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46 la Biblioteca di via Senato Milano – maggio 2012 BvS: il libro ritrovato � Le glorie di Napoleone nei Fasti di Andrea Appiani La testimonianza grafica di un ciclo pittorico andato distrutto Capita spesso nella storia dell’arte che la fruizione e la fortuna di un’opera siano dovute non alla trasmissione dell’originale, ma alla diffusione della sua traduzione. È il caso della maggiore opera di Andrea Appiani, la più ufficiale, quella che gli valse la popolarità tra i suoi contemporanei, poi distrutta e tramandata attraverso la riproduzione nelle incisioni che ne vennero tratte: sono le pitture di ARIANNA CALÒ Palazzo Reale, realizzate dal pittore milanese tra il 1803 e il 1807, nel periodo di massimo fulgore della sua carriera, su mandato di Napoleone; fedele a quanto scrisse poi nel suo diario – «Sapevo che per restare alla ribalta occorreva catturare l’attenzione […]: giacché gli uomini sono grati a chi li stupisce» – Napoleone chiese di essere rappresentato in allegorie allusive agli eventi della sua storia recente e ce- lebrative delle sue gesta. I trentacinque chiaroscuri a tempera realizzati da Appiani correvano per oltre cento metri lungo tutto il ballatoio della Sala delle Cariatidi, a narrare una storia continua; Napoleone li vide per la prima volta in un ballo ufficiale di corte indetto dopo la seconda campagna di Germania, nel 1807, e da allora rimasero esposti nella Sala per tutta la durata della sua reggenza.
maggio 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 47 Alla sua caduta, quando la furia iconoclasta del nuovo governo suggeriva un categorico delenda est alla cronaca delle glorie imperiali, il ciclo fu staccato dalle pareti, ma riuscì a salvarsi dalla distruzione solo grazie all’amore per le belle arti del nuovo imperatore Francesco I, che si risolse in un trasferimento delle tele nei depositi del palazzo di corte. Qui rimasero fino al 1828, quando l’Accademia di Belle Arti riuscì a ottenerle in dono dall’arciduca Ranieri d’Asburgo proponendo, a scopo didattico, una nuova sistemazione nella grande sala dei gessi al piano terra del Palazzo di Brera. Un compromesso che non favoriva di certo la fruizione delle immagini, ma che ottenne il suo riscatto all’ennesimo ribaltamento politico: nel vento dell’unificazione nazionale, Milano decise il solenne ritorno, il 27 maggio 1860, dei Fasti di Napoleone proprio nella Sala delle Cariatidi per la quale vennero creati. E lì li sorprese, distruggendoli, il bombardamento alleato dell’agosto del 1943. La storia delle incisioni segue da vicino le vicende delle tele da cui furono tratte, quasi ne fossero un ideale completamento: ancora su richiesta di Napoleone, rivelatasi poi di grande lungimiranza, Appiani venne incaricato di trarre dal ciclo di chiaroscuri una serie di lastre in rame, e lo conferma un biglietto del principe Eugenio de Beauharnais datato 31 luglio 1805, subito dopo la nomina di Appiani a primo pittore dell’Imperatore. «Furono tutte le composizioni, per ordine del Governo Francese, fatte incidere in un quarto dell’altezza del dipinto, e la direzione fu affidata al cav. Professore Giuseppe Longhi. Appiani ebbe allora il Titolo di Commissario I.R. di Belle Arti. Si vuole che Napoleone per rimeritarlo facesse ordinare i rami, con proposito di ritirarne 200 copie, e lasciar quindi ad Appiani i rami in proprietà. […] Le incisioni cominciarono nel 1807, e finirono nel 1816. Costarono in totale […] la somma d’italiane lire 116206.08». 1 In questo stralcio è citato Giuseppe Longhi, voluto dallo stesso Bonaparte a dirigere l’opera incisoria, consapevole del prestigio goduto che lo rendeva insieme a Raffaello Morghen l’artista in quel periodo A sinistra: particolare tratto dalla tavola raffigurante il Combattimento al Ponte di Lodi del 10 maggio 1796 e qui ritagliato sulla figura di Napoleone lanciata in combattimento. Sotto: tavola dedicata al giuramento solenne alla Costituzione della Repubblica Cisalpina (9 luglio 1787). È la tavola in cui la critica ha riconosciuto nella figura paludata all’estrema sinistra il poeta Vincenzo Monti
