella zona<br />

sudorientale del paese, ignari del fatto di essere osservati dal cielo da un Predator che<br />

volava parecchi chilometri sopra le loro teste.<br />

Il Predator lanciò il suo missile sul bersaglio e lo colpì in pieno. Gli uomini di Al-Qaida<br />

furono ridotti istantaneamente in un cumulo di metallo fumante. Era un assassinio che<br />

sembrava uscire dritto da un romanzo di Tom Clancy, salvo che fu così reale e così<br />

spettacolare – la prima dimostrazione visiva che i leader di Al-Qaida potevano essere<br />

individuati e uccisi – che il vicesegretario alla Difesa Paul Wolfowitz iniziò a vantarsene<br />

alla CNN. L’attacco del drone in Yemen è stato «un’operazione tattica di grande successo» 9<br />

disse. Peccato che sarebbe dovuto essere un assassinio nell’ombra, non confermato. <strong>La</strong>


avata di Wolfowitz fece infuriare lo Yemen. Il brigadier generale Yahya M. Al-<br />

Mutawakel, vicesegretario generale del Congresso del popolo, il partito del presidente,<br />

rilasciò un’intervista esclusiva al «Christian Science Monitor» 10 spiegando che il<br />

Pentagono aveva violato un accordo segreto tra le due nazioni. «Ecco perché è così<br />

difficile trattare con gli Stati Uniti» disse Al-Mutawakel. «Non considerano le circostanze<br />

internazionali in Yemen. In materia di sicurezza, non è saggio mettere in allarme il<br />

nemico.»<br />

Per ritorsione lo Yemen rivelò i segreti che stavano dietro l’operazione. A ideare il<br />

complotto era stato l’ambasciatore americano in Yemen, Edmund Hull, spiegarono gli<br />

yemeniti. Hull aveva guidato il lavoro di spionaggio, un compito tradizionalmente<br />

riservato alla CIA. Hull parlava arabo 11 , aveva contatti nel paese e conosceva i membri<br />

delle tribù locali della regione desertica del Marib. Il dipartimento di stato, sostenne lo<br />

Yemen, aveva corrotto le tribù locali perché fornissero informazioni su al-Harethi, che<br />

avevano permesso alla CIA di sapere esattamente dove il terrorista sarebbe passato e<br />

quando. L’affermazione che l’ambasciatore Hull aveva giocato un ruolo centrale<br />

nell’attacco del drone rivelò che il dipartimento di stato era implicato non solo nello<br />

spionaggio ma anche nell’eliminazione autorizzata. Stranamente, nessuno si scompose<br />

troppo, nonostante il fatto che in teoria i diplomatici debbano evitare i complotti omicidi.<br />

Nei circoli politici l’ambasciatore Hull si ritrovò in grande imbarazzo. Si rifiutò di<br />

commentare il proprio ruolo in quello che segnò un cambiamento epocale nell’aeronautica<br />

militare statunitense. L’attacco del drone in Yemen fu il primo del suo genere nella guerra<br />

al terrore, ma l’opinione pubblica non seppe granché delle centinaia di altri attacchi<br />

condotti con i droni che seguirono a breve distanza. Il successivo fu compiuto solo la<br />

settimana dopo, quando un Predator prese di mira e uccise il numero tre di Al-Qaida,<br />

Mohammed Atef, a Jalalabad 12 , in Afghanistan. Mentre la “guerra al terrore” proseguiva,<br />

alcuni attacchi con i droni sarebbero stati resi ufficiali, ma di altri non si sarebbe fatta<br />

menzione. Tuttavia, non successe più che la CIA o il dipartimento di stato ammettessero<br />

di aver giocato un ruolo in alcuno di essi. Quando Atef venne ucciso, all’inizio i resoconti<br />

parlarono di un bombardiere tradizionale che aveva preso di mira e distrutto la casa del<br />

terrorista. Solo in seguito fu rivelato che si era trattato dell’opera di un Predator e di<br />

un’eliminazione autorizzata diretta dalla CIA 13 .<br />

Quasi tutto ciò che è accaduto all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> a partire dal 1968 rimane tuttora classificato,<br />

ma gli uomini che vi avevano lavorato in precedenza concordavano generalmente sul<br />

fatto che, quando iniziò la guerra al terrore, il collaudo dei droni andò avanti a pieno<br />

ritmo. Questo nuovo modo di portare attacchi dal cielo con un velivolo <strong>senza</strong> pilota<br />

costituiva una radicale riconfigurazione della forza di combattimento aerea degli Stati<br />

Uniti e avrebbe continuato a rimanere di primaria importanza per le operazioni in corso.<br />

Ciò significava che uno degli elementi fondamentali del programma, ovvero il ruolo della<br />

CIA, doveva tornare silenziosamente e velocemente nell’ombra. L’aeronautica ha una<br />

parte chiarissima in tempo di guerra. Ma le operazioni della CIA, un’organizzazione<br />

clandestina per definizione, non possono mai essere descritte apertamente in tempo<br />

reale. È degno di nota che, dopo quasi cinquant’anni, la CIA e l’aeronautica fossero di


nuovo impegnate nei cieli; esse avrebbero modellato la propria collaborazione ispirandosi<br />

all’epoca del progetto dell’aereo spia U-2 all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Mentre la guerra al terrore si<br />

allargava, i fondi per i droni, prima scarsissimi, divennero praticamente illimitati da un<br />

giorno all’altro. Per quanto riguarda lo sviluppo di armi con mezzi scientifici e tecnologici<br />

all’avanguardia, era come trovarsi di nuovo nel 1957, dopo lo Sputnik.<br />

Non più usato solo per lo spionaggio, il Predator si vide assegnare una nuova<br />

denominazione 14 . In precedenza si era chiamato RQ-1 Predator: “R” per “ricognizione” e<br />

“Q” per indicare che era <strong>senza</strong> pilota. Subito l’attacco in Yemen, il Predator cambiò nome<br />

in MQ-1, dove la “M” stava a indicare il suo uso “polivalente” (multirole). <strong>La</strong> società che<br />

costruiva l’aereo era la General Atomics 15 .<br />

Stava per fare il suo ingresso in scena anche un secondo Predator, inizialmente<br />

chiamato Predator B. Descritto dall’aeronautica come «il fratello più giovane, e tuttavia<br />

più grosso e più forte del Predator», aveva bisogno di un nome. Reaper (“mietitrice”) era<br />

perfetto: la personificazione della morte. «Una delle grandi differenze tra il Reaper e il<br />

Predator 16 è il fatto che quest’ultimo può trasportare solo 90 chili [di armi]. Il Reaper<br />

invece ne può trasportare una tonnellata e mezzo, e oltre ai missili Hellfire, ha a bordo<br />

più bombe GBU-12 a guida laser» disse il capitano Michael Lewis del 42° stormo della base<br />

aerea di Creech. I droni della General Atomics stavano cambiando da soli i rapporti tra la<br />

CIA e l’aeronautica: nella guerra al terrore c’erano di nuovo due entità che cooperavano,<br />

esattamente com’era successo con l’avvento dell’U-2. Non si trattava di una semplice<br />

coincidenza. Era invece la realtà simbiotica della guerra. <strong>La</strong> CIA e l’aeronautica possono<br />

anche essere rivali in tempo di pace – scontrandosi per i finanziamenti, il potere e il<br />

controllo –, ma in guerra lavorano di concerto come una freccia e il suo arco. Ognuna<br />

delle due organizzazioni ha qualcosa di fondamentale che l’altra non ha. I droni della CIA<br />

erano in grado di fornire ai comandanti dell’aviazione sul campo immagini visive dalle<br />

quali essi potevano individuare e colpire le persone in tempo reale. Risorse di intelligence<br />

e risorse militari si saldavano assieme in un tutt’uno. Esattamente come successe quando<br />

la guerra al terrore si allargò coinvolgendo l’Iraq.<br />

<strong>La</strong> notte del 29 marzo 2004 un Predator MQ-1 che sorvegliava i dintorni della base<br />

americana di Balad nell’Iraq settentrionale vide tre uomini che scavavano una trincea<br />

nella strada usando dei picconi. Il brigadier generale Frank Gorenc osservava a distanza 17<br />

ciò che succedeva in un luogo segreto da qualche parte in Medio Oriente. Vide gli uomini<br />

mettere nella trincea un cosiddetto ordigno IED, una bomba rudimentale costruita<br />

artigianalmente. Gorenc riuscì a capire che stavano piazzando una bomba perché la<br />

risoluzione delle immagini trasmesse dalla telecamera di ricognizione del Predator era<br />

così precisa da consentirgli di vedere i fili. Gorenc e altri comandanti in Iraq sapevano di<br />

cos’era capace il Predator. Il brigadier generale disse che quella tecnologia gli consentiva<br />

di «far arrivare un’arma su un obiettivo nel giro di pochi minuti» 18 e diede l’autorizzazione<br />

a colpire. L’operatore del Predator, seduto a un quadro di comando di fianco a Gorenc,<br />

lanciò un Hellfire uccidendo in un colpo solo tutti e tre gli uomini. «Questo attacco»<br />

spiegò Gorenc «dovrebbe mandare ai nostri nemici il messaggio che li stiamo osservando<br />

e che agiremo contro di loro in qualunque momento, di giorno o di notte, se continuano a


opporsi al progresso dell’Iraq.» Gli occhi dal cielo, di cui si sognava negli anni Quaranta,<br />

nel nuovo millennio si erano trasformati in spade dal cielo. Ricognizione e ritorsione erano<br />

diventate un tutt’uno.<br />

Contemporaneamente ai primi attacchi con i droni in Iraq, la CIA e l’aeronautica<br />

avevano iniziato a dirigere insieme un programma segreto per uccidere i capi di Al-Qaida<br />

e dei talebani nelle zone tribali del Pakistan nordorientale, al confine con l’Afghanistan,<br />

servendosi di droni. Per avviare il progetto e renderlo operativo era necessario un grosso<br />

sforzo, proprio com’era successo con l’U-2 e l’Oxcart. Uno stormo di droni, al pari di un<br />

distaccamento di U-2 o di una squadriglia di Oxcart, implicava la fabbricazione di Predator<br />

e Reaper, l’addestramento dei piloti, la creazione di uno stormo dell’aeronautica, la<br />

costruzione di basi segrete in Medio Oriente, la messa in orbita di satelliti e la risoluzione<br />

di altre questioni logistiche. Dal 2003 al 2007 il numero di attacchi con i droni crebbe<br />

poco a poco ogni anno, ma i droni divennero pienamente operativi solo nel 2008: in<br />

quell’anno ci furono 36 missioni in Pakistan, che secondo l’aeronautica militare uccisero<br />

268 membri di Al-Qaida e dei talebani. Nel 2009 gli attacchi arrivarono a 53 19 . Dal<br />

momento che l’aeronautica non rilascia cifre e che la CIA non fa commenti sul proprio<br />

coinvolgimento, questi numeri sono la migliore approssimazione possibile calcolata dai<br />

giornalisti e dai ricercatori sulla base dei resoconti locali. E poiché i giornalisti non sono<br />

ammessi in numerose aree delle zone tribali del Pakistan, non si conosce il numero reale<br />

di attacchi portati dai droni.<br />

Per quanto oggi i droni trovino ampio spazio sui mezzi d’informazione, nei cieli<br />

succedono molte più cose di quelle che il cittadino medio può immaginare. Secondo T.D.<br />

Barnes, «ci sono almeno 15 satelliti e un numero non dichiarato di velivoli<br />

dell’aeronautica “parcheggiati” sull’Iraq e sull’Afghanistan, che forniscono copertura aerea<br />

ventiquattr’ore su ventiquattro agli avieri e ai soldati sul terreno. L’aeronautica<br />

attualmente controlla la situazione impiegando U-2, Predator, MQ-9 Reaper e Global<br />

Hawk. E queste sono solo le cose che sappiamo 20 . Ci ho lavorato e mi aspetto che<br />

esistano dispositivi di sorveglianza di cui non sapremo nulla per anni.» <strong>La</strong> maggior parte<br />

di tali piattaforme, tutte classificate, vengono «con ogni probabilità» costruite e testate<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, aggiunge Barnes.<br />

Nell’aprile del 2009, i reporter di un giornale francese di aviazione pubblicarono i<br />

disegni di un drone da ricognizione avvistato nei cieli dell’Afghanistan. Con le sue lunghe<br />

ali, la mancanza della coda e due ruote sotto la pancia una dietro l’altra come in una<br />

bicicletta, ciò che il pubblico conosce come la “Bestia di Kandahar” 21 fa tornare in mente<br />

l’ala volante dei fratelli Horten. A quale scopo era stato costruito questo nuovo drone?<br />

Sembrava che non avesse un alloggiamento per le armi. Otto mesi dopo, nel dicembre<br />

del 2009, il dipartimento della Difesa confermò 22 l’esistenza del drone, che l’aeronautica<br />

militare chiama RQ-170 Sentinel. Fabbricato dagli Skunk Works della Lockheed e<br />

collaudato all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e all’<strong>Area</strong> 52, sembra progettato unicamente per la ricognizione. In<br />

tal senso, segue le orme dell’U-2 e dell’A-12 Oxcart, sotto la supervisione congiunta<br />

dell’aeronautica e della CIA. Fatta eccezione per il nome, tutto quanto riguarda il Sentinel<br />

è classificato. Probabilmente vola nei cieli sopra territori proibiti come l’Iran, la Corea del<br />

Nord, la Cina e la Russia. Cinquantacinque anni dopo che Richard Bissell scelse l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>


per collaudare in segreto i primi aerei spia americani del dopoguerra, continuano a essere<br />

costruiti nuovi velivoli dal design avveniristico e dagli scopi analoghi. Nonostante gli<br />

straordinari progressi scientifici e tecnologici, il bisogno primario di ricognizione rimane lo<br />

stesso di sempre.<br />

Velocità e flessibilità: le esigenze della sorveglianza del ventunesimo secolo significano<br />

che il futuro dello spionaggio dai cieli sta nei velivoli <strong>senza</strong> pilota, i droni. L’intelligence<br />

aerea un tempo fornita da piloti della CIA come Gary Powers, Ken Collins, Frank Murray e<br />

altri adesso è demandata a droni guidati a distanza. Le vecchie macchine fotografiche,<br />

che facevano affidamento su cieli <strong>senza</strong> nuvole, sono state sostituite da sistemi di<br />

visualizzazione all’avanguardia, messi a punto da Sandia e dalla Raytheon, chiamati radar<br />

ad apertura sintetica (SAR) 23 . Queste “telecamere” trasmettono immagini in tempo reale<br />

ottenute attraverso il fumo, la polvere e persino le nuvole, durante il giorno o nell’oscurità<br />

della notte. Ma per quanto i droni possano apparire onnipotenti e onniveggenti, esiste un<br />

fattore chiave che in genere sfugge al pubblico – ma certo non al Pentagono né alla CIA –<br />

quando si passa a considerare la vulnerabilità del velivolo più importante dell’aeronautica<br />

militare. I droni hanno bisogno di collegamenti satellitari.<br />

Far funzionare un drone richiede controllo dello spazio. Tutti i velivoli <strong>senza</strong> pilota<br />

hanno bisogno di satelliti per trasmettere e ricevere informazioni dai piloti che li guidano<br />

a distanza. Quando il Predator vola sul teatro di guerra in Medio Oriente, è controllato da<br />

un pilota seduto su una sedia cinquanta chilometri a sud dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> 24 , a Indian Springs.<br />

Il pilota è davanti allo schermo di un computer che fornisce la rappresentazione visiva di<br />

ciò che il Predator sta vedendo sul terreno dall’altra parte del pianeta. Accanto al pilota<br />

siedono due sensor operators, gli uomini responsabili delle telecamere, ovvero dei sensori<br />

ottici a bordo del drone, entrambi nel ruolo che in altri tempi sarebbe stato quello del<br />

copilota. Il pilota e i sensor operators sono affiancati da una squadra di cinquantacinque<br />

avieri che forniscono supporto operativo. Predator Primary Satellite Link è la<br />

denominazione del sistema che consente la comunicazione tra il drone e la squadra. Il<br />

drone ha bisogno di essere in contatto visivo con la stazione di controllo terrestre solo<br />

quando atterra; tutte le altre cose che può fare, dalla registrazione di immagini al lancio<br />

di missili, le fa grazie al collegamento satellitare.<br />

Indian Springs è la vecchia pista dove il dottor Edward Teller, il padre della bomba H, e<br />

tutti gli altri fisici nucleari atterravano quando andavano ad assistere all’esplosione delle<br />

loro creature atomiche nel corso dei test condotti dal 19<strong>51</strong> al 1992. Indian Springs è il<br />

luogo in cui i piloti venivano addestrati a volare attraverso il fungo atomico allo scopo di<br />

raccogliere campioni di radioattività. È il posto dove la EG&G costruì la sua prima<br />

installazione per le prove radar al Nevada Test and Training Range nel 1954. Indian<br />

Springs è dove Bob <strong>La</strong>zar disse di essere stato portato e interrogato dopo che l’avevano<br />

sorpreso a sconfinare sulla Groom <strong>La</strong>ke Road. E nel 2011 Indian Springs, che è stata<br />

ribattezzata base dell’aeronautica militare di Creech, è il luogo dove i piloti siedono<br />

davanti agli schermi e guidano i droni.<br />

Per il dipartimento della Difesa, la vulnerabilità dei satelliti al sabotaggio ha creato una<br />

nuova minaccia <strong>senza</strong> precedenti. Secondo uno studio del 2008 sui “problemi perversi”<br />

(wicked problems) * realizzato dal comitato scientifico della Difesa 25 , in un capitolo


significativamente intitolato Sorpresa nello spazio, si sottolinea la vulnerabilità dei<br />

satelliti nel mondo contemporaneo. Secondo la definizione del Pentagono, «i problemi<br />

perversi sono problemi di grande complessità e ampiezza che non hanno alcuna<br />

formulazione definitiva […] e nessuna soluzione». Per loro stessa natura, questi problemi<br />

sono «sostanzialmente <strong>senza</strong> precedenti», il che significa che le loro conseguenze sono<br />

ignote dato che nessuno di essi è mai stato risolto prima. Peggio ancora, ha avvertito il<br />

Pentagono, i tentativi di risolvere problemi di questo genere di solito fanno sorgere una<br />

serie di problemi completamente nuovi. Le persone incaricate di fronteggiare i problemi<br />

perversi sono tecnici che devono essere preparati a essere colti di sorpresa ed essere in<br />

grado di gestire conseguenze impreviste, perché «giocare al gioco cambia il gioco» 26 .<br />

Dato che fa affidamento sui satelliti per combattere la guerra al terrore come pure<br />

molti dei conflitti prevedibili nell’immediato futuro, il problema perverso maggiore che si<br />

presenta al Pentagono nel ventunesimo secolo è la spada di Damocle della<br />

militarizzazione dello spazio. Armare lo spazio, così è portato a pensare il Pentagono,<br />

significherebbe salvaguardarlo preventivamente. Una guerra nello spazio per il controllo<br />

dei satelliti non è un conflitto che gli Stati Uniti vogliono per forza combattere, ma è di<br />

sicuro uno scontro che non sono disposti a perdere.<br />

«Oltre l’ottanta per cento delle comunicazioni satellitari usate nell’area di pertinenza<br />

del comando centrale degli Stati Uniti sono fornite da società commerciali» si legge nel<br />

rapporto sulle “sorprese nello spazio”. E quando nel 2007 i cinesi – <strong>senza</strong> preavviso e in<br />

modo inaspettato – abbatterono uno dei loro satelliti 27 con un missile, l’incidente aprì gli<br />

occhi al Pentagono su tutta una serie di potenziali scenari di problemi perversi nello<br />

spazio.<br />

Attorno alle cinque del mattino ora standard dell’Est (fuso orario UTC-5) un satellite<br />

cinese lungo 1,8 metri stava orbitando attorno alla Terra a una quota di 862 chilometri<br />

quando fu preso di mira e distrutto da un missile balistico cinese lanciato dalla base di<br />

Songlin, nella provincia del Sichuan, alimentato da carburante solido e accoppiato a un<br />

Kinetic Kill Vehicle, ovvero un veicolo a energia cinetica con una testata esplosiva. Il<br />

satellite viaggiava a circa 2.560 chilometri orari e il missile balistico a circa 2.880<br />

chilometri orari. Il colpo fu precisissimo. Per quanto radicale e impressionante, quella<br />

tecnologia non era tale da far scomporre gli esperti del Pentagono. <strong>La</strong> rilevanza<br />

dell’avvenimento consisteva invece nel fatto che con l’abbattimento del satellite cinese il<br />

mondo faceva un pericoloso passo avanti nella direzione del problema veramente<br />

perverso della militarizzazione dello spazio. Partecipare a questo gioco significa entrare<br />

nella spirale della follia della distruzione mutua assicurata che non si vedeva dal periodo<br />

peggiore della Guerra Fredda.<br />

I militari americani rispondono sempre, apertamente o in modo velato, ad azioni di<br />

questa portata, a maggior ragione se provengono da una superpotenza come la Cina, e la<br />

distruzione del satellite non fece eccezione. Sette mesi più tardi, nel febbraio del 2008,<br />

un missile SM-3 Raytheon fu lanciato dal ponte dell’incrociatore USS <strong>La</strong>ke Erie nel Pacifico<br />

settentrionale. Viaggiò per circa 245 chilometri in direzione dello spazio e colpì un<br />

satellite americano da 2.270 chilogrammi che aveva le dimensioni di un autobus e<br />

apparteneva al National Reconnaissance Office. <strong>La</strong> storia ufficiale del Pentagono 28 fu che


il satellite era andato fuori rotta e che gli Stati Uniti non volevano che il carburante<br />

tossico da cui era alimentato, che si affermò fosse idrazina, precipitasse su suolo<br />

straniero. «Il nostro obiettivo era di intercettare il satellite, ridurne la massa che avrebbe<br />

potuto resistere a un rientro [e] dirigere tale massa verso zone disabitate, idealmente<br />

l’oceano» disse alla stampa il generale James Cartwright, il vicepresidente dello stato<br />

maggiore congiunto. I leader internazionali gridarono allo scandalo, sostenendo che il<br />

test era stato architettato per dimostrare al mondo che gli Stati Uniti possedevano la<br />

tecnologia per abbattere i satelliti degli altri paesi.<br />

Negli anni Cinquanta, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica pensarono sul serio di usare lo<br />

spazio come rampa di lancio per la guerra. Il consigliere scientifico del presidente<br />

Eisenhower James Killian ricevette regolari suggerimenti dal Pentagono di sviluppare, per<br />

dirla con le sue parole, «bombardieri satellitari, basi militari sulla Luna e così via». Ma<br />

Killian rifiutava l’idea di militarizzare lo spazio non perché riteneva che fosse<br />

irresponsabile o immorale, bensì perché era convinto che le armi nucleari non avrebbero<br />

funzionato bene dallo spazio.<br />

«Un satellite semplicemente non può sganciare una bomba» 29 dichiarò in un<br />

comunicato ufficiale rilasciato dalla Casa Bianca il 26 marzo 1958 e scritto per «i non<br />

addetti ai lavori» dietro sollecitazione del presidente.<br />

Torniamo al 2011. Gli analisti della Space Surveillance Network (Rete di sorveglianza<br />

spaziale) degli Stati Uniti 30 , che si trova in un’installazione simile all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> ubicata<br />

sull’isola di Diego Garcia nell’oceano Indiano, passano tutto il giorno, tutti i giorni, 365<br />

giorni all’anno, tracciando oltre ottomila oggetti costruiti dall’uomo che orbitano attorno<br />

alla Terra. L’ SSN è responsabile dell’individuazione, del tracciamento, della catalogazione<br />

e dell’identificazione di oggetti artificiali in orbita intorno al nostro pianeta, inclusi satelliti<br />

attivi e inattivi, involucri di razzi spenti e altri detriti spaziali. Dopo l’abbattimento del<br />

satellite da parte dei cinesi nel 2007, il lavoro della rete è diventato parecchio più<br />

complicato. Il satellite cinese è esploso in qualcosa come 35.000 frammenti di un<br />

centimetro, più altri 150 grandi all’incirca dieci centimetri o più. «Un oggetto di un<br />

centimetro è difficilissimo da tracciare 31 ma può arrecare notevoli danni in caso di<br />

collisione con una nave spaziale che viaggia a velocità elevata» ha detto <strong>La</strong>ura Grego,<br />

una scienziata del Global Security Program della Union of Concerned Scientists. Gli Stati<br />

Uniti hanno detto che il satellite della NRO abbattuto da loro non ha creato detriti perché<br />

quando è stato colpito era vicino alla Terra e i frammenti sono bruciati rientrando<br />

nell’atmosfera.<br />

Questi scenari creano un altro problema perverso per i militari americani. Tutte le<br />

nazioni moderne fanno affidamento sui satelliti per funzionare. I sistemi per crittografare i<br />

dati sincronizzati usati dalle banche di tutto il mondo si basano sui satelliti. Le previsioni<br />

meteorologiche sono derivate dalle informazioni provenienti dai satelliti, come pure la<br />

capacità dei controllori di volo di far viaggiare sicuri gli aerei. Il sistema di<br />

posizionamento globale americano, o GPS, lavora con i satelliti, al pari della sua versione<br />

europea, il sistema di posizionamento Galileo, che sarà attivo a partire dal 2012. I militari<br />

statunitensi usano i satelliti non solo per le missioni con i droni ma per quasi tutte le<br />

comunicazioni. Se qualcuno riuscisse a mettere fuori uso il sistema dei satelliti, o anche


solo una parte di esso, il caos e il panico che ne seguirebbero farebbero sembrare <strong>La</strong><br />

guerra dei mondi una robetta di poco conto. Quando si pensa a ciò che hanno fatto gli<br />

Stati Uniti e l’Unione Sovietica durante la corsa al nucleare degli anni Quaranta,<br />

Cinquanta e Sessanta, sembra un miracolo che i test nucleari nello spazio effettuati tra la<br />

fine degli anni Cinquanta e l’inizio del decennio successivo non abbiano spinto le due<br />

superpotenze a combattere per il controllo militare dello spazio. Al contrario, negli ultimi<br />

decenni della Guerra Fredda, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno rispettato un tacito<br />

accordo in base al quale lo spazio era off-limits dal punto di vista militare. Nessuno dei<br />

due paesi ha tentato di installare missili sulla Luna, e nessuno dei due ha abbattuto<br />

satelliti spia della controparte nemica. Secondo il colonnello Leghorn, ciò è successo<br />

perché «i satelliti spia lanciati nello spazio 32 erano accettati come occhi dal cielo con cui i<br />

governi dovevano convivere». I governi di cui parla Leghorn sono quello americano e<br />

quello sovietico. Ma oggi le alleanze e i fronti di guerra hanno subìto una radicale<br />

ridefinizione. Almeno un esercito nemico, quello di Al-Qaida, preferirebbe morire che<br />

vivere secondo le regole delle superpotenze.<br />

A dispetto, o forse proprio a motivo dei suoi novantun anni, Leghorn parla con grande<br />

autorevolezza. Oltre a essere considerato il padre della ricognizione aerea, nel 1960 ha<br />

fondato la Itek Corporation 33 , che ha sviluppato il sistema di fotografie ad alta risoluzione<br />

per il primo satellite da ricognizione degli Stati Uniti, Corona. Il programma Corona ebbe<br />

enorme successo e, soprattutto, fu originariamente progettato e diretto da Richard Bissell<br />

per conto della CIA all’epoca in cui era responsabile dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Dopo aver lasciato<br />

l’aeronautica militare, Leghorn ha trascorso decenni nel campo dei satelliti commerciali 34 .<br />

Dalle immagini raccolte dai satelliti Itek, la CIA è venuta a sapere che allo scopo di<br />

sfuggire all’occhio americano dai cieli, molti governi stranieri hanno spostato sottoterra le<br />

loro installazioni militari più segrete.<br />

Nel deserto del Nevada, mentre la CIA raddoppiava gli sforzi per mettere a punto<br />

sensori di terra più avanzati e tecniche di tracciamento agli infrarossi per ottenere<br />

maggiori informazioni sulle installazioni sotterranee (cosa che richiede l’uso di droni), il<br />

dipartimento della Difesa e l’aeronautica militare adottarono un approccio diverso. Negli<br />

anni Ottanta i militari lavorarono per sviluppare la bunker buster, la bomba sfondabunker,<br />

un ordigno nucleare progettato per penetrare in profondità sotto la superficie<br />

terrestre, colpire obiettivi sotterranei e detonare nel sottosuolo. Furono coinvolti anche i<br />

progettisti di Sandia. <strong>La</strong> bomba fu denominata W61 Earth Penetrator 35 e i test furono<br />

condotti all’<strong>Area</strong> 52 nel 1988. L’idea era di lanciare l’arma in grado di penetrare la terra 36<br />

da un’altezza di 12.200 metri ma dopo parecchi test (<strong>senza</strong> la testata nucleare), divenne<br />

chiaro che una bomba nucleare avrebbe avuto un impatto scarso o addirittura nullo sul<br />

granito, che è la roccia d’elezione in cui sono costruite le installazioni sotterranee segrete.<br />

Dopo che nel 1993 il presidente Clinton pose termine a tutti i test nucleari americani (il<br />

Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty, Trattato per il bando totale dei test nucleari, fu<br />

adottato dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1996 e firmato da cinque degli<br />

allora sette o otto paesi dotati di armi atomiche) 37 , l’idea di sviluppare un’arma nucleare<br />

in grado di penetrare la terra perdette di slancio. Ma la costruzione di installazioni


sotterranee da parte di governi stranieri continuò ad assillare gli strateghi, così nacque un<br />

progetto per armi spaziali non atomiche denominate Rods from God 38 , armi a energia<br />

cinetica satellitare. Il progetto prevedeva di usare sottili sbarre metalliche, lunghe nove<br />

metri e con un diametro di 30 centimetri, che potevano essere lanciate da un satellite e<br />

colpire un preciso bersaglio sulla Terra alla velocità di 3.400 metri al secondo 39 .<br />

Dopo la guerra del Golfo, la DARPA si rivolse a un gruppo segreto chiamato Jason Society<br />

(uno dei bersagli favoriti dei teorici del complotto) e alla sua capogruppo, la Mitre<br />

Corporation, perché stendessero un rapporto sullo status delle installazioni sotterranee,<br />

che nella nomenclatura governativa sono denominate UGF. <strong>La</strong> versione non classificata del<br />

rapporto dell’aprile 1999 40 comincia con queste parole: «Le installazioni sotterranee sono<br />

usate per nascondere e proteggere attività critiche che costituiscono una minaccia per gli<br />

Stati Uniti». Tali minacce, disse la Jason, «includono lo sviluppo e lo stoccaggio di armi di<br />

distruzione di massa, soprattutto armi nucleari, chimiche e biologiche» e continuò<br />

affermando che «la proliferazione di simili installazioni è un’eredità della guerra del<br />

Golfo». Ciò significava che il bombardiere F-117 stealth aveva mostrato ai governi<br />

stranieri «che quasi ogni installazione in superficie è vulnerabile a essere attaccata e<br />

distrutta da armi teleguidate di precisione». Per la DARPA questo voleva dire che era giunto<br />

il momento di sviluppare una nuova bunker buster nucleare, trattato per il bando totale o<br />

meno.<br />

Nel gennaio del 2001 la Federation of American Scientists espresse le sue<br />

preoccupazioni riguardanti la rivelazione che i laboratori nucleari stavano lavorando a<br />

bombe nucleari a basso potenziale, o armi nucleari da valigetta, per colpire bersagli<br />

sotterranei nonostante il bando del Congresso. Los Alamos ribatté 41 sostenendo di essere<br />

in grado di mettere a punto concettualmente una bomba atomica da zaino. «Si<br />

potrebbero progettare e impiegare una nuova serie di armi nucleari che non è necessario<br />

testare perché siano certificate» dichiarò il vicedirettore del comparto armi nucleari di Los<br />

Alamos Stephen M. Younger, asserendo che «dispositivi così semplici si baserebbero su<br />

un database molto limitato di test nucleari». <strong>La</strong> Federation of American Scientists ritenne<br />

inverosimile l’affermazione di Younger: «Sembra improbabile che una testata nucleare in<br />

grado di compiere qualcosa di straordinario come distruggere un bunker costruito in<br />

profondità e fortificato possa essere impiegata <strong>senza</strong> [prima eseguire] test [nucleari] in<br />

scala reale». Il 1° luglio 2006 Stephen Younger è diventato presidente della National<br />

Security Technologies ( NSTec), la società incaricata delle operazioni al Nevada Test Site 42<br />

fino al 2012.<br />

Nel 2002, con l’America di nuovo in guerra, l’amministrazione di George W. Bush riprese<br />

lo sviluppo della bunker buster, ribattezzata Robust Nuclear Earth Penetrator. Nell’aprile<br />

dello stesso anno il dipartimento della Difesa cominciò a discutere con il laboratorio<br />

nazionale <strong>La</strong>wrence di Livermore per iniziare la progettazione preliminare della nuova<br />

arma nucleare. Nel 2003 la Robust Nuclear Eart Penetrator ricevette un finanziamento di<br />

14,5 milioni di dollari; nel 2004 altri 7,5 milioni e nel 2005 ulteriori 27,5. Nel 2006 il<br />

Senato eliminò la voce dal proprio budget 43 . O il programma era stato cancellato oppure<br />

gli era stato dato un nuovo nome ed era entrato nell’ombra, forse all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e 52.<br />

O magari al Nevada Test Site, sottoterra. Per quanto incredibile e ironico possa


sembrare – sviluppare una bomba nucleare sfonda-bunker in un poligono nucleare<br />

sotterraneo in Nevada – è esattamente quello che i funzionari del DOE avevano proposto<br />

in un rapporto non classificato pubblicato <strong>senza</strong> clamore nel 2005. In questo rapporto<br />

funzionari dell’agenzia precedentemente nota come Atomic Energy Commission<br />

suggerirono di riprendere il programma NERVA 44 e di portarlo avanti proprio nel sottosuolo.<br />

