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44 ECHI DI KLIMT IN LAGUNA: VITTORIO ZECCHIN E GALILEO CHINI Dovrebbe far riflettere la singolare situazione che fa sì di trovare contemporanea a Venezia una grande e bella mostra dedicata a Klimt e al suo tempo – che porta nelle sale del Palazzo Correr persino il monumentale Fregio di Beethoven – e una mostra a Milano che si limita a proporre i disegni dello stesso fregio. Si potrà discutere se non sia stato un azzardo muovere un’opera così fragile, ma di certo l’occorrenza di due mostre sullo stesso artista, in due città diverse, e senza rendere possibile il confronto fra un caposaldo della storia dell’arte moderna e le sue fasi ideative, risponde a logiche davvero difficili da spiegare. Sembra essere passata in sordina, invece, una piccola ma preziosa mostra che all’ultimo piano di Ca’ Pesaro, sede della Galleria d’arte moderna di Venezia (fino all’8 luglio), fa da corollario alla grande manifestazione di piazza San Marco. Si tratta di Spirito klimtiano. Galileo Chini, Vittorio Zecchin e la grande decorazione a Venezia. Una mostra come questa era necessaria per chiarire il nesso fra il pittore viennese e Venezia, e la scelta di dedicargli una grande mostra in occasione dei centocinquant’anni della nascita. Nel 1910, infatti, la Biennale aveva ospitato una importante sala di Klimt, in cui il pubblico italiano (e non solo), poté vedere per la prima volta la famosa Giuditta e altre opere del maestro. Non a tutti piacque quella sala veneziana, tanto da attirarsi gli strani di Ardengo Soffici, che non esitò a definirla «un Carnevale in una stanza mortuaria». Tuttavia, quella mostra non era rimasta senza eco, anzi aveva dato avvio ad un vero e proprio spirito “klimtiano” nel Liberty veneziano. Lo dimostrano i due grandi cicli decorativi cui è dedicata la mostra. Il primo, oggi smembrato (sei delle dodici tele conservate a Cà Pesaro), è Le mille e una notte di Vittorio Zecchin, realizzate dall’artista muranese nel 1914 per decorare la sala da pranzo del veneziano Hotel Terminus. Il secondo, dello stesso anno, è la Primavera commissionato a Galileo Chini da Antonio Fradeletto per la decorazione del Salone centrale del Palazzo dell’Esposizione della Biennale (oggi della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, ma esposti presso Sopra: Galileo Chini, La primavera che perennemente si rinnova II A sinistra: Vittorio Zecchin, dal ciclo Mille e una notte, Le principesse e i guerrieri la Biblioteca di via Senato Milano – maggio 2012 il Museo Boncompagni, dove approderà questa mostra in autunno). Da queste tele ci si rende conto della forza generatrice dell’opera di Klimt in Italia. Dal maestro viennese, infatti, i pittori italiani prendono non tanto degli andamenti lineari, e nemmeno quella tendenza ad un pittura di tipo divisionista: lo “spirito” del maestro, invece, si riscontra nella scelta di una decorazione ornata raffinatissima, che carpisce subito la suggestione dell’applicazione dell’oro a missione e dell’uso del rilievo in pastiglia: in questo modo si potevano amplificare le possibilità di rifrazione luminosa delle superficie riflettenti e accrescere la percezione preziosa dell’ornamento. Su motivi astratti che sembrano preludere al mondo della pura non rappresentazione, dunque, questi artisti costruivano un mondo incantato, privo forse delle inquietudini decadenti del maestro viennese, ma che portavano la sua lezione nel mondo incantato delle fiabe.
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