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08.12.2012 Views

56 la Biblioteca di via Senato Milano – maggio 2012 na e premeditando di «uccidere il chiaro di luna». Il futurismo rispecchiava il disagio di una società stanca che anelava al rinnovamento, un cambiamento che gli scrittori vedevano nel considerare aspetti della poesia ignorati da altri. Paolo Buzzi ebbe un ruolo fondamentale soprattutto nella prima fase dell’affermazione del futurismo, tanto che Guillaume Apollinaire lo definì uno dei fondatori del movimento. Partecipò attivamente alla causa: testimoniò a favore di Marinetti nel processo contro il romanzo di questo Mafarka il futurista e nel 1910 si fece conoscere dal pubblico con lo scandalo provocato dalla sua Ode ad Asinari di Bernezzo, generale costretto da Giolitti a dimettersi per un discorso ai Triestini; la lettura dell’ode irredentista scatenò disordini che portarono all’arresto di Marinetti e dei suoi seguaci. Gli scontri erano una conclusione abbastanza abituale per le serate futuriste, durante le quali Marinetti era solito declamare, oltre alle proprie poesie (specialmente l’Inno alla morte), anche due componimenti di Paolo Buzzi: l’Inno alla poesia nuova e il Canto dei reclusi. I due motivi defi- A sinistra: dedica di Maria Buzzi “A Mario Morini, alla giovane recluta dell’esercito dell’Arte, Paolo che di lui aveva affetto e lo ricambiava, insieme alla fede nelle sue forze spirituali, a mezzo di Maria [?] dedica in memoria. Maria Buzzi 1 giugno 1956”. In Il flauto inaudibile, Milano, Intelisano, 1956. Sotto: dedica autografa di Paolo Buzzi a Mario Morini: “Al carissimo Mario Morini con 1000 auguri d’avvenire. Paolo Buzzi 30-III-52” in Atomiche, Milano, Gastaldi, 1952 nivano la poetica dell’autore caratterizzata dall’esaltazione della lotta sociale e dalla presenza della macchina come ispiratrice di poesia, non soltanto per il dinamismo, ma anche per il rinnovamento che rappresentava in campo lavorativo, un aspetto che spesso sfuggiva ad altri futuristi, capaci di vedere nella macchina un mito materiale, dimenticando la sua funzione di miglioramento e progresso della vita dell’uomo. Quest’idea squisitamente futurista fu espressa soprattutto nella raccolta Aeroplani (1909), seguita da molti altri scritti della stessa natura:

maggio 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 57 Versi liberi (1913), L’ellisse e la spirale. Film e parole in libertà (1915). Fu soprattutto nella poesia che Buzzi regalò il suo apporto linguistico, la sua continua sperimentazione formale in rapporto alla tecnica del verso libero lo portò a essere considerato l’autentico lombardo erede di Lucini. Carlo Calcaterra, un Maestro universitario, definì la poesia buzziana «una rappresentazione della Vita quale vortice di ruote gigantesche che, invisibili, muovono il mondo. La purezza di quella Poesia è data da un unico credo artistico: dilatare al massimo la tastiera espressiva, rendere, con ogni indipendenza e sincerità di mezzi, polifonici e melodici, popolareschi e contrappuntistici, onomatopeici e magari dodecafonici, il nuovo fremito della società meccanica, elettrica turistica e sportiva». Buzzi si dedicò anche a opere in prosa di inclinazione futurista (La luminaria azzurra, 1917; La danza della iena, 1920; Cavalcata delle vertigini, 1924) e apportò un suo contributo personale alle correnti della tradizione classica celebrando le virtù eroiche con il Carme di Re Umberto (1901), Bel Canto (1916), Carmi degli augusti e dei Consolari (1919) e il Poema di Garibaldi (1919). Nel frattempo non smise di partecipare alla vita pubblica della Lombardia e, come Segretario Generale della Provincia di Milano, diede impulso a molte opere pubbliche, sostenne la diffusione della cultura nelle campagne, sviluppò la Politica del Lavoratore, aumentò l’assistenza sociale e sanitaria a favore dei lavoratori e incrementò l’interesse per le Belle Arti. Scrisse volumi sul Decentramento Ospitaliero e approfondì studi sulla lotta contro la pellagra, la malaria, la tubercolosi e l’alcolismo nel territorio milanese. In un suo intervento Buzzi, facendo considerazioni sul suo doppio ruolo di poeta e amministratore pubblico, scrisse: «Dicono che i Poeti siano pessimi amministratori, eppure furono dei grandi maestri [si riferiva a Gaetano Negri e Tullo Massarani] a insegnarmi come un uomo possa benissimo sdoppiare la propria vita fra la gestione pubblica e il regno dello spirito» e parlò di se stesso descrivendosi così: «Eccovi l’uomo a due teste, o amatori di fiere e di fenomeni! Egli una ne curva al giogo asinario per sollevare l’altra al Cigno dei Cieli». Proseguì la sua attività letteraria con opere sia in prosa, sia in versi integrando temi futuristi con quelli eroici e lirici (scrisse ad esempio: Canti per le chiese vuote, 1929; Le dannazioni, 1929; Le beatitudini, 1930; Echi del Labirinto, 1931; Canto quotidiano, 1933). Dopo trentotto anni di carriera pubblica, nel 1935 abbandonò volontariamente la carica di Amministratore provinciale di Milano per Opera in bronzo raffigurante Paolo Buzzi di profilo realizzata da Enrico Pancera. Il maestro ne colse i tratti fisici e la psiche dedicarsi completamente alla poesia e alle lettere, ritirandosi in Brianza, sua terra d’origine. Cominciò per Buzzi un lungo periodo di esilio, che durò fino alla sua morte (1956), lontano dalla vita mondana a cui era avvezzo. Viaggiò per l’Egitto, l’Europa e le Alpi con la sua sposa Maria definita «custode guerriera» che lo seguiva ovunque «coi suoi passi di Calpurnia eroica e di Cecilia cristiana». Lo scrittore rimase in contatto con il mondo attraverso i suoi libri e gli articoli per i giornali, ma apprezzava molto la visita di qualche amico o la curiosità e il rispetto di qualche giovane interessato all’amicizia di un personaggio così eclettico e affascinante. Tra questi possiamo annoverare Mario Morini (1929-2005), scrittore, giornalista culturale per la “Nazione”, “Il Resto del Carlino”, “Il Corriere Lombardo”, “La Notte”, personaggio che fu molto legato all’autore, tanto da essere definito dalla moglie di Buzzi, Maria, «il figlio spirituale di Paolo». Tale informazione è fornita dalle dediche autografe presenti sugli esemplari delle opere di Buzzi conservate presso il Fondo di Letteratura del Novecento della Biblioteca di via Senato. La Biblioteca possiede quasi tutte le opere di Paolo Buzzi, molte delle quali in prima edizione e corredate di dediche manoscritte firmate dall’autore stesso o dalla moglie Maria nel caso di scritti pubblicati postumi. La maggior parte dei componimenti realizzati dopo l’abbandono degli impegni pubblici del 1935 restarono inediti, a eccezione di Nostra signora degli Abissi, 1935; Poema di Radio-Onde, 1940; Elica ad