A differenza del programma NERVA degli anni Sessanta, argomentò Michael Williams,<br />

autore del rapporto, «le installazioni del DOE per l’esplorazione spaziale mediante<br />

tecnologie nucleari non possono più essere usate in atmosfera», il che significava che un<br />

impianto come quello esistente in precedenza alle Jackass Flats era fuori discussione. Ma<br />

per il nuovo progetto NERVA, suggerì Williams, il dipartimento dell’Energia avrebbe potuto<br />

tranquillamente condurre i suoi test all’interno dei «tunnel [sotterranei] esistenti o in<br />

nuovi tunnel al Nevada Test Site».<br />

L’ex vicedirettore del comparto di armi nucleari di Los Alamos, Stephen Younger, che<br />

attualmente è presidente delle operazioni al Nevada Test Site, smentisce<br />

categoricamente che al poligono siano in corso test sotterranei di armi atomiche. Ma<br />

conferma che si stanno conducendo esperimenti nucleari “subcritici” all’interno di un<br />

complesso di tunnel sotto l’<strong>Area</strong> 1. Per accedere all’installazione, dice Younger, gli addetti<br />

usano un ascensore che li porta trecento metri sottoterra. Lì stanno facendo «esperimenti<br />

scientifici con il plutonio ed esplosivi ad alto potenziale» dice Younger «non test di armi».<br />

Younger sostiene che «non si può dire lo stesso dei russi». Afferma che nella loro<br />

installazione sotterranea di Novaja Zemlya «i russi stanno sviluppando nuove armi<br />

nucleari <strong>senza</strong> interruzione. Il signor [Vladimir] Putin l’ha detto in più occasioni. Continua<br />

a ripeterlo perché vuole che lo sappiamo».<br />

Non c’è modo di scoprire cosa succede esattamente oggi al Nevada Test and Training<br />

Range – in superficie all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> o all’<strong>Area</strong> 52 oppure nei tunnel sotterranei sotto il<br />

poligono – perché la maggior parte di ciò che accade nel deserto del Nevada è classificato<br />

e le agenzie federali coinvolte pensano che non siano informazioni strettamente<br />

necessarie per i cittadini. <strong>La</strong> domanda è: l’opinione pubblica ha il diritto di sapere? E il<br />

Congresso? Molti progetti segreti condotti all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> hanno prodotto risultati a vantaggio<br />

della sicurezza dell’America. Il primo volo nei cieli dell’Unione Sovietica condotto da<br />

Hervey Stockman a bordo di un U-2 nel 1956 fornì alla CIA informazioni importantissime,<br />

ossia che i russi non stavano mobilitando la loro macchina bellica per un attacco a<br />

sorpresa. Le informazioni ottenute da una missione dell’A-12 Oxcart impedì<br />

all’amministrazione Johnson di dichiarare guerra alla Corea del Nord durante il conflitto in<br />

Vietnam. Il bombardiere F-117 stealth mandò a monte i progetti di Saddam Hussein di<br />

costruire armi di distruzione di massa. Ma all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> sono accadute anche altre cose, e<br />

almeno una di esse non avrebbe mai dovuto essere autorizzata e non dovrebbe più<br />

continuare a rimanere un segreto.<br />

Dopo la Seconda guerra mondiale, il governo americano assunse e protesse gli<br />

scienziati nazisti sulla base della considerazione che erano i migliori al mondo e che le<br />

loro conoscenze erano necessarie per far progredire la scienza, e vincere la prossima<br />

guerra. Nel farlo, l’America strinse un patto con il diavolo, patto che si trasformò in un


problema perverso per le agenzie coinvolte: giocare al gioco degli ex scienziati nazisti<br />

diede origine a una serie di problemi completamente nuova, tra cui la complicità del<br />

governo federale nel nascondere molti dei crimini originari di quegli uomini. Nel 2011<br />

rimangono ancora classificate circa seicento milioni di pagine di documenti 45 relative<br />

all’utilizzo postbellico delle conoscenze scientifiche dei tedeschi, inclusi parecchi fascicoli<br />

riguardanti l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> 46 .<br />

<strong>La</strong> ragione per cui il governo federale non ammetterà ufficialmente l’esistenza dell’<strong>Area</strong><br />

<strong>51</strong> non sono gli aerei spia segreti, i bombardieri stealth o i droni che sono stati e<br />

continuano a essere collaudati al sito. <strong>La</strong> ragione è un’altra. Si tratta di un programma<br />

intrapreso da cinque ingegneri della EG&G all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Il programma aveva a che fare con i<br />

rottami dell’incidente di Roswell ed è anteriore allo sviluppo dell’installazione originaria<br />

della CIA, che fu costruita da Richard Bissell a partire dal 1955. L’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> si chiama così<br />

non perché fu un quadrante scelto a caso, come si è spesso pensato, ma perché i resti<br />

dell’incidente del 1947 avvenuto a Roswell 47 , New Mexico, furono mandati dalla base<br />

dell’aeronautica di Wright-Patterson in un luogo segreto nel deserto del Nevada… nel<br />

19<strong>51</strong>.<br />

Il velivolo precipitato in New Mexico, la cui incarnazione mitica è diventata nota come<br />

incidente di Roswell, si schiantò nel 1947, sessantaquattro anni prima della pubblicazione<br />

di questo libro. Tutti coloro che furono coinvolti direttamente nell’accaduto, che agivano<br />

per conto del governo, sono morti. Come fa con l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, il governo degli Stati Uniti<br />

rifiuta di ammettere che l’incidente di Roswell si sia mai verificato, eppure si verificò,<br />

secondo la testimonianza determinante di un uomo intervistato durante i diciotto mesi<br />

che ci sono voluti per scrivere questo libro, il quale partecipò al progetto di ingegneria<br />

che seguì all’incidente di Roswell. Era uno degli ingegneri di punta della EG&G che furono<br />

incaricati di occuparsi dell’originario problema perverso dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Nel luglio del 1947 i servizi segreti militari guidarono gli sforzi per recuperare i resti del<br />

disco volante precipitato a Roswell. E al pari di altre storie che sono diventate leggende<br />

dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, parte della teoria del complotto relativa a Roswell si basa su cose vere.<br />

L’incidente coinvolse un disco, non un pallone meterologico come affermò in seguito<br />

l’aeronautica militare. E la squadra d’intervento della base di Roswell non trovò solo i<br />

rottami di un velivolo, bensì anche due punti d’impatto, e dei corpi. Non erano alieni. Né<br />

avieri consenzienti. Erano cavie umane. Insolitamente piccoli per essere dei piloti,<br />

sembravano bambini. Erano alti un metro e cinquanta. Fisicamente i corpi degli avieri si<br />

rivelarono un rompicapo anatomico: erano deformi in modo grottesco, ma tutti allo stesso<br />

modo. Avevano la testa troppo grande e occhi enormi dalla forma anormale. Una cosa<br />

era chiara: quei bambini, se di bambini si trattava, non erano essere umani sani. Una<br />

seconda cosa fu scioccante: due di loro erano in coma ma ancora vivi.<br />

Tutto ciò che aveva a che fare con l’incidente fu mandato alla base di Wright Field, in<br />

seguito ribattezzata Wright-Patterson, in Ohio, e ci rimase fino al 19<strong>51</strong>, quando le prove<br />

furono imballate e trasportate al Nevada Test Site, dove furono prese in consegna dal<br />

gruppo di ingegneri della EG&G. L’Atomic Energy Commission, non l’aeronautica militare né<br />

la Central Intelligence, fu incaricata dei resti dell’incidente di Roswell. Visti i particolari<br />

privilegi di cui godeva, l’AEC era l’organizzazione più adatta a occuparsi di un segreto che


non sarebbe mai stato declassificato. <strong>La</strong> commissione aveva bisogno di ingegneri fidati<br />

che svolgessero il lavoro che si accingeva a cominciare. Per trovarli, si rivolse al più<br />

potente contractor della Difesa della nazione 48 : la EG&G.<br />

Gli uomini della EG&G furono scelti per prendere in consegna i resti dell’incidente e per<br />

costruire un’installazione segreta appena fuori dei confini del Nevada Test Site, poco più<br />

di 25 chilometri a nordovest del Groom <strong>La</strong>ke, all’incirca nove chilometri a nord<br />

dell’intersezione nordorientale tra l’<strong>Area</strong> 12 e l’<strong>Area</strong> 15. Un’installazione tanto remota non<br />

sarebbe mai stata visitata da nessun altro, fatta eccezione per un gruppetto di persone<br />

con speciali autorizzazioni di sicurezza, e non sarebbe mai stata registrata né sarebbe<br />

comparsa su alcuna mappa del Nevada Test Site. A questi cinque uomini fu detto che<br />

c’era parecchio lavoro di ingegneria da svolgere e che sarebbero state le uniche persone<br />

in possesso di codici per l’installazione. Il progetto, furono informati, era il programma di<br />

ingegneria più clandestino e importante dai tempi del progetto Manhattan, motivo per cui<br />

l’uomo incaricato di quell’operazione era responsabile anche di questa.<br />

Vannevar Bush era stato il consigliere scientifico più fidato del presidente Roosvelt<br />

durante la Seconda guerra mondiale. Le decisioni di Vannevar Bush erano prese per il<br />

bene della nazione: erano giuste. Agli uomini della EG&G venne detto che il progetto su<br />

cui avrebbero lavorato era così importante che sarebbe rimasto segreto per sempre.<br />

Compresero che born classified voleva dire che nessuno avrebbe mai avuto il diritto né la<br />

necessità di sapere ciò che Vannevar Bush stava chiedendo loro di fare. L’operazione non<br />

avrebbe avuto alcun nome, solo una denominazione alfanumerica: S-4, o Sigma-Four.<br />

Il problema che gli ingegneri della EG&G avrebbero affrontato sarebbe stato altamente<br />

complesso, di ampia portata, <strong>senza</strong> una formulazione definita e <strong>senza</strong> alcuna soluzione<br />

stabilita. Questo problema perverso era assolutamente <strong>senza</strong> precedenti. Risolverlo<br />

avrebbe avuto <strong>senza</strong> dubbio conseguenze non volute, perché giocare il gioco<br />

ingegneristico avrebbe cambiato il gioco stesso. Ma i rompicapo da risolvere erano due,<br />

non uno.<br />

C’era il velivolo precipitato che era stato mandato da Stalin, con i caratteri cirillici<br />

stampati o incisi in un anello che correva all’interno del veicolo. Fino a quel momento, fu<br />

detto agli uomini della EG&G, nessuno che aveva lavorato al progetto alla base di Wright-<br />

Patterson era stato in grado di capire che cosa permetteva al veicolo di stare fermo in<br />

aria e di volare, neppure gli scienziati tedeschi di Paperclip chiamati ad assistere. Sicché il<br />

velivolo precipitato era il lavoro numero uno. Ingegneria inversa, disse Vannevar Bush.<br />

Smontatelo e rimontatelo. Cercate di capire come fa a volare.<br />

Ma c’era un secondo problema da risolvere, quello che riguardava gli avieri piccoli come<br />

bambini. Gli uomini furono informati di ciò di cui avrebbero dovuto occuparsi. Era<br />

necessario. Ciò che era successo a quegli esseri umani prima che fossero messi sul<br />

velivolo e spediti sopra l’America erano informazioni strettamente necessarie riservate a<br />

loro, e a loro soltanto. Furono avvertiti che la vista dei corpi poteva essere un’esperienza<br />

scioccante. Dal momento che due degli avieri erano in coma ma ancora vivi, gli uomini<br />

avrebbero dovuto trasferirli in una sostanza gelatinosa e metterli in posizione eretta in<br />

contenitori tubolari collegati a sistemi che li avrebbero tenuti in vita. Talvolta aprivano la<br />

bocca e davano l’impressione di voler cercare di parlare. Ricordatevi che sono in coma,


dissero agli ingegneri. Sono incoscienti e non si sveglieranno mai.<br />

Un tempo quei bambini erano stati esseri umani sani. Adesso non più. Avevano circa<br />

tredici anni. Le domande erano tante. Perché avevano la testa così grossa? I loro corpi<br />

erano stati manipolati chirurgicamente in modo da apparire non umani oppure le<br />

deformità erano genetiche? E quegli occhi enormi, impossibili da dimenticare? Agli<br />

ingegneri venne detto che, secondo alcune voci, quei bambini erano stati rapiti dal dottor<br />

Joseph Mengele 49 , il nazista pazzo noto per aver condotto – ad Auschwitz e altrove –<br />

interventi chirurgici indicibili 50 sui bambini, i nani e i gemelli <strong>51</strong> . Appena prima che la<br />

guerra finisse, Joseph Mengele aveva fatto un patto con Stalin, vennero a sapere gli<br />

ingegneri. Stalin offrì al medico la possibilità di continuare i suoi esperimenti di<br />

eugenetica in segreto dopo la guerra, in Unione Sovietica. Gli ingegneri appresero che<br />

probabilmente quell’accordo era stato stretto all’inizio del 1945, quando era ormai chiaro<br />

a molti membri del partito nazista, tra cui Mengele, che la Germania sarebbe stata<br />

sconfitta e che i medici e i capi sarebbero stati processati e impiccati per crimini di<br />

guerra.<br />

Nei suoi tentativi di creare una razza ariana pura per Hitler 52 , Mengele condusse<br />

esperimenti su individui che riteneva subumani in modo da selezionare alcune<br />

caratteristiche. Tra le vittime di Mengele vi furono bambini ebrei, bambini zingari e<br />

persone con gravi deformità fisiche. Egli rimosse parti del cranio dei bambini e le sostituì<br />

con ossa prelevate da soggetti adulti. Tolse e trapiantò occhi e iniettò alle persone<br />

sostanze chimiche che causavano la perdita dei capelli. Dietro istruzioni di Mengele una<br />

prigioniera di Auschwitz, una pittrice che si chiamava Dina Babbitt 53 , fece disegni<br />

comparativi della forma delle teste, dei nasi, delle bocche e delle orecchie delle persone<br />

prima e dopo le terrificanti operazioni chirurgiche eseguite da Mengele. Un altro medico<br />

internato costretto a lavorare per Mengele, la dottoressa Martina Puzyna 54 , raccontò che<br />

Mengele l’aveva obbligata a fare accurate misurazioni della forma e delle dimensioni delle<br />

parti del corpo dei bambini, prendendo calchi in gesso, in particolare della testa e delle<br />

mani, dei bambini deformi. Quando Mengele se ne andò da Auschwitz, il 17 gennaio<br />

1945, portò con sé la documentazione sui suoi esperimenti medici. Secondo l’unico figlio,<br />

Rolf 55 , Mengele l’aveva ancora dopo la guerra.<br />

Agli ingegneri della EG&G fu detto che parte dell’accordo offerto da Stalin a Mengele<br />

prevedeva che il medico nazista creasse un equipaggio di avieri piccoli e deformi; in<br />

cambio, Stalin gli avrebbe concesso un laboratorio in cui continuare i suoi esperimenti.<br />

Secondo quanto fu detto agli ingegneri, Mengele tenne fede al patto faustiano 56 , ma<br />

Stalin no. Mengele non si stabilì mai in Unione Sovietica 57 ; invece, rimase quattro anni in<br />

Germania sotto falso nome e poi fuggì in Sudamerica, prima in Argentina e poi in<br />

Paraguay, dove visse fino alla morte, nel 1979.<br />

Quando mise i bambini biologicamente e/o chirurgicamente modificati sul velivolo<br />

diretto in New Mexico sperando che sarebbero atterrati lì, il piano di Stalin – così fu detto<br />

agli ingegneri – era che uscissero dal disco volante e fossero scambiati per visitatori da<br />

Marte. Ne sarebbe conseguito il panico, proprio com’era successo con il radiodramma de<br />

<strong>La</strong> guerra dei mondi. Il sistema radar di prima allerta dell’America sarebbe stato


sopraffatto dagli avvistamenti di altri “UFO”. Truman avrebbe capito quanto facilmente un<br />

dittatore potesse controllare le masse usando propaganda coperta. Stalin poteva anche<br />

non essere al passo con la tecnologia americana della bomba atomica, ma quando si<br />

trattava di manipolare i sentimenti della gente, era il leader indiscusso. Questo, afferma<br />

l’ingegnere, è ciò che fu detto a lui e al suo gruppo di colleghi.<br />

Per mesi ho chiesto all’ingegnere perché il presidente Truman non usò i resti<br />

dell’incidente di Roswell per mostrare al mondo quanto Stalin fosse malvagio e perverso.<br />

Pensavo che forse Truman non volesse ammettere la violazione dei confini americani. Per<br />

molto tempo non mi ha risposto, limitandosi a scuotere la testa. Davanti a me c’era<br />

l’ingegnere che aveva la soluzione all’enigma dentro l’enigma dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, ma lui non<br />

voleva dire altro. È l’unico dei cinque ancora vivo. Disse che non mi avrebbe detto altro,<br />

anche se avessi continuato a chiedere. Un giorno glielo chiesi di nuovo. «Perché il<br />

presidente Truman non ha rivelato la verità nel 1947?» Quella volta rispose.<br />

«Perché noi stavamo facendo la stessa cosa» disse. «Volevano far avanzare la scienza.<br />

Volevano vedere quanto lontano sarebbero riusciti a spingersi.»<br />

Poi aggiunse: «Abbiamo fatto cose che vorrei non aver fatto».<br />

«Ma lei non è un medico» osservai.<br />

«Loro volevano degli ingegneri.»<br />

«In base a quale autorità agivate?»<br />

«L’Atomic Energy Commission era responsabile. E Vannevar Bush» rispose. «Venivano<br />

uccise delle persone. Nei grandi Stati Uniti d’America.»<br />

«Perché l’abbiamo fatto?»<br />

«Fai quello che fai perché ami il tuo paese e ti dicono che quello che stai facendo è per<br />

il bene del paese» rispose l’ingegnere. Intendendo dire che all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, a partire dal<br />

19<strong>51</strong>, gli ingegneri della EG&G lavorarono in segreto su un atroce progetto clandestino<br />

ispirato ai nazisti che sarebbe rimasto interamente nascosto all’opinione pubblica perché<br />

Vannevar Bush aveva detto loro che era la cosa giusta da fare.<br />

«È stato tantissimo tempo fa» riprese l’ingegnere. «Ho cercato di dimenticare.»<br />

«Quando finì?» chiesi.<br />

Silenzio.<br />

«Nel 1952?» Ancora nessuna risposta. «Nel 1953… 1954…?»<br />

«Era ancora in corso almeno fino a tutti gli anni Ottanta.»<br />

«Credo che dovrebbe raccontarmi tutta la storia» dissi. «Altrimenti, quando lei non ci<br />

sarà più, porterà con sé la verità.»<br />

«Lei non vuole saperlo» rispose.<br />

«Sì che voglio.»<br />

«Non sono informazioni strettamente necessarie.»<br />

Per parecchi mesi cercai di saperne di più. Ottenni qualche pezzo. Frammenti. Dettagli<br />

di una sola parola. “Questo” confermava e “quello” riconfermava ciò che aveva detto in<br />

precedenza. Un giorno, mentre stavamo pranzando in un ristorante, raccontai<br />

all’ingegnere tutto quello che sapevo e gli chiesi il permesso di riportarlo in questo libro.<br />

Non disse né sì né no. Le nostre conversazioni durarono più di un anno. Poi, un giorno, gli


chiesi quanto sapevo della storia a quel punto.<br />

«Nemmeno la metà» rispose cupamente.<br />

Presi un crostino, avanzato dal pranzo, e lo misi in mezzo al piatto. «Se quello che so<br />

equivale a questo crostino» dissi, indicando il pezzetto di pane abbrustolito, «allora ciò<br />

che non so è grande come questo piatto?»<br />

«Oh, mia cara» disse scuotendo la testa. «<strong>La</strong> verità è più grande del tavolo a cui siamo<br />

seduti, sedie comprese.»<br />

Non avrebbe detto altro. Disse che era doloroso per lui. Che presto sarebbe morto. Che<br />

era davvero meglio che non ne sapessi di più perché non erano informazioni strettamente<br />

necessarie. Ma non ero solo io che avevo bisogno di sapere. Dobbiamo essere capaci di<br />

mantenere i segreti, ma questo modo di mantenere il segreto – un segreto di quel genere<br />

– è ciò che fanno gli stati totalitari, come quello contro cui abbiamo combattuto per<br />

cinquant’anni di Guerra Fredda. <strong>La</strong> lotta al totalitarismo è stata la giustificazione<br />

dell’America per la costruzione di 70.000 armi nucleari di 65 tipi diversi. In una società<br />

aperta e democratica condurre progetti in nome della scienza è un conto, ma custodire<br />

segreti vecchi di quarant’anni rifiutandosi di rivelarli persino a un presidente che cerca di<br />

scoprirli è una faccenda completamente diversa. Stabilisce un precedente. Rende più<br />

facile a un gruppo di uomini di potere condurre programmi che sfidano la Costituzione e<br />

corrompono la moralità in nome della scienza e della sicurezza nazionale, tutto celato<br />

sotto l’ingannevole copertura del fatto che nessuno ha bisogno di saperlo.<br />

Secondo la mia fonte, l’Atomic Energy Commission ha condotto esperimenti sugli esseri<br />

umani in un’installazione segreta del governo nel deserto del Nevada a partire dal 19<strong>51</strong>.<br />

Sebbene ciò fosse un’aperta violazione del Codice di Norimberga 58 del 1947, non è stata<br />

certo la prima volta che la commissione agiva in violazione dei principi morali più<br />

elementari in materia di consenso volontario. Nel 1993 la giornalista Eileen Welsome<br />

scrisse un reportage 59 in cui affermava che l’Atomic Energy Commission aveva condotto<br />

esperimenti con il plutonio su esseri umani, in particolare su bambini ritardati e orfani<br />

della Fernald State School, alla periferia di Boston, <strong>senza</strong> che i bambini o i loro educatori<br />

ne fossero informati o avessero dato il loro consenso. Dopo questa terribile rivelazione, il<br />

presidente Clinton aprì un’indagine 60 su quello che l’Atomic Energy Commission aveva<br />

fatto e sui segreti che era riuscita a custodire all’interno del proprio sistema di<br />

classificazione <strong>senza</strong> precedenti. Chiesi all’ingegnere perché il presidente non avesse<br />

saputo dell’S-4 all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>… o l’aveva saputo?<br />

«Credo che avrebbe potuto arrivarci molto vicino» disse l’ingegnere. «Ma loro<br />

gliel’hanno tenuto nascosto.»<br />

«Chi sono loro?» chiesi. L’ingegnere mi aveva detto che al suo gruppo ristretto di<br />

cinque persone erano stati dati i codici dell’installazione originaria all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. «Chi ha<br />

ereditato quei codici da voi cinque?» volli sapere.<br />

«Non è un’informazione strettamente necessaria» fu tutto quello che disse.<br />

* I wicked problems, in italiano “problemi perversi” o “maligni”, sono problemi così complessi e con tali e tante<br />

ramificazioni che non esiste neppure una definizione esatta del problema stesso; la vera natura del problema può essere<br />

compresa solo quando se ne trova una soluzione. Un esempio estremo di problema perverso è la previsione dei


terremoti: nessuno è in grado di dire quale ne sarà l’epicentro, quando si verificherà o che conseguenze avrà. [N.d.T.]


EPILOGO 1<br />

Nell’estate del 2010 mi arrivò per posta un libro spedito dal colonnello Leghorn, il padre<br />

della ricognizione aerea, che all’epoca aveva novantun anni. Le pagine erano ammuffite e<br />

sapevano di cantina. Quello che mi aveva mandato era l’annuario commemorativo<br />

dell’aeronautica militare 2 del 1946 relativo ai test atomici dell’operazione Crossroads. Ciò<br />

che colpisce maggiormente è quanto la storia del primo test postbellico americano<br />

cominci come un «misterioso incarico della marina militare» in una «città flagellata dalla<br />

sabbia: Roswell».<br />

«Roswell… Roswell… Roswell… Roswell… Roswell… Roswell…»<br />

<strong>La</strong> parola è ripetuta sei volte nelle prime pagine dell’annuario pubblicato dal governo, il<br />

che chiarisce che il primo colpo di quello che sarebbe stato un conflitto lungo quarantatré<br />

anni, la Guerra Fredda, fu sparato dalla base aerea di Roswell, in New Mexico. E<br />

l’operazione Crossroads fu un colpo d’inizio spettacolare, una dimostrazione di forza <strong>senza</strong><br />

precedenti che aveva lo scopo di far sapere a Josif Stalin che l’America non aveva finito<br />

con la bomba nucleare. Ad assistere ai due test nucleari nel Pacifico erano presenti<br />

42.000 persone, tra cui le spie di Stalin. Il governo americano spese quasi due miliardi di<br />

dollari 3 (al tasso odierno) per mostrare al mondo la potenza nucleare di cui disponeva.<br />

«Stalin aveva imparato da Hitler» dice l’ingegnere della EG&G «la vendetta… e altre<br />

cose.» Per capire la posizione di Stalin bisogna pensare a due momenti chiave della<br />

storia, uno appena prima che iniziasse la Seconda guerra mondiale e l’altro subito dopo la<br />

sua fine. Il 23 agosto 1939, una settimana prima dell’inizio ufficiale della guerra in<br />

Europa, Hitler e Stalin stabilirono di essere alleati e firmarono il patto Molotov-<br />

Ribbentrop, con il quale i due paesi si impegnavano a non attaccarsi reciprocamente<br />

quando sarebbe scoppiato il conflitto. Eppure, quasi subito dopo la stretta di mano, Hitler<br />

iniziò ad architettare piani per tradire Stalin. Ventidue mesi più tardi, l’attacco a sorpresa<br />

della Germania contro la Russia provocò milioni di morti. E poi, dopo solo due settimane<br />

dalla fine della guerra, Stalin, Truman e Churchill si incontrarono a Potsdam, in Germania<br />

– dal 7 luglio 1945 al 2 agosto 1945 – e stabilirono di essere alleati nel mondo<br />

postbellico. Un giorno prima dell’inizio della conferenza, l’America aveva testato in<br />

segreto la prima e unica bomba atomica del mondo all’interno del White Sands Proving<br />

Ground, nel deserto del New Mexico. I consiglieri più stretti di Truman 4 avevano suggerito<br />

al presidente di condividere i risultati del test con Stalin a Potsdam, ma Truman non lo<br />

fece. Non importava. Gli storici degli armamenti nucleari sono convinti che Stalin sapesse<br />

benissimo che cosa erano riusciti a ottenere gli ingegneri del progetto Manhattan. Il<br />

leader sovietico aveva delle spie all’interno del laboratorio nucleare di Los Alamos che gli<br />

stavano fornendo i progetti della bomba e altre informazioni sin dal 1941. All’epoca della


conferenza di Potsdam Stalin stava già lavorando alla sua bomba atomica. Nonostante il<br />

leader russo e il presidente americano fingessero di essere alleati, nessuno dei due si<br />

fidava dell’altro. Al contrario, sia l’Unione Sovietica sia l’America stavano facendo piani<br />

per costruire un proprio arsenale atomico da usare in futuro. Quando, dodici mesi dopo le<br />

strette di mano a Potsdam, iniziò l’operazione Crossroads, le linee del fronte della Guerra<br />

Fredda erano già indelebilmente tracciate.<br />

Ne consegue che la montatura propagandistica di Stalin 5 – il disco volante con a bordo<br />

esseri somiglianti ad alieni che finì per precipitare nei pressi di Roswell – poteva essere<br />

stata la vendetta del dittatore sovietico per il tradimento di Truman con Crossroads.<br />

L’inganno doveva essere in preparazione già durante la conferenza di Potsdam, una<br />

replica metaforica di ciò che Hitler aveva fatto in occasione della firma del patto Molotov-<br />

Ribbentrop. Nel luglio del 1947 alla Russia mancavano ancora due anni prima di riuscire a<br />

testare con successo la sua bomba nucleare. Il disco volante di Roswell, dice l’ingegnere<br />

della EG&G, fu «un colpo d’avvertimento dritto in faccia a Truman» 6 . Stalin forse non<br />

aveva ancora la bomba atomica, però possedeva tecnologia all’avanguardia di volo<br />

antigravità rubata ai tedeschi e aveva lo stealth. Insieme, queste due tecnologie<br />

preoccuparono moltissimo i militari americani. Sconcertata dai movimenti del disco<br />

volante e dalla sua capacità di confondere il radar, l’aeronautica militare degli Stati Uniti<br />

fu lasciata a chiedersi cos’altro avesse Stalin nel suo arsenale di armi non convenzionali<br />

sottratte ai nazisti dopo la guerra.<br />

«Hitler ha inventato lo stealth» 7 dice Gene Poteat, il primo funzionario della CIA a<br />

essere assegnato al National Reconnaissance Office. Il compito di Poteat consisteva nel<br />

valutare le minacce radar sovietiche e nel farlo osservò molte prove di volo all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

«Il bombardiere stealth di Hitler si chiamava Horten Ho 229» dice Poteat «detto anche<br />

ala volante “Horten”. Era ricoperto di vernice radar assorbente, carbone immerso nella<br />

colla. L’elevato contenuto di grafite produceva un risultato di “ghosting”, che rendeva<br />

difficile la rilevazione radar.»<br />

L’Horten Ho 229 di cui parla Poteat era frutto dell’ingegno di due giovani progettisti<br />

aeronautici che lavoravano per la Luftwaffe di Hitler, Walter e Reimar Horten, gli stessi<br />

due fratelli che nell’autunno del 1947 furono l’obiettivo della massiccia caccia all’uomo<br />

scatenata dall’intelligence militare americana nota come operazione Harass: la ricerca di<br />

un velivolo simile a un disco volante che si diceva potesse sia volare sia rimanere sospeso<br />

in aria.<br />

Che cos’era successo ai fratelli Horten 8 ? A differenza dei numerosi scienziati e ingegneri<br />

nazisti reclutati con l’operazione Paperclip, Walter e Reimar Horten all’inizio passarono<br />

inosservati. Dopo essere stati catturati dalla 9 a armata statunitense il 7 aprile 1945 9 nella<br />

loro officina di Göttingen, furono portati in un palazzo sorvegliato di Londra, nei pressi di<br />

Hyde Park 10 . Qui furono interrogati dal celebre fisico americano Theodore von Kármán 11 ,<br />

il quale stabilì che gli Horten non avevano molto da offrire all’esercito americano in<br />

materia di tecnologia aeronautica, almeno non con la loro ala volante. Dopo essere<br />

tornato in Germania, Reimar fuggì in Argentina dove si sistemò in una bellissima casa<br />

sulle sponde del lago di Villa Carlos Paz, grazie al presidente argentino Juan Perón, un<br />

ardente sostenitore del nazismo. Walter continuò a vivere in Germania, a Baden-Baden,


nascosto sotto gli occhi di tutti.<br />

Devo le informazioni sui fratelli Horten allo storico dell’aeronautica David Myhra il<br />

quale, nello studiare l’ala volante, rintracciò laboriosamente i fratelli Horten, andò a<br />

trovarli nei rispettivi paesi negli anni Ottanta e registrò su nastro centinaia di ore di<br />

conversazione con loro 12 .<br />

«Reimar volle che accettassi due condizioni 13 prima del mio viaggio in Sudamerica per<br />

intervistarlo» spiega Myhra. «Una era che non avrei dovuto fare domande su Hitler o sul<br />

Terzo Reich.» E la seconda «disse che non voleva parlare della CIA. Reimar sostenne che<br />

c’era quest’idea folle che lui avesse progettato una sorta di disco volante e che la CIA lo<br />

stesse cercando». Myhra racconta che Horten fu irremovibile a non voler parlare di nulla<br />

che avesse a che fare con la CIA. «L’argomento era off-limits per lui» spiega Myhra. <strong>La</strong><br />

conversazione con Reimar Horten avvenne nel decennio precedente la pubblicazione da<br />

parte dei servizi segreti dell’esercito del fascicolo di trecento pagine riguardante<br />

l’operazione Harass. Si tratta del documento che racconta la caccia ai fratelli Horten e al<br />

loro cosiddetto “disco volante” compiuta dagli Stati Uniti. Il fascicolo dell’operazione<br />

Harass chiarisce che qualcuno dei servizi segreti americani si mise in contatto con Reimar<br />

alla fine degli anni Quaranta per interrogarlo sul disco volante. Più di quarant’anni dopo<br />

Reimar Horten continuava a rifiutarsi di parlare di quello che venne detto. Una richiesta<br />

del 2010 basata sul Freedom of Information Act 14 al dipartimento dell’esercito, ufficio del<br />

consiglio generale, Pentagono, ha ottenuto un «nessuna risposta nei documenti». Anche<br />

un appello secondario è stato “negato”.<br />

Se Stalin ottenne davvero il disco volante dai fratelli Horten in persona oppure dai<br />

progetti che loro avevano disegnato, come riuscì a farlo volare in quel modo? Che cosa ne<br />

fu della tecnologia che permetteva al velivolo di stare fermo in volo, alimentato da<br />

qualche motore misterioso, anch’esso affannosamente cercato dagli agenti del<br />

controspionaggio durante l’operazione Harass? L’ingegnere della EG&G sostiene di non<br />

sapere quali ricerche furono condotte sull’“apparecchiatura” quando si trovava alla base<br />

di Wright-Patterson a partire dal 1947, però sa quali studi furono compiuti sull’“impianto<br />

di alimentazione” dopo che l’“apparecchiatura” fu mandata in Nevada nel 19<strong>51</strong>.<br />

«C’era un altro [importante] ingegnere 15 della EG&G» spiega. Quell’ingegnere fu<br />

incaricato di capire la tecnologia antigravità, «che era chiamata frequenza<br />

elettromagnetica o EMF». Questo ingegnere «passò un anno intero in una stanza <strong>senza</strong><br />

finestre» in un edificio della EG&G nel centro di <strong>La</strong>s Vegas cercando di capire come<br />

funzionasse la EMF. «Riuscimmo a scoprirlo» dice. «Abbiamo avuto la tecnologia<br />

antigravità per tutto questo tempo.»<br />

Chiesi all’ingegnere della EG&G di portarmi nel posto dove la tecnologia antigravità fu<br />

presumibilmente scoperta, e lui lo fece. Le foto d’archivio e i filmati dell’Atomic Energy<br />

Commission confermano che il sito una volta ospitava parecchi edifici gestiti dalla EG&G.<br />

Ora non più. Adesso l’installazione all’interno della quale gli ingegneri della EG&G<br />

svelarono uno dei segreti originari dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> all’inizio degli anni Cinquanta è un lotto<br />

vuoto di asfalto 16 ed erbacce circondato da una recinzione metallica. È lo stesso destino<br />

che aspetta l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> di qui a sessant’anni? Anch’essa verrà spostata? Finirà sottoterra?<br />

Lo è già?


