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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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6<br />

La mattina Mwindi ci svegliò con il tè molto prima che facesse giorno. Disse: «Hodi»<br />

e lasciò il tè sul tavolo fuori dalla nostra tenda. Ne portai una tazza a Mary e mi vestii<br />

all’esterno.<br />

Charo e Ngui spuntarono dal buio per prendere le armi e i proiettili, e io bevvi il<br />

mio tè seduto al tavolo, vicino al quale uno dei ragazzi che servivano nella tenda<br />

pranzo stava accendendo un fuoco. Mary si stava lavando e vestendo, ancora a metà<br />

fra il sonno e la veglia. Raggiunsi lo spiazzo aperto oltre il teschio d’elefante e i tre<br />

grandi cespugli, e scoprii che il terreno era ancora molto bagnato, anche se durante la<br />

notte si era asciugato un po’. Sarebbe stato assai più asciutto del giorno prima. Ma<br />

ancora non ero convinto che saremmo riusciti a portare la macchina oltre il punto in<br />

cui ritenevo che il leone avesse ucciso. Ero sicuro che fra quel punto e la palude la<br />

terra fosse troppo zuppa.<br />

La chiamavamo palude, ma sbagliavamo. C’era una vera palude con i papiri e<br />

molta acqua che vi scorreva dentro, larga un paio di chilometri e lunga sei. Ma la<br />

località che definivamo palude includeva la zona circostante, densa di grandi alberi.<br />

Molti di questi crescevano su un terreno relativamente alto e alcuni erano bellissimi.<br />

Formavano una foresta che circondava la vera palude, ma in parte erano stati<br />

abbattuti dagli elefanti che vi si erano nutriti, e ora costituivano una barriera<br />

insuperabile. In quella foresta vivevano numerosi rinoceronti, e c’erano sempre<br />

elefanti, a volte sparsi, altre a interi branchi. C’erano anche due branchi di bufali.<br />

Nella parte in cui gli alberi erano più fitti si aggiravano i leopardi, che ne emergevano<br />

solo per andare a caccia di prede, e vi si rifugiava quel particolare leone, quando<br />

scendeva a valle per nutrirsi della selvaggina della pianura.<br />

La foresta di grandi alberi alti o caduti formava il confine occidentale della<br />

pianura aperta, delle belle radure circondate a nord dai giacimenti salini e<br />

dell’irregolare terreno roccioso che conduceva a un’altra grande palude incastrata fra<br />

la nostra zona e le colline Chulu. A est c’era il deserto in miniatura che apparteneva<br />

ai gerenuk, e oltre, sempre a est, le frastagliate colline boscose che più avanti salivano<br />

in altezza verso i fianchi del Kilimangiaro. Era tutto molto più complicato di come si<br />

riesce a descriverlo, ma così appariva sulla cartina o se si guardava dal centro della<br />

pianura e della zona delle radure.<br />

Il leone aveva l’abitudine di uccidere allo scoperto di notte, in pianura, e poi,<br />

dopo aver mangiato, di ritirarsi nel cuore della foresta. Il nostro piano prevedeva di<br />

localizzarlo e braccarlo quando usciva a cercare la preda. Oppure di avere la fortuna<br />

di intercettarlo mentre tornava nella foresta. Se si sentiva abbastanza sicuro e non<br />

percorreva tutta la distanza fino agli alberi, potevamo seguirlo dal punto in cui aveva<br />

ucciso fino a dove sarebbe andato a riposarsi, dopo essersi abbeverato.<br />

Mentre Mary si vestiva per poi avviarsi verso lo spiazzo fra gli alberi dov’era<br />

nascosta la tenda di tela verde con il gabinetto, io pensavo al leone. Se volevamo<br />

avere una probabilità di successo, dovevamo prenderlo di sorpresa. Mary aveva

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