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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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«Ti senti bene?»<br />

«Sì. Perché?»<br />

«Perché hapana. Chiedo per sapere.»<br />

«Mi sento benissimo.» Mi alzai, uscii dalla vasca e cominciai ad asciugarmi.<br />

Avrei voluto dire che ero rilassato e un po’ insonnolito e non avevo molta voglia di<br />

parlare e avrei preferito la carne agli spaghetti, ma non me l’ero sentita di uccidere<br />

qualche animale, e per ragioni diverse ero preoccupato per i miei tre figli ed ero<br />

preoccupato per lo Shamba ed ero un po’ preoccupato per G.C. e molto preoccupato<br />

per Mary e pensavo che come medico stregone ero fasullo ma non più fasullo degli<br />

altri, e mi auguravo che il signor Singh si tenesse fuori dai guai e speravo che<br />

l’operazione nella quale eravamo impegnati per il giorno di Natale andasse bene e<br />

che Simenon scrivesse meno libri ma migliori. Non sapevo di che cosa discuteva Pop<br />

con Keiti, quando faceva il bagno, ma sapevo che Mwindi voleva essere amichevole<br />

e lo volevo anch’io. Ma quella sera ero stanco senza ragione e lui l’aveva capito ed<br />

era preoccupato.<br />

«Tu mi chiedi parole wakamba» disse.<br />

E così gli chiesi parole wakamba e mi sforzai di memorizzarle e poi lo ringraziai<br />

e andai fuori a sedermi vicino al fuoco con indosso un vecchio pigiama comprato<br />

nell’Idaho, i piedi infilati in due comodi stivali fatti a Hong Kong, una calda vestaglia<br />

di lana acquistata a Pendleton, nell’Oregon, e bevvi whisky e soda versando il whisky<br />

da una bottiglia che il signor Singh mi aveva dato come regalo di Natale e<br />

aggiungendo acqua bollita attinta dal ruscello che scorreva giù dalla Montagna,<br />

animata da un sifone costruito a Nairobi.<br />

Sono un estraneo, qui, pensai. Ma il whisky disse no, ed era l’ora del giorno in<br />

cui il whisky aveva ragione. Il whisky può avere ragione così come può avere torto, e<br />

ora diceva che non ero un estraneo e io sapevo che a quell’ora del giorno non<br />

sbagliava. Comunque, gli stivali mi avevano seguito perché erano di pelle di struzzo e<br />

ancora ricordavo il posto dove avevo trovato la pelle, dal calzolaio di Hong Kong.<br />

No, non ero stato io a trovare la pelle. Era stato qualcun altro e allora pensai a chi<br />

aveva trovato la pelle e a quei tempi e poi pensai a diverse donne e a come si<br />

sarebbero trovate in Africa e a com’ero stato fortunato a conoscere tante brave donne<br />

che amavano l’Africa. Ne avevo conosciute anche di terribili, che ci erano andate<br />

solo per dire che c’erano state, e avevo conosciuto delle vere puttane e molte<br />

alcolizzate per le quali l’Africa era stata solo un altro posto dove fare le puttane su<br />

più vasta scala o dove ubriacarsi ancora di più.<br />

L’Africa le aveva accolte tutte e in qualche modo le aveva cambiate. E quelle<br />

che erano state incapaci di cambiare la odiavano.<br />

E così ero felice di avere di nuovo G.C. al campo, e lo era anche Mary. Lui pure<br />

era felice di essere tornato perché eravamo diventati una famiglia e quando eravamo<br />

divisi sentivamo sempre la mancanza l’uno dell’altro. G.C. amava il suo lavoro e ci<br />

credeva e lo considerava importante quasi in modo fanatico. Amava gli animali e<br />

voleva prendersene cura e proteggerli, e penso che non credesse a nient’altro, tranne<br />

che a un complicato e assai rigido sistema etico.

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