Che cosa può dirmi dei dischi volanti un fisico? Edward Lovick, il padre della tecnologia<br />

stealth americana, dice che alla fine degli anni Cinquanta Kelly Johnson lo aveva<br />

costretto a passare mesi nella camera anecoica della Lockheed a testare modellini di<br />

dischi di volanti. «Piccoli dischi di legno 17 costruiti nella falegnameria degli Skunk Works»<br />

ricorda Lovick. Secondo Lovick, alla fine Kelly Johnson decise che i velivoli di forma<br />

circolare – dischi volanti <strong>senza</strong> ali – erano aerodinamicamente instabili e quindi troppo<br />

pericolosi da pilotare. Questo avveniva prima della diffusione dei velivoli <strong>senza</strong> pilota o<br />

droni.<br />

E gli avieri piccoli come bambini del disco volante? Poco dopo l’incidente di Roswell nel<br />

luglio del 1947, un addetto stampa della base aerea di Roswell, Walter Haut, fu mandato<br />

all’emittente radio KGFL di Roswell con un comunicato nel quale si affermava che<br />

l’aeronautica era in possesso di un disco volante. Haut era l’emissario della dichiarazione<br />

originale di Roswell che, oltre a essere trasmessa via etere, fu stampata nell’edizione del<br />

«San Francisco Chronicle» del giorno seguente. Fu sempre Haut che, tre ore dopo, venne<br />

mandato di nuovo alla KGFL dal comandante della base con un secondo comunicato<br />

stampa nel quale si diceva che il primo non era corretto.<br />

Walter Haut è morto nel dicembre del 2005 e ha lasciato una deposizione scritta<br />

giurata 18 da aprirsi solo dopo la sua morte. Nell’affidavit Haut disse che il secondo<br />

comunicato stampa era falso, scritto per coprire il primo che invece era vero. Haut disse<br />

anche che oltre ad aver trovato un velivolo, i militari avevano scoperto dei corpi in un<br />

secondo punto d’impatto: corpi delle dimensioni di quelli di un bambino, con teste<br />

smisuratamente grandi. «Sono convinto che ciò che vidi con i miei occhi fosse un velivolo<br />

di qualche tipo e che il suo equipaggio provenisse dallo spazio» scrisse Haut.<br />

<strong>La</strong> spiegazione dell’ingegnere della EG&G riguardo ai piloti del disco volante offre una<br />

risposta all’enigma dei cosiddetti alieni di Roswell che di sicuro piacerebbe a Guglielmo di<br />

Ockham. Si tratta di una risposta che non è più complicata dell’enigma stesso. Secondo<br />

l’ingegnere della EG&G gli avieri non erano alieni bensì esseri umani manipolati in modo<br />

da sembrarlo da Josef Mengele «appena prima o subito dopo la fine della guerra». I<br />

bambini avrebbero avuto grosse difficoltà a manovrare un velivolo. All’ingegnere venne<br />

detto che il disco volante era pilotato a distanza, ma non mi fornì praticamente alcuna<br />

informazione sul velivolo più grande da cui presumibilmente fu lanciato quel primo<br />

“drone”. «Proveniva dall’Alaska» afferma.<br />

E che dire di Bob <strong>La</strong>zar? Nel corso delle interviste alle trentadue persone che vissero e<br />

lavorarono all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, ho chiesto a molti di loro che cosa pensassero della rivelazione di<br />

<strong>La</strong>zar del 1989: la maggior parte ha fatto commenti scettici. Mentre pare che <strong>La</strong>zar abbia<br />

mentito riguardo ai suoi studi, le affermazioni relative all’S-4 non dovrebbero essere<br />

liquidate sommariamente come menzognere.<br />

L’ingegnere della EG&G dice che l’installazione S-4 dove era ospitata l’“apparecchiatura”<br />

originaria di Roswell rimase operativa per decenni, il che corrisponde a quanto affermato<br />

da <strong>La</strong>zar, il quale sostiene di aver lavorato all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> dal 1988 al 1989. <strong>La</strong>zar disse al<br />

giornalista George Knapp di aver visto qualcosa da una finestrella all’S-4, all’interno di una<br />

stanza anonima, che avrebbe potuto essere un alieno. Quello che successe a <strong>La</strong>zar era<br />

analogo a ciò che era accaduto al pilota del P-38 Lightning il quale, volando sopra il


deserto della California all’alba dell’era dei motori a reazione, pensava di aver scorto un<br />

gorilla ai comandi di un aereo quando in realtà aveva visto il capo collaudatore della Bell<br />

Aircraft Jack Woolams con indosso una maschera da gorilla? Forse <strong>La</strong>zar trasse l’unica<br />

conclusione che poteva trarre sulla base delle informazioni di cui disponeva. E forse<br />

l’Atomic Energy Commission aveva preso in prestito una pagina del manuale della CIA<br />

sulle campagne di disinformazione: aveva bisogno di creare la convinzione che qualcosa<br />

di falso fosse vero. Forse agli scienziati e agli ingegneri che furono portati all’S-4 negli<br />

ultimi anni venne detto che avrebbero lavorato su esseri alieni e su una nave spaziale<br />

aliena. Cercate di rivelare pubblicamente una storia simile e finirete in disgrazia come<br />

Bob <strong>La</strong>zar. Ciò che era vero per i piloti del P-38 Lightning nel 1942 rimane valido anche<br />

oggi. A nessuno piace esser preso per pazzo.<br />

«È difficile 19 essere preso seriamente nella comunità scientifica quando sei noto come<br />

“il tizio dell’UFO”» ha affermato Bob <strong>La</strong>zar nel 2010 per questo libro.<br />

Per decenni, centinaia di persone serie – civili, legislatori e personale militare – hanno<br />

fatto sforzi considerevoli per localizzare i documenti relativi ai resti dell’incidente di<br />

Roswell. Eppure non è mai stato trovato niente, nonostante indagini formali fatte da<br />

senatori, membri del Congresso, dal governatore del New Mexico e dal Government<br />

Accountability Office, il braccio investigativo del Congresso. Questo è accaduto perché<br />

nessuno sapeva dove cercare. Finora il mondo ha bussato alla porta sbagliata. Le<br />

informazioni sono state protette dalla declassificazione grazie alle severissime regole di<br />

segretezza dell’Atomic Energy Commission, sepolte nei fascicoli “riservati” 20<br />

originariamente creati dalla EG&G per l’AEC.<br />

Così adesso lo sappiamo.<br />

Come ha fatto Vannevar Bush a ottenere così tanto potere? Un tempo era lo scienziato<br />

più importante d’America. Il presidente Truman gli conferì la medaglia al merito con una<br />

cerimonia alla Casa Bianca, il presidente Johnson lo decorò con la medaglia nazionale per<br />

la scienza e la regina d’Inghilterra lo fece cavaliere. Le affermazioni fatte dall’ingegnere<br />

della EG&G riguardo a ciò che Vannevar Bush autorizzò all’installazione S-4 dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

sono davvero scioccanti e quasi incredibili. Solo che esiste un chiaro precedente storico in<br />

cui Vannevar Bush godette esattamente di quel tipo di potere, di segretezza e di<br />

controllo.<br />

Vannevar Bush 21 fu il signore indiscusso della madre di tutte le operazioni segrete:<br />

l’ingegnerizzazione della prima bomba nucleare del mondo. E in qualità di direttore<br />

dell’ufficio per la ricerca e lo sviluppo della scienza, che controllava il progetto Manhattan,<br />

fu anche responsabile di esperimenti per studiare gli effetti 22 delle armi biologiche a base<br />

di lewisite e iprite sull’uomo. Alcune di queste cavie umane furono soldati e altre obiettori<br />

di coscienza alla guerra, ma uno studio del 1993 condotto dalla National Academy of<br />

Sciences ha chiarito che i soggetti dei test non erano adulti consenzienti. «Benché i<br />

soggetti umani 23 fossero definiti “volontari”, dai rapporti ufficiali risulta evidente che il<br />

reclutamento delle cavie durante la Seconda guerra mondiale e negli esperimenti<br />

successivi fu fatto servendosi di menzogne e di mezze verità» ha scritto l’Institute of<br />

Medicine.<br />

Gli “esperimenti successivi” cui si riferisce la commissione furono condotti su un gruppo


anch’esso diretto da Vannevar Bush, quello denominato Committee on Medical Research<br />

(Commissione sulla ricerca medica). Come ha scoperto la commissione consultiva sugli<br />

esperimenti condotti sull’uomo voluta dal presidente Clinton, questa cosiddetta ricerca<br />

medica usò come cavie persone che vivevano alla Dixon Institution per i ritardati mentali,<br />

in Illinois, e alla New Jersey State Colony per i deboli di mente 24 . I medici sperimentarono<br />

vaccini contro la malaria, l’influenza e le malattie a trasmissione sessuale. Alcuni di questi<br />

programmi andarono avanti fino al 1973.<br />

C’è una cosa ancora più preoccupante: sepolto negli archivi dell’Atomic Energy<br />

Commission vi è il fatto che la prima incarnazione del progetto Manhattan aveva la<br />

designazione alfanumerica S-1 25 . Vi furono altri due programmi tra l’S-1 e l’S-4? E se è<br />

così, che cos’erano? Che cos’altro potrebbe essere stato fatto in nome del progresso della<br />

scienza sulla base del principio per cui il fine giustifica i mezzi?<br />

In questo libro molte tessere del rompicapo dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> sono andate al loro posto, ma<br />

rimangono ancora tante domande. Che cosa succede oggi all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>? Non lo sappiamo.<br />

Non lo sapremo per decenni. Gli aeroplani sono diventati più veloci e più invisibili. Aerei<br />

spia controllati a distanza lanciano missili. Sistemi d’arma classificati sganciano bombe.<br />

Gli attori sono in gran parte gli stessi: la CIA, l’aeronautica militare, il dipartimento<br />

dell’Energia, la Lockheed, la North American, la General Atomics e la Hughes. Sono solo<br />

alcuni.<br />

Gli attori più importanti tendono a rimanere nell’ombra, come sempre. Quasi un secolo<br />

fa, nel 1922, Vannevar Bush fu tra i fondatori di una società che lavorò prima per<br />

l’esercito e in seguito per l’Atomic Energy Commission. <strong>La</strong> chiamò Raytheon perché<br />

significava “luce degli dèi”. <strong>La</strong> Raytheon ha sempre mantenuto un’importante pre<strong>senza</strong> al<br />

Nevada Test Site, al Nevada Test and Training Range e all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Attualmente è il<br />

quinto contractor della difesa più grande del pianeta. È il massimo produttore mondiale di<br />

missili guidati e il leader nello sviluppo di tecnologia radar per il sistema di prima allerta<br />

degli Stati Uniti. Si tratta dello stesso sistema che negli anni Cinquanta il direttore della<br />

CIA Walter Bedell Smith temeva potesse essere sopraffatto da falsi UFO, lasciando la<br />

nazione esposta a un attacco aereo.<br />

Al pari della EG&G, alla fine del ventesimo secolo la Raytheon è stata acquistata dal<br />

potente Carlyle Group che però nel 2002 l’ha rivenduta a un altro gigante, la URS.<br />

Attualmente la EG&G è socia della Raytheon in una joint venture che opera al Nevada Test<br />

Site e all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Secondo le brochure aziandali, il programma, denominato JT3 26 – Joint<br />

Test, Tactics, and Training, LCC – fornisce «ingegneria e supporto tecnico al Nevada Test<br />

and Training Range». Quando si è chiesto alla controllante della EG&G, la URS, che cosa<br />

significhi esattamente, hanno evitato di rispondere. È il linguaggio aziendale americano<br />

per dire «non sono informazioni strettamente necessarie».<br />

Il velo è stato sollevato. È stata scostata la tenda che nascondeva l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Ma ciò che<br />

è stato rivelato in questo libro è come un’unica briciola di pane nel sentiero che consente<br />

di ritrovare la strada di casa. Ci sono molte più cose di cui non si sa niente. Dove conduce<br />

la traccia? Quanto lontano porta? Finirà mai?


Ringraziamenti<br />

Molti mi hanno chiesto come sia nata l’idea di questo libro. Nel 2007 ero a una cena di<br />

Natale quando il marito della sorella della moglie dello zio di mio marito – un vivace fisico<br />

di nome Edward Lovick che all’epoca aveva ottantotto anni – si sporse verso di me e<br />

disse: «Ho una bella storia per te». Dato che faccio la giornalista investigativa, è una<br />

frase che mi sento ripetere spesso, ma quello che Lovick mi disse si rivelò una delle cose<br />

più sorprendenti e affascinanti di cui avessi sentito parlare. Fino a quel momento, sapevo<br />

che Lovick aveva trascorso la vita a progettare componenti di aeroplani. Ma quella sera<br />

scoprii che in realtà era un fisico e che aveva giocato un ruolo di primo piano nello<br />

sviluppo dello spionaggio dai cieli per conto della CIA. Il motivo per cui all’improvviso<br />

poteva parlarmi di quelle cose che aveva tenuto segrete per cinquant’anni era che la CIA<br />

le aveva appena declassificate. Quando mi disse che il suo lavoro clandestino si era<br />

svolto nella misteriosa e mitica <strong>Area</strong> <strong>51</strong>, nota anche come Groom <strong>La</strong>ke, sorrisi. Così,<br />

dopotutto, quel posto esisteva davvero. Scrissi all’ufficio del sottosegretario alla Difesa<br />

chiedendo di poter fare un tour ufficiale dell’area del Groom <strong>La</strong>ke: Lovick mi aveva detto<br />

che la CIA aveva ceduto il controllo del sito decenni prima. <strong>La</strong> mia richiesta fu<br />

formalmente respinta con una lettera su carta intestata del dipartimento della Difesa, ma<br />

stranamente le parole «area del Groom <strong>La</strong>ke» erano virgolettate in citazioni attribuite a<br />

me, in modo da chiarire la posizione ufficiale del Pentagono riguardo alla sua base in<br />

Nevada: “Quel toponimo può forse far parte del suo lessico” sembravano voler dire “ma<br />

sicuramente non del nostro”. Dato che di mestiere faccio la giornalista investigativa,<br />

cercai di scoprire il perché.<br />

Da quel momento molte più persone di quanto avrei mai potuto immaginare mi hanno<br />

generosamente raccontato le loro storie relative all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Sono in debito con ciascuno<br />

di loro. <strong>La</strong> lista dei ringraziamenti comprende tutti coloro di cui parlo in cui questo libro: i<br />

soldati, le spie, gli scienziati e gli ingegneri leggendari – uomini che per la maggior parte<br />

non sono noti per parlare di sé. Il fatto che così tante persone si siano confidate con me –<br />

condividendo trionfi e tragedie, sofferenze e gioie – in modo che altri potessero capire è<br />

stata un’esperienza unica. <strong>La</strong> ragione per cui mi sono state rivelate informazioni negate a<br />

innumerevoli altre persone rimane per me un mistero. Un giornalista dipende dalle sue<br />

fonti primarie. Sulla base delle loro storie, e usando parole chiave quali ad esempio le<br />

denominazioni di copertura delle operazioni, sono riuscita a localizzare documenti a<br />

sostegno di quanto mi hanno detto, spesso sepolti negli archivi governativi. Senza il loro<br />

aiuto non avrei avuto idea di dove cercare, come spiego nelle note.<br />

T.D. Barnes è uno degli uomini più generosi che abbia mai conosciuto. Mi ha<br />

presentata a tantissime persone le quali a loro volta mi hanno messa in contatto con


amici e colleghi. Barnes mi ha portata alla base dell’aeronautica di Creech, a Indian<br />

Springs, Nevada, per un giro molto privato. Quando ero lì mi è stato consentito di<br />

guardare i piloti militari mentre guidavano i droni sopra l’Afghanistan e l’Iraq. Barnes ha<br />

inoltre organizzato una visita alla base di Nellis, a <strong>La</strong>s Vegas, dove mi sono seduta<br />

all’interno di MIG e ho potuto vedere da vicino il missile Hawk e l’F-117 Nighthawk. Ed è<br />

stato lui, nell’autunno del 2010, a prodigarsi instancabilmente perché potessi partecipare<br />

a un convegno di una settimana sullo spionaggio dai cieli insieme a un gruppo di piloti e<br />

di ingegneri che si è tenuto al quartier generale della CIA a <strong>La</strong>ngley, in Virginia, e al<br />

quartier generale della Defense Intelligence Agency a Washington. In quell’occasione ho<br />

conosciuto molte persone che si sono rivelate straordinariamente utili per il mio lavoro e<br />

che voglio ringraziare.<br />

Ken Collins vive nella mia stessa città e così per un anno e mezzo l’ho intervistato<br />

regolarmente a pranzo. Oltre a essere un pilota notevole, è anche una persona<br />

straordinaria. Ringrazio il colonnello Slater, Frank Murray, Roger Andersen, Tony<br />

Bevacqua e Ray Goudey per aver condiviso con me tante storie di volo uniche nel loro<br />

genere. Ringrazio Buzz Aldrin per avermi spiegato che cosa si prova a stare sulla Luna.<br />

Al O’Donnell mi ha procurato un’autorizzazione di sicurezza temporanea in modo che<br />

potessi accompagnarlo alla zona vietata del Nevada Test Site. Guardare dentro il cratere<br />

nucleare Sedan – così grande che è visibile dallo spazio – è qualcosa che non<br />

dimenticherò mai. Mentre l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, l’<strong>Area</strong> 25 e l’<strong>Area</strong> 13 mi sono state precluse, è solo<br />

grazie a O’Donnell che ho potuto avvicinarmi a un tiro di schioppo da quei tre luoghi<br />

segreti. Un ringraziamento speciale a Ruth, la straordinaria moglie di Al. Da Jim<br />

Freedman ho saputo cose che richiederebbero un altro libro. Freedman ha la rara dote di<br />

raccontare profonde esperienze personali con stupefacente chiarezza e obiettività. Una<br />

volta me ne ha spiegato la ragione: «Le dico tutte queste cose, <strong>Annie</strong>, perché lei<br />

dimostra così tanto interesse».<br />

Il dottor Bud Wheelon ha rilasciato pochissime interviste nel corso della sua vita. Sono<br />

riconoscente di essere stata una delle poche privilegiate. Nel corso di una delle nostre<br />

conversazioni si interruppe nel bel mezzo di una storia per spiegarmi nel dettaglio la<br />

tecnologia missilistica. In quel momento ho capito qual era la posta in gioco durante la<br />

crisi dei missili di Cuba, quanto siamo andati vicini a una guerra nucleare.<br />

Il tenente colonnello Hervey Stockman e il colonnello Richard Leghorn sono una<br />

leggenda nella leggenda. Il colonnello Leghorn mi ha generosamente mostrato il<br />

contenuto del suo solaio, spedendomi fotografie originali, articoli dimenticati e libri fuori<br />

catalogo dall’altra parte del paese perché potessi consultarli. Grazie alla sua assistente,<br />

Barbara Austin, per l’aiuto. Non è stato facile rintracciare Hervey Stockman ma quando<br />

finalmente sono riuscita a raggiungerlo al telefono è stato un momento magico. Ringrazio<br />

Peter Stockman per avermi mandato una copia della storia orale di Hervey, che si è<br />

rivelata un’inestimabile fonte di informazioni.<br />

Quanto alle ricerche che stanno dietro a un libro come questo, talvolta le informazioni<br />

più agognate arrivano nei modi più inaspettati. Nell’estate del 2009 mi recai alla<br />

biblioteca del Nuclear Testing Archive di <strong>La</strong>s Vegas per individuare documenti<br />

declassificati sul Progetto 57, il test con la bomba sporca, quelli che erano


misteriosamente scomparsi dall’archivio online del dipartimento dell’Energia. Neppure<br />

andandoci di persona il personale riuscì a soddisfare la mia richiesta. A un punto morto e<br />

in preda allo scoraggiamento, feci un giro nel vicino museo dedicato ai test atomici per<br />

calmarmi. Con il taccuino in mano stavo fissando una fotografia del fungo atomico appesa<br />

al muro quando la guardia del museo mi si avvicinò per salutarmi. Era Richard Mingus. Ci<br />

eravamo già incontrati in occasione di una visita precedente. Con il suo tipico modo di<br />

fare diretto, mi disse: «Be’, io ci ho lavorato a quel test. Che cosa le piacerebbe sapere?».<br />

Scoprii che Mingus era stato una delle guardie della sicurezza ai primi tempi dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Grazie a lui fu facile trovare i documenti “persi” del Progetto 57.<br />

Alla National Archives and Records Administration, grazie a Timothy Nenninger, capo<br />

del Textual Records Reference, Martha Murphy, capo dello Special Access and FOIA e Tom<br />

Mills, specializzato in documenti della Seconda guerra mondiale; grazie a Rita Cann, del<br />

National Personnel Records Center di St. Louis, Missouri; a Martha DeMarre del Nuclear<br />

Testing Archive di <strong>La</strong>s Vegas; a Troy Wade della Nevada Test Site Historical Foundation;<br />

al sergente Jennifer Lindsey dell’aeronautica militare; al sergente Alice Moore della base<br />

aerea di Creech; al dottor David R. Williams della NASA; al dottor David Robarge, storico<br />

della Central Intelligence Agency; a Tony Hiley, curatore e direttore del CIA Museum; a<br />

Cheryl Moore della EEA CIA; a Jim Long del <strong>La</strong>ughlin Heritage Foundation Museum; a R.<br />

Cargill Hall, storico emerito del National Reconnaissance Office; al dottor Craig Luther,<br />

storico della base dell’aeronautica di Edwards; a S. Eugene Poteat, presidente<br />

dell’Association of Former Intelligence Officers; a Melissa Dalton della Lockheed Martin<br />

Aeronautics; al dottor Jeffrey Richelson dei National Security Archives; a David Myhra,<br />

scrittore e storico dell’aviazione; a Fred Burton, ex agente speciale dell’US Diplomatic<br />

Security Service; a Sherre Lovick, ex ingegnere degli Skunk Works della Lockheed; al<br />

colonnello Adelbert W. “Buz” Carpenter, ex pilota di SR-71; a Charles “Chuck” Wilson, ex<br />

pilota di U-2; ad Arthur Beidler, 67 th Reconnaissance Tactical Squadron, Giappone; a<br />

Dennis Nordquist, ingegnere meccanico della Pratt & Whitney; a Tony <strong>La</strong>ndis, fotografo<br />

della NASA; a Michael Schmitz, fotografo di Roadrunners Internationale; a Joerg Arnu,<br />

Norio Hayakawa e Peter Merlin di Dreamlandresort.com. Un ringraziamento speciale a<br />

Doris Barnes, Barbara Slater, Stacy Slater Bernhardt, Stella Murray, Mary Martin e Mary<br />

Jane Murphy. Grazie a Jeff King per avermi fatto una mappa così eccellente. Grazie a<br />

Tommy Harron, Jerry Maybrook e Jeremy Wesley per il lavoro eccezionale sull’audiolibro.<br />

Dopo aver completato la prima stesura del manoscritto, il mio editor, John Parsley, mi<br />

ha aiutata a farlo diventare il libro che è. Quello che mi ha insegnato John sull’arte di<br />

raccontare storie è impagabile. Grazie anche a Nicole Dewey, Geoff Shandler e Michael<br />

Pietsch.<br />

Ho un debito di gratitudine verso Jim Hornfischer, l’agente perfetto per una persona<br />

come me, e al mio confidente Frank Morse. Grazie per i saggi consigli a Steve Younger,<br />

David Willingham, Aron Ketchel, Erica Rayman e Karen Andrews.<br />

Nulla al mondo mi rende più felice che essere la moglie di Kevin <strong>Jacobsen</strong> e la madre<br />

dei nostri due figli. Mentre scrivevo questo libro, è stato Kevin a prepararmi innumerevoli<br />

panini e tazze di caffè, e a permettermi di viaggiare per tutto il paese. Kevin ha ascoltato<br />

tutte le stesure della bozza, di solito stando in piedi in cucina o in giardino. Le cose vanno


sempre meglio dopo aver sentito i suoi commenti.


Note<br />

Prologo<br />

1 Numero di riferimento topografico NTTR01, inventario NGA (National Geospatial-Intelligence Agency) n. 84413.<br />

2 Mappa basata sulle coordinate dei confini del Nevada Test Site: FFACO (Federal Facility Agreement and Consent<br />

Order), appendice 1, gennaio 1998, revisione 2, p. 6. Il 23 agosto 2010 il Nevada Test Site ha cambiato nome in Nevada<br />

National Security Site. Nel libro lo chiamo sempre Nevada Test Site, perché è questo il nome che ha avuto per quasi<br />

sessant’anni.<br />

3 Dipartimento dell’Energia, United States Nuclear Tests , pp. XII-XV. Il totale delle esplosioni in atmosfera per il<br />

Nevada Test Site ( NTS) è ufficialmente di 100 e il totale del Nellis Air Force Range (NAFR) di 5. I test sotterranei<br />

ammontano a 804 fatti dagli USA più 24 eseguiti congiuntamente da USA e Gran Bretagna, per un totale di 933.<br />

4 Darwin Morgan, portavoce della National Nuclear Security Administration, Nevada Site Office, ha chiarito: «Il [Nevada<br />

Test Site] non è mai stato un deposito per plutonio o uranio destinati alla fabbricazione di armi. Naturalmente c’è il<br />

materiale “usato” proveniente dagli 828 test atomici sotterranei che si trova nelle cavità dove sono stati condotti i test».<br />

E-mail, 21 settembre 2010.<br />

5 Memorandum, Top-secret Oxcart, Oxcart Reconnaissance Operation Plan, BYE 2369-67, p. 15; il secondo esempio<br />

viene dall’intervista a Peter Merlin.<br />

6 Brookings Institute, 50 Facts about US Nuclear Weapons, fatto n. 1 (dollari del 1996: venti miliardi; dollari del 2011:<br />

ventotto miliardi).<br />

7 Wiesner, Vannevar Bush, p. 98. Questo fatto è poco noto; in genere i latori dell’informazione sono identificati nel<br />

generale Leslie R. Groves e nel ministro della Guerra Henry L. Stimson. Wiesner, il biografo di Bush alla National Academy<br />

of Science (fu anche consulente scientifico del presidente Eisenhower), scrive: «Dopo la morte del presidente Roosevelt,<br />

Bush […] ebbe l’incarico di fornire al presidente Truman il primo resoconto dettagliato della bomba».<br />

8 SMYTH, Atomic Energy for Military Purposes, p. 13.7. Noto anche come The Smyth Report, fu pubblicato dal governo<br />

sei giorni dopo Hiroshima, il 12 agosto 1945. Nel documento, Smyth ricostruiva la storia amministrativa e tecnica del<br />

progetto Manhattan, chiamato anche Manhattan Engineering District (MED). Lo scopo dichiarato del rapporto era quello di<br />

dare ai cittadini sufficienti informazioni sull’energia nucleare perché potessero partecipare a un dibattito pubblico su come<br />

muoversi nel futuro. Il rapporto sosteneva anche l’idea che sottoporre la bomba al controllo civile, in quanto opposto a<br />

quello militare, avrebbe costituito uno scenario maggiormente democratico. Tuttavia, i controlli imposti dall’Atomic Energy<br />

Commission avrebbero dimostrato di essere ancora più impenetrabili di quelli militari; HEWLETT E ANDERSON, New<br />

World.<br />

9 QUIST, Security Classification, p. 1. Quist scrive: «L’Atomic Energy Act del 1946 fu la prima e, fatta eccezione per la<br />

legge che la sostituì, l’Atomic Energy Act del 1954, a oggi l’unica norma statunitense a stabilire un programma atto a<br />

limitare la diffusione delle informazioni. Questa legge trasferiva il controllo di tutti gli aspetti dell’energia atomica<br />

(nucleare) dall’esercito, che durante la Seconda guerra mondiale aveva diretto il progetto governativo Manhattan per<br />

produrre le bombe atomiche, all’Atomic Energy Commission (AEC) costituita da cinque membri civili. Questi nuovi tipi di<br />

bombe, di spaventosa potenza, erano stati sviluppati nel massimo segreto e con norme di sicurezza severissime. Il<br />

Congresso, nell’approvare l’Atomic Energy Act del 1946, proseguiva nel solco del rigido controllo sulle informazioni relative<br />

alle bombe atomiche e ad altri aspetti dell’energia nucleare. L’Atomic Energy Act stabiliva che le informazioni riguardanti<br />

l’energia atomica dovevano essere protette in quanto “dati riservati” e definiva quei dati».<br />

10 Brookings Institute, 50 Facts about US Nuclear Weapons, fatto n. 6.<br />

11 Si tratta di una delle premesse fondamentali su cui si basa il mio libro e <strong>senza</strong> dubbio verrà contestata dall’Atomic<br />

Energy Commission finché non saranno costretti a declassificare il progetto cui mi riferisco.<br />

12 L’Advisory Committee on Human Radiation Experiments ( ACHRE) è stato creato dal presidente Clinton il 15 gennaio


1994 per investigare e rendere pubblico l’uso di esseri umani come soggetti di ricerche finanziate a livello federale. Creata<br />

da un ordine esecutivo e regolamentata dal Federal Advisory Committee Act (FACA), la commissione consultiva era<br />

obbligata a fornire accesso pubblico alle proprie attività, processi e carte, alcuni dei quali possono essere consultati sul<br />

sito www.gwu.edu/~nsarchiv/radiation/.<br />

13 Intervista dell’autrice all’ingegnere della EG&G.<br />

14 QUIST, Security Classification, p. 24; SCHWARTZ, Atomic Audit, pp. 442-4<strong>51</strong>.<br />

15 Corrispondenza scritta con Darwin Morgan, 21 settembre 2010, dipartimento dell’Energia USA, ufficio delle<br />

operazioni del Nevada, ufficio degli affari pubblici e dell’informazione.<br />

16 Tuttavia, non è possibile stabilire con certezza se il dipartimento della Difesa fosse coinvolto nella direzione del<br />

primo programma all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>. Ricerche condotte presso i NARA (National Archives and Records Administration) rivelano<br />

che il dipartimento della Difesa fu implicato molto più nell’operazione Paperclip di quanto non si sapesse in passato. Ad<br />

esempio, documenti che ho ottenuto attraverso una richiesta sulla base del FOIA (Freedom of Information Act, Legge<br />

sulla libertà d’informazione) rivelano che «all’inizio degli anni Cinquanta il dipartimento della Difesa [Office of Defence<br />

Research and Engineering (Ufficio della ricerca e dell’ingegneria per la difesa, ORE)] e il JIOA presero il controllo<br />

dell’operazione Paperclip, che era condotta sotto l’acronimo DEFSIP, o Defense Scientist Immigration Program<br />

[Programma della difesa sull’immigrazione degli scienziati]». JIOA è l’acronimo di Joint Intelligence Objectives Agency<br />

(agenzia congiunta per obiettivi di intelligence) che era guidata dai capi congiunti dello staff. Queste molteplici agenzie,<br />

come pure le molteplici catene di comando, servono a nascondere le informazioni.<br />

Capitolo 1<br />

1 Interviste: Joerg Arnu, Georg Knapp, Thornton “T.D.” Barnes, colonnello Hugh Slater, Richard Mingus, Ernest “Ernie”<br />

Williams, dottor Albert “Bud” Wheelon, colonnello Kenneth Collins, colonnello Sam Pizzo, Norio Hayakawa, Stanton<br />

Friedman.<br />

2 Intervista a Joerg Arnu.<br />

3 Intervista a George Knapp; KNAPP, Bob <strong>La</strong>zar: The Man Behind <strong>Area</strong> <strong>51</strong>, Eyewitness News Investigates,<br />

area<strong>51</strong>.eyewitnessnews8.com/.<br />

4 Un dettaglio riferito dalla maggior parte di coloro che lavorarono all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e che ho intervistato, e tra questi di sicuro<br />

i soldati dell’aeronautica, era la “minaccia di Leavenworth”, ossia l’incarcerazione nella più grande prigione federale di<br />

massima sicurezza degli Stati Uniti, che si trova a Fort Leavenworth, in Texas.<br />

5 Teller, che è morto nel 2003 all’età di novantacinque anni, non ha mai confermato né negato di aver raccomandato<br />

<strong>La</strong>zar alla EG&G per lavorare all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

6 Interviste a Richard Mingus; vedi note al capitolo 6.<br />

7 L’argomento della conferenza di Teller era il movimento per fermare il nucleare attivo dopo l’incidente di Three Mile<br />

Island.<br />

8 Il «Los Alamos Monitor» del 27 giugno 1982 descrive <strong>La</strong>zar come «un fisico della Los Alamos Meson Physics<br />

Facility».<br />

9 Le informazioni più complete riguardo a <strong>La</strong>zar sono disponibili sul sito web di ricerca sull’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> dreamlandresort.com<br />

creato da Joerg H. Arnu nel 1999. Nel “The Bob <strong>La</strong>zar Corner” si può trovare una cronologia della storia di <strong>La</strong>zar come<br />

pure una serie di documenti pubblici, lettere e un commento su <strong>La</strong>zar fatto dai suoi critici e dai suoi sostenitori frutto della<br />

ricerca di Tom Mahood, che ho intervistato.<br />

10 Secondo il certificato di matrimonio trovato da Tom Mahood. Sempre secondo le ricerche di Tom Mahood, Tracy<br />

Ann Murk e <strong>La</strong>zar si sposarono una seconda volta il 12 ottobre 1986 (la prima era stata il 19 aprile 1986), ma questa<br />

volta la moglie usò inspiegabilmente il nome Jackie Diane Evans.<br />

11 Certificato di morte n. 001423-86, distretto sanitario della contea di Clark, <strong>La</strong>s Vegas, NV; causa della morte:<br />

«inalazione dei gas di scarico del motore di un veicolo». Fonte: Tom Mahood.<br />

12 Descrizioni basate su numerose interviste a testimoni oculari; vedi Interviste.<br />

13 Intervista a T.D. Barnes.<br />

14 Intervista al colonnello Slater.<br />

15 Intervista a Richard Mingus.<br />

16 Intervista a Ernie Williams. Figlio di un contadino del Nebraska, il padre di Williams era un rabdomante e Williams


aveva ereditato parte del talento del genitore. Molti Roadrunners (i veterani dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>) gli attribuiscono il merito di aver<br />

trovato ufficialmente il primo pozzo dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

17 KINNISON E GILBERT, Estimates of Soil Removal for Cleanup of Transuranics at NAEG Offsite Safety Shot Sites, FY<br />

1981, 1984, 1986-1991.<br />

18 Intervista a un impiegato anonimo della EG&G che ha lavorato per la linea aerea.<br />

19 Intervista al dottor Wheelon.<br />

20 Intervista a Ken Collins.<br />

21 Intervista al colonnello Pizzo.<br />

22 Le interviste originali fatte da George Knapp a <strong>La</strong>zar sono disponibili su YouTube in sei parti.<br />

23 Intervista di George Knapp a <strong>La</strong>zar, parte due di sei, minuti 4.10-5.05. Knapp: «In un’intervista precedente, lei ha<br />

menzionato di aver visto quello che pensava fosse un alieno. Era un alieno? Che cosa ha visto?». <strong>La</strong>zar: «Ciò che ho<br />

detto e tutto quello che è successo è stato che passavo davanti a una porta, ah, una porta che aveva una finestrella di<br />

ventitré centimetri per ventitré, con dei fili metallici nel vetro. E ho guardato dentro, e c’erano due… oh, tecnici, scienziati<br />

o chiunque fossero, che osservavano qualcosa. Ed è stato quel qualcosa ad attirare il mio sguardo e non ho visto<br />

realmente che cosa fosse. Un sacco di gente ha detto, be’, c’era un alieno, erano alieni che stavano laggiù eccetera<br />

eccetera, voglio dire, non penso che fosse quello. Ma, ah, chissà. Io… sa com’è… Vedi tutte queste cose fantastiche e la<br />

tua mente comincia a correre e tu vedi qualcosa con la coda dell’occhio, chissà cosa ti passa per la testa, sicché non lo<br />

dò assolutamente per certo». Vedi www.youtube.com/watch?v=XAfVZcAsTxk.<br />

24 Intervista di George Knapp a <strong>La</strong>zar, parte due di sei, minuti 2.33-3.30. <strong>La</strong>zar afferma che gli venne detto che l’UFO<br />

sul quale doveva lavorare proveniva da un altro pianeta. Dice che gli furono mostrate fotografie dell’autopsia di piloti di<br />

velivoli alieni, che descrisse a Knapp: «Un paio delle fotografie di autopsie che ho visto, ah, erano solo parziali, una vista<br />

del busto in sostanza, solo la testa, le spalle e il petto di un alieno dove il… il petto era aperto con un’incisione a T ed era<br />

stato rimosso un solo organo. L’organo nell’altra foto era stato sezionato per mostrare le… le diverse cavità. Non<br />

c’entrava niente con quello che stavo facendo ma da quella fotografia assomigliava a quello che si dice degli UFO, il tipico<br />

omino grigio, e così da quello che ho visto non saprei dire quanto fosse alto, perché ho visto solo una parte della<br />

fotografia ma se tutto il resto di quello che ho visto è corretto, direi che era alto un metro, un metro e venti. Ma, di<br />

nuovo… tutto quello che ho visto è stata una fotografia. E sa com’è, non è che potessi fare chissà quali congetture». Vedi<br />

www.youtube.com/watch?v=XAfVZcAsTxk&feature=related.<br />

25 MAHOOD, The Robert <strong>La</strong>zar Timeline, as Assembled from Public Records and Statements, luglio 1994, aggiornato<br />

nel luglio 1997, da dreamlandresort.com. Secondo questa cronologia <strong>La</strong>zar e diversi amici fecero in totale tre spedizioni<br />

nelle montagne dietro al Groom <strong>La</strong>ke. Fu la terza volta che il gruppetto venne fermato dalle guardie.<br />

26 Ibid.<br />

27 Intervista a Norio Hayakawa.<br />

28 Nell’intervista con Knapp, <strong>La</strong>zar disse che gli avevano sparato mentre guidava sulla superstrada (intervista su<br />

YouTube, parte cinque di sei, minuto 6.00) e che durante l’interrogatorio a Indian Springs gli puntarono contro un’arma<br />

(ivi, minuto 8.00).<br />

29 Intervista del giornalista di WSVN-7 News Dan Hausle all’ex poliziotto Terry Cavernetti, visionata il 21 dicembre<br />

2010, YouTube, Bob <strong>La</strong>zar Passes the Lie Detector on UFOs.<br />

30 Intervista a Stanton Friedman. Friedman ha lavorato come fisico nucleare per quattordici anni e si è occupato di<br />

sistemi nucleari e di progetti di esplorazione spaziale avanzatissimi per aziende come la General Motors, la General<br />

Electric e la Westinghouse. Ha pubblicato ottanta articoli sugli UFO, ha scritto sei libri e compare in molti documentari che<br />

parlano di UFO.<br />

31 Recollections of Roswell, testimony from 27 Witnesses Connected with Recovery of 2 Crashed Flying Saucers in New<br />

Mexico in July 1947, dvd, 105 minuti.<br />

Capitolo 2<br />

1 Interviste: colonnello Richard S. Leghorn, Ralph “Jim” Freedman, Alfred “Al” O’Donnell, tenente colonnello Hervey<br />

Stockman, colonnello Slater, David Myhra.<br />

2 «Trenton Evening Times», 31 ottobre 1938. Molti documenti relativi al radiodramma <strong>La</strong> guerra dei mondi sono<br />

disponibili sul sito www.war-ofthe-worlds.co.uk/documents.htm.