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<strong>maggio</strong> 2012 – la <strong>Biblioteca</strong> <strong>di</strong> <strong>via</strong> <strong>Senato</strong> Milano 47<br />
Alla sua caduta, quando la furia<br />
iconoclasta del nuovo governo<br />
suggeriva un categorico delenda est<br />
alla cronaca delle glorie imperiali, il<br />
ciclo fu staccato dalle pareti, ma riuscì<br />
a salvarsi dalla <strong>di</strong>struzione solo<br />
grazie all’amore per le belle arti del<br />
nuovo imperatore Francesco I, che<br />
si risolse in un trasferimento delle<br />
tele nei depositi del palazzo <strong>di</strong> corte.<br />
Qui rimasero fino al 1828, quando<br />
l’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti riuscì a<br />
ottenerle in dono dall’arciduca Ranieri<br />
d’Asburgo proponendo, a scopo<br />
<strong>di</strong>dattico, una nuova sistemazione<br />
nella grande sala dei gessi al piano<br />
terra del Palazzo <strong>di</strong> Brera. Un<br />
compromesso che non favoriva <strong>di</strong><br />
certo la fruizione delle immagini,<br />
ma che ottenne il suo riscatto all’ennesimo<br />
ribaltamento politico:<br />
nel vento dell’unificazione nazionale,<br />
Milano decise il solenne ritorno,<br />
il 27 <strong>maggio</strong> 1860, dei Fasti <strong>di</strong><br />
Napoleone proprio nella Sala delle<br />
Cariati<strong>di</strong> per la quale vennero creati.<br />
E lì li sorprese, <strong>di</strong>struggendoli, il<br />
bombardamento alleato dell’agosto<br />
del 1943.<br />
La storia delle incisioni segue<br />
da vicino le vicende delle tele da cui<br />
furono tratte, quasi ne fossero un<br />
ideale completamento: ancora su<br />
richiesta <strong>di</strong> Napoleone, rivelatasi<br />
poi <strong>di</strong> grande lungimiranza, Appiani<br />
venne incaricato <strong>di</strong> trarre dal ciclo<br />
<strong>di</strong> chiaroscuri una serie <strong>di</strong> lastre<br />
in rame, e lo conferma un biglietto<br />
del principe Eugenio de Beauharnais<br />
datato 31 luglio 1805, subito<br />
dopo la nomina <strong>di</strong> Appiani a primo<br />
pittore dell’Imperatore.<br />
«Furono tutte le composizioni,<br />
per or<strong>di</strong>ne del Governo Francese,<br />
fatte incidere in un quarto dell’altezza<br />
del <strong>di</strong>pinto, e la <strong>di</strong>rezione<br />
fu affidata al cav. Professore Giuseppe<br />
Longhi. Appiani ebbe allora il<br />
Titolo <strong>di</strong> Commissario I.R. <strong>di</strong> Belle<br />
Arti. Si vuole che Napoleone per rimeritarlo<br />
facesse or<strong>di</strong>nare i rami,<br />
con proposito <strong>di</strong> ritirarne 200 copie,<br />
e lasciar quin<strong>di</strong> ad Appiani i rami in<br />
proprietà. […] Le incisioni cominciarono<br />
nel 1807, e finirono nel<br />
1816. Costarono in totale […] la<br />
somma d’italiane lire 116206.08». 1<br />
In questo stralcio è citato Giuseppe<br />
Longhi, voluto dallo stesso<br />
Bonaparte a <strong>di</strong>rigere l’opera incisoria,<br />
consapevole del prestigio goduto<br />
che lo rendeva insieme a Raffaello<br />
Morghen l’artista in quel periodo<br />
A sinistra: particolare tratto dalla tavola raffigurante il Combattimento al Ponte <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong> del 10 <strong>maggio</strong> 1796 e qui<br />
ritagliato sulla figura <strong>di</strong> Napoleone lanciata in combattimento. Sotto: tavola de<strong>di</strong>cata al giuramento solenne alla<br />
Costituzione della Repubblica Cisalpina (9 luglio 1787). È la tavola in cui la critica ha riconosciuto nella figura paludata<br />
all’estrema sinistra il poeta Vincenzo Monti