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na e preme<strong>di</strong>tando <strong>di</strong> «uccidere il<br />

chiaro <strong>di</strong> luna». Il futurismo rispecchiava<br />

il <strong>di</strong>sagio <strong>di</strong> una società stanca<br />

che anelava al rinnovamento, un<br />

cambiamento che gli scrittori vedevano<br />

nel considerare aspetti della<br />

poesia ignorati da altri.<br />

Paolo Buzzi ebbe un ruolo<br />

fondamentale soprattutto nella prima<br />

fase dell’affermazione del futurismo,<br />

tanto che Guillaume Apollinaire<br />

lo definì uno dei fondatori del<br />

movimento. Partecipò attivamente<br />

alla causa: testimoniò a favore <strong>di</strong><br />

Marinetti nel processo contro il romanzo<br />

<strong>di</strong> questo Mafarka il futurista<br />

e nel 1910 si fece conoscere dal pubblico<br />

con lo scandalo provocato dalla<br />

sua Ode ad Asinari <strong>di</strong> Bernezzo, generale<br />

costretto da Giolitti a <strong>di</strong>mettersi<br />

per un <strong>di</strong>scorso ai Triestini; la<br />

lettura dell’ode irredentista scatenò<br />

<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni che portarono all’arresto<br />

<strong>di</strong> Marinetti e dei suoi seguaci. Gli<br />

scontri erano una conclusione abbastanza<br />

abituale per le serate futuriste,<br />

durante le quali Marinetti era<br />

solito declamare, oltre alle proprie<br />

poesie (specialmente l’Inno alla morte),<br />

anche due componimenti <strong>di</strong><br />

Paolo Buzzi: l’Inno alla poesia nuova e<br />

il Canto dei reclusi. I due motivi defi-<br />

A sinistra: de<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> Maria Buzzi<br />

“A Mario Morini, alla giovane recluta<br />

dell’esercito dell’Arte, Paolo che<br />

<strong>di</strong> lui aveva affetto e lo ricambiava,<br />

insieme alla fede nelle sue forze<br />

spirituali, a mezzo <strong>di</strong> Maria [?] de<strong>di</strong>ca<br />

in memoria. Maria Buzzi 1 giugno<br />

1956”. In Il flauto inau<strong>di</strong>bile, Milano,<br />

Intelisano, 1956. Sotto: de<strong>di</strong>ca<br />

autografa <strong>di</strong> Paolo Buzzi a Mario<br />

Morini: “Al carissimo Mario Morini<br />

con 1000 auguri d’avvenire. Paolo<br />

Buzzi 30-III-52” in Atomiche, Milano,<br />

Gastal<strong>di</strong>, 1952<br />

nivano la poetica dell’autore caratterizzata<br />

dall’esaltazione della lotta<br />

sociale e dalla presenza della macchina<br />

come ispiratrice <strong>di</strong> poesia, non<br />

soltanto per il <strong>di</strong>namismo, ma anche<br />

per il rinnovamento che rappresentava<br />

in campo lavorativo, un aspetto<br />

che spesso sfuggiva ad altri futuristi,<br />

capaci <strong>di</strong> vedere nella macchina un<br />

mito materiale, <strong>di</strong>menticando la sua<br />

funzione <strong>di</strong> miglioramento e progresso<br />

della vita dell’uomo.<br />

Quest’idea squisitamente futurista<br />

fu espressa soprattutto nella raccolta<br />

Aeroplani (1909), seguita da<br />

molti altri scritti della stessa natura:

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