3 Ivi, Log from Jersey Police, Port Norris Station.<br />

4 Associated Press, Mars Monsters Broadcast Will Not Be Repeated. Perpetrators of the Innovation Regret Causing of<br />

Public Alarm, 1° novembre 1938.<br />

5 Hand, Terror on the Air!, p. 7.<br />

6 Intervista dell’autrice a un ingegnere della EG&G.<br />

7 Corrispondenza tra Vannevar Bush e W.C. Forbes, 8 giugno 1939; Vannevar Bush, A Collection of His Papers in the<br />

Library of Congress, Manuscript Division, Library of Congress, Washington, DC.<br />

8 WINTHROP, Science Discovers.<br />

9 ZACHARY, Endless Frontier, p. 190.<br />

10 VANNEVAR BUSH, A Collection of His Papers in the Library of Congress, Manuscript Division, Library of Congress,<br />

Washington, DC.<br />

11 ZACHARY, Endless Frontier, p. 285. Zachary scrive: «Il ruolo di Bush nella nascita della bomba A portò la sua<br />

reputazione alle stelle. Come Truman, la maggior parte degli americani erano eccitatissimi per la resa del Giappone e la<br />

fine della guerra […]. Invece di interrogare i capi del progetto Manhattan, l’opinione pubblica li osannò. <strong>La</strong> reputazione di<br />

Bush come profeta scientifico crebbe; la sua immagine come impareggiabile coordinatore di competenze si rafforzò. Per<br />

Bush, la bomba atomica fu il tocco finale della sua ascesa da una relativa oscurità alla fama, avvenuta nel giro di cinque<br />

anni».<br />

12 Majority Supports Use of Atomic Bomb on Japan in WWII, David Moore, Gallup News Service, 5 agosto 2005.<br />

13 Intervista dell’autrice al colonnello Leghorn, che era l’ufficiale al comando della Task Force 1.5.2 per l’operazione.<br />

Sono debitrice al colonnello Leghorn non solo per aver generosamente condiviso con me i ricordi del suo ruolo storico in<br />

Crossroads, ma anche per avermi prestato fotografie originali scattate dal suo apparecchio durante i test nucleari del<br />

1946. Mi ha dato anche da consultare due annuari originali dai quali ho appreso che l’operazione richiese oltre 10.000<br />

strumenti e pellicola che sarebbe stata sufficiente a rifornire metà del pianeta. Solo l’aeronautica fece 9 milioni di<br />

fotografie.<br />

14 BRADLEY, No Place to Hide, p. 158.<br />

15 Il documentario Radio Bikini (1987), diretto da Robert Stone, contiene notevoli spezzoni di filmati dell’AEC che<br />

mostrano personale militare che si esercita nel modo migliore per rifilare la propaganda agli indigeni.<br />

16 SCHWARTZ, Atomic Audit, p. 102. L’operazione Crossroads costò la cifra sbalorditiva di 1,3 miliardi di dollari negli<br />

undici mesi del 1946 successivi alla fine della guerra, più di ogni altro test fatto in seguito. Crossroads coinvolse 95 navi e<br />

42.000 persone tra militari e civili. Fu una dimostrazione di forza.<br />

17 Intervista a Alfred “Al” O’Donnell.<br />

18 KOZAK, LeMay, p. iv.<br />

19 I.F. STONE, The Best of I.F. Stone, pp. 326-328.<br />

20 RHODES, Dark Sun, pp. 261-262.<br />

21 Il «New York Times» la descrisse come il più grandioso e «colossale gruppo di esperimenti della storia». Il senatore<br />

Huffman definì il test uno «spettacolo sanguinario nel Pacifico» e affermò che «l’unica impressione importante che questi<br />

test daranno al mondo è che gli Stati Uniti non ne hanno abbastanza della guerra». Nei giorni che precedettero l’evento,<br />

manifestanti picchettarono la Casa Bianca con cartelli su cui c’era scritto: BIKINI: PROVA GENERALE PER LA TERZA<br />

GUERRA MONDIALE.<br />

22 Scheda, operazione Crossroads, Defense Nuclear Agency, Public Affairs Office, Washington, DC, 5 aprile 1984.<br />

23 Intervista a O’Donnell.<br />

24 Intervista a O’Donnell; copia di una lettera manoscritta di Herbert Grier dall’archivio di O’Donnell.<br />

25 Intervista al colonnello Leghorn.<br />

26 Atomic Energy Commission degli Stati Uniti, memorandum per il consiglio, 23 agosto 1973, n. 718922, imbarcazioni<br />

affondate durante l’operazione Crossroads; riprese dell’esplosione fatte dall’AEC, biblioteca dell’Atomic Testing Museum,<br />

<strong>La</strong>s Vegas, NV.<br />

27 PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, p. 22.<br />

28 Intervista al colonnello Leghorn.<br />

29 Ibid.; intervista a Hervey Stockman, che fu il primo uomo a sorvolare l’Unione Sovietica su un aereo spia U-2.


30 RHODES, Dark Sun, p. 261.<br />

31 O’KEEFE, Nuclear Hostages, p. 134.<br />

32 Intervista dell’autrice a un ingegnere della EG&G.<br />

33 Intervista a Lisa Blevins, funzionario degli affari pubblici dell’esercito americano, White Sands Missile Range, New<br />

Mexico; Report on Hermes Missile Project, Washington National Records Center (WNRC), Record Group 156.<br />

34 HUNT, Secret Agenda, p. 27.<br />

35 Paperclip fu un’operazione postbellica eseguita dalla Joint Intelligence Objectives Agency, un ufficio speciale<br />

dell’intelligence che riportava al direttore dell’intelligence del dipartimento della Guerra. <strong>La</strong> maggior parte dei dettagli del<br />

progetto Paperclip rimangono classificati nonostante l’insistenza del governo perché siano resi pubblici. Paperclip iniziò<br />

prima della fine della guerra e in origine era denominato progetto Overcast e/o progetto Pajamas. Aveva due scopi<br />

primari: sfruttare i cervelli degli scienziati americani per la ricerca nel periodo della Guerra Fredda ed evitare che i russi<br />

mettessero le mani sugli scienziati tedeschi, indipendentemente dalla gravità dei loro crimini di guerra. Si crede che<br />

almeno centosessanta scienziati siano stati reclutati da svariati gruppi dell’intelligence americana e portati, insieme ai loro<br />

subordinati, negli Stati Uniti. Paperclip ebbe numerose ramificazioni successive che nel 2011 rimangono ancora<br />

classificate.<br />

36 Fascicoli “Top-secret” del G-2 su Paperclip, WNRC Record Group 330. Vedi anche il dossier dell’FBI Wernher Magnus<br />

Maximilian Von Braun, aka Freiherr Von Braun, fascicolo 116-13038, 297 pagine, e NEUFELD, Von Braun.<br />

37 Fascicolo “Top-secret” del G-2 su Paperclip, WNRC Record Group 319.<br />

38 SCHWARTZ, Atomic Audit, p. 169. Oggi denominata White Sands Missile Range, l’installazione è la più grande del<br />

paese, con una superficie equivalente a quella del Delaware e del Rhode Island messi insieme. <strong>La</strong> prima bomba atomica,<br />

Trinity, fu fatta esplodere nei pressi del confine settentrionale dell’area.<br />

39 HUNT, Secret Agenda, p. 27; NEUFELD, Von Braun, p. 239.<br />

40 V-2 Rocket, Off Course, Falls Near Juárez, «El Paso Times», 30 maggio 1947.<br />

41 Army Intelligence, G-2 Paperclip, Memorandum for the AC of S G-2, Intelligence Summary, Captain Paul R. Lutjens,<br />

6 giugno 1947, RG 319, Washington National Records Center (WNRC), Suitland, Maryland. Hunt, Secret Agenda, capitolo<br />

3; maggiore Lyman G. White, Progetto Paperclip, Fort Bliss, Texas e aree adiacenti, MID 918.3, 26 novembre 1947.<br />

42 In una lettera al dipartimento di stato del marzo del 1948 riguardante «scienziati tedeschi [che] erano membri del<br />

partito nazista o di una o più delle organizzazioni affiliate» Bosquet Wev, direttore della Joint Intelligence Objectives<br />

Agency, scrisse: «Funzionari [r]esponsabili […] hanno espresso l’opinione che, per quanto riguarda gli scienziati tedeschi,<br />

il nazismo non dovrebbe più essere considerato un ostacolo serio dal punto di vista della sicurezza nazionale quando la<br />

minaccia molto più grave del comunismo mette in pericolo il mondo intero. Sostengo con forza questa opinione e la<br />

considero la posizione più sensata e pratica, che deve certamente essere adottata se vogliamo affrontare la situazione<br />

che ci troviamo davanti con un minimo di realismo. Continuare a considerare l’appartenenza al nazismo come un<br />

impedimento significativo è stato definito in modo calzante come “un’inutile perdita di tempo”».<br />

43 Intervista a un ingegnere della EG&G.<br />

44 Interviste al colonnello Slater, comandante dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> (1963-1968), amico personale di Chandler. Chandler<br />

raccontò questa storia a Slater decenni dopo gli avvenimenti.<br />

45 Intervista a un ingegnere della EG&G che fu un testimone oculare.<br />

46 Intervista a un ingegnere della EG&G.<br />

47 Intervista a un ingegnere della EG&G.<br />

48 Intervista a un ingegnere della EG&G.<br />

49 MYHRA, The Horten Brothers and Their All-Wing Aircraft, pp. 217-220; intervista a David Myhra, il quale negli anni<br />

Ottanta parlò per centinaia di ore con entrambi i fratelli Horten, con Walter in Germania e con Reimar in Argentina.<br />

50 Si tratta di una mia fondata ipotesi che si basa sulle interviste all’ingegnere della EG&G. Il gruppo Paperclip addetto<br />

al progetto, ho appreso tramite informazioni di seconda mano, includeva probabilmente Von Braun, Ernst Steinhoff e<br />

anche il dottor Hubertus Strughold, un ex nazista e, nel 1947, ricercatore al laboratorio di medicina aeronautica del<br />

Randolph Field di San Antonio, Texas. Quando lavorava per il Terzo Reich, Strughold era il maggiore esperto di come<br />

reagisse il corpo umano all’altitudine durante il volo. Nel corso della Seconda guerra mondiale, Strughold era stato capo di<br />

stato maggiore di medicina aeronautica per la Luftwaffe. Per altre informazioni su Strughold, vedi BOWER, Paperclip<br />

Conspiracy, pp. 214-323.


<strong>51</strong> Intervista a un ingegnere della EG&G.<br />

52 <strong>Jacobsen</strong>, richiesta FOIA all’US Army Intelligence and Security Command (INSCOM), Horten Brothers and Operation<br />

Harass. Il fascicolo è stato declassificato dall’INSCOM a partire dal 6 luglio 1994, CDR USAINSCOM FO1/PO Auth para 1<br />

603 DOD 5200.1R, 358 pagine.<br />

53 Quartier generale, Counter Intelligence Corps Region I, 970 th Detachment European Command, APO-154, 6<br />

gennaio 1948, p. 92. «Gli scienziati che hanno una conoscenza superiore alla media del lavoro dei fratelli HORTEN sono:<br />

(2) Lippisch, prof., nome di battesimo sconosciuto, Wright Field, Ohio, USA». Il dottor Lippisch fu trasferito al Wright<br />

Field, insieme al suo superiore Ernst Sielaff e al dottor Ringleb, dal Luftfahrtforshungsandstalt Wien, un istituto tedesco di<br />

ricerca aeronautica che si occupava dello sviluppo di velivoli ad alta velocità.<br />

54 Il memorandum dell’operazione Harass con la data più anteriore presente nel fascicolo è del 10 novembre 1947,<br />

APO 189, oggetto: dischi volanti, p. 139. Dice: «È stato raccolto considerevole materiale dall’Air Materiel Command<br />

WRIGHT FIELD, Ohio, relativo all’aspetto, alla descrizione e al funzionamento dell’oggetto noto popolarmente come<br />

“disco volante”. Una copia della richiesta del rapporto all’Air Materiel Command è archiviato in questo quartier generale, p.<br />

2. Si esprime l’opinione che esistano oggetti come il disco volante. Al momento presente, si stanno costruendo modelli da<br />

sottoporre a test nella galleria del vento». Questo, però, chiaramente non è il primo memorandum. A pagina 106 del<br />

fascicolo FOIA, nel memorandum APO 134, 2 gennaio 1948, si fa riferimento a una lettera precedente: «RE: Fratelli<br />

HORTEN, OGGETTO: Dischi volanti, data 28 ottobre 1947».<br />

55 Intervista a David Myhra.<br />

56 «HORTEN, Walter-» LKL: A.V.V. Gottingen (14-5-46) «Esperto in velivoli “ala volante”, inclusi HO VIII, HO IX e HO<br />

X», p. 155 (si noti che ci sono due pagine diverse numerate 155).<br />

57 Dal momento che i memorandum relativi ai dischi volanti rivelano che subito dopo l’incidente di Roswell l’esercito<br />

stava cercando informazioni su un aereo realizzato da scienziati tedeschi e non da extraterrestri, molti ufologi li hanno<br />

bollati come propaganda dei servizi segreti militari. In realtà, essi costituiscono un indizio importante per valutare la verità<br />

delle affermazioni dell’ingegnere della EG&G sul mistero di Roswell, ovvero che lo stato maggiore congiunto sapeva che il<br />

disco volante era un veicolo russo progettato dai tedeschi.<br />

58 Servizi segreti dell’aeronautica [illeggibile] per il presunto «Aereo del tipo disco volante», pp. 152-156.<br />

59 Quartier generale della sottoregione Frankfurt, Counter Intelligence Corps Region III, APO 757, 4 febbraio 1948, pp.<br />

71-72. «Leiber ha anche affermato che un dottor Alexander LIPPISCH, che al momento lavora al WRIGHT Field, Ohio,<br />

USA, ha familiarità con il lavoro dei fratelli HORTON.»<br />

60 Quartier generale del Counter Intelligence Corps Region IV, 970 th Counter Intelligence Corps Detachment APO 407-<br />

A, US ARMY, IV-2574. Ogg: WENDEL, Fritz, 1 marzo 1948, 6 pagine. Comprende i fogli I, II, III e IV – Schizzi fatti da<br />

WENDEL riferentesi al velivolo HORTEN; n. 179332, WENDEL, Fritz, «Ex comandante di squadriglia della Luftwaffe.<br />

Attualmente lavora per Graf Von Ledebur, agente dell’intelligence francese [sic] a Vienna Austria», pp. 56–63.<br />

61 Memorandum, segreto, quartier generale del comando di Berlino, Office of Military Government for Germany (US),<br />

S-2 Branch, oggetto «Dischi volanti», 3 dicembre 1947, p. 126; disegno, direttrice, segreto, p. 128.<br />

62 Ivi, p. 57.<br />

63 Ivi, p. 58.<br />

64 Ivi, p. 59.<br />

65 Ivi, p. 58.<br />

66 Ibid.<br />

67 Memorandum, segreto, quartier generale del Counter Intelligence Corps Region IV, 970 th Counter Intelligence Corps<br />

APO 407-A oggetto: ZIEGLER, Walter Erich, 1° marzo 1948, pp. 52-55.<br />

68 Ivi, p. 53. Ziegler chiamava la città “Kubischew” e disse che si trovava «a est di Mosca […] dove attualmente<br />

stanno costruendo razzi sotto la supervisione russa».<br />

69 Quartier generale del 907 th Counter Intelligence Corps Detachment European Command, APO 757, D-198239,<br />

oggetto: Dischi volanti, datato 12 marzo 1948, p. 44.<br />

70 Questa è una trascrizione di un “rapporto” originariamente scritto a mano in tedesco e tradotto dal sergente di<br />

prima classe Dale R. Blohm. Manca la copertina. Il testo suggerisce che il governo federale degli Stati Uniti d’America<br />

progettasse di assumere «da 6 a 30» scienziati tedeschi perché realizzassero per l’America l’«Horten-Parabel». Si legge:<br />

«Le discussioni riguardanti il progetto “Horten-Parabel” sono terminate. I risultati possono essere riassunti nel modo<br />

seguente. 1) I russi sono in possesso degli aerei e saranno supportati da specialisti tedeschi. <strong>La</strong> fabbricazione in serie da


parte dei russi del cosiddetto Horten 13 (modello con due unità di alimentazione di alta gamma (classificazione industriale<br />

standard)) non dovrebbe essere oltre lo stadio iniziale di progettazione». Alla fine del memorandum, l’estensore conclude:<br />

«Per iniziare, chiediamo ordini precisi per l’esercito degli Stati Uniti, ad esempio tipo di struttura, quante unità di<br />

alimentazione, raggio operativo, carico aggiuntivo, dimensioni dell’equipaggio, schema degli armamenti ecc.», pp. 196-<br />

197, pp. 202-204.<br />

71 Memorandum dell’European Command Message Control Secret Priority, Ref S-3773, A: Forze degli Stati Uniti in<br />

Austria, per il direttore dei servizi segreti, 20 maggio 1948, p. 231; estratti da Horten, Walter, da D-154654: «Walter<br />

HORTEN sottolinea la possibilità che l’aliante parabolico pilotato da un pilota russo nel 1925-1926 alla competizione di<br />

Rhaen possa essere stato sviluppato in un disco volante. Nel caso in cui i russi abbiano perfezionato ulteriormente questo<br />

aliante o, dopo la guerra, lo abbiano dotato di motori jet del tipo Junkers o BMW, il risultato potrebbe essere il disco<br />

volante».<br />

72 Intervista a un ingegnere della EG&G.<br />

Capitolo 3<br />

1 Interviste: colonnello Leghorn, T.D. Barnes, tenente colonnello Roger Andersen, Millie Meierdierck, Bob Murphy, Ray<br />

Goudey, Edward Lovick.<br />

2 BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, p. 68.<br />

3 THOMAS, The Very Best Men, p. 103.<br />

4 CIA History Staff, Office of Policy Coordination 1948-1952, 57 pagine. Approvato per la pubblicazione marzo 1997.<br />

5 BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, p. 68.<br />

6 Intervista al colonnello Leghorn.<br />

7 SAMUEL, American Raiders. L’operazione Lusty (Luftwaffe Secret Technology, Tecnologia segreta della Luftwaffe)<br />

consistette nello sforzo fatto dall’aeronautica militare americana per impossessarsi ed esaminare la tecnologia aeronautica<br />

tedesca a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale.<br />

8 PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, p. 35.<br />

9 TAUBMAN, Secret Empire, p. 105.<br />

10 PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, pp. 27-37.<br />

11 BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, p. 4.<br />

12 PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, p. 16. Bissell entrò a far parte dell’agenzia alla fine del<br />

gennaio 1954, ma il suo primo contatto con la CIA risaliva al 1953, quando aveva lavorato come consulente. Il 26 luglio<br />

1954 Eisenhower autorizzò Killian a reclutare un gruppo di esperti per studiare che genere di U-2 fosse possibile<br />

realizzare. Il gruppo venne denominato Techological Capabilities Panel. In agosto l’idea fu presentata formalmente a<br />

Bissell. Ivi, p. 30.<br />

13 Esistono numerosi resoconti fatti da coloro che andarono al Groom <strong>La</strong>ke con Bissell in quel primo storico viaggio. Il<br />

mio è tratto dalle memorie di Bissell e dalle interviste al pilota della Lockheed Ray Goudey.<br />

14 Intervista a Ray Goudey.<br />

15 BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, pp. 102-103.<br />

16 Intervista a Ray Goudey.<br />

17 Intervista a Edward Lovick.<br />

18 Intervista a Tony Bevacqua.<br />

19 Intervista a Ray Goudey.<br />

20 Il motore dell’U-2 era un P-37 progettato appositamente dai costruttori di motori per aerei del Connecticut Pratt &<br />

Whitney.<br />

21 Intervista a Edward Lovick.<br />

22 <strong>La</strong> storia di Hank Meierdierck, l’uomo che addestrò i piloti all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, mi è stata raccontata, in parte, da uno dei<br />

suoi amici del primo periodo al Ranch e in parte l’ho ricavata dalle sue carte personali, cui ho avuto accesso grazie alla<br />

moglie, Millie Meierdierck.<br />

23 KILLIAN, Sputnik, Scientists and Eisenhower, p. 82. Killian scrisse: «Eisehhower approvò lo sviluppo del sistema U-2,


ma mise come condizione che lo si trattasse in modo che non fosse legato alla burocrazia del dipartimento della Difesa o<br />

turbato da rivalità tra i diversi organismi militari». Vedi anche BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, p. 95.<br />

24 Memorandum top-secret della conferenza con il presidente 0810, 24 novembre 1954. «Si è chiesta autorizzazione al<br />

presidente di procedere con il programma per realizzare trenta aeroplani a elevate prestazioni al costo di circa<br />

trentacinque milioni di dollari. Il presidente ha approvato questa azione. Il signor Allen Dulles ha sottolineato che la sua<br />

organizzazione non poteva finanziare tutta la somma <strong>senza</strong> attirare l’attenzione e si è concordato che la Difesa avrebbe<br />

cercato di coprire una quota sostanziale del finanziamento.» Eisenhower Archives, DDE’s Papers as President, Ann<br />

Whitman Diary Series, Box 3, ACW Diary, novembre 1954.<br />

25 BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, p. 105. Bissell scrisse: «Per salvaguardare la segretezza e l’efficienza su cui<br />

insistevano Eisenhower e Allen Dulles, proposi di eliminare il progetto U-2 dall’organigramma della CIA e di farne<br />

un’organizzazione indipendente».<br />

26 Eisenhower era eccezionalmente messo al corrente dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> perché il successo del progetto U-2, che si realizzò<br />

durante il suo mandato, era critico per la sicurezza della nazione.<br />

27 Come ricorda il generale Leo Geary, il vice di Bissell all’aeronautica militare, in un’intervista rilasciata a Jonathan<br />

Lewis, registrazione su nastro, Chevy Chase, MD, 11 febbraio 1994; BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, p. 100.<br />

28 «Alla fine il presidente Eisenhower risolse la controversia.» PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, p.<br />

60; BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, p. 109.<br />

29 «Voglio che tutta questa faccenda sia un’operazione civile» scrisse il presidente. «Se personale in uniforme<br />

dell’esercito degli Stati Uniti sorvola la Russia, è un atto di guerra – legalmente – e io non voglio assolutamente che<br />

accada.» Da PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, p. 60.<br />

30 Intervista a Bob Murphy.<br />

31 Dalle carte private di Hank Meierdierck; Meierdierck individuò i rottami dell’incidente da un U-2 che aveva pilotato in<br />

missione di ricognizione.<br />

32 Quale parte di un tributo dato dall’US Forest Service (Servizio forestale degli Stati Uniti). <strong>La</strong> CIA, però, non ammise<br />

che l’aereo fosse diretto all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>; vedi anche PASKON, Silent Heroes.<br />

33 EG&G, divisione della URS Corporation, sito web delle Albuquerque Operations. «<strong>La</strong> EG&G ha fornito sistemi di<br />

sicurezza per installazioni del governo USA: sede del dipartimento dell’Energia, Bureau of Engraving and Printing,<br />

complesso degli hangar dell’AF-1 presidenziale, Rocky Flats [installazione produttiva di armi nucleari in Colorado], Tooele<br />

[Utah, deposito dell’esercito di armi di distruzione di massa].»<br />

Capitolo 4<br />

1 Interviste: tenente colonnello Tony Bevacqua, Edward Lovick, Ray Goudey, Al O’Donnell, Jim Freedman, Wayne<br />

Pendleton, T.D. Barnes.<br />

2 HAINES, CIA’s Role, p. 73.<br />

3 Intervista a Tony Bevacqua; l’apertura alare è di 31 metri e la fusoliera è lunga 19.<br />

4 Da qui in avanti, quando parlo dell’“incidente di Roswell” mi riferisco a un aereo non a un pallone meteorologico,<br />

come è stato anche scritto. Anche se nell’estate del 1947 a White Sands era in corso il progetto di un riflettore radar<br />

trasportato da un pallone, non è questo l’oggetto che precipitò a Roswell. Per saperne di più sul progetto e sulla teoria del<br />

pallone avanzata da una delle persone che vi lavorarono, Charles B. Moore, vedi SALER, ZIEGLER E MOORE, UFO Crash<br />

at Roswell.<br />

5 US Air Force Air Materiel Command, Oggetti aerei non identificati; Progetto SIGN; HAINES, CIA’s Role, p. 68.<br />

6 US Air Force, progetto Grudge e Blue Book, rapporti 1-12. A partire dalla declassificazione dei progetti Saucer, Sign,<br />

Grudge, Twinkle e Blue Book, iniziata negli anni Settanta, la raccolta è conservata negli archivi nazionali; vedi<br />

www.archives.gov/foia/ufos.html.<br />

7 PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, p. 17: «<strong>La</strong> ricognizione ad alta quota sull’Unione Sovietica non<br />

si accordava alla percezione che Allen Dulles aveva del ruolo dei servizi segreti. Egli tendeva a favorire la forma classica di<br />

spionaggio, la quale si basava sul lavoro degli agenti invece che sulla tecnologia». <strong>La</strong> predilezione di Allen Dulles a<br />

lavorare con ex nazisti è diventata sempre più chiara e imbarazzante con il passare del tempo, man mano che i fascicoli<br />

dell’operazione Paperclip venivano lentamente declassificati. L’ultima riga della sua biografia di tre pagine redatta dalla<br />

CIA, Secret Security Information: Subject Allen W. Dulles 7/2-127, recita: «Comunque sia, nel periodo postbellico<br />

l’atteggiamento americano nei confronti della Germania è stato influenzato direttamente e profondamente dal SIG.


