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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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compresa la figlia, io fui estremamente corretto con l’uso dello Sloan, e loro persero<br />

qualunque interesse.<br />

«Jambo tu» dissi alla figlia quando uscimmo, e lei rispose, con gli occhi bassi e<br />

il seno alto: «No hay remedio».<br />

Salimmo in macchina, e nessuno fece cenni di saluto, nel freddo che bloccava<br />

qualunque formalità. Eravamo tutti molto tristi nel vedere uno Shamba così povero.<br />

«Ngui» chiesi, «come fanno, in questo Shamba, ad avere uomini tanto malridotti<br />

e donne tanto belle?»<br />

«In questo Shamba sono passati grandi uomini» rispose lui. «Un tempo era la<br />

strada per il sud, prima che costruivano la nuova.» Era arrabbiato con gli uomini<br />

dello Shamba perché erano Kamba buoni a nulla.<br />

«Pensi che dovremmo prendercelo, questo Shamba?»<br />

«Sì. Tu e Mthuka e i giovani.»<br />

Ci stavamo addentrando nel mondo africano dell’irrealtà, che è difeso e<br />

fortificato dalla realtà del passato e dalla realtà del presente. Non era un mondo<br />

dell’immaginario o un mondo da sogni a occhi aperti. Era un mondo reale, spietato,<br />

fatto dell’irrealtà della realtà. Se c’erano ancora rinoceronti, e ne vedevamo tutti i<br />

giorni mentre era chiaramente impossibile che in quella zona esistessero animali del<br />

genere, allora tutto era possibile. Se Ngui e io potevamo parlare con un rinoceronte,<br />

creatura di per sé incredibile, e parlargli nella sua stessa lingua tanto bene da metterlo<br />

in grado di rispondere, e io potevo maledirlo e insultarlo in spagnolo finché si sentiva<br />

umiliato e se ne andava, allora l’irrealtà era ragionevole e logica oltre la realtà. Lo<br />

spagnolo veniva considerato la lingua tribale mia e di Mary e anche la lingua<br />

universale di Cuba, da dove venivamo. Sapevano che in aggiunta avevamo una lingua<br />

tribale interna, o segreta, ma non si aspettavano che avessimo qualcosa in comune<br />

con gli inglesi, tranne il colore della pelle e una tolleranza reciproca. Quando Mayito<br />

Menocal stava con noi, era molto ammirato per la sua voce profonda, per il profumo,<br />

per la gentilezza e perché al suo arrivo in Africa parlava tanto lo spagnolo quanto lo<br />

Swahili. Rispettavano anche le sue cicatrici, e siccome parlava spagnolo con un forte<br />

accento camagüey ed era forte come un toro, in realtà quasi lo veneravano.<br />

Avevo spiegato che era il figlio del re del suo paese, all’epoca in cui il paese<br />

aveva grandi re, e avevo descritto le migliaia di acri di terreno che possedeva e la<br />

qualità del terreno e il numero di capi di bestiame che sapevo di sua proprietà e la<br />

quantità di zucchero che produceva. Dato che, dopo la carne, lo zucchero era il cibo<br />

più ambito dai Wakamba e dato che Pop aveva confermato con Keiti la verità di<br />

quanto avevo detto e dato che Mayito era chiaramente un buon allevatore e sapeva<br />

sempre esattamente di cosa parlava, e quando ne parlava lo faceva con voce simile<br />

alla voce di un leone e non era mai ingiusto, maleducato, sprezzante o vanaglorioso,<br />

era veramente amato. Per tutto il tempo che era rimasto in Africa, avevo detto una<br />

sola bugia su di lui. E l’avevo fatto riguardo alle sue mogli.<br />

Mwindi, che era un vero ammiratore di Mayito, mi aveva chiesto senza mezzi<br />

termini quante mogli aveva. Se lo domandavano tutti, e non era il tipo di statistica che<br />

sarebbero riusciti a ottenere da Pop. Mwindi era in uno dei suoi giorni di malumore e<br />

doveva esserci stata una discussione. Non sapevo da che parte si fosse schierato, ma<br />

era evidente che gli era stato chiesto di chiarire la questione.

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