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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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Gli avvoltoi se ne stavano in attesa su tutti e due gli alberi più piccoli, e doveva<br />

essercene un altro centinaio su quello più grosso, in una delle verdi macchie di<br />

vegetazione. Gli avvoltoi erano pesanti, con le spalle curve e pronti a lasciarsi cadere<br />

giù, ma le leonesse erano troppo vicine al fianco e alla testa scarnificata della zebra<br />

che giaceva sul terreno. Al limite di un folto d’alberi notai uno sciacallo, magro e<br />

bello come una volpe, e poi un altro. Non c’erano iene in vista.<br />

«Non dobbiamo disturbarle» dissi. «Meglio non avvicinarsi nemmeno.»<br />

Ora Mary era tranquilla. Immancabilmente, vedere un leone l’eccitava e la<br />

rendeva felice. «Pensi che siano state loro a uccidere, o lui?» chiese.<br />

«Secondo me, è stato lui, e poi ha mangiato quello che ha voluto. Le leonesse<br />

devono essere arrivate molto più tardi.»<br />

«Gli avvoltoi si muovono, di notte?»<br />

«No.»<br />

«Ce n’è un numero spaventoso. Guarda quelli, distendono le ali per asciugarle,<br />

come fanno le poiane da noi.»<br />

«Sono terribilmente brutti per essere considerati Fauna Reale, e quando hanno la<br />

peste bovina o qualche altra malattia presa dal bestiame, la diffondono moltissimo<br />

attraverso lo sterco. In questa zona ce ne sono indubbiamente troppi. Basterebbero gli<br />

insetti, le iene e gli sciacalli a ripulire le carcasse lasciate qua attorno, e le iene<br />

potrebbero uccidere gli animali malati o troppo vecchi, e mangiarli sul posto. Quelli,<br />

invece, li spargono per tutto il paese.»<br />

Vedere le leonesse al riparo degli alberi e gli orribili avvoltoi ammassati così<br />

numerosi sugli alberi mi aveva spinto a parlare troppo. Questo e il fatto che noi due<br />

eravamo di nuovo amici e che per quel giorno non avrei dovuto accompagnare la mia<br />

amatissima Miss Mary a caccia del leone. Per giunta, odiavo gli avvoltoi ed ero<br />

convinto che la loro utilità come ripulitori di carogne fosse sopravvalutata. Qualcuno<br />

aveva deciso che erano i più grandi spazzini dell’Africa, li aveva inclusi nella Fauna<br />

Reale e aveva proibito di ucciderli, e il loro ruolo di diffusori di malattie suonava<br />

come un’eresia, a confronto con la magica definizione di Fauna Reale. I Wakamba<br />

pensavano che fosse molto buffa, e noi li chiamavamo regolarmente gli uccelli del<br />

Re.<br />

Ma ora, appostati in alto sui resti della zebra, non erano per niente buffi, e<br />

quando la leonessa più grossa di alzò sbadigliando e ricominciò a mangiare, due<br />

grandi avvoltoi calarono verso di lei protesa sulla carne. La leonessa giovane sbatté<br />

una volta la coda e li caricò, e loro si alzarono veloci con le ali pesanti, mentre la<br />

leonessa tentava di prenderli a zampate, come fanno i gatti. Poi si mise accanto alla<br />

grossa leonessa e anche lei riprese a mangiare, e gli uccelli restarono sugli alberi, con<br />

quelli più vicini che quasi perdevano l’equilibrio, tesi com’erano per la fame.<br />

Le leonesse non ci avrebbero messo molto a finire quello che restava della<br />

zebra. Dissi a Mary che conveniva lasciarle mangiare e proseguire lungo la strada<br />

come se non le avessimo viste. Davanti a noi c’erano un piccolo gruppo di zebre e,<br />

oltre, uno gnu e molte altre zebre.<br />

«Mi piace guardarle» disse Mary. «Ma se pensi che sia meglio, possiamo<br />

continuare, così diamo un’occhiata alle pianure saline e magari vediamo i bufali.»

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