DULLES. Egli ha più fiducia nei tedeschi che, ad esempio, nei francesi e negli italiani».<br />

8 Memorandum interno, governo degli Stati Uniti, A: Assistente del direttore ad interim della Scientific Intelligence<br />

(intelligence scientifica), Da: Todos Odarenko, capo, Physics and Electronic Division (divisione di fisica ed elettronica, SI,<br />

oggetto, stato attuale dei progetti sugli oggetti volanti non identificati (UFOB), 17 dicembre 1953.<br />

9 Weiner, CIA, pp. 18, 72, 114, 130.<br />

10 Si tratta di una mia fondata ipotesi che si basa sulle interviste all’ingegnere della EG&G e sulla mia interpretazione<br />

del ruolo di Bedell Smith, in particolare con James Forrestal, segretario alla marina durante la guerra e primo segretario<br />

alla Difesa della nazione, che si suicidò il 22 maggio 1949.<br />

11 Centro della CIA per lo studio dell’intelligence, direttori e vicedirettori della CIA, Walter Smith, generale, esercito<br />

degli Stati Uniti.<br />

12 National Archives Records Administration, RG 338, Box 27, sezione G-2, quartier generale della 1 a armata,<br />

Governors Island, New York, 4, New York, fascicoli del caso.<br />

13 Esistono numerosi documenti della CIA, declassificati a partire dal 1996, su cui baso la mia interpretazione<br />

dell’atteggiamento del generale Bedell Smith nei confronti degli UFO nel periodo in cui diresse l’agenzia. Tutte le citazioni<br />

provengono da questi documenti: Central Intelligence Agency, Washington 25, DC ufficio del direttore, ER-3-2809,<br />

memorandum per il direttore, Psychology Strategy Board, oggetto dischi volanti, 2 pagine, firmato Walter B. Smith<br />

direttore, non datato; memorandum per il fascicolo OSI, incontro del consiglio consultivo dell’OSI sugli UFO, dal 14 al 17<br />

gennaio 1953, 3 pagine; Scientific Advisory Panel (Comitato consultivo scientifico) sugli oggetti volanti non identificati, 14-<br />

17 gennaio 1953, prove presentate, 2 pagine; Scientific Advisory Panel della CIA sugli oggetti volanti non identificati,<br />

commenti e suggerimenti del comitato UFO, 19 pagine; minute del capodivisione dell’incontro dell’11 agosto 1952, 3<br />

pagine; memorandum per il direttore della Central Intelligence, dal vicedirettore, intelligence, oggetto dischi volanti,<br />

datato 7 settembre 1952, 5 pagine.<br />

14 www.crystalinks.com/ufohistory.html.<br />

15 Memorandum, Scientific Advisory Panel della CIA sugli oggetti volanti non identificati, commenti e suggerimenti del<br />

comitato UFO, p. 10. «Potenziali pericoli collegati. Tendenza dell’opinione pubblica all’isteria di massa e maggiore<br />

vulnerabilità a una possibile guerra psicologica del nemico.»<br />

16 HAINES, CIA’s Role, p. 72.<br />

17 H.B. DARRACH E ROBERT GINNA, Have We Visitors from Space?, «Life», 7 aprile 1952.<br />

18 Haines, CIA’s Role, pp. 67-68.<br />

19 Progetto Twinkle, rapporto finale, 27 novembre 19<strong>51</strong>.<br />

20 Intervista a Stanton Friedman.<br />

21 US Air Force Air Materiel Command, Unidentified Aerial Objects; Project SIGN.<br />

22 Minutes of the Meeting of Civilian Saucer Investigations.<br />

23 NEUFELD, Von Braun, p. 206.<br />

24 Ivi, pp. 216-222.<br />

25 Memorandum dell’ufficio della CIA all’assistente per le operazioni, OSI, dal capo della Contact Division, CO, data: 9<br />

febbraio 1953, oggetto Comitato della California per la Saucer Investigations.<br />

26 Valutazione della Special National Intelligence 100-2-57, n. 19, Capacità sovietiche di inganno, sottoposta dal<br />

direttore della Central Intelligence, 16 pagine. Basata sulle raccomandazioni fatte dal Technical Capabilities Panel,<br />

presieduto dal dottor Killian, la raccomandazione dice: «Dobbiamo esaminare i dati dell’intelligence più estesamente,<br />

oppure inventare qualche nuova tecnica, per scoprire gli imbrogli».<br />

27 ODARENKO, Memorandum interno, 8 agosto 1955.<br />

28 Lettera dal direttore della Central Intelligence Agency Allen Dulles al membro del Congresso Gordon Scherer, 4<br />

ottobre 1955, ER-7-4372A.<br />

Capitolo 5<br />

1 Interviste: colonnello Slater, Hervey Stockman, Ken Collins, Frank Murray, Tony Bevacqua, colonnello Pizzo, Edward<br />

Lovick, Ray Goudey.<br />

2 Corrispondenza con Cargill Hall. <strong>La</strong> Federation of American Scientists (Federazione degli scienziati americani) fornisce


una Central Intelligence Directive non classificata dal 1995 all’indirizzo: www.fas.org/irp/offdocs/dcd1-19.<br />

3 WELZENBACH, Science and Technology, p. 16.<br />

4 Intervista al colonnello Slater.<br />

5 Intervista a Hervey Stockman. In questa parte vi sono altri passi la cui fonte è Stockman e che sono tratti dalla sua<br />

avvincente storia orale, un progetto avviato da suo figlio Peter Stockman il cui risultato è Conversazioni con il colonnello<br />

Hervey G. Stockman, a cura di Ann Paden e Earl Haney (non pubblicato).<br />

6 Interviste a Ken Collins, Frank Murray, Tony Bevacqua e Hervey Stockman.<br />

7 BRZEZINSKI, Red Moon Rising, pp. 22-23, 26-30, 39-44, 98, 102; HARFORD, Korolëv, pp. 77-80, 93, 95, 117.<br />

Chiamato anche Istituto di ricerca scientifica-88, che comprendeva l’ex NII-1, da Stalin il 13 maggio 1946.<br />

8 HARFORD, Korolëv, p. 1.<br />

9 Ivi, p. 93. Harford cita il biografo russo di Korolëv, Gyorgi Vetrov, il quale dice a proposito della radicale<br />

trasformazione dell’NII-88: «Nessuno sospettava che l’impianto fosse destinato a diventare la base produttiva per<br />

tecnologie tanto complesse e problematiche come razzi e veicoli spaziali per viaggiare verso altri pianeti».<br />

10 Ivi, p. 75. Oltre ai memorandum dei servizi segreti militari del CIC che ho citato in precedenza riguardo a Fritz<br />

Wendel, Harford ha scritto che: «Forse qualcosa come cinquemila tedeschi specializzati […] furono letteralmente rapiti<br />

insieme alle loro famiglie e caricati su treni, vagoni merci e camion per essere portati a lavorare in località fuori Mosca».<br />

11 GOODMAN, Spying on the Nuclear Bear, p. 177.<br />

12 BRZEZINSKI, Red Moon Rising, p. 81.<br />

13 Ivi, p. 25. <strong>La</strong> documentazione relativa a questi voli artici è tuttora classificata. Si occupano delle missioni BURROWS,<br />

By Any Means Necessary, pp. 208-215, e BAMFORD, L’orecchio di Dio, pp. 44-45. <strong>La</strong> National Security Agency fu uno<br />

degli sponsor di molte missioni ELINT.<br />

14 Intervista al colonnello Sam Pizzo.<br />

15 CIA Staff, Analysis of the Soviet Union 1947-1999, p. 27.<br />

16 Memorandum top-secret della conferenza con il presidente, 8 luglio 1959. Davanti a Dulles e Bissell, anch’essi<br />

presenti all’incontro, il generale di brigata dell’USAF A.J. Goodpaster osservò: «Al presidente rimane il dubbio se stiamo<br />

arrivando al punto in cui dovremo decidere se cerchiamo di prepararci a combattere una guerra o se cerchiamo di<br />

evitarla». Office of the Staff Secretary, Subject Series, Alphabetical Subseries, Box 15, Intelligence Matters.<br />

17 Intervista fatta da Theodore A. Wilson e Richard D. McKinzie a Richard Bissell Jr, East Hartford, Connecticut, 9 luglio<br />

1971.<br />

18 ORLOV, The U-2 Program, pp. 5-14.<br />

19 Ivi, p. 7.<br />

20 Ibid.; BRZEZINSKI, Red Moon Rising, pp. 124-135.<br />

21 Intervista a Hervey Stockman.<br />

22 P. TAUBMAN, Secret Empire, p. 167.<br />

23 Nella nostra intervista Stockman disse anche: «Quella era una solida prova che quanto molti pensavano, ovvero che<br />

l’Unione Sovietica avesse questa flotta gigantesca e potentissima di bombardieri strategici, non era vero».<br />

24 Declassificato nel 2000, il memorandum è denominato Memorandum Top-secret per: direttore del progetto,<br />

oggetto: Impressioni sul valore di Aquatone per l’intelligence, 17 luglio 1956. Dopo quello di Hervey Stockman furono<br />

compiuti altri tre voli con l’U-2. Il 10 luglio 1956 l’Unione Sovietica emanò una nota di protesta. Il memorandum di Miller<br />

sintetizza il valore in termini di intelligence dei voli dell’U-2 per il presidente e argomenta che il pericolo di interromperli è<br />

molto maggiore rispetto a quello di farli continuare.<br />

25 TAUBMAN, Khrushchev, p. 443.<br />

26 PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, p. 110. Inoltre, il presidente osservò che se i russi avessero<br />

compiuto questo genere di incursioni nello spazio aereo degli Stati Uniti «la reazione sarebbe drastica». Vedi anche<br />

Andrew J. Goodpaster, memorandum sul resoconto, 19 luglio 1956. Il presidente espresse la preoccupazione che se<br />

l’opinione pubblica fosse venuta a sapere dei voli, sarebbe rimasta scioccata. «Le proteste dei sovietici sono una cosa, la<br />

perdita di fiducia da parte del popolo tutt’altra.»<br />

27 Intervista a Edward Lovick.<br />

28 Ibid.


29 PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, p. 77.<br />

30 Intervista a Tony Bevacqua.<br />

31 HUNT, Secret Agenda, pp. 10, 16, 19, 21. Hunt ha scritto che durante la guerra il tenente generale Donald «Putt<br />

riunì i tedeschi e, <strong>senza</strong> l’approvazione dei gradi più alti del dipartimento della Guerra, promise loro un lavoro alla base<br />

aerea di Wright», informazioni provenienti dalla sua intervista al tenente generale Putt; Report on Events and Conditions<br />

Which Occurred During Procurement of Foreign Technical Men for Work in the USA, 25 settembre 1945, dipartimento<br />

dell’Aeronautica, storia della partecipazione dell’AAF al progetto Paperclip, appendice, maggio 1945-marzo 1947.<br />

32 BOWER, Paperclip Conspiracy, pp. 214-323.<br />

33 Nel capitolo 5 del suo Secret Agenda, intitolato «Esperimenti sulla morte», Linda Hunt dà conto di parecchi scienziati<br />

nazisti che parteciparono all’operazione Paperclip. Siegfried Ruff e Hermann Becker-Freyseng condussero esperimenti di<br />

morte sui prigionieri di Dachau, mettendoli in una camera pressurizzata che simulava quote fino a dodicimila metri.<br />

«L’esercito statunitense considerava ancora Ruff e Becker-Freyseng persone di valore, nonostante il loro legame con<br />

questi crimini. Furono persino impiegati con la copertura di Paperclip [al centro medico aereo dell’AAF di Heidelberg,<br />

Germania] per continuare lo stesso genere di ricerche che aveva portato alla morte dei prigionieri di Dachau» ha scritto<br />

Hunt. Ruff e Becker-Freyseng non ottennero mai un impiego permanente con l’operazione Paperclip; alla fine entrambi<br />

furono arrestati e processati a Norimberga. Ruff fu assolto, Becker-Freyseng condannato a vent’anni di prigione. Un altro<br />

caso notevole è quello di Konrad Schäfer. In un tentativo di studiare se i piloti della Luftwaffe potessero sopravvivere<br />

bevendo acqua di mare, Schäfer costringeva i prigionieri a bere acqua salata finché impazzivano per la sete. Dopodiché<br />

inseriva loro un ago nel fegato per prelevare fluidi e sangue. Schäfer venne processato a Norimberga e assolto, e a quel<br />

punto gli Stati Uniti lo ammisero all’operazione Paperclip. «Quando arrivò a San Antonio, nel 1950» ha scritto Hunt «fu<br />

presentato come “la massima autorità tedesca nel campo della sete e della desalinizzazione dell’acqua di mare”.»<br />

34 PAULINE JELINEK, US Releases Nazi Papers, Associated Press, 2 novembre 1999. Ma in realtà questo numero è<br />

solo un’ipotesi, dal momento che i documenti possono essere nascosti all’interno di agenzie ancora classificate (com’è<br />

accaduto nel caso del National Reconnaissance Office dal 1961 al 1992); Nazi War Crimes and Japanese Imperial<br />

Government Records, aprile 2007. Nel 1998 il presidente Clinton firmò il Nazi War Crimes Disclosure Act (Legge per la<br />

rivelazione dei crimini di guerra nazisti), il quale «chiedeva al governo degli Stati Uniti di localizzare, declassificare e<br />

rendere pubblici nella loro interezza, con poche eccezioni, i documenti ancora classificati riguardo ai crimini di guerra<br />

commessi dai nazisti tedeschi e dai loro alleati». Fu creato un gruppo di lavoro trasversale alle diverse agenzie per<br />

supervisionare l’attività. Steven Garfinkel, presidente di questo sforzo durato cinque anni, ha scritto: «Il gruppo di lavoro<br />

ha garantito che il pubblico abbia finalmente accesso alla totalità dei fascicoli operativi dell’Office of Strategic Services<br />

(OSS), per un ammontare di un milione e 200.000 pagine; a oltre 114.000 pagine di materiali della CIA; a oltre 435.000<br />

pagine di fascicoli dell’FBI; a 20.000 pagine dei documenti dell’Army Counterintelligence Corps [Corpo di controspionaggio<br />

dell’esercito]; e a oltre sette milioni di pagine aggiuntive di documenti». Garfinkel non fa alcun cenno a fascicoli<br />

dell’Atomic Energy Commission o a quelli dei fornitori privati all’interno dell’AEC, come la EG&G, che controlla documenti<br />

classificati come Restricted Data (dati riservati).<br />

35 Intervista a Tony Bevacqua.<br />

36 Disponibili al pubblico all’Edgerton Center del MIT, 77 Massachusetts Avenue, stanza 4-405, a Cambridge,<br />

Massachusetts, e online sul sito edgerton.org; Grundberg, H.E. Edgerton, 86, Dies, Invented Electronic Flash, «New York<br />

Times», 5 gennaio 1990.<br />

37 JOAN COOK, Kenneth Germeshausen, 83, Dies; Was Nuclear and Radar Pioneer, «New York Times», 21 agosto<br />

1990. Le informazioni su Germeshausen provengono anche dal Kenneth J. Germeshausen Center for the <strong>La</strong>w of<br />

Innovation and Entrepreneurship del Franklin Pierce <strong>La</strong>w Center; archivi del MIT; interviste dell’autrice a Al O’Donnell e Jim<br />

Freedman.<br />

38 Interviste agli ex impiegati della EG&G Al O’Donnell, Jim Freedman, Wayne Pendleton, T.D. Barnes e altri.<br />

39 PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, p. 130. È interessante anche notare che nelle note a piè<br />

pagina di questa monografia dedicata alla CIA, la fonte delle informazioni riguardanti l’ubicazione della base radar della<br />

EG&G è <strong>censu</strong>rata; si dice solo che provengono dai documenti dell’Office of Special Activity (Ufficio delle attività speciali,<br />

OSA). Richieste scritte alla CIA sono state respinte.<br />

40 Tra i piloti che vivevano all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> nacque un dibattito sulla causa dell’incidente di Sieker. Tony Bevacqua e Ray<br />

Goudey mi hanno detto di essere convinti che si fosse trattato di un errore del pilota. Secondo loro, tutti sapevano che<br />

Sieker si apriva la maschera per mangiare barrette dolci durante il volo. Bevacqua pilotò un “uccello sporco” e sopravvisse<br />

per raccontarlo. Molte di queste missioni avvenivano sopra l’Asia. Lovick rimane convinto che la causa del<br />

surriscaldamento dell’aereo sia stata la vernice del “gruppo di Boston”.


41 KILLIAN, Sputnik, Scientists, and Eisenhower, p. 7.<br />

42 WELZENBACH, Science and Technology, p. 18. «Killian aveva fiducia in Bissell. Tra i due esisteva un rapporto<br />

speciale fin dal 1942.»<br />

43 Memorandum top-secret della conferenza con il presidente, 20 luglio 1959. «Avrebbe avuto un’area equivalente<br />

radar così piccola che le probabilità di essere individuato e seguito dal nemico sarebbero state bassissime. Avrebbe avuto<br />

una portata di 6.400 chilometri a Mach 4, a 27.400 metri di quota.» Office of the Staff Secretary, Subject Series,<br />

Alphabetical Subseries, Box 15, Intelligence Matters.<br />

44 <strong>La</strong> risposta di Eisenhower allo Sputnik fu l’Advanced Research Projects Agency (ARPA), «un’organizzazione di difesa<br />

di alto livello per formulare e mettere in atto progetti di ricerca e sviluppo che avrebbero ampliato le frontiere della<br />

tecnologia oltre le richieste immediate e particolari dei Military Services [Servizi militari] e dei loro laboratori». Nel 1972<br />

l’ARPA divenne DARPA. <strong>La</strong> “D” significa “difesa”.<br />

Capitolo 6<br />

1 Interviste: Richard Mingus, Al O’Donnell, Jim Freedman, dottor Wheelon, Troy Wade, Darwin Morgan, Stephen M.<br />

Younger.<br />

2 Defense Threat Reduction Agency, scheda, operazione Plumbbob: «Operazione Plumbbob, la sesta serie di test<br />

nucleari in atmosfera condotta negli Stati Uniti continentali, consistette in ventiquattro detonazioni nucleari e sei test di<br />

sicurezza. <strong>La</strong> serie Plumbbob durò dal 24 aprile al 7 ottobre 1957 e coinvolse circa quattordicimila addetti del dipartimento<br />

della Difesa».<br />

3 Atomic Energy Commission, sommario del Progetto 57, il primo test di sicurezza dell’operazione Plumbbob, rapporto<br />

al direttore generale del direttore, divisione della Military Application, p. 24.<br />

4 Ref. Sym <strong>51</strong>12-(127), appendice A, rapporto della commissione amministrativa, J.D. Shreve Jr, Sandia Corporation<br />

(sette pagine, nessuna data), p. 5.<br />

5 Operazione Plumbbob, rapporto riassuntivo, Test Group 57, Nevada Test Site, versione sintetica, maggio-ottobre<br />

1957, ITR-1<strong>51</strong>5 (versione sintetica), p. 17.<br />

6 Minute, primo meeting generale, 57 Project, 18 gennaio 1957, alla Sandia Corporation, Ref. Sym <strong>51</strong>12-(127),<br />

declassificata l’8 settembre 1983.<br />

7 Memorandum datato 12 aprile 1957, LAV-57-33 Atomic Energy Commission, <strong>La</strong>s Vegas Branch, ufficio del<br />

capodivisione; vedi anche esperimenti di sicurezza, novembre 1955-marzo 1958, Defense Nuclear Agency, test in<br />

atmosfera di armi nucleari degli Stati Uniti, relazione sul personale addetto al test nucleare, rapporto numero DNA 6030.<br />

8 Stazione di esperimenti agricoli dell’università del Tennessee, Knoxville, 30 novembre 1943, n. 404942, fratelli<br />

Stewart, <strong>La</strong>s Vegas, Nevada. Per gentile concessione di Joe Sanders dell’AEC, pp. 1-5.<br />

9 Memorandum al dottor W.S. Johnson, caposezione, sezione operazioni dei test, università della California, laboratorio<br />

scientifico di Los Alamos, New Mexico, 20 ottobre 1953, n. 4049641.<br />

10 Colonnello E.A. Blue, DMA (Dipartimento degli affari militari)/AEC; J.D. Shreve Jr, SC (Consulente), W. Allaire, ALO<br />

(Ufficiale di collegamento dell’aeronautica), M. Cowan (SC) avevano tutti ispezionato l’area dall’alto su un aereo speciale<br />

prima del 18 gennaio.<br />

11 Ref. Sym <strong>51</strong>12-(127), appendice A, rapporto della commissione amministrativa, J.D. Shreve Jr, Sandia Corporation<br />

(sette pagine, nessuna data).<br />

12 Ivi, p. 6.<br />

13 Intervista a Richard Mingus.<br />

14 Operazione Plumbbob, rapporto riassuntivo, Test Group 57, Nevada Test Site, versione sintetica, maggio-ottobre<br />

1957, ITR-1<strong>51</strong>5 (versione sintetica), 85 pagine.<br />

15 Le informazioni generali sono tratte da BUCK, History of the Atomic Energy Commission; O’KEEFE, Nuclear<br />

Hostages; FEHNER E GOSLING, Battlefield of the Cold War.<br />

16 FEHNER E GOSLING, Origins of the Nevada Test Site, p. 39.<br />

17 Ivi, pp. 46-47.<br />

18 Storia dell’Air Force Special Weapons Center 1° gennaio-30 giugno 1957, dipartimento della Difesa, DNA 1.<br />

950210.019, declassificato con cancellature il 2 febbraio 1995.


19 BUGHER, Revisione del progetto Nutmeg, n. 404131.<br />

20 Fehner e Gosling, Battlefield of the Cold War, p. 37.<br />

21 Intervista al dottor Bud Wheelon; vedi anche Nevada Test Organization, informazioni generali sui test nucleari in<br />

Nevada, ufficio informazioni sui test, 15 luglio 1957, n. 403243, p. 25.<br />

22 Serie di Plumbbob 1957, rapporto tecnico, Defense Nuclear Agency 6005F, DARE Tracking 48584, pp. 60-75.<br />

23 Intervista a Richard Mingus.<br />

24 Esperimenti di sicurezza, novembre 1955-marzo 1958, Defense Nuclear Agency, test in atmosfera di armi nucleari<br />

degli Stati Uniti, relazione sul personale addetto al test nucleare, rapporto numero DNA 6030.<br />

25 Ref. Sym <strong>51</strong>12-(127) appendice B, rapporto della commissione fisica delle particelle, M. Cowan, Sandia Corporation<br />

Presiding (nove pagine, nessuna data). Questo documento si riferisce a diversi obiettivi del programma sulla fisica delle<br />

particelle, un “approccio sperimentale” alla raccolta del fallout, “precipitatori su palloni”, analizzatori di campioni d’aria sul<br />

terreno, raccolta di contenitori di fallout. Descriveva come «nel raggio d’azione del fallout saranno costruite alcune piccole<br />

baracche di compensato con finestre e porte aperte. All’interno delle strutture verranno misurati i livelli di contaminazione<br />

delle superfici e dell’aria e paragonati ai rilievi fatti all’esterno».<br />

26 Serie di Plumbbob 1957, rapporto tecnico, Defense Nuclear Agency 6005F, DARE Tracking 48584, pp. 60-75, 316.<br />

27 Telex TWX 01A 2008242, da Reeves attenzione gen AD Starbird, 20 apr 1957 3.39 AM; vedi anche Fattibilità del<br />

lancio di armi da palloni liberi, OSTI ID: 10150708; lascito ID: DE98056381, 34 pagine.<br />

28 Operazione Plumbbob, rapporto riassuntivo, Test Group 57, Nevada Test Site, versione sintetica, maggio-ottobre<br />

1957, ITR-1<strong>51</strong>5 (versione sintetica). Sandia Corporation, Albuquerque, NM, 10 ottobre 1958.<br />

29 Ivi, p. 56 (6.1., osservazioni meteorologiche).<br />

30 Nel giugno del 1982, la Sandia Corporation produsse un rapporto sintetico di 102 pagine sui risultati della sua bomba<br />

sporca o studio degli effetti della contaminazione da plutonio del Progetto 57 per il direttore della Defense Nuclear<br />

Angency, al posto di una proposta di pulizia dell’<strong>Area</strong> 13 (vedi capitolo 18). Le informazioni del presente capitolo<br />

provengono da parti di questo studio sintetico.<br />

31 Il documento completo, ancora classificato, preparato originariamente dalla Sandia Corporation di Albuquerque, New<br />

Mexico, nell’ottobre del 1958, è denominato ITR-1<strong>51</strong>5.<br />

32 Ivi, p. 17 (Motivazioni e obiettivi, 1.1 riassunto storico). Il testo dice: «L’inalazione è un meccanismo<br />

completamente diverso e presenta una notevole minaccia. Qualunque particella abbastanza piccola da raggiungere il<br />

tratto inferiore dell’apparato respiratorio ha parecchie possibilità di aderire alla superficie alveolare e rimanervi provocando<br />

danni da radiazioni».<br />

33 Ivi, p. 7 (Introduzione, riassunto).<br />

34 Le citazioni nelle due pagine seguenti, come pure le citazioni tratte dei quotidiani, provengono da una grande<br />

emeroteca che si trova nella sala di lettura della biblioteca dell’Atomic Testing Museum di <strong>La</strong>s Vegas, Nevada.<br />

35 FEHNER E GOSLING, Battlefield of the Cold War, pp. 159-182.<br />

36 Intervista a Richard Mingus.<br />

37 DNA 6005F, serie Plumbbob 1957, test in atmosfera di armi nucleari degli Stati Uniti, relazione sul personale addetto<br />

al test nucleare, capitolo 4, programmi di esercitazione Desert Rock VII e VIII, pp. 81, 96.<br />

38 Memorandum, membri della commissione consultiva sugli esperimenti radioattivi sull’uomo, 8 settembre 1994,<br />

Esperimenti sull’uomo in connessione ai test della bomba atomica, allegato 5, punto 10.<br />

39 Durante il test di Hood, il corpo dei marines condusse manovre di assalto coordinate terra-aria che coinvolsero<br />

elicotteri e supporto aereo tattico; Esercitazioni Desert Rock VII-VIII, Operazione Plumbbob, Defense Nuclear Agency,<br />

4747F.<br />

40 Intervista a Richard Mingus.<br />

41 Intervista a Richard Mingus; vedi anche memorandum interno, governo degli Stati Uniti, danni osservati a<br />

Watertown, Nevada, in seguito alla sesta esplosione nucleare di Plumbbob, 9 luglio 1957. R.A. Gilmore, Off-Site Rad-Safe,<br />

NTO, n. 0150371.<br />

Capitolo 7


1 Interviste: T.D. Barnes, Peter Merlin, Al O’Donnell, Richard Mingus, Jim Freedman, Ed Lovick, Tony Bevacqua, Ray<br />

Goudey, Ernie Williams, Harry Martin, colonnello Slater, Frank Murray.<br />

2 Intervista a T.D. Barnes; progetti e rapporti dell’operazione Plumbbob: programma 2, progetto 2.2., attività indotte<br />

dai neutroni negli elementi del suolo WT-1411; progetto 2.5 intensità iniziale delle radiazioni gamma e indotte dai neutroni<br />

nel suolo dell’NTS WT-1411.<br />

3 Fotografie viste alla biblioteca dell’Atomic Testing Museum, <strong>La</strong>s Vegas.<br />

4 DNA 6005F, serie Plumbbob 1957, test in atmosfera di armi nucleari degli Stati Uniti, relazione sul personale addetto<br />

al test nucleare, capitolo 4, programmi di esercitazione Desert Rock VII e VIII, gruppo test effetti civili, studi sul fallout,<br />

pp. 204-247; rapporto della ricerca e sviluppo dell’AEC BNWL-481-1, 113 pagine.<br />

5 McPhee, The Curve of Binding Energy, pp. 166-167.<br />

6 Newsletter di Roadrunners Internationale, 1° agosto 2009, 34 a edizione. Dal diario personale di Dan Sheahan,<br />

proprietario e gestore della Groom Mine, fornito a Roadrunners Internationale dalla pronipote Lisa Heawood.<br />

7 Interviste ad Al O’Donnell, Richard Mingus e Jim Freedman. Si profilava all’orizzonte una moratoria per la messa al<br />

bando dei test, sicché tutti i test di armi furono programmati in modo da finire il 31 ottobre 1958. Al poligono, gli<br />

ingegneri lavorarono a ritmo frenetico per portare a termine quanti più test nucleare possibile prima della scadenza.<br />

8 Un testimone anonimo mi ha raccontato l’orrore di guardare un cavallo moribondo che cercava acqua all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

L’AEC non ha mai declassificato le sue osservazioni sugli animali, che da quel che capisco furono condotte in modo<br />

esteso. In un documento dell’AEC reso accessibile al pubblico il 15 luglio 1957 e intitolato Responsibility for US Nuclear<br />

Weapons Programs (Responsabilità dei programmi di armi nucleari degli Stati Uniti), in una sezione denominata Operating<br />

Controls (Controlli operativi), si afferma che «il bestiame e i cavalli che pascolavano in un raggio di qualche chilometro<br />

dalla detonazione mostravano profonde ustioni sulla pelle causate dalle radiazioni beta (serie del 1952 e del 1953) prive di<br />

effetto sul loro valore riproduttivo e sulla qualità della carne. Il fallout radioattivo a più di qualche chilometro dalla<br />

detonazione si è rivelato innocuo per gli uomini, gli animali o le coltivazioni». In The Day We Bombed Utah, John G. Fuller<br />

presenta un’argomentazione opposta.<br />

9 Intervista a Peter Merlin.<br />

10 Intervista a Edward Lovick.<br />

11 Prima di lavorare sull’A-12, il primo impiego di Lovick agli Skunk Works era consistito nel cercare di ridurre gli echi<br />

radar riflessi dall’U-2 ai sistemi di rilevamento sovietici. Con l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> ancora devastata dal fallout atomico, il fisico lavorò<br />

in un remoto hangar situato all’estremità settentrionale della base dell’aeronautica di Edwards, in California. Qui Lovick e i<br />

suoi colleghi avevano passato ore a escogitare trucchi antiradar: «Dovevamo inventare qualcosa che non avrebbe<br />

compromesso l’altitudine dell’aereo né causato il surriscaldamento del sistema idraulico com’era accaduto nel caso di<br />

Sieker. Kelly Johnson aveva una regola: mezzo chilo di peso in più sull’aereo e la sua quota si sarebbe ridotta di trenta<br />

centimetri. Questo significava che la vernice mimetica non doveva essere più spessa di sei millimetri e pesare il meno<br />

possibile».<br />

12 Interviste a Ed Lovick, dottor Wheelon, T.D. Barnes. Altre agenzie federali stavano sperimentando segretamente<br />

aerei supersonici, ma nessuno in grado di raggiungere Mach 3. L’aeronautica militare, la NASA e la marina erano<br />

impegnate nell’X-15 sperimentale, un aereo ipersonico che avrebbe costituito la base da cui si sarebbe sviluppato il volo<br />

nello spazio. Ma l’X-15 era lanciato da un aereo madre, mentre il nuovo velivolo dell’agenzia sarebbe decollato e atterrato<br />

autonomamente.<br />

13 PEEBLES, Dark Eagles, p. <strong>51</strong>.<br />

14 Intervista al dottor Wheelon.<br />

15 JONES, The Wizard War.<br />

16 ROBARGE, Archangel-1, pp. 4-5.<br />

17 Ivi, p. 6.<br />

18 JOHNSON, History of the Oxcart Program, p. 5.<br />

19 Test nucleari degli Stati Uniti dal luglio 1945 al settembre 1992 DOE/BV-209-REV 15, p. 144.<br />

20 Intervista a Lovick.<br />

21 RICH E JANOS, Skunk Works, p. 198.<br />

22 JOHNSON, History of the Oxcart Program, p. 4. Johnson ha scritto: «Proponemmo di usare come additivo del<br />

carburante il cesio. L’idea fu avanzata per la prima volta dal signor Ed Lovick dell’ADP [Advanced Development Plan] e la


messa a punto fu poi affidata alla P&W». Lovick ricorda di essersi recato al centro di ricerca della Pratt & Whitney in<br />

Florida dove venivano provati i motori dell’aereo.<br />

23 Documento CIA EO 12958 3.3(b) dati di Oxcart: specifiche dell’A-12; registrazione dell’esperienza con l’A-12 (fatta il<br />

10 luglio 1967). Si noti che nel novembre del 1961 l’aereo razzo X-15 volava a Mach 6, o 7.150 chilometri orari. All’epoca<br />

di questa riunione, la CIA era convinta di star costruendo l’aeroplano più veloce del mondo, il che tecnicamente era così,<br />

dato che l’X-15 non decollava autonomamente. Dalle interviste con T.D. Barnes, che lavorò a entrambi i progetti.<br />

24 PARANGOSKY, The Oxcart Story, p. 3. Il contratto fu firmato ufficialmente l’11 febbraio 1960.<br />

25 Intervista a Ernie Williams.<br />

26 Intervista a Harry Martin; PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, pp. 25-26.<br />

27 Intervista a Harry Martin.<br />

28 Intervista al colonnello Slater.<br />

29 Intervista a Frank Murray.<br />

30 Intervista al colonnello Slater.<br />

31 Interviste al dottor Wheelon e al colonnello Slater.<br />

32 Intervista a Ed Lovick.<br />

33 Memorandum della CIA, S. Varentsov, maresciallo capo, URSS, Il problema del combattimento con i mezzi nucleari<br />

del nemico e la sua soluzione, agosto 1961.<br />

34 Interviste al dottor Wheelon, Ed Lovick, T.D. Barnes.<br />

Capitolo 8<br />

1 Interviste: Gary Powers Jr, T.D. Barnes, dottor Wheelon, Jim Freedman, Gene Poteat, Helen Kleyla (segretaria di<br />

Richard Bissell per molto tempo, intervistata via corrispondenza scritta).<br />

2 POWERS, Operation Overflight, p. 75.<br />

3 Rapporto della CIA sui test di vulnerabilità dell’U-2, aprile 1960, Eisenhower Archives, Office of Secretary Staff,<br />

Subject Series, Alphabetical Subseries, box 15, Intelligence Matters. Memorandum: Obiettivi ICBM – Gli Urali e Tyura<br />

Tam, «Sverdlosk negli Urali è il luogo più probabile dell’ubicazione di un’importante fabbrica di ICBM». In questo fascicolo<br />

sono presenti notevoli mappe a colori del volo dell’U-2.<br />

4 HARFORD, Korolëv, p. 112. «Gli R-7 e gli R-7A erano costruiti solo in due rampe di lancio a Baikonur e, alla fine, in<br />

quattro a Plesetsk, un centro di lancio operativo dal 1959 […] Presto Plesetsk divenne la più attiva delle tre installazioni<br />

missilistiche sovietiche, con la responsabilità di mandare in orbita satelliti da ricongnizione e altri satelliti militari».<br />

5 BRUGIONI, Eyeball to Eyeball, p. 185.<br />

6 POWERS, Operation Overflight, p. 69.<br />

7 Ibid.<br />

8 TAUBMAN, Khrushchev, p. 443.<br />

9 CHRUŠCËV, Kruscev ricorda, p. 444. «Sverdlovsk fu una penetrazione in profondità del nostro territorio e perciò una<br />

violazione particolarmente arrogante […] Stavano compiendo quei voli per dimostrare la nostra impotenza. Be’, non<br />

eravamo più impotenti.»<br />

10 ORLOV, The U-2 Program, p. 10.<br />

11 HOFFMAN, The Dead Hand, p. 119.<br />

12 BRUGIONI, Eyeball to Eyeball, p. 43.<br />

13 ORLOV, The U-2 Program, p. 11.<br />

14 POWERS, Operation Overflight, p. 83.<br />

15 JACK ANDERSON, US Heard Russians Chasing U-2, «Washington Post», 12 maggio 1960.<br />

16 BAMFORD, L’orecchio di Dio, p. 56.<br />

17 RICHELSON, The Wizards of <strong>La</strong>ngley, p. 18.<br />

18 POWERS, Operation Overflight, p. 91.


19 BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, pp. 121-122.<br />

20 Dipartimento di stato, per la stampa, n. 249, 6 maggio 1960; dipartimento di stato, per la stampa, n. 254, 9<br />

maggio 1960.<br />

21 Telegramma in entrata, dipartimento di stato, controllo 6700, 10 maggio 1960.<br />

22 W. TAUBMAN, Khrushchev, 455-458.<br />

23 P. TAUBMAN, Secret Empire, p. 396.<br />

24 BAMFORD, L’orecchio di Dio, pp. 59-61. «Per Eisenhower, l’intera faccenda si stava rapidamente trasformando in<br />

una tortura cinese. Ogni giorno era costretto a portare alla luce un pezzetto di verità.»<br />

25 BRUGIONI, Eyeball to Eyeball, p. 49.<br />

26 Ivi, p. 55.<br />

27 Dall’Avana a Washington ci sono 1.800 chilometri. Nel 1960 un missile russo viaggiava a una velocità di circa Mach<br />

3,5.<br />

28 Rapporto sulla conclusione del processo di Powers, URSS, Affari internazionali, 22 agosto 1960, approvato per la<br />

pubblicazione nel settembre 1985, 39 pagine.<br />

29 Ivi, RB-6.<br />

30 Ibid.<br />

31 Ivi, RB-20.<br />

32 POWERS, Operation Overflight, p. 114.<br />

33 PARANGOSKY, The Oxcart Story, pp. 6-7.<br />

34 Intervista al dottor Wheelon.<br />

35 Intervista a Peter Merlin.<br />

36 BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, p. 133.<br />

37 PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, pp. 21-22.<br />

38 ROBARGE, Archangel, p. 11.<br />

39 Intervista a Ed Lovick.<br />

40 POTEAT, Engineering and the CIA, p. 24.<br />

41 Intervista a Barnes; curriculum vitae della CIA, 1966, Barnes, Thornton Duard.<br />

42 BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, p. 153.<br />

43 THOMAS, Wayward Spy, p. 36.<br />

44 WEINER, CIA, pp. 148, 258-259.<br />

45 KIRKPATRICK, The Real CIA, capitolo 8; PFEIFFER, CIA’s Official History of the Bay of Pigs; WARNER, CIA’s<br />

International Probe.<br />

46 Intervista a Richard M. Bissell Jr condotta da A. Wilson e Richard D. McKinzie, East Hartford, Connecticut, 9 luglio<br />

1971.<br />

47 BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, p. 176.<br />

48 Ivi, p. 175.<br />

49 Ivi, p. 189. Dall’archivio della National Security: «Tuttavia, i caccia <strong>senza</strong> insegne mancarono l’appuntamento con i<br />

bombardieri, perché la CIA e il Pentagono ignoravano l’esistenza di una differenza di fuso orario tra il Nicaragua e Cuba».<br />

50 Intervista a Jim Freedman.<br />

<strong>51</strong> Biografia di Lyman B. Kirkpatrick, biblioteca della Princeton University, dipartimento dei libri rari e delle collezioni<br />

speciali, biblioteca dei manoscritti Seeley G. Mudd, carte di politica pubblica. Carte di Lyman B. Kirkpatrick, circa 1933-<br />

2000, segnatura MC209.<br />

52 BISSELL, Reflections of a Cold Warrior, p. 193.<br />

Capitolo 9


1 Interviste: Harry Martin, Jim Freedman, T.D. Barnes, Al O’Donnell, Peter Merlin, Millie Meierdierck.<br />

2 Interviste a Jim Freedman, T.D. Barnes, Al O’Donnell.<br />

3 Intervista a Peter Merlin, il quale ha ottenuto copie (abbondantemente <strong>censu</strong>rate) della visita di Kirkpatrick all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

dalla sala di lettura online della CIA (cia.gov). Pare che questi documenti siano poi stati rimossi.<br />

4 ABSHER, Mind-Sets and Missiles, p. 10.<br />

5 Interviste a Peter Merlin, Jim Freedman.<br />

6 Intervista a Richard M. Bissell Jr fatta da Theodore A. Wilson e Richard D. McKinzie, East Hartford, Connecticut, 9<br />

luglio 1971 (Harry S. Truman Library and Museum), www.trumanlibrary.org/oralhist/bissellr.htm.<br />

7 WELZENBACH, Science and Technology, p. 23.<br />

8 Ivi, p. 22.<br />

9 RICHELSON, The Wizards of <strong>La</strong>ngley, pp. 58-60.<br />

10 WELZENBACH, Science and Technology, p. 22.<br />

11 Filmato visionato all’Atomic Testing Museum, <strong>La</strong>s Vegas.<br />

12 HOERLIN, United States High-Altitude Test, p. 43.<br />

13 Si era stabilito che delle stazioni a terra avrebbero misurato le onde acustiche prodotte dalla detonazione di Teak,<br />

ma la bomba esplose oltre undici chilometri a sud del punto previsto e i sistemi di comunicazione smisero di funzionare.<br />

Orange scoppiò 6.400 metri più in alto di quanto programmato e «la deviazione dalla rotta influenzò l’acquisizione dei<br />

dati».<br />

14 Intervista con il colonnello dell’aviazione John Pickering, p. 52. Filmato visionato all’Atomic Testing Museum, <strong>La</strong>s<br />

Vegas.<br />

15 HOERLIN, United States High-Altitude Test, p. 43.<br />

16 Filmato dell’esplosione di Teak visionato alla biblioteca dell’Atomic Testing Museum, <strong>La</strong>s Vegas.<br />

17 Intervista a Al O’Donnell; NEUFELD, Von Braun, p. 332.<br />

18 NEUFELD, Von Braun, p. 127.<br />

19 Rapporto finale informativo relativo ad Argus, 16 aprile 1982. «I test furono condotti in totale segretezza e non<br />

vennero annunciati fino all’anno successivo.»<br />

20 KILLIAN, Sputnik, Scientists and Eisenhower, p. 187.<br />

21 Memorandum della Casa Bianca per il presidente, da J.R. Killian Jr, oggetto: Risultati preliminari dell’esperimento<br />

ARGUS, datato 3 novembre 1958, declassificato il 20 maggio 1977.<br />

22 Sulla lettera c’è scritto “A mano” ed è datata 2 febbraio 1959; è scritta su carta intestata del «New York Times» e<br />

indirizzata al dottor James R. Killian Jr presso la Casa Bianca.<br />

23 Memorandum per il dottor James R. Killian Jr, oggetto: Rilascio di informazioni su ARGUS. Datata 20 gennaio 1959,<br />

firmata Karl G. Harr Jr, assistente particolare del presidente. Fra le altre cose, è interessante notare che alla cancelleria<br />

della Casa Bianca ci si riferiva a Killian chiamandolo “dottore”. Però non lo era; non conseguì mai un dottorato, ma solo<br />

una laurea in Economia. Questo fatto mi è stato confermato dalla bibliotecaria del MIT Jennifer Hirsch. «Il signor Killian si<br />

premurava sempre di ricordare alla gente che non era dottore» mi è stato detto; a quanto parte non si comportava così<br />

alla Casa Bianca.<br />

24 Ammiraglio Parker dell’Armed Forces Special Weapons Project; Defense Technical Information Center Staff,<br />

Defense’s Nuclear Agency 1947-1997, p. 140; Defense Threat Reduction Agency, 2002.<br />

Capitolo 10<br />

1 Interviste a Harry Martin, Louis Schalk, dottor Wheelon, colonnello Slater, Frank Murray, Roger Andersen, Ken Collins.<br />

2 Interviste a Harry Martin.<br />

3 Messaggio classificato, segreto 2135Z 14 maggio 1962, al direttore, OXCART. «Generale Power, generale Compton,<br />

colonnello Montoya e colonnello Geary [<strong>censu</strong>rato], A-12 […] Durante il volo ai visitatori fu mostrato [<strong>censu</strong>rato] […] Kelly<br />

Johnson tornò a <strong>La</strong>s Vegas con il gruppo […] Il generale Power sembrava molto impressionato dal velivolo.»<br />

Declassificato dalla CIA, agosto 2007.


4 Intervista a Louis Schalk.<br />

5 JOHNSON, History of the Oxcart Program, p. 12.<br />

6 RICH, Skunk Works, p. 219.<br />

7 Intervista a Harry Martin.<br />

8 Filmato della CIA, collezione personale di T.D. Barnes.<br />

9 Central Intelligence Agency, Biographic Profile, Albert Dewell Wheelon, 10 maggio 1966, NARA, MRB, RG 263.<br />

10 Central Intelligence Agency, cerimonia di conferimento dell’R.V. Jones Intelligence Award al dottor Albert Wheelon,<br />

13 dicembre 1994.<br />

11 Intervista al dottor Wheelon.<br />

12 MCAULIFFE, CIA Documents on the Cuban Missile Crisis 1962, pp. 1-31.<br />

13 Ivi, p. 37.<br />

14 Ibid.<br />

15 Intervista al dottor Wheelon.<br />

16 Fu un tema ricorrente tra i pianificatori militari per tutti gli anni Sessanta del Novecento.<br />

17 Office of Special Activities DD/S&T Chronological History, 30 agosto 1966, Top-secret, approvato per la<br />

pubblicazione il 5 luglio 2001. «5 ottobre 1962, ultimo volo della CIA sopra Cuba (50 voli in tutto).»<br />

18 BRUGIONI, Eyeball to Eyeball, p. 265.<br />

19 Intervista al dottor Wheelon.<br />

20 RICHELSON, The Wizards of <strong>La</strong>ngley, p. 53.<br />

21 Sito web ufficiale dell’aeronautica militare statunitense, biografia del brigadier generale Jack C. Ledford, andato in<br />

pensione il 1° ottobre 1970; morto il 16 novembre 2007.<br />

22 Questa storia era leggendaria tra gli uomini che lavoravano agli ordini di Ledford all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e l’ho ricavata da<br />

molteplici interviste, tra cui quelle fatte al colonnello Slater e a Frank Murray. Una versione della vicenda si trova sul sito<br />

web dell’Arlington National Cemetery. Il secondo di Ledford, il sergente Harry C. Miller, morì a causa delle ferite riportate<br />

parecchie ore dopo che Ledford e il medico l’avevano tirato fuori dall’aereo.<br />

23 RICHELSON, The Wizards of <strong>La</strong>ngley, p. 53.<br />

24 Intervista al dottor Wheelon.<br />

25 RICHELSON, The Wizards of <strong>La</strong>ngley, p. 54.<br />

26 BRUGIONI, Eyeball to Eyeball, inserti fotografici.<br />

Capitolo 11


1 Interviste: Ken Collins, Don Donohue, Sam Pizzo, Frank Murray, Roger Andersen, Florence DeLuna, Frank Micalizzi,<br />

Harry Martin.<br />

2 Intervista a Ken Collins, che non aveva mai rivelato prima il suo nome in codice.<br />

3 POWERS, Overflight, p. 59.<br />

4 Menzione, primo tenente Kenneth S. Collins, SO. No. 221 Hq FEAP, APO925, 6 maggio 1953, dal comando del<br />

generale Weyland.<br />

5 Ibid.<br />

6 Menzione di accompagnamento all’assegnazione della Distinguished Flying Cross (First Oak Leaf Cluster) a Kenneth<br />

S. Collins. AO 2222924, aeronautica degli Stati Uniti.<br />

7 Menzione per la Silver Star, primo tenente Kenneth S. Collins, dalla direzione del presidente.<br />

8 ROBARGE, Archangel, p. 17.<br />

9 Intervista a Don Donohue.<br />

10 Intervista a Ken Collins.<br />

11 Ibid.<br />

12 Intervista a Sam Pizzo.<br />

13 Intervista al colonnello Slater.<br />

14 Biografia del generale Robert J. Holbury, comandante dell’aeronautica, primo distaccamento del 1129 th Special<br />

Activities Squadron dell’aeronautica degli Stati Uniti al Groom <strong>La</strong>ke, Nevada; sito ufficiale di Roadrunners Internationale.<br />

15 Intervista a Ken Collins; PARANGOSKY, The Oxcart Story, p. 11.<br />

16 Nota informativa per il vicedirettore della Central Intelligence, 10 marzo 1964, allegato 1 a BYE-2015-64, Project<br />

Oxcart Awareness Outside Cleared Community (Conoscenza del progetto Oxcart al di fuori della comunità degli addetti ai<br />

lavori). L’agenzia aveva anche un sistema per monitorare le comunicazioni del traffico aereo durante i voli di collaudo<br />

dell’Oxcart per stabilire se qualche pilota avesse visto l’aereo.<br />

17 Colonnello Redmond White, appunti di diario, 27 settembre 1963, segreto. White era il vicedirettore della CIA e nei<br />

suoi appunti c’è un secondo riferimento all’articolo comparso su «Aviation Week» come pure una nota relativa al fatto che<br />

il direttore della CIA John McCone aveva affermato: «Prima o poi OXCART salterà fuori».<br />

18 PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, p. 33.<br />

19 Memorandum, segretario all’aeronautica Eugene Zuckert al generale Bernard Schriever, 8 aprile 1963, att: Condizioni<br />

di approvvigionamento e sicurezza per il programma R-12, top-secret.<br />

20 MARCELLE SIZE KNAACK, Encyclopedia of US Air Force Aircraft and Missile Systems, Post-World War II Bombers, p.<br />

559. L’XB-70A ebbe origine dal progetto MX-2145 della Boeing Aircraft Corporation. Vedi anche BALL, Politics and Force<br />

Levels, pp. 216-218.<br />

21 RICH, Skunk Works, p. 228.<br />

22 Presidente Kennedy, messaggio speciale al Congresso riguardo a urgenti necessità nazionali, comunicato di persona<br />

prima di una sessione plenaria del Congresso, 25 maggio 1961.<br />

23 House Armed Services Committee, autorizzazione all’acquisto di aerei, missili e navi per le forze armate (1961), p.<br />

569, vedi FY 1962, pp. 1564-1565, 1577.<br />

24 RICH, Skunk Works, p. 231.<br />

25 ROBARGE, Archangel, p. 52. L’aeronautica inizialmente aveva previsto una flotta di almeno un centinaio di YF-12,<br />

progettati per intercettare il bombardiere supersonico sovietico che si diceva fosse in corso di realizzazione.<br />

26 ROBARGE, Archangel, p. 17. Il motore J-57 poteva raggiungere una velocità massima di Mach 1,6 e una quota<br />

massima di 12.200 metri; intervista a John Evans della Pratt & Whitney.<br />

27 Intervista a Ed Lovick.<br />

28 PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, p. 38.<br />

29 Intervista a Don Donohue.<br />

30 Memorandum della CIA, riunione con il presidente, segretario Rusk, segretario McNamara, signor Bundy e direttore<br />

della Central Intelligence. Rif: Svelamento di OXCART, 29 novembre 1963, p. 1.


Capitolo 12<br />

1 Interviste: Jim Freedman, colonnello Slater, T.D. Barnes, Stanton Friedman.<br />

2 Intervista a Jim Freedman. Nella mappe contemporanee del poligono, l’<strong>Area</strong> 22 si trova nei pressi di Camp Mercury.<br />

Negli anni Cinquanta e Sessanta, molti dei quadranti erano numerati in modo diverso.<br />

3 JENKINS, Hypersonics Before the Shuttle, p. 119. <strong>La</strong> linea di Kármán, comunemente usata per indicare il confine tra<br />

l’atmosfera terrestre e lo spazio esterno, si trova a un’altitudine di circa 100.000 metri sopra il livello del mare. L’U-2<br />

volava a 21.000 metri di quota; l’A-12 volava a oltre 27.000 metri.<br />

4 Messaggio prioritario segreto classificato al direttore da ––––––––––– 2219Z messaggio segreto classificato 15<br />

maggio 1962, ZE19C Oxcart Secure Ops.<br />

5 Intervista al colonnello Slater; ANNIE JACOBSEN, The Road to <strong>Area</strong> <strong>51</strong>, «Los Angeles Times Magazine», 5 aprile<br />

2009, pp. 26-28, 77.<br />

6 Il servizio si può vedere online, From the Vaults, CBS Reports.<br />

7 HAINES, CIA’s Role, p. 74.<br />

8 Congress Reassured on Space Visits, «New York Times», 6 aprile 1966.<br />

9 Walter L. Mackey, funzionario esecutivo, memorandum per il direttore della Central Intelligence, Richiesta<br />

dell’aeronautica di declassificare materiale CIA sugli oggetti volanti non identificati (UFO), 1° settembre 1966.<br />

10 HAINES, CIA’s Role.<br />

11 LEAR, The Disputed CIA Document on UFO’s, «Saturday Review», 3 settembre 1966.<br />

12 Hillenkoetter prese servizio durante i negoziati del 1° maggio 1947 che avrebbero portato al National Security Act,<br />

perciò quando la CIA fu fondata, il 18 settembre 1947, lui era già direttore. Secondo la biblioteca della Central Intelligence<br />

Agency, Roscoe Henry Hillenkoetter, contrammiraglio, marina degli Stati Uniti, cia.gov.<br />

13 HAINES, CIA’s Role, p. 74.<br />

14 Air Force Order on “Saucers” Cited; Pamphlet by the Inspector General Called Objects a “Serious Business”, «New<br />

York Times», 28 febbraio 1960.<br />

15 Sito web del NICAP, «The Who Was Series», Hillenkoetter, Vice-Admiral Roscoe, www.nicap.org/photobio.htm; nel<br />

corso della mia intervista con lui, Stan Friedman disse che non c’era nulla di misterioso riguardo alle dimissioni di<br />

Hillenkoetter, «si dimise e basta». Friedman non crede che Hillenkoetter fosse infiltrato al NICAP per raccogliere<br />

informazioni.<br />

16 Ibid. Nella biografia ufficiale del NICAP relativa a Hillenkoetter si legge: «Si dimise dal NICAP nel febbraio 1962 e fu<br />

sostituito da un ex agente segreto di alto grado della CIA, Joseph Bryan III, il primo capo del Political & Psychological<br />

Warfare (Bryan non rivelò mai i suoi trascorsi alla CIA né al NICAP né a Keyhoe)».<br />

17 Memorandum per il fascicolo OSI, convegno dell’Advisory Group on UFO dell’OSI, 14-17 gennaio 1953, 3 pagine;<br />

Scientific Advisory Panel on Unidentified Flying Objects, 14-17 gennaio 1953, prove presentate, 2 pagine; Scientific<br />

Advisory Panel on Unidentified Flying Objects della CIA, commenti e suggerimenti del comitato UFO, 19 pagine. <strong>La</strong> linea<br />

della CIA sugli UFO era stata decisa dal generale Bedell Smith negli anni in cui fu direttore e rimase inalterata fino a un<br />

certo punto del 1966, quando emerse questo nuovo atteggiamento.<br />

18 Memo della CIA, traduzione, Vitolniyek, R. (direttore) Fenomeni volanti, «Sovetsknya <strong>La</strong>tviya», n. 287, 10 dicembre<br />

1967; memo della CIA, 10 agosto 1967, Rapporto sulle conversazioni con gli scienziati sovietici sul tema degli oggetti<br />

volanti non identificati in URSS; memo della CIA, traduzione del memo da «Konsomol’skaya pravda» n. 13, 20 gennaio<br />

1968, autore Zigel, p. 3.<br />

19 Memo della CIA, traduzione, Lyustiberg V. (commentatore scientifico per [illeggibile]), I dischi volanti sono un<br />

mito?, «Pravda Ukrainy», n. 40, 17 febbraio 1968.<br />

20 Memo della CIA, traduzione, Solo fatti sugli UFO o quale giornalista della Novosti leggi?, 9 aprile 1968, 12 pagine.<br />

21 <strong>La</strong> CIA seguiva Zigel da vicino. Nella biografia dell’agenzia su di lui si legge: «Zigel, F. Yu., dottore in scienze<br />

tecniche, scrive sotto gli auspici dell’istituto aeronautico di Mosca, professore associato presso l’istituzione dal 1969». Gli<br />

analisti della CIA scoprirono che l’interesse di Zigel per gli UFO era cominciato insieme a quello per l’astronomia e la<br />

matematica nel 1936, dopo che aveva partecipato a una spedizione in Kazakistan per osservare un’eclissi di sole. Zigel<br />

aveva visitato anche il cratere di Tunguska in Siberia, dove probabilmente era esploso un meteorite nel 1908. L’impatto<br />

aveva abbattuto circa 80 milioni di alberi e raso al suolo 2.150 chilometri quadrati di foresta siberiana. All’inizio degli anni


Sessanta Zigel sbalordì i colleghi suggerendo che il cratere di Tunguska poteva essere stato creato da un veicolo<br />

extraterrestre che era precipitato.<br />

22 Titolo: Oggetti volanti non identificati, Fonte: «Soviet Life», n. 2 1968, pp. 27-29, 1.<br />

23 Ibid.<br />

Capitolo 13<br />

1 Interviste: Ken Collins, Charlie Trapp, colonnello Slater, generale Hsichun “Mike” Hua, Edward Lovick, Changti “Robin”<br />

Yeh (via corrispondenza scritta), Hervey Stockman.<br />

2 Intervista a Ken Collins.<br />

3 Intervista a Ken Collins, Charlie Trapp.<br />

4 HUA, Lost Black Cats, p. IX.<br />

5 Ivi, pp. VIII-X.<br />

6 Intervista al generale Hua.<br />

7 National Photographic Interpretation Center, missione [ GRC-169], 23 agosto 1963, 30 pagine. <strong>La</strong> denominazione di<br />

queste missioni era operazione Church Door. Tra le immagini degli obiettivi fotografati dai Black Cat ci sono l’installazione<br />

nucleare di Lop Nur, basi missilistiche, aeroporti, porti e complessi industriali.<br />

8 Intervista al generale Hua; in Lost Black Cats, Hua, ex pilota dei Black Cat, racconta la storia tragica e scioccante dei<br />

diciannove anni che Changti e Chang passarono prigionieri della Cina comunista, basandosi su interviste personali. Il<br />

sacrificio dei due piloti non è mai stato riconosciuto dalla CIA. Il 17 settembre 1998 la CIA tenne un convegno dal titolo<br />

U-2: una rivoluzione nell’intelligence per celebrare la declassificazione di molte delle operazioni con gli U-2 controllate<br />

dall’agenzia e per celebrare il proprio successo. Ma secondo la mia intervista al generale Hua, il convegno non fece alcuna<br />

menzione dei piloti Black Cat.<br />

9 Lost Black Cats, p. IX.<br />

10 Intervista a T.D. Barnes.<br />

11 Intervista a Ed Lovick. «Io e un collega di nome Mike Ash progettammo un circuito elettrico nella capsula del drone<br />

per selezionare un’antenna che sarebbe servita a inviare il segnale di recupero al radiofaro. Se la capsula non fosse stata<br />

recuperata da un aereo e fosse caduta in acqua, sarebbe uscita un’antenna che avrebbe emesso segnali radio utili al<br />

recupero.» Se la capsula fosse caduta capovolta, Lovick e Ash avevano creato un sistema che avrebbe permesso<br />

all’acqua di mare di funzionare come un interruttore per attivare una seconda antenna.<br />

12 Intervista al colonnello Slater, Frank Murray.<br />

13 Intervista a Charlie Trapp.<br />

14 Esistono parecchie teorie diverse sul perché e su come Torick morì. Io condivido la spiegazione del colonnello Slater.<br />

Il primo test ufficiale di lancio del drone avvenne il 5 marzo 1966 e durante quel volo il drone si staccò <strong>senza</strong> problemi<br />

dall’aereo-vettore che volava a Mach 3,2. Poi volò per circa 190 chilometri prima di finire il carburante e precipitare in<br />

mare, come previsto. Un mese dopo, in occasione di un secondo lancio un drone volò per quasi 2.000 chilometri a Mach<br />

3,3, finché non cadde in mare. Fu al terzo lancio che avvenne il disastro in cui morì Ray Torick.<br />

15 RICH, Skunk Works, p. 267.<br />

16 Ibid.<br />

17 Ivi, p. 270.<br />

18 SINGER, Wired for War, p. 48.<br />

19 TESLA, Inside the <strong>La</strong>b-Remote Control, PBS, www.pbs.org/tesla/ins/lab_remotec.html.<br />

20 Rise of the Machines, ArmyTechnology.com, 21 maggio 2008, www.army-technology.com/features/feature19<strong>51</strong>.<br />

21 AFSC History Staff, History of Air Force Atomic Cloud Sampling, p. 9.<br />

22 Ivi, p. 11.<br />

23 Per l’aeronautica mantenere un drone era costoso; inoltre era un rischio per la sicurezza. All’inizio del 1947 il fatto<br />

che si stessero pianificando ulteriori test atomici era un segreto nazionale custodito gelosamente perché l’opinione<br />

pubblica era stata indotta a credere che gli Stati Uniti stessero sinceramente considerando la possibilità di bandire la<br />

bomba – o quantomeno di demandare alle Nazioni Unite il controllo dell’energia atomica. In realtà, fu in questo periodo di


supposto dibattito internazionale che il drone fu utilizzato di nuovo per la successiva serie di test nel Pacifico. Si pensava<br />

che l’operazione Crossroads sarebbe stata un’esplosione singola, e così tra i piloti di droni cominciarono a circolare le<br />

chiacchiere: il fatto di essere stati richiamati in servizio poteva significare solo una cosa, ovvero che erano previsti più test<br />

nucleari. Questa fuga di notizie arrivò fino ai vertici delle gerarchie.<br />

24 AFSC History Staff, History of Air Force Atomic Cloud Sampling, p. 21.<br />

25 Ivi, pp. 23-24.<br />

26 Interviste ad Al O’Donnell e Jim Freedman.<br />

27 Intervista ad Al O’Donnell.<br />

28 Chiamati adesso Task Group 3.4 e fatti decollare dalla base dell’aeronatica di Eglin in Florida, questi nuovi droni<br />

erano T-33 modificati, contrariamente ai vecchi TF-80 usati nei primi test. Il velivolo era sotto il comando del colonnello<br />

Thomas Gent, che era anche a capo della 550 th Guided Missile Wing (550 a squadriglia missili guidati) dell’Air Proving<br />

Ground.<br />

29 AFSC History Staff, History of Air Force Atomic Cloud Sampling, p. 37.<br />

30 Ivi, p. 82.<br />

31 Ivi, pp. 80-85. Intervista a Hervey Stockman.<br />

32 Conversations with Colonel Hervey S. Stockman, a cura di Ann Paden e Earl Haney (non pubblicato), da una sezione<br />

intitolata Nuclear testing program.<br />

33 AFSC History Staff, History of Air Force Atomic Cloud Sampling, p. 66.<br />

34 Conversations with Colonel Hervey S. Stockman, a cura di Ann Paden e Earl Haney (non pubblicato), da una sezione<br />

intitolata Nuclear testing program.<br />

35 I dettagli della storia di Robinson, incluse le citazioni che faccio, si possono trovare in AFSC History Staff, History of<br />

Air Force Atomic Cloud Sampling, pp. 69-75. Il nome di Robinson è cancellato e al suo posto sono stampate le parole<br />

«privacy act material removed» (“materiale rimosso sulla base della legge sulla privacy”). Nel 2009, Mark Wolverton<br />

scrisse Into the Mushroom Cloud per la rivista «Air and Space» e rivelò pubblicamente il nome del pilota per la prima<br />

volta. A Robinson fu assegnata postuma una Distinguished Flying Cross circa un anno dopo la sua morte, ma la sua<br />

famiglia non aveva idea di come fosse morto. Wolverton scrisse che la figlia di Robinson, Rebecca, «una bambina quando<br />

il padre morì, passò anni a inviare petizioni al governo per ottenere maggiori informazioni sulla sua ultima missione,<br />

ottenendo solo un accesso limitato alla documentazione». Rebecca Robinson dice che la maggior delle informazioni sulla<br />

morte del padre sono «ancora classificate».<br />

36 Intervista a Al O’Donnell.<br />

37 RHODES, Dark Sun, fotografia n. 76, «Mike over Manhattan». <strong>La</strong> bomba Mike è messa a confronto con una bomba<br />

del potenziale di quella sganciata sopra Nagasaki. Il gambo di Mike aveva un diametro di 32 chilometri e la cappella del<br />

fungo iniziava solo a oltre 15.000 metri di altezza, circa il doppio della quota a cui viaggia un aereo di linea. <strong>La</strong> parte<br />

superiore del fungo raggiungeva la troposfera ed era largo circa 320 chilometri.<br />

Capitolo 14<br />

1 Interviste: colonnello Slater, dottor Wheelon, Ken Collins, Kenneth Swanson, Frank Murray, Charlie Trapp, Tony<br />

Bevacqua, dottor Robert B. Abernethy.<br />

2 WOODS, LBJ, p. 313.<br />

3 BRZEZINSKI, Red Moon Rising, p. 175.<br />

4 DICKSON, Sputnik, p. 117.<br />

5 KORDA, Ike, p. 700.<br />

6 BRZEZINSKI, Red Moon Rising, p. 175.<br />

7 Memorandum della CIA, riunione con il presidente, segretario Rusk, segretario McNamara, signor Bundy e direttore<br />

della Central Intelligence. Rif: Rendere pubblico l’OXCART, 29 novembre 1963, p. 1.<br />

8 T.D. Barnes spiega: «Ufficialmente l’SR-71 Blackbird detiene ancora il record di velocità di volo autonomo in<br />

atmosfera in orizzontale, ma nella comunità degli addetti ai lavori è risaputo che l’A-12 volava più alto e più veloce, dato<br />

che l’SR-71 era appesantito dalle modifiche per consentire la pre<strong>senza</strong> di un secondo passeggero. Il motivo per cui l’SR-71<br />

detiene il “record” è che quelli dell’A-12 non furono certificati. L’A-12 Oxcart non esisteva quando l’aviazione stabilì i


ecord».<br />

9 Se l’opinione pubblica fosse venuta a conoscenza dell’Oxcart, non ci sarebbe più stato motivo che rimanesse in mano<br />

all’agenzia in quanto programma segreto. L’aeronautica sapeva che era stata la CIA ad accollarsi tutto il lavoro per<br />

costruire l’Oxcart e farlo funzionare; adesso era venuto il momento di estrometterla. Questa situazione rispecchia ciò che<br />

era successo nel 1955 con le rivendicazioni di LeMay sull’U-2: «<strong>La</strong>sceremo che [la CIA] lo sviluppi e poi glielo porteremo<br />

via»; da BRUGIONI, Eyeball to Eyeball, p. 24.<br />

10 Lettera, generale Bernard Schriever a Eugene Zuckert, 11 luglio 1963, top-secret.<br />

11 Memorandum della CIA, riunione con il presidente. Rif: Rendere pubblico l’OXCART, 29 novembre 1963, p. 1. «Lo<br />

sviluppo degli aerei da ricognizione della CIA e dell’aeronautica (15 in tutto) costerebbe 700 milioni di dollari di cui 400<br />

sono già stati spesi.» Queste cifre non comprendono gli “straordinari motori” dell’aereo costruiti dalla Pratt & Whitney.<br />

Riguardo a tali costi, il capo della Skunk Works (dal 1975 al 1991) Ben Rich scrisse: «<strong>La</strong> CIA purtroppo si accollò l’enorme<br />

ammontare di 600 milioni di dollari».<br />

12 PARANGOSKY, The Oxcart Story, p. 4: «Il riferimento del presidente all’“A-11” era naturalmente deliberato. “A-11”<br />

era stata la denominazione originaria di tutti gli aerei proposti dalla Lockheed; in seguito divenne la denominazione di<br />

progetto dell’intercettore YF-12A dell’aeronautica che differiva dal suo progenitore soprattutto perché aveva posto per un<br />

secondo uomo addetto al lancio di missili aria-aria. Per mantenere la distinzione tra l’A-11 e l’A-12 la sicurezza aveva<br />

informato praticamente tutto il personale coinvolto dell’annuncio imminente. Ci furono parecchie ipotesi su un possibile<br />

ruolo dell’agenzia nello sviluppo dell’A-11, ma il governo non lo ammise mai».<br />

13 Carte pubbliche del presidente degli Stati Uniti, Lyndon B. Johnson, 1963-1964, 1, pp. 322-323.<br />

14 Intervista al colonnello Slater.<br />

15 Sintesi della riunione con il segretario McNamara e il segretario Gilpatric, il generale Carter e il signor McCone del 5<br />

luglio 1962. Documenti del direttore della Central Intelligence datati 6 luglio 1962.<br />

16 Memorandum di Carter a Wheelon, SKYLARK, 22 agosto 1964.<br />

17 Intervista a Ken Collins.<br />

18 Intervista al dottor Robert Abernethy. Robarge, Archangel, pp. 12-13.<br />

19 RICH, Skunk Works, p. 221.<br />

20 Intervista a Ken Collins.<br />

21 RICH, Skunk Works, p. 221. <strong>La</strong> storia mi è stata raccontata anche da Ken Collins, che ha aggiunto ulteriori dettagli.<br />

22 RICH, Skunk Works, p. 227.<br />

23 Intervista a Ed Lovick; PEDLOW E WELZENBACH, Central Intelligence Agency, p. 42.<br />

24 Durante l’operazione Hardtack furono fatti 119 test in superficie. I test ripresero il 15 settembre 1961: da quel<br />

momento fino alla fine del 1964 al NTS furono eseguiti 167 test sotterranei, tra cui quattro al Nellis Air Force Range.<br />

25 Intervista a Kenneth Swanson.<br />

26 Intervista a Charlie Trapp.<br />

27 Il ritratto del generale Ledford si basa sulle interviste a uomini che lo conobbero bene, tra cui il dottor Wheelon, il<br />

colonnello Slater e Frank Murray, oltre che sulle informazioni biografiche che lo riguardano all’aeronautica militare<br />

americana.<br />

28 WEINER, CIA, p. 238.<br />

29 ROBARGE, Archangel, p. 31.<br />

30 Memorandum di Helms alla commissione 303, Ricognizione OXCART del Vietnam del Nord, con allegato, 15 maggio<br />

1967.<br />

31 Intervista a Tony Bevacqua; fotografie della collezione personale di Bevacqua.<br />

Capitolo 15<br />

1 Interviste: Ken Collins, colonnello Slater, Frank Murray, Fred White, Charlie Trapp, William “Bill” Weaver, brigadier<br />

generale Raymond L. Haupt.<br />

2 Intervista a Ken Collins. In seguito a una moratoria sui test, la bomba Titania, fatta esplodere il 30 ottobre 1958, era<br />

stato l’ultimo ordigno nucleare a essere testato al Nevada Test Site per un periodo di quasi tre anni. Nell’agosto del 1961 i


ussi annunciarono che stavano riprendendo i test e nei tre mesi successivi ne portarono a termine 31, tra cui quello della<br />

bomba Zar da 58 megatoni. Per tutta risposta Kennedy disse all’AEC di ricominciare i test al Nevada Test Site; intervista<br />

con Al O’Donnell.<br />

3 Intervista a Ken Collins.<br />

4 Un sentimento condiviso da tutti i piloti della CIA e dell’USAF che ho intervistato.<br />

5 DAVID ROBARGE, Richard Helms.<br />

6 HELMS, A Look Over My Shoulder, p. 31.<br />

7 Intervista al colonnello Slater.<br />

8 L’autorità su questo argomento è John Marks, ex analista del dipartimento di stato e assistente del direttore<br />

dell’intelligence. Nel giugno del 1977 Marks ottenne l’accesso a parte delle sette scatole di MKULTRA, le uniche che si<br />

sosteneva non fossero andate perdute e contenenti soprattutto documentazione contabile. Nel suo libro The Search for<br />

the Manchurian Candidate, Marks scrisse che poco prima di lasciare la CIA «Helms presiedette alla distruzione di una<br />

gran quantità di documenti e nastri, presumibilmente per eliminare le informazioni che in seguito avrebbero potuto essere<br />

usate contro di lui», p. 219.<br />

9 Memorandum n. 303 National Security Action, 2 giugno 1964; top-secret, dal direttore della Central Intelligence,<br />

memorandum per la 303 Committee, 22 marzo 1966.<br />

10 Intervista al dottor Wheelon.<br />

11 Memorandum della CIA, Reazioni a un possibile corso d’azione degli Stati Uniti, 17 marzo 1966; Sintesi e progressi<br />

dello sviluppo dell’OXCART, 1° ottobre 1966-31 dicembre 1966.<br />

12 ROBARGE, Archangel, p. 33.<br />

13 Intervista al colonnello Slater.<br />

14 John Parangosky, vicedirettore della tecnologia, OSA, scrisse una sintesi del volo di Park. Il testo completo si trova<br />

sul sito web ufficiale di Roadrunners Internationale.<br />

15 Memorandum informativo per il vicedirettore ad interim per la scienza e la tecnologia, oggetto perdita dell’aereo<br />

Oxcart A-12, 6 gennaio 1967.<br />

16 Intervista al colonnello Slater.<br />

17 Ibid. Subito dopo l’incidente i canali dell’aeronautica riferivano che un SR-71 impegnato in un volo di routine dalla<br />

base di Edwards era scomparso ed era presumibilmente caduto in Nevada.<br />

18 Memorandum per il vicedirettore ad interim per la scienza e la tecnologia, oggetto perdita dell’articolo 125 (velivolo<br />

Oxcart), 25 gennaio 1967, p. 2.<br />

19 Intervista a Roger Andersen.<br />

20 Intervista a Charlie Trapp.<br />

21 Intervista a Frank Murray.<br />

22 Top-secret Idealist/Oxcart, ufficio del direttore della Central Intelligence Agency, BYE-2915-66 Alternative A, 14<br />

dicembre 1966.<br />

23 BOZZA, direttore delle Special Activities, commenti al memorandum di W.R. Thomas III al direttore, BOB, 27 luglio<br />

1966, p. 11.<br />

24 Ivi, p. 3.<br />

25 Top-secret Idealist/Oxcart, ufficio del direttore della Central Intelligence Agency, BYE-2915-66 Alternative A, 14<br />

dicembre 1966.<br />

26 Memorandum per il presidente, oggetto: Aereo di ricognizione avanzato, 26 dicembre 1966, top-secret. Tra i<br />

partecipanti c’erano Cyrus Vance (vicesegretario alla Difesa), Donald Hornig (consigliere scientifico del presidente), C.W.<br />

Fischer (ufficio di budget) e Helms. Tutti eccetto Helms raccomandarono di mettere in pensione l’Oxcart. Il 28 dicembre il<br />

presidente approvò questo memorandum e ordinò la dismissione della flotta di A-12 entro il gennaio 1968.<br />

27 Intervista al colonnello Slater.<br />

28 Ibid.<br />

29 Ibid.


Capitolo 16<br />

1 Interviste: colonnello Slater, Ken Collins, Roger Andersen, Hervey Stockman, Peter Stockman, Frank Murray, Ronald<br />

L. “Jack” <strong>La</strong>yton, Eunice <strong>La</strong>yton, Charlie Trapp.<br />

2 HATHAWAY E SMITH, Richard Helms, p. 2. Il commento più eloquente è quello di Helms (ivi, p. 7): «Con il<br />

presidente Johnson […] giunsi alla conclusione che dovevo dirgli quello che mi premeva nei primi 60, al massimo 120<br />

secondi a disposizione. Perché dopo lui avrebbe suonato per il caffè o per una bibita, o si sarebbe messo a parlare con<br />

Rusk o con McNamara, oppure avrebbe preso a sussurrare a questo e a quello. A quel punto avevo perso il mio<br />

pubblico».<br />

3 BARRETT, Doing “Tuesday Lunch”, pp. 676-677.<br />

4 John Parangosky, vice per la tecnologia, OSA, scrisse in una sintesi: «Il direttore della Central Intelligence, Richard<br />

Helms, ha sottoposto alla 303 Committee un’altra proposta formale di impiego dell’OXCART. Inoltre, ha sollevato<br />

l’argomento al “pranzo del martedì” del presidente che si è tenuto il 16 maggio e ha ricevuto l’approvazione di Johnson a<br />

“procedere”. Più tardi quel giorno Walt Rostow ha comunicato ufficialmente la decisione presidenziale, e il piano BLACK<br />

SHIELD è stato immediatamente reso effettivo».<br />

5 JOHNSON, History of the Oxcart Program, p. 1. I tre A-12 dispiegati a Kadena volarono non stop dal Groom <strong>La</strong>ke<br />

attraversando il Pacifico. Fecero rifornimento in volo due volte e arrivarono alla base in meno di sei ore; interviste al<br />

colonnello Slater, Ken Collins, Frank Murray, Roger Andersen.<br />

6 Direttore delle attività speciali della CIA a direttore della ricognizione della CIA, Approntamento operativo del sistema<br />

OXCART, 12 novembre 1965.<br />

7 CIA NLE MR Case No. 2000-69, isole Ryukyu (Okinawa) giugno 1960, p. 2. «L’economia militare impiega il 13 per<br />

cento della manodopera locale e genera il 36 per cento del reddito nazionale.»<br />

8 Intervista a Ken Collins.<br />

9 Intervista al colonnello Slater.<br />

10 Rapporto di analisi fotografica: missione Black Shield X-001, 31 maggio 1967. NPIC/R-112/67, giugno 1967.<br />

11 John Parangosky, vice per la tecnologia, OSA, scrisse: «Le pellicole delle prime missioni furono sviluppate<br />

all’impianto Eastman Kodak di Rochester, New York. Entro la fine dell’estate il procedimento era stato affidato a un centro<br />

dell’aeronautica in Giappone in modo che le informazioni fotografiche arrivassero nelle mani dei comandanti in Vietnam<br />

entro ventiquattro ore dalla missione BLACK SHIELD».<br />

12 CHESS RUFF TRINE OXCART, BYE-44232/67, Missioni di ricognizione Black Shield 31 maggio-15 agosto 1967, 22<br />

settembre 1967, Central Intelligence Agency, p. 1. Declassificato nell’agosto del 2007.<br />

13 ROBARGE, Archangel, p. 36.<br />

14 Intervista a Hervey Stockman; vedi anche Conversations with Hervey Stockman (<strong>senza</strong> numerazione) in una sezione<br />

intitolata Mid-air collision.<br />

15 Intervista a Frank Murray.<br />

16 KARNOW, Storia della guerra del Vietnam, p. 346.<br />

17 CIA Top-secret [<strong>censu</strong>rato], 24 gennaio 1968, memorandum: Cronologia degli eventi riguardanti la cattura della USS<br />

Pueblo, 8 pagine.<br />

18 Ivi, p. 3.<br />

19 BAMFORD, L’orecchio di Dio, pp. 248-249.<br />

20 Ivi, p. 254.<br />

21 Dipartimento della Difesa, memorandum top-secret per il segretario alla Difesa, 25 gennaio 1968.<br />

22 Top-secret TRINE OXCART, BYE-1330/68 figura 9; una mappa del volo di Weeks è annotata come missione BX-<br />

6847, 26 gennaio 1968, figura 5.<br />

23 Interviste a Frank Murray, Ken Collins.<br />

24 In effetti per quarant’anni Frank Murray rimase convinto di essere stato lui a localizzare la Pueblo perché, in modo<br />

alquanto bizzarro, la CIA gli aveva detto così. Il vero ruolo di Jack Weeks nella crisi fu rivelato solo nel 2007, quando la<br />

CIA declassificò i documenti ufficiali del programma Oxcart.<br />

25 RICH, Skunk Works, p. 44. L’informazione si trova in una parte del libro di Rich scritta da Walt W. Rostow, il


consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Johnson dal 1966 al 1968.<br />

26 Top-secret TRINE OXCART, BYE-1330/68 figura 7. Missione BX-6853, 19 febbraio 1968.<br />

27 WILBER, Hell Hath a Jury.<br />

28 Intervista a Ken Collins.<br />

29 ROBARGE, Archangel, p. 35. I piloti furono messi in allerta per eseguire un totale di 58 voli.<br />

30 Intervista a Frank Murray. Il Pentagono stava inoltre usando le fotografie scattate dagli Oxcart per identificare<br />

potenziali obiettivi per gli attacchi aerei dell’aeronautica. Top-secret CHESS RUFF TRINE OXCART, BYE-44232/67.<br />

31 Interviste a Ken Collins e Tony Bevacqua. Gli SR-71 iniziarono ad arrivare nel marzo del 1968.<br />

32 Memorandum di Helms a Paul Nitze (dipartimento della Difesa) e HORNING, Considerazioni riguardo al graduale<br />

ritiro del programma OXCART, 18 aprile 1968.<br />

33 Intervista a Ken Collins.<br />

34 Intervista a Tony Bevacqua.<br />

35 Fu la prima volta che vennero lanciati SA-2 contro un SR-71. Insieme a Bevacqua c’era l’ufficiale dei sistemi di<br />

ricognizione Jerry Crew. www.blackbirds.net/sr71/sr-crew-photos/ (consultato il 29 dicembre 2010).<br />

36 Il programma Oxcart durò poco più di dieci anni, dalla sua introduzione sotto forma di uno schizzo su un pezzo di<br />

carta, nel 1957, a quando fu chiuso nel giugno del 1968. <strong>La</strong> Lockheed costruì quindici A-12 Oxcart, tre YF-12A e trentuno<br />

SR-71 Blackbird. John Parangosky scrisse in una sintesi: «I 49 aerei supersonici avevano portato a termine oltre 7.300<br />

missioni, per un totale di 17.000 ore di volo, di cui oltre 2.400 a più di Mach 3. Cinque Oxcart furono persi in incidenti;<br />

due piloti rimasero uccisi e due ce la fecero per un pelo. Inoltre, furono persi due caccia F-101 insieme ai loro piloti<br />

durante la fase di collaudo dell’Oxcart».<br />

37 Interviste a Ken Collins, Frank Murray, colonnello Slater e Jack <strong>La</strong>yton. Il viceammiraglio Rufus L. Taylor,<br />

vicedirettore della Central Intelligence, assegnò la medaglia al valore della CIA a Kenneth S. Collins, Ronald L. <strong>La</strong>yton,<br />

Francis J. Murray, Dennis B. Sullivan e Mele Vojvodich. <strong>La</strong> decorazione destinata a Jack Weeks fu consegnata alla vedova,<br />

Sharlene Weeks. Il colonnello Slater e il suo vice, il colonnello Maynard N. Amundson, furono decorati con Legion of Merit<br />

dell’aeronautica militare.<br />

Capitolo 17<br />

1 Interviste: T.D. Barnes, Doris Barnes, Tony <strong>La</strong>ndis, Peter Merlin, colonnello Slater, Frank Murray, Roger Andersen,<br />

Grace Weismann (vedova di Joe Walker).<br />

2 UZI MAHNAIMI, Stolen Iraqi Jet Helped Israel Win Six-Day War, «Sunday Times of London», 3 giugno 2007.<br />

3 GELLER, Inside the Israeli Secret Service. Le informazioni provengono dal capitolo 3, Stealing a Soviet MIG.<br />

4 Necrologio, General maggiore Meir Amit, «Telegraph», 22 luglio 2009.<br />

5 HELMS, A Look Over My Shoulder, p. 275.<br />

6 Visita dell’autrice al museo delle spie della CIA, quartier generale della CIA, <strong>La</strong>ngley, Virginia.<br />

7 HELMS, A Look Over My Shoulder, p. 277. L’espressione è diventata sinonimo del modo di pensare di Angleton e<br />

includeva la sua convinzione che il contrasto tra l’Unione Sovietica e la Cina non fosse reale. Secondo Helms, «la<br />

convinzione [di Angleton] che la crisi sino-sovietica fosse un miraggio creato dagli esperti di disinformazione sovietici [era]<br />

interessante ma semplicemente non vera».<br />

8 Ivi, capitolo 28, «Beyond X-2».<br />

9 Interviste al colonnello Slater, Frank Murray, T.D. Barnes.<br />

10 Intervista a Doris Barnes.<br />

11 I dettagli sulla Beatty degli anni Sessanta provengono dalle interviste con Doris Barnes e T.D. Barnes.<br />

12 Interviste alle due figlie di Barnes, che desiderano rimanere anonime.<br />

13 Intervista a Peter Merlin; Barnes, NASA X-15 Program, p. 1.<br />

14 Le date e le informazioni relative alle missioni di volo dell’X-15 si trovano in Jenkins, Hypersonics Before the Shuttle.<br />

<strong>La</strong> storia della scomparsa del nastro audio mi è stata riferita da Barnes.<br />

15 Racconto la storia come me l’ha riferita Barnes. Un altro resoconto compare nel libro di Donald Mallick, The Smell of


Kerosene, pp. 132-135. Mallick fu assegnato alla missione con l’elicottero per individuare il luogo dell’incidente di Walker.<br />

16 Intervista a Barnes.<br />

17 BARNES, Exploitation of MIGs at <strong>Area</strong> <strong>51</strong>, Project Have Doughnut, area<strong>51</strong>specialprojects.com/migs_area<strong>51</strong>.html;<br />

TOLIP, Black Ops: American Pilots Flying Russian Aircraft During the Cold War, MilitaryHeat.com, 4 ottobre 2007.<br />

18 Intervista a Barnes.<br />

19 WILCOX, Screams of Eagles, pp. 76-77.<br />

Capitolo 18<br />

1 Interviste: Richard Mingus, T.D. Barnes, Troy Wade, Darwin Morgan, Milton M. Klein, Harold B. Finger.<br />

2 Atomic Energy Commission, sintesi del Progetto 57, il primo test di sicurezza dell’operazione Plumbbob, rapporto del<br />

direttore al general manager, divisione delle applicazioni militari, oggettivo, p. 24.<br />

3 Rapporto sintetico su Palomares, base dell’aeronautica di Kirtland, New Mexico; Field Command Defense Nuclear<br />

Agency Technology and Analysis Directorate, 15 gennaio 1975.<br />

4 Quando LeMay se ne andò dal SAC nel 1957 per diventare vicecapo dello stato maggiore dell’aeronautica, si lasciò<br />

dietro una forza aerea costituita da 1.665 bombardieri, 68 basi in tutto il mondo e 224.014 uomini. L’uomo che prese il<br />

suo posto era Thomas S. Powers.<br />

5 RON HAYES, H-bomb Incident Crippled Pilot’s Career, «Palm Beach Post», 17 gennaio 2007.<br />

6 GORDON DUNNING, Protective and Remedial Measures Taken Following Three Incidents of Fallout , United States<br />

Atomic Energy Commission, 1968. In origine era stato un discorso intitolato Radiation Protection of the Public in <strong>La</strong>rge<br />

Scale Nuclear Disaster tenuto a un simposio internazionale a Interlaken, Svizzera, nel maggio del 1968.<br />

7 MORAN, The Day We Lost the H-Bomb, p. 36.<br />

8 Memo, segreto, Atomic Energy Commission degli Stati Uniti, n. 234505, Responsabilità per le operazioni di ricerca e<br />

salvataggio a M.E. Gates, responsabile, operazioni in Nevada, 19 novembre 1974.<br />

9 Manuale delle procedure da attuare in caso di incidente con armi nucleari (NARP), assistente al segretario alla Difesa<br />

(Atomic Energy), settembre 1990, p. XII.<br />

10 SCHWARTZ, Atomic Audit, p. 408.<br />

11 ANTHONY LAKE, Lying Around Washington, «Foreign Policy», 2 (primavera 1971), p. 93. Trentotto navi della marina<br />

militare americana parteciparono alle ricerche della bomba, che alla fine fu localizzata a cinque miglia dalla costa e a 870<br />

metri di profondità da un sommergibile chiamato Alvin.<br />

12 SAC History Staff, Project Crested Ice, SECRET/RESTRICTED DATA, SPECIAL HANDLING REQUIRED, AFR 127-4:<br />

FOIA 89-107 OAS 1793. Il documento è la fonte per molti dei fatti di cui si parla in questa parte.<br />

13 <strong>La</strong> nuvola creata dall’esplosione era «alta 850 metri, larga 800 e profonda 800, e indubbiamente trasportò del<br />

plutonio sottovento» secondo il laboratorio nazionale di Los Alamos.<br />

14 GORDON COREA, Mystery of Lost US Nuclear Bomb, BBC News, 10 novembre 2008.<br />

15 SAC History Staff, Project Crested Ice, p. 28.<br />

16 ROLLINS, Nevada Test Site – Site Description, tavola 2-4.<br />

17 Scheda DOE/NV n. 1.140 del dipartimento dell’Energia. Il Remote Sensing <strong>La</strong>boratory fu creato negli anni Cinquanta,<br />

una ramificazione dei progetti di campionamento dei funghi atomici. Oggi è un’industria segreta di cui si sa pochissimo;<br />

www.nv.doe.gov/library/factsheets/DOENV_1140.pdf.<br />

18 <strong>La</strong> divisione Energy Measurements della EG&G (EG&G/EM) dirigeva e faceva funzionare l’installazione di ricerca con il<br />

contratto DOE DE-ACO3-93NV11265. Il 1° gennaio 1996, la Bechtel Nevada Corporation dirigeva le installazioni di ricerca<br />

e gli impianti produttivi con il contratto DOE M&O DE-ACO8-96NV11718.<br />

19 E sarebbe diventato un mercato enorme. Oltre agli incidenti nucleari futuri, ci sarebbe stato da fare un colossale<br />

lavoro di rilevamento delle radiazioni nell’area del Pacific Proving Ground. Nel giugno del 1971, l’AEC mandò un team della<br />

EG&G sull’atollo di Eniwetok «allo scopo di fare un sopralluogo pre-decontaminazione». <strong>La</strong> società stabilì che l’isola<br />

rimaneva inabitabile per tutte le forme di vita acquatiche e terrestri – persino dopo tredici anni. Ma si poteva cominciare a<br />

decontaminare: gli interventi avrebbero richiesto decenni, sarebbero costati cifre imprecisate e avrebbero coinvolto<br />

parecchie aziende. <strong>La</strong> EG&G avrebbe guidato l’intera operazione.


20 Interviste a Al O’Donnell, Jim Freedman; sopralluogo terrestre pre-decontaminazione a Eniwetok, rilevamento delle<br />

radiazioni (Lynch, Gudiksen e Jones) n. 44.878; bozza revisionata il 14/5/73.<br />

21 Intervista a Meagan Stafford, pubbliche relazioni della EG&G/URS, Sard Verbinnen & Co., 16 luglio 2010.<br />

22 Intervista a un ingegnere della EG&G. Iniziativa di trasparenza del DOE (Dipartimento dell’energia), esperimenti<br />

radioattivi sull’uomo, EG&G Energy Measurements, <strong>La</strong>s Vegas, Nevada, descrizioni archivistiche, fallout radioattivo: «<strong>La</strong><br />

EG&G/EM ha giocato un ruolo importante nel monitorare la radiazione aerea rilasciata in seguito ai test di armi atomiche<br />

e ha tenuto parecchia documentazione al riguardo tra cui rapporti sui sistemi di tracciamento aereo del Nevada per gli<br />

anni Sessanta. <strong>La</strong> società ha sviluppato un inventario computerizzato della collezione che contiene circa 24.000<br />

documenti, film, diagrammi e altro materiale. Attualmente la società sta cercando di riorganizzare i propri archivi in una<br />

raccolta utilizzabile progettata per facilitare futuri lavori di ricerca. Il processo di smantellamento che era iniziato nel 1986<br />

è stato interrotto. Il CIC [Counter Intelligence Corps] terrà la documentazione relativa al fallout provocato dal programma<br />

di test in atmosfera. Tutta l’altra documentazione di ricerca originale, film, appunti e altri materiali relativi all’importante<br />

ruolo della EG&G/EM nel monitoraggio della radiazione aerea e dei test di armi, inclusi rapporti e mappe dell’analisi dei<br />

funghi atomici che ancora si trovano alla EM, rimarranno in possesso della EM. Il Classified Material Control [Controllo del<br />

materiale classificato] (CMC) contiene numerosi documenti sui test successivi e rapporti dei sistemi di tracciamento aereo<br />

per gli anni Sessanta. <strong>La</strong> società possiede anche dati originali di rilevazioni relativi al periodo antecedente il 1971, ma<br />

questo materiale non è stato catalogato. È in corso un tentativo di ottenere i fondi necessari per fare l’inventario e creare<br />

un database computerizzato per questi documenti».<br />

23 Intervista a un ingegnere della EG&G.<br />

24 Advisory Committee on Human Radiation Experiments Final Report, pp. 506-507.<br />

25 MCPHEE, The Curve of Binding Energy, p. 168.<br />

26 Ivi, p. 170.<br />

27 Ivi, p. 184.<br />

28 DEWAR, To the End of the Solar System, p. XIX.<br />

29 Intervista a Barnes. Sulle mappe ufficiali del Nevada Test Site queste montagne dell’<strong>Area</strong> 25 sono chiamate Calico<br />

Hills.<br />

30 Piano d’indagine per gli interventi di recupero dell’unità 165: Aree 25 e 26, Nevada Test Site, Nevada . DOE/NV-788,<br />

divisione per il recupero ambientale, National Nuclear Security Administration, 12 gennaio 2002.<br />

31 DOE/NV n. 1150, Ultima fermata per la Jackass & Western.<br />

32 DEWAR, To the End of the Solar System, p. 287.<br />

33 Ivi, appendice F, The Russian Nuclear Rocket Program. Dewar ha scritto: «I sovietici costruirono un’installazione<br />

vagamente simile a quella delle Jackass Flats».<br />

34 FINGER E ROBBINS, An Historical Perspective, p. 7.<br />

35 Intervista a Lee Davidson. <strong>La</strong> storia originale di Davidson degli anni Novanta proviene da «Deseret News», al quale<br />

lavorò come caporedattore della sede di Washington per ventotto anni. In quel periodo, Davidson fece servizi su parecchi<br />

test radioattivi segreti dell’AEC nello Utah, ai Dugway Proving Grounds. «Avevano un sacco di soldi da buttare» dice<br />

Davidson. «Nello Utah stavano cercando di capire che aspetto avrebbe avuto una fusione del nocciolo sotto molteplici<br />

aspetti. L’AEC ha rilasciato in Utah più radiazioni di quelle provocate dall’incidente di Three Mile Island.»<br />

36 DEWAR, To the End of the Solar System, p. 280.<br />

37 Ibid. È significativo che Dewar attribuisca a Los Alamos l’idea di far esplodere il reattore. Il laboratorio nucleare<br />

poteva anche aver avuto l’idea, ma Los Alamos prendeva ordini dall’Atomic Energy Commission e alla fine le due<br />

organizzazioni concordarono di andare avanti e far esplodere il reattore sulla base della considerazione che si trattava di<br />

un test di sicurezza. «Era importantissimo conoscere la quantità totale di energia rilasciata durante un’esplosione nonché<br />

la quantità e la modalità di dispersione della radioattività» ha scritto Dewar.<br />

38 Ivi, p. 281.<br />

39 Ivi, p. 282.<br />

40 Ivi, p. 281.<br />

41 Ivi, p. 280.<br />

42 Ivi, p. 285.<br />

43 Intervista a Harold Finger.


44 Barth, Delbert, rapporto finale sulla sorveglianza esterna per l’esperimento Phoebus 1-A, SWRHL-19r, 17 gennaio<br />

1966. «I dati raccolti indicano che i livelli di radioattività non eccedevano i criteri di sicurezza stabiliti dall’Atomic Energy<br />

Commission per la popolazione in trasferta.»<br />

45 DEWAR, To the End of the Solar System, p. 129.<br />

46 Decontaminazione della cellula test “C” alla stazione di sviluppo del razzo nucleare dopo un incidente al reattore, 18<br />

gennaio 1967, LA-3633; DEWAR, To the End of the Solar System, pp. 129-131.<br />

47 Gli operai lasciavano cadere i frammenti radioattivi in latte di metallo da 4,5 litri, che venivano portate fuori dall’<strong>Area</strong><br />

25 in container di piombo.<br />

48 DEWAR, To the End of the Solar System, p. 203.<br />

49 Intervista a Darwin Morgan.<br />

50 ROLLINS, Nevada Test Site – Site Description, p. 25 di 99.<br />

<strong>51</strong> DEWAR, To the End of the Solar System, p. 323.<br />

52 Intervista a Harold Finger; intervista a Milton Klein. Klein afferma inoltre che «non è d’accordo sull’uso<br />

dell’espressione “fusione del nocciolo” perché non è esattamente quello che succede quando un reattore rimane privo di<br />

liquido refrigerante».<br />

53 Tavola 2-3, Piano d’indagine per gli interventi di recupero dell’unità 165: Aree 25 e 26, Nevada Test Site, Nevada , p.<br />

32.<br />

54 Ibid. Di sicuro la testimonianza di prima mano di Barnes suggerisce che le cose siano andate così. «Quando<br />

facevamo funzionare il reattore, dovevamo allontanarci di 64 chilometri dal canyon intorno alle Calico Hills, per sottrarci<br />

alle radiazioni» spiega Barnes. «E ogni volta che facevamo funzionare il reattore, l’area veniva inondata da giganteschi<br />

serbatoi pieni d’acqua per raffreddare tutto quanto. Tanta acqua da creare un laghetto temporaneo profondo parecchi<br />

centimetri.»<br />

55 Intervista a T.D. Barnes.<br />

56 Video mostrato di continuo all’Atomic Energy Museum di <strong>La</strong>s Vegas. In questa sezione del museo c’era anche una<br />

fotografia dell’<strong>Area</strong> 25, la quale ritraeva il suolo desertico interrotto da un cartellino azzurro che diceva: «EG&G Training<br />

295-6820», segno del fatto che il partner federale nelle esercitazioni contro le armi di distruzione di massa all’<strong>Area</strong> 25 era<br />

la EG&G. Morgan nega questa collaborazione e insiste sul fatto che la EG&G ha smesso di lavorare come “contractor<br />

ufficiale” al poligono negli anni Novanta. <strong>La</strong> fotografia al museo è stata tolta, ma fino al 30 dicembre 2010 il numero di<br />

telefono era ancora attivo con una casella vocale.<br />

57 Per una panoramica sulla fisica del reattore nucleare, su come un reattore per la produzione di energia elettrica<br />

differisca da un razzo termonucleare e su come entrambi differiscano da una bomba atomica, vedi DEWAR, To the End<br />

of the Solar System, p. XVII.<br />

58 ROGOVIN, Three Mile Island Report, pp. 182-183.<br />

59 Ivi, p. 182.<br />

60 Ivi, p. 5.<br />

61 GATES, MAHLON, Operazione Morning Light, Territori del Nordovest, Canada 1978, una sintesi non tecnica della<br />

partecipazione americana, «The Soviet Space Nuclear Power Program», direttore dell’Intelligence, CIA.<br />

62 WEISS, The Life and Death of Cosmos 954. Contrassegnato segreto, da non essere divulgato a cittadini stranieri, 7<br />

pagine, nessuna data. Declassificato 24/10/97.<br />

63 Ivi, p. 2.<br />

64 Intervista a Richard Mingus.<br />

65 Segreto, Atomic Energy Commission degli Stati Uniti, n. 234.505, Responsabilità per le operazioni di ricerca e<br />

salvataggio a M.E. Gates, responsabile, operazioni in Nevada, 19 novembre 1974; vedi anche GATES, Nuclear Emergency<br />

Search Team, p. 2, www.nci.org.<br />

66 GATES, Nuclear Emergency Search Team, p. 2.<br />

67 Cosmos 954: An Ugly Death, «Time magazine», 6 febbraio 1978.<br />

68 Intervista a Richard Mingus.<br />

69 Intervista a Tony Wade.<br />

70 Si noti che Mahlon Gates, il quale scrisse Operazione Morning Light e mise insieme il NEST, era il rappresentante


governativo di grado più alto sul progetto e anche capo delle operazioni del dipartimento dell’Energia in Nevada, ma non<br />

ebbe un ruolo attivo nelle operazioni a terra.<br />

71 WEISS, The Life and Death of Cosmos 954, p. 3.<br />

72 «Time magazine» riferì: «Il velivolo è precipitato nell’atmosfera in una remota area selvaggia canadese la settimana<br />

scorsa, a quanto sembra emettendo forti radiazioni. Gli scienziati spaziali americani hanno ammesso che se il satellite<br />

avesse compiuto un’altra orbita, sarebbe potuto cadere vicino a New York, nel bel mezzo dell’ora di punta del mattino».<br />

Capitolo 19<br />

1 Interviste: Buzz Aldrin, colonnello Slater, Ernie Williams, Richard Mingus, Michael Schratt, Bill Irvine, James Oberg.<br />

2 Per dettagli sull’Apollo 11, Humankind’s first steps on the lunar surface, nasa.gov; per trascrizioni del primo<br />

allunaggio, vedi Apollo 11 Lunar Surface Journal di Eric M. Jones, history.nasa.gov/alsj/a11/a11.landing.html.<br />

3 JENKINS, Hypersonics Before the Shuttle, appendice 9.<br />

4 NASA, appendice E. Esercitazioni geologiche sul campo: primo addestramento, programma dell’addestramento sul<br />

campo per i primi tre gruppi di astronauti (29), 3, 17-18 e 24-25 febbraio 1965 e 3-4 marzo 1965. «<strong>La</strong> visita fornì<br />

un’occasione per esaminare nel dettaglio i crateri e i prodotti piroclastici formati dalla detonazione di ordigni nucleari<br />

sotterranei nella lava e in sedimenti sparsi»; USGS Open-File Report 2005-1190, tavola 1, Addestramento geologico sul<br />

campo degli astronauti della NASA tra il gennaio 1963 e il novembre 1972.<br />

5 Intervista a Ernie Williams.<br />

6 GERALD G. SCHABER, Una cronologia delle attività dall’ideazione al termine del progetto Apollo (1963-1973), US<br />

Geological Survey, comparto di astrogeologia.<br />

7 Il contenimento delle esplosioni nucleari sotterranee, n. 69.043 Congresso degli Stati Uniti, ufficio delle valutazioni<br />

tecnologiche, p. 32.<br />

8 DOE/NV 772 REV 1, Addestramento degli astronauti dell’Apollo al Nevada Test Site , p. 2. Le trasmissioni dei<br />

commenti a voce della missione possono essere scaricate da jsc.nasa.gov/history/mission_trans/apollo 17.htm.<br />

9 Intervista a Ernie Williams.<br />

10 Dall’intervista dell’autrice a James Oberg e da un capitolo del suo libro UFOs and Outer Space Mysteries. Oltre a<br />

essere uno storico delle missioni aerospaziali e uno dei massimi critici delle teorie del complotto lunare e degli UFO sulla<br />

Luna, Oberg ha lavorato tutta la vita come esperto di razzi per contractor della NASA, anche al centro di controllo di<br />

missione di Houston, Texas.<br />

11 Intervista a James Oberg.<br />

12 MATTHEW ALFORD, Steven Spielberg, «Cinema Papers», 1978.<br />

13 Le risposte, presentate da un popolare sito web dedicato alla critica della teoria del complotto lunare, sono: D.<br />

Come fa a sventolare la bandiera americana se sulla Luna non c’è vento? R. Il movimento è dovuto all’oscillazione<br />

dell’asta. D. Perché nelle foto lunari non si vedono le stelle? R. Ci sono un sacco di fotografie scattate dall’Apollo e rese<br />

pubbliche dalla NASA in cui si vedono le stelle. D. Perché non c’è un cratere da esplosione dove è atterrato il modulo<br />

lunare dell’Apollo? R. <strong>La</strong> superficie lunare è ricoperta da un materiale roccioso chiamato regolito che reagisce alla<br />

sollecitazioni di un’esplosione in modo simile alla roccia; www.braeunig.us/space/hoax.htm.<br />

14 Trasmissione di Fox Television, Conspiracy Theory: Did We <strong>La</strong>nd on the Moon?, 15 febbraio 2001.<br />

15 Una trascrizione dell’intervista di Katie Couric a Kaysing trasmessa dalla NBC l’8 agosto 2001 è disponibile online sul<br />

sito di Global Security.<br />

16 DAVID WHITEHOUSE, NASA Pulls Moon Hoax Book, BBC News, 8 novembre 2002.<br />

17 MARKS, The Search for the Manchurian Candidate, p. 211. Durante le udienze al Senato del 1977, il direttore della<br />

CIA Stansfield Turner sintetizzò l’eredità degli undici anni di MKULTRA: «Il programma diede lavoro esterno a 80<br />

istituzioni, tra cui 44 college universitari, 15 società o istituti di ricerca privati, 12 ospedali o cliniche e 3 istituti penali».<br />

18 Archivi nazionali, informazioni statistiche sulle perdite della guerra del Vietnam, ARC ID: 306742.<br />

19 Questa parte si basa sulla mia intervista a Buzz Aldrin e sul capitolo 20 del suo libro Magnificent Desolation che<br />

parla dell’accaduto e si intitola A Blow Heard Around the World, pp. 332-346 (bozza).<br />

20 BRANDON GRIGGS, Could Moon <strong>La</strong>ndings Have Been Faked? Some Still Think So, CNN, 17 luglio 2009. Griggs<br />

notava che «una ricerca su Google fatta questa settimana sul tema “falso allunaggio dell’Apollo” ha restituito oltre 1,5


miliardi di risultati».<br />

21 AboveTopSecret.com.<br />

22 Intervista a Michael Schratt.<br />

23 Congresso degli Stati Uniti, ufficio delle valutazioni tecnologiche, Il contenimento delle esplosioni nucleari<br />

sotterranee.<br />

24 MICHAEL R. WILLIAMS, Ground Test Facility for Propulsion and Power Modes of Nuclear Engine Operation, p. 4.<br />

25 TED GUP, The Ultimate Congressional Hideaway, «Washington Post», 31 maggio 1992.<br />

26 Serie «American Experience» del canale televisivo KCET, Race for the Superbomb, intervista a Paul Fritz Bugas, ex<br />

sovrintendente del sito, bunker di Greenbrier.<br />

27 Congresso degli Stati Uniti, ufficio delle valutazioni tecnologiche, Il contenimento delle esplosioni nucleari<br />

sotterranee, p. 18.<br />

28 Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, Test nucleari degli Stati Uniti, dal luglio 1945 al settembre 1992, p. 15.<br />

29 CHERRY E RABB, Piledriver Drilling, UCRL-ID-126150, 9 agosto 1967.<br />

30 Operazione Hardtack II, Defense Nuclear Agency, 3 dicembre 1982; intervista a funzionari del DOE durante la mia<br />

visita al Nevada Test Site, 7 ottobre 2009.<br />

31 Intervista a Richard Mingus.<br />

32 Congresso degli Stati Uniti, ufficio delle valutazioni tecnologiche, Il contenimento delle esplosioni nucleari<br />

sotterranee, p. 21.<br />

33 Vedi cronologia della NNSA, www.nnsa.energy.gov/aboutus/ourhistory/timeline. Occorre far notare che esiste<br />

un’altra agenzia che ha cambiato nome quattro volte, ovvero la Armed Forces Special Weapons Project (AFSWP) che, al<br />

pari dell’Atomic Energy Commission, era iniziata sotto l’egida del progetto Manhattan. Il 6 maggio 1959 cambiò nome in<br />

Defense Atomic Support Agency (DASA); il 1° luglio fu ribattezzata Defense Nuclear Agency; il 26 giugno 1996 cambiò di<br />

nuovo denominazione, assumendo quella di Defense Special Weapons Agency. SCHWARTZ, Atomic Audit, p. 61.<br />

34 Vedi www.energy.gov.<br />

35 Sito ufficiale del Federal Bureau of Investigation, cronologia della storia dell’FBI, 1900-1909.<br />

36 Memorandum ai membri dell’Advisory Committee on Human Radiation Experiments da parte del personale della<br />

commissione, 1° maggio 1995, Politica ufficiale di classificazione per nascondere l’imbarazzo. Il memorandum dello staff<br />

di Clinton reca la dicitura «Bozza, solo per la discussione» e cita il memo del 1947 richiamato nella nota seguente.<br />

37 Rapporto della riunione della commissione per la classificazione durante la settimana dell’8 settembre 1947, Atomic<br />

Energy Commission.<br />

38 28 settembre 1947, memorandum da J.C. Franklin, direttore delle operazioni Oak Ridge, a Carroll L. Wilson,<br />

direttore generale rif: Politica medica, pp. 2-3; individuato intorno al 1995 dalla commissione di Clinton.<br />

39 Ibid.<br />

40 8 ottobre 1947, memorandum al comitato consultivo per la medicina e la biologia rif: Politica medica, p. 8:<br />

individuato intorno al 1995 dalla commissione di Clinton.<br />

41 Secondo il Miniwatts Marketing Group.<br />

42 Su Wikipedia si trova una panoramica interessante delle teorie del nuovo ordine mondiale, completa di bibliografia.<br />

Capitolo 20<br />

1 Interviste: Richard Mingus, Ed Lovick, Bob Murphy, T.D. Barnes, Gene Poteat, Peter Merlin, Harry Martin, Millie<br />

Meierdierck, dottor Wheelon, Joe Behne.<br />

2 Interviste a Richard Mingus e Joe Behne.<br />

3 I dettagli dell’attacco simulato rimangono tuttora classificati. Darwin Morgan, portavoce della NNSA, Nevada Site<br />

Office, non ha confermato né smentito l’accaduto. Mingus e Behne hanno potuto parlarmene perché i dettagli dell’attacco<br />

con l’elicottero furono loro riferiti da altri. Il loro lavoro riguardava la bomba nucleare che veniva calata nel pozzo. In altre<br />

parole, mentre tutti e due erano al corrente dell’allarme sicurezza, nessuno dei due fu mai ufficialmente informato<br />

dell’attacco con l’elicottero.<br />

4 Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, Test nucleari degli Stati Uniti dal luglio 1945 al settembre 1992, p. 14.


5 Intervista a Mingus. Si tratta di una delle rare storie riguardanti la sicurezza alla base segreta. Mingus la racconta<br />

perché oggi la procedura è obsoleta.<br />

6 Intervista a Joe Behne.<br />

7 Interviste a Richard Mingus e Joe Behne.<br />

8 Intervista a Ed Lovick.<br />

9 Ibid. e nello specifico «basata sul radar da 15GHz, lunghezza d’onda 0,08».<br />

10 Intervista a Bob Murphy.<br />

11 Barnes precisa che alcune bombe vennero sganciate vicino al bacino del lago asciutto all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

12 JOHNSON, Tonopah Test Range Outpost of Sandia National <strong>La</strong>boratories , rapporto Sandia SAND96-0375 UC-700<br />

marzo 1996, contratto US DOE DE-AC04-94AL85000.<br />

13 JOHNSON, Tonopah Test Range Outpost of Sandia National <strong>La</strong>boratories, p. 8.<br />

14 Ivi, p. 47; siti dell’operazione Roller Coaster, TTR SAFER Plan, sezione 2.0. Mappa p. 7; NVO-171 Plutonio<br />

ambientale al Nevada Test Site e nei dintorni, giugno 1977, p. 35.<br />

15 Intervista a Peter Merlin.<br />

16 CRICKMORE, Lockheed F-117 Nighthawk, p. 4. Il maggiore Al Whitley fu il primo pilota operativo a mettersi ai<br />

comandi del Nighthawk nell’ottobre di quell’anno.<br />

17 Sito web ufficiale dell’aeronautica militare statunitense, biografia.<br />

18 All’epoca Barnes aveva lasciato l’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, quindi è una storia di seconda mano. Dato che aveva partecipato al<br />

programma MIG sin dai suoi esordi, Barnes era al corrente di Bond ma non fu mai informato ufficialmente.<br />

19 HOFFMAN, Allies Helps Pentagon Obtain Soviet Arms, Associated Press, 7 maggio 1984.<br />

20 JOHNSON, Tonopah Test Range Outpost of Sandia National <strong>La</strong>boratories , p. 79. Il primo volo di Have Blue fu<br />

eseguito il 1° dicembre 1977 da Bill Park alle sette di sera, come si legge in CRICKMORE, Lockheed F-117 Nighthawk.<br />

21 Carte personali di Hank Meierdierck; intervista a Jim Freedman; intervista a Millie Meierdierck.<br />

22 Intervista a Gene Poteat.<br />

23 JAMES MAY, Riding the Caspian Sea Monster, BBC News, 27 settembre 2008.<br />

24 Intervista a Jim Freedman.<br />

25 Carte personali di Hank Meierdierck.<br />

26 Intervista al dottor Wheelon.<br />

27 Intervista a Tony Bevacqua il quale eseguì missioni di “annusamento” con l’U-2 per conto dell’aeronautica militare.<br />

Secondo la mia intervista al colonnello Slater, i piloti Black Cat condussero alcune di queste pericolose missioni.<br />

28 RICHELSON, Wizards of <strong>La</strong>ngley, pp. 93-94.<br />

29 MARKS, Search for the “Manchurian Candidate”, p. 220. Tutto il capitolo 12 del libro, intitolato The Search for the<br />

Truth, offre un ritratto particolarmente vivido di come la CIA era percepita in quel periodo.<br />

30 CIA top-secret, guerra biologica, URSS: Voci aggiuntive di un incidente all’istituto di guerra biologica di Sverdlovsk.<br />

Datato 15 ottobre 1979. Declassificato il 6/10/96.<br />

31 Gli Hellfire sono costruiti dalla Lockheed; il nome del missile è un acronimo che indica il progetto originale:<br />

helicopter-launched, fire-and-forget (“lanciato dall’elicottero, sistema di guida autonomo”).<br />

32 COLL, <strong>La</strong> guerra segreta della CIA, p. 647.<br />

Capitolo 21<br />

1 Interviste: T.D. Barnes, colonnello Leghorn, Hervey Stockman, Gerald Posner, Stephen Younger, John Pike, Gene<br />

Poteat, ingegnere della EG&G, David Myhra.<br />

2 Intervista a Barnes. Si tratta dell’ipotesi di un esperto: Barnes non ha lavorato al progetto dei droni. Anche Coll ne<br />

parla, cfr. <strong>La</strong> guerra segreta della CIA, p. 666.<br />

3 4 dicembre 1981, ordine esecutivo del presidente Ronald Reagan 12.333.<br />

4 COLL, <strong>La</strong> guerra segreta della CIA, pp. 648-649.


5 In <strong>La</strong> guerra segreta della CIA, Steve Coll afferma che la replica di Tarnak era in “Nevada” (p. 667). Una delle fonti<br />

che ho intervistato la colloca all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, mentre un’altra sostiene che si trovasse all’interno del Nevada Test and Training<br />

Range (ipotizzando l’<strong>Area</strong> 52). L’esatta ubicazione rimane classificata.<br />

6 COLL, <strong>La</strong> guerra segreta della CIA, p. 650. «Poi c’era il problema dell’altalena dei bambini. A Tarnak abitavano<br />

diverse famiglie. <strong>La</strong> CIA calcolava che nel complesso vivessero circa un centinaio tra donne e bambini: la famiglia di Bin<br />

<strong>La</strong>den e quelle di alcuni dei suoi principali assistenti.» Tenet avrebbe avuto l’ultima parola.<br />

7 JIM GARAMONE, Predator Demonstrates Worth Over Kosovo, American Forces Press Service, 21 settembre 1999.<br />

8 9/11 Commission Report, pp. 213-214.<br />

9 Intervista di Wolfowitz alla conduttrice della CNN Maria Ressa comparsa a stampa con il titolo US Missile Strike Kills al<br />

Qaeda Chief, CNN, 5 novembre 2002. Wolfowitz aggiunse: «Si spera sempre di ottenere un successo come questo, non<br />

solo per essersi sbarazzati di una persona pericolosa, ma per aver imposto dei cambiamenti alle loro tattiche, alle loro<br />

operazioni e alle loro procedure».<br />

10 PHILIP SMUCKER, The Intrigue Behind the Drone Strikes: Yemeni Official Says US <strong>La</strong>cks Discretion as Antiterror<br />

Partner, «Christian Science Monitor», 12 novembre 2002.<br />

11 Ibid.; SEYMOUR HERSCH, Manhunt: The Bush Administration’s New Strategy in the War Against Terrorism , «New<br />

Yorker», 23 dicembre 2002.<br />

12 PETER BERGEN E KATHERINE TIEDEMANN, The Drone War: Are Predators Our Best Weapon or Worst Enemy ,<br />

«New Republic», 3 giugno 2009.<br />

13 MARK HOSENBALL E EVAN THOMAS, The Opening Shot, «Newsweek», 18 novembre 2002.<br />

14 MQ-1B Predator, sito web ufficiale dell’aeronautica militare USA, scheda.<br />

15 General Atomics Aeronautical, www.ga-asi.com, visitato il 30 dicembre 2010.<br />

16 TRAVIS EDWARDS, First MQ-9 Reaper Makes Its Home on Nevada Flightline, «US Air Force Public Affairs», 14<br />

marzo 2007.<br />

17 MAGGIORE JOHN HUTCHESON, Balad Predator Strikes Insurgents Placing Roadside Bomb Near Balad, «Red Tail<br />

Flyer», 332 nd Air Expeditionary Wing, Public Affairs, Balad Air Base, Iraq, 31 marzo 2006, p. 5.<br />

18 Ibid.<br />

19 www.longwarjournal.org/pakistan-strikes.php; questi numeri variano. Peter Bergen e Katherine Tiedemann sono<br />

considerati delle autorità sull’argomento degli attacchi con i droni. I due giornalisti tengono il conto degli attacchi e<br />

forniscono analisi a diverse organizzazioni tra cui la New America Foundation e la rivista «New Republic».<br />

20 Questo succede perché spesso i missili sono lanciati dalla CIA e gli attacchi con i droni dell’agenzia non sono resi<br />

pubblici. Secondo la mia intervista a funzionari del Pentagono: «Non possiamo confermarlo né smentirlo». Anche i<br />

funzionari del dipartimento di stato si rifiutano di commentare gli attacchi con i droni condotti dalla CIA ed eludono i<br />

tentativi di ottenere conferme sul ruolo della CIA nelle operazioni con i droni. Durante una visita in Pakistan nel dicembre<br />

del 2009, il segretario di stato Hillary Clinton disse a un gruppo di giornalisti che stavano indagando nello specifico sugli<br />

attacchi con i droni: «Non ho intenzione di commentare alcuna particolare tattica o tecnologia».<br />

21 Originariamente riferita dalla rivista «Air & Cosmos», www.air-cosmos.com/site, la storia fu quasi subito ripresa dalla<br />

stampa americana. DAVID HAMBLING, Mysteries Surround Afghanistan’s Stealth Drone, «Wired», Danger Room Blog, 4<br />

dicembre 2009; intervista a un funzionario anonimo della Lockheed.<br />

22 Intervista al segretario dell’aeronautica, ufficio delle relazioni pubbliche.<br />

23 <strong>La</strong>boratori nazionali Sandia: Radar ad apertura sintetica: che cos’è un radar ad apertura sintetica? Programmi Sandia<br />

sui radar ad apertura sintetica (partecipanti e programmi non classificati); www.sandia.gov.<br />

24 Visita personale alla base dell’aeronautica di Creech, Indian Springs, Nevada, 9 ottobre 2009.<br />

25 Rapporto del comitato scientifico della Difesa, 2008. Studio estivo sulla capacità di sorpresa, volume II: documenti a<br />

sostegno, gennaio 2010. Ufficio del sottosegretario alla Difesa per le acquisizioni, la tecnologia e la logistica, Washington,<br />

DC, 20301-3140, capitolo 2, appendice 2-A, Problemi perversi, pp. 127-131.<br />

26 Ivi, p. 127.<br />

27 CARL HOFFMAN, China’s Space Threat: How Missiles Could Target US Satellites, «Popular Mechanics», luglio 2007.<br />

28 JIM GARAMONE, Navy to Shoot Down Malfunctioning Satellite, American Forces Press Service, 14 febbraio 2008;<br />

Navy Says Missile Smashed Wayward Satellite, MSNBC.com News Services, 21 febbraio 2008; US Missile Shoots Down


Satellite – But Why?”, «Christian Science Monitor», 22 febbraio 2008.<br />

29 Ivi, p. 287.<br />

30 Ufficio del programma della NASA sui detriti orbitanti, FAQ, luglio 2009, orbitaldebris.jsc.nasa.gov/faqs.html.<br />

31 CARL HOFFMAN, China’s Space Threat: How Missiles Could Target US Satellites, «Popular Mechanics», luglio 2007.<br />

32 Intervista al colonnello Leghorn.<br />

33 <strong>La</strong> Itek, che sta per Information (“I”) Technology (“tek”), fu fondata nel 1957 con un finanziamento in capitale di<br />

rischio da parte di <strong>La</strong>urance Rockefeller. <strong>La</strong> Itek costruì le macchine fotografiche Corona dall’inizio del programma fino alla<br />

sua fine, nel 1972. I sistemi successivi della CIA/NRO furono appaltati alla Perkin-Elmer; interviste al colonnello Leghorn e<br />

al dottor Wheelon. Nelle sue memorie, Helms scrisse: «Corona compì 145 missioni segrete, sempre con risultati<br />

soddisfacenti», p. 267.<br />

34 Sito web ufficiale dell’aeronautica militare americana, biografia del colonnello Richard Sully Leghorn, in pensione, Air<br />

Force Space Command, afspc.af.mil/library/biographies/bio.asp?id=9942.<br />

35 LELAND JOHNSON, Sandia Report: Tonopah Test Range Outpost of Sandia National <strong>La</strong>boratories, SAND96-0375,<br />

UC-700, marzo 1996, p. 80.<br />

36 NELSON, Low-Yield Earth-Penetrating Nuclear Weapons, p. 3, figura 3.<br />

37 Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty Organization ( www.ctbto.org). Il trattato per il bando totale dei test<br />

nucleari fu firmato da Stati Uniti, Cina, Francia, Regno Unito e Russia il 26 settembre 1996 a New York. Gli Stati dotati di<br />

armi nucleari che non lo sottoscrissero (e non l’hanno ancora fatto nel 2011) sono India, Israele e Pakistan. Secondo la<br />

CTBTO, Israele non esegue test ma si presume generalmente che abbia armi nucleari. Nel 2006 la Corea annunciò di<br />

aver condotto un test nucleare.<br />

38 ERIC ADAMS, Rods from God, «Popular Science», 1° giugno 2004.<br />

39 NELSON, Low-Yield Earth-Penetrating Nuclear Weapons, p. 4.<br />

40 JSR-97-155, Caratterizzazioni delle installazioni sotterranee, JASON, MITRE Corporation, McLean, Virginia.<br />

41 Intervista a Stephen Younger.<br />

42 NSTec Contracted to Operate NNSA Test Site , United Press International, 22 dicembre 2008. Intervista a Stephen<br />

Younger.<br />

43 Rapporto per il Congresso del Congressional Research Service, Bunker Busters: Robust Nuclear Earth Penetrator<br />

Issues, FY 2005-FY 2007; Domenici: Fondi per l’RNEP cancellati dalla Appropriations Bill, comunicato stampa, senatore<br />

Pete Domenici, 25 ottobre 2005, sedute FY 2006.<br />

44 MICHAEL R. WILLIAMS, Ground Test Facility for Propulsion and Power Modes of Nuclear Engine Operation ,<br />

Savannah River National <strong>La</strong>boratory, dipartimento dell’Energia, WSRC-MS-2004-00842.<br />

45 PAULINE JELINEK, US Releases Nazi Papers, Associated Press, 2 novembre 1999.<br />

46 Interviste all’ingegnere della EG&G.<br />

47 Cosa che di sicuro spiega perché la CIA e l’aeronautica militare non sono riuscite a trovare i resti dell’incidente di<br />

Roswell nei loro archivi.<br />

48 Nel 1999, la EG&G fu acquistata dal Carlyle Group. Nel 2002 fu comprata dalla URS. Nel 2000 la EG&G ha formato<br />

una joint venture con la Raytheon per creare il JT3 (Joint Test, Tactical, and Training) LLC che offre «ingegneria e<br />

supporto tecnico al Nevada Test and Training Range, all’Air Force Flight Test Center, allo Utah Test and Training Range e<br />

all’Electronic Combat Range». Intervista a Meagan Stafford, pubbliche relazione di EG&G/URS, Sard Verbinnen & Co., 16<br />

luglio 2010.<br />

49 Intervista a Gerald Posner; POSNER E WARE, Mengele: The Complete Story, p. 83.<br />

50 SPITZ, Doctors From Hell: The Horrific Account of Nazi Experiments on Humans. Spitz lavorò come dattilografo<br />

durante i processi di Norimberga. Forgiving Dr. Mengele , film di Bob Hercules e Cheri Pugh (2006); museo dell’Olocausto<br />

CANDLES, biografia di Eva Mozes Kor. Anche i giapponesi fecero esperimenti atroci sugli esseri umani durante la guerra.<br />

Dipartimento della Guerra degli Stati Uniti, Ufficio dei crimini di guerra, ufficio del procuratore generale, n. 770.475. <strong>La</strong><br />

versione giapponese del dottor Mengele, il generale Ishii, fu graziato dall’ufficio dei crimini di guerra degli Stati Uniti sulla<br />

base della considerazione che le informazioni relative ai suoi esperimenti medici erano in qualche modo tornate a<br />

vantaggio dell’America. Sebbene si tratti di finzione, L’isola del dottor Moreau scritto nel 1896 da H.G. Wells racconta una<br />

storia perversa di sperimentazione sugli esseri umani condotta su un’isola remota.<br />

<strong>51</strong> KOREN E NEGEV, In Our Hearts We Are Giants, pp. 85-197.


52 ERIK KIRSCHBAUM, Cloning Wakes German Memories of Nazi Master Race, Reuters, 27 febbraio 1997. L’America<br />

non è immune dall’ideologia eugenetica, vedi EDWIN BLACK, Eugenics and the Nazis: The California Connection, «San<br />

Francisco Chronicle», 9 novembre 2003.<br />

53 BRUCE WEBER, Dina Babbitt, Artist at Auschwitz, Is Dead at 86, «New York Times», 1° agosto 2009.<br />

54 KOREN E NEGEV, In Our Hearts We Are Giants, p. 109.<br />

55 Intervista a Gerald Posner. Posner ha intervistato Rolf Mengele e ha avuto accesso a 5.000 pagine della<br />

corrispondenza scritta di Mengele, come pure ai diari personali scritti dopo la guerra.<br />

56 Intervista all’ingegnere dell’EG&G.<br />

57 Intervista a Posner.<br />

58 EILEEN WELSOME, The Plutonium Files: America’s Secret Medical Experiments in the Cold War, «Albuquerque<br />

Tribune», novembre 1993.<br />

59 Trials of War Criminals before the Nuremberg Military Tribunals under Control Council <strong>La</strong>w No. 10, Vol. 2,<br />

Washington, DC: US Government Printing Office, 1949. Codice di Norimberga: (1) Il consenso volontario del soggetto<br />

umano è assolutamente fondamentale. (2) L’esperimento dev’essere tale da produrre risultati per il bene della società,<br />

impossibili da ottenere con altri metodi o mezzi di studio, e non di natura casuale e non necessaria. Il testo completo è<br />

disponibile su ohsr.od.nih.gov/guidelines/nuremberg.html.<br />

60 <strong>La</strong> commissione consultiva era composta da quattordici membri che riferivano al presidente attraverso un gruppo di<br />

gabinetto denominato Human Radiation Interagency Working Group (Gruppo di lavoro interagenzie sugli esperimenti<br />

radioattivi sull’uomo) e comprendeva i segretari alla Difesa (ex Atomic Energy Commission) come anche il procuratore<br />

generale e il direttore della CIA. <strong>La</strong> commissione fu sciolta nell’ottobre del 1995 dopo la pubblicazione delle sue scoperte.<br />

Oggi, l’Office of Health, Safety and Security (HSS), un dipartimento dell’ufficio Energia, ha un sito web. Del suo operato, il<br />

DOE dice: «Abbiamo intrapreso un grosso sforzo per identificare e catalogare documenti storici rilevanti dai 90.000 metri<br />

cubi di fascicoli del DOE sparsi per il paese». Dato che ci sono circa 70.000 pagine di documenti in ogni metro cubo, si<br />

sta dicendo che una ricerca per “EG&G” nel database HSS/DOE dà come risultato l’insignificante numero di 500 pagine.<br />

Epilogo<br />

1 Interviste: colonnello Leghorn, Ed Lovick, ingegnere della EG&G, David Myhra.<br />

2 Si tratta della pubblicazione governativa Rapporto ufficiale, Task Force 1.52 e assomiglia a un annuario della scuola<br />

superiore.<br />

3 Atomic Audit, p. 102.<br />

4 Potsdam e la decisione finale di usare la bomba, archivi del dipartimento dell’Energia (www.cfo.doe.gov): «Nel corso<br />

della seconda settimana dei colloqui alleati a Potsdam, la sera del 24 luglio 1945, Truman si avvicinò a Stalin <strong>senza</strong><br />

inteprete e, nel modo più indifferente possibile, gli disse che gli Stati Uniti avevano una “nuova arma di potenza distruttiva<br />

non comune”. Stalin si dimostrò poco interessato, limitandosi a rispondere che sperava che gli Stati Uniti ne avrebbero<br />

fatto “buon uso contro i giapponesi”. <strong>La</strong> ragione della compostezza di Stalin divenne chiara in seguito: i servizi segreti<br />

sovietici avevano informazioni sul programma della bomba atomica fin dall’autunno del 1941».<br />

5 Intervista all’ingegnere della EG&G.<br />

6 Ibid. L’ingegnere dice che questa informazione gli venne data dal suo superiore, il quale l’aveva avuta da un alto<br />

funzionario del governo. Non si può escludere la possibilità che agli ingegneri della EG&G venissero date informazioni false<br />

allo scopo di costringerli a partecipare a un progetto moralmente reprensibile; nel 19<strong>51</strong> non c’era nemico peggiore del<br />

mondo libero di Josif Stalin. Finché la Russia non aprirà i propri archivi riguardanti gli UFO, la versione di Stalin rimarrà<br />

sconosciuta, ma a partire dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica è venuto alla luce l’interesse del dittatore per gli UFO. In<br />

Korolëv il professor James Harford parla di un’occasione in cui Stalin chiese al suo più importante esperto di razzi, Sergej<br />

Korolëv, di studiare gli UFO (pp. 234, 362).<br />

7 Intervista a Gene Poteat. Le informazioni provengono anche dalla partecipazione di Poteat alla tavola rotonda<br />

sull’Oxcart della CIA che si è tenuta al National Air and Space Museum dello Smithsonian Institution, centro Steven F.<br />

Udvar-Hazy, 24 settembre 2010.<br />

8 Intervista a David Myhra.<br />

9 MYHRA, The Horten Brothers and Their All-Wing Aircraft, p. 229.<br />

10 Ivi, p. 230.


11 National Aviation Hall of Fame, biografia, Theodore von Kármán. www.nationalaviation.org/von-karman-theodore.<br />

MYHRA, The Horten Brothers and Their All-Wing Aircraft, p. 230.<br />

12 National Air and Space Museum dello Smithsonian Institution, settore archivi, interviste a Reimar e Walter Horten,<br />

acquisizione n. 1999-0065.<br />

13 Intervista a David Myhra.<br />

14 Lettera del 29 ottobre 2010 alla signora <strong>Annie</strong> <strong>Jacobsen</strong> da Nathan L. Mitchell, assistente del consulente legale,<br />

dipartimento dell’esercito, ufficio del consulente legale, 104 Army, Pentagono, Washington, DC.<br />

15 Il nome di questo ingegnere e il suo lavoro alla EG&G negli anni Cinquanta sono stati verificati con le testimonianze<br />

di altri impiegati della EG&G.<br />

16 Il lotto è adiacente agli edifici identificati come l’originario quartier generale della EG&G a <strong>La</strong>s Vegas in un filmato<br />

sulla storia del Nevada Test Site finanziato dalla National Nuclear Security Administration, Nevada Site Office: «Quando la<br />

EG&G si stabilì per la prima volta a <strong>La</strong>s Vegas, il loro quartier generale era ubicato su “A” Street, che oggi si chiama<br />

Commerce».<br />

17 Intervista a Ed Lovick.<br />

18 Affidavit dell’aviere morto: gli alieni di Roswell erano reali. Fox News.com, 3 luglio 2007.<br />

www.foxnews.com/story0,2933,287643,00.html, visitato il 30 dicembre 2010.<br />

19 Corrispondenza scritta con Bob <strong>La</strong>zar, 2010.<br />

20 Intervista all’ingegnere della EG&G.<br />

21 Per capire meglio Vannevar Bush, ho letto le sue carte, le lettere e le minute manoscritte dei suoi articoli, libri e<br />

monografie presenti nelle tre raccolte principali dei suoi scritti: VANNEVAR BUSH, A Collection of His Papers in the Library<br />

of Congress, Manuscript Division, Library of Congress, Washington, DC; VANNEVAR BUSH, Ufficio per la ricerca e lo<br />

sviluppo della scienza, National Archives and Records Administration, College Park, Maryland; carte di Vannevar Bush,<br />

Carnegie Institute, Washington, DC.<br />

22 Gli esperimenti prevedevano elevate concentrazioni di lewisite e iprite. Advisory Committee on Human Radiation<br />

Experiments, Final Report, p. 98; Veterans at Risk: The Health Effects of Mustard Gas and Lewisite, pp. 66–69.<br />

23 Ivi, p. 66.<br />

24 Advisory Committee on Human Radiation Experiments, Final Report, capitolo sette, ricerche non terapeutiche sui<br />

bambini, pp. 350-3<strong>51</strong>. DOTTOR SUSAN LEDERER, Military Medical Ethics, volume 2, The Cold War and Beyond: Covert<br />

and Deceptive American Medical Experiments, p. <strong>51</strong>4. Lederer, membro dello staff della commissione di Clinton, cita D.J.<br />

ROTHMAN, Strangers at the Bedside: A History of How <strong>La</strong>w and Bioethics Transformed Medical Decision Making, Basic<br />

Books, 1991.<br />

25 GOSLING, The Manhattan Project: Making the Atomic Bomb, p. 10.<br />

26 Dal sito web dell’azienda (www.jt3.com), visitato il 18 ottobre 2010. «Il dipartimento della Difesa (DoD) ha unito il<br />

supporto manageriale ingegneristico e tecnico di parecchi poligoni sperimentali occidentali in un’unica organizzazione allo<br />

scopo di ottimizzare il supporto ai clienti per i test e l’addestramento. Per rispondere a questa sfida, la URS e la Raytheon<br />

Technical Services Company (RTSC) hanno formato JT3, una società a responsabilità limitata (LLC) dedicata a supportare<br />

le necessità dei Joint Range Technical Services (J-Tech). Siamo esperti nell’assistere i nostri clienti e altri contractor nella<br />

pianificazione, preparazione ed esecuzione di progetti di collaudo e di missioni di addestramento.»


Interviste<br />

Le persone elencate di seguito, per data di nascita, hanno fatto molte cose nella loro<br />

lunga carriera. Tutti i militari e i funzionari dei servizi segreti sono in pensione.<br />

Helen Kleyla (1913-). Per lungo tempo segretaria del vicedirettore della CIA Richard<br />

Bissell.<br />

Colonnello Richard S. Leghorn (1919-). Il padre dello spionaggio dai cieli in tempo di<br />

pace.<br />

Edward Lovick Jr (1919-). Il padre della tecnologia stealth.<br />

Ray Goudey (1919-). Pilota dell’U-2 “Ship One” all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Fred White (1921-). Estensore dei manuali dell’U-2, dell’A-12 e dell’SR-71 della Lockheed.<br />

Colonnello Hugh “Slip” Slater (1922-). Comandante della base all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Alfred O’Donnell (1922-). Membro del progetto Manhattan. Ha armato, cablato e fatto<br />

esplodere 186 bombe nucleari al Nevada Test Site e al Pacific Proving Ground.<br />

Colonnello Hervey Stockman (1922-2011). Il primo uomo a sorvolare l’Unione<br />

Sovietica a bordo di un U-2.<br />

Colonnello Sam Pizzo (1922-). Esperto di navigazione dell’A-12 all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e scorta di<br />

Nikita Chrušcëv da Mosca all’America nel 1959.<br />

Generale Hsichun “Mike” Hua (1926-). Pilota della squadriglia di U-2 Black Cat.<br />

Ralph James “Jim” Freedman (1927-). Responsabile acquisti e forniture all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>,<br />

ingegnere della EG&G per i test d’arma e fotografo delle esplosioni nucleari.<br />

Brigadier generale Raymond L. Haupt (1927-). L’unico uomo ad aver pilotato tutte e<br />

tre le versioni dell’Oxcart all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Maggior generale Patrick J. Halloran (1928-). Ufficiale di squadriglia addetto alle<br />

operazioni dell’U-2, comandante di stormo dell’SR-71 Blackbird.<br />

Dottor Albert D. “Bud” Wheelon (1929-). Primo vicedirettore della scienza e della<br />

tecnologia della CIA, conosciuto anche come governatore dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Colonnello Kenneth B. Collins (1930-). Pilota di A-12 Oxcart per la CIA.<br />

Tenente colonnello Francis J. “Frank” Murray (1930-). Pilota di A-12 Oxcart per la<br />

CIA.<br />

Tenente colonnello Roger W. Andersen (1930-). Operazioni posto di comando<br />

dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong> e della base di Kadena durante l’operazione Oxcart.<br />

Robert “Bob” Murphy (1930-). Ingegnere degli Skunk Works della Lockheed e<br />

manager dei progetti degli aerei all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

William “Bill” Weaver (1930-). Pilota collaudatore della Lockheed per l’A-12, l’YF-12,<br />

l’SR-71 e l’unico pilota a essere sopravvissuto dopo essersi lanciato da un SR-71<br />

Blackbird che volava a Mach 3 a 24.000 metri di quota.


Capitano Donald J. Donohue (1930-). Capitano dell’equipaggio dell’A-12 Oxcart<br />

all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Frank Micalizzi (1930-). Supervisore dei magazzini all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Florence DeLuna (1930-). Pilota di aerei da trasporto all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Ernest “Ernie” Williams (1930-). Coordinatore del parco autoveicoli dell’Atomic Energy<br />

Commission e dei servizi ristorazione, fece da guida agli astronauti dell’Apollo al<br />

Nevada Test Site.<br />

S. Eugene “Gene” Poteat (1930-). Pioniere delle contromisure elettroniche, primo<br />

funzionario della CIA assegnato al National Reconnaisance Office.<br />

Richard Mingus (1931-). Sicurezza dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>, sicurezza del Nevada Test Site,<br />

direttore delle operazioni del laboratorio <strong>La</strong>wrence Radiation.<br />

Harry Martin (1931-). Responsabile dei serbatoi di stoccaggio carburante da milioni di<br />

litri all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Tenente colonnello Tony Bevacqua (1932-). Il più giovane pilota di U-2 all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Colonnello Charles E. “Charlie” Trapp (1933-). Pilota elicotterista di ricerca e<br />

soccorso all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Troy Wade (1934-). Per anni funzionario del Nevada Test Site, ex assistente del<br />

segretario all’Energia per i programmi della difesa, condusse l’operazione Morning Light<br />

per conto del dipartimento dell’Energia, Nevada Test Site Historical Foundation.<br />

Wayne Pendleton (1935-). Esperto radar della EG&G.<br />

Thornton “T.D.” Barnes (1937-). Esperto radar per molteplici progetti all’<strong>Area</strong> <strong>51</strong>.<br />

Ken Swanson (1937-). Guerra elettronica, esperto di contromisure elettroniche, sistema<br />

ECM Red Dog/Blue Dog.<br />

Sherre Lovick (1960-). Ingegnere degli Skunk Works della Lockheed.<br />

Colonnello Buzz Aldrin. Astronauta dell’Apollo e secondo uomo sulla Luna.<br />

Dottor Robert B. Abernethy. Ingegnere della Pratt & Whitney; ha inventato il motore<br />

J-58 dell’Oxcart.<br />

Joseph C. Behne Jr. Ex direttore dei test, <strong>La</strong>wrence Livermore National <strong>La</strong>boratory.<br />

Arthur Beidler. 67 th Reconnaissance Tactical Squadron, Giappone.<br />

Colonnello Adelbert W. “Buz” Carpenter. Pilota di SR-71.<br />

Harold B. Finger. Ex manager dello Space Nuclear Propulsione Office dell’AEC/NASA.<br />

R. Cargill Hall, storico emerito, National Reconnaissance Office.<br />

Milton M. Klein. Ex manager dello Space Nuclear Propulsione Office dell’AEC/NASA.<br />

Darwin Morgan. National Nuclear Security Administration, portavoce (attuale).<br />

Dennis Nordquist. Ingegnere meccanico della Pratt & Whitney, motore J-58.<br />

Grace Weismann. Vedova di Joe Walker.<br />

Charles “Chuck” Wilson. Pilota di U-2.<br />

Changti “Robin” Yeh. Pilota di U-2, squadriglia Black Cat.


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Indice<br />

Frontespizio<br />

Colophon<br />

Prologo. <strong>La</strong> città segreta<br />

1. L’enigma dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

2. Immaginate una guerra dei mondi<br />

3. <strong>La</strong> base segreta<br />

4. I semi di una cospirazione<br />

5. Le informazioni strettamente necessarie<br />

6. Incidenti atomici<br />

7. Da città fantasma a città del boom<br />

8. Il gioco del gatto con il topo finisce in una débâcle<br />

9. <strong>La</strong> base torna alla vita<br />

10. Maghi della scienza, della tecnologia e della diplomazia<br />

11. Che aeroplano?<br />

12. Coprire la copertura<br />

13. Per le cose sporche e pericolose ci vogliono i droni<br />

14. Dramma nel deserto<br />

15. Il non plus ultra del circolo esclusivo<br />

16. L’operazione Black Shield e la storia segreta della USS Pueblo<br />

17. I MIG dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

18. Fusione del nocciolo<br />

19. Il complotto lunare e altre leggende dell’<strong>Area</strong> <strong>51</strong><br />

20. Dalle macchine fotografiche alle armi: l’aeronautica militare prende il comando<br />

21. Rivelazione<br />

Epilogo<br />

Ringraziamenti<br />

Note<br />

Interviste<br />

Bibliografia

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